Repubblica 21.2.07
Il caso. Tre best seller all'opposizione nell'era del ritorno della fede
Liberi pensieri su dio
Perché scalano le classifiche libri sul pensiero dei non credenti
Quando l’ateismo diventa un bestseller
di Gabriele RomagnoliGli autori si permettono però un approccio meno rispettoso e criticano le ingerenze in campo socialeI libri di Richard Dawkins Sam Harris e Maurizio Ferraris non fanno propaganda all'ateismoIl nuovo culto del Mostruoso Spaghetto Volante è nato su InternetC'è sfiducia nel moderatismo e nel dialogo tra le fedi: due chimereUno è inglese e sta da quasi sei mesi nelle classifiche dei più venduti di mezzo mondo. Un altro americano e lo vedi in mano ai passeggeri di qualunque aeroporto. Un terzo italiano e circola sospinto da un passaparola. Sono tre libri:
The God delusion di Richard Dawkins,
Letter to a christian nation di Sam Harris e
Babbo Natale, Gesù adulto di Maurizio Ferraris. La loro diffusione è un caso editoriale, ma non è un caso dal punto di vista storico.
Nell'epoca del «ritorno della religione» stanno all'opposizione. Liquidarli come pubblicistica atea sarebbe grossolano. Leggendoli uno dopo l'altro si ricavano alcune considerazioni comuni. Almeno tre.
Quel che invece nessuno di loro cerca di fare (benché gli venga attribuito) è provare l'inesistenza di Dio. Non lo fanno perché sanno che è impossibile, come lo è per qualsiasi testo (anche sacro) provarne l'esistenza. Dio resta «un ottativo del cuore» (come lo definiva Feuerbach) o l'oggetto di una scommessa (come sosteneva Pascal). Quel che fronteggiano è la religione, fenomeno sempre più avulso dall'idea stessa di Dio, tant'è che alla domanda «In che cosa crede chi crede?» Ferraris, relativamente al mondo cristiano, non risponde: «In Dio», ma: «Nel Papa». E ora i tre punti comuni.
Il primo è che sia giunto il tempo di non avere più soggezione delle idee religiose. Dawkins in realtà usa la parola «rispetto», giudicandolo «immotivato». Nella sua prosa colorita scrive: «Se qualcuno sostiene che le tasse dovrebbero salire o scendere ti senti libero di litigarci. Ma se invece afferma che di sabato non si dovrebbe neppure fare il gesto di premere un interruttore gli dici: è un'opinione che rispetto». Perché la trovi sensata? No, perché la trovi religiosa. E dovrebbe bastare? Solo per via di quella «soggezione» che sarebbe ora di rimuovere.
Già nel suo precedente libro,
La fine della fede, Harris aveva scritto: «Usiamo molte parole per definire convinzioni irrazionali. Quando sono molte diffuse le chiamiamo "fedi" anziché "psicosi" o "illusioni". Chiaramente la sanità mentale è una questione di quantità».
Che cosa è successo? Perché un numero crescente di liberi pensatori si sente in dovere di contrastare non solo nel privato della propria mente, ma in pubblico, l'idea religiosa? La risposta è in cielo, per quanto vi sembri paradossale. Nel cielo sopra New York, mostrato nel trailer di un documentario prodotto da Channel Four e intitolato «La radice di ogni male?». Con una sovrascritta: «Immagina un mondo senza religione». Il punto è: in quell'azzurro svettavano (ancora) le Torri Gemelle. Perché rispetti l'idea religiosa (o ne hai soggezione) e ti trovi davanti a uno che alza il cartello «Decapitiamo chi dice che l'Islam è violenza» a una manifestazione originata da qualche vignetta che pochi hanno avuto, più che il coraggio, la lucidità di definire libera, ancorché non divertente, espressione. O a un Papa che si occupa (indirettamente) di Fiorello e direttamente delle leggi italiane sulla famiglia (ma non di quelle portoghesi sull'aborto).
«E' un'opinione che rispetto». Perché? Perché attiene alla fede. Ma solo alcune fedi ottengono quel rispetto. Come al solito il discrimine è la quantità delle persone coinvolte. Si rispetta chi crede (o dice di credere, o crede di credere) nella Santissima Trinità o nell'ascensione di Maometto al cielo su un cavallo bianco dallo stesso chilometro quadrato in cui Gesù fu deposto e il Tempio eretto, ma non gli adepti del Mostruoso Spaghetto Volante, culto nato su Internet, che pure ha un suo "vangelo" e ha già avuto il suo ineluttabile «scisma». Di quelli, e di qualche setta, purché lontana e purché non sia Scientology, fare dello spirito è, per ora, oltreché facile, consentito. Non se dovessero moltiplicarsi.
Comune a Dawkins, Harris e Ferraris è la sensazione che a non ottenere rispetto, benché numerosi, siano gli atei. Per esperienza recente riporto due esempi. Un fondamentalista islamico mi chiede: «Tu di che religione sei?». Rispondo: «Nessuna». «Allora non esisti», e si gira dall'altra parte.
Assisto alla discussione tra un ateo e un cattolico, entrambi in apparenza tolleranti. Il primo racconta di essersi sposato in chiesa. E perché mai? «Lei era cristiana, ho preferito entrare io piuttosto che far uscire lei». Il cattolico s'infuria sostenendo che il sacramento è stato «profanato». A continuare così, chi non crede sembra destinato ad accettare una situazione che pochi trovano ancora anormale. Quella in cui, come scrive Ferraris «I telegiornali ci danno notizie dell'avvenuto miracolo di San Gennaro con la stessa tranquilla sicurezza con cui parlano di incidenti stradali».
Il secondo punto è la sfiducia in due chimere: il moderatismo religioso e il dialogo tra fedi. Harris è logico e spietato: «O la Bibbia è un libro qualsiasi o non lo è. O Gesù era divino o non lo era. Se la Bibbia è un libro qualsiasi e Gesù un uomo comune, la dottrina cristiana è fasulla e chi la segue un illuso. O ha ragione lui o io. In mezzo non c'è nulla». La sensazione comune è che, come accade nei movimenti d'opinione, siano inevitabilmente destinate a prevalere le tesi più radicali e che per il liberalismo religioso non ci sarà spazio. Paradossalmente, ma non troppo, già questi atei lo disistimano, giacché il salto irrazionale che la fede impone non riescono a concepirlo se non completo. Chi l'ha fatto è finito su una sponda in cui se ne sta insieme con chi ha seguito lo stesso percorso. Due sponde sono come rette parallele e non s'incontrano mai. Di che cosa si può mai parlare nel dialogo interreligioso, si chiede Harris, se le fedi hanno punti di vista incompatibili e, per principio, immutabili? Perché dovremmo illuderci che si mettano d'accordo e cessino le guerre di religione camuffate da conflitti etnici o d'altra natura che insanguinano il nostro presente?
Il terzo punto è il più nevralgico, il più attuale e quello che più ci tocca: l'insofferenza per l'ingerenza della religione nella vita sociale, per la pretesa di regolare in suo nome e per conto la nascita, la morte e gli eventi principali che stanno tra l'una e l'altra, cominciando con l'unione di una coppia. Ovvero, come si può, sulla base dell'irrazionale, arrivare a delimitare il confine da cui comincia la vita? O a una fatwa che spiega come e dove baciare la moglie durante il ciclo mestruale? O a criticare il fondamento di una proposta di legge sui diritti delle coppie conviventi da sottoporre all'esame di un parlamento liberamente e (più o meno) razionalmente eletto? Perché quell'irrazionale ci renderebbe migliori, ci darebbe una morale evitando di sbranarci come bestie? Secondo Dawkins anche questa è un'illusione, finita per lui il 17 ottobre del 1969. In quella data nella religiosa città di Montreal, in Canada, la polizia scioperò. Il livello di crimini commessi in poche ore fu tale da richiedere l'intervento dell'esercito.
Scioperavano gli agenti nelle strade e anche Dio nelle coscienze?
Perché non validare allora il Supremo Divorzio? Quale? Quello proposto da un quarto libro, il più devastante di tutti, perché non scritto da un ateo e neppure da un agnostico, ma da un credente, addirittura l'ex vescovo di Edimburgo, Richard Holloway. Già il titolo
Godless morality (Una morale senza Dio) suggerisce all'uomo raffigurato in copertina, sperduto a un incrocio di strade, di tenere separate le due indicazioni, gli dice che non deve necessariamente credere per essere buono e, più avanti, che «la morale si basa su effetti dimostrati, non su convinzioni o superstizioni». Con estremo senso pratico l'ex vescovo scrive che «i vincitori non solo fanno la storia, tendono a fare anche la morale» e rivela che questa guerra delle idee rivestita di porpora è una qualsiasi guerra di potere.
Repubblica 21.2.07
Cristianesimo e diritti
di Umberto GalimbertiNell'attacco alle unioni civili, la Chiesa da un lato ribadisce con estrema coerenza la sua concezione che subordina la sfera politica alla destinazione ultraterrena che attende ogni individuo in ordine alla salvezza. E dall'altro, dopo aver rivendicato il primato dell'individuo sulla società, nella più perfetta incoerenza alla sua rivendicazione, non perde occasione di conculcare i diritti dell'individuo.
Il primato dell'individuo, infatti, era ignoto sia alla tradizione giudaica, dove l´alleanza era tra Dio e il suo popolo, sia all´altra fonte della cultura occidentale, la grecità, dove l´individuo era subordinato alla città (
pólis) e la sua autorealizzazione, nonché la conduzione di una "vita buona e felice", come dice Aristotele, non poteva avvenire se non nella relazione con i propri simili. Ne segue che le leggi della città realizzano, per gli antichi greci, non solo il bene comune, ma anche il bene individuale, non essendoci per l´individuo altra dimensione di autorealizzazione che non sia su questa terra e nella città.
Aristotele in proposito è chiarissimo: "In realtà le stesse cose sono le migliori e per l´individuo e per la comunità e sono queste che il legislatore deve infondere nell´animo degli uomini. [...] Gli uomini, infatti, hanno lo stesso fine sia collettivamente sia individualmente, e la stessa meta appartiene di necessità all´uomo migliore e alla costituzione migliore" (
Politica, 1333b-1334a).
Con l´avvento del cristianesimo l´individuo si separa dalla comunità perché alla sua "anima", in cui è stato posto il principio della sua individualità, si prospetta un destino ultraterreno in cui l´individuo, e non la comunità, trova la sua autorealizzazione. In questo modo la vita individuale si separa dalla vita politica, perché la felicità non è più pensata nel complesso della vita sociale, ma lungo quell´itinerario che approda al di là della vita terrena raggiungibile singolarmente e non comunitariamente.
La realizzazione del bene, e quindi la salvezza, è affidata all´uomo in quanto singolo individuo, mentre alla vita collettiva e politica è affidato il compito di creare le condizioni per la realizzazione del bene individuale, quindi il compito della limitazione del male. In questo modo la realizzazione individuale viene separata dalla realizzazione sociale e, in nome della sua interiorità e della sua destinazione ultraterrena, l´individuo cristiano prende a vivere separato nel mondo e poi dal mondo.
Perciò Agostino di Tagaste può dire: "Esistono due generi di società umane, che opportunamente potremmo chiamare, secondo le nostre Scritture, due città. L´una è formata dagli uomini che vogliono vivere secondo la carne, l´altra da quelli che vogliono vivere secondo lo spirito" (
La città di Dio, Libro XIV, § 1).
Da Agostino in poi la scissione tra individuo e società sarà il tratto caratteristico del cristianesimo, per il quale la salvezza e la conseguente felicità, oltre a non essere di questo mondo, possono essere conseguite a livello individuale e non collettivo. Ma allora, se la destinazione dell´individuo è ultraterrena, la sua esistenza, pur svolgendosi nel mondo, dovrà essere separata dal mondo, e il senso della sua vita privatizzato o spiritualizzato.
Si consuma così la separazione tra individuo e società. All´individuo il compito di conseguire la propria salvezza ultraterrena, alla società e a chi la governa il compito di ridurre gli ostacoli che si frappongono a questa realizzazione. Morale e politica, unificate nel pensiero greco, divaricano nel pensiero cristiano, perché la destinazione dell´individuo non ha più parentela con la destinazione della società.
Questa è la ragione per cui Rousseau scrive che "Il cristiano è un cattivo cittadino", e che la religione cristiana va superata con una religione civile capace di spostare l´asse di riferimento da Dio agli uomini: "Resta dunque la religione dell´uomo o il cristianesimo che, lungi dall´affezionare i cuori dei cittadini allo Stato, li distacca come da tutte le altre cose terrene. Non conosco nulla di più contrario allo spirito sociale. [...] Il cristianesimo è infatti una religione tutta spirituale, occupata unicamente dalle cose del cielo; la patria del cristiano non è di questo mondo" (
Il contratto sociale, Libro IV, capitolo VII).
Se il primato dell´individuo, che il cristianesimo e non altri ha introdotto nella cultura occidentale, è il principio che consente alla Chiesa di subordinare la politica alla propria visione del mondo, questo principio le si rivolta contro o nella versione religiosa del protestantesimo, dove ciascun individuo se la vede direttamente con Dio senza mediazione ecclesiastica, o nella versione laica, dove ciascun individuo se la vede con la propria coscienza, assumendo per intero le responsabilità che derivano dalle proprie scelte.
Assistiamo così a quello strano fenomeno per cui il principio cristiano del primato dell´individuo, utilizzato nei secoli dalla Chiesa per subordinare a sé la politica, oggi, a secolarizzazione avvenuta, diventa il principio che fonda il primato della politica su ogni ingerenza ecclesiastica.
Infatti, è per esercitare un proprio diritto individuale che chi non può generare per fecondazione naturale accede alla fecondazione assistita, chi non può più sopportare sofferenze intollerabili decide di porre fine ai suoi giorni, ed è sempre per esercitare un diritto individuale che chi non vuole contrarre matrimonio possa convivere con amore nel godimento dei diritti civili.
Il laico (parola che deriva dal greco
laikós che significa "ciò che è proprio del popolo") ringrazia il cristianesimo per aver introdotto nella nostra cultura il primato dell´individuo e, in coerenza, rivendica l´esercizio dei diritti individuali. In questa rivendicazione c´è il riconoscimento di fatto e di principio delle "radici cristiane" della cultura europea, per non dire occidentale. E chiede alla Chiesa di non conculcare questa radice su cui sono cresciuti i "diritti individuali" che caratterizzano la nostra cultura.
Repubblica 21.2.07
"Col Pd diventiamo tutti homeless"
Mussi rilancia l'unità a sinistra: insieme da Boselli a Bertinotti
di Umberto RossoNo ai trionfalismi. Elezioni vinte per un soffio, in molte zone siamo marginali. Dunque niente trionfalismiNuovo segretario. Io sono candidato contro Fassino, è giunto il momento di un nuovo leader. È legittimo o no?Il leader del correntone ds replica ai vertici del partito e difende il PseLe pressioni. La Zanotti non è una bugiarda. Le pressioni ci sono state davveroLa scissione. Lasciamo stare. Noi vogliamo fermare il treno del nuovo partitoROMA -
Ministro Mussi, Fassino le lancia un appello: abbassare i toni del congresso. Accolto?«Ho sempre usato toni rispettosi. Mi ha molto sorpreso perciò il rumore sollevato da una mia dichiarazione, perfino ovvia, e peraltro non nuova».
Occhetto spedito a casa, Fassino invece "in trionfo" quasi con gli stessi risultati. Insiste?.«L´Unione ha vinto le elezioni per un soffio, fortunatamente, e i Ds al Senato hanno preso il 17 virgola qualcosa. Al netto delle regioni rosse, in molte zone sono ridotti ad una forza marginale. Il trionfalismo non mi pare giustificato. Dovremmo occuparci molto di questo nostro partito, invece che di un improbabile nuovo esperimento».
Il Partito democratico.«Che ci lascerà homeless, senza casa, lontani dal socialismo europeo. Sento dire: il Pd andrà "oltre" il socialismo. Invece andrà solo fuori e indietro».
Comunque anche Occhetto ha protestato.«Mi ha telefonato, "oh Fabio, io ho lasciato il partito sopra il 20". Ha ragione, io parlavo del 16 per cento ottenuto nel ‘92, dopo il trauma della svolta. Ma Occhetto ha salvato la Quercia, l´ha sottratta alle macerie del muro di Berlino. Invece è stato trattato senza rispetto, per me è una ferita ancora aperta».
Però è come dire al segretario in carica: la porta è là.«Mi sono candidato al congresso in alternativa a Fassino, è arrivato il momento di un nuovo segretario e una nuova politica. Penso sia legittimo. O no?».
Onorevole Mussi, denunciate intimidazioni su chi sottoscrive la mozione del correntone. Dove è successo?«Pressioni, parliamo di pressioni. Ne ha riferito a Bologna l´onorevole Zanotti, e l´ho difesa: posso testimoniare che non è una bugiarda. Perché è accaduto lì ed è accaduto anche altrove. Non voglio enfatizzare più del necessario, ma fidatevi, purtroppo succede».
La segreteria ds sostiene che flirtate con Rifondazione, che preparate la scissione.«Lasciamo perdere. Noi piuttosto vogliamo vincere il congresso della Quercia, fermare il treno del Partito democratico. Ma che progetto è? Diciamolo: solo la fusione di Ds e Margherita. Punto. Blocchiamone la corsa prima che perfino dal lessico politico vengano cancellate le parole "sinistra" e "socialismo"».
E se non riuscite a fermarlo, il treno? Scendete giù?«Un passo alla volta. La nostra sfida per ora è la seguente. Nel momento in cui la sinistra in tutte le sue componenti si trova al governo, sulla base di un programma comune, maturano le condizioni per un atto politico nuovo. Per mettere insieme queste diverse anime della sinistra, quelle più radicali e quelle più legate alla tradizione. Senza abbandonare il solco del socialismo europeo».
Possibile far convivere tutti quanti, da Boselli e Bertinotti?«Non penso di contrapporre fusione a fusione. Penso che tutti debbano rimettersi in discussione».
Fassino punta tutto invece sul Pd.«Sono stato fra i fondatori dell´Ulivo, da capogruppo dei Ds lo difesi, anche quando D´Alema lo contestò a Gargonza e nei documenti congressuali del partito si faticava perfino a parlarne. Ma siamo partiti dal 44 per cento del ‘96 e siamo arrivati al 31, perdendo molti pezzi per strada, restando solo noi e la Margherita. La spinta non c´è. Fra Ds e Margherita è possibile ed è giusto un rapporto di coalizione, non un matrimonio».
Ma è pronto il manifesto dei valori del nuovo partito.«Grandi acrobazie dialettiche. La sostanza è: il Pd non sta nel Pse. Del resto, già è successo che gli europarlamentari eletti con l´Ulivo si siano divisi. Ds nel Pse, dielle nei liberaldemocratici. Con un paradosso. Quando i diessini si sono dimessi, il loro posto l´hanno preso esponenti della Margherita, a Strasburgo finiti nel gruppo di centro. Risultato: con la lista unica dell´Ulivo abbiamo indebolito il Pse. E temo succederà ancora».
Repubblica 21.2.07
Il partito democratico
di Michele SerraQuello che avevo capito, del Partito democratico, era che intendeva semplificare la politica italiana accorpandone almeno alcune componenti. Ottima intenzione. Ma dal garbuglio di parole che si legge sui giornali, l´unica certezza è che la sinistra-sinistra, cioè quella nebulosa di partiti, componenti e correnti che si richiamano alla tradizione di classe, vede il progetto come il fumo negli occhi. Lo giudica una svolta moderata, punto e basta.
Lo scenario futuro, a quanto si può capire, prevede dunque infinite repliche degli attuali dissidi: da una parte un Pd moderato e governativo (e magari litigioso al suo interno…), dall´altra la sinistra antagonista o radicale che dir si voglia. In disaccordo su quasi tutto: Tav, basi Nato, politica estera, legge Biagi eccetera. La domanda ovvia di un elettore di centrosinistra, dunque, non può che essere questa: ma a che serve fare un nuovo partito se è destinato a replicare le vecchie, acide, inconcludenti divisioni della sinistra italiana? A meno che sia già stato messo in preventivo un utile, riposante congelamento della strategia politica, delle decisioni importanti, delle scelte di fondo, grazie a un nuovo, riposante periodo di opposizione. Ci si ritempra, a non governare. E si invecchia serenamente.
La Stampa 21.2.07
Madri Assassine
Il silenzio della signora specie
di Stefania MirettiE’ di nuovo Emergenza Madri Assassine e si potrebbe fare qui il riepilogo delle cose già dette, tutte sensate. Compilare l’ennesimo elenco dei «problemi», con relative «giustificazioni», che oggi come oggi e sempre più frequentemente pare (per quel che valgono le statistiche, siamo nei paraggi di un bel +40% in dieci anni) mettono una donna nella condizione di tagliare la gola al figlio neonato - con le macabre varianti che sappiamo, dal pupo in lavatrice alla pupa finita con un calcio - o anche solo, nei casi più lievi, di cacciare di casa un bambino di otto anni perché disturba: solitudine, isolamento, stress, ansia da prestazione, egoismo proprio o altrui, depressione, incapacità di sacrificarsi, perfezionismo, logorio della vita moderna.
E però, da donna e da madre: non serve. O più ottimisticamente, non basta. Non basta a spiegare come mai siamo sempre meno capaci di vedere il limite che a tutte è capitato di costeggiare, a una certa vaga ma ragionevole distanza, nella propria carriera di madre: quando quel bambino che strilla, t’impedisce di riposare la notte o magari di andare in vacanza alle Maldive, prende per un attimo le sembianze del nemico che, in effetti, un po’ è. Ma anche - e per fortuna è la casistica più significativa - quando quel bambino diventa il centro del mondo, qualcuno da accudire e coltivare e soddisfare al di là del possibile e del necessario: e a saltare allora non è l’istinto materno, ma quello di auto-conservazione
E’ vero, le mamme fanno fatica e ci vorrebbero politiche sociali mirate, più posti negli asili e più sensibilità nei luoghi di lavoro; ci vorrebbero padri migliori, nonni meno moderni, vicini di casa generosi, contesti sociali meno degradati e modelli di felicità esistenziale meno fasulli e cinici. Ma non è solo una questione di Welfare e di programmi tv, purtroppo.
Una donna che uccide suo figlio, sosteneva Lombroso, è un errore della natura. Già: ma noi siamo ancora agiti dalla natura e soggetti alle sue leggi? La sentiamo, riusciamo ancora a sentirla la voce della Signora Specie, quando ci parla? E’ questa la domanda più spaventosa, perché veramente «al buio», che ci chiama in causa non solo come categorie di persone sottoposte a specifiche emergenze - gli adolescenti bulli, i vicini di casa killer e, purtroppo, le mamme assassine - ma come esseri umani. Eppure, tra la ricerca di una nuova cura per la depressione post-partum e una legge che allunghi l’orario dei nidi, bisognerà pur pensarci, prima o poi.
l’Unità 21.2.07
Annunziata presenta il suo libro con Mieli, Negri e Deaglio
Ti ricordi il ’77? Università, fabbriche
e quel mistero chiamato computer
di Luigina VenturelliL’occasione farebbe pensare ad un amarcord, ad un dibattito vagamente nostalgico sulla stagione più turbolenta della vita politica italiana. Si parla di «1977 L’ultima foto di famiglia», il libro scritto da Lucia Annunziata sull’anno in cui il Paese esplose in migliaia di scontri di piazza, infrangendo per sempre l’immagine di una sinistra tutta unita dal Pci ai movimenti radicali.
Invece il dibattito alla Casa della Cultura di Milano non può che animarsi d’attualità, visto che i protagonisti di ieri sono rimasti quelli di oggi: insieme all’autrice ci sono infatti Toni Negri (allora tra i fondatori di Potere Operaio, diventato un’icona new global con il saggio di filosofia politica Impero), Paolo Mieli (ex militante di Potere Operaio, ora direttore del Corriere della Sera) ed Enrico Deaglio (ex dirigente di Lotta Continua, adesso direttore del settimanale Diario).
È proprio Deaglio a sottolineare corsi e ricorsi della storia: «Le istanze del magmatico movimento universitario del ‘77 sono ancora attualissime. Sono le stesse istanze su cui oggi si fa una piattaforma per essere eletti presidenti del Consiglio: coppie di fatto, riforma delle università, energie alternative. Ieri facevano grande scandalo, oggi sono il nostro pane quotidiano».
Gli eventi del ‘77, dunque, continuano a farsi sentire: «Quell’anno ha seminato e dato frutti duraturi - rileva Mieli - positivi e negativi. Mentre il ‘68 è stato riducibile a qualcosa che già esisteva, vale a dire la sinistra tradizionale, il ‘77 ha mostrato l’irriducibilità di massa. Per la prima volta emerse ciò che ancora oggi si definisce per comodità autonomia e autonomi». Fenomeni «che si ripresentano anche nel 2007 non inquadrabili nella sinistra organizzata e che comportano quindi la possibilità di uno scontro con essa. Gli irriducibili e gli indomabili - conclude il direttore del Corsera - non sono mai più stati ridotti né domati».
Ancora più definitiva la rivoluzione che, secondo Negri, il ‘77 portò nella vita politica e sociale italiana: «Allora si consumò la fine della grande fabbrica, un evento di enorme portata, di cui il grande partito comunista non si accorse per nulla. Solo pochi anni dopo l’informatica avrebbe infatti cambiato per sempre l’organizzazione del lavoro, con effetti rivoluzionari anche in campo sociale».
Secondo il filosofo che ha teorizzato l’esistenza di un nuovo impero senza confini territoriali, nato con la globalizzazione e la informatizzazione, «allora si compì lo scivolamento della lotta di fabbrica al di fuori della lotta di classe, allora si formarono nuove sensibilità e nuovi modi di vita».
Repubblica Genova 21.2.07
Europa e Islam, poi conferenza spettacolo al Ducale
Antigone secondo Cacciari il mito, la tragedia e l'oggi
di Margherita Rubino"Antigone. Lo stato e l'individuo" è il titolo della lezione che Massimo Cacciari tiene alle 20.30 a Palazzo Ducale, in chiusura del ciclo "Teatro e filosofia", con letture degli attori Luca Bizzarri, Lisa Galantini e Elisabetta Pozzi. Introducono gli organizzatori del ciclo, Luca Borzani e Savina Scerni.
L'evento sarà preceduto alle 17.30 al Jolly Hotel Plaza da una conversazione su "Islam e Occidente" con l'associazione "L'Europa che vogliamo".
Antigone di Sofocle è la ragazza che ha detto "no". Dodici negazioni, in lingua greca, nei dodici versi-chiave della tragedia, quelli in cui la piccola ribelle nega obbedienza alle leggi scritte dello Stato, ritenendo più alte e più degne di obbedienza le leggi, non scritte, della coscienza individuale e della religiosità. Lei vuole seppellire il fratello, ucciso mentre assaliva la città, il tiranno le oppone i propri decreti, dice che "il nemico resta nemico anche quando è morto". Lei, arrestata, muore, lui esce distrutto.
Forse proprio in questa capacità di assoluto, che impedisce di venire a patti, sta il magnetismo esercitato dall'eroina greca su Massimo Cacciari: da oltre vent'anni il filosofo scrive di Antigone: da quando, nel 1985, il suo articolo Perché Antigone inaugurava la rivista Antigone. Bimestrale di critica dell'emergenza, voluta da Rossana Rossanda (e con, tra gli altri, Carol Beebe Tarantelli, Luigi Manconi, Marco Lombardo Radice, Gianni Baget Bozzo). Poi un saggio, lezioni e dibattiti, fino alla traduzione, oggi, per Einaudi, dell´intera tragedia, allestita dallo Stabile di Torino.
Antigone, dunque, è "ricorrente" non solo nel teatro, nella giurisprudenza, nelle arti, e oggi su internet, da 2500 anni. Ricorre pure, e diversamente, nella attività di uno stesso scrittore (Rossanda 1979, 1987, 2002). Per Cacciari, nei primi anni Ottanta, era il segno della capacità di agire, il dran greco, a cui tutti dovremmo essere pronti, sempre: mentre l´Italia, dopo gli anni Sessanta, non si era mostrata pronta, non aveva deciso. Dopo il decennio degli "anni di piombo", il filosofo veneziano assumeva dunque la problematicità della tragedia di Sofocle come simbolo dei momenti di passaggio della vita di un paese. Oggi ne studia il linguaggio, ne traduce la parola, che definisce dotata di una energia originaria, mortale, capace di uccidere. Dai conflitti e dagli scontri verbali del testo greco Cacciari, oggi, trae la definizione totalizzante di "inesausto agonismo" della pièce antica e della sua protagonista. È una definizione di sintetica e giusta rilevanza. La tragicità di Antigone di Sofocle non sta tanto nella radicale opposizione di due persone che sono portatori di due principi opposti: di qua la legge dello stato, storica, mutevole, la legge positiva della moderna giurisprudenza; di là la legge della pietà e della coscienza, non scritta, eterna, la legge naturale. La tragicità del testo mandato in scena ad Atene nel 442 a.Ch. sta nella irresolubilità del conflitto. Chi ha ragione? Creonte che deve fare rispettare le leggi a tutti, parenti compresi? O Antigone che ha come dovere supremo, dovere del sangue e dell'anima, quello di seppellire il fratello?
La Stampa 21.2.07
Massimo Cacciari: "Il manifesto del nuovo partito? Orripilante"
Il sindaco di Venezia boccia il programma-base del Pd
di Marco CastelnuovoSindaco Cacciari, è il grande giorno. Oggi si vota sulla politica estera e l’Unione rischia di non avere numeri sufficienti. È preoccupato? «Come posso non esserlo?»
La politica estera che pure era stata terreno di intesa tra le varie anime dell’Unione sul Libano, rischia ora di dividere.«Ma l’Unione è già divisa. È divisa su tutto!»
«Niente maggioranza e si va a casa», dice D’Alema. La coalizione è già alla frutta?«Vede, all’Unione manca un partito, o meglio un centro politico egemone e in grado di mantenere la rotta. La casa delle Libertà questo centro l’aveva trovato. Era debolissimo perché riassunto in una sola persona, Silvio Berlusconi, ma almeno ce l’aveva. Noi no».
E quindi?«Quindi, per forza, ogni volta si rischia di andare sotto. Manca la forza centrale attorno cui tutto ruota. Una forza obiettivamente egemone nell’ambito della coalizione. In Germania, l’Spd si può alleare con i Verdi perché le forze tra loro sono molto diverse. In Italia, a prescindere dalle ideologie e dalle differenze di contenuto dei partiti, è chiaro che esistendo solo forze più o meno equivalenti, non è possibile esercitare una forza egemone nella coalizione».
Per questo nascerà il partito democratico?«È evidente».
Beh, allora ci siamo. Pronto il manifesto, convocati i congressi di Ds e Margherita, Il Partito democratico è pronto a nascere.«Per carità. Il manifesto....»
Cos’ha che non va?«È completamente deludente. Non siamo nemmeno ai livelli minimi attesi. A tutto serve meno che a delineare una nuova forza politica pronta per le sfide che ci attendono nel futuro».
Cosa non la convince?«Ma l’ha letto? Non vede che è completamente bloccato, compromesso e preoccupato dalla damnatio memoriae dell’una e dell’altra parte? Non ha riferimenti alla storia politica, non contiene critiche al passato, non ha proposte nuove e concrete istituzionali e sociali. Ma a cosa serve un manifesto se non analizza il passato e non getta le basi per il futuro?»
Beh, contiene riferimenti ai valori...«Ecco appunto. È un generico solidarismo e buonismo alla Veltroni senza avere la capacità retorica e di comunicazione di Walter».
Neanche la retorica salva?«Guardi è un testo letterariamente orripilante e di contenuti zero».
Antonio Polito, sul Foglio di ieri, sostiene che manchi un’ideologia sottostante.«Ma per fortuna! Cosa voleva anche l’ideologia? Ce n’è fin troppo di zucchero, ci son troppe caramelle sparse qua e là nel documento. Meglio così, altroché ideologie».
Anche lei crede che manchi un’idea forte che giustifichi la nascita di un nuovo partito, come ha recentemente sostenuto Maurizio Ferrera su Europa?«Sono stufo di urlare ai quattro venti. Anche all'inaugurazione della terza edizione del Centro di formazione politica di Milano, abbiamo discusso con Panebianco su Partito democratico e leadership forte. Da qui dobbiamo partire, non pensare ai compromessi e al bilancino».
Ma lei le ha dette queste cose ai saggi che hanno stilato il manifesto?«Senta, non possiamo perderci in mille discussioni. Facciano il Partito democratico al più presto possibile e poi vedremo di riempirlo di contenuti».
Ma se queste, per lei, sono le basi, non è molto augurante per gli elettori...«La mia ultima, estrema speranza è che la tribù degli ex Fgci e la tribù dei prodiani riescano a fare il Partito democratico».
Sempre e comunque?«Certo».
Altrimenti?«Altrimenti si muore. Così invece corriamo solo il rischio di fare qualcosa di maldestro. Rimanendo fermi saremo costretti alla morte politica».
Come giudica la posizione assunta dal governo sulle unioni di fatto?«Non entro nel merito, ma tatticamente mi è sembrata una mossa azzardata».
Perché?«Io davvero non capisco quale demone perverso abbia consigliato all’Unione di impelagarsi nei problemi etici e di famiglia».
Non se ne doveva occupare?«Tutt’altro. Ma un tema di questo genere va avviato attraverso un dibattito parlamentare, dal quale ne uscirà una legge di iniziativa parlamentare, non di governo».
Questo per non far precipitare i rapporti con la Chiesa?«Ma no, ma no! I rapporti tra Stato e Chiesa sono difficili e lo saranno sempre di più specie nei Paesi occidentali, al di là della legge sulle unioni di fatto. Stanno venendo al pettine nodi storici che renderanno sempre più difficile questo rapporto».
C’è chi nell’Unione vorrebbe abolire il Concordato.«Ma non c’entra nulla il Concordato. Non sono questioni tecnico-logistiche, ma veri e propri dilemmi dottrinali. Per questo diverranno sempre più tesi i rapporti tra Stato e Chiesa».
E come potranno essere allentati?«Ci vuole un franco e mutuo rispetto, riconoscimento e conoscenza, altrimenti si è destinati all’inimicizia. Bisogna ripartire dalla “Gaudium et Spes”: Rispetto, ma autonomia e indipendenza del potere politico».
Ma come si costruisce questo rispetto?«Vede, verso la Chiesa ci sono sensibilità diverse. Ma anche nella stessa Chiesa nei confronti dello Stato. All’interno dell’una e dell’altro ci sono persone che obiettivamente, oggettivamente esasperano questi rapporti. Per storia, valori, cultura. Non ci si può fare nulla».
Per cui saremo destinati a rapporti sempre più tesi?«Diciamo che se ci fossero persone con la sensibilità di Napolitano da una parte e del Cardinal Martini dall’altra, tutto sarebbe più facile».