venerdì 31 marzo 2006

Il Gazzettino 31.3.06
"ALICE"
Il premier non va al confronto con Bertinotti e la conduttrice Anna La Rosa si infuria


Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non ha partecipato alla trasmissione «Alice», condotta da Anna La Rosa (nella foto), dove sarebbe dovuto essere ospite ieri sera, insieme al segretario di Rifondazione, Fausto Bertinotti. Al posto del premier, al confronto con il leader del Prc è andato Pier Ferdinando Casini.
Il forfeit di Berlusconi sembra sia stato comunicato nel primissimo pomeriggio alla conduttrice di Alice, Anna La Rosa, e motivato con l'impossibilità di abbandonare i lavori del congresso del Ppe, in corso all'Hotel Hilton.Anna La Rosa, assicura chi ha avuto modo di parlarle, non si aspettava che saltasse questo appuntamento fissato da una decina di giorni, anche perché fino a ieri sera aveva avuto assicurazioni che tutto era a posto. La giornalista non ha quindi preso per niente bene la notizia che tutto saltava. Anzi, la si descrive furente. La direttrice delle Tribune politiche avrebbe così rifiutato la proposta di sostituire il premier con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, e avrebbe scritto un biglietto per manifestare il suo disappunto facendolo pervenire a mano direttamente a Berlusconi.Si è quindi aperto il problema di trovare un esponente della Cdl da contrapporre al leader del Prc Fausto Bertinotti, che per partecipare alla puntata di ieri aveva rinunciato ad una serie di appuntamenti elettorali in Piemonte e in Liguria. Anna La Rosa si è così rivolta al presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, anche lui impegnato al congresso del Ppe, che ha subito accettato.
aprileonline.info 31.3.06
Il ragazzo del secolo in corso
I 91 anni di Pietro Ingrao festeggiati a Roma da una “lectio magistralis”di Edoardo Sanguineti, che in questa intervista ci racconta di come è nata l’idea di questa giornata
di Emiliano Sbaraglia



Parafrasando l’ultimo romanzo autobiografico di Rossana Rossanda (“La ragazza del secolo scorso”, Einaudi), che continua a far discutere per l’inaspettata attenzione ricevuta dal lettore non-militante, e per la tipologia delle confessioni umane e politiche contenute, Pietro Ingrao può essere definito un ragazzo del nostro secolo, proprio ieri giunto al compimento dei suoi 91 anni.
Una bella occasione per festeggiare colui il quale può essere senza dubbio considerato la testimonianza vivente e irrinunciabile di gran parte della storia e della politica italiana del Novecento, è stata senza dubbio l’iniziativa svoltasi ieri mattina a Roma presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati (Palazzo S. Macuto), dove il professor Edoardo Sanguineti ha tenuto una lectio magistralis in onore di Ingrao. E proprio a Sanguneti abbiamo rivolto qualche domanda, nel corso di una mattinata tutta particolare.
Allora professore, innanzi tutto ci dica come è nata l’idea di questa “lectio magistralis”...
Il Crs, (Centro per la Riforma dello Stato), di cui è presidente lo stesso Ingrao, d’ora in poi ha deciso, partendo proprio da oggi (ieri, ndr), di invitare ogni anno un esponente della cultura, sempre in data 30 marzo, così da celebrare in maniera dovuta la ricorrenza. A me è dunque toccato il gradito compito di rompere il ghiaccio, per una tradizione che spero duri molto a lungo.
Quale è stato l’argomento da lei scelto per la prolusione?
In verità l’input è arrivato sempre dal Crs, e in particolare da Mario Tronti, che mi ha sollecitato su degli argomenti, ai quali ho risposto proponendo il titolo interrogativo “Come si diventa materialisti storici?” Nel mio intervento ho provato a rispondere alla domanda, dato che il tema nasce dal problema per cui, secondo la tradizione di sinistra, il proletariato non ha coscienza di classe; naturalmente esistono anche operai conservatori o indifferenti, ma al di là di questo la risposta tradizionale è che sono i gruppi intellettuali che prendono coscienza per primi, e che deve essere l’intellettuale organico a esporre un progetto politico, prendendo origine dal materialismo storico. Allora mi sono chiesto chi trasmette al cosiddetto intellettuale la coscienza a sua volta da trasmettere al proletario. Anche qui appare facile rispondere: con i libri, scegliendo la filosofia come prassi, e simili. Ma oltre il materialista ci può essere il filosofo cristiano, o quello fascista; da qui il mio riferimento a Gyorgy Lukacs, e in particolare al suo saggio “Storia sulla coscienza di classe” del 1967, nel quale racconta le origini e lo sviluppo della sua formazione. Prendendo il testo quale esempio di come si è svolto il suo “apprendistato del materialismo”, guardare come Lukacs, partendo da idee borghesi arrivi al materialismo storico e dialettico, secondo me significa individuare un percorso in tal senso molto interessante. Da qui sono passato a parlare di Adorno, e di Benjamin, per discutere di problemi sull’appartenenza e la coscienza della propria condizione di classe. La conclusione l’ho affidata alla lettura di una poesia di Brecht, dall’emblematico titolo “Lode del Comunismo”, scritta nel 1933, anche perché Pietro Ingrao scrive poesie, è poeta egli stesso.
Nell’introdurre questa intervista abbiamo parlato di Ingrao come di un ragazzo del secolo in corso. In effetti, rispetto a ciò che pensa e che dice, l’età per lui sembra quasi un optional...
Ingrao è così e rimarrà così, conserva una grande lucidità oltre la qualità, di solito (ma non sempre) comune tra i giovani, di porsi i problemi e le questioni essenziali della politica e della cultura. Il mondo muta, e mantenendo la linea di una certa coerenza, avere il coraggio di ricominciare da capo, di rimettere continuamente in discussione le proprie certezze, è un atteggiamento prezioso per tutti. Ho citato una mia poesia, dove nel passaggio da una posizione di formazione a quella di materialista affermo di non aver mai creduto in niente, di non aver mai avuto convinzioni aprioristiche, astratte, dal sapore di verità assoluta. Mai riposarsi su una fede, seppur orientata nella “filosofia della prassi”, come direbbe Gramsci; va ogni volta ricreata, dopo essere stata nuovamente problematizzata.
Se le cose stanno così, mi chiedo quali siano i programmi futuri dei ragazzi Ingrao e Sanguineti...
Per ora siamo coinvolti insieme in questo progetto di incontri e discussione, proposto in primis da Pietro; nei prossimi tempi, vorremmo riprendere i problemi molto intricati, soprattutto nel mondo contemporaneo, che hanno praticamente distrutto il concetto di proletariato. Perché il mondo è ancora pieno di proletari e sottoproletari, e anche se nessuno si riconosce più in questo tipo di definizione, la maggior parte del genere umano è in condizioni di sfruttamento, non soltanto in Africa, o in Asia: basti pensare all’occidente (selvaggiamente) capitalistico. Il fatto è che, nel mondo “civilizzato”, spesso non ci accorgiamo di ciò che realmente siamo e viviamo quotidianamente.

lunedì 27 marzo 2006

Corriere della Sera 26 marzo 2006
Enrico Ghezzi: «Il Caimano, film deprimente, la sinistra non esiste più»
di Paolo Conti


Enrico Ghezzi, padre di Blob e Fuori orario su Raitre; un tempo era amico di Nanni Moretti, ora si dichiara «simpatizzante con la sua antipatia»: un giudizio sul Caimano, Ghezzi? «Teneramente orrendo, intensamente depresso e deprimente; Sscero, anche nel suo essere sempre costruitissimo e sorvegliatissimo, senza un battito d'ali di cinema».
Addirittura nulla da salvare?
«È un film di "quadratezza" televisiva come tutto l'ultimo Moretti. Dopo tanta depressione e assenza di cinema, l'aspetto cinematograficamente più "eccitante" è il finale quando Moretti "finge" di impersonare Berlusconi.
Momento quasi trash, versione bruta e "brutta" di un Dino Risi.
Penso al bellissimo finale di "In nome del popolo italiano".
Mi era già venuto in mente quando Nanni aveva proposto a Raitre di cofinanziare Il portaborse di Luchetti nel 1991.
Angelo Guglielmi non era convinto. Infatti non lo producemmo.
Ci pareva, a noi del gruppo di Raitre, una commedia politica all'italiana in ritardo e senza mordente, flebile già rispetto a ciò che la tv mostrava.
Certo, ci dicemmo, se lui avesse assunto il ruolo "negativo" principale... Cosa che poi generosamente fece, sdegnato per il no di Guglielmi».
Giuliano Ferrara giubila: Nanni Moretti sostiene la stessa tesi del Foglio, cioè che Berlusconi ha comunque già vinto.
«Ma questo è scontato da anni. Basta vedere di cosa parla la sinistra. La questione della tv non è secondaria.
Nanni l'aveva già affrontata in quel geniale e sbilanciato film che è "Sogni d'oro" del 1981: per me il migliore, con un finale stupefacente: la mutazione horror di uno sdoppiamento da lupo mannaro.
"Il Caimano", pur volendo essere una strenua resistenza alla volgarità berlusconiana, è invece a sua volta la dimostrazione che quella tv e quella forma hanno vinto.
Un po' come già stradimostrato nel Muccinema (il cinema di Muccino, ndr) ».
Ma piacerà questo film ai morettiani?
«Non credo che li entusiasmerà, privati di battute memorabili e di altri woody-allenismi. Ma se lo faranno piacere.
La parte più oscura e depressiva è la prima, appunto orribile e fascinosa.
Non un solo personaggio si "salva" né consola.
Le fisionomie sono tutte esasperate e mostruosizzate, ben oltre quella di Berlusconi.
La sinistra stessa non esiste più, in nessuna delle generazioni: forse una pallida ombra girotondina nella giovane regista.
C'è solo una estesa vita sinistra. Qualcosa di sinistra, o alla sinistra, può dirla solo Moretti-Berlusconi in un doppio identico narcisismo, quello di Moretti e l'altro di Berlusconi.
Direi che l'urlo insieme improvvisato e pensato di Nanni in piazza Navona contro i vertici della sinistra si rivela una cupa, disperante invettiva quasi bossiana».
Lei è un cinefilo. E nel «Caimano» c'è tanto cinema.
«Cinema ce n'è poco. Ma Moretti, parlandone molto, troppo, nel "Caimano", con molta sincerità e rischiando di sfatare l'impostura del suo stesso cinema d'autore, mostra i limiti di un cinema che non si apre all'incertezza rosselliniana».
Vogliamo farci capire dai non addetti ai lavori, Ghezzi?
«È già curioso e indicativo il modo in cui, ribadisco, teneramente si appoggia al Pasolini della Ricotta e all'ultimo Fellini citato per ben tre volte con Roma, La voce della Luna, Prova d'orchestra.
Ovvero: non un cinema che si limita a dire o a filmare quel che si vuole dire.
Ma un cinema in sé politico proprio per l'autonomia rispetto alle forme abituali della comunicazione.
Quella comunicazione alla quale Moretti tributa i debiti onori andando da Fabio Fazio mentre, alla stessa ora, Ciprì e Maresco su La7 tentano di resistere.
Questo aderire al mercato della comunicazione, e i tempi stessi del lancio, fanno de "Il Caimano" un'ultima, drammatica, ennesima occasione perduta per la sinistra di raccogliere la chance Berlusconi».
Di nuovo: cioè?
«Parlo della possibilità di confrontarsi con un esponente insieme selvaggio e preciso della deriva mondiale, diciamo alla Putin, del capitalismo spettrale e globale basato sul potere-denaro nero e sul luccichìo della comunicazione del desiderio».
corriere.it 26.3.06
Ghezzi: "Il film di Moretti dimostra che la sinistra non esiste più"
Enrico Ghezzi, padre di Blob e Fuori orario su Raitre. Un tempo era amico di Nanni Moretti. Ora si dichiara «simpatizzante con la sua antipatia».
di Paolo Conti

Un giudizio sul Caimano, Ghezzi?
«Teneramente orrendo. Intensamente depresso e deprimente. Sincero, anche nel suo essere sempre costruitissimo e sorvegliatissimo, senza un battito d'ali di cinema».

Addirittura nulla da salvare?
«È un film di "quadratezza" televisiva come tutto l'ultimo Moretti. Dopo tanta depressione e assenza di cinema, l'aspetto cinematograficamente più "eccitante" è il finale quando Moretti "finge" di impersonare Berlusconi. Momento quasi trash, versione bruta e "brutta" di un Dino Risi. Penso al bellissimo finale di "In nome del popolo italiano". Mi era già venuto in mente quando Nanni aveva proposto a Raitre di cofinanziare Il portaborse di Luchetti nel 1991. Angelo Guglielmi non era convinto. Infatti non lo producemmo. Ci pareva, a noi del gruppo di Raitre, una commedia politica all'italiana in ritardo e senza mordente, flebile già rispetto a ciò che la tv mostrava. Certo, ci dicemmo, se lui avesse assunto il ruolo "negativo" principale... Cosa che poi generosamente fece, sdegnato per il no di Guglielmi».

Giuliano Ferrara giubila: Nanni Moretti sostiene la stessa tesi del Foglio, cioè che Berlusconi ha comunque già vinto.
«Ma questo è scontato da anni. Basta vedere di cosa parla la sinistra. La questione della tv non è secondaria. Nanni l'aveva già affrontata in quel geniale e sbilanciato film che è "Sogni d'oro" del 1981: per me il migliore, con un finale stupefacente: la mutazione horror di uno sdoppiamento da lupo mannaro. "Il Caimano", pur volendo essere una strenua resistenza alla volgarità berlusconiana, è invece a sua volta la dimostrazione che quella tv e quella forma hanno vinto. Un po' come già stradimostrato nel Muccinema ( il cinema di Muccino, ndr) ».

Ma piacerà questo film ai morettiani?
«Non credo che li entusiasmerà, privati di battute memorabili e di altri woody-allenismi. Ma se lo faranno piacere. La parte più oscura e depressiva è la prima, appunto orribile e fascinosa. Non un solo personaggio si "salva" né consola. Le fisionomie sono tutte esasperate e mostruosizzate, ben oltre quella di Berlusconi. La sinistra stessa non esiste più, in nessuna delle generazioni: forse una pallida ombra girotondina nella giovane regista. C'è solo una estesa vita sinistra. Qualcosa di sinistra, o alla sinistra, può dirla solo Moretti-Berlusconi in un doppio identico narcisismo, quello di Moretti e l'altro di Berlusconi. Direi che l'urlo insieme improvvisato e pensato di Nanni in piazza Navona contro i vertici della sinistra si rivela una cupa, disperante invettiva quasi bossiana».

Lei è un cinefilo. E nel «Caimano» c'è tanto cinema.
«Cinema ce n'è poco. Ma Moretti, parlandone molto, troppo, nel "Caimano", con molta sincerità e rischiando di sfatare l'impostura del suo stesso cinema d'autore, mostra i limiti di un cinema che non si apre all'incertezza rosselliniana».

Vogliamo farci capire dai non addetti ai lavori, Ghezzi?
«È già curioso e indicativo il modo in cui, ribadisco, teneramente si appoggia al Pasolini della Ricotta e all'ultimo Fellini citato per ben tre volte con Roma, La voce della Luna, Prova d'orchestra. Ovvero: non un cinema che si limita a dire o a filmare quel che si vuole dire. Ma un cinema in sé politico proprio per l'autonomia rispetto alle forme abituali della comunicazione. Quella comunicazione alla quale Moretti tributa i debiti onori andando da Fabio Fazio mentre, alla stessa ora, Ciprì e Maresco su La7 tentano di resistere. Questo aderire al mercato della comunicazione, e i tempi stessi del lancio, fanno de "Il Caimano" un'ultima, drammatica, ennesima occasione perduta per la sinistra di raccogliere la chance Berlusconi».

Di nuovo: cioè?
«Parlo della possibilità di confrontarsi con un esponente insieme selvaggio e preciso della deriva mondiale, diciamo alla Putin, del capitalismo spettrale e globale basato sul potere-denaro nero e sul luccichìo della comunicazione del desiderio».

domenica 26 marzo 2006

Corriere della Sera 26.3.06
IL COLLOQUIO
«Nel 2001 Moretti mi attaccò per le scelte del 1998: era un’invettiva. E le invettive oscurano l’intelligenza»
Bertinotti: Nanni? Lodo il regista, non il politico
«Ecce Bombo il suo film più riuscito. Ma io preferisco Clint Eastwood»

di Paolo Conti


ROMA - Fausto Bertinotti è in Calabria per la campagna elettorale e scruta il mare parlando del Caimano . Ha già definito «manicomiale» il dibattito sul film. Ora approfondisce la questione. Un primo pensiero alla frase di Romano Prodi piena di dubbi («speriamo che il film sia utile e non dannoso alla campagna elettorale»): «Sono paure assolutamente infondate, Romano dovrebbe capirlo. Siamo di fronte all’incredibile idea di una politica capace di assorbire ogni attività umana. Per fortuna c’è un limite alla politica, c’è il trascendimento dell’opera artistica. Insomma, sotto il cielo esistono più pezzi di realtà di quanto la nostra famosa politica possa immaginare». Bertinotti già l’ha detto, per lui Il Caimano non sposterà un voto, di qui il «manicomiale»: «È un errore attribuirgli quel potere. Perché nessun film può farlo: è un rozzo pregiudizio nato da un clamoroso abbaglio. Chi sostiene che con l’arte si possa esercitare in qualche modo una influenza sulle scelte politiche, dovrebbe almeno evocare un dubbio. Céline non mi spingerà mai a una conversione antisemita, però siamo di fronte a un grandissimo letterato».
E ritorniamo al tentennamento di Prodi: «Il primato assoluto della politica è un vizio culturale. Invece esiste lo specifico filmico. Prendiamo Il grande dittatore di Chaplin. Il fatto che alcune sequenze richiamassero Hitler è alla fine questione del tutto secondaria. Un’opera trascende sempre l’oggetto investito dalla produzione artistica». Anche quando si tratta di Berlusconi? «Non ho visto il film, ma non capisco perché dovrebbe fare eccezione». Fatto sta, Bertinotti, che in molti ci hanno visto un manifesto politico... «Moretti ha parlato da regista. Se avesse voluto analizzare l’Italia di Berlusconi, avrebbe convocato un comizio o scritto un saggio. Il cittadino Moretti non è diverso dagli altri. E poi, seguendo questa logica, che facciamo? Per tutta la campagna elettorale sospendiamo la lettura di libri, la visione di film, i dibattiti culturali?»
Dunque bisogna distinguere il Moretti regista dal Moretti politico, quindi dal leader dei primi Girotondi. Meglio il primo o il secondo? «Non c’è paragone. Meglio di gran lunga il regista. Mi pare persino un’ovvietà. Ho conosciuto altri cineasti impegnati politicamente. Ricordo un’appassionata assemblea con Ingrao in cui dissi a Marco Bellocchio che all’uomo politico preferivo senza dubbio l’autore de "I pugni in tasca", una delle opere più pregnanti del cinema italiano del dopoguerra». Da che dipende questo voto basso al Moretti politico? «La politica è una vocazione democratica ma richiede applicazione sistematica, professionismo, approfondimento specifico». Visto che ora siamo nel famoso specifico, a lei piace il Moretti cineasta? «Lo ritengo un protagonista della cinematografia italiana sempre molto interessante. I suoi film vanno visti con curiosità. Evidentemente gli esiti stilistici sono diversi da film a film». Un giudizio freddino, diciamo così, che suscita una riflessione successiva: «Mi sento forse più attratto da una cinematografia alla Clint Eastwood, per esempio Million dollar baby , o alla Ken Loach: sono estetiche che mi incuriosiscono, come quella del grande portoghese Manuel de Oliveira». Il film meglio riuscito di Moretti? «A mio avviso Ecce bombo ».
A questo punto bisognerà ricordare che il blocco di ghiaccio tra i due risale al 16 maggio 2001 quando Nanni Moretti al festival di Cannes, poco dopo la vittoria del Cavaliere alle elezioni, attaccò duramente Bertinotti per la fine del governo Prodi nel 1998: («Un irresponsabile. Non capisco perché il Cavaliere perda tempo a ringraziare gli italiani di avergli dato il voto. Basterebbe un solo grazie, a Fausto Bertinotti... Ora avrà altri dieci anni assicurati al Maurizio Costanzo Show»)
Come lo giudica a cinque anni di distanza, Bertinotti? «Un episodio spiacevole, una grave sgrammaticatura di un artista». Rancore? «Non ne porto mai per principio. Ma mi sembrò una caduta di stile. Una scarsa capacità di lettura dei fenomeni politici da parte di un intellettuale. Ma punto, finita lì». Forse lei, Bertinotti, non avrà sopportato l’analisi proposta da Moretti: «Attenzione. Non era un’interpretazione ma un’invettiva. E le invettive oscurano l’intelligenza. Purtroppo l’elenco delle aggressioni che ho subito è lungo». Mai più rivisto Moretti dopo quella «invettiva»? «Mai avuta più occasione. Ma non credo ci sia pregiudizio reciproco. Resta, per me, la distinzione tra cittadino e artista. Se vogliamo davvero discutere di politica, scegliamo un luogo qualsiasi e individuiamo armi pari. Ma se vado a vedere un suo film, sono assolutamente privo di qualsiasi influenza determinata da una posizione politica». Lei è proprio sicuro che Moretti non volesse dire qualcosa di più proprio su Berlusconi con questo film? «Ricordo una meravigliosa risposta di de Oliveira a un giornalista: "Ciò che dovevo dire, l’ho detto col mio film". Perfetto.»