venerdì 24 febbraio 2006

una segnalazione di Elena Canali:
http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=61821
vita.it 22.11.2005
Embrioni in adozione: i nodi della polemica
di Sara De Carli (s.decarli@vita.it)
Venerdì la decisione del Cnb: anche donne single possono adottare embrioni. Ed è di nuovo polemica

Venerdì 18 novembre il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) ha approvato il documento sulla adottabilità degli embrioni congelati in stato di abbandono. Due i voti contrari, quelli di Carlo Flamigni e di Mauro Barni. Il documento, "Adozione per la nascita di embrioni crioconservati e residuali derivata da procreazione medicalmente assistita" prevede che potranno adottare embrioni congelati in stato di abbandono anche donne single e coppie non sterili, entrambi soggetti non ammessi alla fecondazione medicalmente assistita dalla legge 40.

“L'adottabilità degli embrioni congelati e in stato di abbandono”, ha spiegato il presidente del comitato nazionale per la Bioetica Francesco D'Agostino, “non è comparabile ad una adozione ordinaria, né ad una fecondazione eterologa e nemmeno ad una gravidanza surrogata. Il principio che guida questa decisione del Cnb”, ha aggiunto, “è l'interesse per alcuni - per altri il diritto - a nascere”. Quanto all'adozione degli embrioni da parte di donne single si tratta di “una soluzione eticamente accettabile, posto che bisognerebbe dare la priorità ad una coppia; ma non possiamo escludere questa evenienza, perché il principio prioritario è la nascita dell'embrione”.

Il testo passato, scritto da D'Agostino e Lorenzo d'Avack, filosofo del diritto, riprende in larga parte le proposte sostenute da Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, per cui il principio primo da tenere fermo è l'interesse a nascere dell'embrione. Il ginecologo Falmigni, che non condivide l'equiparazione dell'embrione a persona, ha abbandonato l'aula. Flamigni spiega che “la probabilita' che un embrione scongelato nasca non supera il 10%”. E sulla sopravvivenza nel tempo degli embrioni crioconservati, Flamigni sottolinea che ad oggi non esistono evidenza scientifiche che indichino alcunché al riguardo. “C'e' un'assoluta mancanza di moderazione tra opinioni diverse da quelle oltranziste cattoliche, non c'e' traccia di atteggiamento laico, ma neppure si prende in considerazione l'opinione di molti cattolici che la pensano diversamente. Tanto da arrivare - conclude - a contraddizioni evidenti. Si arriva a conclusioni per cui anche una vedova puo' adottare un embrione”. Qualche scontento in realtà c'è anche tra i cattolici, per l'equiparazione di sposi e coppie di fatto, e la non esclusione di adattabilità da parte di donne single.

Cinzia Caporale, vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica, nonché presidente del Comitato intergovernativo di Bioetica dell'Unesco, ha dichiarato: “Come donna sono molto felice, perche' per le donne single e' uno spiraglio che si apre e dimostra anche che la bioetica non è statica, ma c'e' un'evoluzione della morale e della bioetica. Questo mi fa pensare che si potra' poi ragionare in modo piu' sereno anche su altri aspetti”. Un punto ancora controverso, ha poi aggiunto la vicepresidente del Cnb, è un passaggio che riguarda l'accertamento dello stato di abbandono. L'adottabilita' per nascita infatti ''potrebbe sottendere un'idea di un “esproprio”, laddove i genitori non vogliano farlo nascere. Su questo punto - ha concluso la vicepresidente - molti colleghi mantengono perplessita' e probabilmente ci saranno chiarimenti in merito”.

Quanto al contrasto fra questo documento e la legge 40 sulla fecondazione assistita, che vieta la fecondazione eterologa, D'Agostino nega. ''La distinzione e' sottile ma sostanziale - spiega D'Agostino - e il Comitato ha dedicato a questa questione un lungo e complesso paragrafo. Non si tratta di fecondazione eterologa, perche' la fecondazione e' gia' avvenuta. Anzi, probabilmente, a suo tempo e' stata omologa, come si registra nella maggior parte dei casi oggi esistenti. Inoltre - aggiunge D'Agostino - e' un'adozione, e dunque i genitori sono ovviamente diversi da quelli naturali. Ma soprattutto e' diversa la motivazione: la coppia sterile mira ad avere un figlio biologico, mentre chi adotta un embrione mette alla luce un embrione gia' vivo ma in stato di abbandono. Semmai si potrebbe parlare di 'gravidanza eterologa'”.

Non appena la notizia è arrivata, dalla Fondazione Policlinico di Milano hanno fatto sapere che sarà pronta ''nel giro di poche settimane'' la cosiddetta 'casa degli embrioni' che l'ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia, aveva pensato per accogliere gli embrioni in sovrannumero frutto degli interventi di fecondazione assistita. Embrioni congelati e ''per ora in fase di inventario'' presso l'Istituto superiore di sanita' (Iss). Ad annunciare l'imminente conclusione dei lavori per la nuova struttura e' Paolo Rebulla, direttore del Centro trasfusionale e di immunologia dei trapianti che ospitera' la Casa. Dodici coppie italiane della Comunità Papa Giovanni XXIII invece sono in partenza per Barcellona per adottare embrioni congelati abbandonati.

Moltissimi, in questo week end, i commenti politici e le reazioni del mondo sanitario e intellettuale, scaldati anche dalla polemica sulla legge 194 e sull'opportunità di mettere volontari antiaborto all'interno dei consultori. Il clima che si sta riconfigurando è lo stesso - poco sereno e dunque molto fumoso - del referendum di fine primavera, con le barricate tra laici e cattolici. Stefano Rodotà, in un pezzo sulla prima pagina di Repubblica, "Se l'embrione è più importante di una donna", con il consueto acume mette in luce i nodi della questione. Si può essere d'accordo o meno sui giudizi e sui toni, ma le contraddizioni legate all'apertura del Cnb alle donne single sembrano condivisibili: perchè una donna single non può accedere nè alla procreazione medicalmente assistita nè all'adozione (se non in casi straordinari) e può invece adottare un embrione? la risposta che l'embrione è già non basta: anche il bambino è già, ma per lui avere solo la mamma non sembra essere una cosa buona. Cosa vogliamo? Che una mamma-incubatrice faccia nascere l'embrione per poi darlo in adozione a una coppia? Questa è una delle conseguenze logiche - portate al limite, certo - dell'apertura del Cnb. L'altra strada porta invece a riconoscere che anche un single può adottare. Restare in mezzo al guado però è un po' ridicolo...


Gabriella Cetroni segnala i seguenti articoli:

Liberazione 23.2.06
«Contro il fondamentalismo? L’esempio di Trotsky»
Intervista al filosofo della scienza Giulio Giorello, ospite oggi a Roma del festival di filosofia. Quale rapporto deve avere il pensiero scientifico e laico di fronte alle ingerenze della religione nella sfera pubblica?
Tonino Bucci


Perché la religione riesce ad accreditarsi come una chiave di lettura della sfera pubblica? Non c’è bisogno di fornire l’elenco dettagliato delle circostanze in cui la Chiesa, negli ultimi tempi, è entrata prepotentemente nella politica italiana su temi centrali, dalla bioetica alla fecondazione assistita, dalla libera ricerca scientifica alla sessualità. In tutti questi casi, la religione ha finito per legittimarsi come l’unico discorso in grado di fondare valori etici saldi in un clima di presunto relativismo e arbitrio soggettivo. Un potere condizionante rispetto al quale la capacità di resistenza della comunità scientifica appare molto ridotta, come se questa fosse incapace di accompagnare le proprie innovazioni - soprattutto, le biotecnologie - con una cornice etica efficacia. Quale atteggiamento il pensiero laico e razionalista debba avere di fronte al ritorno del fondamentalismo sulla scena pubblica della nostra società, è uno dei temi di riflessione del filosofo della scienza Giulio Giorello, tra gli ospiti del festival di filosofia oggi a Roma - al teatro Palladium, ore 18 e 30.

La scienza, anche se forte nel suo potere materiale di condizionare la nostra esistenza, soprattutto per il tramite della tecnologia, appare estremamente debole nel distinguere il bene dal male. Ci dà gli strumenti, ma non il fine, non le indicazioni per l’uso. E’ d’accordo?

Le Chiese, o meglio le burocrazie dello spirito religioso, hanno strutture tali che permettono di schierare tutte le forze sotto una bandiera. Il mondo della scienza, invece, è un mondo strutturalmente pluralistico nel quale ci sono formazioni molto diverse. Le donne e gli uomini che lavorano alla ricerca possono avere educazioni, sensibilità religiose o morali molto diverse. In Italia ci sono, da una parte, forze che possono agire come un sol partito, mentre dall’altra non esiste né il partito dei laici né il partito degli scienziati. La scienza è un’impresa plurale. Bisogna aggiungere che gli scienziati, per buone ragioni, si dimostrano molto spesso timidi, restii nel buttarsi in politica e nel dibattito pubblico. Siamo il paese che ha condannato Galileo Galilei e in cui la comunità scientifica è stata a parole valorizzata, ma in realtà duramente controllata nel periodo dell’odiosa dittatura fascista. Non bisogna dimenticare queste premesse storiche.

Ma non ci sono reazioni nella comunità scientifica di fronte alla recrudescenza di certe tendenze che mettono in discussione persino l’evoluzionismo?

Le cose stanno cambiando. In alcuni casi gli scienziati hanno dimostrato di saper parlare in prima persona sulla grande questione della libertà di ricerca. All’estero ci sono state autorevoli prese di posizione, ad esempio, contro la deplorevole moda del disegno intelligente usata per sterilizzare e neutralizzare gli approcci darwiniani e neodarwiniani. La reazione contro il disegno intelligente, la difesa del darwinismo e il bisogno di rispondere in modo forte e chiaro alle sciocchezze dei creazionisti è un elemento presente nella comunità scientifica, soprattutto in quella anglosassone. Altro esempio: gli interventi del professor George Coyne, un grande astrofisico, a difesa della teoria dell’evoluzione anche quando gli attacchi provenivano da alcuni esponenti della gerarchia cattolica. Non dimentichiamo che Coyne è un gesuita che dirige la Specula Vaticana. Un bell’esempio di coraggio scientifico e morale. E vanno poi citati i casi di ricercatori italiani nel campo della biologia, quello di Edoardo Boncinelli o, ancora, quello di Umberto Veronesi nella campagna referendaria sulla fecondazione assistita. E non mancano neppure riviste come Darwin che cercano di fare chiarezza. Nonostante l’Italia abbia visto più volte affermarsi, nella sua tradizione filosofica, delle tendenze antiscientifiche, oggi si comincia a prendere coscienza che la libertà di ricerca scientifica è una componente ineliminabile della più generale libertà del filosofare e della nostra cultura. Qui vorrei ricordare il mio maestro Geymonat, non solo un grande ricercatore ed educatore, ma anche rigoroso combattente antifascista. La liberazione dai pregiudizi nei riguardi dell’impresa tecnoscientifica rappresentava per lui una componente della lotta contro il fascismo. Era parte di un’unica battaglia che Geymonat, da marxista, identificava nell’ottica dell’emancipazione del movimento operaio.

Geymonat poteva ancora scorgere il nesso tra l’impresa scientifica e l’utopia della politica, dell’emancipazione dell’uomo dall’ingiustizia e dalla miseria. Oggi, invece, l’alleanza tra politica e scienza sembra essersi rotta. I politici contemporanei preferiscono, invece, ergersi a paladini della religione occidentale, come dimostra il caso di Calderoli. Perché?

Se i politici vedono la religione come uno strumento utilizzabile, è segno che ne stanno facendo una strumentalizzazione cinica. Piegano il bisogno delle persone di fede ai loro più bassi scopi. Dovrebbero essere gli autentici spiriti religiosi per primi a insorgere contro simili operazioni. Questo vale non solo per i casi più clamorosi - come quello dell’ex ministro leghista, un razzista che si era già permesso d’insultare una giornalista palestinese e che probabilmente ha dimenticato i suoi riti pagani sulla riva dell’inquinato Po - vale, dicevo, non solo per i casi più eclatanti, ma per tutti quei politici che una volta si proclamavano atei e oggi devoti, che utilizzano la religione a proprio instrumentum regni. Quanto alla scienza, non credo che la grande maggioranza degli uomini e delle donne oggi al governo abbiano competenze tecnico-scientifiche. Ma, essendo io uomo di sinistra, mi preoccupa di più il fatto che l’ignoranza dell’impresa scientifica domini anche tra i politici di sinistra. Non so se sia colpa degli uomini di scienza, poco bravi a spiegarsi, o dei politici della sinistra che non capiscono l’importanza della cultura scientifica per la maturazione del paese.

Forse, a dispetto delle continue ingerenze nella sfera pubblica, anche la religione non è così forte come si crede. Non crede che la presa delle Chiese tradizionali sulla società sia indebolita a causa dell’insorgere di tendenze irrazionaliste e new age proprio nei paesi occidentali?

Le voci che strillano alto, le voci del cosiddetto fondamentalismo - e mi riferisco qui non all’islam, ma all’occidente cristiano, in particolare al protestantesimo Usa - ho l’impressione che tradiscano una debolezza. Questo strillare isterico dei fondamentalisti copre la loro profonda paura nei confronti del potere liberante dell’impresa tecnoscientifica. Sarebbe compito dei laici svelare la loro vigliaccheria.

Le religioni tradizionali hanno timore della modernità?

Le religioni tradizionali sono fatte dagli uomini e dalle donne che si riconoscono in esse. Non sono un corpo di idee platoniche definite una volta per tutte, ma organismi viventi. Come farle evolvere lo decidono coloro che ci sono dentro, nonché l’interazione di questi organismi con l’ambiente esterno. Non si possono dare definizioni univoche di realtà così composite come islam, protestantesimo, cattolicesimo, ebraismo e via dicendo. Il mio giudizio è che se le religioni sapranno scegliere una flessibilità e un sano scetticismo di base - la capacità di mettere in discussione i propri pregiudizi - potranno coesistere benissimo con molte innovazioni tecnico-scientifiche. Fra queste tradizioni, quella che ritengo più preparata a questo dialogo è il buddismo. Non ho nessuna adesione personale a questa religione, è solo un giudizio. Beninteso, anche il cristianesimo ha, alle sue spalle, una grande tradizione anche di dialogo con la scienza. Pensiamo all’evoluzione del protestantesimo durante la rivoluzione scientifica o allo spirito di libertà di Tommaso d’Aquino, un pensatore che molti “filosofi” cattolici mi pare non conoscano. Altrimenti si sarebbero guardati dal dire “l’embrione è uno di noi”. Ricordo un cattolico studioso di bioetica che diceva “l’embrione è uno di noi perché se viene perturbato, dà segno di reagire”. Ma, allora, anche un coccodrillo reagirebbe, e malamente, se qualcuno gli pestasse la coda. Dovremmo cercare di spostare il discorso su argomentazioni più serie e rigorose. Una società matura non deve aver paura di fondamentalisti che portino le proprie ragioni. Ma che queste ragioni ci siano e tutti abbiano la libertà di esaminarle. E confutarle. Questa era la tesi esposta da un certo signore in alcuni scritti sull’arte e la letteratura, nei quali difendeva il pluralismo come processo emancipativo dei lavoratori. Si chiamava Lev Davidovich Bronshtein, in arte Trotsky.

Liberazione 23.2.06
Perché il declino dell’Italia non fa dibattito?
Giorgio Cremaschi


“Parla d’economia, stupido! ”. Pare che questa scritta stesse alle spalle della scrivania di Clinton, durante la campagna presidenziale del 1992, che lo vide vincente contro Bush (padre). Ieri Francesco Giavazzi lamentava su Il Corriere della Sera l’assenza di un reale dibattito economico nella campagna elettorale. Anche se non siamo d’accordo sulle conclusioni e le proposte, dobbiamo dire però che l’editorialista del Corriere ha messo il dito nella piaga.
Non si capisce per quale ragione il disastro economico del Paese non sia al centro della campagna elettorale. O meglio, lo si capisce dal lato della destra. Il fatto che l’Italia sia il paese con la peggiore tendenza economica d’Europa, la peggiore inflazione, la peggiore distribuzione del reddito, suona come una condanna senza appello per il governo Berlusconi ed è evidente l’interesse di tutta l’attuale maggioranza di parlare d’altro. E’ meno comprensibile il fatto che l’opposizione, pur nelle sue evidenti differenze e distinzioni, non riesca a portare l’economia al centro del confronto elettorale e si faccia continuamente trascinare a parlare d’altro. Se c’è una sola possibilità per Berlusconi di vincere le elezioni, essa deriva proprio dal fatto che egli riesca a impedire che si segua l’imperativo di Clinton, che, invece, riuscì a non farsi trascinare altrove da Bush (padre).
Qual è la spiegazione di questa difficoltà? Probabilmente ce ne sono tante, di spiegazioni, che ci portano anche a cosa è diventata la politica, al suo rapporto con l’economia e la società, con la cultura e lo spettacolo. Ma probabilmente c’è una ragione precisa. La crisi italiana è di dimensioni tali da non poter essere affrontata con nessuna delle politiche del passato.
Tutti i paesi europei hanno dei malanni, ma noi siamo l’unico che li ha tutti. Il debito pubblico più alto del continente, un’industria che ha perso competitività anno dopo anno perché ha rinunciato a investire sul futuro. Una distribuzione del reddito tra le più inique, che accentua da noi quei fenomeni di impoverimento dei cosiddetti ceti medi, che sono caratteristiche di tutte le società occidentali. Un’evasione fiscale vergognosa. Un nuovo aggravarsi del distacco economico e sociale, tra il Nord e il Mezzogiorno. Carenze storiche sul piano delle infrastrutture, dei servizi, della formazione e della scuola. Una disonestà di fondo del sistema degli affari che disincentiva gli investimenti esteri ben più di quel costo del lavoro che dovrebbe essere cancellato dalle priorità della politica. Il dominio di sistemi criminali e mafiosi su interi territori del nostro paese. Ecco, nella competizione internazionale, noi sommiamo tutti i difetti e i limiti di tutti i paesi occidentali, non ce ne siamo risparmiato uno.
(...)

il manifesto 23.2.06
Usa, il diritto d'aborto sotto attacco
La Corte suprema rimodellata da Bush con l'entrata dei due giudici iper-conservatori Alito e Roberts, deciderà sulla costituzionalità di una legge del presidente del 2003 che limita quel diritto
S.D.Q.


WASHINGTON. Diritto d'aborto sotto attacco negli Stati uniti dove la Corte suprema, rimodellata ad hoc da George Bush, ha deciso di discutere una legge firmata dal presidente nel 2003 che limita il diritto di aborto. I 9 giudici hanno annunciato che nella prossima sessione di ottobre della Corte, prenderanno in esame il Partial-Birth Abortion Ban Act per decidere se sia costituzionale o meno in quanto manca di un eccezione che protegga la salute della donna incinta. Il caso è di straordinaria importanza perché va a toccare, su scala nazionale, un punto decisivo da quando nella causa «Roe contro Wade» la Corte suprema sentenziò nel `73 che le donne hanno il diritto costituzionale di abortire. Nel 2000 la Corte suprema dichiarò incostituzionale, per 5 a 4, una legge del Nebraska proprio in quanto non conteneva una eccezione a salvaguardia della salute della madre. La decisione di ottobre potrebbe segnare il punto di svolta della nuova Corte, sempre più marcatamente conservatrice: non è un caso che abbia deciso di occuparsi della legge in coincidenza con l'entrata del giudice Samuel Alito che va ad affincarsi al suo presidente John Roberts, entrambi conservatori e voluti da Bush. La loro visioni sul diritto di aborto furono al centro delle udienze di conferma che hanno sostenuto (e passato) in senato.

I gruppi di difesa dei diritti civili e in particolare del diritto all'aborto, sono in allarme. L'entrata in scena della Corte «significa che il principio di fondo di proteggere la salute della donna, garantito dalla "Roe contro Wade", è in chiaro e immediato pericolo», ha detto Nancy Keeran, del gruppo Naral-Pro Choice America. Di «pericoloso atto di ostilità diretto chiaramente contro la salute e la sicurezza delle donne» parla Cecile Richards, presidente della Planned Parenthood Federation of America.

Da destra solo elogi. Jay Sekulow, dell'American Center for Law and Justice, ha detto di «sperare che l'Alta corte proclamerà la costituzionalità della legge» e Andrea Lafferty, della Traditional Values Coalition, si è detta certa che l'entrata «dei due nuovi giudici conservatori segnerà la fine della presa della lobby abortista sulla Corte».

La Legge firmata da Bush nel 2003 non è mai entrata in vigore finora a causa dei ricorsi e in quanto sei corti federali l'hanno giudicata incostituzionale. Approvata dopo 9 anni di dibattito, il Congresso vi incluse solo l'eccezione sulla vita della madre ma non quella sulla sua salute. Prevede due anni di reclusione per i medici che la trasgrediscano. Il Dipartimento della giustizia, affidato a un altro fedelissimo di Bush, il conservatore Alberto Gonzales, ha chiesto alla Corte suprema di dichiarare la piena costituzionalità della legge. Il Center for Reproductive Rights di New York afferma invece che una simile decisione «costituirebbe un significativo arretramento da più di tre decenni di giurisprudenza della Corte che ha finora sempre respinto ogni regolazione dell'aborto che non prevedesse la salvaguardia della salute della madre».

mercoledì 22 febbraio 2006

Liberazione 22 febbraio 2006
L’Islam non è l’aggressore, è l’aggredito. Inciviltà occidentale
di Rina Gagliardi

Domani, dunque, Marcello Pera, seguito da una sfilza di intellettuali di destra, e sostanzialmente benedetto da Benedetto XVIesimo, presenterà il suo “Europa, svegliati! ”: un vigoroso appello alla coscienza giust’appunto europea, acciocché difenda le sue radici giudaico-cristiane dall’attacco islamico e dichiari, a sua volta, una sorta di “guerra santa” a mezzo Sud del mondo. Sono posizioni che il presidente del Senato, esponente illustre dei così detti “atei devoti” e di un vero e proprio fondamentalismo “occidentalista”, porta avanti da un pezzo (anche qui in buona compagnia, dal Corriere della sera al Foglio, passando per il Riformista). Ora, però, a rilanciare questa piattaforma concorrono due eventi: a livello internazionale, le rivolte fondamentaliste seguite, dal Pakistan alla Libia, alla vicenda delle vignette blasfeme danesi; al livello più nostrano, o provinciale che dir si voglia, la campagna elettorale. Tutto concorre, ahimé, alla crescita dell’estremismo fanatico e delle crociate ideologiche: il clima si approssima sempre di più a quello scontro frontale delle civiltà che, a forza di esser nominato o paventato, rischia di diventare la vera “cifra” della crisi del nostro tempo. E comincia a non apparire più così paradossale che la seconda carica dello Stato (sia pure, speriamo, solo per qualche settimana) vesta l’elmetto, tuoni contro le “imbelli” cancellerie d’Europa, apra il fuoco contro la politica di “appeasement”. Proprio come fossimo nel ’38, alla vigilia dell’aggressione di Hitler all’Europa.
Si rifletta bene sulla campagna attuale, dominata quasi soltanto da parole di guerra: il richiamo esplicito è al secondo conflitto mondiale e agli anni torbidi che lo hanno preceduto - il pericolo evocato del “pacifismo”, di una ripetizione del patto di Monaco (quello che le potenze europee stipularono nel ’38 col nazismo, nella speranza di rinviare la guerra), di una “umiliazione” crescente dell’Occidente. Sono parole gravissime, irresponsabilmente provocatorie, ispirate da un insensato bisogno di buttare benzina sul fuoco. A stare alla lettera di queste dichiarazioni, l’Europa - o chi per lei - dovrebbe al più presto rompere le relazioni diplomatiche con i paesi e i governi musulmani, aggredire militarmente Siria, Iran, Nigeria e magari il Pakistan (per altro fedele alleato dell’Occidente e segnatamente degli Stati Uniti), espellere da sé quindici milioni di migranti di religione islamica che occupano il suo territorio, progettare infine l’attacco “finale” a un miliardo e trecento milioni di persone: in breve, quel che si evoca è, né più né meno, una nuova guerra mondiale. Che, a differenza di quelle che l’hanno preceduta, avrebbe come propri nemici dichiarati non potenze politiche, non governi, non Stati, ma popoli interi - e una fede religiosa. Una tale enormità, certo, non la dice Pera e non la dice (forse) neppure Magdi Allam. Ma in qualche modo, questa enormità, la fanno balenare - la fanno correre nei loro scritti, nelle loro interviste, nei loro appelli. Perché? Perché riscoprono le Crociate, esattamente come l’ex-ministro Calderoli, nel mondo globalizzato avido di petrolio, di acqua e di materie prime, dove denaro e business, anche e soprattutto con il mondo islamico, la fanno da padroni?
Se proviamo a cercare il nucleo di verità che c’è sempre nelle posizioni altrui, anche in quelle degli avversari, possiamo scoprire che sì, che c’è qualcosa di cupamente veritiero nei discorsi del presidente del Senato e dei molti che lo seguono o lo assecondano. Questo qualcosa è la crisi oramai conclamata della “civiltà occidentale”, del suo modo di produrre, consumare e vivere: un “male oscuro” che attanaglia l’Europa e l’Occidente. Una paura diffusa, a volte sotterranea, a volte consapevole. Ma qual è l’agente “patogeno”, il virus che sta producendo questa malattia di massa? Qui emerge tutta la disonestà intellettuale dei Pera, dei Quagliarello, degli oscurantisti cattolici: non indagano la malattia - la crisi - ma parlano di “malocchio” - di minaccia esterna, da estirpare con la violenza. Proprio come fanno i “maghi” o i guru di fronte a persone infelici e malcapitate. Proprio come le classi dirigenti hanno sempre fatto, nella storia, per salvarsi: buttarla sul capro espiatorio “giusto”. Un rituale barbarico, che, del resto, la civiltà cristiana ha usato molte volte, e con risultati tragici - come contro gli ebrei, sterminati a milioni non dai seguaci di Maometto ma dai capi della più grande nazione cristiana d’Europa.
Noi lo sappiamo bene. Non è l’Islam, ma il capitalismo dell’era liberista che sta letteralmente divorando la civiltà occidentale, ne mina le basi strutturali (il lavoro, che non “vale” più nulla), ne svuota ogni valore condiviso. Noi viviamo in società ancora relativamente benestanti, ma sempre più disgregate, insicure, che non promettono futuro - e offrono un presente all’insegna della precarietà, l’unico Grande Valore che la borghesia ha scoperto e praticato in questi decenni. Noi, se ancora nutriamo qualche speranza, la collochiamo ormai “fuori” - fuori da qui, dal dove siamo, dalle città in cui abitiamo, dai luoghi che percorriamo abitualmente. La più recente ricerca dell’Eurispes ci dice che un terzo degli italiani, ma soprattutto la grande maggioranza dei giovani, vorrebbe andare, appunto, “fuori” - all’estero. Vorrebbe emigrare, proprio come fanno milioni e milioni di cittadini del Sud del mondo, alla ricerca di qualcosa che, lì dove sono, non trovano e non sperano di trovare. Forse qui, in questa vocazione globale al “fuori”, alla migrazione, c’è in nuce anche un sogno nuovo di libertà, c’è in potenza la nascita di una nuova umanità migrante - tutta migrante - capace di ridefinire se stessa e un’altra civiltà. Intanto, però, il segno dominante resta quello della crisi, del disagio esistenziale, talora della disperazione. Accade così che questo Occidente che non sa più dove andare scopra, per l’ennesima volta, il Nemico contro il quale scaricare la sua crisi.
Questo nemico, naturalmente, è oggi l’Islam. L’Islam in quanto tale, senza più distinzioni tra moderati ed estremisti, tra governi e popoli, tra le mille e mille confessioni nelle quali si suddivide. L’Islam di cui l’Occidente ha allevato e foraggiato con cura tutti i fanatismi e tutti i fondamentalismi - comportandosi da vero apprendista stregone, dai Talebani ad Hamas, dai waabiti sauditi agli sciiti irakeni - per vincere le sue guerre, ieri in Afghanistan contro i russi, oggi contro le oligarchie al potere in Medio Oriente. L’Islam che è stato, per secoli, parte integrante della civiltà europea, l’ha contaminata, ne è stato contaminato - ed oggi viene rappresentato corpo estraneo, alieno, minaccioso. L’Islam astratto e “memorizzato”, che schiaccia popoli e persone su un credo fanatico e “anticristiano”, e non è mai fatto di contesti concreti: come la colonizzazione italiana della Libia, una ferita mai davvero cancellata, un esempio feroce e sanguinario di colonizzazione e oppressione. Ma sulle responsabilità occidentali è silenzio totale: quelle storiche, e quelle attuali. Quel mix di aggressione e “miraggi lusinghieri”, di oppressione sistematica e spoliazione identitaria, di neocolonialismo e pelosa “integrazione”, che oggi fa esplodere le masse di questi paesi. Quella arrogante e violenta pretesa di modellare il pianeta intero su se stessi, come l’export a viva forza non della democrazia, ma dei suoi simboli e dei suoi riti formali. Non è l’Islam l’aggressore, ma l’aggredito. E la replica a cui oggi stiamo assistendo reca - ahimé - il segno profondo della “inciviltà occidentale” che l’ha alimentata: a forza di rubare le risorse, di imporre (Fmi) politiche liberiste che provocano per milioni di persone una condizione di povertà e sofferenza sociale; a forza di allevare classi dominanti corrotte e\o subalterne, di vendere armi e strumenti di morte, di far chiudere le scuole pubbliche laiche, facendo trionfare quelle coraniche; a forza di devastarlo, questo pezzo di mondo, e alla fine di schernirlo con le vignette, si poteva pensare che esso non si ribellasse? Non si facesse conquistare, ahimé, dall’unico valore - il fanatismo religioso - che sembra il solo a promettere una possibilità di riscatto? Così la ruota della storia ha ripreso a girare, vorticosa, verso la catastrofe, verso lo scontro dei fondamentalismi. C’è un dio pietoso che ci può salvare?