MARCO BELLOCCHIO. Ecco come il registra, se gli venisse chiesto, vorrebbe documentare con la sua macchina da presa questo momento di passaggio
«Il Pd è vicino. Filmerei lo sguardo dei delegati, a fine congresso»
di Roberto Cotroneo
Un evento drammatico? Tragico? Non vedo ancora una identità nuova perché i Ds rinunciano alla loro radice laica
PROVIAMO a fare un altro esperimento. Guardiamo al Partito democratico che dovrà ancora nascere. Guardiamolo come se fosse un documentario. Girato da un grande regista. Un documentario come quello che girò nel 1990 Nanni Moretti, e che si intitolava "La cosa", dove veniva messo in luce il dibattito interno al Pci di Achille Occhetto che portò alla nascita del Pds. Siamo andati a chiederlo a un altro regista importante, che in questi anni ha girato film che hanno fatto discutere e che hanno segnato il cinema italiano: Marco Bellocchio. Autore di lungometraggi che sono ormai dei classici, da "I pugni in tasca", a "L’ora di religione", fino a "Buongiorno, notte". Di film politici come "La cina è vicina". Di documentari come "Viva il primo maggio rosso" o "Matti da slegare". Regista da sempre di sinistra, alter ego in questo proprio di Nanni Moretti.
Bellocchio, allora, stessa domanda che ho fatto a Taddeucci della Saatchi. Ti do l’incarico di girare un documentario. Parti domani (oggi per chi legge) per Firenze, e gira un documentario sull’ultimo congresso dei Ds, prima dello scioglimento nella prospettiva del Partito democratico. Accetti?
«La risposta è subordinata a un’altra domanda, che in questi casi si fare sempre: quanta libertà ho?».
Sei libero di decidere quello che vuoi. Hai carta bianca.
«Allora mi domando qual è il genere di questo film. Se un film drammatico, se un film tragico... Questa invenzione del Partito democratico, da uomo di sinistra, non mi fa vedere ancora la nascità di una identità nuova. Soprattutto perché i Ds, entrando a far parte di questo partito, mi sembra rinuncino alla loro radice laica. È come se accettassero dalla Margherita certi principi che io da laico e da ateo non condivido».
Questa è la premessa politica. Ora dimmi cosa andrai a cercare con la tua cinepresa a Firenze.
«Nel documentare questo evento ho bisogno di fare un discorso stilistico. Quando ho girato "Buongiorno, notte", il film sul rapimento e la prigionia di Aldo Moro, mi sono posto questa domanda: qual è il mio punto di vista? Lì ho deciso di stare all’interno della casa dove Moro era detenuto. Tutto il film è girato «dentro» la casa. Non c’è mai una inquadratura che sia esterna. In questo caso invece mi piacerebbe stare sempre «fuori». È come se il mio sguardo aspettasse coloro che arrivano e coloro che entrano. Rinunciando, alla solita frontalità televisiva».
Ti tieni fuori, insomma.
«Sai, è come quando da bambino passavi davanti allo stadio e sentivi il tifo, il boato, il gol. Farei nello stesso modo. Il mio sguardo mi piacerebbe che fosse uno sguardo indiretto, di chi sta fuori, e attraverso questi echi, e attraverso queste risonanze, credo che potrei trovare lo stile migliore».
Ma che genere di documentario sarebbe?
«Sarà una rappresentazione o tragica, nel senso di una dimensione suicida, oppure drammatica, nel senso che là avverrà una separazione. L’importante per me è non usare le forme canoniche della televisione».
Le domande che faresti ai delegati, ai leader, che entrano ed escono dal luogo del congresso, quali sarebbero?
«Io chiederei: qual è il significato di questa operazione? dov’è il vantaggio? E lo dico con molta ingenuità, e non in un modo malizioso. Perché il vantaggio mi sfugge, anche se non è detto che non ci sia».
Intervisteresti più i leader, o più la base dei delegati?
«Certamente è più interessante la base dei delegati. I leader li abbiamo sentiti tante volte in televisione. Quello che dicono i leader lo sappiamo. Invece i delegati non li ascoltiamo mai. Sarebbe interessante parlare con i giovani militanti. Persino più interessante che parlare con quelli più anziani. Sono i giovani la scoperta, quelli che dobbiamo capire, anche un po’ il mistero di tutto questo».
Passiamo all’aspetto sentimentale. Un lunga storia, da domenica, cambierà. Ci sarà un nuovo partito. Ma certamente si chiuderà un’epoca lunghissima che comincia a Livorno nel 1921 e termina in un certo senso a Firenze nel 2007. Come pensi debba essere reso nel tuo documentario tutto questo?
«Se tu fai un montaggio dove fai vedere ad esempio l’attentato a Togliatti, e poi filmi il congresso dei prossimi giorni è come un truccare le carte. Semmai dovresti domandarti che cosa rimane oggi di quella storia. Cosa verrà cancellato e cosa rimarrà».
È tutto sull’oggi il tuo sguardo?
«Sì, credo che non metterei filmati di repertorio».
Senti, il congresso durerà tre giorni. Ci sarà un momento in cui, sabato, Piero Fassino dirà: da questo momento i Ds non esisteranno più, si confluirà nel Partito democratico, e inizierà la fase costituente. Al di là del significato politico di tutto questo, c’è anche un aspetto emotivo, che il cinema sa restituire meglio di qualunque altro mezzo. Cosa hai pensato per rendere nel tuo film proprio quel momento?
«Andrebbe girata con un’immagine metaforica. Questo momento, a meno che non accadano cose imprevedibili, va reso con un’immagine simbolica in fase di montaggio, un luogo che simbolicamente possa rappresentare la storia del partito».
Un’immagine di repertorio questa volta? L’unica?
«Sì, credo di sì».
Anche per "Buongiorno, notte", in un altro contesto, hai usato per chiudere il film un filmato di repertorio. La messa per Moro, con il sottofondo dei Pink Floyd di "Shine on you Crazy Diamond".
«I finali dei congressi sono sempre stati dei finali esaltanti. Anche questa volta dovrà essere così. Vorranno dare la sensazione di un nuovo percorso».
Forse a quel punto dovrai entrare in sala, e non più stare fuori, come per il resto del documentario.
«Se uno potesse raccontare gli sguardi dei delegati che tornano a casa, beh, sì, sarebbe un’idea. Girare questa grande sala del congresso che si svuota. Però sai, ci sono molte cose che si capiscono quando sei proprio lì. Certe scelte le fai in quel momento. Maturano in quei giorni. E tre giorni di congresso sono tanti».
Un’ultima domanda, Bellocchio. Che titolo daresti a questo documentario?
«Sai che ci sto pensando da un po’? Credo che il titolo dovrà essere scelto nella sintesi di due concetti. La fine di una storia e l’inizio di un’altra. Su queste due idee cercherei la sintesi in un titolo. Ma ancora non so dirtelo...».
roberto@robertocotroneo.it
l’Unità 19.4.07
Da Cosa nasce Cosa
Dopo il Pci, un’altra storia
Il travaglio iniziato ai tempi della Bolognina oggi volge al termine
Dal film di Moretti, diciotto anni di svolte
di Oreste Pivetta
Quando c’erano loro, chissà se si stava peggio. Alla vigilia del Partito democratico, alla fine del PciPdsDs, il partito più lungo della storia italiana, sarà un difetto, ma come si fa a non provare nostalgia per i dieci giorni che sconvolsero il mondo di fronte ai tre che sconvolgono il nostro villaggio. Nella memoria di alcune date: 1917, 1921, 1924 (rivoluzione russa, congresso di Livorno, primo numero dell’Unità). Insieme con l’8 Marzo, il 25 Aprile, il Primo Maggio. O di altre che restano a testimoniare un tormento: 1956 Budapest, 1968 Praga, 1989 Tien an men.
Millenovecentottantanove è anche il muro di Berlino, qualcosa come una metafora che definiva in modo ultimativo la “irriformabilità del sistema”, come ricorda Achille Occhetto, il segretario della “svolta”.
Si potrebbe aggiungere altro e ciascuno (ciascun militante, come si diceva) potrebbe elencare qualcosa di suo. Se posso, aggiungo mio padre che una sera tornò a casa dalla sezione con un rotolo di cartoncino, dal quale estrasse un foglio che stese sul tavolo: era il ritratto bellissimo di Iosif Vissarionovic Dzugasvili, detto Stalin, l’uomo d’acciaio che sconfisse i nazisti. Aggiungo l’angoscia che destavano un rombo di motori su un’isola lontana e il nome di una geografia ignota ancora, la Baia dei Porci, oppure l’orgoglio nel titolo dell’Unità: «La vittoria del Vietnam illumina il Primo Maggio» (del direttore Petruccioli). Aggiungo ancora una sera di primavera, quando un corteo sventolava bandiere rosse e s’udivano alcuni slogan: «Viva il partito di Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer»; «È ora, è ora di cambiare, il Pci deve governare».
Al governo sono arrivati e un comunista che metteva paura a noi giovani cronisti per la sua severità e puntigliosità è diventato presidente della Repubblica. È cambiato il simbolo. Decenni fa, sotto elezioni, l’Unità interrogò un famoso artista a proposito del simbolo. L’artista lo definì una splendida sintesi: il martello degli operai e la falce dei contadini, la grande alleanza del popolo lavoratore, la stella a rappresentare il nostro internazionalismo e sullo sfondo la bandiera tricolore, che rivendicava il valore della via italiana al socialismo. «L’esecrato capitale/ nelle macchine ci schiaccia/ l’altrui solco queste braccia/ son dannate a fecondar/... Su fratelli, su compagne/ su venite in fitta schiera/ sulla libera bandiera/ splende il sol dell’avvenir...». Credo che la grafica politica non sia più riuscita ad esprimere un logo tanto efficace. Querce e ulivi non lo valgono.
Aldo Tortorella la storia comunista dal dopoguerra al crollo del Muro l’ha vista tutta, per molti anni dalla cima del partito. È stato direttore dell’Unità, è un intellettuale e di infinite letture. Un intellettuale che sicuramente ha letto tutto Gramsci (e vorrei approfittare per citare l’edizione economica, di Einaudi, dei Quaderni del carcere, da pochi giorni in libreria: quanta modernità nella polemica politica e culturale). I comunisti hanno sempre letto molto, le sezioni erano anche biblioteche popolari e cineforum (ma nelle sezioni arrivò anche la televisione di Lascia o raddoppia?). Erano una scuola ai tempi in cui don Milani criticava gli oratori perché lasciavano che i giovani si distraessero con il pallone invece di istruirli: contro la ricreazione, scriveva il parroco di Barbiana.
«Prevedevo - testimonia Tortorella, che dopo la Bolognina aveva firmato la “mozione due” insieme con Ingrao - che finisse così. Non provo particolari sentimenti. Ho scelto una posizione indipendente e penso a una sinistra nuova. Vedo questo appuntamento con il Partito democratico come il compimento di un processo iniziato da tempo... Molti di questi giovani o meno giovani si sono convinti che il punto d’approdo sia la liberaldemocrazia... Vogliono creare un partito orientato verso la liberaldemocrazia, con le loro buone intenzioni sociali, ma rinunciando a una critica del sistema. Già la parola sistema li fa rabbrividire».
«Me ne sono andato ai tempi del Kosovo», ricorda il leader ottantenne, il partigiano (catturato dai nazifascisti e fuggito) e gappista a Genova: «Il modello privatistico è diventato l’alfa e l’omega». Duro sì, ma senza scomuniche. Tortorella esprime la disponibilità laica di una battaglia e di una responsabilità politica nel senso della libertà. «Il nostro problema è comporre una sinistra di connotazione socialista, che dia rappresentanza al lavoro, una rappresentanza politica perché una rappresentanza sociale è garantita dal sindacato». «Nel lessico del moderatismo - scriveva Tortorella su Critica Marxista in un documento intitolato alla vecchia maniera “I nuovi fondamenti di un discorso per il socialismo” - c’è il cittadino come realtà unica, quando la realtà sociale è, al contrario, fatta di differenze di condizione tra cittadini, talora abissali. I lavori non negano il lavoro...». «La nostra via ci sembra indicata dall’esistenza di uno spazio politico e morale, al di fuori di rigidezze, di schematismi, di ripetizioni scolastiche del passato... Intorno ad alcune parole chiave: libertà ed eguaglianza (inscindibili: lo scriveva anche il liberale Bobbio, anteponendo l’uguaglianza), lavoro. Se si riprende la tradizione, è nel senso del lavoro e della libertà, appunto, come insegna il Manifesto di Marx ed Engels, della libertà solidale, perché la solidarietà è all’origine di tutto, del consorzio umano. Una tradizione va ovviamente considerata in senso critico. Non siamo mai stati laudatores del tempo passato...».
Veniamo da lontano, lo si è sempre detto. «Partendo da questo grande patrimonio, si tratta di costruire una cosa più grande». Si intitola La Cosa il film di Nanni Moretti che si apre con quella immagine e quelle parole di un compagno romano. Seguono altre parole, altre facce perbene, a confermare il cruccio e i dubbi, poco meno di vent’anni fa: «Siamo per l’apertura, per l’aggiornamento di questo grande partito, ma non dimentichiamo che i nostri compagni sono morti per questa falce e martello».
Vent’anni fa erano gli anni di Achille Occhetto, allora cinquantenne, la generazione dopo Tortorella e dopo Berlinguer, Natta, Bufalini, Reichlin, Macaluso, che erano la generazione dopo Togliatti e dopo Longo. Achille Occhetto e la Bolognina di un 12 novembre 1989, quando si capì che il Pci sarebbe diventato un’altra Cosa. «Una scelta abbastanza solitaria, anche se era stata preparata da una serie di colloqui, di valutazioni, di piccoli passi, dalla condanna di Tien an men alla riabilitazione di Imre Nagy, agli stessi colloqui sempre più stretti con i dirigenti dell’Internazionale socialista. Tanti segni che mi avevano dato la certezza che la situazione era ormai matura. Anche se occorreva un avvenimento che rendesse plausibile la svolta. E quell’avvenimento fu la caduta del Muro». L’occasione della Bolognina non fu premeditata: «Non immaginavo che i giornali il giorno dopo titolassero: il Pci cambia nome». Sicuramente aveva immaginato che da quel giorno in avanti e per mesi il suo partito si sarebbe misurato nel più intenso, emozionante, appassionato dibattito che la storia politica italiana avesse mai vissuto. Sottolinea orgoglioso Occhetto: «Il mio pianto alla fine del congresso di Bologna era di liberazione di fronte all’intensità di quella discussione, che aveva attraversato il partito e non solo il partito. Anche le famiglie si divisero. Il dramma s’era concluso».
Nanni Moretti registrava, in uno dei suoi film più semplici e più belli: «Sono molto, molto grato a Occhetto, che ci impegna a ridiscutere noi stessi. C’era bisogno di un atto di grande umiltà e di grande orgoglio insieme. Di fronte a quello che sta succedendo non si può dire che non c’entriamo un cazzo. Quello che sta succedendo ci deve far discutere». «Finalmente ho sentito proporre strade nuove, cose nuove». «Voglio capire con chi lavoreremo e lotteremo e per chi lavoreremo e lotteremo». «Il comunismo non è quella cosa lì. Il comunismo non è fatto da burocrati... da quelle cose lì». «La molla che ci stimola è la molla della fratellanza e della solidarietà». «Caro Mister X, ti prego di non cambiare senza farci capire bene dove andare. Sento un grande bisogno di comunismo»... «Ci stiamo dividendo...».
«Da quel momento in poi - continua Achille - abbiamo troppo aspettato. Esitare ha bagnato le ali della svolta». Congressi, Rimini e Bologna, Pds e Ds, sconfitte e vittorie elettorali, l’Ulivo e le primarie... Continua duro Achille: «A poco a poco è prevalsa una tesi opportunistica. Cambiare nome per rifarsi la faccia ed entrare nel salotto buono. La mia proposta voleva proporre un passaggio molto più radicale e ideale. Gli apparati presero il sopravvento». Normalizzazione? E l’ideale? «Ideale: mettere in discussione la parte peggiore della tradizione comunista, che era il partito, e tenere viva la parte migliore. l’aspirazione a cambiare la società. Il discorso è stato capovolto. Ha avuto la meglio la conservazione. Cospiravano in direzione contraria anche le condizioni generali della politica, esterne a noi». Idealismo? «È il rischio che si corre sempre quando si pongono obiettivi che non sono maggioritari».
Ed ora? «Non sono pregiudizialmente contrario all’idea di una nuova formazione politica capace di raccogliere i diversi riformismi della storia politica italiana, ripristinando un’idea alta di sinistra... Mi pare però che prevalga la voglia di moderatismo funzionale ai calcoli opportunistici, alla sopravvivenza di un governo. Ci siamo noi del Cantiere, ci sono quanti non faranno parte del partito democratico e che vogliono colmare un vuoto. Ci incontreremo il 12 maggio a Roma, per incominciare a discutere...».
Di nuovo, ancora, senza paura. La sinistra mai stanca.
Intanto, compagni, fratelli, amici, forse signori, andiamo a costruire qualcosa, una Cosa.
l’Unità 19.4.07
«Serenamente, ce ne andiamo»
La seconda mozione ds si è riunita ieri sera. Confermata la scelta: Mussi parla domani. Poi, via
di Simone Collini
DICONO che i sentimenti personali contano fino a un certo punto, che sono le valutazioni politiche che devono guidare le scelte. Dicono che sono sereni nonostante il passo che stanno per compiere, e che anzi solo in questo modo possono rimanere fedeli ai valori in cui hanno sempre creduto in questi trenta, quaranta, cinquanta anni di militanza. Dicono tutto questo e però poi a volte è una pausa che si prolunga a dire qualcosa in più, o uno sbuffo di fumo e la sigaretta gettata lontano chiudendo la frase. I 250 delegati della mozione Mussi si sono incontrati ieri sera a Firenze. Pci, Pds, Ds, i nomi cambiavano ma la storia era quella, e loro c'erano. Oggi si apre il congresso della Quercia, l'ultimo. Domani ci sarà il Partito democratico, e loro non ci saranno. Perché, dicono i sentimenti contano fino a un certo punto.
"Vado al congresso con spirito sereno", dice Gianni Zagato il giorno della vigilia. Mussi gli ha affidato il non facile incarico di coordinatore organizzativo della mozione. "Certo, ho passato tanti anni in questo partito, ma pur nel dolore della separazione sono convinto che questo sia l'unico modo per far sì che tutto quello in cui ho creduto non si perda. Sono convinto che si ricollocherà nella strategia futura a cui dobbiamo lavorare, quella di riunificare le forze di sinistra oggi divise". Negli anni 80 era a Torino con Fassino segretario, ricorda: "Mi lega a lui un affetto personale, che durerà. Ma questo non mi impedisce di compiere la mia scelta".
Quello che fa male, ai delegati della seconda mozione, è sentirsi chiamare scissionisti. Fa male a Mussi, che non ne fa mistero con i suoi. "Passo per scissionista", diceva con amarezza l'altro giorno, dopo aver sentito in tv il direttore del Tg1 Gianni Riotta dire che probabilmente così può contare su una maggiore visibilità. "Scissionista", pausa. "Quarantadue anni per la sinistra", pausa. "Ho vissuto come uomo libero e disciplinato, ma guai quando nei partiti la regola diventa il conformismo". Ai delegati ha ripetuto ieri quello che ha ripetuto nei mesi e anche anni addietro. Era alla manifestazione di lancio della cosiddetta Camera di consultazione permanente, due anni fa, quando disse per la prima volta: "Se fate il Pd, io non ci sarò". Quello che lo amareggia è anche che qualcuno abbia pensato che si trattasse di tattica. "Scissionista", pausa. "Non riesco a rassegnarmi all'idea che la sinistra italiana si riduca a correnti personalizzate in un nuovo partito. Non un partito nuovo, un nuovo partito".
Carlo Leoni è con lui. "E' chiaro che provo un grande dispiacere", dice il vicepresidente della Camera. "Ma non per quello che facciamo noi, ma perché viene a mancare il mio partito. Una comunità fatta partito, che non ci sarà più. Il giorno più duro, per me, è stato quando si sono conclusi i congressi di sezione, quando ho capito che la fine dei Ds era segnata". Non che non se lo aspettasse un risultato più o meno simile, ma fino all'ultimo ha messo in conto una mossa da parte della maggioranza che potesse consentire una ripresa del dialogo. Così non è stato, e ora dice che guarda al futuro "con voglia di cominciare a rimboccarsi le maniche per realizzare questa impresa, che non sarà facile ma che è necessaria": "Se il Pd nasce con a sinistra l'attuale frammentazione non avremo un centrosinistra forte. Se viceversa ci sarà una forza consistente e di governo sarà un bene per tutti". Per questo i sostenitori della seconda mozione chiedono "rispetto" per la loro scelta e il riconoscimento che quanto stanno per fare ha "pari dignità" rispetto al progetto del Pd.
Di paragoni con la Bolognina e con le ragioni allora avanzate dal Prc non ne vogliono neanche sentir parlare. "La separazione è una scelta difficile ma inevitabile", dice Fulvia Bandoli. Allo scorso congresso era la prima firmataria della mozione ecologista. Oggi ha firmato la mozione Mussi. "Non si può stare dentro il Pd senza convinzione, come ci starei io. La mia decisione è ben meditata, sono tre anni che discutiamo questo progetto. Sono quarant'anni che sto in questo partito, e sono sempre stata nella minoranza. Ma non mi ci sono mai sentita a disagio perché anche da questa posizione sono riuscita a vincere battaglie importanti. Ma quello che si sta per fare oggi non è una trasformazione, è un altro partito. Non di sinistra. E io non ci posso stare".
l’Unità 19.4.07
Scontro tra Confindustria e Bertinotti
Il presidente della Camera: «Telecom, capitalismo impresentabile». La replica: clima anti-imprese
di Luigina Venturelli
POLEMICA Tra accuse d’impresentabilità e controaccuse di statalismo, la miccia Telecom accende uno scontro al calor bianco tra il presidente della Camera e Confindustria. Pomo della discordia alcune osservazioni impietose sullo stato dell’imprenditoria nazionale: «La vicenda Telecom - ha dichiarato Fausto Bertinotti nel corso di una trasmissione televisiva - ci dice quanto il capitalismo italiano sia devastato».
L’accusa dell’ex sindacalista alla sua vecchia controparte padronale è senza mezzi termini: «Il fatto che ci chiediamo se ci sia un imprenditore italiano con abbastanza soldi per intervenire su Telecom è sconcertante». Insomma, «il capitalismo italiano è a un estremo di impresentabilità».
Immediata la replica che Confindustria ha assegnato ad una nota infuocata: «Le dichiarazioni del presidente della Camera confermano purtroppo il clima anti-impresa di larghi settori dell’attuale maggioranza». Il verdetto è definitivo e corredato dall’elenco dei meriti non riconosciuti: «Il capitalismo italiano ha trascinato il Paese fuori dalle secche della crescita zero, e grazie allo sforzo delle sue imprese piccole, medie e grandi è tornato a misurarsi con successo sui mercati dopo un severo processo di selezione».
Segue, quindi, la lista delle difficoltà logistiche riscontrate, ovviamente a causa dell’apparato statale: «In questa competizione le imprese italiane sono quasi sempre lasciate sole, a differenza di quanto avviene in altri Paesi». Va da sé che, secondo Confindustria, «fare impresa in Italia è sempre più difficile per il carico fiscale più alto d’Europa, una burocrazia senza pari, il rischio sempre più frequente di veder cambiare in corsa le regole del gioco. Forse - sottolinea l’associazione - quello che piace è il modello del capitalismo di stato che ha ridotto l’Alitalia nelle condizioni attuali».
La nota non si risparmia frecciatine ironiche, solitamente riservate ai virgolettati di qualche esponente piuttosto che ai toni formali di un comunicato ufficiale di categoria. Segno di quanto la polemica risulti indigesta, soprattutto nel momento in cui il sistema imprenditoriale sta mostrando, causa l’affaire Telecom, alcune evidenti lacune. Ma Confindustria assicura: «Gli imprenditori italiani continueranno con rigore ed impegno nella loro difficile sfida, e invitano il presidente della Camera ad un contatto più diretto per conoscere il volto vero del nostro capitalismo. Certo il dibattito sulle vicende economiche che riguardano il Paese sta toccando livelli che sconcertano e preoccupano».
Una querelle che non poteva restare senza eco politica. «L’aggressione di Bertinotti al capitalismo italiano mi sembra fuori luogo. Mi pare che il problema cruciale di questa maggioranza sia quello di guadagnare qualche consenso in più e non quello di riesumare il vecchio motto: molti nemici molto onore» commenta Marco Follini.
Meno posate le parole di Maurizio Lupi di Forza Italia: «Questo governo ha una concezione centralista e statalista, che si oppone al libero mercato e alla libera impresa». Puntualizza, invece, Alfonso Gianni, sottosegretario allo Sviluppo Economico: «Va ricordato a Confindustria che il declino industriale del nostro Paese non è un’invenzione della sinistra».
l’Unità 19.4.07
Sinistra, il momento dell’ascolto. E delle idee
di Valerio Calzolaio e Alessandro Polio Salimbeni
Si stanno muovendo le cose a sinistra. Il Prc ha svolto la conferenza di organizzazione, conferma la scelta dell’impegno di governo, il processo di costruzione di Sinistra Europea e, insieme, apre il tema della ricerca sul socialismo di oggi, con l’idea di un “cantiere” unitario della sinistra italiana. Il PdCI, in una stagione congressuale quasi conclusa, riprende la proposta della confederazione. I Verdi avviano il 4 maggio una fase costituente allargata e tematizzano un patto di consultazione a sinistra. Lo Sdi ha svolto il suo congresso straordinario per avviare la costituente socialista e aprire una fase di confronto ravvicinato innanzitutto con la sinistra Ds. Al congresso nazionale dei Ds, noi delegati della mozione Mussi stiamo dando vita al «Movimento per la sinistra democratica», un soggetto politico aperto e transitorio per una costituente alternativa al partito democratico.
Usiamo tutti parole analoghe, sentiamo tutti le stesse urgenze: certo vi sono storie e pratiche, forse significati e strategie in parte diversi. Colpiscono però il fermento, la vivacità, l’attenzione reciproca, la comune sensazione che la politica italiana abbia bisogno di un salto di qualità, nella rappresentanza a sinistra, nel disegno di strategie all’altezza delle sfide del presente, nel dare al governo Prodi un più solido carattere di innovazione e trasformazione del paese. Oggi sembra esserci una potenzialità in più: conta e incide la scelta di partecipare unitariamente, per la prima volta, al governo dell’Italia in un’Europa unita.
Proviamo ad elencare i fattori comuni. La scelta di “governare”, non solo per la sua inevitabilità a fronte del rischio-Berlusconi, cercando nuovi stimoli per superare evidenti difficoltà e problemi. La scelta dell’Unione, come polo di centrosinistra in un bipolarismo giusto, equilibrato e da irrobustire. La preoccupazione per la frantumazione del sistema politico e per l’indebolimento della rappresentanza sociale e culturale, non affrontabile solo in termini di strumentazione elettorale. La convinzione che la costituzione del partito democratico riguarda solo una parte dello schieramento politico di centrosinistra. Un atteggiamento non favorevole alla “produzione di partiti a mezzo di partiti”, alla difesa delle micro-formazioni come inerzia organizzativa. Ora, come possiamo fare passi avanti, tutti, insieme?
Il “campo della sinistra” non è caratterizzato solo dalle organizzazioni politiche, investe anche la ricchissima presenza di esperienze associative, di ricerca, di lotta sociale, di attività culturale. La rappresentanza non è problema che riguardi solo le forze politiche organizzate. Le culture che cercano di esprimere una nuova narrazione della società e del mondo, dinanzi al crescere delle nuove e vecchie contraddizioni, sono un patrimonio per arricchire la cultura politica della sinistra. La assunzione piena e consapevole della crisi di un modello di sviluppo distruttivo dell’ambiente e il carattere fondativo della differenza di genere, il lavoro - fondamento di dignità ed emancipazione - e i diritti - fondamento delle libertà individuali e dell’uguaglianza - sono i pilastri di un nuovo socialismo. E fa parte integrante della nostra riflessione il tema della ricostruzione di forme e sostanza della partecipazione politica. Il punto essenziale è proprio quello della discussione pubblica come percorso e assunzione condivisi delle scelte politico-amministrative e di governo. Pensiamo che si debba andare oltre l’idea che partecipazione sia una scheda o una preferenza. Nessuna obiezione ad “una testa, un voto”: è la base della democrazia rappresentativa. Non basta. Bisogna aggiungere “una testa, una idea”: è la base della ricostruzione dello spazio pubblico, della politica, della riduzione e del superamento della distanza tra governanti e governati. E allora bisogna pensare in termini di reti e non di strutture gerarchiche. Certamente i partiti ci sono e continueranno ad esserci, nodi nella e della rete. Ci sono come “deposito” storico, tessuto del radicamento sociale e territoriale, significativo selettore e formatore del “personale politico” e strumento a disposizione di quanti (e sono i più numerosi) non hanno voce né strumenti né potere. Invece non ci sono più come “antenna” nella e della società, come punto di riferimento articolato e diffuso per raccogliere e rielaborare bisogni e aspirazioni. E allora rischia di rimanere solo l’aspetto di gestione del potere politico, di selezione dei gruppi dirigenti per appartenenza e non per merito, di sovrapposizione e non di sovrastruttura della società.
Avanziamo una proposta. Avviare una fase di “ascolto”, una campagna di consultazione per raccogliere idee e proposte dal popolo della sinistra italiana, sui valori fondamentali (ambientalismo, laburismo, pacifismo, laicità, uguaglianza, differenza di genere, modello di sviluppo, antifascismo, ecc.), sulle priorità politiche (l’Italia nella cooperazione pacifica allo sviluppo sostenibile, dimensione europea sociale e energetica, cambiamenti climatici e politiche industriali,, scuola pubblica, pensioni e welfare, diritti sociali e diritti civili) sulle forme e sugli strumenti della politica (l’identità, la partecipazione, la militanza, i simboli elettorali). La campagna potrebbe essere promossa insieme da tutte le forze della sinistra - da noi allo Sdi, dal Prc al PdCI, dai Verdi ad altre soggettività politico-culturali, come l’Ars o RossoVerde, come l’Arci o l’arcipelago delle associazioni, fino - con un approfondimento sulle forme possibili - al sindacato. E, ancora, alcuni importanti mezzi di comunicazione, dall’Unità al Manifesto, dal Riformista ad Aprile, da Carta a Ecoradio e così via. Da luglio a settembre, utilizzando feste di partito, sedi, conferenze, piazze cittadine, l’utilizzo di tutte le risorse della comunicazione via web, può “camminare” una esperienza con pochi precedenti. Ciò che conta è che all’impianto, alle “domande” su cui raccogliere tante opinioni, un milione di voci, ciascuna componente possa contribuire con il proprio punto di vista, anche non collimante con quello di altri, proprio per assicurare il carattere di autenticità delle risposte. La campagna risponde agli indirizzi espressi negli organismi di tutti i soggetti politici organizzati italiani che si richiamano alla sinistra e non sono finora interessati alla costituente del Pd, pur sostenendo il programma e l’esperienza di governo dell’Unione. La campagna risponde all’esigenza diffusamente espressa di partire dai contenuti, di verificare gli indirizzi, senza sottolineare ogni aspetto identitario ed evitando personalizzazioni. Dopo l’ “ascolto” potrà essere avviato il confronto sull’eventuale quota di sovranità che gli attuali soggetti possono destinare a dinamiche unitarie e a intrecci con i movimenti, magari sperimentandole, ove possibile, in occasione delle amministrative 2008.
l’Unità 19.4.07
«Amareggiato per lo sciopero di Repubblica»
De Benedetti: il calo dell’utile dell’Espresso è strutturale. Il contratto? È ancora lontano
di Marco Ventimiglia
POLEMICA Doveva essere una semplice, per quanto importante assemblea societaria, si è invece trasformata nell’occasione per rilanciare l’interminabile botta e risposta sul rinnovo del contratto dei giornalisti e sulla clamorosa protesta dei giornalisti di Repubblica. A gettare benzina sul fuoco Carlo De Benedetti nella sua veste di padrone di casa del Gruppo L’Espresso.
«Il core business - ha esordito De Benedetti - va in modo soddisfacente, ma siccome agli azionisti interessa la bottom line, dobbiamo dire che il calo dell'utile netto è un fatto strutturale e non congiunturale. Da qui l'esigenza di rivedere la struttura dei costi». Numeri che testimoniano come nel primo trimestre del 2007 l'utile netto del Gruppo Espresso è sceso dai 26,6 milioni del primo trimestre 2006 a 13,5 milioni. In frenata pure il fatturato che è stato di 272,5 milioni (-10,1%) e il margine operativo lordo che si è attestato sui 42,5 milioni (-31,8%).
La revisione della struttura dei costi è stata spiegata dallo stesso De Benedetti con il riferimento ai costi del personale ed in particolare di quello giornalistico, puntando il dito contro gli aumenti retributivi automatici previsti dagli scatti di anzianità.
L'ingegnere ha poi parlato di un «quadro a tinte miste» per il gruppo e ha sottolineato che «negli ultimi 10 anni abbiamo messo sotto il tappeto i problemi grazie alle ottime performance dei prodotti opzionali, che però ora fanno segnare una battuta d'arresto».
Il presidente del gruppo è tornato poi ad occuparsi di giornalisti, guardando questa volta direttamente in casa sua, soffermandosi sulla dura vertenza in atto a la Repubblica, dove i giornalisti hanno proclamato e messo in atto una settimana continuativa di sciopero. «È un fatto senza precedenti che ci amareggia - ha dichiarato De Benedetti -, ma da parte dell'azienda non c'è un atteggiamento di chiusura. C'è solo, l'indisponibilità a introdurre una sorta di terzo livello di contrattazione, come richiesto dalla rappresentanza sindacale, visto che sono fermi i primi due, quello legato al contratto nazionale e quello aziendale conseguente».
«In ogni caso - ha concluso De Benedetti - è ferma intenzione del gruppo ristabilire tra azienda e lavoratori i rapporti che ci hanno caratterizzato fin dalla fondazione del quotidiano».
Le parole della guida del Gruppo Espresso hanno subito innescato la reazione del sindacato giornalisti: «Se gli editori sono coesi, come dice Carlo De Benedetti, i giornalisti sono molto uniti nella difesa dell'autonomia e della dignità della professione. Si tratta quindi di uno scontro che non ha senso e che può danneggiare l'intero sistema della comunicazione. L'editore del Gruppo Espresso ha gettato la maschera assumendosi il ruolo di leader dei falchi della Fieg, chiudendo le porte ad un rinnovo contrattuale in tempi brevi e scaricandone la responsabilità sui giornalisti».
Il segretario della Federazione nazionale della stampa, Paolo Serventi Longhi, ha poi ribadito la disponibilità dei giornalisti a discutere dei «cambiamenti strutturali ed epocali del mondo dell'informazione di cui il presidente del gruppo l'espresso ha parlato», ma ha sottolineato il fermo rifiuto di «ogni resa senza condizioni».
l’Unità 19.4.07
Palermo: An si presenta alla conferenza di Scalzone, scontri all’Università
Il Rettore non aveva concesso un’aula, così gli studenti hanno occupato l’atrio. Gli incidenti dopo l’arrivo di alcuni esponenti di destra
Un’ora di tensione, insulti, e botte ieri all’Università di Palermo. Non è bastata la stretta di mano col preside di Lettere Giovanni Ruffino, per evitare che la conferenza dell’ex leader di Potere operaio nell’atrio della facoltà, alla presenza di oltre duecento studenti, si trasformasse per oltre un’ora in uno scontro tra militanti di destra e studenti di sinistra. Tutto è accaduto davanti a sette o otto esponenti della Digos della questura, impotenti di fronte alla sassaiola, al lancio di bottiglie di vetro e di plastica piene d’acqua, di bidoni dell’immondizia e di sedie.
Il preside non aveva voluto concedere un’aula agli studenti per ospitare Scalzone e i giovani hanno così deciso di occupare l’atrio. Ma gli scontri sono cominciati quando il capogruppo di An all’Assemblea regionale siciliana, Salvino Caputo - che già nei giorni scorsi si era espresso contro la partecipazione di Scalzone all’ultima conferenza del ciclo «1977-2007, il filo rosso della rivolta», organizzata dal comitato autonomo degli studenti - si è presentato accompagnato dal consigliere comunale di An Raoul Russo e il candidato al consiglio comunale Antonino Triolo davanti all’atrio dov’era appena cominciato il dibattito chiedendo di poter entrare. Una richiesta che gli studenti hanno letto come una provocazione, decidendo quindi di formare un cordone (composto da 8-10 ragazzi) che ha sbarrato la strada ai politici.
C’è voluto ben poco prima che cominciassero a volare parole grosse. E poi anche i pugni e gli schiaffi. L’atmosfera, già rovente, è poi definitivamente divampata quando dal giardino di fronte alla facoltà sono arrivati a sostegno gruppi di studenti di destra con striscioni. Immediatamente, infatti, è cominciata una fitta sassaiola e il lancio di ogni tipo di oggetto. tanto che una pietra ha mandato in frantumi il vetro laterale di un’auto, mentre un altro sasso ha colpito alla schiena un fotografo. Nel parapiglia Triolo è rimasto leggermente ferito così come Massimiliano Lombardo, consigliere dell’Unione degli studenti dell’ateneo palermitano che stava cercando di calmare gli animi.
Pensare che Oreste Scalzone aveva appena cominciato a parlare ringraziando i giovani del collettivo autonomo per essere riusciti a realizzare l’assemblea: «C’è ancora una speranza», aveva detto. Dopo la sassaiola l’ex PotOp è uscito dall’atrio della facoltà e ha preso le difese degli studenti del collettivo autonomo: «Hanno risposto alle provocazioni e si sono difesi - ha spiegato Scalzone - Non hanno alcuna colpa dei disordini e nessuno è stato picchiato».
Nonostante la tensione preannunciata, nessun rappresentante delle forze dell’ordine era stato preventivamente schierato attorno alla facoltà. Solo dopo gli scontri sono arrivati due automezzi con agenti e alcuni funzionari della polizia di Stato. Dopo gli scontri, ad alcuni metri dall’entrata della facoltà, lungo viale delle Scienze, si è radunato un gruppo di studenti di azione universitaria e di centrodestra che hanno esposto uno striscione con scritto «Fuori i terroristi dall'Università».
il manifesto 19.4.07
Una testa, un'idea. Ascoltare le mille voci della sinistra
di Valerio Calzolaio e Alessandro Pollio Salimbeni
Si stanno muovendo le cose a sinistra. Il Partito della rifondazione comunista ha svolto la conferenza di organizzazione, conferma la scelta dell'impegno di governo, il processo di costruzione di Sinistra europea e, insieme, apre il tema della ricerca sul socialismo di oggi, con l'idea di un «cantiere» unitario della sinistra italiana. Il Partito dei comunisti italiani, in una stagione congressuale quasi conclusa, riprende la proposta della confederazione. I Verdi avviano il 4 maggio una fase costituente allargata e tematizzano un patto di consultazione a sinistra. Lo Sdi ha svolto il suo congresso straordinario per avviare la costituente socialista e aprire una fase di confronto ravvicinato innanzitutto con la sinistra Ds. Al congresso nazionale dei Ds, noi delegati della mozione Mussi stiamo dando vita al Movimento per la sinistra democratica, un soggetto politico aperto e transitorio per una costituente alternativa al Partito democratico. Usiamo tutti parole analoghe, sentiamo tutti le stesse urgenze: certo vi sono storie e pratiche, forse significati e strategie in parte diversi. Colpiscono però il fermento, la vivacità, l'attenzione reciproca, la comune sensazione che la politica italiana abbia bisogno di un salto di qualità, nella rappresentanza a sinistra, nel disegno di strategie all'altezza delle sfide del presente, nel dare al governo Prodi un più solido carattere di innovazione e trasformazione del paese. Oggi sembra esserci una potenzialità in più: conta e incide la scelta di partecipare unitariamente, per la prima volta, al governo dell'Italia in un'Europa unita.
Proviamo a elencare i fattori comuni. La scelta di «governare», non solo per la sua inevitabilità a fronte del rischio-Berlusconi, cercando nuovi stimoli per superare evidenti difficoltà e problemi. La scelta dell'Unione, come polo di centrosinistra in un bipolarismo giusto, equilibrato e da irrobustire. La preoccupazione per la frantumazione del sistema politico e per l'indebolimento della rappresentanza sociale e culturale, non affrontabile solo in termini di strumentazione elettorale. La convinzione che la costituzione del Partito democratico riguarda solo una parte dello schieramento politico di centrosinistra. Un atteggiamento non favorevole alla «produzione di partiti a mezzo di partiti», alla difesa delle micro-formazioni come inerzia organizzativa. Ora, come possiamo fare passi avanti, tutti, insieme?
Il «campo della sinistra» non è caratterizzato solo dalle organizzazioni politiche, investe anche la ricchissima presenza di esperienze associative, di ricerca, di lotta sociale, di attività culturale. La rappresentanza non è problema che riguardi solo le forze politiche organizzate. Le culture che cercano di esprimere una nuova narrazione della società e del mondo, dinanzi al crescere delle nuove e vecchie contraddizioni, sono un patrimonio per arricchire la cultura politica della sinistra. L'assunzione piena e consapevole della crisi di un modello di sviluppo distruttivo dell'ambiente e il carattere fondativo della differenza di genere, il lavoro - fondamento di dignità e emancipazione - e i diritti - fondamento delle libertà individuali e dell'uguaglianza - sono i pilastri di un nuovo socialismo. E fa parte integrante della nostra riflessione il tema della ricostruzione di forme e sostanza della partecipazione politica. Il punto essenziale è proprio quello della discussione pubblica come percorso e assunzione condivisi delle scelte politico-amministrative e di governo. Pensiamo che si debba andare oltre l'idea che partecipazione sia una scheda o una preferenza. Nessuna obiezione a «una testa, un voto»: è la base della democrazia rappresentativa. Non basta. Bisogna aggiungere «una testa, un'idea»: è la base della ricostruzione dello spazio pubblico, della politica, della riduzione e del superamento della distanza tra governanti e governati. E allora bisogna pensare in termini di reti e non di strutture gerarchiche.
Certamente i partiti ci sono e continueranno a esserci, nodi nella e della rete. Ci sono come «deposito» storico, tessuto del radicamento sociale e territoriale, significativo selettore e formatore del «personale politico» e strumento a disposizione di quanti ( e sono i più numerosi) non hanno voce né strumenti né potere. Invece non ci sono più come «antenna» nella e della società, come punto di riferimento articolato e diffuso per raccogliere e rielaborare bisogni e aspirazioni. E allora rischia di rimanere solo l'aspetto di gestione del potere politico, di selezione dei gruppi dirigenti per appartenenza e non per merito, di sovrapposizione e non di sovrastruttura della società.
Avanziamo una proposta. Avviare una fase di «ascolto», una campagna di consultazione per raccogliere idee e proposte dal popolo della sinistra italiana, sui valori fondamentali (ambientalismo, laburismo, pacifismo, laicità, uguaglianza, differenza di genere, modello di sviluppo, antifascismo, ecc.), sulle priorità politiche (l'Italia nella cooperazione pacifica allo sviluppo sostenibile, dimensione europea sociale e energetica, cambiamenti climatici e politiche industriali, scuola pubblica, pensioni e welfare, diritti sociali e diritti civili) sulle forme e sugli strumenti della politica (l'identità, la partecipazione, la militanza, i simboli elettorali). La campagna potrebbe essere promossa insieme da tutte le forze della sinistra- da noi allo Sdi, dal Prc al Pdci, dai Verdi a altre soggettività politico-culturali, come l'Ars o RossoVerde, come l'Arci o l'arcipelago delle associazioni, fino - con un approfondimento sulle forme possibili - al sindacato. E, ancora, alcuni importanti mezzi di comunicazione, dall'Unità al manifesto, dal Riformista a Aprile, da Carta a Ecoradio e così via. Da luglio a settembre, utilizzando feste di partito, sedi, conferenze, piazze cittadine, l'utilizzo di tutte le risorse della comunicazione via web, può «camminare» un'esperienza con pochi precedenti. Ciò che conta è che all'impianto, alle «domande» su cui raccogliere tante opinioni, un milione di voci, ciascuna componente possa contribuire con il proprio punto di vista, anche non collimante con quello di altri, proprio per assicurare il carattere di autenticità delle risposte.
La campagna risponde agli indirizzi espressi negli organismi di tutti i soggetti politici organizzati italiani che si richiamano alla sinistra e non sono finora interessati alla costituente del Pd, pur sostenendo il programma e l'esperienza di governo dell'Unione. La campagna risponde all'esigenza diffusamente espressa di partire dai contenuti, di verificare gli indirizzi, senza sottolineare ogni aspetto identitario e evitando personalizzazioni.
Dopo l'«ascolto» potrà essere avviato il confronto sull'eventuale quota di sovranità che gli attuali soggetti possono destinare a dinamiche unitarie e a intrecci con i movimenti, magari sperimentandole, ove possibile, in occasione delle amministrative 2008.
Liberazione 19.4.07
Giordano: «Ecco come vedo Se e cantiere»
«La Sinistra europea nasce "aperta", disponibile al confronto con tutte le identità, soprattutto sul da farsi»
«E una nuova soggettività unitaria e plurale nasce dentro i tentativi reali di costruire un'alternativa sociale»
di Stefano Bocconetti
Ricerche identitarie, scomposizioni, riaggregazioni. Comunque, sarai d'accordo che l'aspetto della sinistra sta per essere terremotato, o no?
Sicuramente si apre uno scenario nuovo.
E Rifondazione che fa? Sta a guardare?
Tutt'altro. Credo che tutto questo ci imponga di accelerare nella costruzione della Sinistra Europea. Tant'è che a metà giugno abbiamo già fissato l'assemblea fondativa del nuovo soggetto politico. Con una voluta contestualità col congresso fondativo della Linke tedesca. E lì uscirà la proposta forte di unire la sinistra antiliberista e pacifista, di aggregarla perchè cominci a disegnare un'alternativa possibile.
Ma la Sinistra europea nasce già immaginando come superare se stessa, come pure dice qualcuno? Ha già in mente come mettere assieme tutta intera la sinistra?
Se vuoi sapere se la Sinistra europea è una formazione a tempo, ti dico di no. Ma certo nasciamo "aperti", disponibili al confronto con chiunque. Questa è la nostra proposta, poi ci confronteremo con le altre che saranno in campo. E immagino davvero un confronto serratissimo, a tutto campo, come si dice, nel quale nessuno nega l'identità di nessuno, in cui nessuno chiede a nessuno di rinunciare alla sua identità, neanche ad un pezzo di essa. Ma chiedendo a tutti di confrontarsi sulle cose da fare. E vedremo lì, in questo confronto, se ci sono le possibilità di accelerare nella costruzione di una nuova soggettività della sinistra d'alternativa. Unitaria e plurale.
Confronto, hai detto. Hai un'agenda da proporre?
Un grande tema sopra gli altri: la critica alle forme attuali del capitalismo.
Impegnativo, non trovi?
E però a me sembra davvero di essere di fronte a un paradosso. Siamo di fronte a una globalizzazione che ha effetti devastanti: nelle disparità sociali, nelle disuguaglianze, nel restringimento della democrazia. Restringimento tanto evidente che la caratteristica attuale del liberismo è di essere appunto illiberale. Siamo di fronte a nuove forme di aggressione al pianeta, alla natura.
E il paradosso dov'è?
E' che mentre tutto questo fa crescere l'urgenza di un'alternativa…
Siamo al "socialismo o barbarie", insomma?
Esattamente. Come sosteneva Rosa Luxemburg, certo in un contesto radicalmente diverso. Mentre c'è tutto questo, dicevo, una parte della sinistra decide di approdare definitivamente alla cultura liberaldemocratica. Sì, è davvero paradossale.
Sarà questa la discussione che proporrete alla sinistra, al resto della sinistra?
Di certo non si limiterà a questo. Se vogliamo uscire dall'autoreferenzialità della politica credo che occorra legare, mettere in relazione, la discussione con le dinamiche sociali. C'è insomma l'agire quotidiano che deve impegnarci.
Che vuol dire?
Che la discussione col partito democratico e con le altre forze democratiche, col resto della sinistra deve anche puntare all'oggi. L'abbiamo detto e lo ripetiamo tanto più in queste ore: in Italia si deve riaprire una politica di risarcimento sociale. Con l'aumento delle retribuzioni, con la fine della precarietà, con la crescita della sanità pubblica.
Discussione, e poi?
Ti faccio un esempio per capire. Sta per partire la vertenza di una delle più grandi categorie dell'industria, i metalmeccanici. Fra i primi ad avere diritto ad un risarcimento sociale, a cominciare dai loro salari. Allora domando: vogliamo o no costruire un'adeguata rappresentanza politica di questa vertenza? Di questi lavoratori? Vogliamo imporre un modo di far politica che si sottragga, finalmente, a quella filosofia che vuole sempre e comunque centrale l'impresa?
Torniamo a Firenze. Qualcuno dice che questo sarà l'ultimo atto di ciò che resta del Pci. Se è così come lo vivi?
Vedi, sono segretario di un partito che ha puntato tutte le sue carte sull'innovazione. Abbiamo investito, e investito tutto, sui nuovi movimenti. Credo che il progetto di rifondare il pensiero e la pratica comunista sia entrato ora nella fase decisiva. Credo che davvero noi siamo fuoriusciti dalla logica del Novecento: con la scelta della non violenza, con l'idea che non esiste l'occupazione del potere. Con l'idea che quel potere va cambiato e criticato.
E per ciò che riguarda i ds?
Credo che non ci fosse dubbio che il Pci, all'epoca della Bolognina, avesse bisogno di un totale ripensamento politico e culturale. Aveva bisogno di una forte innovazione. Quella che è risultata vincente è andata in senso opposto ai bisogni di chi si oppone a questa società capitalista. C'era bisogno di ripartire, insomma, ma non in quella direzione. E ora francamente, per chi già da tempo aveva scelto il governo come unico obiettivo, il processo va a concludersi.
Quindi, nessuna emozione?
No. La storia del Pci era finita, non finisce oggi.
Ma dì la verità: ora che tutto è in movimento tu riesci ad immaginare la fisionomia della sinistra da qui a qualche anno?
Io so che sinistra voglio. Dentro uno spazio europeo, che disegni un'alternativa sociale, che risponda alla crisi della politica. Che risponda, dia una risposta alla solitudine, alla competizione sfrenata, all'individualismo, al plebiscitarismo. Che disegni comunità, che costruisca alternativa, che sappia interagire coi movimenti. Questa è la sinistra che vorremmo.
Ma quando si farà?
E' il compito di oggi. So che dobbiamo tenere aperta questa strada. Non è facile. Anche perchè non possiamo farlo a tavolino. Dobbiamo farlo dentro il travaglio sociale di questi anni. Sì, io così immagino il cantiere di cui ha spesso parlato Fausto Bertinotti. Aperto a tutti, indipendentemente dalla collocazione di ciascuno. Tu sei in quel partito, io in quest'altro, io voglio fare questo, tu vuoi fare quest'altro. Non sarà questo d'ostacolo al confronto. Ma la discussione deve avvenire "dentro" i tentativi che si fanno per costruire un'alternativa di società. Vedo che procedono a ritmi forzati i processi di disgregazione sociale: fra chi ha e chi no, ma anche fra l'alto e il basso della società. Fra chi ha informazioni e chi non ne dispone. Disgregazione che attraversa i ceti, le classi. Qui dobbiamo costruire il soggetto della sinistra. Mi chiedi se ce la faremo? Lo spero. Noi ci stiamo lavorando.