Una regalia inaccettabile
di Pino Sgobio
100 milioni alle università private? Come si concilia tale elargizione con il taglio alla scuola pubblica che, dal 2009, ammonterà a 1.402 milioni di euro? Perché questa forzatura?
In periodi di vacche magre, c'è qualcuno che, evidentemente, ingrassa sempre e comunque. I 100 milioni di euro in tre anni, contenuti nei commi 603 e 604 del maxiemendamento alla Finanziaria, destinati all'università privata, vale a dire, nella grande maggioranza dei casi, ad istituti di enti ecclesiastici, rappresentano un nuovo e inaspettato "buco nero" di questa difficile e complicata manovra di bilancio, che si va ad aggiungere al famigerato comma 1.346 sulla prescrizione breve per i danni allo Stato. E' la seconda volta che una misura mai discussa all'interno delle tante riunioni di maggioranza, che sul tema della Finanziaria sono state fatte, entra a far parte di questa legge in modo surrettizio e subdolo.
Questa regalia alle università private è un provvedimento che non capiamo affatto. Non se ne avvertiva l'urgenza e non se ne sentiva l'opportunità. Inserire questa vera e propria elargizione di soldi pubblici a strutture private fa a pugni, non solo con il dettato costituzionale, ma con il richiamo al rigore e ai sacrifici, che, continuamente, un giorno sì e l'altro pure, viene fatto da autorevoli esponenti di governo ai cittadini. Difficile capirla questa norma, così come è difficile, adesso, spiegarla agli italiani. Qualcuno del governo dia chiarimenti al riguardo! Non ci sono soldi per l'Università, che avrebbe bisogno, come hanno denunciato i Rettori, di 350 milioni di euro ed invece se ne ritrova solo 78, e per la Ricerca pubblica, cui, alla fine, sono stati concessi solo 20 milioni di euro grazie all'emendamento cosiddetto "Montalcini", e poi si finanzia l'università privata... mah, questo ci appare davvero una cosa inaccettabile!
Così come il Ministro Di Pietro ha chiesto a Prodi un'indagine interna all'Unione per capire come sia stato possibile collocare l'odiosa norma sulle prescrizioni ai reati contabili nella Finanziaria, allo stesso modo, adesso, noi chiediamo al Presidente del Consiglio di conoscere tutto il retroscena di questo intollerabile espediente, che mette sullo stesso piano i collegi universitari gestiti da privati con quelli pubblici. Come si concilia tale elargizione ai privati con il taglio alla scuola pubblica che, dal 2009, ammonterà a 1.402 milioni di euro? Perché questa forzatura? Vuoi vedere che per tenere calme e buone le gerarchie ecclesiastiche, troppo indispettite in questi ultimi tempi di dibattito interno all'Unione su coppie di fatto ed eutanasia, qualcuno ha pensato bene di somministrare un sedativo doppiamente tranquillizzate? E' proprio il caso di scriverlo: come dice il detto popolare "a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca".
100 milioni di euro? Molti erano i settori sociali ai quali potevano essere destinati. Non si capisce la ratio del perché, ad esempio, si è preferito mantenere i ticket al codice bianco del pronto soccorso, che andranno ad incidere sui portafogli dei cittadini, soprattutto di quelli meno abbienti, e poi si stanziano fondi per i collegi universitari privati.
Tutto questo poi, come se non bastasse, si aggiunge al malcelato fastidio nei confronti di chi, come noi, rivendica il rispetto del programma elettorale. Qualcuno non lo reputa ‘il vangelo', qualcun altro lo vorrebbe funzionale alla costruzione del Partito Democratico. Ma andando avanti così si rischia di far saltare la coalizione e si crea solo confusione nel popolo del centrosinistra, che ha dato mandato all'Unione di ‘cambiare passo' rispetto al disastro del centrodestra. C'è chi ci definisce, con spregio, gli ‘adoratori del programma'. Visto quello che è successo negli ultimi giorni la cosa ci inorgoglisce.
La "faccenda" inquietante di questa norma, infine, dimostra che è necessario riproporre con forza e determinazione una battaglia politica e culturale antica e tuttora moderna: quella per la laicità dello Stato.
* Presidente Gruppo PdCI Camera dei Deputati
Repubblica 21.12.06
L'amore e la pietà del figlio dell'uomo
di Eugenio Scalfari
La Natività di Gesù di Nazareth dispone gli animi (dovrebbe disporli) all´ascolto di se stessi e degli altri, sia da parte dei credenti nella sua origine divina sia da quanti lo considerano un figlio dell´uomo dotato di virtù profetiche sulle quali è stata costruita una delle grandi religioni, fondata sull´amore, sulla pace, sulla giustizia.
Non è dunque tempo di affrontare altri temi, che pure incalzano e preoccupano ma che riguardano il commercio degli interessi e la gestione del potere, fosse pure nel senso più alto e nobile e non sordido e ottuso come molte volte accade. Rinviamo perciò ad altre prossime occasioni questi argomenti e ascoltiamo invece ciò che la mente e il cuore ci suggeriscono su questioni che riguardano i rapporti tra le persone e tra queste e le istituzioni, la vita buona e la buona morte, la com-passione e la pietà. Gli spunti attuali non mancano ed anzi abbondano in un´epoca di contrasti, incertezze, paure, fobie e crescenti egoismi.
Mi hanno colpito in questi giorni due interventi che toccano tasti estremamente sensibili: un articolo di Claudio Magris sul "Corriere della Sera" del 18 dicembre, intitolato "L´ingerenza dell´ipocrisia" e una lettera a Welby scritta da Ignazio Marino, cardiochirurgo e presidente della commissione parlamentare della Sanità, pubblicata sulla "Repubblica" del 19. Di questo mi occuperò e dei complessi problemi che pongono alla nostra attenzione.
***
L´articolo di Magris mi ha lasciato assai perplesso. È la prima volta che mi accade; di solito condivido interamente i suoi pensieri. Questa volta no e mi è riuscito difficile anche cavarne un senso. Per chi non l´avesse letto cercherò di riassumerne le tesi.Comincia deplorando le ingerenze di chi - persona o istituzioni - invada campi altrui per imporvi il proprio dominio. E poiché l´oggetto dell´articolo riguarda il rapporto tra la Chiesa e lo Stato, fa proprio il motto evangelico del «date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Una regola perfettamente equilibrata nella forma come nella sostanza, ma talmente evocata e ripetuta da esser diventata luogo comune, interpretato e stiracchiato in tutte le direzioni fino a perdere ogni significato.
Lo stesso Magris del resto ne fornisce la prova quando osserva che la Chiesa ha diritto di sostenere in tutte le sedi l´etica che deriva dalla religione, aggiungendo che l´etica e la politica sono intimamente intrecciate tra loro sicché la Chiesa legittimamente finisce per entrare nel dibattito politico, nell´amministrazione della cosa pubblica e infine nell´attività legislativa, con tanti saluti alla teorica distinzione tra le competenze di Cesare e quelle di Dio.
Volete forse mettere il bavaglio al Papa e ai vescovi? si domanda e ci domanda Magris. Volete ridurli ad una qualsiasi associazione di bocciofili e di cacciatori? È mai possibile espellere la Chiesa dallo spazio pubblico che le spetta in materie come la bioetica, la fecondazione assistita, l´educazione dei bimbi e dei ragazzi, il finanziamento delle scuole cattoliche, il regime carcerario? Certo che no, nessuno pensa questo, caro Magris. Anzi. I laici, credenti e non credenti, hanno da tempo rinunciato a confinare la religione nello spazio privato. Non solo accettano ma addirittura incoraggiano la gerarchia ecclesiastica ad esprimere pubblicamente le sue convinzioni. Purché sia lasciata al laicato, cattolico e non cattolico, la piena autonomia e responsabilità dei comportamenti politici e legislativi. Si tratta di un´assurda pretesa? O non piuttosto del tentativo estremo di salvare almeno qualche lembo del mantello di Cesare, ormai ridotto a brandelli dalle martellanti ingerenze della "lobby" episcopale e vaticana?
Ma – incalza Magris – spesso accade che i laici rimproverino le ingerenze della Chiesa quando esse siano contrarie alla loro parte politica ma le approvino invece a gran voce quando l´ingerenza giochi a loro favore. Se si è contrari alle ingerenze, questa contrarietà va sostenuta sempre e comunque, indipendentemente dal contenuto.
Parole sante che personalmente condivido e che, per quanto mi riguarda, ho sempre applicato e sostenuto. Se non che Magris si impiglia in una esemplificazione assai poco pertinente a proposito del pacifismo. L´esempio addotto riguarda la guerra in Iraq, sia la prima che la seconda, entrambe deplorate da papa Wojtyla e poi da papa Ratzinger in nome della pace. La sinistra, ricorda Magris, plaudì alla posizione del Vaticano in difesa della pace ma sbagliò. In quel caso infatti il Vaticano si era ingerito indebitamente nel comportamento di governi sovrani e democratici che, magari sbagliando, avevano tuttavia legittimamente portato in guerra i loro paesi. La sinistra perse dunque l´occasione di criticare le ingerenze indebite.
Ecco dove il ragionamento mi sembra completamente sbagliato e fuorviante. La Chiesa predica la pace e si dichiara contro la guerra, specie se si tratti di guerra offensiva e non difensiva. Non si tratta d´una ingerenza ma di un diritto-dovere della religione e di chi la rappresenta. Caro Claudio, tu vorresti che la Chiesa si possa schierare contro una legge in favore per esempio dell´eutanasia, ma non tolleri che parli contro la guerra preventiva di George Bush e di Tony Blair. Quale coerenza è mai questa?
Ma tu, trasportato da una tua logica che a me risulta a questo punto incomprensibile, vai anche più oltre. Rievochi il (colpevole) silenzio di Pio XII sul nazismo e qualche (timida) protesta del Vaticano nei confronti della politica hitleriana e sostieni che pure quelle proteste, ancorché cautissime, erano un´ingerenza, anche se definita auspicabile, contro il governo legittimo della Germania. Qui proprio non ti capisco più.
Il finale di questo strano testo di Magris è invece condivisibile: sarebbe meglio se la Chiesa rinunciasse al Concordato per esser più libera di parlare di tutto senza più dover osservare la distinzione di competenza fra Cesare e Dio.
Giusto. Ma la Chiesa parla già di tutto e si tiene per sovramercato, ben stretta al suo Concordato per i vantaggi cospicui che esso le assicura. Allo stato dei fatti la formula cavouriana della libera Chiesa in libero Stato ha perso ogni significato come l´altro luogo comune di Cesare e Dio. Tutte le modeste difese poste dai Patti Lateranensi sono state smantellate da un pezzo. Quei Patti servono soltanto a garantire gli interessi finanziari della Santa Sede; il resto è silenzio.
Mentre scrivo queste note leggo un articolo di Galli Della Loggia sul "Corriere" del 20 dicembre, intitolato «Una società senza cattolici». Il testo svolge fedelmente il tema enunciato nel titolo, sostenendo che il dibattito culturale e politico in Italia è monopolizzato dai laici laicisti. A me pare incredibile che si possa stravolgere la realtà fino a questo punto. Ognuno ha diritto di dire la sua, naturalmente. Può un vecchio laicista deplorare tesi così lontane dai dati di fatto?
* * *
Vengo ora alla lettera a Welby, di Ignazio Marino. Qui la materia è ancor più sensibile e dolente perché si tratta della sofferenza d´un malato terminale che invoca la morte, chiede d´essere aiutato a morire e ottiene una risposta che dà i brividi.Ho vissuto in questi giorni un´esperienza dolorosa con la morte d´una persona a me carissima; ho assistito alla sua sofferenza. Mi sono venute in mente le parole di Giobbe:
«Pesate i miei spasimiEbbene, Marino riconosce che Welby, come qualunque malato terminale in preda ad una sofferenza atroce, ha il diritto di chiedere una morte assistita. Ma non si può, non c´è una legge che lo consenta. La deontologia medica – ricorda Marino – lo vieta perché il medico deve curare e mantenere in vita, non può e non deve curare la morte. Invita Welby a stringere i denti e andare avanti. Gli propone addirittura di accettare di esser sedato per quarantott´ore al fine di riacquistare le forze e poi, così rinforzato, riprendere a soffrire. Qualora il suo male diventasse ancor più doloroso e richiedesse nuovi interventi e qualora Welby, come suo diritto, li rifiutasse, lo avverte che i medici non potrebbero neanche in quel caso estremo procurargli una buona morte ma assisterebbero impotenti alla sua fine straziante pur di non interrompere "anzitempo" una vita.
E sul piatto mettete la mia cancrena
Peseranno più che le sabbie
Di tutti i mari
Perciò barcollano le mie parole».
Nelle stesse ore il Papa ribadiva, parlando ai giuristi cattolici, il fermo divieto all´eutanasia. C´è da giurare che il cosiddetto laicato cattolico impegnato politicamente farà rispettare in Parlamento i dettati vaticani.
Che dire di quella lettera a Welby dal presidente della commissione parlamentare Sanità, eletto nelle liste dell´Unione? Che dire della crudeltà mentale di cui è intrisa?
Le sofferenze di Welby e dei tanti che si trovano nelle sue condizioni pesano come la sabbia di tutti i mari. E le parole barcollano.
* * *
Gesù di Nazareth, figlio dell´uomo, fece risorgere Lazzaro dal sepolcro e sciolse le bende funebri che lo avvolgevano. La vita buona e la buona morte erano il messaggio che ha lasciato al mondo. Un messaggio di misericordia e di pietà. Accettò d´esser crocifisso affinché nessun altro uomo lo fosse, né nell´anima né nella carne.Noi vorremmo che il Papa parlasse di questo con parole d´amore e di pietà, non di divieto. Vorremmo che invitasse a sciogliere le bende di Welby e non che gliele stringesse intorno al corpo. Vorremmo che ricordasse dall´alto del suo magistero che Gesù di Nazareth profetizzò la resurrezione dei corpi, per dire che il corpo d´un uomo è sacro e dev´essere rispettato nella sua sacralità e dignità e non inchiodato ai suoi dolori. Vorremmo infine che fosse il capo d´una religione d´amore e non di un´ideologia che esalta il dolore inutile e dissacrante.
Noi non credenti a questo crediamo e per questo ci battiamo nei giorni della Natività di Gesù di Nazareth.
Repubblica 21.12.06
L'ansia di sentirsi normali
L'omosessualità oggi
di Luciana Sica
A lungo la psicoanalisi ha alimentato l'omofobia, ma ora nuovi studi cambiano la situazione Ne parliamo con due analisti
Lingiardi: "L'etichetta dell'immaturità come foglia di fico per coprire il pregiudizio"
Thanopulos: "Attenzione a non perdere di vista il senso profondo delle differenze"
Perché siamo eterosessuali, omosessuali o bisessuali, in realtà nessuno può dirlo, e chi presume di farlo è con tutta probabilità in preda a un delirio di onnipotenza. Nei gusti erotici c´è un po´ di tutto: storie individuali, desideri, tenerezze, tormenti, "affetti" che sfuggono alle spiegazioni generalizzanti, a quella tentazione di costruire delle gabbie identitarie basate su un modo ormai improponibile d´intendere la differenza tra i sessi - il maschile e il femminile come equivalenti di attivo e passivo - senza tenere in nessun conto la "varietà" sempre più vistosa nella declinazione dei generi.
A creare inquietudine sono ancora gli omosessuali - gli eterni "devianti" falsamente tollerati, prima schiacciati dalla vergogna e dallo scandalo, oggi dall´impossibilità di essere normali. La "patologizzazione" dei loro orientamenti è solo in parte una storia non edificante del passato, e per lungo tempo il mondo psicoanalitico non si è sottratto ad alimentare ondate a volte anche crudeli di omofobia.
Ma oggi, ci sarà ancora qualcuno che presuma di sapere come debba essere la sessualità di una persona normale? Su questo "punto", molto in odore di moralismo, interroghiamo Vittorio Lingiardi, psichiatra e analista di formazione junghiana, ordinario di Psicopatologia alla "Sapienza" di Roma. È lui a dire: «La psicoanalisi contemporanea è caratterizzata da un panorama teorico variegato e attraversato da domande senza risposta. Non sappiamo, per esempio, come le forze biologiche, le identificazioni, i fattori cognitivi, l´uso che il bambino fa della sessualità per risolvere i conflitti dello sviluppo, le pressioni culturali alla conformità e il bisogno di adattamento contribuiscano alla formazione del soggetto e alla costruzione della sua sessualità. Né sappiamo se sarà mai possibile rispondere a queste domande. Quello da cui sarebbe opportuno partire, sempre e comunque, è una declinazione plurale delle sessualità: poco alla volta è la tendenza che va prevalendo, seppure con qualche sacca di resistenza».
Si può anche dire che nel passato gli analisti siano stati più realisti del re. Di Freud, che più volte si è riferito all´omosessualità come a «un mistero» o anche a «un problema», e nella celebre Lettera a una madre americana scriveva: «l´omosessualità non è certo un vantaggio, ma non è nulla di vergognoso, non è un vizio, né una degradazione, e non può essere classificata come malattia: noi la consideriamo una variante della funzione sessuale causata da un certo arresto dello sviluppo sessuale». E senz´altro più conformisti di Jung, così attento ai percorsi simbolici della sessualità, che nella conferenza sul Problema amoroso dello studente pronunciò una sua celebre frase: «Non domandate mai che cosa uno faccia, bensì come lo fa».
Lingiardi: «Quando parliamo di "come sono" e di "come amano" gli uomini e le donne, ci troviamo inevitabilmente nel territorio della cultura, del resoconto e della lingua. La teoria psicoanalitica ha invece ecceduto nel generalizzare e universalizzare, presupponendo che mascolinità e femminilità fossero categorie anziché dimensioni. Per molti anni il discorso psicoanalitico sull´omosessualità ha riguardato la sua eziologia, riferibile a un arresto o a una regressione alla fase edipica o pre-edipica, ipotizzando l´esistenza di una linea di sviluppo che tendeva al raggiungimento di un culmine eterosessuale e assicurava la maturità e la salute mentale... È chiaro che l´etichetta dell´immaturità, come quella del narcisismo, per gli orientamenti omosessuali si è andata sempre più rivelando una foglia di fico pseudoscientifica usata per coprire il pregiudizio».
Del resto, quanto la psicoanalisi - la ricerca psicoanalitica - può non essere influenzata dai valori culturali dominanti, dallo spirito del tempo, quanto insomma può davvero sfuggire ai pregiudizi? Non si sottrae a questa domanda, che a noi sembra di buon senso e lui giudica "insidiosa", Sarantis Thanopulos, greco di origine, brillante cinquantenne della Società psicoanalitica italiana: «Il lavoro dell´analista è costruito attorno alla necessità di sospendere il suo giudizio per restituire la parola all´interiorità dei suoi pazienti: i cambiamenti nella società e nella cultura tendono a entrare nella psicoanalisi soprattutto attraverso i loro "casi". E poiché l´interiorità, in ognuno di noi, trova la sua dimensione più privata nelle sfasature con i tempi della vita, la psicoanalisi è dentro e fuori il suo tempo, rimane sempre "intempestiva". Del resto, se perfino le idee dei fisici e dei matematici sono in stretta correlazione con la cultura del loro tempo, come potrebbe la psicoanalisi essere immune ai mutamenti culturali, non esserne influenzata?».
Quello che invece Thanopulos esclude è un´assenza sospetta di "problematizzazione" quando si parla di sessualità in generale, e di omosessualità in particolare. Quel politically correct che tende a banalizzare, appiattire, e soprattutto dissimulare le diffidenze, il sarcasmo, certe forme più o meno sottili di rifiuto.
Dice: «Trovo infondata l´idea che l´erotismo omosessuale sia patologico, ma non mi sembra il caso d´impegnarsi a fare la conta tra gli "innovatori" e i "conservatori", perché in realtà ogni posizione è legittima e problematizza l´altra. Soprattutto non dimenticherei che un certo aspetto "eretico", una certa "devianza" dell´omosessualità ha sempre avuto una funzione molto importante: quella di destabilizzare lo statuto normativo della sessualità. Certo, non è possibile inchiodare eternamente gli omosessuali al polo trasgressivo della sessualità, ma bisogna stare attenti - nel passaggio verso la "normalizzazione"- a non perdere di vista il senso profondo delle differenze, a cancellare le tensioni che ci sono. Il nostro mondo interno è abitato da fantasie eterosessuali e omosessuali - per quella bisessualità psichica di cui parlava già Freud. Credo che smettere di promuovere questa dialettica dentro di noi, anche con i conflitti che comporta, sarebbe una semplificazione e un impoverimento della vita interiore».
Molto interessante è la posizione di Thanopulos su quella che definisce la componente omosessuale nelle relazioni tra uomo e donna, «laddove - si legge in Ipotesi gay - la differenza dei sessi è insieme desiderata e ripudiata». Qui spiega: «Lo statuto della sessualità è sempre antinomico perché l´incontro con un altro corpo consente sia di perdere sé stesso sia di ritrovarsi. È un´antinomia molto accentuata nell´adolescenza, perché la diversità dell´altro attrae, ma ferisce anche, rende vulnerabili, spaventa: la paura è quella di perdersi senza più ritrovarsi. Qui una corrente "omofilica" viene in soccorso dell´eterosessualità, perché smorza e insieme protegge l´incontro con l´altro sesso. Quando però nella vita adulta permane la ferita adolescenziale, nell´incontro erotico tra uomo e donna una certa componente omosessuale può dominare la scena».
Più in generale - dice Thanopulos - il vero rischio oggi «è la sempre più diffusa presenza di "autoerotismo" staccato dal resto della sessualità, che colpisce in egual misura relazioni omosessuali ed eterosessuali. In questa deriva, l´altro diventa uno strumento di piacere: non è più un soggetto, non è una persona intera e autonoma, in realtà non ti coinvolge, non può entrare nella tua vita».
Il vero spartiacque nella sessualità umana non sarebbe allora tra eterosessualità e omosessualità, ma piuttosto tra un autoerotismo di segno narcisistico e la capacità di riconoscimento profondo dell´altro: quella che gli analisti definiscono "scelta oggettuale" e noi, più semplicemente, diremmo: amare davvero qualcuno, uomo o donna che sia.
In ogni caso gli analisti di oggi sembrano ormai molto lontani dal considerare gli omosessuali come dei "malati". Magari un po´ perversi, compulsivi, immaturi, narcisisti, regressivi, forse sì, ancora. E purtroppo non può far testo la citazione di un grande come Christopher Bollas, che già nel ´92 scriveva: «ogni tentativo di costruire una teoria generale dell´omosessualità può essere soddisfatto solo al prezzo di gravi distorsioni delle discrete e importanti differenze tra omosessuali, atto che potrebbe costituire un "genocidio intellettuale"».
Come a dire: se spostiamo l´attenzione sulla qualità e le dinamiche delle relazioni, si può parlare ancora di omosessualità al singolare? Ci saranno gli omosessuali capaci di amare e quelli che ancora saltabeccano da un corpo all´altro, forse più disperati che "gai": in fondo, niente di così tanto diverso da quello che accade negli incontri raramente idilliaci degli eterosessuali, in tante loro storie non si sa se più aride o sgangherate.
il Riformista 21.12.06
Con Rodotà, Flamigni, Marramao
Una sola terra e un solo orizzonte, il Pse
E' nata la fondazione della sinistra Ds
di Ettore Colombo
Olof Palme, Francois Mitterrand e Willy Brandt a livello europeo. Antonio Gramsci, Riccardo Lombardi e i fratelli Carlo e Nello Rosselli in quello italiano. Pensatori come John Rawls, l'economista Amartya Sen ma soprattutto il sociologo Zygmunt Baumann e il pensatore francese Marc Augé (quello della teoria dei «non luoghi»), per non dire del «nuovo pensiero critico della globalizzazione nordamericano, del suo filone ecologista e della società dal lavoro sostenibile».
Eccolo, il pantheon della nuova sinistra interna ai Ds che ha già lanciato il suo manifesto, prima a Bruxelles e poi a Roma, ma anche e soprattutto una Fondazione («Una sola terra. Fondazione culturale per la democrazia e il socialismo») e che, presto, entro febbraio del 2007, sfornerà anche una rivista. Dal titolo, molto evocativo, Cercare ancora, che parafrasa un noto lead dell'economista Claudio Napoleoni, il quale - citando l'ultimo Heidegger che parlava di «fine della politica» nell'era contemporanea e secondo cui «solo un dio ci potrà salvare» - invitava a «cercare ancora», appunto, uno spazio politico e una progettualità sociale. Spazio (e progetto) che cerca anche l'ex correntone, oggi nuova sinistra Ds, stretto com'è tra la Scilla del Partito democratico - che ancora non c'è ma intorno a cui sono già iniziati i lavori per la rivista (Pd), la scuola di formazione politica e, come si sa, il «manifesto dei valori» - e la Cariddi del “Bertinotti pensiero”, nel cui bacino d'utenze, fatto da Prc e sinistra sparsa, si darà vita ad una vecchia/nuova rivista, Alternative, diretta dall'ex Dp Domenico Iervolino ma soprattutto a un think tank «per il socialismo» sotto i numi tutelari di Riccardo Lombardi e Lelio Basso e la direzione dello stesso presidente della Camera.
Saranno due, invece, i presidenti della Fondazione «Una sola terra» e di Cercare ancora, l'economista Paolo Leon e l'europarlamentare francese del Pse Martine Roure, ma uno solo il dioscuro (e il condirettore) politico, il ministro Fabio Mussi, anche se gli altri tre membri del quartetto di corrente di minoranza diessina (Cesare Salvi, Valdo Spini e Fulvia Bandoli) vi sono coinvolti a pieno titolo. Uno solo è anche il diessino che «tira le fila» di tanto lavorìo cultural-intellettuale, il vice responsabile nazionale dell'organizzazione della Quercia Gianni Zagato. Il quale, però, ci tiene a sottolineare, parlandone con il Riformista, che «non si tratta del cavallo di Troia della mozione di minoranza in vista del congresso. Un conto è la nostra battaglia politica per far cambiare direzione ai Ds, rispetto al Pd, un conto la necessità di ripensare il socialismo alla luce dei nuovi orizzonti del Pse: lavoro, laicità, diritti». Non a caso, nella Fondazione sono entrati anche nomi affatto scettici verso il Pd, come Laura Pennacchi, o super-partes come Stefano Rodotà, Carlo Flamigni (autore di quel «Manifesto dell'etica laica» che sarà presto ripubblicato) e Giacomo Marramao, mentre «ci stanno pensando» l'economista Luciano Gallino e lo storico Massimo Salvadori. Sono oltre una cinquantina, comunque, i nomi (tra loro filosofi, sociologi, storici, ma anche glottologi e fisici) finora coinvolti e tre i campi di lavoro: lavoro e lavori (in stretto legame con la Cgil, grazie al ruolo-cerniera di Paolo Nerozzi), diritti (con un forte accento sui temi della laicità, della ricerca scientifica e del confronto con fede e religione, al centro di diversi convegni che la Fondazione terrà a Genova, Napoli e Roma nei primi mesi del 2007), qualità della vita e sviluppo sostenibile. I rapporti con quanto si muove nella galassia del Pd (più dalle parti dell'Istituto Gramsci che della «Vedrò» di Enrico Letta o dell'«Ulibo» di Filippo Andreatta) come in quella della «destra» di Rifondazione («Uniti a sinistra» di Folena, che a sua volta sta pensando a una rivista, in collaborazione con l'Ars di Tortorella) saranno «a 360 gradi», spiega Zagato, che spera anche di «lanciare presto un appello per mettere attorno a un tavolo e far lavorare assieme le tante Fondazioni della sinistra, dalla Basso alla Di Vittorio alla Rosselli».
Certo è che la nuova sinistra Ds punta a ricollegarsi in modo sempre più stretto con il nuovo Pse, quello di Porto e delle sue nuove o rinnovate issues in nome del binomio mitterandiano «più Europa e più socialismo». Un politico-pensatore attento come Valdo Spini, animatore della Fondazione e dei Quaderni Rosselli invita però la sinistra bertinottiana «a non fare i conti solo con Lombardi e il suo socialismo autonomista, che va benissimo, ma anche col socialismo liberale posto in primis proprio dai fratelli Rosselli». In attesa che i rapporti con Bertinotti migliorino e stante che, per ora, l'orizzonte resta la Quercia, anche se «socialista all'europea e federata con la Margherita nell'Unione», Zagato punta tutto sui giovani: «Faremo anche noi una scuola di formazione permanente, a Orvieto, con tanto di lezioni live e su Internet, non per formare élites ma giovani appassionati di politica».