venerdì 30 settembre 2005

una segnalazione di Barbara De Luca

Corriere della Sera 30.9.05
Caso clinico senza precedenti: ignora il marito e la figlia
La casalinga che riconosce solo Berlusconi
Studiate le reazioni di una donna colpita da deterioramento progressivo delle capacità cerebrali
di Massimo Piattelli Palmarini


MILANO - Il caso clinico senza precedenti, appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale «Cortex» dai neuro-psicologi Sara Mondini, dell’Università di Padova, e Carlo Semenza, dell’Università di Trieste, fornisce una prova biologica di quanto da tempo sociologi, psicologi sociali, politologi ed esperti di comunicazioni di massa avevano sospettato, cioè che il bombardamento ripetuto di certe immagini a mezzo stampa e televisione incide qualcosa di profondo e speciale nel nostro cervello.

Detto in modo molto succinto, il caso di V. Z., casalinga italiana di 66 anni, testata ripetutamente da Mondini e Semenza per anni, mostra che una lesione cerebrale specifica può gravemente compromettere la nostra capacità di riconoscere oggetti in genere e volti umani in genere, ma non la capacità di riconoscere Silvio Berlusconi. E’ come se il volto del premier fosse stato inciso nel cervello in un suo canale particolare, in un formato speciale, diverso da quello ordinario degli oggetti e da quello pure ordinario, ma separato, dei volti.

La tranquilla paziente V. Z., destinata adesso a diventare internazionalmente famosa, è affetta da un caso raro di deterioramento progressivo dell’area cerebrale chiamata, in gergo neurologico, lobo temporale mesiale, con conseguente atrofia di questa zona in ambedue i lati del cervello, ma più pronunciata nell’emisfero destro, quello soprattutto deputato all’elaborazione delle immagini. Parla normalmente e appropriatamente, ma ha difetti di memoria ed è incapace di riconoscere perfino il volto del marito e dei più stretti familiari.

Inoltre, portata in un supermercato con una lista di cose da acquistare scritta da lei stessa, legge correttamente, poniamo, le parole «cipolle» e «mele», ma non sa a cosa corrispondono sui banconi. La batteria di test psicologici somministrata a V. Z. da Mondini e Semenza è molto nutrita e i risultati sono minuziosamente riportati da loro nell’articolo su «Cortex».

La sua percezione dello spazio e delle distanze è sostanzialmente normale, ma le cose si mettono al peggio quando V. Z. deve decidere, in base a foto e disegni, quali animali sono reali e quali chimerici, e di quali animali si tratta. Distingue abbastanza correttamente foto di animali da foto di oggetti, ma poi tutto si ferma lì. Non riesce a dire niente di appropriato sui singoli esemplari mostrati. Mondini e Semenza le hanno anche mostrato molte foto e ritratti di persone famose (compreso un ritratto di Napoleone), chiedendo se sapeva chi erano. Niente. Una sola foto ha dato un netto risultato, quella, appunto, di Silvio Berlusconi. Le informazioni subito offerte da V. Z. in relazione alla foto erano corrette «Un uomo molto ricco, che possiede stazioni televisive e ha successo in politica».

Si noti che l’episodio avveniva nel 2001, in piena campagna elettorale. Però sei mesi dopo V. Z. ancora riconosceva Berlusconi, a dispetto di un ulteriore peggioramento del suo stato neurologico, e a dispetto della sua totale incapacità di riconoscere foto del marito, della figlia, dei vicini di casa e di una certa difficoltà perfino a identificarli di persona. Questo sbalorditivo dato era, occorre precisare, del tutto inaspettato. Mondini e Semenza, messi su una nuova pista, hanno, con grande pazienza, cercato di trovare altre immagini che potessero emergere, come il volto di Berlusconi, dal grigio magma di non-riconoscimento della povera paziente. E ne hanno infine trovata un’altra: la foto del Papa (Wojtyla). Un successo solo parziale, però, perché V. Z. non sapeva dare alcuna informazione, oltre al fatto che si trattava del Papa, né distingueva tra (l’allora) Papa e i Papi del passato. Inoltre, il riconoscimento non sussisteva più se si toglievano dalla foto i paramenti papali.

La sola altra vera, stabile, eccezione era l’immagine di Cristo in croce. Come interpretare, neurologicamente e psicologicamente, questo dato? Riesaminando i casi pubblicati e chiedendo personalmente ai colleghi italiani e stranieri, Mondini e Semenza hanno stabilito che altri casi simili, ma molto meno netti, e causati da lesioni cerebrali meno estese di quella di V. Z., erano stati osservati, ma mai pubblicati (in particolare un paziente inglese che riconosceva bene Margaret Thatcher, ma pochissimi altri personaggi famosi).

La loro conclusione è che esiste un canale di riconoscimento e di memorizzazione «iconico», distinto da quello per gli oggetti in genere e distinto da quello, notoriamente separato e specializzato, per i volti. Semenza mi dice che si tratta di «una corsia preferenziale». Informazioni visive collaterali vengono strettamente associate a un volto (i paramenti papali, la croce, la corona di spine) e questo compatto insieme di informazioni sopravvive al deterioramento degli altri due canali.

Resta piuttosto problematico capire quali tratti visivi speciali si accompagnino all’immagine di Berlusconi. Forse non si tratta di qualcosa di visivo, ma, per esempio, della voce. Questa è solo un’ipotesi, i dati non la confermano né la smentiscono. Semenza mi dice: «Il merito di questo caso è anche quello di avere posto all’attenzione dei clinici quanto possa essere importante studiare i casi gravi in cui pochissima informazione di un certo tipo è risparmiata.

Nonostante casi simili fossero segnalati in modo aneddotico, nessuno si era mai impegnato a studiarli con un minimo di metodo sperimentale». Nemmeno Orwell aveva sospettato che esistesse una corsia neuronale preferenziale per riconoscere subito «il Grande Fratello».

questione cattolica
Repubblica 30.9.05
Perché Ruini non diventa senatore
di Eugenio Scalfari

Tra i tanti problemi che affollano il nostro presente nel mondo e nel paese in cui viviamo, ce n'è uno che in Italia è particolarmente avvertito, anzi che è esclusivamente nostro: la questione cattolica.
Dominò la società italiana per quarant'anni, dal 1870 fino alla fine del "non expedit". Sembrò del tutto risolta, ma nei modi imperativi propri d'un regime dittatoriale, con il Concordato del 1929. Fu nuovamente assopita con l'inserimento dei patti concordatari nella Costituzione repubblicana, auspici Dossetti, De Gasperi e Togliatti, nel 1947 e ancor più con la parziale revisione del Concordato dell´85. Si andò ancor più avanti (o almeno così era parso) con il dissolvimento della Democrazia cristiana nel '93 e la fine dell'unità politica dei cattolici.
Invece proprio dalle ceneri di quell'unità, che aveva affidato alla Dc il difficile ma non impossibile compito di mediare gli interessi della Chiesa con quelli dello Stato, la questione cattolica è uscita da una lunga latenza e si è riproposta con un'intensità nuova e ancor più pervasiva per il semplice fatto che non riguarda soltanto gli interessi della Santa Sede e del Vaticano ma anche i valori dei quali la religione è portatrice, l'etica che ne deriva e i suoi campi d'applicazione in materie prima trascurate o addirittura inesistenti, prima tra tutte la bioetica che i progressi della tecnologia hanno portato alla ribalta e che hanno fatto sorgere nuovi bisogni, nuovi desideri e nuovi diritti chiamando in causa la legislazione e quindi la politica e, insieme, la religione, la società civile, lo Stato.
Si fa un gran discutere in questa fase di laicità, di laici e di laicisti aggiungendo una manciata di biasimo a quest'ultima parola. Se ne discute facendo anche molta confusione tra credenti e non credenti e – tra i credenti – quelli che aderiscono alla pratica della liturgia e del catechismo e quelli che, pur avendo fede in un Dio trascendente e cristiano, non passano necessariamente attraverso il filtro sacramentale del magistero ecclesiastico ma cercano di raggiungerlo direttamente e plasmano il proprio sentimento religioso con l'autonomia d'una propria morale. Questa discussione, confusa ma fervida, si svolge al di fuori della politica. Prescinde dalla politica. Riguarda diverse visioni della vita e del senso che essa ha per ciascuno di noi. Dunque riguarda il nostro privato. Il modo con cui preghiamo o non preghiamo, crediamo o non crediamo, pecchiamo o non pecchiamo, ci sentiamo colpevoli o ci assolviamo.
Tutti questi sentimenti, emozioni, credenze e l'antropologia che ne deriva, non hanno alcuna attinenza con la politica, con le leggi, con le istituzioni. Le quali invece entrano in gioco solo nel momento in cui la Chiesa, o per esser più precisi la gerarchia ecclesiastica, usa lo spazio pubblico per introdurre i suoi orientamenti nelle istituzioni, per conformarle il più possibile alle sue prescrizioni, per ottenere diritti adeguati allasua visione del mondo e dei rapporti interpersonali e negare altri diritti che si distacchino da quella visione.
Qui nasce il conflitto e nel momento in cui esso diventa intenso e permanente qui nasce la questione cattolica e la sua compatibilità con la democrazia.
* * *
Esistono ancora dei laici fedeli all'ideale cavouriano di "libera Chiesa in libero Stato" che preferirebbero un regime di netta separazione tra l'istituzione religiosa e quella civile.
Personalmente mi iscrivo tra questi. Ma debbo chiarire che il regime separatista (del resto vigente in molti paesi dell'Occidente a cominciare dagli Stati Uniti) non significa affatto impedire alla Chiesa di utilizzare lo spazio pubblico per confrontare le proprie visioni e dottrine con altre comunque diverse. Al contrario: eventuali limiti posti all'uso dello spazio pubblico possono venire da pattuizioni concordatarie che prevedono sempre uno scambio tra le parti contraenti.
In un regime di separatismo la Chiesa non ha né privilegi né limitazioni, salvo quelle previste dai codici e dalle leggi. Si mantiene economicamente con le risorse ottenute dai suoi fedeli, apre e gestisce le sue scuole private senza alcun contributo dello Stato e di enti pubblici locali; in compenso è pienamente libera di predicare e prescrivere ciò che vuole e nessuno può impedirglielo.
In un siffatto regime i sacerdoti e i vescovi sono cittadini a tutti gli effetti, nei diritti e nei doveri.
Possono promuovere partiti politici o aderirvi, possono diventare membri del Parlamento e membri del governo. Chi potrebbe impedirlo per proprie e non sindacabili ragioni sarebbe tutt'al più la stessa Chiesa ma non certo uno Stato democratico che per definizione non può negare ad un cittadino diritti universalmente riconosciuti.
Ricordo che don Luigi Sturzo fondò e diresse il Partito popolare che ebbe molti seggi in Parlamento e importanti presenze nei governi, a finire con il primo governo Mussolini. Tutto ciò avvenne tra il 1919 e il 1925, cioè in un regime di assoluto separatismo tra lo Stato e la Chiesa.
Pongo ora una domanda a chi sostiene che i vescovi sono cittadini come tutti gli altri e votano infatti alle elezioni: il vescovo Ruini, il vescovo Fisichella e tanti altri come loro possono partecipare alle elezioni politiche e andare in Parlamento? Possono entrare a far parte del governo e reggere un dicastero?
Ho consultato la vigente legge sull'incompatibilità ma non c'è una sola parola che riguardi questo problema.
Dunque la riposta, in puro punto di diritto, è sì, Ruini e ciascuno dei suoi colleghi, se volessero, potrebbero concorrere alle elezioni, essere eletti, partecipare al governo.
Ma tutti sappiamo, a cominciare da loro stessi, che un fatto del genere ripugnerebbe alla coscienza nazionale e quindi non lo fanno. Non lo fanno ma potrebbero. C'è dunque un impedimento morale più forte del diritto di cittadinanza. Qual è questo impedimento?
* * *
La Chiesa è portatrice di valori assoluti e di assolute verità che le vengono dal suo corpo dottrinale dalla sua tradizione, dal suo pensiero teologico. La sua struttura è gerarchica e culmina in un vertice che ha poteri assoluti ancorati addirittura al dogma dell'infallibilità.
Ne segue che esiste una lampante incompatibilità sistemica tra un regime democratico e una religione ancorata a valori assoluti e dogmaticamente istituzionalizzati.
I vescovi, ancorché cittadini italiani, sono vincolati all'obbedienza alla loro gerarchia, nominati da un'apposita congregazione col beneplacito del papa, vincolati a dogmi emanati dalle encicliche e dai Sinodi. Perciò sono eterodiretti rispetto alle istituzioni italiane.
In più, operando in regime concordatario, fruiscono di benefici tutt'altro che marginali. In queste condizioni affermare che i vescovi e il clero in generale siano cittadini a pieno titolo è falso. Non lo sono. Possono votare ma non possono farsi eleggere e partecipare a governi se non riducendosi allo stato laicale. E tuttavia questa norma di tutta evidenza non figura nella vigente legge sulle incompatibilità.
Questo ragionamento tende a dimostrare non solo che l'esercizio passivo del diritto elettorale è precluso ai titolari delle diocesi ma, soprattutto, a chiarire che esiste altresì un limite alle loro esternazioni.
Un vescovo concordatario non può esternare come un qualsiasi altro cittadino poiché nel Concordato l'articolo 1 dichiara che lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani nelle rispettive competenze civili e religiose. C'è anche una casistica di queste competenze per quanto riguarda la Chiesa: dottrina della fede, etica, catechesi, carità, solidarismo. Non figura la parola politica. E quindi la politica non rientra nelle competenze della Chiesa.
Ma si dice ed è vero, l'etica ha a che fare con la politica. La bioetica anche. Perciò la Chiesa può dire che il divorzio è un male, che la fecondazione assistita è un male, che l'aborto è un assassinio di massa, che i Pacs sono un male e spiegarne il perché dal proprio punto di vista. Altri, di diverso avviso, forniranno ragioni contrapposte. Questa è la democrazia. Ma qui si ferma il diritto della Chiesa ad esternare.
Se i suoi vescovi entrano nel cuore della politica (il che gli è precluso) prescrivendo l'astensione dal voto in un referendum, indicando i modi dell'articolato delle leggi, dichiarando l'incostituzionalità di altre, censurando atti di giurisdizione come le intercettazioni telefoniche disposte dalle Procure della Repubblica, facendo affiggere nelle chiese cartelloni e spot per quanto riguarda la partecipazione o l'astensione dai referendum e lasciandoli affissi anche nel giorno delle votazioni; in questi casi i titolari delle diocesi si mettono fuori dal Concordato. Tanto varrebbe allora vederli seduti sui banchi della Camera e del Senato a discutere direttamente e a votare con i loro colleghi della politica.
Dov'è in tutto questo la religione? Dov'è la carità?
Dov'è la pietà. Chi decide se un bisogno ampiamente avvertito sia soltanto un desiderio o abbia creato un diritto? Lo decide monsignor Fisichella?
* * *
Purtroppo sì, lo decide anche monsignor Fisichella poiché molti politici ritengono, a torto o a ragione, che monsignor Fisichella orienti e controlli una notevole quantità di elettori e quindi lo corteggiano a gara, da destra e da sinistra. E monsignor Fisichella detta le sue condizioni che spesso ottiene.
Monsignor Fisichella non fa nulla di illecito (salvo violare i principi del Concordato) ma si comporta come un lobbista. Si comporta come Billè che cerca di far pesare i voti dei commercianti sulle decisioni del governo; o come Montezemolo, o come Pezzotta ed Epifani. Si comporta come il capo di un forte gruppo di pressione, con la differenza che la Chiesa è cento volte più forte di Billè, di Montezemolo e di Epifani perché svolge il suo lavoro di lobby in nome del sentimento religioso invadendo a briglie sciolte la sfera politica e arruolando in questa galoppata anche le truppe cammellate degli "atei devoti" che usano la religione per rafforzare una loro visione dello Stato forte, decisionista, autoritario. "Dio è con noi" è la tentazione moderna del totalitarismo e al tempo stesso della teocrazia.
Chi dovrebbe reagire in primissima linea a questa sciagurata tentazione dovrebbe essere il laicato cattolico che invece è incomprensibilmente silente. Per questa ragione sostengo che siamo in presenza di una questione cattolica: salvo rare e oscillanti eccezioni il laicato cattolico sta assistendo alla sistematica distruzione delle sue autonomie dentro e fuori dal perimetro religioso. Le Comunità cattoliche, l'Azione cattolica, le Acli, le associazioni universitarie e studentesche sembrano colpite da un sonno ipnotico. I grandi ordini religiosi regolari tacciono, eppure avrebbero di che discutere e obiettare.
Abbiamo purtroppo realizzato parecchi primati negativi nel mondo in questi ultimi anni. Aggiungeteci anche questo: siamo il solo paese dell'Occidente cristiano nel quale è nata e cresce di giorno in giorno la questione cattolica.
Francamente non c'è da esserne orgogliosi per il paese dove nacque cinque secoli fa la libera scienza e l'autonomia della coscienza individuale. "De servo arbitrio" fu il motto di Lutero, ma ha passato le Alpi.
Oggi ha dimora Oltretevere, manipolato dai porporati della Cei. Sua Santità è d'accordo con il suo Vicario?

neuroscienze
Corriere della Sera 29.9.05
Il meccanismo scoperto analizzando il sonno
Svelate basi dello stato di coscienza
Secondo uno studio di ricercatori italiani perchè si realizzi è necessaria la comunicazione rapida tra precise aree del cervello

La coscienza nasce nella comunicazione reciproca e rapida tra i centri superiori del nostro cervello, le aree corticali. Lo hanno dimostrato per la prima volta ricercatori italiani e americani, che hanno ricevuto l'imprimatur della pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica «Science».
Lo studio in questione è stato condotto da da Marcello Massimini, ricercatore dell'università di Milano, in collaborazione con l'equipe del docente di psichiatria Giulio Tononi alla University of Wisconsin - Madison. L'esperimento, reso possibile da una nuova tecnica appena collaudata, rappresenta un deciso progresso per arrivare un giorno a misure oggettive del grado di coscienza nei casi in cui essa risulta alterata, come nella schizofrenia, in individui in stato vegetativo, o, più semplicemente in pazienti sotto anestesia.
COMUNICAZIONE- Il lavoro dei ricercatori italiani prende spunto dall'ipotesi, formulata in anni di ricerche dal professor Tononi, secondo cui la coscienza dipende dalla capacità di determinate zone di cervello anatomicamente interconnesse di comunicare tra loro. «Sappiamo da tempo - ha spiegato Massimini - che ci sono aree cerebrali fondamentali per generare la coscienza e altre che non lo sono». Non a caso lesioni al midollo spinale o traumi del cervelletto non ledono la coscienza dell'individuo. Viceversa lesioni a carico del sistema talamo-corticale (il talamo è una regione centrale del cervello e la corteccia la regione più superficiale) possono portare a perdita di coscienza anche permanente, come nel coma.
SONNO SOTTO OSSERVAZIONE- Per scoprire cosa succede in queste regioni quando la coscienza si annulla i ricercatori hanno studiato una situazione di perdita reversibile e fisiologica della coscienza: il sonno. «Nelle prime ore della notte quando siamo immersi nel sonno profondo ha spiegato Massimini noi e l'universo che ci circonda non esistiamo più. La cosa paradossale ha aggiunto l'esperto - è che, mentre la nostra coscienza svanisce, il cervello non si spegne affatto, anzi, rimane molto attivo». Gli scienziati italiani sono riusciti per primi a spiegare il paradosso avvalendosi di una nuova tecnica messa a punto in Finlandia e da loro collaudata, che si basa sull'uso della stimolazione magnetica transcranica (TMS) e dell'elettroencefalogramma ad alta risoluzione (hr-EEG), dimostrando che, in accordo con la teoria di Tononi, durante il sonno profondo la coscienza si spegne perchè viene a mancare la comunicazione tra le varie parti della corteccia cerebrale. Gli esperti hanno applicato una stimolazione continua e di bassa intensità su individui sani e svegli in una zona ben circoscritta del loro cervello, mentre con l'hr-EEG vedevano come si propagava lo stimolo. La stimolazione continuava anche quando i volontari si addormentavano permettendo ai ricercatori di registrare i cambiamenti nella propagazione dello stimolo.
TRASMISSIONE BLOCCATA - «Il risultato ha dichiarato entusiasta Massimini - è stato chiarissimo e straordinario»: mentre da svegli lo stimolo si propaga sulla superficie corticale perdurando per 300 millisecondi, nel sonno profondo l'area cerebrale risulta incapace di trasmettere lo stimolo altrove e questo si estingue in fretta dopo 100-150 millisecondi. Il fatto che venga meno l'interconnessione tra le aree corticali risulta quindi fondamentale per spiegare il passaggio coscienza-non coscienza.
CASI MEDICO-LEGALI - Gli esperimenti dimostrano pure che questa tecnica, efficace nel misurare il grado di interconnessione tra le varie aree del cervello, potrebbe quindi, in prospettiva, fornire un indice oggettivo del grado di coscienza. Si potrebbe pensare a un futuro non imminente in cui usare una tecnica simile per dirimere casi controversi come quello di Terri Schiavo che nel marzo scorso sconvolse il mondo intero. Ma più nell'immediato, ha spiegato Massimini, questo studio potrebbe avere un impatto rilevante nella comprensione di alcune patologie come la schizofrenia in cui il disturbo principale del malato è proprio la scissione. Al momento infatti gli esperti stanno confrontando con la stessa tecnica il cervello di pazienti schizofrenici e di individui sani di controllo. Ciò aiuterà a svelare le basi organiche dei cambiamenti patologici della coscienza, ma i risultati, ha sottolineato Massimini, non sono dietro l'angolo.

Oliver Sacks
Corriere della Sera 29.9.05
Intervista allo scienziato e romanziere
La genetica curerà le malattie della mente
Ne è convinto Oliver Sacks. Il famoso neurologo americano: «sì ai farmaci, specie a breve termine, ma conta la storia del paziente»
di Massimo Piattelli Palmarini

BERGAMO - Raggiungo il più famoso neurologo vivente, Oliver Sacks, al suo albergo di Amsterdam, in procinto di partire per l'Italia. Professore all'Albert Einstein College of Medicine e alla New York University, autore di libri tradotti in 23 lingue, Sacks ha creato un nuovo genere letterario, narrando la malattia mentale, per così dire, dall'interno con il vissuto quotidiano del paziente. Dotato da madre natura di una penna felicissima e di una insaziabile curiosità per la natura e per la condizione umana, è stato insignito di onorificenze letterarie e scientifiche e di lauree honoris causa (una delle quali dall'Università di Torino) la cui lista riempirebbe gran parte dello spazio di questo articolo. Mi parlò di lui per la prima volta, nel 1973, il compianto Ronald D. Laing, padre della cosiddetta e oggi assai dimenticata anti-psichiatria. Laing mi disse che la vicenda clinica vissuta in prima persona da Sacks e raccontata nel suo celebre libro Risvegli (Awakenings), successivamente tradotto in un dramma teatrale da Harold Pinter e in un film con Robert de Niro e Robin Williams protagonisti, era una delle più toccanti e straordinarie di ogni tempo. Un gruppo di pazienti curati da Sacks al Beth Abraham Hospital nel Bronx, affetti da encefalite letargica, in stato di catatonia profonda da decenni, di colpo ritornarono alla vita grazie alla somministrazione di un farmaco allora sperimentale, la L-dopa. La scoperta più straordinaria fu che questi pazienti, a dispetto del loro apparente totale distacco dal mondo, in realtà erano internamente vivissimi e straziati dall'impossibilità di esternare i loro pensieri e i loro sentimenti. Nei suoi libri successivi Sacks esplora il vissuto di altri pazienti affetti da profondi disturbi neurologici, alcuni da manuale, altri rari e insoliti. Il caso dell'uomo che scambiava la propria moglie per un cappello, assurto a titolo di una sua famosa raccolta di casi clinici, è l'epitome della singolarità e della stranezza di alcuni disturbi neurologici.
Nella nostra intervista per il Corriere, Sacks insiste sulla necessità di studiare a fondo i singoli casi. «La scienza dell'individuo è fondamentale — mi precisa — la biologia deve incontrarsi con la biografia, il meccanismo deve incontrarsi con la vita. Molti mi chiedono: Caro Dottor Sacks qual è la sua teoria generale della malattia mentale? Ma io non ho una teoria generale e diffido perfino delle categorie cliniche, inclusa quella di malattia mentale». Il suo primo amore è stata la chimica e in luminose conferenze e in un recente libro intitolato Lo Zio Titanio si dilunga in tono quasi lirico sugli elementi primordiali, il gallio, il tungsteno, il wolframio, l'osmio. Il parallelo con Primo Levi viene subito alla mente. Infatti, Sacks mi conferma: «Ho un'immensa ammirazione per l'opera di Primo Levi. A Torino sono voluto andare a visitare la sua abitazione, e la tromba delle scale che ha visto il suo suicidio, una cosa terribile». Un altro suo eroe è il grande chimico italiano Stanislao Cannizzaro (1826-1910), del quale Sacks ama citare una conferenza storica sull'insegnamento della chimica. Come mai non è diventato lui stesso un chimico? «Non so bene, ma quando avevo l'età di scegliere una facoltà universitaria, negli anni '50, avevo l'impressione che la chimica fosse ormai diventata molto matematica e io non sono molto portato per la matematica». Tra lo zio Titanio, infaticabile sperimentatore della chimica dei metalli, e la professione della madre, oncologa, Sacks scelse la madre e decise di studiare medicina a Oxford. «La chimica è una scienza del generale, ogni atomo di titanio è uguale a qualsiasi altro atomo di titanio, ma in neurologia abbiamo a che fare con persone irripetibili. C'è molto da imparare dallo studio approfondito dei singoli casi, alcuni dei quali sono unici. Uno dei miei mentori scientifici, che non ho mai incontrato di persona, ma con il quale ho corrisposto per anni, il russo Alexander Romanovich Luria, aveva pubblicato un bellissimo e famoso libro su un caso del tutto eccezionale, quello di un giovane che aveva, appunto, "Una memoria prodigiosa". Quel caso è probabilmente unico e irripetibile, ma ci dice molto su come funziona la mente e su come è organizzata la memoria». I suoi studi attuali vertono proprio sui difetti patologici della memoria, sulla percezione del colore e sulla visione stereoscopica. Gli chiedo se il futuro del trattamento della malattia mentale sarà essenzialmente basato su predisposizioni genetiche individuate precocemente e sull'uso di psicofarmaci sempre più efficaci.
«Sono decisamente a favore delle analisi genetiche e dell'uso sapiente di farmaci, a breve termine almeno, ma sopprimere i sintomi a volte ci allontana dal capire le radici del male. La storia individuale del malato e l'intera vita del malato non devono mai passare in second'ordine». Si accinge, con enorme interesse, a visitare la cittadina belga di Geel, dove, fino dal medioevo, i malati mentali vengono ben accolti e lasciati liberi di circolare. «E' l'opposto dell'istituzionalizzazione e sono molto curioso di vedere come procede questo esperimento, ormai storico». Quali sono i suoi legami con l'Italia? «Molti, da quando la visitai per la prima volta a 17 anni. Un Paese magnifico». Non vede l'ora di rivedere il suo editore, Roberto Calasso e di conoscere infine di persona Rita Levi-Montalcini, che ammira incondizionatamente. Virginia Volterra è una sua cara collega e amica, da quando Sacks scriveva il suo libro sui sordi congeniti e andò a Roma a visitare l'istituto. Non conosce ancora Bergamo, ma è sicuro che gli piacerà. Uno scienziato e clinico, quindi, per sua ammissione, «senza teoria generale», ma con una vivissima umanità generale, in lui veramente la biologia si sposa con la biografia.

giovedì 29 settembre 2005

sinistra, vince Fausto Bertinotti
il manifesto 29.9.05
Primarie manifesto.it, ecco la classifica finale

Venti giorni di sondaggio e adesso stop. Tutti hanno avuto il tempo di pensarci bene e di votare, e in oltre 13mila l'hanno fatto partecipando alle primarie online del manifesto.it. Ha vinto Bertinotti, manco a dirlo, con il 45% dei voti. Distanziato Prodi con il 27%. Terza forza per i navigatori del nostro sito l'outsider Scalfarotto con l'8% dei consensi. Segue Pecoraro Scanio col 3% che batte di soli tre voti la «senza volto» Panzino, forse penalizzata dal ritardo con cui si è associata alla compagnia. Penultimo Di Pietro col 2%, ultimo Mastella che pure ha sedotto 168 cyber-elettori. Poco scientificamente abbiamo previsto anche l'opzione «non voterò», cliccata dal 7%. Non tanti, ma forse i «no vote» hanno scelto di boicottare anche il nostro giochino.

sinistra
AGI 29.9.05
UNIONE: BERTINOTTI, BENE ACCORDO RADICALI-SDI, SUPERARE VETI

(AGI) - Catania, 29 set. - "L'accordo tra Radicali e Sdi lo vedo con grande interesse. Il veto di Mastella dovrà essere superato".
Lo ha detto il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, oggi a Catania. Per il politico occorre compiere questo sforzo "intanto per rispetto a una formazione che fa parte dell'Unione, ma penso di più: la costruzione di un nuovo soggetto politico radical-socialista è da guardare con grande interesse. Come si sa, con i radicali e con Marco Pannella abbiamo sempre avuto un dialogo molto intenso, anche quando c'è stato uno scontro aspro sui temi di politica economica".

questione cattolica e apologetica diessina,
i catto-comunisti sono sempre stati anche stalinisti
l'Unità 29 Settembre 2005
Quando Bocca scoprì i «cattocomunisti»
di Maurizio Chierici

Gli antiquari degli slogan se ne erano dimenticati. Nessuno, ormai, frugava il passato per chiudere nel ghetto dei «cattocomunismi» avversari sgraditi in quanto benpensanti: tradivano il censo e la fede per dialogare con le bande dei rossi. Votavano perfino assieme, quei legami contro natura: Vaticano inquieto anni ’70, ’80 quando la Dc cominciava a tremare. Ma i Pacs, e le polemiche che sono seguite, hanno rianimato il neologismo perduto. Per i soliti giornali Prodi e le margherite diventano cattocomunismi per neoteologi che subito ci ripensano: meglio l’insulto «Zapatero». Anche Mastella è d’accordo: brucia di più. Il caso vuole che mentre riaffiora il disprezzo esce il libro di Ettore Masina, scrittore e vaticanista indimenticabile della Rai, per due legislature deputato nella sinistra indipendente: L’airone d’Orbetello - Storia e storie di un cattocomunista. Lo pubblica Rubbettino. Le prime righe annunciano il tormento che accompagna il diario: «Catto-comunista, parola già bruttissima dal punto di vista fonetico, è stata appiccicata per tanto tempo anche a me. Se ricordo bene l’ha inventata a metà degli anni ’60 Giorgio Bocca dopo aver assistito ad un convegno della Pro Civitate Christiana ed essersi imbattuto in cattolici “conciliari”, per lo più giovani, ma non solo, i quali rifiutavano il moderatismo democristiano, anzi lo accusavano di acquiescenza nei confronti del potere economico e degli Stati Uniti…».
A tanti intellettuali e giornalisti - insiste Masina - l’incontro coi cristiani che stavano alla loro sinistra non piaceva: rompeva gli schemi di chi li voleva obbedienti ed allineati davanti ai vescovi.
Bocca ascolta e sorride. È andata così? «È passato tanto tempo, non ricordo di essere andato al Pro Civitate, ma ricordo di essermi imbattuto nei catto-comunisti mentre scrivevo la biografia di Togliatti. Fine anni ’60. Vado ad ascoltare Franco Rodano nella sua bella casa di Torino: professore dalle amicizie eleganti, viveva nell’agiatezza. Ecco la sorpresa. Scopro che dentro alla Chiesa, mescolati a cattolici ferocemente anticomunisti, altri cattolici ritenevano indispensabile il rapporto coi comunisti. Rodano era uno di loro, uno degli importanti per le frequentazioni che lo legavano a Togliatti».
E nel suo Palmiro Togliatti, uscito da Laterza nel ’72, Bocca chiede a Rodano se Togliatti ha affidato la direzione del partito alle mani fidate degli anziani che conoscono la «storia sacra» e la cui fedeltà è fuori discussione. Rodano nega con calore: dopo la Liberazione il vecchio Pci è stato travolto. «Molti quadri provengono dall’Azione Cattolica. Togliatti ebbe chiara l’idea che bisognasse usare nel partito la leva della Resistenza». E il Bocca dei nostri giorni conferma: «Avevamo combattuto assieme la guerra partigiana senza porci il problema della divisione ideologica. Alcuni avevano capito di poter convivere anche a guerra vinta. Certi cattolici combattevano nelle formazioni garibaldine, per definizione comuniste, anche se non tutti erano comunisti. Volevano lottare contro fascisti e nazisti ed erano capitati lì per caso. Eppure la scoperta di Rodano e di chi gli è attorno, mi sorprende. Una presa di posizione diversa dal dialogo ricercato dalle Acli e da Enrico Mattei».
Se Bocca ne prende coscienza attraverso gli incontri che nutrono la biografia di Togliatti, il problema apre il confronto fra i protagonisti delle diverse sponde appena la guerra finisce. Nel gennaio del ’46 Mario Apollonio, intellettuale cattolico, collabora all’Italia quotidiano della diocesi di Milano (più tardi riunito all’Avvenire di Bologna ) ricostruisce cosa sta succedendo tra cattolici e comunisti. «Al Congresso del Pc, Longo ha raccomandato di non far sì che nelle schiere del partito i cattolici siano soltanto dei tollerati. Proposta saggia. Ma tollerati? E sia pure, ma intanto restando le loro specifiche attribuzioni, investano il mondo col Verbo, configurino le forme, il senso e la vita». Possibilista, ma il cammino sembra lungo.
Ancora prima, gennaio ’45, mentre precipita l’agonia di Mussolini, sulle montagne della Resistenza padre Davide Turoldo è raggiunto attorno a Bergamo dal vescovo Bernareggi: gli chiede di aderire al partito che è nato sulle rovine del partito popolare: la democrazia cristiana fondata in clandestinità alla Cattolica di Milano nel 1942. Tra i fondatori Amintore Fanfani. E Turoldo: «Non deve esistere un solo partito cattolico. Facciamone almeno due». Risponde il vescovo: «L’umiltà è obbligatoria. Lo hanno deciso a Roma». «Allora non aderisco», è la conclusione di Turoldo. «Un solo partito cattolico mi sembra troppo poco e banalmente riduttivo. L’ho capito ascoltando chi combatte in montagna. Il partito unico non può tener conto della complessità della speranza».
Vent’anni dopo Bocca è sorpreso dai vizi e dalle virtù di chi ha intenzione di lasciar cadere l’ideologia per unire la battaglia politica. Ricorda che Togliatti, appena rientrato in Italia educa i giovani collaboratori ripetendo: «Ricordatevi di osservare sempre come si muove la Chiesa». Già nel Natale del ’44, racconto di Rodano, «era in contatto con don de Luca, consultore del sant’Uffizio, rapporto destinato a durare fino alla morte del sacerdote. Confessa a Scoccimarro la tentazione di incontrare il Papa e più tardi incontra Ottaviani». Bocca lo chiede, Rodano non smentisce: «Non è vero che l’incontro col cardinale sia avvenuto a casa mia, ma non posso escludere che incontri siano avvenuti altrove». Per Rodano, Togliatti era intimamente convinto della bontà «delle ragioni storiche dello stalinismo come passo in avanti, non evitabile, verso il socialismo». E il professore è d’accordo. Quando il XX congresso apre la destalinizzazione Rodano non nasconde la delusione: «viene meno la razionalità dell’universo comunista». Osserva Bocca: «Razionalità nell’accezione cattolica delle verità rivelate, di ecclesia monolitica e immutabile. Così finisce la razionalità dei dogmi e le sante trinità».
In montagna Bocca, e gli azionisti e i socialisti, erano convinti che il Psi fosse destinato a diventare il partito guida della sinistra in grado di contendere la vittoria alla Democrazia Cristiana. «Pensavamo che nelle prime libere elezioni i socialisti sarebbero stati maggioranza, ma poi la gente ha scelto in modo diverso. I comunisti erano operai e contadini; appartenevano alla piccola borghesia. Lavoravano duro nella ricostruzione. Erano più integrati nella società».
Ecco la sorpresa di quando scopre cattolici che si affiancavano al Pci mentre la Chiesa imponeva la scomunica. «Era una sinistra teorica, socialmente d’avanguardia. Facevano impressione per la novità delle idee e il tipo di linguaggio. Rodano non si accontentava di essere compagno di strada: aveva trasferito il dogma della fede in pratiche quasi staliniste». Pio XII lo condanna all’emarginazione spirituale. E il professore va a fare la comunione di nascosto con la complicità di sacerdoti amici.
La parola catto-comunisti è stata a lungo usata con disprezzo contro i cattolici di sinistra: non solo dalle destre, anche Dc e socialisti ne approfittavano.
«E chi ne era bersaglio ha vissuto la sintesi come un offesa - incalza Bocca -. Rappresentava una forzatura. Toccava anche a chi si occupava di politica o a mediatori, come i giornalisti. Il loro dogmatismo li faceva apparire fondamentalisti, mentre i socialisti erano dialettici. Racconta Rodano: “Dopo il XX congresso Togliatti ci è venuto a trovare per dire: in fondo ciò che diceva Stalin era giusto”. Vittorio Foa non era proprio d’accordo. Ecco perché quando parlavo con Rodano, nella bella casa di Torino, non potevo non meravigliarmi».
Bocca inaugura la definizione nella biografia di Togliatti e la ripete e la scrive, sintesi giornalistica di straordinario successo. Oggi Bondi e Mastella cambiano il disprezzo usando il nome di Zapatero… «Mah. È un arzigogolo ricercato e non immediato. Può far presa con gli addetti ai lavori, ma la gente non capisce. Non è una definizione di massa. Cosa c’entra Zapatero con noi?».
È contento d’aver inventato la parola catto-comunisti? «Solo per obbligo di sintesi, una berlusconata in anticipo. Non ne avevo intenzione. Mi spiace si sia riversata con malizia su tanti intellettuali della sinistra lontani da Rodano e da quelli che gli giravano attorno. Il loro cattolicesimo era profondo ma lo spalla a spalla coi comunisti dai quali li separava l’ideologia, è stata una sorpresa. Come definirli se non unendo le due parole?».

STORIA DI UNA PAROLA
Un libro del vaticanista Ettore Masina ricostruisce le vicende di una generazione di cattolici che scelse di stare col Pci. Erano coraggiosi e niente affatto stalinisti. Parla Giorgio Bocca, l’inventore del neologismo

mercoledì 28 settembre 2005

sinistra
Corriere della Sera 28.9.05

LA SFIDA DI FAUSTO

La campagna delle primarie di Fausto Bertinotti continua con un nuovo manifesto curato dalla «Proforma» di Bari. Il leader di Rifondazione Comunista compare in secondo piano: si intravede il suo sguardo dietro la mano che attacca al muro un Post-it. Ma il consueto slogan «Voglio» è corretto in rosso nel plurale «Vogliamo», a sottolineare, sembra di capire, il passaggio della volontà di partecipazione dalla sfera individuale a quella collettiva. L’invito è sempre lo stesso, però: «Scrivici quello che vuoi»

forza amaranto! e Piero il Pio
La Stampa 28 Settembre 2005

reportage
LIVORNO MOLTE PERPLESSITÀ DOPO LE DICHIARAZIONI DEL SEGRETARIO DS
Sinistra e fede, l’equazione impossibile dei mangiapreti
di Jacopo Iacoboni, inviato a LIVORNO

Guerrazzi, Berneri e Peppone, aiutateci voi «ne li tempi ruinosi». «Sì, stanotte 'un ho dormito, come Fassino: ho visto pur'io la Madonna di Montenero», ghigna Alessandro Trotta, comunista livornese e capo di quella che in Italia pare ormai sparuta setta: gli ultimi anticlericali. Li trovate a Livorno, città d'anarchici e cantastorie. Più precisamente, alla storica sezione Porto del Pci.
Qui non attacca che Fassino si riveli credente: i tifosi del pallone hanno la doppia tessera, Gramsci e il bomber Lucarelli, al cimitero i morti hanno l'immaginetta con la falce e martello, e la Società della cremazione ha fatturati record. Rifondazione e i Ds praticamente dividono la sezione, gli ultimi anticlericali d'Italia dividono il loro tempo in tre, a combattere «preti, americani e bianchettini», dove bianchettini sta per «infidi militanti della Cisl»: guarda caso, dei cattolici.
Le foto più amate sono quelle di Amadeo Bordiga (dieci a due persino contro Gramsci), che passeggiava davanti a questo cantiere navale nei giorni della scissione da cui nacque il PCd'I, e del tenente Quagliarini, ex eroe decorato della prima guerra mondiale, divenuto alla fine degli Anni Dieci comandante degli Arditi del Popolo. La formazione antifascista spopolava a tal punto, nella Livorno della scissione comunista, che il ministro Bonomi scriveva lettere al prefetto Verdinois per invitarlo a difendere quelli che i militanti, con fedeltà filologica, chiamano tuttora i «clericofascisti»: «Si lamentano, caro prefetto, frequenti violenze a mano armata a danno di fascisti e cattolici conservatori; mi viene segnalata inefficace azione repressiva delle due autorità».
Figuratevi il no ai pacs, la «conversione» di Fassino, Ruini. «Io Fassino 'un lo capisco, e ora anche Bertinotti dice che lui non è ateo...», sbuffa l'anziano Luciano, responsabile economia della sezione. Da queste parti Tommaso è il panettiere del porto, non il santo filosofo, e al De Anima si preferisce anima mia, dei Cugini di campagna, cantata in balera. «Un sarai mi'a 'attolico?», scherza il portuale Massimo Salvi quando sente pronunciare il nome del presidente della Cei. «No perché da queste parti siamo un po' in'avolati, noi qui s'è sempre stati un po' mangiapreti, e s'è gente sincera». Non come i «preti», «preti a Livorno è sinonimo di bugiardi», informa Eugenio, ex portuale in pensione che nel '67 donò il sangue «per il popolo vietnamita, anche se non ero donatore», e rievoca i giorni in cui si attaccava la bandiera rossa sulla facciata del Duomo, o si faceva la battaglia per staccare la american flag dal mercantile ancorato in porto. Sostituita con quale? Quella rossa dei vietcong, ovvio.
Livorno-Italia, Roberto Santi riassume così lo spirito di ciò che oggi pare pura assurdità: una ridotta anticlericale che non si genuflette. «Questa è una città anarchica, è la città dei mori, della comunità ebraica aperta e amica del Pci, la città del rabbino Toaff». Da Fassino si dissente, di Rutelli non si parla. Rifondazione ha il 14 per cento, i Ds il 42. Il malandrino «Vernacoliere» ha sede qui. Locandina attuale: «La Chiesa protesta per i preti cinesi».
Il direttore, Mario Cardinali, è specie in via d'estinzione: il suo foglio, pensate l'ardire, battibecca col Vaticano! In particolare, con Ratzinger: «Quando l'hanno eletto papa (scritto con la minuscola, ndr.) abbiamo fatto na copertina con la torre di Pisa in foto e il titolone "Era meglio un pisano. Almeno ci faceva ridere"». Dalla provincia di Pisa, che qui considerano alla stregua del Sant'Uffizio, è partito pronto esposto in Curia, Cardinali messo al rogo dai cardinali.
Non che poi i preti li mangino davvero, via. Ma gli piace irriderli. Ce n'è stato solo uno amato, racconta il cantastorie Pardo Fornaciari: «L'ex vescovo sì, che era un vero religioso, altro che Ruini». Si chiamava Alberto Ablondi, «e a un certo punto per frenare la sua nomina a vescovo fecero sapere che c'aveva 'na ganza. Era vero: e divenne ancora più popolare». Fornaciari è un aedo anarco-comunista, «i miei bisnonni andarono a scuola dal Guerrazzi», quello del triumvirato toscano con Mazzoni e Montanelli, anno 1848. Lui stornella storie così in un cd appena uscito. Titolo programmatico «Il buonsenso». Imperdibile hit anti-baciapile: «La Milonga di Milingo».
Cosa volete che importi alla casalinga Daniela Carrizzi, quartiere Shangai, o all'operaio Massimo Scarpa, lettori del «Vernacoliere», non del «Riformista», della nuova gauche-caviar alla vaticana, le scuole dei gesuiti, la disfida di Port Royal? «Per noi livornesi la chiesa è una cosa, il clero un'altra», dice Santi. La Margherita è pallida, l'Udc non esiste. E se poi Ruini venisse qui lo accoglierebbero «senza fischi» perché, come canta l'amata filastrocca di Consalvo Noberini,
«dice 'he livornesi sian mangiapreti, che un vadino alla messa
però a loro bimbi ni fan la 'omunione
perché poi si ritrovano a grandi tavoloni
a mangià riso nero, cacciucco e piatti misti
cucinati da de' co'hi che son de' veri artisti».
Il «Vernacoliere» di Livorno non è nuovo agli scontri anticlericali con la Curia di Roma. Nel 1981 fu già al centro di una polemica per aver irriso Karol Wojtyla, da poco Papa, e oggi è impegnato in una campagna che ha fatto parecchio rumore in città contro Joseph Ratzinger. Il giornale circola assiduamente tra i militanti delle tre sezioni comuniste nelle aree popolari e operaie della città, Porto, Shanghai e Corea. «Liberazione ha fatto bene a fare quella copertina sul Papa e Khomeini, almeno qualcuno che non s'inginocchia all'altare è rimasto», dice una giovane attivista all'ingresso della sezione Corea di Rifondazione. Nelle battaglie dei portuali rossi, che si autodefiniscono «bordighiani» in ricordo della scissione del '21, l'anticlericalismo, spiega il loro capo Scumaci, è sempre stato declinato assieme all'opposizione alla presenza americana nel Porto. Un anticlericalismo ostentato con canzoni popolari, satira giornalistica, anche goliardate escogitate contro i preti locali. E sono in molti - osservando amari la sinistra ai piedi dell'altare - a pensarla come Alessandro Trotta, segretario della federazione locale: «La conversione di Fassino non ci ha neanche deluso, magari la Madonna ora aiuta anche noi».

questione cattolica
Repubblica 28.9.05

I convertiti della sinistra
di Miriam Mafai

ESSERE e dichiararsi laici non è di moda, non è un buon biglietto da visita, oggi in Italia. Anzi, il termine «laico» sembra ormai in disuso, sostituito dal termine «laicista» che in verità non so bene cosa voglia dire, ma so per certo che viene pronunciato con tono critico e dispregiativo.
Dunque, i laici non sono di moda, non solo nella destra e nemmeno a sinistra, nemmeno nella sinistra estrema, visto che Bertinotti a chi gli domandava se potesse definirsi ateo rispondeva prudente: «Se me lo avessero chiesto a venti oppure a trent´anni, avrei risposto sì, senza esitazione. Oggi eviterei risposte così definitive». Altrettanto cauti molti dirigenti dei Ds. Non parlo, naturalmente, di quelli esplicitamente e notoriamente cattolici, da Livia Turco a Giulia Rodano a Giorgio Tonini, tanto per citarne alcuni Parlo di uomini di altra cultura e provenienza.
«Credo in Dio, ho studiato dai gesuiti e sono cattolico da sempre» ha dichiarato Piero Fassino. Anche una laica o «laicista» come la sottoscritta non ha motivo di dubitare di questa dichiarazione. E ho troppo rispetto per il segretario del Ds per giudicare la sua dichiarazione strumentale, una sorta di captatio benevolentia nei confronti del cardinal Ruini e delle gerarchie vaticane. Non lo credo. Sarebbe oltre tutto un tentativo destinato all´insuccesso.
E lo ha confermato ieri il segretario della Cei, mons. Giuseppe Betori, che, tornando sul contestato argomento delle unioni di fatto, ha ribadito che sarebbe «assolutamente inaccettabile un eventuale loro riconoscimento giuridico»; e ha rivendicato il pieno diritto della Chiesa a «intervenire su tutti i temi di rilevanza morale, come la vita umana, la famiglia, la giustizia e la solidarietà». E dopo avere «bacchettato» i parlamentari che si sono permessi di criticare queste posizioni, il segretario della Cei ha orgogliosamente dichiarato che «la Chiesa non si lascerà certo intimidire e non verrà mai meno, nell´esercizio del discernimento evangelico e della carità pastorale al suo dovere di parlare in modo forte e chiaro per illuminare i credenti e tutti gli uomini di buona volontà»
Di qui insomma non si passa. Il cardinal Ruini non modificherà la sua posizione sul tema delle unioni di fatto o della legge 40 sulla fecondazione assistita solo perché Piero Fassino è, e si dichiara pubblicamente, cattolico. Anzi lo invita paternamente a «farsi illuminare» in quanto credente. Il cardinal Ruini fa politica: definisce delle proposte, indica delle soluzioni legislative, in tema di morale (ma anche in tema di intercettazioni telefoniche che non è propriamente un problema etico). E gli è del tutto indifferente quali siano gli orientamenti spirituali dei suoi interlocutori, siano essi cattolici o laici, regolarmente coniugati o adulteri, frequentino o meno la messa domenicale, si confessino o meno con il loro parroco. Il cardinal Ruini è uomo di Stato. Vuole raggiungere i suoi obiettivi o, se del caso, ridurre il danno. Non farà sconti all´on. Fassino solo perché questi si dichiara cattolico da sempre. Come non ha fatto sconti del resto, nel corso della campagna referendaria a un cattolico di più antica e provata fede come Romano Prodi, cercando e trovando invece un interlocutore affidabile in un cattolico di più recente acquisizione come Francesco Rutelli.
Del resto, la storia della Prima Repubblica è segnata da un continuo intrecciarsi delle posizioni, delle polemiche e dei contrasti tra laici e cattolici. Vicende che hanno visto il successo ora degli uni ora degli altri. Ricordo soltanto che il compromesso più importante raggiunto, nell´ormai lontanissimo 1947 tra laici e cattolici, fu l´introduzione nella nostra Costituzione dell´art.7 che afferma: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi». Il compromesso, a salvaguardia come si disse allora della pace religiosa del Paese, fu opera di un laico di stretta osservanza, come Palmiro Togliatti (che volle la introduzione nell´articolo del primo capoverso) e di un cattolico di altrettanto stretta osservanza come Alcide De Gasperi. Ed altri compromessi vennero tentati, nel corso degli anni, con maggiore o minore successo, anche in materia di libertà religiosa, divorzio, aborto e diritto di famiglia, senza che nessuno, tra gli esponenti della sinistra si definisse «cattolico».
E ancora, si pensi al paradosso inglese, un Paese nel quale sia il leader di oggi, Tony Blair, sia quello che aspira alla successione, Gordon Brown, si dichiarano e sono profondamente religiosi e praticanti. Ebbene, l´Inghilterra è anche il Paese della pecora Dolly e della prima bambina in provetta, il Paese all´avanguardia nella ricerca sulle staminali, dove è lecito l´intervento sugli embrioni e sono consentite la clonazione terapeutica, la fecondazione eterologa e la maternità surrogata; dove, in tema di aborto, vige una legge incredibilmente permissiva, forse eccessivamente permissiva, per non parlare naturalmente della diffusione della pillola RU486 o della cosiddetta «pillola del giorno dopo».
Voglio dire insomma che in un Paese civile non è necessario professarsi cattolico per stipulare accordi con la Chiesa (quando lo si ritenga necessario). Ma, sempre in un Paese civile, un governante cattolico non può pretendere di chiudere la società tutta dentro le strette maglie della morale cattolica, trasformando ogni «peccato» in «reato».
Ed è esattamente questo, mi sembra, il senso della laicità. Ma «laico» ormai in Italia sembra una brutta parola. E infatti, qualcuno nel centrosinistra già protesta contro l´eventuale ingresso nella coalizione di Pannella e Bonino: troppo laici, troppo laici, forse addirittura laicisti...

questione cattolica
il manifesto 28.9.05

Urne cattoliche
di Filippo Gentiloni

Non passa giorno senza che la gerarchia cattolica rinnovi la sua offensiva. Non si sa bene, poi, contro chi si rivolgano i reiterati attacchi, se è vero che, al di là dei pochi contestatori del cardinale Ruini, dalla destra alla sinistra non si sente altro che professioni di fede e di devozione. Professioni più o meno sincere o imbarazzate, comunque espressioni di una battaglia a senso unico. I termini del confronto sono ormai chiari, come ha ripetuto anche ieri la Conferenza Episcopale. Soprattutto il matrimonio, con tutto quello che il matrimonio coinvolge e comporta, dalla sessualità (condanna della pillola) alla famiglia. La gerarchia cattolica continua a ripetere la correttezza dei suoi interventi, sulla base di almeno due presupposti fondamentali, che sarebbero indiscutibili. Il primo: l'unica forma di famiglia è quella che la dottrina cattolica sostiene e che è valida per tutti. La sancisce e la insegna un diritto «naturale» che la chiesa cattolica ha il compito di mantenere e insegnare, anche se non tutti - non ancora! - lo accettano. Da ciò il secondo presupposto: a questo unico matrimonio valido anche gli stati si devono adeguare.

A questa posizione che cosa rispondono i «laici» (ermine da adoperarsi con molte virgolette)? I «laici» che non vogliono essere considerati «laicisti» costituiscono ormai una popolazione piuttosto ridotta, anche se sempre molto preziosa. La risposta è ben nota: la gerarchia ha il pieno diritto di diffondere il suo insegnamento, di dire, cioè, la sua dottrina ai suoi fedeli. Ma non può pretendere di imporla anche al di là del suo recinto, tanto meno pretendere che a essa si adeguino gli stati, anche se a maggioranza cattolici.

Posizioni, dunque, piuttosto chiare che, però, non impediscono un dibattito anche aspro. Come mai? Non è difficile rispondere, ricordando che a queste posizioni dottrinali - religiose, etiche - si uniscono posizioni politiche, con collegamenti che entrano a vele spiegate nel mondo del potere. Un mondo nel quale non è in gioco tanto la verità quanto il successo elettorale.

Non è un caso, infatti, se le pretese a dir poco discutibili della gerarchia sono apprezzate quasi senza eccezioni dal centro destra: uno schieramento a favore si pensa che significhi un maggior successo elettorale. Anche a prescindere dalla verità e dai comportamenti di ciascuno.

Di altro segno l'atteggiamento delle forze di centrosinistra. Qui l'imbarazzo è grave. Da una parte si riconosce l'equivoco sul quale gioca la gerarchia cattolica, ma, dall'altra, si teme lo scontro: si è ancora convinti che un contrasto sui temi religiosi ed etici comporterebbe una diminuzione di voti.

Un imbarazzo che la sinistra si trascina da tempo, nonostante le strepitose vittorie sui referendum del divorzio e dell'aborto. Forse la recente sconfitta nel referendum sulla procreazione assistita ha rafforzato quegli antichi timori. Né ci si rende conto del fatto che ormai, da anni, il cattolicesimo italiano non rappresenta una realtà compatta e univoca, tutt'altro. La sinistra dovrebbe conoscerne meglio la complessità e anche le contraddizioni.

Chissà che le attuali pretese della gerarchia non siano da leggersi proprio come un tentativo di ricompattamento, come l'affermazione di una presenza visibile e importante? Come una reazione a quel silenzio a cui la gerarchia cattolica era stata costretta dalla fine della Democrazia cristiana.

Piero il Pio
La Stampa 28.9.05

ALL’ISTITUTO SOCIALE DI TORINO COSÌ LO RICORDANO I RELIGIOSI CHE LO HANNO FORMATO
I gesuiti: Fassino? Era un lungagnone giudizioso
di Giovanna Favro

TORINO All’Istituto Sociale retto a Torino dai padri gesuiti, ieri non s’è parlato che dell’«outing» di Piero Fassino, che s’è detto credente in Dio anche per essere stato allievo del «Sociale» alle medie e al liceo. Se nei collegi dei gesuiti di Milano e Livorno hanno studiato persone come Mario Monti e Carlo Azeglio Ciampi, quella di Torino è la stessa scuola in cui sono stati allievi molti volti noti, da Giovanni Conso a Mario Soldati, da Pier Giorgio Frassati al cardinale Carlo Maria Martini. E di quel «lungagnone» divenuto il leader dei Ds, i professori più anziani si ricordano bene. Per loro, Fassino è «un ragazzo» che negli anni è tornato spesso alla sua vecchia scuola, e che «s’è presentato in questi giorni al Cottolengo a trovare un suo ex professore ammalato, padre Piero Buschini, con cui ha mantenuto un rapporto di profonda amicizia e di stima». Un ragazzo che da sempre, nella comunità dei gesuiti, fa anche alzare più d’un sopracciglio. Ad alcuni padri, almeno. Perché è vero che si tratta, per tutti, di un ex allievo per bene ed illustre, ma è anche vero che, per un sacerdote, aver formato un uomo che, credente o no, non frequenta la Chiesa, e che per di più è il capo dei Ds, qualche interrogativo lo solleva.
Non è faccenda superficiale, da risolvere alla Peppone e Don Camillo, ma è questione di domande che si pone chi, tra i gesuiti, ha per missione l’educazione. Il padre rettore del «Sociale», Piero Granzino, non era a Torino negli anni di Fassino, ma non nasconde che tra i gesuiti, quell’ex allievo, «per alcuni è un fiore all’occhiello, perché ha imparato nelle nostre aule lo spirito critico, il senso della giustizia e del rispetto della dignità umana». Per altri è invece un po’ un tormento. «Lungi dal giudicare, si domandano: i cristiani sono il sale della terra, la luce del mondo, il lievito che fermenta la società. Ma se la vita di fede è ridotta ad un credo individuale, senza l’aspetto della testimonianza, che fede è?»
Se alcuni padri rilevano come un’assurdità che venga ancora trattato come uno scoop il dirsi credente da parte di militanti di sinistra, altri raccontano semplicemente il Fassino studente. Padre Luciano Viano, per tanti anni economo dell’Istituto, lo ricorda «nei soggiorni estivi a Clavière. Ho ancora impresso in mente anche suo papà, che era stato partigiano e lo seguiva molto da vicino. Era un bravo ragazzino, tutt’altro che una testa vuota. Era serio, riflessivo e giudizioso. Lo ricordo pure quando organizzava con il padre Morra, anche dopo la maturità, i dibattiti del cineforum. Gli dò del tu anche ora, quando passa a salutarci».
«Io vado molto orgoglioso di Piero - dice Franco Guerello, ex professore di Fassino al liceo, oggi rettore dell’Istituto Pontano di Napoli -. Sapeva reagire con intelligenza agli stimoli dei professori». E il fatto che sia il leader dei Ds? «Benissimo. Anni fa organizzai un incontro con ex allievi entrati in politica. Militavano in partiti diversi, e c’era anche lui. Avevano in comune l’impegno nella società. Sarebbe un fallimento aver formato persone che se ne infischiano del prossimo, che hanno perduto gli ideali che abbiamo insegnato. Uno dei principi della pedagogia gesuitica è che ciascun allievo riesca a dare il meglio di sé. I gesuiti possono andar fieri di non aver forzato nessuno, ma di aver trasmesso valori come l’impegno per gli altri. Se poi uno è anche cattolico e praticante, meglio. Ma nessuno giudichi il rapporto con Dio di chicchessia. Sant’Agostino diceva: “Ama il prossimo, e in fondo al tuo cuore troverai Dio”». Di diverso tono la riflessione di padre Giuseppe Giordano: «Sono lieto delle dichiarazioni dell'onorevole Fassino circa la sua fede, come pure delle ripetute espressioni di benevolenza sui suoi educatori gesuiti. Che si tratti della fede in Gesù Cristo lo si può supporre, dato il riferimento all'Istituto Sociale. Sarebbe interessante approfondire in un dialogo con lui come attuare la fede nella concretezza della vita sia nella Chiesa sia nelle scelte del mondo».

Piero il Pio
Corriere della Sera 28.9.05

D’Alema anti-Cei, Fassino credente: sull’Unità la doppia linea ds
di Maria Teresa Meli

ROMA - «D’Alema: Ruini ha torto», l’ Unità di ieri titolava così, in prima pagina, un’intervista al presidente ds. Sotto, un altro titolo e un’altra intervista, quella del segretario a Radiodue: «Fassino, ho fede, sono cattolico». Se malizia v’era, nella collocazione giornalistica delle due esternazioni, sarà stata senz’altro involontaria. È indubbio, però, che tra D’Alema e Fassino non vi è quella che con un eufemismo si definirebbe "una perfetta identità di vedute". Era già accaduto. In agosto, su Israele, con il segretario che in un’intervista al Corriere della Sera elogiava il «coraggio» di Sharon, e il presidente che restava fermo sulle classiche posizioni filo-Olp della sinistra. Questa volta, invece, è la Chiesa a dividere i due. Fassino è attento a non rompere i rapporti con la Cei, arrivando a confessarsi cattolico da (quasi) sempre (del resto, raccontano che, dopo la marcia della pace, abbia pregato con i frati di Assisi). D’Alema, al contrario, è scatenato contro il cardinale Ruini. Certo, anche l’ex premier non condivide i fischi, come spiega all’ Unità . Ma adduce una motivazione diversa da quella di Fassino. Per il segretario in «democrazia i fischi non sono un argomento». Per D’Alema, invece, sono «controproducenti» perché «servono a far apparire» Ruini «come una vittima». Insomma, per l’ex premier si tratta soltanto di una questione di inopportunità politica.
L’intervista è di un’inusitata durezza. D’Alema sostiene che «in alcune posizioni» della Chiesa «colpisce la mancanza di solidarietà, di rispetto umano», e «persino la mancanza di carità verso gli altri». Ed è un’implicita replica a D’Alema quella di Fassino che, a Sky, dichiara: «Sui temi che investono l’etica non si può ignorare cosa pensa la Chiesa». L’Unione, dunque, non può non avere attenzione «per la Cei e per il suo presidente che rappresentano una grande realtà del Paese». Una netta presa di distanza dalle dichiarazioni del presidente ds che erano state lette con preoccupazione Oltretevere. Ma questa posizione di D’Alema non è un’assoluta novità. Raccontano alcuni esponenti ds che hanno buoni rapporti con il Vaticano che la ruggine tra il presidente della Quercia e Ruini dati dai tempi in cui D’Alema sedeva a Palazzo Chigi. Dicono che Fassino si sia speso in questi ultimi mesi in una sorta di mediazione, ma che a nulla sia valsa l’opera del segretario della Quercia.
In un crescendo di attacchi, D’Alema ha continuato a prendere di mira il presidente della Cei. In una recente intervista a Repubblica l’ex premier non risparmiava frecciate al "suo avversario". «Forse - affermava - il fatto che l’Italia sia ultima nella Ue sugli aiuti alla cooperazione meriterebbe dalla Chiesa la stessa attenzione che il presidente della Cei ha dedicato al tema delle intercettazioni telefoniche». Per non dire degli attacchi che D’Alema ha rivolto a Ruini durante e dopo la campagna elettorale per i referendum sulla fecondazione assistita: «I vescovi pensino ai valori e non ai trucchi», «sui referendum c’è stata una presenza pesante e sgradevole della Chiesa». Poi, più di recente, sui Pacs, mentre Fassino ha evitato lo scontro con Ruini, D’Alema invece ha sparato contro la Cei che «non è la Corte costituzionale». Eppure non è che il presidente ds non abbia intessuto rapporti con il Vaticano. Tre anni fa era a San Pietro per la beatificazione del fondatore dell’Opus Dei Escrivà de Balaguer. E all’epoca la sinistra, i Ds e l’ Unità stessa gli si scagliarono contro. Con Ruini, invece, i rapporti sono pessimi. E c’è chi, nei Ds, dice che non si tratti solo di vecchie ruggini, ma che vi siano stringenti motivi d’attualità politica. Al presidente della Quercia non piacerebbe l’appoggio che Ruini sta dando a Casini, e a quella politica centrista (dell’una e dell’altra sponda dei poli) che D’Alema vede come un «pericolo» per i progetti del suo partito.

questione cattolica
l'Unità 28.9.05

A sinistra del signore
Questione cattolica
le carte in regola della sinistra
di Bruno Gravagnuolo

UN RAPPORTO PROFONDO tra i due «mondi» che parte da Mazzini e Turati, fu posto con rigore da Gramsci e fu perfezionato nel segno del realismo da Togliatti. Ecco perché le polemiche di questi giorni appaiono come armi spuntate

Di tutte le accuse che di questi tempi il centrodestra rivolge al centrosinistra, e in particolare alla sinistra diessina e non, ce ne è una particolarmente grottesca e strumentale. Quella di «laicismo ottocentesco e intollerante», e di materialismo ateo e inconfessato. L’accusa è una pistola ad acqua scarica o, forse, anche carica. Ma che colpisce proprio quelli che la impugnano.
Come non sorridere infatti, quando certi discorsi «teocons» risuonano sulla bocca di chi, come Marcello Pera, fu fierissimo mangiapreti e tifoso della fecondazione assistita, sino a qualche anno fa. O di chi, come Ferdinando Adornato, fu negli anni 80 supporter di Nietzsche e Agnes Heller e all’insegna delle ideologie libertarie del corpo, mentre oggi deplora «l’edonismo di massa» e proclama il ritorno all’ordine «liberale e cristiano» d’Occidente. Oppure ancora quando le intemerate provengono da sacerdoti cattolici, già ex conciliaristi e dialoganti con la «potenza mondana» del Pci, dopo essere stati tradizionalisti all’ombra del Cardinal Siri e poi nella penultima fase socialilisti craxiani, ma giusto un attimo prima di avvertire in Silvio Berlusconi l’alito dello Spirito Santo. Lasciamo stare l’on Giro di Forza Italia, che nella dichiarazione di Fassino a Radio 2 sul suo essere credente ravvisa il tentativo «di distogliere l’attenzione dai fischi a Ruini». E il solito Gasparri, che blatera di incoerenza fassiniana rispetto alle politiche famigliari. Piccole saramucce condite di ignoranza che abbassano il tema del rapporto politica-religione a misera contumelia elettorale. Delle quali appunto si può sorridere, in una con le bordate teologiche degli ex sopracitati. Loro sì «redenti» in quattro e quattr’otto, senza tappe intermedie o rendiconti. Nondimeno, di là di queste miserie, c’è un grande tema che è giusto riesumare e mettere a fuoco. Per sottrarlo alla propaganda di destra e meglio intendere la sostanza storica di un rapporto profondo che spiega anche certi aspetti della sinistra di oggi: il rapporto tra sinistra e mondo cattolico.
Si potrebbe partire addirittura dalla sinistra mazziniana. Anticlericale per necessità, laddove la Chiesa di Pio IX era ancora un fermo baluardo contro l’Unità d’Italia. Sinistra avversa al Vaticano ma non certo anticristiana, intrisa com’era di valenze cristiane e solidali, all’insegna del primato comopolita dell’Italia. O viceversa dal primo socialismo, quello del mazziniano Turati, di certo radicaleggiante e positivista, ma nel quale i busti di Marx, Garibaldi e Cristo giungevano a confondersi nell’iconografia popolare. E tuttavia il primo a porre il tema, con rigore e apertura di orizzonti alla coscienza del movimento operaio, fu Antonio Gramsci. «Quistione vaticana», scriveva nei Quaderni del Carcere in pieni anni trenta, alludendo a tante cose con quella formula. Intanto al peso del «temporalismo» nella mancata formazione dello stato unitario, e fin dal medioevo, quando la Chiesa sventa il tentativo di Federico II di Svevia, più monarca nazionale che imperatore per Gramsci. E ci riesce grazie proprio al pluralismo cittadino, e alla nobiltà, refrattari ad un possibile stato assoluto. Ma più ancora Gramsci indaga il ruolo capillare della Chiesa nel forgiare lo stile degli «intellettuali»: cortigiani e localistici, da un lato. Cosmopoliti e universalisti dall’altro, senza legami organici con una società civile nazionale poco avanzante e poco laica.
Non c’è «damnatio» nel pensatore sardo, ma considerazione attenta del valore «strutturante» della Chiesa cattolica. Dell’egemonia mediatrice che essa esercita tra umili e potenti. E la sua è una riflessione sull’inevitabilità di un raccordo con il «senso comune» cattolico cristallizato nei secoli. Con quel cemento di mentalità e istituzioni di massa, rafforzato dalla Controriforma. Perché questi pensieri? Per scongelare in avanti quel «deposito», in direzione di una «riforma morale e intellettuale» che metta a frutto, laicizzandola, l’eredità cattolica, così pervasiva e inaggirabile.
Dunque nessun anticlericalismo, già in Gramsci, Bensì attenzione spasmodica e niente affato strumentale o ateistica, ostile all’ateismo di stato proclamato dal bolscevico Bucharin nel suo Abc marxista.
E però un dato è certo. Il vero salto di qualità sui cattolici, reca impresso un nome: Togliatti. Salto di qualità nel segno del realismo? Sì, ma con dentro molto di più. Ecco la differenza rispetto a Gramsci: non si tratta tanto di incorporare i valori cattolici, svolgendoli in laicità. No. Togliatti riconosce intanto l’autonomia della sfera religiosa, quasi come «categoria» permanente, che non deperisce in quanto «oppio dei popoli» nello stato disalienato comunista (e lo stesso vale per i valori nazionali). Poi, tra infinite polemiche, riconosce uno statuto costituzionale alla religione cattolica, tramite l’inserimento del Concordato nell’art. 7, che pure ribadisce la distinzione tra Stato e Chiesa. Una mossa controversa, che apre molti problemi ancora irrisolti e cede al cattolicesimo una «primazia» discutibile. Ma che evita una guerra religiosa, poco prima dell’esplosione delle madonne pellegrine. E che schiude la via ad una penetrazione del movimento operaio nel tessuto di una società arretrata, dove malgrado la scomunica di Pio XII, comunismo e cattolicesimo non saranno mai un ossimoro, ma un dato della cultura di massa. Via libera quindi anche alle speranze dei cattolici-comunisti, che già prima del crollo del fascismo avevano cominciato ad accorrere sotto le bandiere del Pci. i Rodano, Barca, Ossicini. E a Torino, per poi rientrare all’ombra del tradizionalismo, Balbo e Del Noce. Poi Melloni, e Chiarante, più in là. L’operazione ha dei costi laici, ma include vantaggi. Neutralizza in parte l’integralismo, unifica la coscienza di massa e aiuta indirettamente il collateralismo laico di De Gasperi, impegnato a sottrarre la Dc dall’abbraccio della gerarchia, per fare un partito di centro attento alle istanze sociali e democratiche.Togliatti farà di più. Trova altri due punti di incontro forte coi cattolici: la pace e i «valori». Nel giro di dieci anni, tra il 1953 e il 1963, chiarisce che la prima va ben al di là della lotta di classe, nel mondo dominato dallo spettro nucleare. E che, quanto ai secondi, quelli cristiani sono naturaliter inclinati verso la giustizia e la dignità umana, e non c’è «marxismo-leninismo» che tenga. Ed è la trasposizione politica coerente di qualcosa che già la Carta costituzionale racchiude: un compromesso tra valori socialisti, cattolici e liberali.
Gli stessi che di fatto hanno animato la Resistenza. La storia andrà avanti: il Concilio, le comunità di base. E il dialogo continuo tra marxismo e cristianesimo. Anche nei momenti di massima frizione, come sul divorzio, la linea del Pci è quella di far evolvere i mondi contrapposti, verso una sintesi plausibile plurale di valori. Senza guerre di civiltà o primato di ideologie di stato. Nel segno di un incontro ormai consolidato sui terreni della pace, della lotta alla povertà, della solidarietà e della libertà di coscienza. I paletti, ieri come oggi e dopo la crisi delle «appartenenze»? Rifiuto del confessionalismo, e lotta al dogma trapiantato nello stato. E poi rispetto della libertà e della dignità di tutti, e tutela di tutti gli «stili di vita». E per un mondo dove non ci si stupisca più di tanto se un leader di sinistra dichiara di essere credente. Ma dove nemmeno il contrario faccia scandalo.

Peter Hawking
Corriere della Sera 28.9.05

Hawking boccia le donne in matematica e fisica
«Le apparizioni nei Simpson sono state molto divertenti» «Chi avrei voluto incontrare? Meglio Marilyn di Newton»
di Emma Brockes

L’inizio con Stephen Hawking non è dei migliori: le domande che gli invio prima dell’intervista mi vengono restituite il giorno successivo: «Voglio domande più brevi, mirate e numerate, non un flusso di coscienza». A un uomo al quale occorrono 20 minuti per esprimere un concetto e che, da quando aveva 21 anni, ha i giorni contati, è consentito essere brusco. A 63 anni, Hawking ha già superato le sue aspettative di vita di 40 anni. La notorietà è dovuta tanto alla malattia quanto alla genialità e Hawking cerca di fare buon viso a cattivo gioco: ha doppiato una versione a cartoon di se stesso in un episodio dei Simpsons e gli è sembrato «molto divertente». La prima cosa che si nota, entrando nel suo studio nel Centro di ricerche matematiche da 60 milioni di sterline, è il vapore bianco che sbuffa da un deumidificatore. Hawking è seduto al centro della stanza assistito da un’infermiera. La sua mobilità è così limitata che può usare solo un dito per agire sul suo computer. Altrimenti, si deve affidare alla guancia destra, su cui è puntato un raggio a infrarossi, e che lui contrae per muovere un cursore del dizionario, completando una intera frase prima di inviarla al sintetizzatore vocale.
Gli chiedo se il suo ultimo libro, La grande storia del tempo , contenga materiale nuovo sulla teoria delle stringhe, oppure sia una versione semplificata. Hawking mi guarda, poi guarda il suo schermo e fa una smorfia. «Il mio primo successo editoriale, Breve storia del tempo , ha destato un grande interesse, ma molti lo hanno trovato difficile. Quindi ho deciso di scrivere una nuova versione più facile. Il risultato è un libro leggermente più breve, ma più fluido, più accessibile. Mi auguro che le persone che hanno avuto difficoltà con Breve storia del tempo proveranno a leggere La grande storia del tempo : resteranno sorprese». Sta anche lavorando a un libro per bambini sulla relatività assieme a sua figlia Lucy. Nel passato gli è stato chiesto come ha fatto a diventare padre di tre figli e lui ha risposto: «La malattia colpisce solo i muscoli volontari».
Vorrei sapere cosa pensa della carenza di scienziati di sesso femminile. «Nel passato c’è stata una forte discriminazione contro la partecipazione femminile alla ricerca scientifica. Quell’epoca è finita e, anche se ci sono ancora effetti residui, non sono sufficienti a giustificare il numero limitato di donne, soprattutto nel campo della matematica e della fisica». Contrazione, segnale acustico. «È generalmente accettato che le donne sono migliori degli uomini nelle lingue, nelle relazioni interpersonali e nello svolgere più attività contemporaneamente, ma che sono meno abili a leggere le cartine e hanno una coscienza spaziale meno sviluppata. Pertanto non è irragionevole supporre che le donne possono essere meno capaci in matematica e in fisica. Non è politicamente corretto esprimere tali affermazioni e il presidente di Harvard ha avuto non pochi problemi quando lo ha fatto. Ma non si può negare che ci sono delle differenze tra donne e uomini. Naturalmente, queste differenze sono presenti solo nelle medie. I valori mediani presentano ampie variazioni».
Gli vengono mai attacchi d’ira a causa della sua immobilità? «Arrabbiarsi per la mia condizione di disabile è una perdita di tempo. Nella vita bisogna battersi e io non ho raccolto cattivi risultati. La gente non ha tempo per te se sei sempre arrabbiato o se ti lamenti in continuazione».
Mi guardo intorno. Sul davanzale della finestra ci sono fotografie incorniciate che ripercorrono la sua vita. Ci sono foto di una delle sue figlie con il proprio bambino. Sul muro ci sono foto di Marilyn Monroe, una delle quali è stata manipolata in modo digitale per rappresentare Hawking in primo piano. Vedo un biglietto su cui è stampato lo slogan: «Sì, sono il centro dell’universo». Gli chiedo: «Se potesse tornare indietro nel tempo, chi incontrerebbe più volentieri, Marilyn Monroe o Isaac Newton?» e dopo 10 minuti risponde con una voce che fa sembrare profonda anche l’affermazione più insulsa: «Marilyn. Pare che Newton avesse un pessimo carattere».

The Guardian (Traduzione a cura del Gruppo Logos)

Edoardo Boncinelli
Il Messaggero 29.9.05

Saghe narrative
Ormai ha raccolto l’eredità dei racconti dei grandi esploratori. E furoreggia con le sue “storie”: da quella della relatività alla scoperta del Dna
La scienza, che favola
di Edoardo Boncinelli

DATA la molteplicità e la ricchezza delle scoperte che si fanno nei più disparati campi del sapere, il resoconto scientifico è una forma di letteratura in costante sviluppo. Ha raccolto l’eredità dei racconti di viaggio dei grandi esploratori e assunto i toni della saga narrativa.
Raccontare storie è una delle prerogative più squisitamente umane, che si tratti di conversazione, di novellistica, di mitologia, di cronaca o di storia vera e propria. Nella lingua inglese esistono due vocaboli diversi per designare una storia raccontata ( story ) e la storia ufficiale degli eventi ( history ). All’origine dei diversi termini c’è però la nozione comune e in un certo senso fondante di resoconto di ciò che si è visto di persona, in greco historìes apòdexis , l’espressione con la quale iniziano Le storie di Erodoto, il primo vero storico della storia, che non a caso è allo stesso tempo anche un grande raccontatore di fatti e di prodigi. L’anima del racconto è il filo conduttore. E’ il filo conduttore che distingue una storia da una successione più o meno ordinata di eventi ed è il filo conduttore quello che ci resta impresso e che ricordiamo.
Su questo tema sono stati condotti interessantissimi studi nel quadro del programma di ricerca delle cosiddette scienze cognitive, quel complesso di discipline che tentano di porre lo studio del cervello e della mente su solide basi scientifiche. Si è andati per esempio a raccontare alcune brevi storie a vari gruppi di individui. Alcune di queste avevano un filo conduttore logico e facilmente afferrabile, altre no. Pur essendo della stessa lunghezza e complessità e coinvolgendo lo stesso numero di personaggi delle prime, questo secondo tipo di storie mancava di una logica narrativa: erano storie, per intendersi, senza capo né coda. Se dopo qualche tempo si tornava dalle stesse persone e si facevano domande per valutare che cosa era loro rimasto delle storie che erano state raccontate settimane o mesi addietro, si osservava che quelle che possedevano un filo logico venivano ricordate molto meglio di quelle che non lo avevano. Molte di quelle di questo secondo tipo venivano inoltre ricordate come dotate di un filo conduttore surrogato, che non possedevano affatto all’origine e che era stato aggiunto nella loro ricostruzione. Che cosa vuol dire tutto questo? Che in fase di registrazione, e probabilmente ancor più nella fase di memorizzazione, si tenta disperatamente di estrarre un filo conduttore da una storia e i fili conduttori devono appartenere a uno dei possibili frames narrativi presenti nella nostra mente fin dalla nascita o almeno fino dai primissimi mesi di vita. Possiamo tradurre frames come canovacci, trame o cornici narrative, ma il concetto è in ogni caso lo stesso: per essere ricordato bene un racconto deve avere una trama facilmente individuabile. Meglio se ha anche una cosiddetta morale, che altro non è che il riassunto del riassunto di una storia, cioè il suo significato riferibile.
Interessante a questo proposito è quello che è successo negli ultimi anni per quanto riguarda quella forma specialissima di racconto che è il contenuto di una pubblicazione scientifica. Un tempo le scoperte, o quelle che si ritenevano tali, venivano comunicate attraverso i libri, più o meno monografici, o tramite conferenze tenute nelle sedute dei vari consessi accademici. Con il moltiplicarsi degli studi e con l’accelerazione del processo di diffusione dell’informazione a tutti i livelli, sono sorte le riviste scientifiche che pubblicano in continuazione un gran numero di articoli scientifici di tutti i tipi. Questi articoli sono in genere preceduti o introdotti da un riassunto o abstract . Possiedono ovviamente anche un titolo. Negli ultimi due decenni è radicalmente cambiata la tipologia dei titoli. Prima erano vaghi e allusivi, tipo: “Della presenza della sostanza X nella pianta Y” oppure “Studio della sostanza X nella pianta Y”. Sempre più spesso negli ultimi anni il titolo è divenuto un’asserzione: “La sostanza X è presente nella pianta Y e vi assolve la funzione Z”. Si tratta insomma sempre più di frequente di una proposizione assertoria che comunica, pubblicizzandolo, il riassunto del riassunto del testo.
Abbiamo fatto nelle righe precedenti due brevi racconti scientifici: la scoperta dell’esistenza nella nostra mente dei frames narrativi e la storia delle recenti trasformazioni subite dai titoli delle pubblicazioni scientifiche. La scienza è oggi sempre più spesso oggetto di racconti. La cosa appare tutt’altro che fuori luogo data la molteplicità e la ricchezza delle scoperte che si fanno quasi quotidianamente nei più diversi campi del sapere scientifico. Il racconto scientifico ha raccolto l’eredità e il fascino dei racconti di viaggio o di quelli di avventure. In fondo molte delle storie narrate da Erodoto o, successivamente, da Marco Polo avevano nell’intenzione dell’autore lo status di resoconti scientifici. Finita l’epoca dei viaggi e delle esplorazioni in terre lontane, l’uomo si è avventurato nell’esplorazione dei meccanismi che stanno alla base degli eventi del mondo, prima inanimato e poi con sempre maggior frequenza animato. Il racconto del movimento e dei motori, dell’elettromagnetismo, dell’ottica, dell’atomo, della relatività, dei quanti, della cosmologia, dell’evoluzione biologica, della doppia elica del Dna, dello sviluppo delle funzioni cognitive, sono solo alcuni esempi di vere e proprie epopee o saghe narrative di grande respiro e di ineguagliabile fascino.
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Il testo è tratto dalla rivista monografica edita da Progetto Italia Telecom e diretta da Andrea Kerbaker. Il secondo numero, in distribuzione gratuita in questi giorni, è dedicato al tema “Il valore del racconto”.

bullismo
Corriere della Sera 28.9.05

Trenta insegnanti della scuola di borgata Ottavia frequentano lezioni per capire i disagi dei giovani
«Un euro e eviti le botte» Piccoli bulli crescono
Alla media Neruda nasce il corso anti-violenza
di Flavia Fiorentino

Giuliano torna a casa con i capelli tagliuzzati. Luca non fa più merenda perchè ogni giorno gli viene «sequestrata» da un grupetto di ragazzi più grandi. Omar (i nomi sono tutti di fantasia) ha la pelle scura e parla l’italiano con difficoltà. A lui va anche peggio: un euro al giorno per essere lasciato in pace. E poi le bambine, più raffinate, più acute, sberleffano e prendono in giro la compagna con gli occhiali spessi e le treccine rasta. O escludono dal loro club, sempre e senza appello, quelle altre due biondine, «troppo secchione». Sono stati proprio loro, i ragazzi della scuola media Pablo Neruda alla borgata Ottavia sulla Trionfale, a denunciare episodi di prepotenza e dispetti di ogni tipo, piccoli e grandi conflitti quotidiani tra adolescenti. Il problema è «rimbalzato» ai professori. Che hanno chiesto un aiuto, una chiave per interpretare quel disagio crescente. E da qualche giorno, trenta di loro sono tornati sui banchi per seguire un corso contro il bullismo. «Anche se i regolamenti lo prevedono solo per le superiori noi, proprio per responsabilizzare i ragazzi, abbiamo fatto le elezioni dei rappresentanti di classe e d’istituto con tanto di schede e seggi - racconta l’assistente del preside Saveria Balbi - e in quell’occasione è venuto fuori con insistenza questo problema della prepotenza e delle angherie che, se si perpetrano nel tempo con ruoli ben definiti tra prevaricatore e vittima, assumono proprio le caratteristiche del bullismo. Un fenomeno dove l’età si sta continuamente abbassando con ragazzini che arrivano dalle elementari già agguerriti. Molti nostri insegnanti ora sono "in formazione" - aggiunge Balbi - e frequentano un corso organizzato in collaborazione con l’università "La Sapienza" per migliorare le relazioni sociali e affettive tra gli studenti».
Ma l’iniziativa, seppur apprezzata «come sforzo per aprire un dialogo su temi comunque difficili», sottolinea Antonio Politi, insegnante di sostegno, «se resta un episodio isolato servirà a poco. Qui mancano le strutture, non ci sono punti di aggregazione, campi sportivi o per attività ludiche. Anche la parrocchia di Palmarola, un po’ più avanti, è fatiscente. I ragazzi si "buttano" nel centro commerciale quà vicino e non fanno niente tutto il giorno. Bisognerebbe creare uno "sportello d’ascolto" permanente per insegnanti, genitori e alunni».
Qualcuno, comunque, riesce a cavarsela per carisma personale senza frequentare corsi. «Io non posso proprio lamentarmi della condotta dei ragazzi - spiega la prof di Italiano Ester Cipollone, da quattro anni alla Pablo Neruda - si vestono bene, sono educati, quando entro in classe si alzano in piedi. Con loro bisogna mostrarsi fermi e decisi ma allo stesso tempo cercare di capire cosa gli passa per la testa. Qui ci sono problemi d’intolleranza verso il diverso, gli stranieri. Lavoriamo su questo attraverso la lettura e il confronto tra culture anche lontane. La scuola però può intervenire fino a un certo punto. Qui la maggioranza dei ragazzi, anche di 11 o 12 anni, alle 13.30 va a casa, dove non trova nessuno. Si riscaldano tutto al microonde e poi scendono in strada. Fino a sera».
In una recente indagine sul bullismo commissionata dalla Provincia a «La II Università di Napoli» su un campione di 13 scuole romane elementari e medie, si evince che il 51% del campione (1.296 giovani dal centro alla periferia) è stato coinvolto in episodi di prepotenza e conflitto come bullo, vittima o entrambi i ruoli «almeno qualche volta». «Un fenomeno diffuso in quartieri di matrice socioeconomica anche molto diversa - precisa Costanza Baldry, specialista in "Psiclogia sociale" e autrice della ricerca - cambia solo il modo di esercitare la violenza. Più sottile, psicologica, nelle "scuole-bene" : si prende in giro chi non ha la maglietta in tiro, gli si fa trovare le pagine imbrattate di colla o la chewingum sotto il banco. In periferia invece il conflitto è direttamente fisico: dalla pacca sulla spalla al pugno vero e proprio. Le scuole femminili, per le ragazze sono molto più a rischio: non essendoci il maschio, sono loro ad assumere atteggiamenti a volte virili e violenti. Qualche anno fa la Regione, sempre insieme a "La Sapienza" aveva realizzato un progetto sperimentale per la formazione di "mediatori scolastici" con un ottimo riscontro da parte delle scuole. Poi, l’autonomia ha assorbito tutto e ora l’iniziativa è lasciata alla buona volontà di predsidi e insegnanti».

neuroscienze
Corriere della Sera 28.9.05

Un convegno a Trieste sul rapporto fra il meccanismo cerebrale e il libero arbitrio
Quando il cuore comanda al cervello
La materia è il supporto dello spirito: mondano e religioso
di Claudio Magris

Il Laboratorio interdisciplinare della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste organizza domani e venerdì 30 settembre un convegno sul tema «Neurofisiologia del cervello e libero arbitrio» L’incontro comincerà alle 9.30 di domani presso la sede di Via Beirut 2/4 e vi parteciperanno studiosi come: C. Magris, A. Benini, D. Amati, C. Bassetti, R. Cordeschi, M. De Caro, M. G. Dell'Acqua, S. Fantoni, R. Finzi, P. Greco, R. Iengo, F. Guerra, J. Mehler, S. Nannini, T. Pievani, R. Rumiati, T. Shallice, G. Sturloni e A. Treves

Chesterton, scrittore cattolico rigorosamente ortodosso, ha scritto che le grandi religioni si distinguono dalle pacchiane superstizioni soprattutto per una cosa, ossia per il loro genuino, autentico materialismo. Nessun pensiero forte o meglio nessun pensiero degno di questo nome - di Epicuro come di San Tommaso - può esimersi dal fare i conti a fondo con la materia di cui è costituito il mondo e di cui è intessuta la nostra persona, l’indissolubile unità psicofisica dell’individuo, che la Bibbia chiama «carne» non per opporla retoricamente allo spirito, ma per sottolineare l’inscindibile unità, nella realtà di una persona, di ciò che chiamiamo materia e di ciò che chiamiamo spirito. La nostra cultura è insidiata da due deformazioni settarie, contrapposte ma complementari. Da un lato c’è un riduttivo, falso materialismo che non avrebbe il diritto di usurpare questo nome - il quale, con spocchia tardopositivista, crede che spiegare il meccanismo delle gonadi significhi spoetizzare l’amore e ne sogghigna compiaciuto. Dall’altro lato c’è, altrettanto volgare, un vacuo e fumoso atteggiamento spiritualeggiante ugualmente convinto - per continuare ad usare la stessa metafora - che l’amore venga spoetizzato dalla conoscenza del meccanismo delle gonadi, con la differenza che se ne indigna e si convince che la poesia dell’amore possa venire salvata dall’ignoranza della neurofisiologia.
Materia e spirito sono due facce della medesima medaglia, della persona umana. Quando vediamo una persona cara, si muove qualcosa in noi ed è, grazie a Dio, impossibile - oltre che insensato - distinguere l’elemento cosiddetto spirituale da quello cosiddetto materiale; avvertiamo questa unità nell’espressione che si disegna sul nostro viso o su quello della persona amata, negli sguardi che si illuminano in modo diverso. Quando, molti anni fa, i miei figli incominciavano ad uscire la sera da soli e talvolta tardavano a tornare a casa, io, nella mia ansiosità, dopo una certa ora cominciavo ad essere emotivamente preoccupato e ad avere mal di testa, che mi spariva quando li sentivo aprire la porta ed entrare chiacchierando e ridendo sottovoce; evidentemente l’amore paterno interessava non un’astratta immateriale zona «spirituale», bensì vasi sanguigni, terminazioni nervose, tutta la persona.
Le grandi religioni sanno bene tutto questo; il Cristianesimo, in particolare, consiste nell’incarnazione di Dio, lo spirito per eccellenza che si fa carne e quindi sinapsi, neuroni e tutto il resto. L’angoscia spirituale di Gesù nel Getsemani diventa sudore, sangue rappreso, realtà fisiologica indissolubile da ciò che egli prova nel cuore e che - per il cristiano - è la sostanza stessa della redenzione. Oggi è necessario ripristinare questa consapevolezza, in un clima culturale che rifugge da questa realtà e si rifugia in fumisterie misticheggianti, ciarpame paranormale, miracolismi all’ingrosso e occultismi da baraccone, egualmente avversi alla ragione, alla scienza e al pensiero religioso. C’è poco da sperare in un mondo in cui l’oroscopo tende a sostituire sia il Vangelo sia le leggi della fisica.
Ovviamente pure gli scienziati devono fare la loro parte, liberandosi da ogni spocchia scientista e rendendosi disponibili a rispondere con umiltà e chiarezza anche a domande sbagliate, anziché liquidarle con supponenza e rinchiudersi nel proprio sapere.
La poesia non è meno precisa e rigorosa della scienza: «La bocca mi baciò tutto tremante» è una grandissima espressione poetica ed è un’espressione non certo meno esatta di una descrizione di ciò che avviene quando due persone innamorate si baciano, dei messaggi che corrono tra le mucose delle loro labbra e il loro cervello, i loro pensieri, la loro fede. Il verso dantesco ci dice con precisione tutto questo, anche se lo dice in altro modo e ancor più a fondo, perché lo connette col senso di tutta l’esistenza.
Il Laboratorio interdisciplinare della prestigiosa SISSA di Trieste, che da anni persegue ricerche concrete sui rapporti fra le due - o tre - culture, organizza domani e dopodomani un convegno su «Neurofisiologia del cervello e libero arbitrio». Tra i partecipanti vi sarà anche Arnaldo Benini che, in un suo splendido articolo, accessibile pure ai profani, ha indagato e illustrato cosa avviene nel nostro cervello - e in quale parte e secondo quali processi - quando prendiamo una decisione, quando decidiamo fra un sì e un no. È necessario saperlo, per poter dar ragione a Lutero o a Erasmo nella loro drammatica disputa sul libero arbitrio. L’illustrazione di quei meccanismi non nega affatto la libertà ma anzi la mette in risalto, perché mostra come funziona. La libertà - come la vita - è concreta ed è questa concretezza che si propone di analizzare (nei più diversi campi della fisiologia, della psicologia, della neurologia, dell’etica) il convegno triestino.

Gianni Vattimo
La Stampa 28 Settembre 2005

Ma questa è una chiesa naturaliter di destra
di Gianni Vattimo

Ci scandalizziamo e protestiamo, anche rumorosamente ma legittimamente (libero fischio in libera piazza!) perché il cardinale Ruini fa politica, ma poi diamo ragione (alcuni di noi) a chi ci invita a «non lasciare la Chiesa alla destra». E perché mai non dovremmo lasciargliela? Certo non per motivi religiosi. Anche una credente di fede adamantina come Rosi Bindi non è certo mossa da preoccupazioni religiose quando formula questo invito; vuole evitare, a ragione, che vescovi e parroci spingano i fedeli a votare per la destra. Alle preoccupazioni di questo tipo ci viene voglia di rispondere, evangelicamente, «lasciate che i morti seppelliscano i loro morti»; o almeno, che i sepolcri imbiancati si esercitino nei loro giochi di potere, con i quali la religione, e specificamente il cristianesimo, non ha più niente da spartire.
La Chiesa che dovremmo non lasciare alla destra è ormai come la televisione nella definizione di Norberto Bobbio: è «naturaliter di destra». Non la Chiesa di Cristo, certo, la Chiesa come comunità dei credenti, che guardano con distacco e senso di scandalo anche ai papi «subito santi», ai loro funerali con torme di capi di stato, ai loro irremovibili gerarchi amici di Pinochet, alla loro abitudine di mantenere «in famiglia» i tanti reati di violenza sessuale, nascondendoli alle autorità secolari…
La Chiesa di un papa che va a Colonia, nella patria di Lutero, facendosi precedere dalla promessa dell'indulgenza plenaria per i partecipanti al convegno, anzi al «meeting»; proprio il tema su cui si è consumata la rottura con i protestanti.. E che - i giornali italiani non lo hanno detto, ma così è andata - chiede al governo regionale di Colonia di rinunciare all'uso, comune in Germania, di distribuire gratis preservativi quando c'è un raduno di grandi masse giovanili. Questa Chiesa merita di essere lasciata andare alla sua deriva, almeno se si ascolta, ancora una volta, il Vangelo: chi dà scandalo - come lo dà a tanti credenti in tutto il mondo - farebbe meglio a legarsi una pietra al collo e a gettarsi in mare.
Riuscirebbero a tenerla a galla le associazioni cattoliche ormai ammutolite, a cominciare dalle Acli e dai tanti gruppi di laici impegnati che sembrano rassegnati a occuparsi d'altro, di opere caritative e di assistenza, senza più mettere il naso in una materia, la teologia e la pastorale, che è ormai un affare di pochi vecchi testardamente attaccati ai loro inutili manuali di dogmatica?