Repubblica 8.3.07
Esce "L’uomo delle contraddizioni" di Luigi Filippo d’Amico
Il cuore di Pirandello
Le figure femminili della sua vita
di Alessandra RotaMarta Abba sulla spiaggia di Castiglioncello indossava uno scandaloso due pezzi, addirittura leopardato, mentre tutta l´intellighenzia che allora popolava i bagni si interrogava sulla natura del rapporto tra lei, assai giovane, e il sessantenne Luigi Pirandello dal grande cappello bianco. Non è certo un libro di gossip quello che Luigi Filippo d´Amico ha pubblicato per Sellerio (
L'uomo delle contraddizioni, Pirandello visto da vicino, pagg. 175, euro 10). Con grande delicatezza lo sceneggiatore, pittore, regista (
Bravissimo, San Pasquale Baylonne, L´arbitro, Amore e ginnastica, l´episodio di Gugliemo il dentone nei Complessi...) racconta tante piccole storie private del drammaturgo siciliano, legate indissolubilmente ai suoi capolavori. D´Amico è stato un osservatore privilegiato: fin da bambino la sua famiglia tramite gli zii Alberto Cecchi, Antonio Baldini, Silvio d´Amico era legata ai Pirandello e lui stesso ha sposato una delle due figlie di Lietta. La suocera era una miniera di particolari, un archivio della memoria importante quanto la passione (e la conoscenza) che Luigi Filippo d´Amico ha per l´opera del nonno di sua moglie. Ed è proprio la passione, il suo pulsare quasi sempre doloroso, che lega gli episodi, spesso inediti, riportati da Luigi Filippo d´Amico e che si ritrova in tutti i romanzi, i drammi, le novelle. Sentimenti forti, carnali, "repressi" da una rigida cortina di pudore che hanno avuto il loro unico sfogo nelle creature inventate. E d´Amico, attraversando la parabola letteraria e personale del premio Nobel - i suoi continui disagi economici, il difficile rapporto con la politica, con il cinema, con i capocomici, i soggiorni all´estero, gli insuccessi prima e poi la gloria internazionale - ripropone tante figure femminili vere o di "carta" che hanno segnato la vita di Pirandello a cominciare dalla consorte, Antonietta, malata di mente che comprometterà per sempre il suo rapporto con le donne ("Una volta accompagnai mia moglie a visitare la nonna ricoverata in casa di salute. Indossava un vestito nero, accurato, con merlettini bianchi alle maniche e un cappello... Pronta - dicevano la monache - ogni giorno nell´attesa che Luigi venisse a riprenderla. In terra, infatti, vidi una valigia"). Ecco le allieve del Magistero dove Pirandello insegnava: «tra le scolare, faceva strage... Ci voleva tutto il riserbo, la serietà dell´uomo, il suo senso di responsabilità, perché quella lezione non si trasformasse in una corte d´amore».
Ecco Marta Abba: «Nell´estate del´32 non avevo ancora otto anni e mi innamorai di lei» scrive d´Amico «Fui sedotto da un odore - così diverso da quello di mia madre e delle mie sorelle - che gli olii solari non annullavano del tutto (è l´odore, pensai, delle vere donne)». Quando la conobbe il Maestro aveva già chiuso da anni i suoi rapporti con l´altro sesso; ne fu travolto ma «quasi fosse un padre, in un testamento olografo istituisce la Abba erede per un sesto, oltre ai diritti delle opere scritte da lei».
In Diana e la Tuda Pirandello - sottolinea d´Amico - inserisce uno scoperto richiamo, anche se probabilmente solo vagheggiato, ai suoi rapporti con la Abba e «in una lettera del 1926 indirizzata alla diva, allude ad una "atroce notte" a lei ben nota (erano a Como per una recita); ancora una volta aveva pensato al suicidio, ma: la coscienza dettava l´ordine imperioso di scrivere». Chissà se il drammaturgo aveva considerato "atroce" l´offrirsi di una giovane donna a un vecchio o, al contrario, quell´atroce poteva riferirsi a lui che aveva insidiato Marta. L´attrice comunque sposò nel 1938 un milionario di Cleveland, chiedendo, e ottenendo, poco dopo un redditizio divorzio.
il Riformista 8.3.07
Sinistra. Un vasto orizzonte da Bertinoro al sindacato
Bertinotti guarda a tutti e sogna la grande ricomposizionePer ora nel corpo del partito se ne parla poco. Lo strappo è troppo evidente. Ma nell’intervista su Liberazione del 26 febbraio Bertinotti ha riconosciuto la necessità, da parte della sinistra, di raggiungere una «massa critica» che oggi non c’è. Che fare allora? «Ricostruire una cultura politica e una cultura politica di sinistra». «Bisogna sganciarsi da quello che è stato fatto prevalentemente fin qui. Cioè l’ingegneria organizzativa dei partiti». Non scherzava.Il 4 marzo è tornato sull’argomento in un’intervista alla Stampa: «Non penso ai comunisti con i comunisti, i socialisti con i socialisti, i verdi con i verdi, i cattolici democratici con i cattolici democratici. Ma a tutti con tutti». Insomma, ha sparigliato, facendo cadere nell’oblio la sua stessa creatura, Sinistra Europea, che - sembra di capire - rimarrebbe solo come una matrioska del Prc. D’altra parte la costruzione di Sinistra Europea ha dato fino a oggi esiti deludenti, limitandosi all’assemblaggio di qualche associazione e di alcune personalità. Eppure l’operazione Bertinotti ha avuto un risultato immediato: far uscire il partito dall’isolamento dopo la mini-crisi di governo e il caso Turigliatto. Bertinotti si propone di verificare se c’è «un destino comune» a sinistra, e invita alla discussione di «tutti con tutti». Già. Ma tutti chi? Non è interessato all’«unità dei comunisti». Il che ridimensiona la sua stretta di mano con Diliberto. Guarda in primo luogo a Mussi e Salvi che, pur dichiarandosi indisponibili a fare la sinistra del Partito democratico, mantengono un prudente (e comprensibile) riserbo sulle prospettive. Guarda poi a Bertinoro. E guarda, infine, ai variegati spezzoni sociali - con particolare attenzione al sindacato - organizzati e no, cattolici e laici, che nell’attuale nomenclatura politica proprio non si ritrovano, e che aspettano (o lavorano per) una costituente della sinistra unita e rinnovata. A questo punti i cerchi dei vari sassi nello stagno cominciano a intrecciarsi: l’area che fa capo a Rifondazione, la Sinistra Ds, la diaspora socialista, l’arcipelago sociale. D’altra parte qualsiasi riforma elettorale, a cominciare dal sistema tedesco proposto da Bertinotti, obbliga le forze minori a darsi una regolata. Non paga più l’apologia del simbolo, né la coppia esistenza-resistenza su cui i piccoli partiti hanno sacrificato qualsiasi propensione egemonica. E inoltre il modo di formazione del Partito democratico evoca sempre più forze in libera uscita.È dura, dopo la scomparsa della falce e martello, l’ostentazione del cilicio della Binetti. È ancor più dura la scelta di Rutelli per Francois Bayrou contro la povera Ségolène. Per non parlare dell’adesione al Pse:«Non se ne parla nemmeno», ha tagliato corto il “bello guaglione”. Insomma, serpeggia nella sinistra italiana l’idea che forse ci sono le condizioni per cominciare a invertire la tendenza: dalla frantumazione alla ricomposizione. Sullo sfondo si intravede un’operazione da 1892. Leghe, società di mutuo soccorso, fasci operai, aggregazioni politiche, intellettuali. Un crogiuolo. E poi il partito. Per ora Bertinotti ha mosso il cavallo. Si vedranno le mosse degli altri. Purché nessuno faccia l’arrocco. Oggi, nell’accelerazione dei processi politici, sarebbe la mossa perdente.
il Riformista 8.3.07
L'Unità in sciopero
«Non fateci diventare un secondo giornale»
di Fabrizio d'Esposito «Care lettrici e cari lettori domani, 8 marzo-Festa della donna, non troverete
l'Unità in edicola. Un giorno in cui volevamo esserci, non ci saremo». Ieri mattina a pagina quattro, incorniciato da un fascione nero a dire il vero più da necrologio che da comunicato sindacale, i cinquantamila e passa lettori del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e finanziato dai parlamentari Ds hanno trovato un drammatico testo sul futuro del loro giornale. A firmarlo «le redattrici e i redattori dell'
Unità» che, dopo aver chiarito che «questo è un appello che non avremmo voluto scrivere», annunciano la decisione di scioperare e non essere in edicola oggi. Il motivo è lo stesso che da mesi preoccupa i giornalisti dell'
Unità e che a poco a poco ha trascinato la redazione a uno scontro duro con la proprietà, rappresentata da Marialina Marcucci, presidente del consiglio di amministrazione della Nie. Ovvero, il misterioso piano di ristrutturazione che in teoria dovrebbe rilanciare il giornale.
In realtà, l'assemblea di redazione teme che il progetto, da tempo annunciato e mai svelato dalla Marcucci, nasconda una mutazione genetica dell'
Unità ritenuta letale: «da primo giornale autorevole così come è oggi» a foglio di analisi e di opinioni che integri la lettura dei quotidiani generalisti. Non solo: una svolta del genere sarebbe accompagnata dal taglio di un giorno settimanale di uscita, in questo caso il lunedì, che influirebbe non poco sul prestigio del quotidiano, oltre che sugli stipendi già non particolarmente lauti dei redattori. Sullo sfondo, infine, un atroce retropensiero: il sospetto che il ridimensionamento spiani la strada, in vista del Partito democratico, a un'eventuale fusione coi giovani cuginetti di
Europa, il quotidiano della Margherita. Di qui lo scontro sempre più violento con la Nie (che sta per Nuova iniziativa editoriale) culminato con la decisione di scioperare quando l'assemblea di redazione, al termine di una riunione lunga e accesa, ha chiesto invano alla proprietà di pubblicare a pagamento e a tutta pagina il testo dell'appello sottoscritto dai giornalisti. La Marcucci, infatti, ha rifiutato l'inserzione e il documento è uscito ieri con la dicitura comunicato sindacale.
La decisione di scioperare ha però fatto arrabbiare e di molto anche, tanto è vero che il verbo usato è «incazzare», i vertici della Quercia, che in questa battaglia, anche se non lo dicono apertamente, propendono per Marcucci, di cui tra l'altro ieri sarebbe dovuta uscire una lettera di chiarimento bloccata però all'ultimo momento dal cda della Nie. Perché? Sarebbe stato proprio il mistero sui motivi del blocco a far precipitare la situazione verso lo sciopero. Tornando ai ds, la rabbia riguarda innanzitutto il giorno scelto, l'8 marzo, una data in cui grazie alla diffusione militante il numero di copie vendute aumenta vertiginosamente. In pratica, dicono, uno schiaffo simbolico anche agli sforzi del partito che proprio recentemente ha sottoscritto seimila abbonamenti per altrettanti segretari di sezione. Poi c'è la questione dell'appello. Questa, allora, la versione che trapela dal Botteghino: «Quello che è successo è incomprensibile. Non si è mai visto uno sciopero basato solo su voci e nulla di certo. Nella redazione dell'
Unità si è innescata una bizzarra dinamica che ha condotto a un'inutile fuga in avanti. In realtà, la stessa Marcucci ha chiarito col cdr che non c'è alcuna volontà di ridimensionare il giornale. Il piano industriale che è allo studio di una società di valutazione prevede un rilancio dell'
Unità, non altro. Il resto sono solo equivoci».
E che tutto sia scaturito da «equivoci e fraintendimenti» tra redazione e proprietà lo dice anche il direttore Antonio Padellaro, che dopo i fasti del colombismo ha raddrizzato la linea politica del quotidiano, se non altro indirizzandola verso i lidi del Partito democratico. Ieri Padellaro era da solo in redazione a fare il suo lavoro, anche se oggi il giornale non è uscito: «Sono qua e faccio il mio lavoro, ma sia chiaro che se bisogna scioperare per il contratto nazionale sono il primo a farlo». Detto questo, «lo sciopero è sempre uno strumento doloroso e in quest'occasione io sono molto amareggiato e addolorato perché è la prima volta in sei anni che i colleghi scioperano per una vertenza aziendale, chiamiamola pure così. Questa scelta mi fa molto male e trovo curiosa l'iniziativa di voler pubblicare a pagamento il comunicato. Quale azienda avrebbe accettato un'inserzione contro se stessa? In ogni caso le cose che ho letto nell'appello mi fanno molto piacere, ma credo che le attuali caratteristiche del giornale, cioè autonomia, autorevolezza e ricchezza di notizie, stiano a cuore a tutti, alla proprietà, alla redazione e ai lettori. Perdipiù, questo è un momento che siamo in risalita. Nella settimana che va da lunedì 19 a domenica 25 febbraio abbiamo avuto una media di 55mila copie. Il picco negativo l'abbiamo avuto il lunedì con 48mila copie, quello positivo la domenica, con oltre 68mila». E allora che cosa è successo? Risposta: «Credo che ci siano stati dei fraintendimenti tra redazione e proprietà. A me risulta che le intenzioni della Nie sono quelle di rafforzare il prodotto tenendo sotto controllo i conti. Mi auguro che dopo la giornata dura dello sciopero si possa superare questa situazione. In questo sono cautamente ottimista». Ultimo dubbio che aleggia: le voci su una fusione con
Europa, che tra l'altro al Botteghino vengono liquidate con sarcasmo: «Potremmo mai fare un giornale che si chiamerebbe
Unitopa?». Conclude Padellaro: «A me piace molto
Europa, ma è un giornale giovane.
L'Unità invece appartiene alla storia del giornalismo di questo paese. E' una testata che di per sé ha un fascino particolare. Per questo non è possibile fare una fusione che tolga identità a un marchio così forte».
il manifesto 8.3.07
«L'Unità» in sciopero contro la proprietà
L'editore sta decidendo i destini della testata, la redazione chiede lumi, ma le risposte non arrivano, il futuro è incerto. Il quotidiano oggi non esce
di G. Sba.L'8 marzo 2006
L'Unità scelse il colore rosa per andare in edicola: la banda dei sommari sotto la testata, l'apostrofo e l'accento per un giorno abbandonarono il rosso per accendersi di pink. Oggi invece
l'Unità non esce, è il primo sciopero interno dalla resurrezione del 2001 e le pagine preparate per la festa della donna andranno a ammuffire. Una scelta ponderata quella dei redattori che da mesi lavorano nell'incertezza, «Ma non è una vertenza politica né di categoria - Umberto De Giovannangeli del cdr sgombra il campo da possibili illazioni - è esclusivamente professionale, perché vogliamo che questo resti un primo giornale e non si riduca a un foglio d'opinione». Il quotidiano diessino fondato da Antonio Gramsci perde copie, almeno 6-7mila nell'ultimo anno, ora se ne vendono circa 53-54 mila e lo spettro del 2000, quando
l'Unità chiuse perché era «Finito il grande sogno» (così titolava l'ultima pagina nel giorno dell'addio), si aggira per la redazione. Stare al governo è più difficile che fare opposizione, ora come allora. A via Benaglia - la sede di via due Macelli è stata abbandonata a natale - si attendono indicazioni su progetti, investimenti e linea editoriale, ma la proprietà (Nuova iniziativa editoriale) sceglie il dribbling e rimanda di giorno in giorno le risposte. Il recente incontro con Marialina Marcucci, azionista e presidente della testata, non ha soddisfatto nessuno.
Per poter comunicare ai lettori i disagi di questi ultimi tempi i redattori volevano addirittura comprare una pagina di pubblicità del loro giornale. Gli editori, però, hanno detto niet. Ma come, si saranno chiesti, è stata pubblicata persino l'inserzione della lista civica «Pomigliano democratica» che se la prendeva con il senatore di Rifondazione Tommaso Sodano proprio mentre Prodi contava i voti di fiducia a palazzo Madama? Sul numero di ieri c'era invece il comunicato sindacale firmato nome e cognome da tutti i giornalisti, dai vicedirettori ai redattori ordinari: «In queste ore la proprietà dell'
Unità sta decidendo i destini della testata. Noi non possiamo dirvi, ora, se questo giornale rimarrà in edicola in futuro sette giorni su sette; non sappiamo se allo stallo degli ultimi sei mesi si sostituirà una fase di rilancio», si legge a pagina 4. Non chiedono la luna i pronipoti di Gramsci, ma «un progetto vero». Riduzione della foliazione, chiusure anticipate, con il rischio di perdere le notizie delle sera tardi, assenza in edicola il lunedì - «dai tempi del vecchio Antonio, crisi del 2000 a parte, siamo sempre usciti 7 volte su 7», dicono dal cdr - incertezze che pesano e fanno prosperare le voci di corridoio: l'indiscrezione pubblicata da
Libero di una possibile vendita del giornale a Giovanni Consorte, nessuno alla Nie si è preoccupato di smentirla.
Il piano industriale, 500 pagine elaborate da una società esterna di consulenza, la
Value Partners, è già nelle mani del consiglio d'amministrazione dal 21 febbraio, racconta Fabio Luppino del cdr, ma dai piani alti continuano a fare scena muta: «Siamo in una situazione di stallo, mancano chiarezza e trasparenza».
il manifesto 8.3.07
Eutanasia, 2 mila medici fanno outing
«Abbiamo aiutato a morire con dignità». E il tema fa irruzione nella campagna elettorale francese
di Anna Maria MerloParigi. Con un appello ai candidati alle presidenziali, 2134 medici e infermieri si sono auto-denunciati per avere «in coscienza aiutato medicalmente dei pazienti a morire con decenza». E chiedono un dibattito sull'eutanasia. A pochi giorni dall'apertura di un processo contro una dottoressa e un'infermiera accusate di aver prescritto e somministrato del potassio in dosi mortali a una malata terminale che ne aveva fatto richiesta, i firmatari dell'appello chiedono la fine delle procedure giudiziarie e la depenalizzazione dell'eutanasia, a certe condizioni, oltre a maggiore assistenza per i malati in fin di vita. La dottoressa e l'infermiera rischiano fino a 30 anni di carcere, accusate di «avvelenamento».
La socialista Ségolène Royal e l'Ump Nicolas Sarkozy hanno promesso entrambi che se saranno eletti apriranno questo dibattito. Invece per i centristi va bene la legge vigente, votata nell'aprile 2005 sull'onda dell'emozione sollevata dal caso Vincent Humbert, un giovane tetraplegico che la madre e un medico avevano aiutato a morire nel 2003. La legge Léonetti del 2005 non legalizza l'eutanasia, ma stabilisce un diritto a «lasciar morire» in pace, condanna l'accanimento terapeutico e legalizza le cure anti-dolore anche se potrebbero abbreviare la vita del paziente terminale. L'Associazione per il diritto a morire con dignità (Admd), che ha più di 40 mila membri, ha interpellato i candidati su questo tema, inviando loro un libro bianco dal titolo «Fin di vita, una nuova legge è indispensabile».
Nel programma dei socialisti c'è un capitolo dedicato al tema, anche se finora Royal ha detto solo pubblicamente di «essere in pieno accordo con il progetto» del Ps. In una lettera all'Admd, Royal scrive: «L'accompagnamento delle persone in fin di vita è un tema che mi sta a cuore e che è importante regolamentare, rispettando strettamente la volontà del malato. La dignità della persona, malata o no, deve essere assicurata in ogni circostanza». Il programma del Ps è più chiaro e promette, in caso di vittoria, di presentare in parlamento un pdl «sull'assistenza medicalizzata per morire con dignità; questa legge permetterà ai medici, nello stretto rispetto della volontà del paziente, di apportare un aiuto attivo alle persone in fase terminale o in uno stato di dipendenza che ritengono incompatibile con la loro dignità».
Sarkozy si è limitato a promettere una discussione. Ma nell'Ump la deputata Henriette Martinez è iscritta all'Admd. «Ho visto il carattere inumano delle legge attuale quando mio padre, dopo aver sospeso le cure, ha impiegato più di una settimana a morire. Perché allora non avere il coraggio di fare un gesto attivo, visto che il risultato è ineluttabile?». Invece i centristi dell'Udf non vogliono cambiare la legge Léonetti: «Ci pare sufficiente per morire con dignità. Quando le cure palliative sono ben dosate, non c'è necessità di ricorrere all'eutanasia». Favorevoli alla depenalizzazione dell'eutanasia sono i Verdi e i trotzkisti della Lcr. Decisamente contrario il Fronte nazionale. Il Pcf è incerto e al suo interno il dibattito è acceso.
Repubblica 8.3.07
Due mesi fa la legge del Pirellone. I dirigenti sanitari: non sappiamo come procedere. Intanto si stanno riempiendo le celle frigorifere
Sepoltura dei feti, caos negli ospedali a Milano
I medici della Mangiagalli: poca chiarezza. La Regione: proteste strumentali
di Laura AsnaghiMILANO - Succede in Lombardia. Fatta la legge sulla sepoltura dei feti, mancano ancora le norme precise per tumulare i "prodotti del concepimento" . E così quelli che le madri hanno deciso di lasciare agli ospedali restano in attesa di una sepoltura, chiusi in scatolette conservate nelle celle frigorifere delle sale delle anatomie patologiche degli ospedali. A denunciare il problema sono i direttori sanitari: «Nessuno ci ha dato istruzioni e, in più, manca ancora la circolare applicativa del nuovo regolamento».
Alla fine di gennaio, il Pirellone ha varato una norma che consente la sepoltura dei feti sotto le 20 settimane, feti che prima venivano smaltiti come "rifiuti sanitari". Con la nuova norma, che ha sollevato dure proteste da parte delle donne, i feti hanno acquistato la dignità di "parti anatomiche riconoscibili" e quindi equiparati a una mano o a un braccio amputati per ragioni di salute e destinati ai cimiteri per essere tumulati o cremati. Ma se da un lato il Pirellone è stato rapido e veloce nel varare la nuova norma, non è stato altrettanto solerte nel decidere come e quando vanno sepolti i feti. Tanto che da un mese restano "parcheggiati" nelle celle frigorifere. Ma a far esplodere il problema è stato l´incontro tra i direttori sanitari e i responsabili del servizio cimiteriale del Comune di Milano. Un incontro che è servito a quantificare i costi di tumulazione che si aggirano intorno ai 53 euro per feto: 18 vanno alla Asl e 35 al Comune. Non solo. Ma in vista della sepoltura dei feti milanesi (lo scorso anno sono stati 7 mila sui 25 mila lombardi), Stefano Pillitteri, l´assessore ai servizi civici del comune di Milano, ha avanzato la proposta di creare, al cimitero di Lambrate, un "giardino dei ricordi" ad hoc, in cui disperdere le ceneri dei feti. Una iniziativa destinata a sollevare ulteriori polemiche e che oggi, 8 marzo, festa della donna, non passerà certo inosservata.
Di fronte alle contestazioni dei direttori sanitari che chiedono di sapere se i feti vanno messi in piccole cassette o in un contenitore comune, e di capire chi pagherà le spese di sepoltura o di cremazione, la Regione reagisce parlando di "polemica ideologica e strumentale". «La circolare applicativa uscirà entro la fine della settimana - assicura Carlo Lucchina, il direttore generale dell´assessorato regionale alla Sanità - comunque, i direttori sanitari sanno benissimo come vanno trattati i feti. Basta metterli in un contenitore comune, in modo tale da rispettare la privacy della donna, e avviare le pratiche che sono in vigore da anni "sulle parti anatomiche riconoscibili"». E i costi, chi li sostiene? «Rispetto al passato non ci saranno costi aggiuntivi. Chi sostiene l´inverso dice il falso». Sarà, ma intanto i direttori sanitari sono concordi nel dire che la materia è tutt´altro chiara. «Alla Regione chiediamo tre cose - spiega Basilio Tiso, il direttore sanitario della Mangiagalli - vogliamo sapere, per iscritto, come dobbiamo trattare i feti. Vanno messi in piccoli cassette separate o in contenitori comuni? Chi paga le spese per il loro trasporto e la loro sepoltura? E ancora: i feti vanno sepolti o cremati e le loro ceneri disperse? La normativa è nuova e va definita bene, senza lasciare dubbi»
Repubblica 8.3.07
Napoli, il cardinale Sepe scomunica il "calendario della pace" della Regione: troppe omissioni e forzature laiciste
Agenda senza Epifania, Curia contro Bassolino
di Conchita SanninoNAPOLI - Natale, c´è. L´Immacolata Concezione, manca. Padre Puglisi e Arafat, sì. Quaresima e Foibe no. C´è anche l´assassinio di Anna Politkovskaja, anche il Ramadan, ma non l´Epifania. L´ultimo scontro sul confine tra politica e religione si radica a Napoli, coinvolge due cardinali insieme con esponenti nazionali della destra e pone nel mirino l´»Agenda della Pace 2007» della Regione Campania.
Oltre mille paginette contrassegnate da ricorrenze che volevano rilanciare «obiettivi di pace disattesi dalla Comunità internazionale». Invece hanno scatenato un frammento nuovo di "guerra" tra fede e potere, e provocato la pacata ma netta bocciatura del cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe. Il vertice della Curia vesuviana stigmatizza infatti quelle «omissioni della cosiddetta Agenda della pace» come «forzature laiciste che speravamo superate». Il suo intervento segue di poche ore la strigliata dell´arcivescovo emerito di Ravenna, Ersilio Tonini. Abbrivio non brillante, insomma, per uno «strumento di apertura e di dialogo al servizio delle scuole e del territorio», come l´aveva definito l´assessore campano di Rifondazione, Corrado Gabriele, già uomo di punta nella mobilitazione civile e antimafia della giunta di Antonio Bassolino. Gabriele non rinnega alcuna scelta. Anche se ammette «una brutta distrazione: quella del massacro delle Foibe, me ne assumo la responsabilità». Poi obietta: «Perché avremmo dovuto inserire la Vergine Maria e non anche altri grandi santi venerati dai cattolici?». Infine l´impegno di pace: «L´anno prossimo saremo pronti a cogliere le riflessioni che la Chiesa vorrà offrirci, nel solco di un franco e rispettoso dialogo». Infine tende la mano a Sepe, «pastore ed uomo di grande spessore, come il suo impegno sociale per Napoli dimostra».
Gli esponenti della destra, da Maurizio Gasparri all´ex ministro Mario Landolfi, avevano già accusato quell´Agenda, pochi giorni fa, di «ideologismo ottusamente regressista». «Si additano ad esempio personaggi discutibili come Arafat, non Madre Teresa o importanti feste cristiane», denuncia Gasparri. Il cardinale Ersilio Tonini, nelle stesse ore, commenta: «Non ci posso credere: è un´iniziativa di un´incoscienza istituzionale impressionante. Mi sorprende molto che ciò avvenga in Campania, territorio in cui la verità incarnata da Cristo è un sentimento profondo». Ieri, ad accrescere il turbamento dei cattolici è arrivata la disapprovazione del cardinale Sepe. Il quale esprime «profondo dispiacere» per quelle «omissioni». E bolla l´assenza di Epifania, Quaresima, Immacolata Concezione, celebrazioni «che affondano le radici nella millenaria eredità culturale e religiosa del popolo» come «forzature laiciste che pensavamo da tempo superate».
Osservazioni alle quali l´assessore replica in maniera differenziata. Sarcasmo per Gasparri e la destra. «Forse non sanno - stigmatizza Gabriele - che l´Agenda della pace non è il calendario di frate Indovino». Dialogo infine per il cardinale Tonini e per il più vicino Sepe: «Questo nostro contributo alla riflessione ha sempre aggiunto nel corso degli anni riferimenti e annotazioni relative al messaggio cristiano e al suo irrinunciabile valore umano. Non a caso nel giorno di Natale abbiamo scritto: "Nascita di Gesù. Il suo messaggio rivoluzionario fu: ama anche i nemici"».
Nogod.it 7.3.07
Restiamo in Afghanistan per la Madonna
di Giulio C.VallocchiaOggi si vota sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Siamo andati lì in accordo con l' ONU, ma a differenza delle altre nazioni che hanno mandato soldati in nome del mantenimento della pace, noi abbiamo mandato laggiù le nostre truppe per diffondere la fede cattolica. Abbiamo scoperto infatti, grazie al Pio Ufficio dell' Esercito, che stiamo costruendo una Chiesa dedicata alla Madonna in un Paese in cui gli islamisti distruggono a cannonate i simboli di qualunque altra religione. Di fatto siamo i nuovi crociati in partibus infidelium al servizio del papa. E quando i talebani, già accecati dall' odio naturale ispirato dal concetto di guerra santa della propria religione, dedicheranno la loro attenzione ai nostri soldati avranno uno stimolo in più per fare a pezzi soldati e Madonna.
7/03/07 - Oggi il papa cambia il direttore dell' orchestra CEI, ma la musica sarà sempre quella della discriminazione verso le persone omosessuali. Il cardinale Bagnasco sostituirà Camillo Ruini a capo della Conferenza Episcopale Italiana, il Governo Ombra del nostro Paese che manovra e guida di fatto tutta la vita politica italiana.
7/03/07 - E mentre i vescovi italiani esercitano un potere assoluto sul nostro governo, qualunque sia la maggioranza in Parlamento, quelli spagnoli "chiedono" e non "impongono". Anche se, a dire il vero, quello che chiedono non è diverso da quello che impongono qui, e cioè la discriminazione delle persone omosessuali. Ma visto che in Spagna c'è al governo un socialista vero, la chiesa spagnola chiede "rispettosamente" di non insegnare la nuova materia di "educazione civica" perché in contrasto con l' incitamento alla discriminazione delle persone omosessuali propagandato dal papa.
Il Foglio 8.3.07
Attacco a Freud
Ha capovolto la psicologia e l’uomo. In alto piedi, genitali, inconscio, in basso testa, coscienza e ragione
di Francesco AgnoliAccanto alla pseudo-scienza darwinista, la modernità, culturalmente malata di riduzionismo, ha prodotto il pensiero di Freud: fondato sull’idea cioè che l’uomo sia un meccanismo, e come tale interpretabile, anche a livello psichico, come lo è a livello fisico. Effettivamente se Darwin avesse ragione, e con lui materialisti, psicologia e psicoanalisi sarebbero delle scienze “esatte”, capaci di guarire l’uomo dalle sue depressioni, nevrosi, tristezze, esattamente come il chirurgo che, identificato il tumore, lo asporta. Purtroppo, o per fortuna, così non è. Freud parte anche dal materialismo darwiniano per creare la psicoanalisi, cioè l’idea, in soldoni, che la malattia psichica sia semplicemente e pressoché sempre l’effetto di una causa di natura sessuale. La psicologia, che aveva sempre studiato ciò che sta in alto, lo spirituale, diviene “psicologia dal basso”. Freud capovolge l’uomo: in alto i piedi, i genitali, l’inconscio, in basso la testa, la coscienza, la ragione. Si inverte così ogni gerarchia naturale, al fine di negare Dio, l’anima, e, a livello umano, la figura simbolica del Padre. Il viaggio esistenziale non è più una conquista, un percorso, dall’Inferno al Paradiso, ma una discesa verso l’Inferno, il luogo in cui l’uomo si scopre solamente sessualità malata e nevrotica. Da Darwin Freud trae anche la convinzione che l’uomo è solo “una bestia selvaggia alla quale è estraneo il rispetto della propria specie”. Come Marx riconduceva ogni cosa, “scientificamente”, all’economia, struttura di tutto, considerando morale, arte, religione… come semplici sovrastrutture, così Freud prende il sesso, le pulsioni sessuali, egoistiche, aggressive, inconsce, per fondare su di esse la totalità dell’uomo. Oggi per fortuna la psicoanalisi è in crisi: molti ne mettono in luce le deficienze e gli inganni, e più nessuno cerca di spacciarla per una scienza esatta. Eppure, nell’epoca del positivismo, del “male di vivere”, del materialismo darwinista e marxista, molti credettero che il complesso di Edipo, il complesso di Elettra, l’invidia del pene altrui, il complesso di castrazione, ’interpretazione dei sogni, i lapsus, le amnesie e quant’altro fossero nientemeno che scienza, nel senso più alto del termine. Zeno Cosini ha un rapporto negativo col padre: per lo psicoanalista è colpa del suo desiderio infantile di possedere la madre. Umberto Saba, al contrario, ha un pessimo rapporto con la madre: ha un complesso di Edipo rovesciato, in quanto ha introiettato la figura della madre come figura paterna… Un po’ di sesso pruriginoso, un po’ di perversioni, e tutto è spiegato, dal pessimismo di Leopardi, alla noia esistenziale di Marilyn Monroe. L’importante, per il freudismo, simile al fordismo, è nullificare l’uomo, non più re del creato, “luogo” in cui la natura prende coscienza, vertice della creazione, ma impasto di istinti bestiali, pulsioni, desideri inenarrabili, odii, riducibili in fondo, sempre, a qualcosa di inconscio. Libertà, volontà, intelligenza, responsabilità vengono accantonate, escluse, private di dignità scientifica, perché non quantificabili, non misurabili, non riducibili alla pura materialità. “Libertas fundata est in ratione”, scriveva san Tommaso, nel “buio medioevo”: l’uomo di Freud, in cui la ragione perde ogni importanza, ha perso anche la libertà, perché è determinato. Così la psicoanalisi si rivela in fondo nient’altro che un capovolgimento della confessione cattolica: un lettino, per distendersi e rilassarsi, al posto di un inginocchiatoio, per umiliarsi e rialzarsi. Un improbabile esame dell’inconscio al posto del personale e responsabile esame di coscienza. L’uomo post freudiano non deve più fare i conti con la sua coscienza, portatrice di una legge naturale a cui si può o meno obbedire; non tende al dover essere, al bene, al vero, al giusto; al contrario deve solo portare le pulsioni vergognose e inconsce che lo esauriscono a livello conscio, per accettarle, e sacralizzarle. “L’uomo non deve lottare per eliminare i suoi complessi, ma per accordarsi con loro”. Veniamo ai Dico: non sono forse la morte freudiana di ogni senso di responsabilità? Se Freud ha ragione, “un uomo può essererappresentato dai suoi genitali”, che, si sa, sono instabili e capricciosi, come i Dico.
Il Foglio 8.3.07
Bye Bye Dico
Salvi ci spiega che il testo di legge è da rifare, seguendo la Costituzione e ascoltando anche i vescoviRoma. Interpellato dal Foglio, Cesare Salvi proclama senza versare una lacrima la morte del disegno di legge sui Dico da lui bocciato in commissione Giustizia al Senato: “Una legge sgrammaticata che avrebbe provocato chissà quanti ricorsi sulla registrazione delle coppie tramite raccomandata postale. E avrebbe costretto i giudici a indagare sul reale vincolo affettivo dei conviventi”. Oltretutto per Salvi “il provvedimento non avrebbe mai avuto una maggioranza numerica necessaria per essere approvato”.
Le ministre firmatarie, Barbara Pollastrini e Rosy Bindi, se ne facciano una ragione. Perché il presidente Salvi non ha alcuna intenzione di recuperare quel ddl: “L’ha detto anche Romano Prodi, il governo ha esaurito la propria funzione, ora la parola passa al Parlamento. Che poi è l’unico modo per ottenere ascolto dall’opposizione: anch’io al posto di Gianfranco Fini, pur favorevole ai Dico, avrei risposto di no a un’iniziativa firmata dall’esecutivo”.
In ogni modo le proposte di legge sulla regolarizzazione delle coppie di fatto giacenti in commissione non mancano, sono una decina. Ma vanno dall’idea di sottoporre la pratica alla disciplina dei contratti prevista dal codice civile (Alfredo Biondi di Forza Italia) a quella di assimilare i contratti dei conviventi ai rapporti tra coniugi (Luigi Malabarba di Rifondazione comunista). Su questo punto Salvi si autocostringe a subordinare le ragioni di parte – “sono un socialista libertario, le lascio immaginare in quale direzione mi muoverei” – e si attiene invece al ruolo arbitrale che gli è assegnato dalla Camera alta: “Posto che la mia opinione non rileva, mi aspetto una soluzione parlamentare condivisa per una legge che proceda come tutte le altre”. Cioè senza fretta.
“Avanti con giudizio come per il provvedimento sulle intercettazioni: nella prima stesura gridava vendetta al cospetto di nostro signore, poi è stato responsabilmente approvato con l’avallo di Berlusconi, anche se resta una ciofeca e verrà probabilmente dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale”. Salvi individua un perimetro decisivo nell’articolo 29 della Costituzione. E a modo suo rassicura i cattolici come la Bindi, ma perfino Paola Binetti: “La Carta non dice che non può esserci nessun riconoscimento delle convivenze eppure, come scrivono i costituzionalisti cattolici nel loro documento pubblicato da
Avvenire, riconosce uno statuto privilegiato alla famiglia fondata sul matrimonio”.
Conseguenza: “Quand’anche fossi favorevole a un’equiparazione piena, simile a quella vigente in alcuni paesi europei, so che la Consulta direbbe no a ogni forma di similfamiglia”. Il che non invalida la necessità di trovare forme di tutela per le convivenze. Stabilito il metodo, Salvi non rinnega il “giusto tentativo di cercare una soluzione-ponte che tenga conto dei rilievi della chiesa”. Anzi ricorda che “la chiesa ragiona da due millenni su certi temi ed è utile ascoltarla, purché lei sia diposta ad ascoltare noi laici”. Più in generale: “Credo che la ricerca di maggiore libertà sia in sé sempre positiva, ma bisogna tener conto d’una tendenza globale, dell’attuale relativismo che sconfina nel nichilismo e genera risposte religiose di tipo fondamentalista. La cultura laica s’è illusa di poter archiviare tale questione”.
Bella l’idea di Bertinotti, ma con un maA questo punto Salvi accetta di scendere dalla presidenza della commissione per ritornare il senatore della sinistra diessina. E si difende, ma con il sorriso, dall’accusa di fare i capricci sui Dico per tenere sotto pressione la maggioranza diessina in vista del congresso primaverile che inaugurerà i lavori del nascituro Partito democratico. Il quotidiano della Margherita,
Europa, chiede a Salvi di non fare il cinico. Risposta: “Che sciocchini. Se avessi voluto sfruttare la mia posizione istituzionale, avrei massacrato le leggi giudiziarie dicendo che i girotondini ci urlano: ‘Vergogna! ’. Sai le cose che avrei potuto inventarmi? ”.
E a proposito d’invenzioni, Salvi si dichiara “interessato” alla recentissima offerta bertinottiana di aprire una fase costituente per ragionare sul futuro di una grande sinistra socialista. “Rispetto all’impressionante debolezza del manifesto per il Partito democratico, è un’idea nuova e buona”. Ma non nascerà una Linkspartei italiana. “Preferisco una sinistra alleata con il centro, cioè con il Partito democratico”.
La Stampa 8.3.07
Ma io credo alla scienza
non alla Chiesa
di Piergiorgio OdifreddiCaro Direttore, spero di non abusare della sua pazienza se, ringraziandola per lo spazio che ha già concesso al dibattito sul mio libro
Perché non possiamo essere Cristiani (e meno che mai Cattolici), le chiedo di poter brevemente commentare un paio di punti relativi all’intervista di Mario Baudino (1° marzo), e rispondere ad alcune obiezioni dei lettori (3 marzo) e di padre Bianchi (4 marzo). Due punti hanno generato fraintendimenti nell’intervista. Il primo è l’affermazione che «la resurrezione nei Vangeli non c’è». L’
Avvenire del 6 marzo mi accusa addirittura di «falso storico», ed elenca 11 passi dei vangeli sinottici che invece ne parlano. Bella scoperta! Io a Baudino ho detto, e lui ha correttamente riportato, che «i protovangeli, cioè quelli più antichi, non ne parlano affatto».
E per protovangeli non si intendono ovviamente quelli canonici, bensì ad esempio la fonte Q che ha ispirato i sinottici, o la fonte SQ che ha ispirato Giovanni: in nessuno di questi si parla non solo della resurrezione, ma neppure della nascita verginale di Gesù, né egli vi viene mai chiamato il Cristo. Ma neppure in Marco, che è il vangelo più antico dei canonici, si parla di resurrezione: o meglio, se ne parla soltanto nei versetti finali, che come ammette però la stessa edizione Cei «sono un supplemento aggiunto in seguito». Le prime «testimonianze» sul lieto evento si trovano nelle Lettere di Paolo, che per sua ammissione non ha mai incontrato Gesù, e dunque non era un testimone oculare.
Il secondo punto dell’intervista che ha sollevato obiezioni è la mia posizione sullo Stato di Israele, che per forza di cose ha dovuto essere riassunta da Baudino. Preferisco qui citare testualmente il mio libro, nel quale scrivo che «rimane il fatto che l’esistenza stessa di Israele si fonda su una pretesa continuità storica che risale in ultima analisi a una supposta promessa divina»: qualunque cosa si pensi su Israele, non si può negare che sia la commistione fra politica (l’esistenza di uno Stato) e religione (l’assegnazione divina di una terra) ad avvelenare il dibattito sulla Palestina. E ancor più l’avvelena la pretesa di molti, anche a sinistra, di insistere a equiparare antisemitismo e antisionismo: la mia posizione è diversa, e coincide con quella espressa da Chomsky in
Terrore infinito (Dedalo, 2002), al quale rimando. In fondo, infatti, il mio libro si interessa di Israele soltanto in maniera strumentale, per il ruolo che il Vecchio Testamento ricopre nella fede cristiana.
Venendo alle lettere dei lettori, il signor Franco Bergamasco obietta alla mia definizione dello stesso Vecchio Testamento come di «un irritante e snervante pasticcio, pieno di sciocchezze e orrori, massacri e contraddizioni», facendomi notare che in esso ci sono anche l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici e il libro di Giobbe. È un’obiezione singolare, come se in un tribunale il difensore di un assassino chiedesse clemenza alla corte perché il suo assistito, oltre ad aver sgozzato una mezza dozzina di vittime, ha però anche delle belle abitudini, come il portare i fiori alla moglie o fare passeggiate in montagna. Che ci siano belle pagine nell’Antico Testamento, non lo nego neppure io: il fatto è che, oltre a non essere quelle su cui si basa la legge mosaica, e dunque la dottrina cristiana che le ha annesse, sono affiancate da una serie di pagine di ben altro tenore, che uno non si aspetterebbe di trovare, o si aspetterebbe di non trovare, in un libro che si proclama divinamente ispirato. Il signor Claudio Silipo ribatte invece in maniera diversa allo stesso problema, delle «sciocchezze e contraddizioni di cui la Bibbia è piena», citando la Prima Lettera ai Corinti. Cioè, dando appunto ragione a me, visto che in essa Paolo di Tarso dice che la fede cristiana è «una follia per i Gentili», e che essa non si rivolge «ai Greci che cercano la sapienza». Io sono perfettamente d’accordo, ma evidentemente il lettore, e con lui molti altri cristiani, no: problema loro, ma non si può avere allo stesso tempo il calice pieno e la perpetua ubriaca, e cioè abbracciare una fede per i beati poveri di spirito, pretendendo poi allo stesso tempo di non esserlo.
Rimane da rispondere a ciò che l’
Avvenire descrive dicendo: «all’insulto ha reagito persino gente mitissima come il priore Enzo Bianchi». E cioè, al suo articolo di domenica scorsa, che inizia la sua critica sostenendo che «sbeffeggiare i cristiani può essere molto redditizio» e che «c’è tutto da guadagnarci». Sarei ipocrita se non dicessi che non mi dispiacerebbe affatto che lui avesse ragione, ma sarei un illuso se ci credessi: semmai è vero il contrario, visto che in Italia sono scrittori come Messori o la Tamaro a vendere milioni di copie, e non certo gli atei militanti, di cui non si conoscono neppure i nomi. A meno che padre Bianchi si riferisca a Dan Brown o Augias, che naturalmente non sbeffeggiano affatto il Cristianesimo in sé, e ne propongono invece versioni meno dogmatiche e più popolari (il che spiega in parte il loro successo).
Padre Bianchi non apprezza il mio stile, ed è un suo diritto: in fondo, anche il proverbio avverte che si deve «scherzare coi fanti ma lasciar stare i santi», per non parlare della Sacra Famiglia. Ma non entra affatto nel merito delle critiche che rivolgo in tutto il libro alle verità di fede: si limita a richiedere una comprensione «delle incongruenze presenti in ogni argomentazione». Dunque, ammette che queste incongruenze ci siano, e mi chiede piuttosto di comprendere «l’evolversi del pensiero umano». Si figuri se non sono d’accordo! Dubito però che lo siano i suoi superiori, che invece ritengono che i testi sacri vadano presi letteralmente: Ratzinger, in particolare, del quale nella conclusione del libro riporto un interessante riassunto autentico dei «diversi dogmi cristologici e mariani» che ogni fedele deve accettare, per potersi dire cattolico, e sui quali a mio avviso dovrebbe concentrarsi la discussione di coloro che, a differenza di me, ritengono che essi possano essere sensati e credibili.
In conclusione padre Bianchi dichiara: «Io continuo a credere che anche i non credenti possano avere una vita interiore». Lo ringrazio, a nome loro, della sua generosità, ma non posso accettare il suo ecumenico invito a «riconoscere la ricchezza che a ciascuno può venire dal dialogo tra identità e convinzioni differenti»: in fondo, sono un logico, e credo che la verità stia da una parte o dall’altra, e che quando in una disputa uno ha ragione, l’altro abbia torto. In particolare, credo che la scienza abbia ragione, anche e soprattutto per il suo metodo, che consiste nel basarsi su esperimenti verificabili e dimostrazioni comprensibili. E che la Chiesa abbia invece torto, anche e soprattutto per il suo metodo, che consiste invece nel basarsi su rivelazioni non verificabili e dogmi non comprensibili. Di questo parla il mio libro e di questo mi piacerebbe discutere, entrando nella precisione dei dettagli ed evitando di rimanere nel vago delle generalità.