domenica 1 aprile 2007

il Riformista 31.3.07
CONVEGNI
L'attualità di Lombardi


Tornano d'attualità - nell'ambito di una sinistra che si pone il tema della riproposizione di una forza politica dai connotati e dall'ispirazione socialista e la stessa necessità che non scompaia la parola «sinistra», in Italia, a causa dell'imminente nascita del Partito democratico - figure politiche che potevano apparire, fino a ieri, del tutto inattuali. Come quella del socialista Riccardo Lombardi, che già ha visto una notevole ripresa d'attenzione da parte di studiosi e uomini politici e a cui ieri hanno dedicato un convegno dal titolo «A 60 anni dalla Costituente. Il pensiero di Riccardo Lombardi per una sinistra di governo» tre associazioni politico-culturali della sinistra italiana (Uniti a sinistra, Ars e Associazione rosso-verde). Inviso a destra (Montanelli lo definì «notturno e temporalesco»), mal sopportato a sinistra, dentro il suo partito, il Psi, dove era ritenuto un bastian contrario, e nel Pci che rifiutava la sua idea dell'alternativa di sinistra quando stava per lanciarsi nella politica del compromesso storico, Lombardi aveva caratteristiche oggi ben difficili a trovarsi, in un uomo politico. La serietà dell'approfondimento culturale e della riflessione teorica e la capacità di collegare la fermezza sui principi alle necessarie alleanze di governo e ai necessari compromessi politici, sono infatti oggi qualità rare, è stato il giudizio di diversi relatori. Azionista prima, socialista poi, fautore dei processi di decolonizzazione quanto dell'affrancamento della sinistra dall'Urss dopo i fatti d'Ungheria, Lombardi spese le sue energie migliori per imprimere una svolta riformatrice al primo centrosinistra, coniando un termine - «riforme di struttura» - che presto entrò nel linguaggio politico e poi, una volta esauritasi la spinta di quello, lavorando per dare una reale possibilità di «alternativa socialista» alla sinistra italiana. Ma non bisogna neanche dimenticare o sottacere, come hanno notato ieri l'economista Paolo Leon e il deputato ds Peppino Caldarola, il Lombardi che appoggiò la svolta del Midas di Bettino Craxi e il tentativo di restituire dignità all'autonomismo socialista, minacciato di stritolamento dalla politica del compromesso storico.
Ieri, peraltro, diversi relatori hanno sollecitato la sinistra a riconsiderare e rivalutare anche la figura di Bettino Craxi, che pose con forza il tema dell'identità socialista. E hanno evidenziato l'attualità di Lombardi che poneva il problema delle riforme di struttura, della programmazione economica e dell'intervento dello stato in economia, idee-forza care anche a un altro lombardiano d'antan, il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Scelte che ponevano il problema del superamento del capitalismo, come dicevano anche molte socialdemocrazie europee e i laburisti inglesi, ma in forme diverse da quelle classicamente marxiste proposte dal Pci. «Cambiare il motore della macchina del capitalismo mentre la macchina è in corso», era un motto di Lombardi. Oggi, dunque, tutto quel vasto arco di forze che intende ragionare di nuova attualità della questione socialista in Italia e di rilancio dell'idea stessa di sinistra, al di là delle formule politiche e organizzative con cui intenderà affrontare la sfida, non può non riscoprire quella figura.

il manifesto 1.4.07
Il cielo stellato sotto il segno di Sigmund Freud
Il primo aprile di 50 anni fa, da una costola delle «edizioni scientifiche» Einaudi, Paolo Boringhieri inaugurò la sua casa editrice. E siglò con il figlio del fondatore della psicoanalisi un accordo per l'edizione di tutte le sue opere. Al progetto si associarono via via collaboratori preziosi, tra cui Giorgio Colli e Mazzino Montinari uniti dall'idea di pubblicare testi che ricalcassero le letture fatte da Nietzsche sull'onda di Schopenhauer Nel 1987 Paolo Boringhieri cede
di Marco Dotti


Nei primi anni Cinquanta, anche in Italia sembrò che stessero maturando i tempi per realizzare un'edizione completa delle opere di Sigmund Freud. Era una ipotesi di riflesso, che veniva avanzata sull'onda della inglese «Standard edition», della quale i primi volumi, a lungo progettati, erano apparsi nel 1953 a cura di James Strachey, un allievo di Ernst Jones che fu tra i primi a doversi confrontare col problema della sistemazione del corpus freudiano. Solo a tratti, e di certo a fatica, in Italia si stava facendo strada la consapevolezza di quanti veti gravassero ancora sull'opera del medico viennese, il cui nome - al pari di quelli di Spinoza, Einstein o Bergson - era stato oggetto di ripetuti ostracismi da parte dei solerti funzionari del Ministero della cultura popolare fascista; funzionari che, senza grandi sforzi, erano riusciti a imporre a influenti collaboratori delle terze pagine e agli editori il divieto di pronunciarsi favorevolmente nei confronti delle sue opere, bloccandone di fatto la ricezione e il dibattito.
Frenato dallo scetticismo
Persino Cesare Musatti, che pure aveva assistito con entusiasmo a una conferenza di Strachey, decise ben presto di accantonare i suoi buoni propositi. Benché si fosse inizialmente convinto della necessità di suggerire agli editori a lui vicini un'edizione impostata su un criterio tematico (come, di fatto, era stata quella delle Gesammelte Schriften, pubblicata da Freud stesso), più che su quello cronologico scelto dall'inglese, si limitò poi a constatare che i tempi erano sì maturi per riavviare e riprendere il filo di un discorso scientificamente e filologicamente fondato su Freud e interrotto dagli anni neri del fascismo, ma il «mercato» editoriale non mostrava ancora altrettanta maturità. E comunque, a tutto sembrava disposto Musatti fuorché a sobbarcarsi un progetto che avrebbe comportato l'impiego di grandi risorse di tempo, e sforzi non indifferenti anche dal punto di vista economico. Soprattutto, a una simile impresa bisognava credere, e pochi sembravano disposti a farlo. Nel 1949, Musatti aveva pubblicato i due volumi del proprio Trattato di psicoanalisi nei «Manuali» Einaudi - una delle collane destinate, con la «Biblioteca di cultura scientifica», la «Biblioteca di cultura economica» e, soprattutto, la «collana viola», già diretta da Cesare Pavese e Ernesto de Martino, a costituire l'ossatura della futura casa editrice di Paolo Boringhieri, che sulla scommessa di pubblicare integralmente Freud avrebbe costruito gran parte della sua fortuna editoriale.
Le sollecitazioni di Pavese
Senza troppi imbarazzi, Musatti dovette costatare che i libri di Freud, sottoposti al vaglio della «pubblicabilità», passavano regolarmente fra le mani dei redattori, i quali però sembravano preoccupati soltanto di togliere importanti volumi alla concorrenza, o se dimostravano interesse lo dimostravano per quegli studi più riconducibili a contesti diversi dall'ambito specificamente psicoanalitico, quali la storia delle religioni o l'antropologia. In assenza di un interlocutore attento alle sue richieste, per la verità non troppo pressanti, Musatti si trovò dunque a rispondere alle sollecitazioni di Cesare Pavese, il quale gli aveva scritto: «Noi facciamo una collezione di etnologia e psicologia dove già appare un libro di Jung: I rapporti tra l'Io e l'Inconscio, e vorremmo includervi uno o due libri di Freud. Lei certamente è al corrente di quello che si è già fatto in Italia e potrà suggerirci qualche titolo libero, preferibilmente delle ricerche più antiche». Fra le richieste di Pavese vi fu anche quella di reperire opere anteriori al 1921, libere da vincoli editoriali. A quel punto Musatti non si fece pregare e pochi giorni dopo la richiesta di Pavese, a stretto giro di posta, gli replicò che, viste le sue esigenze, forse sarebbe stato opportuno valutare sia La psicopatologia della vita quotidiana, «l'opera di Freud che ha avuto maggior diffusione all'estero», sia i Casi clinici - effettivamente pubblicato nel 1952, per le Edizioni Scientifiche Einaudi, nella traduzione di Mauro Lucentini - ognuno dei quali, osservava lo psicoanalista triestino, «costituisce un vero piccolo romanzo, perché viene descritto il progressivo svilupparsi dell'analisi in forma per lo più assai brillante e suggestiva». A Giulio Einaudi, particolarmente preoccupato di non farsi «battere da Astrolabio sul tempo» - come avvenne per L'interpretazione dei sogni apparso per la casa editrice romana nel 1952 - Musatti aveva consigliato di riprendere «l'ultima notevole opera di Freud», Inibizione, sintomo e angoscia, già disponibile nella traduzione di Servadio. Eppure, come avrebbe osservato Paolo Boringhieri, al tempo ancora redattore della Einaudi, se pure «il seme gettato da Musatti non fruttificherà immediatamente», esso segnalerà da subito «una vera necessità culturale» destinata, nel giro di pochi anni, a concretizzarsi in una delle più importanti imprese editoriali del dopoguerra: l'edizione delle Opere di Freud.
Impostate secondo un criterio cronologico, anche se quello tematico a suo tempo suggerito da Musatti veniva recuperato nel «corpus freudiano minore» rappresentato dalle opere scelte e via via presentate nell'Universale scientifica Boringhieri, il corpus delle opere freudiane sarebbe uscito in libreria soltanto nel 1966, con la pubblicazione del terzo volume, L'interpretazione dei sogni, curato da Elvio Fachinelli, dopo un lavoro di revisione e uniformazione linguistica durato molti anni, presso le edizioni che nel frattempo erano state fondate dallo stesso Boringhieri.
L'atto di nascita
Il primo aprile del 1957, infatti, da una costola delle Edizioni Scientifiche Einaudi da lui dirette, Paolo Boringhieri aveva dato formalmente vita alla casa editrice che portava il suo nome. Riprendendo il filo di un discorso per lui mai interrotto, nel 1959 Boringhieri aveva raccolto la sfida e siglato un accordo con Ernst Freud, figlio di Sigmund, per un'edizione delle opere del padre. E dichiarò, allora, di non aver mai nutrito alcun dubbio sulla necessità indicata da Musatti di provvedere a una edizione «definitiva», intendendo con ciò «non un'edizione affrettata per far conoscere il più rapidamente possibile l'opera di Freud, ma l'edizione che per decenni potesse costituire il punto di riferimento per gli studiosi»: una convinzione, questa, che aveva maturato, a un certo punto, «per esperienza di mestiere», certo anche «che il mercato l'avrebbe resa possibile» e, probabilmente, persino redditizia.
I fatti gli diedero ragione. Peraltro, Boringhieri era talmente persuaso della «bontà» del progetto che vi prestò le sue competenze linguistiche, nascondendosi con lo pseudonimo di «Ermanno Sagitario» fra i ventisette traduttori impegnati per oltre quindici anni nell'opera. Era nato a Torino nel 1921, la sua famiglia, proprietaria di uno dei più importati stabilimenti per la distillazione della birra, era originaria dell'Engadina, e faceva l'ingegnere quando a ventotto anni venne assunto da Luigi Einaudi con il preciso compito di occuparsi della cosiddetta «collana azzurra», dedicata alle scienze. Appassionato di filosofia, definito dai colleghi «il lavoratore cristiano», Boringhieri legò particolarmente con Felice Balbo, del quale, nel 1966, avrebbe pubblicato le Opere. Quando diede inizio alla propria attività come editore in proprio, Boringhieri aprì una sede in via Brofferio 3; tuttavia, per una parte della sua produzione mentenne ancora, almeno fino al 1960, il marchio delle Edizioni scientifiche Einaudi. Fu grazie al suggerimento di Giulio Bollati (per anni suo collega di studio e lavoro, che nel 1987 sarebbe divenuto, passata di mano la proprietà, direttore editoriale della casa editrice, da allora Bollati-Boringhieri) che Paolo Boringhieri inaugurò per i suoi libri un nuovo marchio, quella incisione quattrocentesca affiancata dal motto «Celum stellatum» che ancora oggi contraddistingue la casa editrice.
Come scrive l'attuale direttore editoriale, Francesco Cataluccio, nella sua premessa alla riedizione del Catalogo generale Bollati Boringhieri, fu negli anni trascorsi alla Einaudi che Boringhieri rafforzò le proprie idee sul fatto che la modernizzazione della società italiana non potesse compiersi se non attraverso la divulgazione della scienza; e la scienza andava promossa - fatto al tempo assolutamente innovativo - «non in non in antitesi ma accanto alle scienze umane». È chiaro come Boringhieri intendesse la questione in una accezione assai ampia e mai dogmatica: lo testimoniarono, del resto, la pubblicazione (concomitante a quella di Freud) dell'opera di Jung - condotta sulla base dell'edizione svizzera in diciannove volumi, e affidata alla direzione di Luigi Aurigemma - ma anche dei lavori di Marie Louise von Franz, di Jacobi, di Adler, di Abraham o di Pavlov, oltre alla prosecuzione della linea a suo tempo delineata da De Martino e Pavese, con la discussa «collana viola» a cui si sarebbero affiancate le opere di Heinsemberg e di Pauli fino alla pubblicazione, nel 1959, dell' Origine delle specie di Charles Darwin.
Particolarmente significativa fu poi la collana «Enciclopedia di autori classici», diretta a partire dal 1958 da Giorgio Colli, il brillante allievo di Gioele Solari, già condirettore con Balbo e Bobbio dell'einaudiana collana dei «Classici della filosofia».
In soli nove anni, dal 1958 al 1967, trovarono spazio nell'«Enciclopedia» ben novanta titoli, un risultato imponente raggiunto grazie al clima ottimale in cui lavorava un gruppo di ricerca affiatato, composto da allievi e studiosi che in gran parte avevano già seguito Giorgio Colli nell'esperienza alla Einaudi, e ai quali ora si affiancava la significativa figura di Mazzino Montinari.
Confortati da Boringhieri, Colli e i suoi collaboratori si ritrovarono uniti da un progetto comune e ambizioso, quello di pubblicare una serie di testi che in qualche modo ricalcassero le letture fatte da Nietzsche sull'onda di Schopenhauer, affiancando così alla proposta di testi chiave delle religioni orientali, la riproposta di un numero rilevante di classici della scienza e del pensiero europeo. Proprio Montinari, rievocando il clima e l'esperienza dell'«Enciclopedia» avrebbe poi ricordato come si fosse trattato, in primo luogo, di «formare una sorta di nuova comunità di lettori e collaboratori, pubblicando dei testi che all'intellettualità accademico-politico dominante non potevano che risultare inattuali e fuori moda, anzi in certi casi addirittura irritanti e scandalosi». Accanto a scritti di Ippocrate e Fermat, Platone e Leibnitz, Darwin e Newton, trovarono posto il Pascal del Trattato sull'equilibrio dei liquidi e l'Adam Smith della Ricchezza delle nazioni, lo Stendhal della Filosofia nova e lo Spinoza dell'Etica.
Una infilata di nuove collane
Alla collana diretta da Colli si affiancarono ben presto quelle dei «Classici della scienza», dei «Testi della fisica contemporanea», dal 1964, diretta da Pier Francesco Galli, il «Programma di Psicologia Psichiatria Psicoterapia» e, dal 1965, l'«Universale scientifica» - forse la più riconoscibile, anche graficamente - che in poco tempo permise a Paolo Boringhieri di presentarsi come uno degli editori più all'avanguardia ma al tempo stesso più attenti - lo si legge nell'introduzione al catalogo del 1960 - «a ogni livello di preparazione», interessandosi a «quasi tutti i campi della scienza». Egli - si legge ancora, in quella che rimane forse la migliore descrizione del suo programma etico, oltre che editoriale - «cerca un terreno d'incontro tra gli specialisti e i non specialisti, e nel far ciò, la considerazione scientifica delle cose viene confrontata con quella umanistica, attraverso i classici. L'interesse editoriale non è soltanto rapsodico, ma formativo, nella ricerca di un'unità della cultura e di prospettive vivificanti».
Nel 1987, sette anni dopo aver portato a termine la pubblicazione dell'Opera di Freud, Paolo Boringhieri (scomparso lo scorso agosto) cedette all'amica Romilda Bollati le azioni di controllo della casa editrice, che assunse il nome di Bollati Boringhieri. Era dunque arrivato il momento di ritirarsi a vita privata. La direzione fu assunta da Giulio Bollati, assistito fino al 1993 da Armando Marchi, che si prodigò nel promuovere una sorta di «rinnovamento nella continuità», aprendo nuove collane - «Temi», «Varianti»e, dal 1991, le «Variantine», segnate dal successo editoriale del Servabo di Luigi Pintor, «Nuova Cultura», che ospitò il discusso saggio di Claudio Pavone sulla Resistenza come guerra civile e «Pantheon».
L'apertura a altri temi
Erano tutte collane indirizzate al potenziamento dei settori dell'arte e della letteratura, oltre che della storia e delle scienze sociali, e per la prima volta nel catalogo vennero introdotti anche libri dedicati alla fotografia. «Non vedo perché», dichiarava Bollati rispondendo a chi gli rimproverava di aver virato troppo sul versante delle letteratura, una casa editrice scientifica sia condannata a esprimersi «per formule e per cifre». «La scrittura è uno strumento conoscitivo: vogliamo lasciarla fuori dalla porta per un vieto ossequio ai generi, alle specializzazioni? Una casa editrice scientifica deve assolutamente occuparsi del linguaggio... Nella scoperta scientifica c'è gioco, ma c'è anche espressione, c'è anche stile, c'è anche fantasia».

Festeggiamenti
La presentazione del catalogo, mostre, concerti
In occasione del cinquantenario della sua inaugurazione da parte di Paolo Boringhieri e del suo ventennale come Bollati Boringhieri la casa editrice torinese ha in programma una serie di iniziative speciali distribuite nell'arco di tutto il 2007. L'8 maggio, a Roma, verrà presentato quel prezioso patrimonio della nostra cultura che è il Catalogo Storico. Inoltre, sarà inaugurata una mostra itinerante con tavole originali disegnate da Enzo Mari per le copertine dell'Universale Scientifica Boringhieri: sarà possibile vederle nelle librerie Feltrinelli di diverse città, da Udine a Napoli, da Firenze a Mantova, da Roma, a Bologna e Milano; a ogni inaugurazione saranno presenti autori, redattori e collaboratori della casa editrice. Ancora a maggio, l'assegnazione dell'annuale premio per l'editoria intitolato a Giulio Bollati sarà l'occasione per un convegno sull'editoria scientifica al quale prenderanno parte editori e autori italiani e stranieri. Infine, il 17 settembre, in occasione del Settebremusica torinese, Helene Grimaud, la celebre pianista che ha esteso la sua fama raccontando in «Variazioni selvagge» la sua vita insieme ai lupi dai lei allevati, terrà un concerto durante il quale verranno ricordati i cinquan'anni della casa editrice

il manifesto 1.4.07
Prc, la paura di non avere confini
Alla conferenza d'organizzazione di Rifondazione entra nel vivo il dibattito sul futuro del partito, della Sinistra europea e del «cantiere». Tra il fascino della sfida e il timore di perdersi in un territorio troppo vasto
di Matteo Bartocci


«C'è un grande disagio tra di noi ma io credo che sia il frutto di una vittoria. Se emergono contraddizioni nei Ds non dobbiamo essere preoccupati». Può stupire ma quando Paolo Ferrero prende la parola dal palco di Carrara è dopo tre giorni di dibattito che finalmente emerge con chiarezza il non detto che da giovedì divide e preoccupa la conferenza di organizzazione di Rifondazione: la nascita di un soggetto politico unitario della sinistra senza aggettivi. Un fantasma che per la prima volta dall'89 torna ad aggirarsi in Italia se non in Europa.
Su come conciliare Rifondazione, la Sinistra europea e la new entry «cantiere della sinistra» ovvero un soggetto politico nuovo, la conferenza di Carrara ha sorvolato. «Il futuro della sinistra alternativa - insiste invece Ferrero - è fatto di forme di aggregazione che mettono assieme i diversi senza ricondurli a uno solo. Non è più tempo di partiti unici, il Prc c'era, c'è e ci sarà, continuerà a lavorare nella Sinistra europea ma contribuirà ad allargare il campo lavorando nel 'cantiere' con quelli che comunisti non sono o non hanno un partito ma fanno le battaglie con noi. Quello che diciamo della società multietnica, multiculturale, aperta, deve valere anche per la politica».
Il re è nudo. In tempi di crisi della rappresentanza non sarà un partito unico né una confederazione di partiti come proposto con testardaggine da Oliviero Diliberto e dal Pdci. Sarà però un soggetto politico nuovo senza confini. Per ora avanti con prudenza, con una certa «doppiezza» che consenta di parlarne tutelando soprattutto l'unità del partito.
Il disorientamento è comprensibile. «Nella triangolazione tra Prc, Se e 'cantiere' bisogna fare un passo in avanti.Il gruppo dirigente non ha fornito un quadro analitico all'altezza della sfida che abbiamo di fronte», butta lì Elettra Deiana, anche lei a disagio per una discussione fin qui molto identitaria. Più netto ancora Alfonso Gianni: «L'oggetto di queste giornate è la nascita di un nuovo soggetto politico, siamo chiamati a decidere il cosa, il come e il quando. E' a noi comunisti che spetta il compito di ricostruire l'intera sinistra, senza aggettivi e capace di raccogliere superandola il meglio della sinistra del secolo alle spalle».
Parole non smentite nelle conclusioni che pronuncerà stamattina Franco Giordano. Il segretario sarà però molto più prudente: rinnoverà la grande apertura verso la sinistra Ds fino a ventilare una «soggettività politica» più larga della sola Rifondazione ma terrà ben distinti i piani mantenendo intatta «l'anomalia Prc».
Infatti se da fuori può apparire poca cosa, la Sinistra europea è in realtà vissuta con fatica dal corpo del partito, quella platea di quadri che è il cuore della conferenza di organizzazione, dove in tanti criticano i contorni confusi della Linke all'italiana (Gianluigi Pegolo) oppure il mito dell'unità a sinistra che è evocato da decenni ma «tanti danni ha provocato» (Ramon Mantovani). «Basta con la distinzione tra le due sinistre - dice invece senza mezzi termini Pietro Folena - basta con la contrapposizione di bandiere del '900». Affermazioni respinte da una parte importante del partito, anche della maggioranza. Milziade Caprili per esempio critica una improbabile «rifondazione socialista» ma invita a mettere da parte la «rassegnazione» e a uscire in mare aperto a partire da quello che c'è: «Una conferenza di organizzazione - aggiunge con prudenza - non si fa per sciogliere un partito ma per superare i limiti di quello che c'è».
Al di là delle dichiarazioni però la Sinistra europea è contemporaneamente un punto di arrivo e un punto di partenza per Rifondazione. Un punto di arrivo perché è un esperimento limitato, parziale ma reale di innovazione della militanza e di forme della partecipazione politica non organiche a un partito. «Una soggettività plurale e a rete, una confederazione unitaria articolata su nodi e case della sinistra», dice il coordinatore della segreteria Walter De Cesaris nella sua relazione introduttiva indicando le prossime tappe: a giugno l'assemblea nazionale e in estate la nascita delle «case della sinistra». E' un'innovazione della forma partito nel dialogo con associazioni e individui che avrebbero più difficoltà a interagire con il Prc in quanto tale (Fiom o Arci per esempio).
Ma è innegabilmente anche un punto di partenza. Per paradosso, la Sinistra europea con tutte le sue difficoltà è una sorta di polizza vita del Prc. Senza di essa il partito arriverebbe al «cantiere» senza altra ipotesi che lo scioglimento o la condanna all'autoreferenzialità. E' un terreno medio e parziale ma necessario.
La prudenza di Giordano è comprensibile. Il dialogo con tutta la sinistra è la precondizione per fare blocco su alcuni punti irrinunciabili, basti pensare ai Dico - terreno su cui Fassino non può essere lasciato solo di fronte a Rutelli o all'offensiva dei Cei - o alle pensioni - in cui la Cgil deve trovare una leva nella maggioranza. Ma al di là delle cortine fumogene è innegabilmente alla sinistra fuori dal Pd che si guarda con occhi «unitari».
A chi dice che è un passo troppo piccolo rispetto alla fase nuova, gli uomini di Giordano rispondono che intanto è un passo. Il cantiere del partito democratico in fondo è aperto da 11 anni e non ha ancora messo su la prima pietra.4
l’Unità 1.4.07
«Rifondazione riunirà la sinistra in poco tempo»
Il senso del Cantiere. Ferrero: multiculturali e multietnici
Falce e martello addio? «È ancora troppo presto»
di Wanda Marra


«RIFONDAZIONE c’era ieri, c’è oggi e ci sarà domani. Continuiamo a lavorare alla Sinistra europea, ma non siamo portatori di nessuna forma settaria, per cui continuiamo ad allargare con il Cantiere della sinistra. Ma non è più il tempo dei partiti unici, né al
governo né all'opposizione. Servono forme di aggregazione, che mettano insieme elementi diversi, senza l'idea di ricondurli ad uno solo. Quello che diciamo per la società, che intendiamo multietnica e multiculturale, deve valere per le forme della politica. Questo è il futuro di una politica di alternativa”. E’ forse il più applaudito della giornata Paolo Ferrero, che intervenendo nel pomeriggio alla Conferenza di organizzazione del Prc di Marina di Carrara, prova con queste parole a delimitare i paletti della discussione in corso, a trovare una sintesi. Mettendo insieme non solo il futuro di Rifondazione come partito, ma anche come partito di governo: ”Basta stare a guardare che il governo faccia qualcosa e dare dei voti. Il ruolo di Rifondazione è duplice: dobbiamo lavorare per modificare i rapporti di forza e rompere l'impotenza che regna tra la nostra gente. Dobbiamo contrattare ma non appiattirci». E avverte: «Il 'Tesoretto' per la ridistribuzione del reddito è la parola d'ordine. Le prossime settimane sono il punto decisivo».
Quella di Ferrero è però una delle sintesi possibili, dopo tre giorni di dibattito, che almeno un dato l’hanno evidenziato con forza: il Prc a questo punto è davanti a un passaggio non secondario e anche difficile, come molti sottolineano dal palco, di cui si vede l’inizio, ma non l’approdo finale. C’è un progetto a breve termine, la Se, che si va definendo come esperienza “confederativa”. Poi c’è l’idea, lanciata da Bertinotti, e ribadita da Giordano, di un Cantiere della sinistra, aperto a tutti. Nel frattempo, lo scenario politico è in movimento, con Mussi e i suoi, che nel Pd non entreranno e mostrano interesse per un soggetto a sinistra. E con loro Rc si deve confrontare (già domani alcuni dei suoi dirigenti saranno insieme a qualche esponente della sinistra Ds in un incontro sul futuro della sinistra in Europa): attraverso una nuova “soggettività politica”, come adombrato da Giordano? E con quali forme? Inutile negare, allora, che la Se appare più un passaggio, che un punto d’arrivo. «Dovrà essere una soggettività confederativa. E c’è spazio poi per un discorso più ampio a sinistra”, spiega il coordinatore della segreteria, De Cesaris, in apertura di giornata.
Ma a dire chiaramente che bisogna andare oltre è il Sottosegretario, Alfonso Gianni: «Dobbiamo andare più in là, anche dello stesso progetto della Se. Nel nostro paese il problema non è aprire cantieri, è chiuderli con un prodotto finito, visibile e fruibile. Abbiamo tempi brevi per farlo: mesi, non anni. Bisogna porre il tema della costruzione di un nuovo soggetto politico: tocca ai comunisti, liberamente comunisti quali noi siamo, il compito di ricostruire l'intera sinistra». Una sinistra “senza aggettivi” la definisce Gianni.
Ma anche sugli aggettivi si differenziano le posizioni. Con Folena, che afferma la necessità di tornare al «socialismo delle origini». E il vicepresidente del Senato, Caprili, che rimanda al mittente questo consiglio: «Noi siamo un’altra cosa. Siamo comunisti. Va bene guardare alla Se, al Cantiere, all’emergenza politica. Ma partendo da Rifondazione comunista». L’autonomia e la simbologia del Prc non sono in discussione, ha chiarito Giordano. Insomma, Falce e Martello non si toccano. Questo sicuramente per oggi, ma per domani? «Non è in discussione ora se abbandonare questa forma del partito, ma come riformarla, rafforzarne il radicamento – dichiara un vecchio “compagno”, Peppe Tazzese, responsabile del Tesseramento di Rc – ma verrà un momento in cui sarà attuale. E si discuterà su come riusciremo a metterci insieme in un corpo più ampio. Se un giorno Falce e Martello dovessero scomparire non piangeremo». «Non mi pare si stia andando verso il socialismo. Ma in ogni modo sia chiaro che non sono disposta a rinunciare alla mia identità comunista», avverte invece Bianca Bracci Torsi, che viene dalla Resistenza. Un approccio più laico arriva dai più giovani: «Non credo tanto nei simboli. Ma la Falce e Martello rappresenta una parte importante della nostra storia e della nostra cultura. Ora però, bisogna discutere come ci si rapporta allo spazio lasciato libero a sinistra dal Pd», spiega Michele Piras, segretario regionale della Sardegna.

l’Unità 1.4.07
Bagnasco senza freni accomuna Dico, pedofilia e incesto


È bufera sulle parole del capo della Conferenza episcopale. Poi la Cei tenta una marcia indietro: è stato male interpretato
L’attacco quotidiano ai Dico arriva per voce dell’arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente Cei, che sulla scia della guerra di Ruini dice: «Se cade l’etica, poi è difficile dire no anche a incesto e pedofilia, come è accaduto in Inghilterra e Olanda».
Parole che provocano una bufera politica. Concetti difesi dalla destra e da Mastella, attaccati dai ministri Pollastrini e Pecoraro Scanio. Il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, cattolica e credente, è sconcertata: «Certi vescovi dovrebbero andare in missione e rendersi conto di cosa significa sostenere davvero le famiglie italiane». E solo a tarda sera la Cei tenta una marcia indietro. Le parole di Bagnasco sarebbero state male interpretate.

I DICO equiparati all'incesto o alla pedofilia: aberrazioni. Per paradosso o per convinzione il presidente della Cei, l'arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco parlando venerdì sera ai «comunicatori» della sua diocesi spiega la Nota dei vescovi indirizzata ai politi-
ci sulle coppie di fatto. Parla di senso comune, libertà individuale e dei criteri antropologici dei valori etici, di un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male. Invita ad utilizzare gli argomenti della ragione, comprensibili da tutti. E a farlo con rispetto e moderazione. Poi a proposito delle coppie di fatto arrivano le parole forti. Almeno stando ai resoconti dei quotidiani genovesi e delle agenzie di stampa. «Perché dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia. Perché dire di no?» si domanda retoricamente. E passa ad una serie di equiparazioni: «Perché dire di no all'incesto come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? Sono situazioni limite, usate in senso paradossale o accostamenti arditi per spiegare i no della Chiesa ad una possibile deriva etica? «Se il criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti, fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non più l'uomo nella sua libertà di scelta, ma nel suo dato di natura». Insiste l'arcivescovo di Genova: «La questione problematica che ci ha consegnato il Novecento è non sapere più chi è la persona umana».
Quell’accostamento dell’incesto e della pedofilia alle coppie di fatto è ritenuta «inaccettabile» e «incredibile» da politici del centrosinistra e dai movimenti omosessuali. Dura la reazione del ministro per le Pari opportunità, Barbara Pollastrini che di dice «stupefatta» dall'utilizzo di espressioni «che trascendono il dissenso legittimo» dalla proposta di legge sui Dico e che finiscono «con il ferire la dignità delle persone». Il ministro Alfonso Pecoraro Scanio spera in un equivoco e auspica un chiarimento, perché «il paragone tra le convivenze e la pedofilia o l'incesto è gravissimo». L'Arcigay, con il segretario Aurelio Mancuso, suggeriscono al presidente della Cei di fare «mea culpa» per «le aberrazioni di cui si macchiano tanti sacerdoti» a danno di bambini e bambine. Plaude all’arcivescovo il centrodestra. Commenta Francesco Storace (An): «Oggi Bagnasco ha detto elementari verità». Mentre il ministro Mastella osserva: «Non è possibile che ogni volta che qualche vescovo interviene su cose normali, di buon senso religioso e laico, ci siano intemperanze, atteggiamenti un po’ isterici».
La eco delle reazioni arriva sino a Macerata, dove il presidente della Cei, con il cardinale Ruini, partecipa all’ordinazione a vescovo della città di monsignor Claudio Giuliadori. In un primo tempo Bagnasco si limita a dire: «Bisogna vedere come le mie parole sono state riportate. Non ho avuto modo di vedere le agenzie...». Poi, nel pomeriggio, arriva la puntualizzazione affidata all'arcidiocesi di Genova: fa testo quanto scritto da Avvenire. L’arcivescovo è stato mal interpretato: «Nessuna equiparazione, nelle sue parole, tra i Dico e l'incesto o la pedofilia». Lo sottolinerà anche il quotidiano della Cei. Sotto accusa le sintesi giornalistiche, definite «parziali e fuorvianti». Sarebbe diverso il contesto delle affermazioni sotto accusa. Si dà conto di un Bagnasco che invita a «comunicare» facendo riferimento al retto uso della ragione e a una «corretta antropologia». Che parla di «confronto retto, onesto, il più possibile pacato e rispettoso». Ci sono pure quelle citazioni sull’incesto e sulla pedofilia, ma per segnalare il rischio della mancanza di «un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male». Quegli accostamenti, però, continuano a bruciare.

l’Unità Lettere 1.4.07
Il cardinale Scola, arcivescovo di Venezia, ha affermato che «nella società italiana manca una dialettica rispettosa delle opinioni di tutti». Paradossalmente ha ragione. Infatti nella sfera genericamente politica i media pubblici e privati consentono bene o male una pluralità di informazioni disegualmente divisa in cinque : un quinto di politici laici, due quinti di politici dichiaratamente cattolici (di destra e sinistra), e due quinti di prelati che fanno politica. Nella sfera genericamente culturale dedicata alle concezioni del mondo, religiose e non, il 99 % dello spazio è dedicato alla religione cattolica e a tutto il suo indotto parrocchiale e associazionistico, e l' 1 % a protestanti ed ebrei. Ma questi ultimi in TV solo dopo le due di notte. Zero agli atei e alle loro organizzazioni rappresentative. Eppure l' on.le Casini aggiunge che se la chiesa viene privata del diritto di parola rischia di tornare nelle catacombe. Ma qui il problema è che nelle catacombe ci sono solo gli atei. Nessuno in Italia vuole togliere la parola alla chiesa cattolica che afferma in ogni momento di essere l' unica a detenere la verità assoluta. Il vero e unico problema è che solo la chiesa cattolica esercita pienamente il diritto di parola in questo Paese. E lo esercita per contestare i valori espressi da tutte le altre componenti sociali e culturali, senza che ad esse venga dato nemmeno uno spazio minimo di contraddittorio. Non possiamo accettare che laicità dello Stato si affermi solo nel consentire ad un unico soggetto la piena libertà d' espressione, perchè così facendo appare come uno Stato totalitario e teocratico. Non garantendo il pluralismo dell' informazione (nemmeno nei media pubblici dove è tenuto per legge), lo Stato impone di fatto la segregazione e l' apartheid mediatico, soprattutto degli atei .
Giulio C. Vallocchia

l’Unità 1.4.07
Cézanne a Firenze, il collezionismo senza scuola
di Renato Barilli


ANTOLOGIE A Palazzo Strozzi trenta opere del grande «provenzale» tornano nella città che le capì e le acquistò per la prima volta, ma che non riuscì a mutarne il fascino in ispirazione per altri artisti

Una mostra come Cézanne a Firenze, in atto a Palazzo Strozzi (a cura di Francesca Bardazzi) appare, al tempo stesso, esaltante e deprimente. Esaltante, perché non succede tutti i giorni di vedere una trentina di opere del padre incontestato dell’arte contemporanea, e per giunta riunite con giustificato motivo, in quanto acquistate, in epoche assolutamente pionieristiche, da «due collezionisti», come precisa il sottotitolo della rassegna fiorentina. Uno di essi, Egisto Fabbri (1866-1933), era nato proprio sotto il campanile di Giotto, anche se i casi della vita lo avevano portato a un destino internazionale. Adottato in pratica da uno zio facoltoso, il nipote, che lo ripeteva nel nome, poté svolgere i propri raffinati gusti di pittore in prima persona e di avveduto collezionista, essendo così tra i primi a intuire il genio cézanniano, avendo a fianco in tale scoperta un altro personaggio di gusti ugualmente raffinati, tedesco di origine, Charles Alex Loeser. I due, buoni amici nella vita elegante che conducevano presso la colonia anglofona di Firenze, spartirono anche l’amore coraggioso per i dipinti del grande Provenzale, e dunque questa attuale fedele ricostruzione delle loro scelte ci offre, sulle pareti di Palazzo Stozzi, una buona campionatura del genio cézanniano. C’è perfino un dipinto giovanile degli anni Sessanta dell’Ottocento, I ladri e l’asino, quando l’artista da giovane usava uno stile contorto, sbisciolato, in cui era già l’intuizione che l’universo contemporaneo tale è in quanto percorso da energie radianti, da «onde». Era il drastico rifiuto di quegli atomi sensoriali, allineati come in un diligente pallottoliere, cui invece ricorrevano i coetanei del Nostro, gli Impressionisti. Anche se poi lo stesso Cézanne doveva ammettere la necessità che a quel fare pulsante, a onde sferoidali, succedesse una sorta di «rettificazione» affidata alle faccette di un poliedro, e nasceva così la tipica sua maniera, consistente in una sventagliata di pennellate sicure di sé, autonome, pronte ad aprirsi a carciofo nello spazio, da cui sarebbero poi derivati il Cubismo e ogni altra ipotesi costruttivista. Di questi entusiasmanti esperimenti e primi passi nell’avventura spaziale del nostro tempo la mostra fiorentina offre un’antologia ristretta ma essenziale, limpidamente didattica, e di riflesso va dato il giusto merito ai due collezionisti andati in avanscoperta.
Ma, si diceva, ci sono pure ragioni di malinconia, di rimpianto per occasioni perdute, in quanto di tutto questo ben di Dio nulla è rimasto alla Città del Giglio: i due rabdomanti, dopo aver conservato con orgoglio le tele preziose per alcuni decenni nelle belle dimore che si erano procurati a Firenze e dintorni, andarono progressivamente disfacendosene, per ragioni varie. E dunque, se ora per un momento questi dipinti ricompaiono sulle rive dell’Arno, ciò avviene con provenienza dai quattro angoli del mondo, dove ritorneranno lasciandosi alle spalle un vuoto assoluto.
Ma ancor più triste, se ritorniamo al caso del collezionista fiorentino, Egisto Fabbri, dover constatare che questo interesse encomiabile per le innovazioni cézanniane rimase senza tracce nella sua personale attività artistica, qui utilmente documentata. Egli fu un buon ritrattista, con dipinti dedicati a soggetti di famiglia, ma sulle orme di un artista assolutamente distante dalle orme del genio di Provenza, e invece buon rappresentante di modalità assai più convenzionali, anche se oggi pure a lui si riconosce qualche grado di eccellenza, John Singer Sargent, con quelle sue pennellate solide, ariose, mirabili nell’inquadrare volti, sagome, abiti, ma pur sempre nel rispetto di un codice di normale naturalismo. Nulla a che spartire con le scansioni condotte dall’interno, con le indagini strutturali che consentivano all’artista francese di sovvertire i vecchi canoni di un mimetismo speculare. E se non guardava a Sargent, il nostro Fabbri si ispirava ad altri campioni della sfera impressionista, seppure di specie nordamericana, come Julian Weir o John La Farge, o consuonava con alcuni suoi coetanei toscani quali Alfredo Muller e Eduardo Gordigiani.
E neppure si può dire che quella miracolosa presenza di dipinti del fondatore della contemporaneità riuscisse ad esercitare un’azione fecondante, sull’arte fiorentina dei primi due decenni del secolo. Uno dei compiti aggiunti della mostra a Palazzo Strozzi, come indicato da un seconda metà del sottotitolo, sta nel ricostruire La mostra dell’Impressionismo del 1910, che appunto presso la città del Giglio si tenne in quell’anno, sotto la regia di Ardengo Soffici. Ma, come in ogni azione di questa contraddittoria figura, vi fu espressa una scelta incerta, esitante, sostanzialmente confusa, visto che accanto a un impressionista autentico come Pissarro vi comparvero pure Van Gogh, Matisse, Medardo Rosso, cioè nomi che «sparavano» in direzioni difformi. Fu un bagno nell’attualità, ma in modi indiscriminati. L’unico toscano che allora capì davvero la lezione di Cézanne, Amedeo Modigliani, dovette però andare a Parigi per apprenderla. E ci fu anche un altro giovane di quegli anni che ne ebbe un’efficace intuizione, seppure attraverso cattive riproduzioni in bianco e nero. Alludo a Morandi, che nella vicina Bologna andava componendo dei paesaggi i cui dati, proprio come nella lezione cézanniana, «facevano muro» in primo piano.

venerdì 30 marzo 2007

L’Unità 30.3.07
Bertinotti: «Unificare le sinistre? Un dovere»
I conti difficili di Prc. Verso un nuovo soggetto, senza più falce e martello. E quanto pesa stare al governo
di Wanda Marra


DOPO I FISCHI Sceglie la Versilia e lo spazio quasi post-moderno della Fiera di Carrara Rifondazione, per la sua Conferenza nazionale di organizzazione. Uno scenario inedito per un appuntamento centrale per fare il punto sulla situazione del partito, dopo
un anno, o quasi di esperienza nel governo, e "lanciarlo" verso la costituzione della Sinistra europea. E nella prima giornata carrarese di Rifondazione si respirano un po' tutte le spinte e le controspinte che vive il partito in questo momento.
Per l'apertura dei lavori arriva Fausto Bertinotti. Accolto calorosamente, come sempre dalla platea di Rifondazione non sale sul palco per prendere la parola ufficialmente. Segue i lavori seduto in prima fila, accanto a Gennaro Migliore. Parla però con i giornalisti. Le contestazioni «anche quando sono piccole e circoscritte vanno indagate per capire cosa c'è dietro, se c'è un disagio», dice a proposito di quella da lui subita. Anche se ci tiene a precisare che «lo stato di salute di Rifondazione è molto buono». Ribadisce la necessità della riunificazione delle sinistre: «Si può chiamare in molti modi, io l'ho chiamata cantiere, per dare l'idea che le sinistre in Italia devono ricominciare a discutere dalla cultura politica». E d'altra parte, la Conferenza di Rc si interfaccia anche temporalmente con la riunione della seconda mozione dei Ds, dove si ribadisce che sarà formato un movimento per un progetto alternativo con l'obiettivo di riunire tutta la sinistra italiana. Sulla situazione del governo, poi, Bertinotti interviene per dire che non vede cambi di maggioranza all'orizzonte. È la relazione introduttiva del responsabile organizzazione di Rc, Ciccio Ferrara a definire i confini entro cui si muove il partito, riaffermando la legittimità dell'«anomalia» di Rifondazione, «di voler stare dentro un crinale: quello del rapporto tra società e politica, tra movimenti e rappresentanza, di cercare e di tentare nuove forme di relazioni e di connessioni». E poi, a proposito della SE, rivolgendosi quasi esplicitamente alla sinistra della Quercia, dice: «Non pensiamo che si debbano o possano mettere discriminanti, né che possano essere posti vincoli al proseguo di questo confronto. Ognuno parte da sé: noi dalla Sinistra europea e dalla cultura politica della Rifondazione comunista; altri da altre ipotesi di collocazione internazionale e altri riferimenti, del tutto legittimi. Nessuno rinunci a nulla, la prospettiva deve essere il misurarsi in un confronto, i cui tempi e modalità vanno naturalmente condivisi».
Intanto, in platea si agitano e si confrontano le diverse anime del partito. Non ci sono Cannavò e Turigliatto, di Sinistra critica. Arriveranno domani per fare una conferenza stampa in cui chiederanno, tra le altre cose, un congresso straordinario. Che c'è aria di scissione ormai sembra chiaro. Contro il progetto di Se, e non solo. E se anche nessuno lo dice ancora ufficialmente, tra le ipotesi nella prospettiva della SE c'è anche quella dell'eliminazione dal simbolo di falce e martello Guido Cappelloni, Presidente del Collegio di Garanzia nazionale, esponente dell'Ernesto, vecchio comunista doc: «La Sinistra europea non è la risposta giusta». Nessuna voglia di scissione da parte loro, ci tiene a sottolinearlo, comunque. Ma mette sul piatto anche una domanda: «Rinunciando a falce e martello prenderemmo più o meno voti?». Posizione completamente diversa quella di Nicola Fratoianni, giovane segretario regionale della Puglia, che fu tra gli artefici delle primarie che videro Vendola vincitore. «Il progetto politico della Se non è, non può essere in discussione», dice. Come spiega che uscire dal governo per Rifondazione darebbe vita a uno scenario di "regressione". Il punto è il come andare avanti. Una possibilità la mette in campo: «Rilanciare il metodo delle consultazioni, anche sui contenuti. Per esempio: quali contenuti deve avere la SE? Ma anche, prendiamo il voto sull'Afghanistan: come deve comportarsi Rifondazione?» E a proposito delle spine di un Prc di governo alla domanda di un'inchiesta sul partito, fatta su oltre 2500 quadri locali, presentata ieri, «Quali effetti ha sul partito la partecipazione al governo?", il 42,5% non risponde, il 27,4% li valuta positivi e solo il 4,1% negativi del tutto.

L’Unità 30.3.07
I 92 anni di Pietro Ingrao
La sua storia per vedere al meglio il nostro presente
Di Pietro Barcellona


Presentando l’anno scorso a Firenze, con Givone e Cantarano, il libro di Ingrao, Volevo la luna, ho detto che si tratta di un grande romanzo familiare e insieme di un’epica della sconfitta. Mentre scorrono i ricordi di Ingrao, il paese, il nonno, la madre, la clandestinità, il partito, si avverte il presentimento di un destino: assistere al fallimento del più grande tentativo di assalto al cielo che gli esclusi, i dannati della terra abbiano mai tentato. Il filo rosso della vita di Ingrao è in quel ripetuto insistere sull’insorgenza che diventa agire politico, sia esprimendo la reazione all’esclusione, al persistere di uno stato di subalternità di grandi parti della società e del mondo, sia per dar corpo allo spirito di rivolta contro la mediocrità e l’assenza di valori della moderna borghesia. Come nella poesia, il bisogno di vincere il silenzio della storia sugli sconfitti di cui Ingrao ha subìto la fascinazione ambigua sin dai tempi della collaborazione con Luchino Visconti. La fine di ciò per cui una vita è stata spesa, insieme a tante altre.
Non è un caso che il libro si fermi agli anni ’80, subito dopo l’assassinio di Moro, e non parli neppure dell’89 e del crollo del comunismo. Forse tocca a noi che abbiamo condiviso questa sconfitta cercare di proseguire la ricerca oltre quella data fatale; provare a cercarne le ragioni profonde, il senso di questa fine d’epoca. In verità, ci troviamo in quel difficile passaggio in cui sono tramontati i vecchi dei e i nuovi non sono ancora nati.
Ciò che è diventato indefinibile è proprio l’oggetto di ogni nostro sapere, il riferimento di ogni discorso sensato sui significati dell’agire umano: la definizione di ciò che istituisce la specificità dell’essere umano. La domanda su ciò che dell’essere umano fa problema, ciò che costituisce il nucleo di ogni interrogazione che giustifica e legittima la stessa organizzazione della ricerca e del sapere: il problema di cos’è un uomo e di cosa sappiamo dire intorno ad esso è diventato nebuloso e incerto. L’uomo non è più definibile neppure come campo di interrogazione. Non è più possibile stabilire né quando nasce, né quando muore, è in gioco la stessa forma della finitezza umana. Siamo entrati nell’epoca del post-umano. (…)
Tutte le opposizioni sono conciliate e risolte in uno scenario di tipo evolutivo in cui l’organico e l’inorganico, la morte e la vita, sono le facce complementari di un unico processo «naturale» teso a produrre selezioni efficaci per la sopravvivenza in un universo insensato. L’unica legge che governa la vicenda della quale siamo spettatori passivi sembra essere quella di realizzare una perfetta integrazione tra cervello e computer, tra umanità e tecnica, capace di produrre un’intelligenza artificiale cosmica, immune da tutti i rischi legati alla materialità fisica.
Il campo dell’umano, che è stato sin qui il centro di attrazione storico, è letteralmente cancellato, in questo stadio del processo evolutivo che mira a realizzare l’esistenza di una perfetta intelligenza immateriale. L’artefatto, prodotto dagli uomini per ordinare il caos, appare oggi come uno stadio dell’evoluzione della natura vivente, che ha selezionato l’intelligenza calcolante come fattore della metamorfosi destinata a culminare in unica intelligenza cosmica non più condizionata dalla materia. La libertà e la volontà umane di cui tante volte ci siamo stoltamente compiaciuti sono totalmente sostituite dal caso e dalla necessità che presiedono al processo evolutivo guidato dall’intelligenza calcolante/selettiva. (…)
Se l’avvento di questo universo totalmente nuovo spiazza ogni discorso sulla realtà e sulla storia, in nome di chi e di che cosa posso prendere la parola per tenere una lezione magistrale? E, tuttavia, questo è il paradosso: l’avvento del nuovo non può essere pensato senza la dimensione della temporalità e non può essere presentato senza il linguaggio che scandisce il nostro rapporto con l’esperienza passata. Fino a quando la rappresentazione dell’accadere si manifesta nel tempo della parola è possibile recuperare uno spazio per interrogare il passato. La memoria resta, anzi, l’unico luogo - ce lo ricorda Ingrao - in cui è possibile ritessere la trama degli eventi futuri. (…)
Se siamo ancora qui a festeggiare il compleanno di Ingrao è perché egli appartiene, come ha scritto Mario Tronti, alla categoria dei «profeti», di coloro cioè che non si sono rassegnati a ridurre la politica ad economia. Tutta la vita e il lavoro di Ingrao, specie quella che attraverso una peculiare percezione dell’urgenza della crisi, negli anni che vanno dal ’79 all’89, hanno posto sul tappeto il tema di una nuova politica capace di «vedere» il presente. Gli anni poi di lavoro al C.r.s. come estremo tentativo di offrire una prospettiva alle donne e agli uomini che rischiavano di essere travolti dalle macerie dell’89, non un mero ritorno del tragico passato novecentesco, colmo di orrori, campi di sterminio e di gulag, ma un distanziamento dalla congiuntura che consenta di riaprire la prospettiva di una temporalità non esaurita.
Tutto il periodo della sua, della nostra ricerca al C.r.s. è un forte presagio della fine imminente, ma anche la prova della convinzione che ciò che è accaduto non sia solo nefandezze ed errori, ma anche grandi speranze e sacrifici generosi di tante donne e di tanti uomini anonimi.

L’Unità 30.3.07
Ds, Mussi annuncia l’addio
«Si è chiusa una storia, andremo via quando parte la costituente Pd»
Fassino: «Resta, sono convinto che stiamo facendo la cosa giusta»
di Ninni Andriolo


«Il dado è tratto» annunciano, mentre sciamano dalla sala conferenze di Piazza Montecitorio, dopo una lunga giornata di confronto. «Oggi si è chiusa una storia - commenta Fabio Mussi - non avrei mai immaginato di arrivare a tanto, sono quarantadue anni che milito nella sinistra...». È commosso, il leader della sinistra Ds. «I partiti non sono dei tram, scendi da uno e ti siedi su un altro - spiega, mentre morde il solito toscano -. Se la sinistra, come dice Bersani, esiste in natura, allora deve anche essere rappresentata politicamente».
Imboccheranno una strada diversa da quella scelta da Fassino. Il «no» all’appello del leader della Quercia è nettissimo: Mussi, Salvi, Spini, Bandoli, Fumagalli - insieme al gruppo dirigente della mozione - non giocheranno a sinistra nella squadra del Partito democratico.

L’«ESTREMO APPELLO» inviato a chi ha vinto il Congresso è chiaro: «Fermatevi, prima di chiudere i Ds». Separazione, quindi. Se consensuale o meno lo chiariranno le settimane che mancano dalle assise di Firenze. «Non dobbiamo ripetere la rottura del 1989», auspica Marco Fumagalli, alludendo al Pci e alle fratture del dopo Bolognina. «Serve rispetto reciproco, tra due realtà della sinistra che seguono prospettive diverse e che non si considerano nemiche», fa eco Fulvia Bandoli. Ognuno per la propria strada, allora, quelli della «svolta» che partorì Pds e Ds? Così sembra, stando a ieri. I punti interrogativi, semmai, riguardano il come e il quando. La separazione non dovrebbe avvenire prima del Congresso di Firenze. Anche perché, in questi giorni, dirigenti e iscritti che hanno votato «a sinistra per il socialismo», hanno dato uno stop all’ipotesi accarezzata da esponenti del gruppo dirigente della mozione. Quell’abbandono anticipato, infatti, avrebbe dato ragione a chi bolla il «no» al Partito democratico come una «scissione dai Ds». La scelta di partecipare al congresso verrà ufficializzata, però, soltanto il 16 aprile prossimo, sempre che non si apra un clima da «caccia alle streghe che impedisca un confronto rispettoso delle posizioni di tutti».
Il 16 aprile, appunto, si incontreranno a Roma i delegati della sinistra eletti nei congressi locali. L’appuntamento, che precederà di pochi giorni le assise diessine di Firenze, non era in calendario. Ma costituirà, da ieri, il primo momento di una consultazione tra gli iscritti della sinistra. Per decidere come e quando aprire il cantiere «di un movimento autonomo della sinistra» e per tastare il polso alla «base». Con una campagna di assemblee che servirà a registrare - anche - l’entità delle adesioni ad un percorso che si dovrebbe divaricare da quello che porta al Partito democratico. «Un quarto degli iscritti ai Ds è decisamente contrario, o molto perplesso, rispetto alla formazione del Pd - afferma Mussi - Un quarto è molto, e noi immaginiamo che tra gli elettori vi sia una quota larga di contrari al Pd». Il dibattito sui modi e sui tempi della strategia da mettere in campo, però, è ancora aperto. «Così come chiediamo alla maggioranza Ds una pausa di riflessione, anche noi della sinistra dobbiamo prenderci un po’ di tempo in più. Perché la fretta è cattiva consigliera», avverte Vincenzo Vita.
Quando avviare il percorso costituente che guarda a sinistra, anche allo Sdi, a Rifondazione e al Pdci attraverso una prospettiva di scomposizioni e ricomposizioni? Già al Congresso di Firenze, come spiega qualcuno? «Se loro accelerano con il Pd noi, certo, non possiamo restare fermi», sottolinea Alfiero Grandi, passando il cerino acceso nelle mani di Fassino e facendo capire che in gioco c’è la partita sulle responsabilità ultime della scissione, che la sinistra Ds non intende assumersi. «Nel momento in cui si apre la costituente del Pd, annunciamo che formeremo un movimento politico organizzato autonomo», spiega Mussi. L’avvio concreto del processo di costruzione del Partito democratico, però, potrebbe coincidere con appuntamenti diversi, più o meno prossimi. E c’è chi immagina già una fase post-congressuale in cui continueranno a convivere da «separati in casa» maggioranza e minoranza Ds. Mussi ha escluso, in ogni caso, che la sua componente possa votare a Firenze i nuovi organismi dirigenti della Quercia. Gruppi parlamentari autonomi della minoranza, all’indomani del congresso di Firenze? «Anche questa scelta verrà discussa il 16 aprile», spiega Cesare Salvi. L’obiettivo, per il momento, è quello di una «separazione» che consenta alla sinistra di affrontare anche i nodi organizzativi: fondi, sedi, ecc. E, insieme a questi, il tema delle prossime elezioni amministrative. La sinistra Ds pensa a liste comuni con la maggioranza del partito. Si vedrà nelle prossime settimane,sempre che il clima sia quello auspicato da Bandoli: «prendiamo strade diverse, facendoci reciprocamente gli auguri di buon lavoro».

L’Unità 30.3.07
A Firenze, poi l’addio. Una corrente in mare aperto
«Bisogna farci capire dai nostri militanti». Tra preoccupazioni e sospiri di sollievo
di Eduardo Di Blasi


QUANDO, intorno alle cinque del pomeriggio, terminata l’Assemblea della mozione Mussi, parlamentari, dirigenti e delegati territoriali, escono dalla sala del Garante della Privacy di piazza Montecitorio, qualcuno è anche felice. L’onorevole Katia Zanotti sorride: «Finalmente navighiamo in mare aperto». Pasqualina Napoletano scherza con il collega di Liberazione: «Torniamo insieme?». Però, chiarisce da vicepresidente del gruppo socialista europeo, «nel Pse».
L’assemblea ha appena accolto, con un lungo applauso, l’appello alla maggioranza Ds in cui è contenuta anche la «prospettiva di fronte al partito democratico». Un appello scritto durante la notte precedente, e proposto a una variegata platea di coloro che appoggiano la mozione Mussi.
Il primo dato emerge subito: tra i partecipanti all’assise nessuno esprime la propria volontà a fare la «minoranza» nel Pd. Nessuno. Valdo Spini spiega questa posizione con il “memento mori”: «Nell’Antica Roma c’era uno schiavo che dopo i trionfi in guerra e i successivi festeggiamenti del suo padrone, gli batteva sulla spalla e gli diceva: “Ricordati che devi morire”. Tutti quelli che erano qui oggi hanno scelto di non fare la parte di quello schiavo dentro il Pd». D’altronde, spiegava pochi minuti prima in piazza Montecitorio Luciano Pettinari: «Non è che possiamo decidere da adesso le parti in commedia nel Pd: “Io faccio la maggioranza, e tu fai l’opposizione”». Il secondo dato, chiaro dalla notte prima, è che al Congresso di Firenze ci si va.
Sul resto si discute. E il resto sono i tempi e i modi per navigare «in mare aperto». Sul limite della porta sigillata della sala del Garante della privacy, i delegati territoriali e i parlamentari discutono con trasporto. Pare che anche Walter Veltroni abbia fatto un tentativo per evitare di arrivare al rompete le righe. Uno dei delegati toscani, nella sala, lancia l’allarme: «Facciamo attenzione perché quello che decidiamo oggi non è uguale a quello che c’è nella mozione. Dobbiamo avvisare i compagni che ci hanno votato, prepararli a questo passaggio».
Spiega Adriano Labbucci, presidente del Consiglio provinciale di Roma: «I tempi e i modi sono importanti: i due processi costitutivi del Pd e della costituente della sinistra devono viaggiare assieme. Quindi dopo il congresso si deciderà». La preoccupazione della Sinistra Ds, che poi sarà fatta propria dall’appello accolto con l’applauso, è quella di recuperare «tutti quelli che hanno votato la mozione». Spiega la senatrice Silvana Pisa: «I nostri iscritti sono diversi dagli altri: sono abituati alla sezione, alle feste dell’Unità, alla politica attiva. Dobbiamo recuperarli, ridestarli. E dobbiamo recuperare anche gli operai del nord che votano per la Lega, con un grande progetto di sinistra». La questione non è semplice. Spiega Spini: «Alcuni ci hanno votato perché speravano facessimo da contrappeso a chi voleva il Pd. Adesso queste scelte andranno spiegate e condivise». Anche per questo nessuno ha intenzione di procedere a strappi. Il percorso dovrà essere condiviso. Fino al 16 aprile, quando si riuniranno i delegati al Congresso nazionale, «terremo le orecchie tese a ciò che vorrà fare la maggioranza», afferma Spini. Dopo il congresso si procederà alla creazione dei gruppi separati alla Camera e al Senato. Certo, tra la fine del Congresso e l’avvio della fase costituente ci sono anche le elezioni amministrative. Spiega Fulvia Bandoli: «Andremo assieme. Noi non vogliamo responsabilità per una eventuale sconfitta. Ma anche la maggioranza non può permettersi errori».

L’Unità 30.3.07
L’arcipelago della sinistra
Di Nicola Tranfaglia


La sinistra vive in Italia (ma potremmo dire in Europa e nel mondo intero) una fase di crisi e di intensa trasformazione. Nel nostro Paese ha a che fare con una destra che si è divisa almeno in parte: una parte, ma la più piccola numericamente che accetta alcune regole di democrazia e che vuole ostinatamente rompere l’attuale alternanza e chiamarsi “centro” secondo la tradizione democristiana e una più grande che fa capo al leader carismatico Berlusconi e abbraccia un populismo poco democratico.
La condizione della destra non aiuta la sinistra e questo è uno dei problemi che rischia di esser rinviato ancora di qualche anno. Non sappiamo di quanto tempo.
Ma è all’interno della sinistra che le cose incominciano a muoversi in una maniera che incoraggia qualche speranza. La formazione ormai molto avanzata del partito democratico è di sicuro l’avvenimento più significativo degli ultimi mesi.
La mozione firmata dal segretario Fassino ha conseguito all’interno dei quadri e dei gruppi dirigenti dei Democratici di sinistra una vittoria più netta di quanto molti all’interno e all’esterno del partito si aspettavano. Intorno ai due terzi dei voti, oltre il settanta per cento, riservando il quindici per cento alla sinistra di Mussi e di Salvi e il dieci per cento alle obiezioni, interne alla maggioranza, di Angius e di Zani. Ormai dunque i Democratici di sinistra viaggiano speditamente verso l’incontro con la Margherita con l’affermazione degli ex Popolari che hanno mandato all’opposizione il presidente Rutelli, indicando una linea meno centrista di quella perseguita dal vicepresidente del Consiglio.
Nasce insomma un partito di centro-sinistra che lascia scoperto il lato più di sinistra che, tradizionalmente, era stato fino a qualche anno fa proprio dai principali eredi del Pci, non solo Rifondazione comunista ma in parte il Pds dei primi anni novanta.
Gli elettori dei due partiti che formano il Partito Democratico sembrano essere in maggioranza collocati in una posizione più a sinistra della nuova forza politica: del resto a leggere i documenti e i discorsi della fase costituente si può constatare la corsa al centro da parte di Fassino e di Rutelli sia nel rapporto con la Chiesa di Benedetto XVI sia in materia economica,sociale e culturale.
Ad ogni modo, e a prescindere dal giudizio complessivo che si dà dell’operazione, non c’è dubbio sul fatto oggettivo di uno spazio a sinistra che resta disponibile per le altre forze che tuttavia sono assai frammentate. L’interrogativo maggiore riguarda il destino della sinistra diessina che in un primo tempo si prepara a formare un gruppo parlamentare autonomo sia alla Camera che al Senato: si tratta di ventisei deputati e dieci senatori che costituiranno la terza forza dell’arcipelago di centro sinistra, dopo il partito Democratico e Rifondazione comunista.
Restano per ora divise Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i Verdi anche se è finalmente balzata in primo piano l’esigenza di un raccordo verso processi di federazione o di unificazione proposte già da alcuni anni dal Pdci e che ora sembrano accettate anche da Bertinotti. Quest’ultimo ha parlato per la prima volta dell’esigenza di una “massa critica” da opporre all’esistenza di un partito più centrista come quello Democratico e di una destra in crisi ma comunque per la maggior parte raccolta intorno a Berlusconi.
È difficile prevedere se il processo andrà avanti rapidamente o se invece seguirà ritmi lenti e contorti. Gli elettori sono di sicuro in maggioranza favorevoli alla prima ipotesi ma non è detto che lo siano i gruppi dirigenti che negli ultimi anni hanno di frequente duellati opponendo al tema dell’unità quello della propria peculiare identità.
La stagione dei congressi che in primavera prevede più di un appuntamento ci dirà qualcosa ma non c’è dubbio sul fatto che i problemi di una nuova forza elettorale e quelli di una maggioranza parlamentare sempre sul filo, spingono le forze attualmente in gioco a uno sforzo eccezionale verso l’unità. Se si mettessero insieme i Verdi, la sinistra Ds, i Comunisti italiani e Rifondazione potrebbe nascere una forza di oltre il dieci per cento in grado di apportare al centro-sinistra un contributo assai più importante dell’attuale e di influire in maniera maggiore di quanto avvenga oggi sull’indirizzo e la direzione dell’alleanza. All’interno di Rifondazione esiste ormai una minoranza che non accetta la scelta governativa del gruppo dirigente e contesta, come si è visto non solo a Roma ma anche nei territori, l’atteggiamento tenuto in questi mesi sull’Afghanistan e sulla politica economica e sociale. Assisteremo a una ennesima scissione anche all’interno del partito di Bertinotti? Non si può escludere sia perché potrebbe includere scissionisti che hanno già lasciato quel partito sia pezzi rilevanti del sindacato Cgil che non condividono l'attuale indirizzo del gruppo dirigente nazionale.
In una conclusione che resta provvisoria siamo vicini a una svolta che probabilmente sarà influenzata dall’esito delle discussioni sulla nuova legge elettorale e che avrà efficacia se sarà in grado di elaborare una piattaforma programmatica chiara.
Una politica estera nella direzione già indicata dal governo Prodi ma una politica culturale, economica e sociale più avanzata di quella svolta finora, più nettamente preoccupata dei lavoratori,dei giovani e degli anziani, più aperta, nel senso di una democrazia moderna, alle libertà dei cittadini, dall’informazione ai nuovi saperi.
I tempi per una simile svolta sono maturi. Chi si opporrà alla formazione di una sinistra più unita porterà su di sé pesanti responsabilità in un Paese diviso come è ancora l’Italia.

Repubblica 30.3.07
A volte ritornano
Di Maria Novella Oppo


VESPA è tornato sul luogo del delitto con la solita compagnia di giro, appena un po’ cambiata. Non avrebbe dovuto esserci l’avvocato Taormina, ma c’era. E c’era anche (ma perché ?) Maurizio Belpietro, animato dal solito odio contro i magistrati, che osano cercare giustizia per il piccolo Samuele. Un bambino di tre anni, trucidato nella maniera più atroce e poi cancellato, perché tutte le telecamere fossero per lei, Annamaria Franzoni, illuminata, intervistata, replicata nei mille momenti di una esposizione mediatica senza precedenti. Vespa non ha nemmeno accennato alle critiche del procuratore nei confronti del processo televisivo. Anzi, ha concesso un’altra occasione a una tesi difensiva catastrofica, che è solo una tesi accusatoria nei confronti dei giudici, del Ris e del paesino di Cogne, che sarebbe abitato da un mostro in libertà. Un mostro di cui Taormina per 31 volte ha detto di conoscere il nome. Ma non lo ha rivelato, uscendo dal processo, vinto in tv, giusto in tempo per non perdere quello in tribunale.

Repubblica 30.3.07
Il presidente della Camera avverte Prodi e alleati: il problema del centrosinistra non è Casini
"L’Unione pensa troppo all'Udc ma la nostra sfida è il welfare"
Bertinotti: "Sulle pensioni non reggeremmo lo sciopero"
Socialista? io sono comunista Serve una riorganizzazione del campo della sinistra. Nuovo partito socialista? Sono comunista
I centristi non vogliono nulla I centristi non trattano e non chiedono nulla, il loro unico interesse è la legge elettorale
Di Umberto Rosso


CARRARA - «Ma ad uno come Casini, che sta costruendo un´identità e un progetto centrista, chi glielo fa fare di ammiccare al governo dell´Unione?». Parla il presidente della Camera, e scaccia via il fantasma di una nuova maggioranza. «Al leader dell´Udc non conviene legarsi le mani. Ha in testa solo la riforma elettorale. Le maggioranze variabili perciò non esistono. Il problema non è Casini. Per il centrosinistra il problema vero è un altro».
Fausto Bertinotti, sull´aereo che lo porta alla conferenza di organizzazione di Rifondazione, il primo grande appuntamento di partito che vive da presidente della Camera, sgombra il terreno da sospetti e manovre e spiega con che cosa veramente Prodi ha da fare i conti. «Il nodo da sciogliere per il governo è sempre lo stesso, esattamente uguale a quello del primo giorno di vita. Il problema è il rapporto con il paese, la capacità di far intrapresa politica, di dare risposte sul terreno sociale. Su tutto, dai Dico alle pensioni. La mediazione fra i partiti alla fine, come si è visto, la trovi. Ma se ti becchi uno sciopero generale sulle pensioni, si balla davvero». Messaggio ai navigatori, perciò. Meno Casini e più sociale per svoltare, che tanto non ci sono operazioni possibili di ingegneria politica al centro. Mentre, invece, si rischia di lasciare scoperto proprio il fronte che ha votato Unione aspettando riforme e novità. Ed è anche per questo che Fausto Bertinotti ha deciso che è arrivato il momento di accelerare sulla Sinistra Europea, aprendo a Mussi che ha appena lanciato il suo ultimatum al partito democratico ma nel «cantiere» che l´ex segretario ha in mente non c´è una Rifondazione allargata ma una «sfida unitaria» con Fassino, con singoli temi sui quali si può convergere. «Penso - dice - alla costruzione della Sinistra europea, in una riorganizzazione più complessiva del campo della sinistra. Un nuovo partito socialista? Io sono comunista, e poi alla mia età. «.
E una conferma il presidente la trova nel dossier che sta giusto sfogliando, insieme ai suoi collaboratori, sorvolando il Tirreno. Parla delle cose di casa sua, è una inchiesta dall´interno sul Prc, attese, aspirazioni ma anche mal di pancia di militanti e dirigenti. In un grafico c´è la summa degli umori del popolo di Bertinotti. Domanda agli intervistati: quali sono gli effetti della partecipazione di Rifondazione al governo? La reazione sembrerebbe sorprendente. «Il 42 per cento neanche risponde al quesito. Vuol dire che la nostra presenza a Palazzo Chigi viene considerata come una sorta di passaggio obbligato ma non come l´elemento più importante.
In cima alle attese c´è altro: il lavoro, l´ambiente, la cultura, sono questi tre punti che fanno il pieno, le domande forti». L´ex segretario non si meraviglia affatto. Anzi. E´ una conferma. «Ci ho fatto un congresso sopra, l´ultimo, quello di Venezia. Per dire che il governo non è la nostra bussola. E se cade per i militanti non sarà un dramma». La rotta, oggi come allora, continuano a indicarla i movimenti. Pure quei cinquanta che l´hanno contestato alla Sapienza di Roma? «Schegge, davvero piccole. Però bisogna sempre capire le ragioni che stanno dietro alle proteste». Piccola smorfia di fastidio, si capisce che non ha molta voglia di parlarne ancora. Torniamo al Palazzo, allora. Ai fantasmi di nuove maggioranze che turbano il sonno di molti uomini di Rifondazione e della sinistra radicale.
Non quelli di Bertinotti però, a quanto pare. «Casini non tratta e non chiede nulla al centrosinistra. Se vuoi fare il Bayrou devi essere iperrealista. Il suo unico interesse, come del resto ha lui stesso dichiarato apertamente: la legge elettorale, facendo saltare il referendum. Chi ci vede altri disegni, prende lucciole per lanterne. Ecco perché non mi preoccupa affatto il presunto pericolo di maggioranze variabili, né tantomeno siamo ad una sorta di appoggio esterno non dichiarato dell´Udc». Il capo dell´Udc si smarca da Berlusconi. «Maroni invece, pur avendo lo stesso identico obiettivo della legge elettorale, al leader della Cdl resta attaccato. Tattica. La Lega ormai va per conto proprio su tutto, però controlla da vicino Berlusconi perché non si fida: teme che voglia il referendum». E i numeri sul filo del rasoio, presidente, il rischio di qualche appoggio «sostitutivo» che aprirebbe venti di crisi? «Il vero problema non sono i numeri che, come si è visto anche nell´ultima tornata sull´Afghanistan, alla fine si recuperano sempre. Tutti temevano che il terreno della politica estera sarebbe stato esiziale per la vita del governo e invece, come del resto io ho sempre sostenuto, proprio lì il centrosinistra si è ricompattato». Non sono «le alchimie», le ipotesi di ingegneria politica «che peraltro a furia di parlarne allontanano sempre più i cittadini», per il presidente della Camera la chiave della stabilità. «All´interno della maggioranza la mediazione alla fine si trova sempre. E´ fuori dai giochi fra i partiti, nel rapporto con il paese, il luogo vero nel quale ricercare la soluzione dei problemi».

Correnti, verticismo, quote rosa terapia d'urto per Rifondazione
gli stati generali

CARRARA - Una "terapia d´urto" per Rifondazione comunista. E´ quel che ha chiesto, aprendo i lavori della conferenza di organizzazione del partito, Francesco Ferrara, responsabile organizzativo del partito. Ferrara ha elencato una lunga lista di mali da superare: «Burocratismo, autoreferenzialità, verticismo, correntismo esasperato, separatezza istituzionale». Tra gli obiettivi indicati nella relazione c´è anche quello di rispettare le quote rosa (60 posti agli uomini, 40 alle donne) negli organismi dirigenti: quando ciò non avverrà gli organismi saranno sciolti. Prevista l´incompatibilità fra incarichi di partito e incarichi amministrativi e il "tetto" di due mandati nelle assemblee elettive.

giovedì 29 marzo 2007

l’Unità 29.3.07
«Quarantamila diessini vogliono il socialismo europeo»
Oggi assemblea della mozione Mussi. Deciderà la strategia per il congresso nazionale di Firenze
di Eduardo Di Blasi


Al Congresso di Firenze andranno per dare battaglia, per dare voce alla propria contrarietà al progetto del partito Democratico. Dopo aver raccolto il 15% dei consensi nei congressi di sezione, gli esponenti della mozione Mussi («A sinistra per il socialismo europeo»), si riuniranno oggi in assemblea nazionale presso la sala del Garante della Privacy di piazza Montecitorio per decidere le prossime mosse in vista dell’assise di Firenze. Non vogliono sentir parlare della parola «scissione», e rispondono al segretario dei Ds Piero Fassino che ieri, dalle colonne de l’Unità, lanciava un appello a marciare uniti. Gli chiederanno di «fermare in tempo la locomotiva del partito democratico».

«IL PROBLEMA non è se andiamo o non andiamo al Congresso di Firenze. Il problema è che anche l’apertura fatta ieri su l’Unità da Fassino, alla fine non modifica di una virgola la posizione del segretario sul partito Democratico. Quindi, adesso, la scelta che ci troviamo davanti appare chiara: o si abbandona la posizione che abbiamo assunto fin qui o si va avanti». Il senatore Cesare Salvi non vuole sbilanciarsi sul contenuto della discussione che oggi interesserà il gruppo dirigente della mozione «A Sinistra per il Socialismo Europeo» di Fabio Mussi. Dalle nove e mezza della mattina alle quattro del pomeriggio, in una assemblea a porte chiuse, i componenti del Consiglio nazionale e del Consiglio nazionale dei garanti, i parlamentari italiani ed europei, i coordinatori regionali e provinciali e i dirigenti sindacali vicini alla mozione, si ritroveranno nella sala conferenze, presso la sede del Garante per la Privacy di piazza Montecitorio. «I congressi di sezione ci hanno detto che oltre 40mila compagni credono nel socialismo europeo - spiega il deputato Valdo Spini, tra i firmatari della mozione - Ci rivolgeremo alla maggioranza per chiedere di ragionare sui punti ancora controversi, come i tempi della discussione e l’approdo internazionale. Ma proporremo anche un disegno politico. Bisogna comprendere che sono in moto anche fatti esterni, e che una convergenza di tutta la sinistra italiana è un fatto possibile». Spini ha apprezzato, nei giorni scorsi, la posizione assunta dal segretario dello Sdi Enrico Boselli («Ha chiarito che il rilancio socialista non si può limitare a pezzi della diaspora dell’ex Psi e dell’ex Psdi»), ma non è solo da quella parte che sembra guardare l’ala sinistra dei Ds. L’orizzonte verso il quale navigano i firmatari della mozione Mussi non sembra finire prima del Congresso nazionale (al quale i delegati del «nuovo correntone» saranno presenti), ma quello che accadrà dopo, o durante l’assise di Firenze. Marco Fumagalli approva il distinguo di Cesare Salvi: «La discussione è posta in quei termini. Anche se io sposterei l’asse: non dobbiamo pensare a cosa sia utile che facciamo per noi, ma cosa sia utile che facciamo per l’Italia. Il tema è proprio in questi termini: i Ds scompariranno. Cosa è utile che noi facciamo?».
La domanda non sembra di facile soluzione. Anche perchè, stando a quanto afferma la combattiva deputata vicentina Lalla Trupia («Noi chiediamo a Fassino di tirare il freno. Per quello che mi riguarda il Pd, così come sta nascendo, non è un partito nuovo ma l’ultimo di quelli vecchi»), l’opzione che basti rallentare per raddrizzare la rotta non appare la più semplice da portare avanti. Fulvia Bandoli rimanda al mittente la proposta di Fassino: «Gli appelli pressanti di Fassino a Mussi e alla sinistra Ds ad entrare nel Pd denotano un rispetto ancora modesto delle opinioni diverse e finiscono per farci passare come “coloro che non vorrebbero l’unita”. In effetti la realtà è diversa e l’unità in questo caso non c’entra nulla: dopo il congresso inizia la fase costituente del Pd e mano a mano i Ds si scioglieranno come la Margherita in un nuovo partito, dunque siamo tutti in uscita dai Ds». Massimo Villone rincara: «Mi sento come uno che sta a casa sua e che viene cacciato dalla forza pubblica per ordine del padrone di casa...». Abdon Alinovi analizza: «Il rovesciamento della linea di Pesaro, cioè il rafforzamento dei Ds come forza aggregante della sinistra, dell’Ulivo e dell’Unione non è stato compiuto dalla sinistra. Sarebbe assurdo condividere ora la responsabilità dello scioglimento Ds e di uno sbocco che toglie autonomia e potenzialità alle sinistre ed alle stesse forze cattoliche-democratiche. Coltivo ancora la speranza che si mediti, al di fuori del trionfalismo sostenuto dall’aritmetica, al turbamento che esiste nella coscienza profonda del partito e dell’elettorato». Una riunione alla Camera, ieri sera, ha messo a punto il documento da presentare oggi in assemblea. A Firenze per dare battaglia.

l’Unità 29.3.07
Angius chiede un referendum sull’adesione al Pse
«Il 9% per una corrente che due mesi fa non esisteva neppure è un grande risultato»


GAVINO ANGIUS è soddisfatto. «Raccogliere 23mila voti con una mozione che non è una corrente, e che fino a due mesi fa non esisteva come aggregato umano è stato un fatto straordinario». Adesso, però, chiusi i congressi di sezione e «pesate» le rispettive idee, è il momento di ritornare a discutere. Così, al terzo piano di Palazzo Madama, il vicepresidente del Senato ribadisce le linee guida della propria mozione «Per un partito nuovo, democratico e socialista» (un partito democratico e socialista, di sinistra, parte integrante del Pse, e, soprattutto, «laico») e segna la differenza tra il «suo» partito Democratico e quello disegnato dalla mozione del segretario Piero Fassino. «Non diciamo la stessa cosa, e la maggioranza non può dire che l’85% del partito è favorevole al Partito Democratico, sommando i suoi voti con i nostri. Altrimenti - scherza - anche io posso dire di aver vinto il Congresso con l’85% dei consensi». Tornando sulla questione politica Angius lancia, assieme alla neonata componente, tre proposte alla maggioranza del partito. Una fase costituente che non si concluda «prima della fine del 2008», un’ulteriore verifica congressuale al termine di questa («dovremo verificare gli esiti politici e lo scioglimento del nostro partito»), l’adesione al Pse. Sul tema Angius lancia una doppia proposta: i Ds dovranno chiedere ai partner politici, durante la fase costituente, l’adesione formale al Pse. Nel caso i «partner politici» rispondessero di «no», propone l’idea di un «referendum» tra gli iscritti di tutti i soggetti del patto costituente. Certo, annota, in una pagina intera di intervista all’Unità, «il segretario del partito è riuscito a non citarci neanche una volta, anche quando ha aperto alla minoranza» (il segretario Ds, in una intervista rilasciata ieri sera al Tg1 ha aperto anche alla componente Angius-Zani: «Vogliamo realizzare il Pd con tutta la ricchezza del nostro partito e quindi io dico sia alla mozione Angius che alla mozione Mussi e a chi le ha sostenute: state dentro il nostro partito, state con noi, siate parte della costruzione di questo progetto»). Ma Angius avverte: «Il manifesto dei saggi sul partito democratico è inaccettabile, un ostacolo insormontabile. Cacciari lo trovò orripilante». Avvisa: «Preoccupa la lotta di potere interna alla Margherita rispetto alla grandiosità dell’obiettivo». Spera «in un congresso che non sia una kermesse o una messa cantata». Ritiene che se il Pd si caratterizzerà come una «forza di centro, chi a sinistra proporrà nuove iniziative troverà vasti spazi». Non guarda verso il progetto del Prc. Non dispiace il progetto socialista di Boselli. Per adesso, però la prospettiva resta quella del Pd, democratico, laico e socialista.
e.d.b.

Corriere della Sera 29.3.07
Klee - Kandinsky, un’arte per due
di Arturo Carlo Quintavalle


Coniugarono spiritualità e astrazione fondando la modernità

Due importanti mostre, «Kandinsky e l'astrattismo in Italia 1930-1950» a Palazzo Reale, curata da Luciano Caramel e «Paul Klee teatro magico» alla Fondazione Mazzotta, sono una occasione eccezionale che Milano offre per comprendere le matrici dell'arte moderna, ben al di là dell'esplicito racconto di Pablo Picasso.
Se le radici della astrazione, e non solo di quella in Italia, sono nella pittura di Wassily Kandinsky, quali sono le discendenze, chi sono i creati di Paul Klee? C'è un dialogo fra Klee e Wols, fra Klee e molti fra i protagonisti dell'Informale, fra i pittori dell'Action Painting e in genere con gli artisti che operano sulle «scritture»?
Le vicende di Kandinsky e di Klee sono diverse ma le loro storie si intrecciano nel secondo decennio e poi nel periodo della Bauhaus, negli anni Venti. Li accomuna lo studio nell'atelier Von Stuck a Monaco, ma il momento nodale del loro incontro coincide con la pubblicazione de Lo spirituale nell'arte di Kandinsky e poi con la collaborazione dello stesso Klee all'Almanacco del Cavaliere Azzurro (1912) curato dal russo insieme a Marc. Nel saggio sullo Spirituale, l'idea che arte sia espressione di un sentire globale che attraversa le forme e i colori, e li trasforma, suggerisce un dialogo dell'opera dipinta nella direzione della poesia espressionista fino a Trakl e del racconto letterario da Hoffmann in avanti, e propone le idee che erano di Wörringer nel volume Astrazione e empatia (1908), dove il peso delle forme determinerebbe le emozioni in chi guarda. La posizione di Kandinsky si trasforma; dopo il periodo di Murnau attorno al 1908-1910, progressivamente l'artista sceglie di abbandonare la figurazione per l'astrazione: niente più titoli descrittivi, niente più immagini definite, ma la scomposizione progressiva delle forme fino al dialogo del dipinto con la creazione musicale da cui si assumono coloriture, temi, ritmi.
Klee, d'altro canto, sceglie una strada diversa: dopo qualche tangenza con le ricerche cubista e futurista fra 1911 e 1912, e dopo il dialogo a Parigi con Robert Delaunay che gli farà scoprire il colore (che poi l'artista mitizzerà come scoperto nel viaggio in Tunisia del 1914), eccolo concepire la funzione del pittore come alchimista, dunque interprete del mondo. Per lui, quindi, la pittura è un microcosmo, sia essa orto botanico, giardino, città, e questo durerà per tutti gli anni Venti. Kandinsky e Klee collaborano alla Bauhaus e il russo sente il peso della ricerca di Klee: lo provano ad esempio alcune opere esposte a Palazzo Reale come Discreto 1, Falce, Moto scuro, tutte del 1926.
Ma nella seconda parte del decennio Kandinsky si avvia per strade diverse, quelle che teorizza in Punto Linea Superficie (1926) e da questa ricerca deriva appunto la idea di pittura astratta che si diffonde in Italia e in Europa nei tardi anni Venti e nei Trenta, arte come costruzione misurata, arte come racconto estraniato, assoluto.
Diversa la storia di Klee: per lui a partire dagli anni Trenta e fino alla morte, nel 1940, si apre una via nuova, che intende la pittura come scrittura che attraversa le tecniche più disparate con cui si trasforma, quasi alchemicamente, la materia. Per Klee il disegno è traccia quasi spermatica della ricerca, evocazione delle origini che attinge a modelli psicoanalitici. Klee era partito da una ricostruzione in chiave freudiana della propria infanzia nei Diari ma, nel corso del secondo decennio, la sua lettura del mondo assume valenze diverse, junghiane, che gli fanno scoprire il mondo come sistema di segni simbolici, di scritture possibili. Quando Wols riscopre la ricerca di Klee comprende il valore di quei nuclei, di quei grovigli di segni che diventano in lui emozioni, e muovono sempre da Paul Klee molti altri, da Jackson Pollock a Mark Tobey, per non parlare degli altri protagonisti della Action Painting fino a Rothko. L'idea dunque che dipingere sia prima di ogni altra cosa scrittura, magari tenendo conto di ritmi diversi, per Klee quelli di Mozart oppure di Bach, per Pollock i suoni delle culture centroamericane, per Tobey recupero delle grafie e dei ritmi estremo-orientali, va davvero alle radici dell'arte moderna e distingue in essa due grandi strade, quella del mondo come ragione e nello stesso tempo tensione verso l'assoluto che caratterizza la complessa, importante storia della astrazione, e quella dell'arte come dialogo con la materia, dell'arte in cui si condensano eventi simbolici dove ogni forma diventa un segno.
Per Picasso dipingere non era cercare, ma trovare; per Kandinsky era proporre un ordine nel dilatato espandersi del suono dipinto; per Klee dipingere era avvicinarsi, senza mai raggiungerlo, al centro della creazione, come a dire a quell'inconscio delle culture che Jung scopriva in Simboli di trasformazione (1912). Queste, credo, fino ai concettuali da un lato e ai graffitisti dall'altro, ancora oggi, sono le due strade dell'arte moderna.

saluteuropa.it 29.3.07
Cresce la bulimia tra le giovanissime e l'anoressia colpisce sempre più le "over 40"


Sono soprattutto donne, circa il 90% dei casi. E di ogni ceto sociale, a differenza di un tempo quando anoressia e bulimia riguardavano la fascia medio alta della popolazione. Diversa poi la localizzazione. L'anoressia è presente ovunque, nelle metropoli come nei piccoli paesi. Mentre la bulimia è più diffusa nelle grandi città. Inaspettata anche l'incidenza. Tra le giovani è prepotente la presenza della bulimia: nella fascia d'età tra i 12 e i 25 anni ne soffrono l'1% delle donne, contro lo 0,5% di chi ha un problema di anoressia. Nelle ultraquarantenni, invece, pressoché inesistente la bulimia: chi è in conflitto con il cibo, è anoressica. Devono far riflettere questi dati perché per la prima volta mostrano un identikit vero di chi soffre di mal di cibo. Se ne è parlato oggi nel corso dei lavori del 19° Congresso Nazionale dell'Andid, l'Associazione Nazionale dei Dietisti, in corso a Roma all'Aurelia Congress Center.

"Dati certi sulle over 40 non ce ne sono ancora dal momento che si tratta di una situazione recente - ha spiegato la dr.ssa Giovanna Cecchetto, Presidente Andid - ma notiamo un aumento di richieste di aiuto proprio in questa fascia di età e in alcuni casi persino dopo i 55-60 anni". È la punta estrema di un iceberg in continua espansione. Una vera e propria epidemia, come sono state definite l'anoressia e la bulimia. Perché riguarda adolescenti che non vogliono diventare "grandi". Ma anche donne che non sopportano l'arrivo della menopausa, vissuta come inizio della vecchiaia.

"In particolare per quanto riguarda le ultraquarantenni - ha continuato la Cecchetto - il cattivo rapporto con il cibo e il corpo ha di solito origini remote. Se infatti si ricostruisce il periodo dell'adolescenza della donna, si scopre che spesso aveva già avuto dei momenti se non di anoressia vera e propria, comunque di disequilibrio per quanto riguarda il comportamento alimentare".

Il conflitto con il cibo, dunque, è spesso alimentato dall'adesione a diete troppo severe. "Diete che - ha aggiunto - creano una vera e propria "dipendenza" dal grammo e portano a demonizzare proprio i cibi più appetibili e graditi (dolci, snack salati, bibite, ecc.) anziché fornire abilità di gestione e capacità di controllo sulle occasioni pericolose (ristorante, occasioni conviviali, ecc…). Diete che, essendo troppo restrittive e povere di calorie, affamano l'organismo e aumentano il desiderio dei cibi "proibiti", favorendo comportamenti variabili tra la restrizione e la perdita di controllo e di conseguenza, oscillazioni continue di peso, senso di insoddisfazione e scarsa stima di sé".

"Qualunque sia l'età d'esordio - ha spiegato il prof. Massimo Cuzzolaro, dipartimento fisiologia medica, Università degli studi La Sapienza di Roma - l'anoressia e la bulimia sono legate a una profonda sofferenza interiore. È difficile però che gli altri se ne rendano conto, tranne quando iniziano a manifestarsi i sintomi "visibili" della malattia.

Più eclatanti, quella dell'anoressia: magrezza eccessiva con un peso inferiore all'85% di quello ideale, pelle disidratata e con un colorito tendente al giallo, occhi cerchiati e arrossati, capelli opachi. Meno facili da individuare, quelli della bulimia, perché difficilmente si verificano oscillazioni significative di peso. Al contrario dell'anoressia, infatti, il segnale che fa riconoscere la bulimia è il desiderio irrefrenabile di mangiare. Le abbuffate sono delle vere e proprie crisi incontrollabili. Che, a seconda dei casi, possono avvenire tutti i giorni e anche più volte nell'arco della stessa giornata, oppure anche solo un paio di volte alla settimana, sia di giorno che di notte, alternate a giorni di digiuno con l'idea di bilanciare in questo modo ciò che si è ingerito. Si innesca così una spirale senza fine: le abbuffate danno piacere perché vengono vissute come una trasgressione, ma scatenano vergogna, stato di disgusto per se stesse, paura di ingrassare ed enormi sensi di colpa, che a loro volta portano a nuove crisi".

La cura consiste per ambedue le forme da una parte nel far affiorare il problema che ha scatenato la sofferenza e risolverlo. E dall'altra nella rieducazione a un'alimentazione equilibrata, rompendo la schiavitù della malattia e gli schemi che si auto-impongono i pazienti. "Un aspetto fondamentale della malattia - ha sottolineato la Cecchetto - sono i pensieri disfunzionali. In sostanza, sono pensieri di controllo del cibo e di manipolazione del corpo che vanno contro le naturali funzioni dell'organismo. Hanno un importante ruolo sia nella manifestazione, sia nel mantenimento della malattia. Affrontarli e riuscire a "scardinarli" con professionisti competenti e preparati come il dietista, lo psichiatra, e lo psicologo può risultare decisivo ai fini del trattamento".

Ma a che cosa stare attenti? Ci sono dei segnali caratteristici di tutte e due le forme. Presenti sempre, a qualsiasi età. "Il più comune - ha spiegato il prof. Cuzzolaro - è relativo all'esercizio fisico che viene praticato in modo esagerato. In pratica, non ha niente a che vedere con l'abituale attività che viene effettuata normalmente due, tre volte alla settimana. Agli esercizi invece si dedica del tempo tutti i giorni in modo maniacale, con crisi di astinenza se non si riesce ad andare un giorno in palestra".

Altrettanto diffuso è il vomito. "Chi soffre di anoressia - ha continuato - lo fa quando non riesce ad evitare di sedersi a tavola e a mangiare. Chi invece ha un problema di bulimia si induce il vomito dopo le abbuffate, per eliminare il troppo cibo ingerito".

Anche l'uso di farmaci è una caratteristica che riguarda ambedue i disturbi. C'è infatti un ricorso piuttosto elevato a lassativi e diuretici. "Nel caso dell'anoressia - ha spiegato - servono per accelerare la perdita di peso. Per quanto riguarda la bulimia invece, è il rimedio utilizzato per eliminare ciò che è stato ingerito con le abbuffate. Oltre ai farmaci, vengono anche utilizzati rimedi naturali con lo stesso scopo, come crusca, tisane, fibre".

In più, si modifica l'abbigliamento. C'è la tendenza a preferire abiti informi, larghi e di colori scuri, per nascondere il proprio corpo. Infine, ultimo ma non meno importante, c'è la tendenza a isolarsi, a ridurre al minimo i contatti sociali e a vedere raramente persino gli amici più cari.

Affari Italiani 29.3.07
Anoressia/ Sempre più precoce l'ossessione per la magrezza: inizia a 12 anni


Ragazzi - Il campione è costituito dagli allievi delle scuole superiori di Civitavecchia: Istituto professionale di Stato industria e artigianato (I.p.s.i.a.) “Luigi Calamatta”, Istituto onnicomprensivo: Istituto d’Arte, Alberghiero, Professionale Contabile-Turistico (I.i.s.) “Via Adige”, Liceo Psico-pedagogico “P. Alberto Guglielmotti”, Liceo Scientifico “Galileo Galilei”. I questionari presi in considerazione, in quanto compilati correttamente sono 530 (196 maschi, 334 femmine) suddivisi in tre diverse fasce d’età 15 anni (86 maschi, 132 femmine), 16 anni (68 maschi, 131 femmine) e 17 anni (42 maschi, 113 femmine). Sono stati esclusi quelli dei ragazzi di 14 e 18 anni in quanto non presenti in tutte le scuole. Dall’Edi sc (Symptom checklist) compilato dalle ragazze emerge, anche a conferma di quanto evidenziato dai dati precedenti, che moltissime di loro si limitano nell’assunzione di cibo perché preoccupate per la forma o il peso del corpo; iniziano a sottoporsi a queste limitazioni già in giovanissima età (media 12 anni).

Gran parte di loro, pratica attività fisiche tre volte a settimana, sia come forma di controllo del peso corporeo che per divertimento. Sono moltissime quelle che non praticano nessuna attività sportiva. Per quanto riguarda la “abbuffate” le ragazze affermano di aver avuto e di avere, con una frequenza almeno settimanale, episodi angosciosi di non controllo della quantità di cibo ingerito, in cui sentono di non potersi fermare, o di provarne piacere, ma non riescono a individuarne con precisione l’età d’inizio. Pur comparendo come pratica di “compenso”, non risulta frequentissimo il ricorso al vomito autoindotto mentre sono usati con una certa frequenza lassativi, pillole dimagranti, diuretici, integratori. Molte, alla domanda: “Che tipo di pillole dimagranti prendi?”, hanno risposto: barrette, preparati da sciogliere in acqua sostitutivi del pasto.

Molte ragazze hanno avuto difficoltà a rispondere alla domanda relativa l’anamnesi mestruale, tante sono le risposte non date, mostrando poca attenzione, interesse e conoscenza per un aspetto così importante di sé.

I dati emersi dall’Edi Sc (Symptom checklist), evidenziano delle differenze comportamentali dei ragazzi: alcuni dichiarano di limitare l’assunzione di cibo per preoccupazioni legate alla forma o al peso del corpo, moltissimi praticano esercizio fisico con assiduità, ma sono pochi quelli che lo fanno per controllare il peso, riguardo le “abbuffate”, i ragazzi sembrano averne con più frequenza rispetto alle ragazze, (anche 2/3 alla settimana) non accompagnate tuttavia da sensazioni di perdita di controllo o di angoscia, compare pochissimo l’induzione al vomito, il ricorso a lassativi e diuretici come pratiche di compensazione, mentre compare l’uso di pillole dimagranti.

Un dato che è interessante sottolineare è quello relativo la domanda:”Prendi abitualmente farmaci prescritti dal medico?”, a cui i ragazzi hanno risposto indicando come farmaco gli integratori.

Bdc/Adnkronos Salute 29.3.07
ANORESSIA: LO PSICHIATRA, VALUTARE RICORSO A RICOVERO OBBLIGATORIO


Roma, 29 mar. (Adnkronos Salute) - "In Italia è necessario riaccendere il dibattito sul ricovero obbligatorio per i casi gravi di anoressia. Non solo per prevenire la morte del paziente, ma anche per evitare le complicanze tipiche di questa malattia, fra cui ad esempio l'osteoporosi, molte delle quali sono irreversibili". Lo ha affermato lo psichiatra Massimo Cuzzolaro, del Dipartimento di Fisiologia medica dell'università 'La Sapienza' di Roma, durante un incontro stampa organizzato oggi nella Capitale in occasione del 19esimo Congresso nazionale dell'Associazione nazionale dietisti (Andid). (... )

LatinaOggi 29.3.07
La ricerca sulle immagini
Il maestro del cinema Bellocchio spiega agli studenti del Liceo Classico
di Licia Pastore


BELLOCCHIO, artista al di là e al di sopra delle etichette». E lo ha dimostrato davvero Marco Bellocchio sottoponendosi generosamente al fuoco incrociato delle numerosissime domande degli studenti del Classico «Alighieri». L’occasione è arrivata grazie all’iniziativa promossa dal preside Giorgio Maulucci, che ha proposto una rassegna partita il 26 marzo e conclusa ieri con il dibattito incontro. Quattro proiezioni che hanno ricostruito una parte del percorso artistico del maestro delle immagini Marco Bellocchio. Si tratta di «I pugni in tasca», di «Addio al passato», «Sorelle» e «Buongiorno notte». Una scelta che ha visto il Liceo «Alighieri» promotore di altre iniziative dedicate a Bellocchio, tornato tra gli studenti del Classico per la terza volta in pochi anni. Ed è stato proprio con «Buongiorno notte» che si è aperto il confronto con il regista piacentino. «Non è un film a tesi (il delitto del caso Moro). E’uno dei film più problematici e centrati di Bellocchio, un film per certi aspetti brechtiano, in cui prevale il controluce che obbliga il pubblico ad interrogarsi, a pensare». Il preside Maulucci ha presentato i lavori di Bellocchio sottolineando diversi aspetti con precisione certosina. «Guardando al percorso sia artistico che esistenziale del registra - ha detto il preside - compreso il periodo della collaborazione con lo psichiatra Massimo Fagioli, al quale risalgono i film più apertamente psicanalitici, Diavolo in Corpo del 1986 e il Sogno della Farfalla del 1994, oggi ci rendiamo conto che egli non ha rinnegato affatto il suo passato di ‘arrabbiato’. Si è semplicemente, sapientemente evoluto, approdando ad una maturità d’artista e di cineasta indiscussa e unanimamente riconosciuta. Per tale motivo continua a rimanere una delle voci più significative ancora aggressive ed attuali del cinema, prerogativa, questa, di ogni autore autentico». E il filo del dibattito si è sviluppato sull’accostamento delle musiche alle scene, la centralità della figura femminile, le scelte attuali della sinistra e il linguaggio delle immagini originali proposte da Bellocchio. Stimoli a saperne sempre di più. E gli studenti si sono lasciati sedurre dai discorsi di Bellocchio che ha fatto più volte riferimento all’Analisi Collettiva di Massimo Fagioli, elemento centrale della sua ricerca artistica e personale.