L’offensiva della Chiesa
di Paolo Flores D’Arcais
La modernità che conosciamo, la modernità occidentale che porta alla democrazia, si fonda sull´idea di autonomia dell´uomo. Autos nomos, l´uomo che è legge (nomos) a se stesso (autos). L´uomo è dunque sovrano, stabilisce la propria legge, anziché riceverla dall´Alto e dall´Altro, da un Dio trascendente. L´uomo è libero proprio perché non è più costretto ad obbedire a norme che gli vengono imposte dall´esterno (eteros nomos, eteronomia), ma in realtà dai poteri terreni che quella volontà divina pretendono di incarnare (Papi e/o Re). La premessa della modernità è l´autonomia, la sua promessa è la sovranità dell´autogoverno.
Il lungo papato di Karol Wojtyla ha costituito una ininterrotta denuncia e critica di questa modernità (modernità incompiuta, si badi: le democrazie realmente esistenti sono ben lungi dal realizzare la sovranità dei cittadini). Il Papa polacco ha denunciato l´illuminismo come l´alambicco che ha prodotto - proprio a partire dalla pretesa dell´autonomia dell´uomo - il nichilismo morale e di conseguenza i totalitarismi del XX secolo e i loro omicidi di massa. Voltaire all´origine dei Lager e del Gulag, insomma!
Tanto Wojtyla quanto il suo successore hanno fatto dunque propria la celebre frase di Dostoevskij: "Se Dio non esiste, tutto è permesso". Joseph Ratzinger, che di Papa Wojtyla è stato del resto il principale ideologo, sta solo radicalizzando l´anatema di Giovanni Paolo II contro la modernità, e lo sta inquadrando in una vera strategia culturale e politica. In una efficace crociata oscurantista, che ha oggi nuove possibilità di successo (almeno parziale) grazie anche al clima di fondamentalismo cristiano che sta accompagnando negli Usa la presidenza Bush.
La chiave di volta di questa strategia è l´idea che - di fronte alla crisi di valori che sta portando il mondo globalizzato al tracollo, attraverso conflitti incontrollabili e sfiducia delle democrazie in se stesse - "solo un Dio ci può salvare". Il vero scontro di civiltà vede dunque da una parte le religioni nel loro insieme, e dall´altra l´inevitabile deriva nichilista di ogni società che voglia fare a meno di Dio (e di una "legge naturale" che coincide però puntualmente con la legge di Dio).
Il discorso di Ratisbona, che ha spinto più di un governo islamico a scatenare contro il Papa il fanatismo delle folle, era in realtà un invito ai monoteismi (Islam compreso, e anzi Islam più che mai) a fare fronte comune contro la vera minaccia che incombe sulla civiltà: l´ateismo e l´indifferenza, e insomma un laicismo che pretende di escludere Dio dalla sfera pubblica e dalla elaborazione delle leggi. Ratzinger ovviamente non mette tutte le religioni monoteiste sullo stesso piano: alla religione cristiana nella sua versione "cattolica apostolica romana" riserva il primato che gli verrebbe dalla capacità, che solo il cattolicesimo realizza in modo compiuto, di essere una religione non solo della fede ma anche del logos. Una religione, cioè, capace non solo di assumere la rivelazione divina ma anche di inverare in sé la ragione umana e la sua tradizione, da Socrate in avanti. Una religione del vero illuminismo, della ragione "rettamente intesa".
Ma se la dottrina della Chiesa di Roma e del suo Sommo Pontefice costituiscono una Verità che non è solo di fede ma anche di ragione, ne consegue la pretesa che parlamenti e governi non promulghino leggi in conflitto con tale dottrina, poiché sarebbero leggi in violazione della "natura umana", di quell´animale razionale che è e deve essere l´uomo. E contro natura, come sappiamo, sono secondo la Chiesa cattolica l´aborto, la contraccezione (compreso il preservativo), il divorzio, la ricerca scientifica con cellule staminali, l´omosessualità, e ovviamente l´eutanasia (cioè la decisione di un malato terminale, sottoposto a sofferenze inenarrabili, che la sua tortura non venga prolungata).
In tutti questi ambiti, che con il progresso scientifico vanno allargandosi, Ratzinger continua a ripetere che un parlamento e un governo, che approvassero leggi "contro natura", diventerebbero ipso facto illegittimi, anche se eletti con tutti i crismi della democrazia costituzionale. E´ la stessa posizione che Wojtyla aveva già affermato di fronte al parlamento polacco (il primo eletto democraticamente dopo mezzo secolo!), arrivando a definire l´aborto "il genocidio dei nostri giorni". Pronunciate nel contesto polacco, parole del genere stabiliscono una raccapricciante equazione tra olocausto e aborto, tra una donna che abortisce e una Ss che getta un bambino ebreo in un forno crematorio.
Queste cose venivano - ahimè - perdonate a Wojtyla (anche dal mondo laico) per via del suo "pacifismo". Joseph Ratzinger ha invece avviato una fase nuova: è convinto che la crisi delle democrazie offra alla Chiesa maggiori e insperati spazi di influenza, sia presso la classe politica sia presso i cittadini. La strategia è esplicita anche nei tempi e nei luoghi: l´Italia è considerata l´anello debole, dove sperimentare inizialmente questa vera e propria "riconquista", per passare poi alla Spagna, senza perdere le speranze per una futura azione in Germania. La Francia, allo stato attuale, sembra ancora troppo radicata nella sua laicità repubblicana, perché una crociata culturale e politica oscurantista sia ipotizzabile.
Il cuore di questa strategia, cioè il fronte comune delle religioni contro l´illuminismo dell´uomo autonomo, è destinata all´insuccesso. Ogni religione pretende di essere "più vera" delle altre, il conflitto seguito al discorso di Ratisbona non resterà l´unico.
Ma i danni che questa nuova santa alleanza cattolico-islamica (e di parti crescenti dell´ebraismo, oltre che dei protestantesimi di nord e sud America) sta producendo nella sua pars destruens contro la democrazia sono già ingenti. In Italia il 70% dei cittadini si è dichiarato a favore dell´eutanasia, ma la Chiesa è riuscita a bloccare perfino una legge incredibilmente moderata sulle coppie di fatto. E per il 12 maggio è prevista una gigantesca manifestazione clericale di massa benedetta dalla conferenza episcopale italiana. E come da copione, anche quella spagnola annuncia una nuova fase offensiva. Mentre il mondo laico, per disattenzione o per opportunismo, tace (e l´attacco contro la scienza darwiniana intanto dilaga, dalla Casa Bianca alla cattedrale di Vienna).
Il manifesto 5.4.07
Sì della camera all'«authority» per i diritti umani nelle carceri e nei Cpt
Detenuti, ecco il garante
di Matteo Bartocci
Roma Un sì atteso da 14 anni. L'aula di Montecitorio ha approvato ieri con il solo voto contrario della Lega la «Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani». Si tratta di una vera e propria authority con poteri ispettivi, di indirizzo e di controllo per i diritti umani e tutte le persone private della libertà analoghi a quelli delle altre autorità di garanzia presenti nel nostro paese (privacy, concorrenza, etc.). E' composta da quattro membri eletti da camera e senato (due donne e due uomini, una novità) e sarà presieduta da una personalità indipendente nominata dai vertici delle due camere.
La commissione, che avrà un organico massimo di 100 dipendenti, svolgerà un «monitoraggio» del rispetto dei diritti umani in Italia e all'estero, potrà formulare pareri e raccomandazioni al governo, al parlamento e alle altre amministrazioni dello stato e, come specifica autorità di garanzia delle persone private della libertà, potrà svolgere ispezioni incondizionate e non annunciate in carceri, Cpt, aeroporti, camere di sicurezza, commissariati, ospedali psichiatrici, comunità per minori e in generale ovunque vi siano persone private della libertà. «Tutti i detenuti e gli altri soggetti comunque privati della libertà personale possono rivolgersi al Garante senza vincoli di forma», recita l'articolo 12 del ddl approvato ieri, che salvaguarda comunque i compiti e l'autorità ultima della magistratura di sorveglianza.
Per i suoi compiti l'ufficio del garante nazionale potrà avvalersi della collaborazione dei tanti garanti dei detenuti locali istituiti in questi anni presso regioni e comuni. Una lunga sperimentazione che ha avuto successo e che, come ha annunciato il sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi, il governo si è impegnato ora a istituzionalizzare con una legge ad hoc.
La Commissione dà attuazione dopo 14 anni a un trattato delle Nazioni unite che l'Italia finora non aveva mai rispettato. «Eravamo ultimi in Europa - commenta soddisfatta la relatrice del provvedimento Graziella Mascia (Prc) - da questo punto di vista il nostro paese può finalmente candidarsi al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite. La figura del Garante dei detenuti - conclude invece Mascia - colma una lacuna del nostro ordinamento penitenziario istituendo finalmente un organismo indipendente dall'amministrazione della giustizia e una nuova procedura di garanzia per i diritti dei detenuti».
Soddisfazione dalla Cgil e da Antigone, da sempre convinte della necessità di questa figura nuova soltanto per il nostro paese. «E' un passo importante nel percorso di ridefinizione di un sistema delle pene più razionale, più sicuro, più umano - commenta il responsabile nazionale Fp Cgil del settore Fabrizio Rossetti - un atto giusto che offre una nuova speranza al sistema carcerario italiano, spesso troppo sollecitato nell'esasperata interpretazione meramente custodiale del suo mandato». «Un atto di civiltà giuridica che ci avvicina agli altri paesi europei», aggiunge il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, che auspica ora una rapida approvazione anche da parte del senato.
La norma, inutile dirlo, ha avuto un iter assai tormentato. I malumori dell'Idv hanno rallentato il ddl almeno fino al momento in cui il presidente della commissione affari costituzionali Luciano Violante ha proposto di aggiungere al garante dei detenuti la (doverosa) commissione per i diritti umani che ha consentito alla fine una rapida approvazione della legge. E' però soprattutto l'astensione dell'Udc a destare stupore, considerando l'impegno personale dell'allora presidente Casini nella precedente legislatura e soprattutto perché è stata proprio la responsabile giustizia del partito centrista, Erminia Mazzoni, ad aver firmato la proposta di legge alla base della norma approvata ieri. E' dunque auspicabile che nell'arena di palazzo Madama, dove l'astensione vale voto contrario, ci sia più chiarezza nelle intenzioni in aula.
La legge
Una norma richiesta dalle Nazioni Unite
La «Commissione nazionale per la tutela dei diritti umani» avrà una sezione specifica che farà da Garante dei diritti e delle persone private della libertà personale. I cinque commissari durano in carica 4 anni e saranno scelti tra chi ha «esperienza pluriennale nel campo dei diritti umani» o «riconosciuta competenza nelle materie giuridiche afferenti alla salvaguardia dei diritti umani».
Il Garante vigila per assicurare che la custodia sia attuata in conformità alla Costituzione e alle convenzioni internazionali.
il manifesto 5.4.07
Tre garanzie decisive per le persone detenute
Un voto atteso «Passo in avanti fondamentale. L'Italia ratifichi il Protocollo Onu contro la tortura»
di Mauro Palma
Dare visibilità a luoghi per necessità, cultura e consuetudini, tenuti al riparo da sguardi indiscreti è il miglior modo per prevenire che essi possano diventare luoghi opachi, alle cui soglie il diritto rischia di arretrare e al cui interno il sistema a tutela dei diritti fondamentali rischia di non funzionare.
Per questo tutte le Convenzioni che in ambito internazionale sono state definite per prevenire ogni forma di maltrattamento delle persone private della libertà hanno ben chiaro un duplice aspetto: la prevenzione dei trattamenti «inumani e degradanti» di chi è, appunto, oggetto di tale privazione e la prevenzione delle false denunce verso chi ha correttamente operato. Lo strumento più idoneo per questo duplice obiettivo è stato da tempo individuato nella possibilità di designare un comitato indipendente che abbia accesso, in maniera ampia e non annunciata, a tali luoghi e alle persone che vi sono ristrette e che, senza nulla togliere al doveroso esercizio di controllo amministrativo e giudiziario, rappresenti un occhio esterno che continuamente monitori il sistema e individui i suoi punti di criticità.
In ambito europeo tale compito è affidato al Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e pene inumani o degradanti, che, con sede a Strasburgo, opera da quasi vent'anni conducendo continue visite nei più disparati luoghi del territorio del vecchio continente. Nel più generale ambito delle Nazioni Unite, un Comitato con analoghi poteri ha iniziato a muovere i primi passi quest'anno. Ma proprio l'allargamento della possibile tutela e la sua effettività rendono evidente la necessità di poter contare su una rete nazionale di organismi con analoghi poteri; di Comitati nazionali, quindi, che continuamente e in modo autonomo e autorevole, svolgano il lavoro di visita, ispezione, controllo e indirizzino conseguenti raccomandazioni ai governi. Per questo il Protocollo delle Nazioni Unite che ha istituito il nuovo organismo stabilisce che gli stati aderenti debbano istituire entro un anno dalla ratifica un meccanismo nazionale di controllo sui luoghi di privazione della libertà, con le caratteristiche di incisività e autonomia di cui si è detto.
L'Italia non ha ancora ratificato il Protocollo e si spera provveda in tempi brevi. Tuttavia la camera dei deputati ha inviato ieri un segnale molto positivo in tale direzione, con l'approvazione del disegno di legge che istituisce la «Commissione per la promozione e la tutela dei diritti umani» e affida a essa tale compito di monitoraggio. Viene così a un primo compimento un percorso che in via sperimentale si era già avviato, sulla spinta dell'associazionismo che si occupa di carcere e penalità, in primo luogo Antigone, attraverso l'introduzione della figura del «garante dei detenuti», già istituita in molte amministrazioni locali.
Tre elementi modificano, rafforzandole, le connotazioni della sperimentazione fin qui condotta. Il primo è che il disegno di legge approvato non si limita al solo mondo carcerario, ma considera tutte le forme della privazione della libertà: dalla custodia nei vari luoghi della polizia, della guardia di finanza o dei carabinieri, ai centri di permanenza temporanea per immigrati, alle comunità per minori, alle strutture che ospitano in convenzione coloro che usufruiscono di misure alternative alla detenzione.
Il secondo elemento è che, una volta in vigore la legge, l'accesso ai luoghi non sarà più richiesto alle amministrazioni e da esse autorizzato, così come è per gli attuali «garanti» ma sarà un autonomo e doveroso esercizio del proprio mandato da parte della Commissione. Il terzo è che tale funzione sarà parte, ben specifica e definita, di un più ampio compito della Commissione stessa, volto all'effettiva tutela dei diritti fondamentali delle persone, all'individuazione di situazioni a rischio e di necessità formative degli operatori, alla formulazione di proposte da rivolgere al governo e al parlamento. In sostanza un compito non solo ispettivo, ma anche di indirizzo.
Un buon passo in avanti, quindi, che si affianca a quello dell'inserimento del reato di tortura nel codice penale, in esame al senato dopo l'approvazione della camera. Entrambi potrebbero - ci auguriamo - giungere al termine del proprio iter legislativo in breve, inviando un messaggio di capacità della politica nel suo complesso di dare indicazioni e costruire cultura in ambiti non sempre produttori di immediato, facile, consenso.
o Presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura
Il manifesto 5.4.07
Varianti del nichilismo incarnate nei personaggi di Dostoevskij
Fonti filosofiche. Un saggio di Sergio Givone per Laterza sulla Weltanschauung del grande scrittore russo
di Mario Pezzella
È concepibile una decisione morale se Dio non esiste? È l'interrogativo di molti personaggi di Dostoevskij, e in particolare di Ivan Karamazov, come ricorda Sergio Givone nel suo libro, Dostoevskij e la filosofia (Laterza). L'inesistenza di Dio è provata, secondo Ivan, dalla sofferenza gratuita e inutile delle creature e in particolare di quelle più innocenti, i bambini.
Simile alla concezione nietzschiana del nichilismo, quella di Dostoevskij giunge però a un esito diverso, componendosi di tre elementi decisivi. Intanto, lo splendore dell'istante, che caratterizza la sua estetica, e che è espresso in primo luogo da Kirillov, nei Dèmoni: se Dio non esiste, ogni istante è affidato irreversibilmente alla sua unicità e caducità, confrontato immediatamente con la sua prossima morte. Di fronte al destino che lo sovrasta e lo cancella, ogni istante - anche il più doloroso - assume allora il fascino dell'irrevocabile, una giustificazione che rende superfluo ogni rinvio a un senso della vita, al di là della vita stessa. Il secondo carattere è la decisione senza fondamento, variante etica del nichilismo espressa soprattutto da Raskolnikov, in Delitto e castigo. Se non c'è più senso della vita oltre la vita stessa, allora siamo noi a creare qui e ora il senso del presente, con la nostra azione. Nulla può orientarci verso un contenuto piuttosto che un altro: conta piuttosto l'efficacia e l'energia della risoluzione, la volontà di potenza che essa è capace di esprimere. Come la decisione di cui parleranno Schmitt e Jünger, «immediatamente, la decisione vuole se stessa. Il suo contenuto le è indifferente» - scrive Givone.
Quanto al piano teoretico-politico, un ulteriore aspetto del nichilismo sta nel totalitarismo. La sua descrizione più compiuta si trova nella leggenda del Santo Inquisitore, raccontata nei Fratelli Karamazov. Se non c'è più alcun Dio, e dunque alcuna redenzione dal dolore presente, questo mondo diviene infinitamente mutabile e manipolabile: l'uomo senza Dio può concentrarsi nella creazione di uno Stato o di una Chiesa, compiutamente immanenti, da cui sia esclusa la causa maggiore di ogni infelicità: il tragico peso della libertà, la possibilità di compiere il male piuttosto che il bene. Infine, c'è una versione debole e derivata del nichilismo, quella esposta da Versilov nell'Adolescente, che Givone definisce «un cimiteriale rapporto con la tradizione», dove si dà per scontato il fallimento delle altre forme di nichilismo, mostrato da Dostoevskij a conclusione della parabola dei suoi personaggi: lo splendore dell'istante è un fantasma che coincide con l'imminenza del suicidio e della malattia; la decisione infondata si rivela in realtà sorretta da una inconsapevole coazione a ripetere; lo stato totalitario si afferma come regno del Terrore. Di fronte a ciò, Versiliov si rifugia nella contemplazione malinconica e disincantata del passato, sperando che la riconosciuta insensatezza del mondo porti almeno allo stemperarsi dei conflitti e a una accettazione pacifica della mediocrità umana. Il senso della vita non c'è, può essere solo decostruito quando pretende di presentarsi come tale: ma la soluzione «debole» di Versilov è solo una pausa di stanchezza, che prelude al ripresentarsi ciclico delle altre forme di nichilismo e della sua ratio fondamentale: la manipolabilità illimitata e arbitraria del vivente.
Secondo Givone, il fallimento del nichilismo è mostrato da Dostoevskij non meno del suo dispiegamento, e dipende dalla cancellazione di ogni senso dell'alterità e del possibile. L'istante eternizzato di Kirillov, la decisione infondata di Raskolnikov, lo Stato totalitario di Sigalev, suppongono un abbandono radicale alla situazione e all'essere nella sua attualità inalterabile. Che si può manipolare e mutare indefinitamente, nella sua sempre uguale opacità. Protesta estrema e radicale di questa alterità è la fede di Dostoevskij in un Dio che assuma radicalmente su di sè il carico dell'oscurità e del male; fino a laciar supporre un fondo oscuro e antinomico nella sua stessa essenza, una compresenza del male e della libertà nella sua stessa natura.
Il più enigmatico dei personaggi di Dostoevskij, il principe Myskin dell'Idiota, viene paragonato in alcune note preparatorie e in qualche lettera di Dostoevskij a Cristo stesso; ma anche a Don Chisciotte. Sembra animato da una forza che pur volendo costantemente il bene, produce immancabilmente il male. Nonostante la sua assoluta bontà, o forse proprio perciò, il principe Myskin non può evitare la catastrofe che colpisce tutte le altre figure del romanzo. La sua non-violenza, la sua incapacità ad assumere la più lieve colpa, la sua radicale forma di non resistenza al male, si traducono paradossalmente nell'accettazione dell'accadere in tutta la sua negatività. Anch'egli è affascinato dallo «splendore dell'istante», che però gli viene concesso unicamente dalla malattia di cui soffre. Privo di colpe, egli è però anche incapace di un'azione responsabile, che potrebbe interrompere la catena fatale degli eventi.
Repubblica 5.4.07
Kafka e l’amico Max
Torna l’epistolario tra lo scrittore e Brod con diversi inediti
di Franco Volpi
Ma il loro rapporto, come notò Benjamin scrivendo a Scholem, risultò piuttosto enigmatico
Brod pubblicò i romanzi che Franz gli aveva chiesto di bruciare e divenne il suo primo biografo
Il 23 ottobre 1902 Kafka assistette in un circolo studentesco dell´università tedesca di Praga - dove studiava giurisprudenza - a una conferenza su Schopenhauer di Max Brod, anche lui giovane giurista e letterato di belle speranze. Ne nacque un lungo sodalizio, e alla morte, come si sa, Kafka affidò all´amico i suoi manoscritti con la disposizione di distruggerli. Ma Brod - con una decisione che avrebbe cambiato le sorti della letteratura del Novecento - non rispettò la volontà testamentaria di Kafka. Nel 1925 pubblicò Il processo, nel 1926 Il castello, nel 1927 America. E nel 1939, poco prima che i nazisti arrivassero a Praga, fuggì con il suo tesoro letterario in Palestina, salvando una seconda volta quelle mirabili carte, oggi conservate nella Bodleian Library a Oxford. Brod scrisse anche la prima biografia di Kafka (1937), e intrattenne con lui un fitto carteggio, fonte indispensabile di informazioni. Il lettore italiano, tuttavia, ne conosceva finora soltanto la metà, cioè le missive di Kafka. Una curiosa mutilazione editoriale, giacché un elementare criterio ermeneutico insegna che una lettera non si capisce se non conoscendo quella a cui essa risponde. È dunque un piccolo evento letterario la traduzione dell´intero carteggio curata da Marco Rispoli e Luca Zenobi per Neri Pozza.
Come scriveva Walter Benjamin a Gershom Scholem, l´amicizia tra Kafka e Brod è un «enigma». Del resto, lo stesso Kafka confessava: «A Max non risulto chiaro, e dove gli risulto chiaro, si sbaglia». Effettivamente queste lettere mostrano che la loro amicizia si nutriva, più che di sintonie, di incomprensioni e divergenze. I due hanno per esempio una diversa visione della malattia: Brod esorta l´amico a sopportarla in vista di una speranza, un fine comune più alto; Kafka invece la ritiene inesplicabile e assurda, quasi simbolo di un disagio esistenziale, della discrasia tra la sua condizione di scrittore e la comunità. Tanto da raffigurarla come un male mentale prima ancora che fisico: «Così non si va avanti - ha detto il cervello - e il polmone si è dichiarato pronto ad aiutare». Li divide anche una diversa concezione dell´eros, e della sua sublimazione letteraria. Ma soprattutto l´ebraismo. Influenzato da Martin Buber, Brod è sionista convinto, e la letteratura fa per lui tutt´uno con la sua causa. Invece l´esistenza insulare di scrittore preserva Kafka da ogni impegno e ogni strumentalizzazione della parola. Per lui l´inchiostro è sangue. Il dialogo che ne nasce è asimmetrico, ma scava nel profondo della loro simbiotica esistenza, là dove la letteratura sgorga dalla potenza oscura della vita.
Pubblichiamo una parte inedita del carteggio
Caro Max, da tempo non ero così infelice
Ieri sono stato in un hotel con una prostituta, cercavo un po' di dolcezza
La cosa strana è che tutte le persone sono buone con me
Da "Un altro scrivere" (Neri Pozza, pagg. 448, euro 40) anticipiamo due lettere inedite di Franz Kafka e, in parte, una di Max Brod.
Praga, settembre 1908
Mio caro Max - sono le 12 e 30 di notte, dunque un´ora insolita per scrivere lettere anche quando la notte è così calda come oggi. Nemmeno le falene si avvicinano alla luce.
Dopo gli 8 giorni felici nella selva boema - le farfalle lì volano alte come le rondini da noi - ora sono da 4 giorni a Praga e così inerme. Nessuno mi può soffrire e io non posso soffrire nessuno, ma la seconda cosa è solo la conseguenza della prima; soltanto il tuo libro, che ora finalmente sto leggendo difilato, mi fa bene. Così profondamente infelice, senza una motivazione, non lo ero da tempo. Finché lo leggo mi ci aggrappo, anche se non vuole affatto essere d´aiuto agli infelici; altrimenti devo cercare qualcuno che mi tocchi anche soltanto con dolcezza, ed è una necessità così pressante che ieri sono stato in hotel con una prostituta. E´ troppo vecchia per essere ancora melanconica, solo le dispiace, seppure non la meraviglia, che non si sia così gentili con le prostitute come lo si è in una relazione. Non l´ho consolata, poiché nemmeno lei ha consolato me.
Saluti cordiali a te, tua moglie e a tutti, in particolare a Oskar, cui non ho ancora scritto: nonostante non sussista alcun impedimento, mi decido così difficilmente a scrivere lettere necessariamente pubbliche.
Tuo F.
Merano, fine maggio/inizio giugno 1920
Carissimo Max, cosa hai voluto dire sulle scale - ti ricordi? - con il tuo ultimo desiderio di viaggio? Se lo intendevi come un esame, temo che non lo supererò. Gli esami non mi temprano, quando le prendo non rimango al mio posto, ma corro via e scompaio dietro le botte. Devo essere lieto del fatto di non essere riuscito a sposarmi? Allora sarai divenuto immediatamente ciò che ora sto diventando per gradi: pazzo. Con pause di rinsavimento più e più brevi durante le quali, non io, ma l´altro raccoglie le forze.
La cosa strana sulla quale finalmente potrei porre la mia attenzione, è che tutte le persone nei miei confronti sono oltre misura buone e, se voglio, immediatamente pronte al sacrificio, da quella per me meno significativa a quella più eccelsa. Da ciò ho tratto delle conclusioni sulla natura umana in genere e mi sono sentito ancora più oppresso. Ma probabilmente non è giusto, gli uomini si comportano in questa maniera solo nei confronti di quell´individuo che non riescono in nessun modo ad aiutare.
Un particolare senso dell´olfatto rivela loro la presenza di un caso del genere. Anche nei tuoi confronti Max, molte persone (non tutte) sono buone e pronte al sacrificio, ma tu poi ricambi il mondo in maniera incessante, è una vera e propria partita di giro (per questo tu puoi anche bilanciare umanamente cose che io a malapena posso toccare), io invece non pago niente o almeno non agli uomini.
Franz
Praga, 9-6-1920
Carissimo Franz
(...) Mi scrivi con tristezza. Io però non ti ho risposto per così tanto tempo solo perché ti avrei scritto con ancora maggiore tristezza. Dentro di me c´è un vuoto come non accadeva da anni. La delusione avuta dalla signora di Brno è molto più profonda di quanto non avessi pensato, anche se ho sofferto molto fin dal principio. Quell´enigma tormentoso non mi esce dalla testa. Tutto mi sembra al cospetto così grigio, così poco sincero. Alla nostra età non si può aprire fino in fondo il proprio cuore senza pagarne le conseguenze. Può essere un evento fortunato, e così sembrava nel mio caso. Ma il contraccolpo, quando arriva, ha un effetto spaventoso, addirittura devastante.
Non ho voglia di nulla, e questo proprio adesso quando avrei tempo libero come mai prima d´ora. Comunque il momento peggiore è forse già passato. Nelle ultime due settimane ho di nuovo preso in mano il mio libro teorico e ci lavoro ogni giorno tenacemente, qua e là mi riesce un passaggio, e tutto è già più sopportabile di quei tremendi pomeriggi inoperosi di maggio. In ogni caso mi manchi molto. Non ho nessuno con cui poter parlare di queste cose.
(...) Non potrei scrivere proprio nulla se non sapessi che la prossima settimana sarò a Brno per il nostro congresso politico. Questo mi dà un po´ di coraggio. Forse giungerò ad avere un «sì» o un «no» chiaro, ma non è sicuro, non c´è bisogno che te lo dica.
Paul Adler è stato qua, una volta sono andato a fare una passeggiata con Camill Hoffmann, ho visto il parlamento, ho parlato con Hasenclever, ho scritto su Borchardt: il lavoro va avanti ma dentro si è spalancata una tomba.
Qui è accaduta una storia strana, che ti riferisco almeno per sommi capi. Reiner, un giovane redattore della Tribuna (a quanto si dice in giro, un uomo molto fine e davvero esageratamente giovane, forse di 20 anni), si è avvelenato. Questo avveniva quando tu eri ancora a Praga, credo. Ora si è capito il perché: Willy Haas aveva una relazione con sua moglie (...), una relazione che però dovrebbe essere rimasta su un piano spirituale. Quindi, non è che i due siano stati sorpresi, sul fatto o cose del genere, ma la donna ha tormentato con le proprie parole e con il proprio comportamento il marito, che conosceva già da diversi anni prima del matrimonio, a tal punto che quest´ultimo si è ucciso in redazione.
(...) Non so perché ti ho scritto questa storia crudele. Forse perché noi soffriamo dello stesso demone e quindi la storia è nostra, allo stesso modo in cui noi siamo suoi. Dai tuoi cenni non riesco a figurarmi nulla di preciso. Ma credo soltanto che tu debba guarire, che tu debba diventare fisicamente saldo. Allora sopporterai meglio le cose. E se credi davvero che il problema stia solo in te, non nell´altra che ti ama, riesco a immaginare a fatica quanto bene mi sentirei in una situazione del genere, in cui l´amore mi arriva davvero. Così è stato per tre giorni.
Tuo Max