lunedì 23 aprile 2007

l'Unità 23.4.07
Firenze, abusi in chiesa
Le vittime accusano il Vaticano
di Maristella Iervasi


«TARDIVI e insufficienti» i provvedimenti presi nei confronti di don Lelio Cantini, l’ex parroco, oggi ultraottantenne, della chiesa «Regina della pace» alla periferia di Firenze, sotto inchiesta per abusi sessuali pluriaggravati e continuati su minori. Lo scrivono senza re-
more un gruppo di fedeli-vittime che avevano denunciato quel che accadeva in parrocchia dal 1973 al 1987 alla sede apostolica, e che oggi per questa vicenda stanno parlando anche con i magistrati della procura di via Strozzi. E così senza tanti giri di parole criticano duramente il loro vescovo, il cardinale Ennio Antonelli. Perchè come la Curia fiorentina abbia punito Don Cantini, a loro proprio non va giù: la tanto auspicata scomunica di Ratzinger su Don Cantini non c’è stata. «Siamo profondamente amareggiati - spiegano -. Il cardinale ha cercato sempre di minimizzare quando accaduto e ha proceduto sempre in solitario».
Il gruppo di vittime è intervenuto in merito alla nota del vescovo, diffusa il 14 aprile scorso, sul caso di don Cantini. L’arcivescovo, che dopo essersi consigliato con i vicari foranei, raccontò alla stampa e ai cittadini la verità sulla vicenda del prete, disse in proposito: «Don Lelio è responsabile di misfatti oggettivamente gravi», ma è «pentito» e gli sono «state inflitte pene» tenendo conto dell’età e in armonia con la Congregazione per la dottrina della fede e il decreto su di lui sarà pubblicato sul prossimo bollettino diocesano. Per i parrocchiani, invece, alcuni degli atti delittuosi commessi - sottolineano - «sono canonicamente di esclusiva competenza della Santa Sede, in quanto comportano la scomunica “ipso facto” sul quale solo il Papa può intervenire». E lamentano, inoltre, l’«assordante silenzio» della sede apostolica «da noi interpellata in tal senso».
Ma le critiche delle vittime al cardinale Antonelli non si fermano qui. A loro avviso, l’arcivescvo ha anche definito con estrema leggerezza «un fantasma» il disegno di una presunta «chiesa parallela» di don Cantini. «Su questi, come su molti altri aspetti inquietanti - fanno osservare i fedeli - anche la magistratura adesso ha aperto un’inchiesta e ci auguriamo, per il bene della chiesa stessa - concludono -, che sia fatta piena luce. Senza reticenze e paure». Il riferimento è agli «atti delittuosi» del sacerdote, che secondo le presunte vittime, dal 1973 e per anni, avrebbe abusato di ragazze dai 12 ai 17 anni. Si sarebbe fatto consegnare denaro e beni e avrebbe plagiato ragazzi da indirizzare al seminario per creare un potere alternativo a quello ufficiale.
I sostituti procuratori che si occupano del caso Paolo Canessa e Fedele La Terza. Gli interrogatori hanno preso il via da una decina di giorni, in luoghi diversi dalla procura proprio per tutelare la riservatezza di quanti si sono rivolti alla magistratura ordinaria. Per ora non ci sarebbe stata alcuna delega alla polizia giudiziaria.

l'Unità 23.4.07
Francia. Quattro candidati della sinistra si schierano subito con Ségolène


PARIGI Si schierano con Segolene Royal i partiti minori della sinistra. La verde Dominique Voynet e Arlette Laguiller, di Lutte Ouvriere, hanno fatto sapere che voteranno al secondo turno per la candidata socialista. Voyenet avrebbe ottenuto tra l’1,5 e l’1,7% dei voti e la Laguiller tra 1,4 e 1,5%. Un’indicazione a favore di Royal viene anche dalla candidata del Partito comunista francese, Marie-George Buffet. «Chiamo senza esitazione tutti gli uomini e tutte le donne di sinistra, tutte e tutti i democratici a votare e a far votare il 6 maggio Segolene Royal - ha detto Buffet, che avrebbe ottenuto tra l’1,9 e il 2%, il risultato più basso mai ottenuto dal Pcf -. Sarkozy è un uomo pericoloso e deve essere battuto».
Un invito implicito a votare per Segolene è arrivato anche dal candidato di Lcr (Lega comunista rivoluzionaria) Olivier Besancenot, che ha lanciato un appello su France 3 a fermare la corsa di Sarkozy. Bisogna «battere la destra nelle strade e nelle urne», ha detto Besancenot intervistato dalla tv. Il giovane «postino» Olivier Besancenot della Lega Comunista Rivoluzionaria guida la classifica dei candidati minori con una cifra che secondo le stime degli istituti varia fra il 4 e il 4,7%.

l'Unità 23.4.07
Diliberto: «Possibile ora il ricongiungimento familiare a sinistra»


ROMA Adesso che i Ds sono pronti a costituire il Partito democratico, per Oliviero Diliberto, segretario del Pdci «c'è la possibilità che avvenga un ricongiungimento familiare». «Siamo in attesa a questo punto - ha detto Diliberto a Catania a margine del congresso regionale del suo partito in Sicilia - di una risposta da Mussi, da chi non è entrato nel Pd, e da Rifondazione comunista». Commentando con i giornalisti la fuoriuscita dai Ds di Fabio Mussi e altri, Diliberto ha detto che non sono fuoriusciti dai Ds «perché i Ds non ci sono più». Ciò che hanno fatto per il segretario del Pdci è semplicemente «non aderire al Partito democratico». Questa non adesione, per Diliberto , apre quindi la possibilità ad un «ricongiungimento familiare della sinistra». «Noi veniamo dalla stessa storia - spiega il leader del Pdci -, dal Partito comunista italiano. Noi siamo rimasti comunisti, Mussi non lo è più, ma ci sono tutti i margini, io credo, per una ricomposizione della sinistra». «Lavoreremo per questo anche con il Partito della Rifondazione comunista, però non bisogna pensare - continua Diliberto - alla ricostruzione della sinistra partendo dagli aggettivi, ma bisogna pensare ai contenuti».

l'Unità 23.4.07
«Ma noi non faremo un nuovo partitino»
Parla Cesare Salvi: «Vogliamo riunire la sinistra, non creare un soggetto marginale. Si evitino ritorsioni alle amministrative...»
di Simone Collini


È questione di giorni, poi la sinistra Ds lascerà il partito per dar vita a un movimento politico autonomo. «Si darà una propria rappresentanza in Parlamento e in tutti i livelli istituzionali», spiega Cesare Salvi. Il quale respinge «rappresentazioni caricaturali» ascoltate al congresso: «Non sarà un nuovo partitino, perché nasce dichiaratamente con l’obiettivo di unire la sinistra». Riconosce che a Firenze si è respirato «un clima di civiltà», che conta di ritrovare anche tra qualche settimana: «Compagni che hanno sottoscritto la mozione sono nelle liste dei Ds o dell’Ulivo alle amministrative. Siamo sicuri che non ci saranno ritorsioni. Se ci dovessero essere, dovremo dare indicazioni di voto diverse rispetto ad esse».
Fassino ha chiuso il congresso sottolineando che “democratico” non è aggettivo neutro ma vuol dire progressista, di sinistra.
«Di per sé, la parola democratico è totalmente neutra. Comunque, i termini definitori mi interessano fino a un certo punto. Io non dubito delle buone intenzioni, ma bisogna distinguerle dai fatti. E i fatti dicono che si parte con una fusione con la Margherita, della quale conosciamo le posizioni assunte in questo anno di azione di governo. Quindi, al di là delle intenzioni, inevitabilmente il Pd non sarà di sinistra».
Lei, Mussi e gli altri avete preso un’altra strada, ma al momento la prospettiva non è molto chiara.
«Una cosa è chiara: c’è una grande richiesta in Italia di sinistra e di unità. In campo ci saranno due progetti politici: il Pd, che ha torsione più moderata e centrista, e l’unificazione di partiti e cittadini in una forza di sinistra di ispirazione socialista».
Due progetti in competizione tra loro?
«In competizione e alleati, perché è evidente che il Pd non colma l’intero campo dell’Unione ma lascia uno spazio politico a sinistra. C’è un vasto mondo che chiede di essere rappresentato nelle sue idealità e valori».
Con quali forze politiche intendete lavorare?
«Non voglio impiccarmi alle formule, perché questo è stato l’errore della “road map” del Pd. Le forze sono evidentemente quelle a sinistra del Pd. In ordine alfabetico: Comunisti italiani, al cui congresso nazionale sarò presente, Rifondazione comunista, Sdi e Verdi. Ma soprattutto ci interessa il popolo della sinistra, e soprattutto quella parte oggi delusa».
Delusa da cosa?
«Dai rappresentanti politici e dall’azione del governo. Questo è stato il grande assente dei congressi, ne ha parlato solo Epifani del malcontento nei confronti del governo del centrosinistra. Oggi abbiamo anche questo compito, ridare speranza e fiducia a chi oggi è deluso».
Diceva che lavorerete con il Prc, anche se avete basato parte della battaglia sull’appartenenza al Pse e il Prc non ne fa parte.
«Ripeto, c’è una “road map” da evitare, ed è quella seguita dal Pd. Vedremo, approfondiremo ogni versante, cercheremo anche di immaginare forme della politica diverse da quelle tradizionali, che possano dare una risposta anche a problemi identitari che hanno un peso nella storia italiana».
Il primo passo?
«Daremo vita a un movimento autonomo, dotato di rappresentanze parlamentari e istituzionali a tutti i livelli».
Un nuovo partito?
«Questa di un nuovo partitino è una rappresentazione caricaturale, perché il movimento nasce dichiaratamente con l’obiettivo di unire la sinistra. Così come è una caricatura dire che è basato sulle nostalgie del passato, perché i temi che poniamo, dalle condizioni del lavoro alla nuova questione morale che sta esplodendo in Italia, parlano dell’oggi e del futuro. Pensiamo però che per parlare di questi problemi non si debba tagliare col passato».
Un movimento politico ha bisogno di strutture e risorse economiche per organizzare iniziative e quant’altro.
«Deve essere basato soprattutto sul volontariato. Poi sappiamo che servono anche risorse economiche, e vorremmo evitare la trappola in cui sono caduti i partiti, di ritenere che questi soldi vadano raggiunti e conseguiti sempre e comunque».
Contate di portar con voi una parte del patrimonio dei Ds?
«Queste sono cose che si vedranno con la consueta serenità con la segreteria del partito».
E per quanto riguarda le amministrative? Ci sono esponenti della vostra area candidati nelle liste dei Ds e dell’Ulivo?
«Ci sono, e noi siamo sicuri, visto il clima di civiltà con cui si è svolto il congresso che non ci saranno ritorsioni. Naturalmente se ci dovessero essere dovremo dare indicazioni di voto diverso, pur sempre all’interno del centrosinistra».
Avete il timore che non tutti quelli che hanno sostenuto la vostra mozione vi seguano?
«Abbiamo avuto come consenso degli iscritti circa 40 mila voti. Questa è certamente la base da cui partiamo. Riuniremo i nostri delegati sabato. Le dichiarazioni di posizioni diverse al momento si contano sulle dita di una mano».
Questo è il perimetro del movimento?
«Faremo un comitato promotore aperto ad adesioni successive, perché ci rivolgiamo ovviamente in primo luogo alle compagne e ai compagni che ci hanno seguito in questa battaglia ma ci rivolgiamo anche contestualmente al più ampio mondo della sinistra dispersa che finora non ha avuto una sua rappresentanza politica. E che come si sa ha dimensioni anche abbastanza consistenti».

Repubblica 23.4.07
È la quarta lingua più studiata nelle università americane
La rivincita dell'italiano è boom di corsi negli Usa
di Mario Calabresi


Nuove cattedre persino in Alaska e a Porto Rico. Ottanta atenei americani hanno una sede anche a Firenze
Usa, la rivincita dell'italiano è boom di corsi all'università
In 10 anni raddoppiati gli iscritti: "Merito di moda e cibo"
"È sparita l'idea dell'italiano come emigrante, negli Stati Uniti oggi la nostra immagine è fatta di cultura e di stile"
"Prima l'italianistica era lo studio di Dante, oggi a conquistare gli studenti è un approccio multidisciplinare"

«Quando il professore fece l´appello, il primo giorno, tutti si voltarono a guardarmi: il mio cognome era l´unico che non finisse con una vocale». Università della Pennsylvania, anno 1956, Daniel Berger, ebreo newyorkese, è l´unico studente del corso di italiano a non essere figlio di emigranti.
Gli americani fanno studiare ai loro figli il francese, la lingua dei viaggi, della gastronomia raffinata e della cultura, l´italiano è identificato con il dialetto che parlano i muratori, i giardinieri e i camerieri dei ristoranti. Mezzo secolo dopo la nostra lingua si è presa la rivincita, in crescita costante da dieci anni, ora è la quarta più studiata nelle università americane e oltre 60mila ragazzi nel 2006 hanno scelto di seguire un corso di lingua e cultura italiana. «È un momento magico, ci sono cattedre ovunque negli Stati Uniti perfino in Alaska e alle Hawaii, ne sono appena state aperte due a Puerto Rico». Massimo Ciavolella, che guida il dipartimento di italiano all´Università della California a Los Angeles, ha studiato l´evoluzione del fenomeno: «Vedo tre ragioni per questo boom: è sparita l´idea dell´italiano come emigrante, oggi la nostra lingua si è liberata da quell´immaginario ed esprime un´idea di cultura e di stile. Il successo dei prodotti italiani è servito da traino, penso alla moda e al cibo. L´Italia ha cambiato il modo di vestire e di mangiare degli americani e questo li ha conquistati. Infine è rinata la moda del Grand Tour: Più di 80 università americane hanno una sede a Firenze. Per un giovane studente oggi il viaggio in Italia rappresenta una tappa fondamentale di formazione».
La summer school di Columbia University a Venezia, in cui si studiano lingua, architettura e storia dell´arte, non ha più posti disponibili, come ci racconta Francesco Benelli, che nell´ateneo di Manhattan tiene il corso di architettura rinascimentale: «È nata da tre anni ma ha un successo clamoroso, i ragazzi vogliono scoprire l´Italia e questo è estremamente positivo, ma contemporaneamente va segnalata una crisi degli studi specialistici: a New York c´era una tradizione incredibile di studi sul barocco e il rinascimento, ora sono in forte declino». Il suo collega Nelson Moe, che al Barnard College supervisiona i programmi di chi per un periodo viene in Italia, conferma: «Prima l´italianistica era lo studio approfondito della Divina Commedia, naturale che fosse per pochi, oggi c´è un approccio interdisciplinare che ha conquistato molti studenti: arte, letteratura, cinema, musica e anche la cultura del cibo procedono insieme. L´italiano è vissuto come una lingua polisensoriale capace di aprire le porte al "bello"». Moe non si spaventa, è convinto che il successo figlio anche del boom dei ristoranti, degli stilisti, dei libri di cucina e dei viaggi sia un utile primo passo: «La sfida è conquistare questi studenti per poi portarli a corsi più avanzati».
Negli anni '60, secondo le statistiche della Modern Language Association, 11mila ragazzi studiavano italiano, nel 1970 erano saliti a 34mila, nel 1998 si supera la soglia dei 40mila iscritti, nel 2004 dei 50mila e lo scorso anno dei 60mila. Tra il '98 e il 2002, c´è un balzo del 30%, straordinario se comparato alle altre lingue europee, che negli ultimi cinque anni si è consolidato. Ancora nel '70 il francese la fa da padrone, con 360mila iscritti, poi comincia un declino che oggi ne fa ancora la seconda lingua studiata dietro lo spagnolo (746.000 iscritti) ma a quota 200mila. Al terzo posto c´è il tedesco, che a partire dagli anni '70 venne identificato come la lingua europea degli affari, ma che oggi ha perso questa caratteristica di idioma indispensabile per il business, lasciando il posto al cinese, che cresce insieme all´arabo.
«Storicamente - spiega Ciavolella, citando la ricerca pensata con Dino De Poli e la Fondazione Cassamarca di Treviso - le cattedre di italiano erano stati aperte soltanto in quelle aree degli Stati Uniti e del Canada dove c´erano i figli degli emigranti, come necessità per lo studio degli italo-americani, oggi non è più così, anche se la maggiore concentrazione resta sulla costa Est». In crescita anche il numero degli iscritti ai master e ai dottorati, si è passati da 925 del '98 a 1100 oggi, ma siamo sotto la soglia dei 1200 iscritti sopra la quale un programma entra nella classifica federale e ha diritto ad avere finanziamenti e borse di studio.
Oggi non siamo più emigranti, Renzo Piano sta per inaugurare il grattacielo progettato come sede del New York Times, Bulgari lancia la sua sfida a Tiffany con un negozio grande uguale che occupa l´angolo opposto della Quinta strada, un italoamericano come Rudolph Giuliani corre per la presidenza e il vino italiano è al primo posto tra quelli importati, davanti ad Australia e Francia. Daniel Berger adesso lavora a Roma, al ministero dei Beni Culturali, è consulente per il recupero delle opere d´arte trafugate all´estero. Se è in Italia il merito è di quel professore che faceva l´appello cinquant´anni fa: «Si chiamava Domenico Vittorini, al pomeriggio insegnava ai cantanti d´opera la pronuncia e la fonetica, creò in me la passione per la lingua e per farmi migliorare la grammatica ogni giorno nelle vacanze estive mi spediva una lettera con un compito da rimandargli il giorno dopo. Allora ero solo, oggi finalmente l´italiano in America è la lingua della cultura».

Repubblica 23.4.07
Pd, l'allarme della sinistra "Niente gerarchie nell'Unione"
Giordano: non avete la patente. Mastella: nasce tra gli equivoci
Diliberto, leader del Pdci: "Io e Mussi veniamo dal Pci, ci sono i margini per una ricomposizione"
Il segretario di Prc: "Non c'è più traccia di socialdemocrazia, serve un nuovo soggetto politico"


ROMA - Prove tecniche di riunificazione. Dopo i congressi di Ds e Margherita che hanno dato il via libera al partito democratico, la sinistra dell´Unione cerca il dialogo e studia come dar vita ad un nuovo soggetto unitario. Facendo tornare insieme il Prc di Bertinotti e Giordano e il Pdci di Diliberto. E nello stesso avvertendo gli alleati: con la nascita del Pd non si introducano rapporti di forza diversi all´interno della coalizione di governo.
«Ho sentito Fassino e Rutelli parlare della nuova formazione politica, come di una guida - polemizza il segretario di Rifondazione, Giordano - Vorrei chiedere a tutti e due: ma chi vi ha dato la patente? Non accettiamo gerarchie, restiamo legati al programma dell´Unione e al mandato elettorale». A suo giudizio, «il modello verso cui tende il Partito democratico è quello americano, volto a una visione aconflittuale e pacificata della società. Non c´è più traccia di socialdemocrazia, né di una critica della società e del tempo attuale». Quindi l´ipotesi di dar vita ad un nuovo soggetto politico a sinistra rappresenta proprio «il nostro compito: una forza fondata sulle discriminanti del pacifismo e dell´antiliberismo. Dovrà essere aperto a chi si riconosce in questi valori, a partire dalla sinistra Ds. Il 16 e 17 giugno a Roma si terrà la prima assemblea fondativa della sinistra europea».
Un´analisi condivisa dal leader dei Comunisti italiani. «Piero Fassino - stigmatizza Diliberto - dice che il Pd vuol dire anche partito di sinistra, ma non c´è bisogno di scomodare Carlo Marx, basta andare a leggere il Devoto-Oli per capire che non è così». Insomma per la sinistra quella di ieri non è stata «una bella giornata» perché nel momento in cui i Ds «confluiscono in un soggetto obiettivamente di carattere moderato c´è il rischio che la sinistra scompaia nel nostro paese. E questo non è naturalmente, dal mio punto di vista, un bel segnale». Dunque si presenta la prospettiva di un «ricongiungimento familiare», «io e Mussi - dice -, veniamo dal Pci. Io sono rimasto comunista e lui non lo è più, ma ci sono tutti i margini per una ricomposizione della sinistra. Lavoreremo per questo anche con Rifondazione comunista». Senza legarsi a formule organizzative specifiche (Diliberto immagina una «federazione»), pensando semmai a come «convincere le classi dirigenti». Del resto, osserva il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, «la nascita del Pd apre sconfinate praterie per la sinistra italiana».
Anche la sinistra Ds è pronta al confronto. «Lo splendido risultato di Ségolène Royal dimostra che sinistra e socialismo sono forze vincenti di progresso quando si presentano con le loro bandiere e i loro ideali», avverte Cesare Salvi. Ragionamenti che non riguardano Clemente Mastella. Il quale non è interessato nemmeno al Pd. «Che gli equivoci siano destinati ad essere la caratteristica più vistosa di questo nuovo raggruppamento politico - non ha dubbi il ministro della Giustizia - lo dimostra il fatto che ad alcuni si dia ad intendere che il Partito democratico sarà di sinistra mentre ad altri si indichi una prospettiva quasi di centro; per alcuni si sventoli la bandiera del laicismo e per altri il baluardo delle esigenze cattoliche, anche se a modello dossettiano-emiliano».
(c.t.)

Repubblica 23.4.07
Pagine bianche sul "manifesto" "Ecco le idee del nuovo partito".
ROMA - Il manifesto, il quotidiano comunista, ironizza in prima pagina sul futuro del Partito democratico. Un articolo intitolato «Ecco le idee del Pd», mostra tre pagine completamente bianche, salvo le ultime due parole: «E´ tutto». (...)

Corriere della Sera 23.4.07
La maggiore collezione privata fu trasferita per salvarla da Louvre e British Museum
Siena, il ritorno degli etruschi «deportati» dal Regno 150 anni fa
di M. Antonietta Calabrò


Dopo 150 anni gli «Etruschi» della più grande collezione privata di reperti archeologici, messa insieme a inizio Ottocento dai conti toscani Bonci-Casuccini, sono tornati a Siena. Dalla Sicilia, via mare. Così come se ne erano andati via, per mare da Livorno a Palermo, nel luglio del 1866.
All'epoca ideatore dell'ardita e costosa operazione fu il ministro della pubblica istruzione del neonato Regno d'Italia, l'eminente storico siciliano Michele Amari. Per scongiurare il pericolo che finissero al Louvre o al British Museum (la città di Firenze, impegnata nel trasferimento da Torino della Capitale sabauda, non aveva abbastanza denaro), Amari fece acquistare le opere dal Museo archeologico del capoluogo siciliano, convinto com'era che per loro tramite si potesse fare, dopo quella dell'Italia, l'unità degli italiani. Alla fine, servirono 187 casse per traslocare i diecimila pezzi della collezione che tra acquisto e trasporto costò allo Stato oltre cinquantamila lire.
Da sabato scorso, duecento pezzi scelti di quella raccolta si possono nuovamente ammirare nei luoghi in cui sono stati creati dal genio dei sudditi dei Lucumoni, i re della Dodecapoli, a cominciare da Porsenna, il capo etrusco che sfidò Roma. I reperti risalgono fino al settimo secolo avanti Cristo: sarcofagi e cippi, statue-cinerarie e urne, alcuni straordinari esempi di ceramica greca ed etrusca figurata e una ricca selezione di bronzi, annoverati fra i maggiori capolavori dell'eredità storica ed artistica tramandataci dal popolo che regnava tra il lato destro del Tevere e il lato sinistro dell'Arno in età preromana.
L'eccezionalità della mostra (promossa da Regione Toscana e Regione Sicilia, con il patrocinio del ministero dei Beni culturali) che si dipana su due poli espositivi distinti, uno a Siena, nel complesso Museale di Santa Maria della Scala, e l'altro presso il laboratorio archeologico della città di Chiusi, è esaltata da un'ulteriore peculiarità: è nuovamente visibile la riproduzione dell'intera affrescatura che orna le pareti della tomba «del Colle Casuccini», anche detta «del Leone». E' da questo vasto ipogeo a più camere costruito per i defunti di una famiglia principesca di Chiusi, scoperto nel 1833, che provengono molti reperti. Il ciclo di pitture parietali raffigura scene di banchetto, giochi funebri, danze e virtuosismi ginnici.
Questa tomba non è più visitabile per motivi di tutela e conservazione, a differenza di altre disseminate nelle sue vicinanze, (come quelle della Scimmia e della Pellegrina), ma i suoi dipinti furono completamente riprodotti nell'Ottocento, pochi anni dopo la scoperta dell'ipogeo, da Guido Gatti con pitture ad olio in scala e le copie esposte nel Museo Archeologico di Firenze fino alla disastrosa alluvione dell'Arno del 1966. Da allora nessuno le ha potute più vedere. Adesso, grazie alle fedeli riproduzioni di Gatti, sono nuovamente disponibili a Siena e il pubblico può «entrare» virtualmente nella tomba «del Leone» ed apprezzarne le proporzioni volumetriche e i giochi prospettici. A Chiusi, invece, nelle sale espositive del laboratorio annesso al Museo Archeologico Nazionale, una sezione importante è dedicata alla scultura arcaica, prodotta dalle botteghe dell'etrusca Clevsi - tra il tardo VII e la fine del VI sec. a.C.- . Un esempio straordinario è il cosiddetto Plutone, un pezzo eccezionale di figura maschile seduta su un trono dalla larga spalliera ricurva. Con il busto, cavo, progettato per contenere le ceneri del defunto.
Agli inizi di novembre, compiendo quello che sembra essere un suo particolare destino, la collezione Bonci-Casuccini riprenderà il mare e gli «Etruschi» ritorneranno a Palermo.

Corriere della Sera 23.4.07
Aviva contro tutti
La figlia di Chomsky: in America anche i liberal sono razzisti. Meglio la Cuba di Fidel Castro
di Alessandra Farkas


NEW YORK — Aviva Chomsky non ama essere menzionata come «figlia di», né affidare ai media l'album di famiglia che la ritrae accanto al padre. Il controverso e celeberrimo Noam Chomsky, docente al Mit, socialista libertario e padre della linguistica moderna che la iniziò all'attivismo politico da piccola, durante i turbolenti Anni 60. Quando, ad un rally pacifista, padre e figlia finirono sotto una pioggia di uova marce.
«Non voglio parlare di papà — precisa la 50enne primogenita di Chomsky e della linguista Carol Schatz —. Non concedo mai interviste su temi personali». Dietro alla sua riluttanza non c'è disaccordo filiale ma, al contrario, il rigore intellettuale (identico a quello del padre) di una donna abituata a considerare la vita come sinonimo di impegno sociale e politico. Come dimostra il suo serissimo curriculum vitae, Aviva — sposata al linguista di origine basca Jon Aske, suo collega al Salem State College e da cui ha avuto due figli —, non ha tempo per le facezie. Dal PhD a Berkeley a oggi, tutti i suoi libri e saggi sono stati dedicati a temi quali lo sfruttamento dei contadini e «desterrados» latino- americani e caraibici, espropriati dalle multinazionali perfide e malvagie.
Il suo ultimo sforzo letterario, They take our jobs! And twenty other myths about immigration (Beacon Press) ha un titolo provocatorio quanto il contenuto. «Volto a dimostrare — spiega l'autrice — che il dibattito, ormai centrale, sull'immigrazione in America è basato su presupposti falsi. E che il sentimento popolare è manipolato per scopi politici». Buon sangue non mente, insomma.
«La discriminazione permea ogni aspetto della nostra società, dalla scuola alla tv — spiega la Chomsky —. Ed affligge anche la classe cosiddetta "colta", che vi è contraria a parole, ma non quando viene esercitata nei confronti degli emigranti, cui nell'America di oggi non spetta alcun tipo di diritto». Un dilemma di certo non nuovo in un Paese dove l'emigrazione è stratificata come i cerchi concentrici di un tronco.
«Affermare che siamo la terra degli emigranti parte dall'orribile premessa che indiani nativi ed afroamericani non sono americani come gli altri». Eppure, prosegue, non vi sono dubbi: «Questi due gruppi originari hanno sofferto più degli altri. Esclusi dal privilegio della cittadinanza, considerati presenti, ma senza diritti, come oggi gli ispanici».
«Come ha spiegato bene Tony Morrison nel suo saggio sul "New Yorker" del 1993 — aggiunge — la chiave dell'assimilazione per gli emigranti europei (irlandesi, ebrei, italiani) è stata quella di far proprio il razzismo: il rito di passaggio per diventare americani».
Il libro mette in guardia dalle generalizzazioni. Come quella che vorrebbe tutti gli italo-americani conservatori e repubblicani e gli ebrei solo di sinistra e sostenitori dei diritti civili. «Il vero paradosso è che il grande paladino di una riforma comprensiva dell'emigrazione oggi è il presidente Bush — spiega —. Per tutti gli altri, democratici e repubblicani, sostenere che gli emigranti meritano la totale emancipazione nei diritti umani è un tabù impronunciabile». Uno dei capitoli è dedicato a Lou Dobbs, il mezzobusto della Cnn leader della crociata anti-emigranti.
«Dobbs ha ragione quando dice che l'economia negli ultimi 25 anni ha subito una trasformazione che ha schiacciato la middle class. Ma le vere cause sono la globalizzazione e la Reagonomics. Cioè lo spostamento dei capitali all'estero, la chiusura delle fabbriche Usa e il drastico taglio di tutti i programmi statali. La morte del "social safety network" ha aumentato la polarizzazione sociale: più ricchi e più poveri e meno gente nel mezzo».
«Quest'ultimi, discendenti degli emigranti giunti in America cento anni fa, hanno realizzato l'american dream attraverso la fabbrica, i sindacati e il partito democratico. Molti erano italiani, vincitori economici negli Anni 40 e 50. Oggi sono i perdenti, vulnerabili all'appello di gente come Dobbs, che li esorta a biasimare gli emigranti, capri espiatori di tutti i mali della terra». Un altro capitolo analizza l'impatto dell'emigrazione sulle presidenziali del 2008. Quale candidato ha la posizione più equa? «Nessuno. Da Hillary Clinton non ho sentito una sola proposta progressista e in nessun campo. Dall'invasione dell'Iraq alla sanità, è completamente allineata alla corrente principale in tutto. Come Edwards e Obama, del resto, la cui unica novità è quella di essere nero. L'unica alternativa viene da Dennis Kucinich».
Non che l'Europa sia messa meglio. «Il Vecchio Continente è maestro nella manipolazione del sentimento anti-emigranti e ha varato legislazioni punitive che negano loro i diritti umani in nome di una presunta purezza della razza». Ma sul fronte della sanità, precisa Aviva, «l'Europa è avanti anni luce rispetto a noi nel considerarla un diritto universale per tutti, emigranti inclusi».
Non parlatele del «miracolo Schwarzenegger» o della riforma sanitaria del Massachusetts. «La lobby delle assicurazioni non gli consentirà mai di implementare leggi che danneggiano il loro interesse. Nonostante le finte pretese di copertura globale e gratis per tutti, anche il Massachusetts sta solo facendo un grosso regalo ai giganti assicurativi. Non dimentichiamoci che il fautore della legge è il repubblicano Mitt Romney».
Come Michael Moore, anche Aviva pensa che il sistema sanitario a Cuba sia migliore di quello Usa. «Parlo per cognizione di fatto, avendola visitata più volte». Il dopo-Castro? «È impossibile predirlo. Troppe variabili, troppi attori, dalla comunità cubana di Miami, alla Cia». La tesi secondo cui dopo la sua morte tutto cambierà? «Una fantasia tipicamente americana. Governo, assemblea nazionale e partito sono già da anni nelle mani della generazione più giovane. Cinquantenni come me, cresciuti sotto la rivoluzione e responsabili della trasformazione economica dopo la caduta del muro. Più che un dittatore dal pugno di ferro Fidel è un simbolo. Non prevedo veri cambiamenti».
Anche sul terreno giudiziario «gli Usa non hanno nulla da insegnare ai cubani». «La maggior parte dei prigionieri politici di Cuba si trovano a Guantanamo: gente incarcerata senza avvocato e processo dagli americani. Il sistema legale a Cuba sarà pure imperfetto, ma è milioni di volte meglio di quello messicano e colombiano». E la persecuzione dei gay cubani denunciata dal poeta Reinaldo Arenas? «Roba del passato. E comunque la situazione nel resto dell'America Latina è ben peggiore. Anche nell'area dei diritti umani Cuba è avanti rispetto a Messico, Columbia e Brasile. Fidel non ha squadroni della morte, torture e omicidi politici. E ha guarito la povertà, l'esclusione e l'esproprio che affliggono il resto del continente».

Liberazione 22.4.07
Che fare dopo il congresso Ds?
Sinistra subito
di Ritanna Armeni


Da domani il panorama dei partiti italiani cambia. Due formazioni politiche di non poco conto, una di sinistra e l'altra di centro, hanno deciso di dare vita ad una terza forza politica "democratica", che si richiama alla cultura politica americana e abbandona quella laburista e socialdemocratica europea.
Il dado è tratto, il percorso è all'inizio e sia pure fra molte contraddizioni andrà avanti.
La domanda diventa a questo punto un'altra: chi farà la sinistra? O meglio ancora: che cosa si farà a sinistra? Perché - ci piaccia o no - gli spostamenti in politica provocano dei vuoti e questi vuoti possono essere riempiti. Il vuoto è oggi rappresentato dalla "sinistra".
Questo problema per fortuna se lo stanno ponendo in molti. Se le è posto il "correntone" di Fabio Mussi nel momento in cui ha deciso di non partecipare al processo che porterà al partito democratico. Ieri Liberazione ha dato conto di questa ricerca a sinistra in molti articoli e interviste. E venerdì Rossana Rossanda sul manifesto è intervenuta sulla sinistra, sull'urgenza di una sua unità e di una nuova rappresentanza del mondo del lavoro.
Sono state affermate intenzioni. E soprattutto scelte importanti sono state compiute per evitare che una storia, una esperienza venga meno e perchè lo spazio lasciato vuoto trovi un nuovo soggetto a sinistra.
E'quindi un momento importante per chiunque rivendichi il suo essere "a sinistra" Un momento in cui il fattore tempo da un lato e i modi della costruzione sono della massima importanza. Un nuovo soggetto politico a sinistra con una "massa critica" , se lo si vuole costruire, non può in questa fase politica attendere molto tempo. Non è indifferente che questa costruzione si faccia da ora, oppure fra qualche mese, oppure fra qualche anno. Non è indifferente che si cominci un percorso che chissà quando avrà una conclusione oppure che si dia un obiettivo da raggiungere in un tempo definito.
Non a caso si è parlato di cantiere. Un cantiere non è un progetto, che per quanto interessante e perfetto, è solo un progetto. Un cantiere è un luogo di lavoro, dove ci si incontra, si discute, si costruisce. E' già il luogo in cui esperienze e soggettività si riconoscono e si confrontano. Un cantiere si fa subito e si dà precisi tempi per quello che intende costruire.
Bisogna prendere atto che i tempi non sono ininfluenti oggi nella costruzione della sinistra.
So bene che oggi sono refrattari ai tempi brevi, alle costruzioni affrettate o - come si dice - imposte dall'alto. Ma chi l'ha detto che costruire in tempi brevi significhi costruire senza partecipazione, senza passione, senza approfondimento? E chi ha detto che invece i tempi lunghi non siano i tempi della burocrazia, della mancanza di coraggio e di audacia? Non siano i tempi di chi non osa e difende solo quello che ha fatto finora?
Il secondo fattore riguarda le modalità di lavoro nel grande cantiere della sinistra. Il modo in cui si lavora non è indifferente a ciò che si vuole costruire. So bene che si sta molto discutendo se l'obiettivo che la sinistra deve raggiungere sia un nuovo partito, una federazione, quale organizzazione cioè sia adeguata ai nuovi tempi e ai nuovi compiti. E sono discussioni importanti. Ma queste riflessioni corrono il rischio di rimanere astratte ed estranee a molti se contemporaneamente ad esse non si organizzano grandi campagne e piccole sui contenuti di sinistra. Contenuti sui quali c'è già un sostanziale accordo. Chi oggi non ritiene necessario fra i partiti, le organizzazioni, le associazioni della sinistra una campagna per l'aumento dei salari e delle pensioni italiane che oggi sono il fanalino di coda dell'Europa? Per la sicurezza sul lavoro, contro la precarietà? Sono solo esempi e molti altri se ne potrebbero fare di possibili immediate campagne e battaglie comuni. E non solo su obiettivi sacrosanti e concreti come quelli salariali e i diritti dei lavoratori, ma su grandi questioni culturali quali quello della costruzione di una etica laica di fronte al risorgere dell'integralismo religioso. La costruzione di mobilitazioni e lotte comuni può essere il modo di far ritrovare di nuovo la sinistra, la sua soggettività, la sua identità .
Oggi a guardare bene, senza negarsi la possibile esistenza di differenze culturali e di letture della storia del movimento operaio, del novecento, è però possibile vedere come gli obiettivi che uniscono a sinistra siano di più di quelli che dividono. Basta, credo, con uno sforzo che è doveroso, che è dovuto ai lavoratori, alle donne, ai giovani, ai movimenti, al popolo della sinistra, togliersi gli occhiali del pregiudizio, degli steccati, e anche della sconfitta, che spesso in questi anni sono stati inforcati.

domenica 22 aprile 2007

l'Unità 22.4.07
Berlinguer: «Ora si apre una nuova strada anche a sinistra»
Il vecchio leader, candidato del correntone a Pesaro, lascia. «Costruiremo un nuovo soggetto, che vuole cambiare e governare»
di Bruno Gravagnuolo


IL DISTACCO «Turbato, ma non rassegnato». Così, nel momento del distacco dai Ds si autodefinisce Giovanni Berlinguer, 83 anni, già dirigente storico del Pci, candidato segretario al Congresso di Pesaro del 2001, e oggi eurodeputato Ds nel gruppo del Pse. Tutta una vita in quel partito e una storia mai interrotta, nemmeno dopo il 1989, con la nascita del Pds. Ma adesso quel lungo cammino si interrompe. E con Berlinguer parliamo del suo "non possumus" malgrado gli appelli a restare, intriso di emozioni ma sereno. La sua idea è: in fondo questo crinale è "un' opportunità". Per chiarire, e costruire qualcosa di diverso "alla sinistra del partito democratico". Per salvaguardare il paese, dalla destra e dal rischio del declino. Poi un giorno si vedrà chi aveva ragione, ma intanto occorre governare insieme
Berlinguer, come vive questo addio politico?
«Non è un addio e può essere anche un arrivederci. Inevitabilmente lo spostamento dei Ds verso una forza più ampia e moderata implica la possibilità della creazione di un'altra forza alla sua sinistra, che sia anche sua alleata. Intanto il clima generale di questo congresso non è stato quello di una rottura clamorosa e aspra».
Lei parla di arrivederci. Vede l'eventualità di ritornare insieme in una stessa formazione politica?
«Non faccio il profeta, chissà. Ma ora ci sono due processi avviati contemporaneamente, da forze che fanno parte di una medesima coalizione. La carenza maggiore in questo momento è semmai il profilo dell'Unione. E temo che concentrare tutti gli sforzi sulla creazione del Pd, possa distoglierci dall'impegno di rafforzare la coalizione e consolidare l'attività di governo ».
Qual è il punto politico e programmatico dirimente che le ha impedito di riconoscersi nel Pd?
«Per ora è solo un'operazione di vertice, come tutti riconoscono. E ciò, malgrado i discorsi sulla Costituente, sulla società civile e su “una testa e un voto”. Un'operazione pilotata dall'alto, senz'anima, né anelito ideale o alone di consensi. Tra i contenuti che mancano, segnalo la questione morale. Senza la questione morale al centro, non può esservi oggi partecipazione vera. Così come non può esservi partecipazione senza raccogliere le spinte dei movimenti sulla pace, sui diritti civili e sociali, sul lavoro, sulla legalità, sui Dico. Tutte cose spesso considerate un disturbo dalla “politica alta”, e la cui marginalizzazione ha reso la politica separata e più povera».
Dunque, lei non vede vivificato il progetto del Pd da una vera spinta civile di massa
«Non è che non la veda. Quella spinta non c'è».
Restiamo ai contenuti. Al lavoro ad esempio. Si passa da una sinistra del lavoro da liberare, a una sinistra dell'individualismo solidale. Quanto pesa questo aspetto per lei?
«Senza dubbio il lavoro, e non solo quello operaio, ma anche quello dei servizi e della conoscenza, sbiadisce nell'orizzonte del Pd. E ciò, malgrado l'Italia sia uno dei paesi più sindacalizzati del mondo. Tuttavia non v'è rappresentanza politica adeguata del lavoro, sebbene il Ministro del lavoro stia svolgendo un'opera egregia. Manca un disegno preciso, un asse progettuale che metta al centro il lavoro e i lavori nella società italiana, adeguata al peso che tale dimensione, pur in forme nuove e variegate, ha assunto.»
Veniamo alla laicità e al socialismo europeo, due punti critici e indecisi nell'impianto del Pd...
«Sul primo punto, basta fare il confronto sugli applausi al Congresso. Tutti quelli che hanno insistito sulla laicità, hanno avuto battimani clamorosi. Viceversa il tono della relazione introduttiva e quello degli interventi ufficiali è stato molto meno esplicito, e a ciò si aggiunge la “campana” di Rutelli da Roma. È chiaro che questo sarà un punto di estrema frizione dentro il Pd. Quanto al socialismo europeo, c'è una forte reticenza. La collocazione naturale di una forza di centrosinistra come il Pd, non può che essere il gruppo socialista europeo. Invece la posizione della Margherita è: collaboreremo».
Come finirà in Europa? Doppia appartenenza, seggi divisi, un nuovo gruppo federato al Pse?
«La confusione è tale che nessuno è in grado di dire come finirà. Eppure è ovvio che la sinistra che conta in Europa sta nel Pse. Certo, c'è l'esigenza di rinnovare, ampliare e uscire dagli schemi classici, al di là delle vittorie conseguite dai socialisti europei, tra cui quella di aver addomesticato gli spiriti animali del capitalismo con il welfare. Ma qualsiasi rinnovamento non può prescindere dalla collocazione nel socialismo continentale. E ogni doppia collocazione non è sostenibile»
E ora, cosa c'è dopo la vostra fuoriusciuta dai Ds? Un cantiere da Boselli a Bertinotti?
«Intanto c'è una vasta area di delusi dai Ds, negli ultimi anni. E moltissime associazioni, movimenti ed esperienze tematiche, che guardano a sinistra. Inoltre ci sono i partiti alla sinistra del futuro Pd. L'esigenza maggiore è aggregare queste forze, e raccogliere le aperture convergenti che vanno da Boselli, a Di liberto, a Bertinotti e Giordano, garantendo che esse corrispondano a una volontà effettiva. Nonché a una linea politica responsabile, in funzione del governo dell'Italia. C'è una responsabilità nazionale a cui adempiere, in un momento di gravi rischi per il paese. E dunque la nuova forza di sinistra non potrà né dovrà avere un carattere massimalista o estremista"».
Ma questa sinistra che identità avrà? E quali confini?
«Una forza di sinistra democratica, che includa gli ideali aggiornati del socialismo, ma che sia anche più ricca. Ricca di elementi che il socialismo non aveva incluso nel suo bagaglio. Per esempio il destino del pianeta, l'ambiente, la differenza femminile, l'individuo e il ruolo della conoscenza dentro la riproduzione economica. In sintesi, vi sono due costituenti politiche simultanee. Una più moderata, quella del Pd, e l'altra più a sinistra, tutta da costruire ma necessaria. Ecco, mi auguro che abbiano successo entrambe».

l'Unità 22.4.07
Il travaglio di Angius. E il «rompete le righe» della mozione tre
Il leader ha lasciato Firenze ben prima della chiusura del congresso. Nigra: «Ora faremo delle scelte individuali»
di Eduardo Di Blasi


LA SCELTA INDIVIDUALE. Lo aveva detto nel suo discorso alla platea congressuale. Lui, contrario all'alchimia con la quale sta nascendo il Partito Democratico, aveva confessato: "La politica per qualcuno, almeno per me, è ancora così: una scelta individuale. La politica la si fa e la si pratica, per essa ci si batte, si soffre, si gioisce, si vince e si perde se la si sente come propria, se la si vive come parte di sé, magari non tutta intera, ma in larga misura sì".
Gavino Angius è tornato a Roma già nel tardo pomeriggio di venerdì. Non ha partecipato alle ultime riunioni politiche della propria mozione. Alberto Nigra, portavoce della delegazione, spiega che lo aveva già detto: per motivi personali non sarebbe potuto restare anche il terzo giorno. Chi lo ha visto andare via l'altro giorno lo racconta "molto arrabbiato". Alcuni dei suoi commentano: "Sta attraversando un travaglio difficile". Altri, più amari: "E' partito il "rompete le righe".
Qualunque ne sia la ragione, Gavino Angius, vice presidente del Senato, non era al Mandela Forum quando gli ordini del giorno della propria mozione sono stati respinti dalla maggioranza dei delegati. Non ha contribuito direttamente alla loro scrittura (uno di quelli è stato formulato prendendo a ispirazione il suo discorso all'assemblea). Ufficialmente è ancora nella lista di coloro che prenderanno parte al "Comitato promotore per la Costituente del Partito Democratico" (la mozione conta 45 esponenti su 342), assieme a Massimo Brutti, Mauro Zani, Alberto Nigra, Sergio Gentili.
Lui, Gavino Angius, non si conosce ancora cosa farà. Dopo la svolta della Bolognina si ritrovò sul "fronte del No". Allora si trattava di non rinunciare all'ideologia "comunista" del Pci per quella socialdemocratica che veniva assumendo il nuovo soggetto. Decise di rimanere nel recinto del Pds, una scelta convinta. Oggi resta a riflettere da questa sponda sulla nuova metamorfosi del proprio partito. Sulle opzioni rimaste sul campo. Le due "fasi costituenti" e quello che c'è a valle.
Spiega Nigra: "Non è scontato, che, a livello individuale, sia io che Angius, che altri tra noi, aderiremo al nuovo progetto costituente del Pd". Emerge un "livello individuale" mentre la mozione, arrivata nel porto congressuale, distribuisce i propri delegati dentro il "comitato". Brutti, lo indica apertamente dal palco del Congresso: "Resteremo numerosi e organizzati per rappresentare le nostre ragioni nella fase costituente del Partito Democratico".
Ma Nigra avverte: "La mia opinione è che, se si decide di entrare a far parte della fase costituente bisogna riorganizzarsi per la battaglia". I rischi sono due: il primo è quello numerico. "Una mozione che ha raccolto il 9,4% in uno solo dei soggetti costituenti che possibilità ha di influenzarne il cammino?". Il secondo è nei contenuti stessi del documento: "La mozione - spiega Nigra - è finita con questo congresso, adesso bisogna riarticolarla per renderla funzionale alla nuova battaglia". Infine c'è l'incognita della "società civile", del suo impatto nel disegno finale.
Le decisioni restano rimandate ad una assemblea nazionale della "ex-mozione" che si terrà dopo il ponte del Primo maggio, in una data compresa "tra il 5 e il 10 maggio", più o meno a ridosso dell'appuntamento che si sono dati i sostenitori della mozione Mussi. C'è il tempo per ragionare. Anche il segretario Piero Fassino, nel suo discorso di chiusura, ha aperto al vice presidente del Senato. Lo ha fatto su un elemento di contenuto, il manifesto dei saggi di Orvieto, inviso ai firmatari della Angius-Zani: "Non abbiamo nessuna difficoltà ad accogliere le sollecitazioni che ci vengono da Angius: abbiamo chiamato 250mila persone a decidere, non ci leghiamo certo ad un manifesto scritto da 15 persone".

l'Unità 22.4.07
Cgil, in tanti con Mussi. «Ma sono scelte individuali»
La prospettiva del Pd ha diviso i dirigenti. Ma il sindacato è geloso della sua autonomia
di Giuseppe Vespo


LE SCELTE individuali e l’indipendenza del sindacato. I Ds hanno deciso ieri di dar vita al Partito Democratico. Da ora in poi ci sarà chi lavorerà per la costruzione di questa nuova realtà e chi non la sosterrà, esplorando nuove strade. Così sarà anche all’interno della Cgil. Ma quelle che hanno portato la segreteria confederale a dividersi sulle mozioni Fassino e Mussi, sono scelte personali. Che, sottolineano in corso d’Italia, non devono scalfire l’indipendenza e l’autonomia della confederazione della sinistra. Epifani ha posto con forza la necessità dell’appartenenza del Pd al Partito socialista europeo. Con Fassino si erano schierati in tre: Achille Passoni, Nicoletta Rocchi e Mauro Guzzonato. Con loro, Agostino Megale, presidente dell’Ires, l’istituto di ricerche economiche e sociali della Cgil. Hanno appoggiato il «correntone» di Fabio Mussi: Paolo Nerozzi, Carla Cantone, Morena Piccinini e Fulvio Fammoni. Indipendente, rispetto alle due mozioni, la posizione di Paola Agnello Modica, in quanto di area comunista. Mentre Marigia Maulucci, non iscritta ai Ds, ha annunciato che aderirà al nuovo partito.
Diversa la «geografia» per quanto riguarda le segreterie delle organizzazioni di categoria. Il segretario della Fiom, Gianni Rinaldini, ieri dal palco milanese della Camera del Lavoro - dove si è tenuta l’assemblea della Rete 28 Aprile dal titolo “No a ogni collateralismo tra Cgil e Partito Democratico”- è netto nel suo «no» al nuovo soggetto politico. «Col Pd inizia un terremoto. L’idea liberista sta prendendo piede come unico orizzonte entro il quale si determina la dislocazione delle forze politiche. C’è bisogno di un’organizzazione indipendente, democratica e con una capacità progettuale che la Cgil in questi anni ha perso per strada». Con lui, critico anche Giorgio Cremaschi, da tempo è approdato a posizioni vicine al Prc. Vicini a Mussi e lontani dal Pd: Laura Spezia e Maurizio Landini. «Andrò alla costituente del nuovo movimento socialista di Fabio Mussi - dice Laura Spezia - Ma ritengo che le scelte individuali debbano rimanere tali. Non bisogna coinvolgere il sindacato, che ha da sempre la sua indipendenza. L’aveva prima e l’avrà ancora». Con Fassino, invece, l’altro membro della segreteria Fiom, Fausto Durante.
Per quel che riguarda i leader delle altre organizzazioni di categoria della Cgil, hanno appoggiato il nascente Pd, il leader dei chimici della Filcem, Alberto Morselli; quello dei tessili (Filtea), Valeria Fedeli; Emilio Miceli dei lavoratori della conoscenza (Slc); il segretario della Fillea (edili), Franco Martini; quello della Filt trasporti, Fabrizio Solari e Domenico Moccia della Fisac, i bancari. Si richiama invece alla tradizione socialista Franco Chiriaco della Flai, il sindacato dell’agroindustria. «Non aderisco al Pd, formazione dai connotati centristi, dove il lavoratore è sparito per diventare utente-cittadino, come è sparita la tradizione socialista forte, quella di Riccardo Lombardi e di Pietro Ingrao, di Fernando Santi e Giuseppe Di Vittorio». Sulla stessa sponda di Chiriaco il leader degli statali, Carlo Podda: «Andrò alla riunione dei delegati firmatari della mozioni Mussi perchè credo nell’idea di un movimento che punti alla riaggregazione socialista esplicita, e non nascosta nel cuore». Con Mussi c’è anche Betty Leone dello Spi, il sindacato dei pensionati. «E’ una strada difficile quella che abbiamo scelto - ha detto - ma è la speranza di chi pensa che ci debba ancora essere una realtà a sinistra. Lavoreremo al movimento con l’ambizione di riunificare e di interrompere la maledizione che ci ha contraddistinto negli anni, quella del dividersi e frammentarsi. Noi vogliamo unire le sinistre italiane». Poi giù lungo la rete della maggiore organizzazione sindacale d’Europa, le segreterie regionali e le Camere del lavoro. Gli iscritti ai Ds hanno dibattuto e si sono schierati. I concetti sono gli stessi, a cominciare dall'indipendenza del sindacato. «Ora bisogna pensare e valutare le cose che sono in gioco - dice Susanna Camusso, segretario regionale della Lombardia, che ha appoggiato il «correntone» -. Ma la Cgil non si misura su queste questioni che riguardano i partiti. Ogni militante ha appoggiato personalmente una posizione. Il sindacato ha un suo segretario e la sua indipendenza». A livello regionale con il Pd, tra gli altri, si sono schierati i leader di Piemonte, Liguria, Veneto, Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania e Sardegna. Mentre hanno sostenuto il connubio Dl- Ds i numeri uno di alcune tra le più importanti Camere del Lavoro. A cominciare da quello di Milano, Firenze e Napoli.

il manifesto 22.4.07
Mussi sotto la lente della sinistra radicale
Il cantiere Rifondazione comunista lancia per il 16 e 17 giugno la fondazione della Sinistra europea e già pensa al Cantiere. I Verdi aprono alla discussione e il PdcI attende l'invito
di Sa. M.


Roma. L'orizzonte è chiaro, ma i contorni di quel che si muoverà nei prossimi mesi a sinistra del Partito democratico sono da definire. Ora che Fabio Mussi ha fatto il grande passo abbandonando la Quercia e portando con se quasi tutta la sinistra Ds, il pezzo più radicale dell'Unione è chiamato a decidere sul da farsi tenendo d'occhio prima le amministrative e poi la riforma elettorale. La prima mossa spetta al Prc che infatti ieri pomeriggio ha convocato a Roma il Comitato politico nazionale per aggiornare la preparazione dell'assemblea fondativa della Sinistra europea, prevista per il 16 e 17 giugno: «Quell'appuntamento - spiega Gennaro Migliore, il capogruppo di Rifondazione alla camera - sarà la porta attraverso la quale si vedrà la possibilità di considerare un lavoro consolidato negli anni». L'occasione sarà utile anche per parlare di quel «cantiere a sinistra» che chiama a raccolta «senza vincoli identitari tutti coloro che sono interessati a parlare di sinistra, socialismo e ventunesimo secolo», ha detto il segretario Franco Giordano. L'unica distanza esplicitata è quella con i socialisti di Boselli, con cui le distanze su liberismo e guerra sono ancora forti, ma è chiaro che sulle forme del confronto con gli altri le idee sono tutt'altro che chiare e che c'è ancora qualche ruggine da sanare in particolare con il PdcI. Il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero ha buttato lì che per dialogare con la ex sinistra Ds non vedrebbe male una organizzazione pensata «sul modello della vecchia Flm», la federazione unitaria dei metalmeccanici che riuniva Fiom, Fim e Uilm fino a vent'anni fa. Ma sul punto le idee sono tutt'altro che chiare. E dire che i tempi sono stretti: Mussi ha convocato i suoi per il 5 maggio.
La centrifuga a sinistra ha tirato dentro anche i Verdi. Ieri durante il consiglio federale Alfonso Pecoraro Scanio ha spiegato chiaramente che il dialogo che interessa al Sole che ride non è quello con il Partito democratico. Per ora il tema è un grande soggetto ambientalista che, «di fronte a un Partito democratico così moderato, gradito perfino a Berlusconi, punti ai diritti, alla pace, all'innovazione, ai giovani e ovviamente all'ambiente». Poi però «è anche necessaria un'aggregazione della grande area progressista e laica che in questo Paese ha un larghissimo consenso popolare ma che deve avere una rappresentanza forte». Il passaggio fatto da Pecoraro Scanio non è del tutto scontato per un partito che qui e là ha subito la fuga di dirigenti e amministratori confluiti nel Partito democratico. Ora però la scelta sembra fatta, ne è convinto anche il sottosegretario all'economia Paolo Cento tra i più decisi nel proporre un dialogo con il cantiere in costruzione a sinistra al punto da organizzare anche un dibattito sul tema, presente Franco Giordano, giusto mercoledì scorso: «La nostra discussione deve partire da una confronto che affronti il problema di cambiare il modello economico di sviluppo anche in chiave ecologista. Quello che si muove a sinistra in questo senso ci interessa». Anche i Verdi hanno fissato il loro appuntamento, praticamente sovrapposto a quello della ex sinistra Ds: «La risposta al Partito democratico - ha continuato Pecoraro Scanio - sarà la Convention "Ecologia è economia" dei Verdi che si terrà a Genova il 4 e 5 maggio cui parteciperanno Mussi e altre personalità rappresentative dell'ambiente e dei diritti».
Un po' più in difficoltà sembrano essere al momento i Comunisti italiani, che proprio ieri hanno incassato l'addio del fondatore Armando Cossutta deciso ad abbandonare la carica di presidente e a non partecipare più in alcun modo al partito dopo la rottura consumata a ridosso delle elezioni. Oliviero Diliberto è convinto che il dialogo ci sarà: «Siamo quelli che per primi hanno parlato della necessità di riunificare la sinistra in Italia. Questo è il terzo congresso che facciamo con questa proposta. Quindi ora aspettiamo risposte da parte di coloro che dai Ds non sono confluiti nel Partito democratico e da parte di Rifondazione comunista».

Liberazione 22.4.07
Il congresso Ds approva lo scioglimento. Fassino: «Il Pd è di sinistra». Si agitano i petali della Margherita, Parisi: «Basta con quote e correnti»
Dal Cpn Rifondazione lancia la sfida: «Ci sono le condizioni per un soggetto, ormai anche in tempi rapidi, antiliberista e pacifista»
Giordano: «Adesso la sinistra ha bisogno di un nuovo soggetto»
di Angela Mauro


Assodato che è tempo di accelerare nella costruzione di una nuova aggregazione a sinistra, Rifondazione prova a ragionare sulle modalità e sui luoghi del confronto con tutto ciò che è a sinistra del Partito Democratico, Correntone Ds in primis ma non solo. L'occasione è il comitato politico nazionale riunito a Roma proprio mentre a Firenze si conclude il congresso dei Ds e mentre a Cinecittà la Margherita continua la sua assise nazionale avviata venerdì. «Ci sono le condizioni, ormai anche in tempi rapidi, per un soggetto antiliberista e pacifista». Franco Giordano è netto. «E' evidente - dice il segretario del Prc - che le due assisi di Ds e Margherita descrivono un'ipotesi sociale pacificata e aconflittuale e questo ci carica di una responsabilità grande: accelerare il percorso di unità a sinistra perchè ci sono le condizioni per un soggetto unitario». Alcune date in calendario sono già segnate: il Correntone prepara il suo appuntamento nazionale del 5 maggio per dare vita ad un nuovo movimento. Il Prc punta alla costituzione della sezione italiana della Sinistra Europea il 16 e 17 giugno prossimi e parteciperà come ospite alla giornata organizzata per il 12 maggio dal Cantiere di Occhetto sul tema "Coprire il vuoto a sinistra» (ci saranno anche Mussi, Boselli, Armando Cossutta, Pancho Pardi). Ad ogni modo, è di "cantiere" con la "c" minuscola che si parla, vale a dire di un luogo nuovo di confronto senza legacci con ciò che è già cristallizzato, ma invece con legami a società e ai movimenti e aperture a chi viene da storie diverse e voglia costruire la sinistra e il socialismo del XXI secolo.
Fin qui le dichiarazioni di intenti, cariche della consapevolezza di dover agire subito e di dover trovare una soluzione alle difficoltà che il processo implica. Giordano innanzitutto sgombera il campo dai malintesi. «Non vogliamo fare un'aggregazione di resistenti al Partito Democratico, ma un percorso vivo con i movimenti. La nostra non è una ristrutturazione di ceto politico, ma la volontà di fare la sinistra di alternativa perchè non possiamo assistere al declino della sinistra in Italia». Chiaro. Ma, a parte le date delle assemblee e manifestazioni pubbliche, è bene dare subito un segnale: in Parlamento. Milziade Caprili la butta lì: «Dobbiamo valutare se sono maturi i tempi per porre noi per primi l'idea che in Parlamento si determini un'unità a sinistra». Per il vicepresidente del Senato, si tratta, se non proprio di gruppi unici, di verificare la possibilità di stringere «patti di consultazione, di unità» con i fuoriusciti (de facto) dai Ds e con chi ci sta a sostenere le battaglie sociali e pacifiste. Per Gennaro Migliore bisogna «individuare una mappa dei luoghi del cantiere in questo paese», non si può procedere con «iniziative sporadiche» e non si può «perdere tempo» perchè, dice il capogruppo del Prc alla Camera, «noi dobbiamo fare di tutto per dimostrare ai compagni della sinistra Ds che avevano ragione, al contrario di quanto dice D'Alema quando parla di Mussi». Paolo Ferrero insiste sulla necessità che vada «trovata una modalità» e propone di prendere modello dalla Flm (Federazione Lavoratori Metalmeccanici), sigla che negli anni '70 unì Fiom, Fim e Uilm.
Il tempo, insomma, stringe e non solo per il semplice fatto che sta per nascere (in autunno) il Partito Democratico, ma anche per quello che rappresenta: il compattarsi di pulsioni e prospettive moderate e liberiste con tutto il peso che possono esercitare sul governo dell'Unione. E' forte l'eco delle ultime prese di posizione di Padoa Schioppa sul contratto degli statali e sull'uso del "tesoretto". Nel Prc sono in molti a lanciare il campanello d'allarme. «Noi dobbiamo fare una battaglia politico-culturale e dobbiamo litigare affinchè le risorse in più vadano redistribuite sul reddito», dice Paolo Ferrero. Il ministro insiste su «povertà, casa, non autosufficienze» e incalza: «Va fatta una discussione con il premier Prodi per l'applicazione del programma dell'Unione e bisogna fare una campagna del partito». Il 75% del "tesoretto" (7,5 miliardi di euro), continua Ferrero, va speso per «lo stato sociale e per risarcire chi ha sempre pagato» e le richieste dell'Unione Europea «vanno rispedite al mittente».
Giordano dice «no alle gerarchie nell'Unione e a modifiche del suo impianto programmatico». Una verifica di governo? Il termine «appartiene ad altre epoche», sostiene il segretario del Prc, ma è vero che «c'è una battaglia politica da fare sul risarcimento sociale: le priorità non sono quelle che indica Padoa Schioppa. Se così fosse, non ci sarebbe intesa politica nell'Unione». Bisogna intervenire sulle pensioni basse, anche perchè, ricorda la sottosegretaria al Lavoro Rosi Rinaldi, «se non si fa nulla, la riforma Maroni, con il suo "scalone", comunque parte dal primo gennaio 2008». E poi c'è da operare per un «decisivo aumento dei minimi retributivi, per gli sgravi sugli affitti, per la riduzione dell'Ici sulla prima casa fino alla sua abolizione», insiste Giordano. Sul Tfr «bisogna esplicitare di più la nostra proposta ai lavoratori - puntualizza Ferrero - E' necessario che si tengano il Tfr perchè solo così si può costituire il fondo pubblico gestito dall'Inps». Sono tutti contenuti «legati al nuovo soggetto a sinistra», precisa Giordano. Sono temi che caratterizzeranno la giornata nazionale di mobilitazione del Prc davanti alle fabbriche e i posti di lavoro prevista per il 14 maggio.
Ma se al comitato politico nazionale tutti, nella maggioranza del partito, concordano sulla necessità di lavorare ad un'aggregazione a sinistra, non mancano gli accenti critici sulle modalità ed il clima del percorso. «Bisogna rimettere a qualche milione di persone quelle decisioni che adesso appartengono ai partiti e ai gruppi parlamentari», è l'esordio di Ramon Mantovani, che esorta a non imitare in alcun modo i Ds, la Margherita e il loro nuovo partito. «Le masse convocate dal nascituro Partito Democratico sono passive, chiamate solo per eleggere un leader, per partecipare a sondaggi e convention: competere sullo stesso terreno è suicida e qui - dice il deputato alla platea del Cpn - avverto questa tentazione quando sento parlare della possibilità di fare una cosa nuova e grande a sinistra». Insomma, «sì al confronto con Mussi, sì anche a qualsiasi operazione sul piano elettorale, ma in Rifondazione c'è un progetto che va sviluppato nel confronto con altri progetti. Se Mussi dice che ci vuole una sinistra di governo, esprime quello che è stato per 15 anni e non va bene che noi facciamo finta di non vederlo. Se si dice solo facciamo una cosa grande e nuova - conclude Mantovani - io non ci sto». Alfonso Gianni nota nel partito una «mancanza di spinta e di entusiasmo per la nuova prospettiva». Parlando al cpn, il sottosegretario allo Sviluppo Economico è tagliente: «Il Partito Democratico nasce da una fusione a freddo. Qui sento solo freddo, non c'è nemmeno la fusione...». La deputata Elettra Deiana pone l'accento sulla necessità di rovesciare l'impostazione moderna della rappresentanza femminile in politica. «Deve far riferimento ai contenuti - dice - Invece vedo una modernizzazione che assicura una leadership alle donne, come succede in Francia per Ségolène e negli Stati Uniti con Hillary Clinton, solo perchè ora rendono sul piano del consenso elettorale. La questione sociale è però assente. Vorrei che la nuova aggregazione a sinistra prenda in considerazione questo aspetto».
Sul nuovo soggetto il no è netto da parte delle minoranze. Al cpn Sinistra Critica si esprime con Nando Simeone: «E' solo una reazione al Partito Democratico, mette insieme soggetti in crisi, non considera i movimenti, si ispira alla social-democrazia». Claudio Bellotti di Falce Martello nota che «non esiste un percorso di mobilitazione». Dall'Ernesto invece Claudio Grassi dice sì al dialogo con la sinistra Ds «ma non si parli di un unico partito», mentre Leonardo Masella, capogruppo in Regione in Emilia Romagna, segnala che «il Prc è timido nel rivendicare la sua identità comunista».
«Senza una pratica sociale sui temi economici e sulla pace non c'è nè il Prc, nè la Sinistra Europea, nè il cantiere», avverte il coordinatore della segreteria nazionale Walter De Cesaris, assicurando nessuna «dissolvenza» del partito in altri contenitori: «Bisogna partire subito dalla cultura politica, le formule le si cerca dopo». Una "pratica" viene indicata dalla coordinatrice dei Giovani Comunisti Elisabetta Piccolotti: «Andiamo a manifestare contro il G8 di Rostock a giugno, come abbiamo fatto per Genova. Scendiamo in piazza per la visita di Bush in Italia, come abbiamo fatto nel 2004». La mobilitazione per la visita del presidente Usa è prevista in un ordine del giorno approvato ieri dal cpn. Oggi il Prc si ritrova per la manifestazione pubblica "La sinistra che fa la sinistra", sempre al centro congressi Frentani.

l'Unità 22.4.07
Il procuratore-padre e la bimba di Cogne
di Ferdinando Camon


Comunque vada, resterà un processo memorabile questo di Cogne, lascerà traccia sui giornali e sui testi del Diritto. Sia che il procuratore generale abbia ragione, e la signora Franzoni sia l’assassina di suo figlio, sia che abbia torto, e la signora sia una vittima, anche lei uccisa insieme col figlio. Se la madre è l’assassina, come il procuratore pensa, allora in tutta la lunga storia del processo è mancata una figura che “doveva” esserci, doveva collocarsi davanti alla figlia-moglie-madre-assassina e guidarla verso l’unico sbocco positivo, l’unico bene possibile: la confessione e l’espiazione. Tutte le altre strade sono sbagliate. Aggiungono male al male.
Guidarla verso la confessione e l’espiazione è un compito terribile, chi se lo assume rischia di essere odiato per questo: ma c’è qualcuno che “deve” correre il rischio, adempiere questo ruolo: è il ruolo paterno. Non stiamo parlando del padre in senso stretto. Può anche essere il marito o un fratello o un altro famigliare, una persona che vuol bene alla madre-figlicida (sto cercando i termini interni al sistema di valutazione del procuratore) e, volendole bene cioè amandola, vuole il suo bene cioè salvarla. Con un gesto raro nei processi, dove il procuratore generale che accusa è per l’imputato il nemico numero uno, qui il procuratore assegna a se stesso questo ruolo paterno. Il ruolo di chi ama l’imputato anche se lo ritiene colpevole. E soffre perché l’imputato, col suo comportamento, disprezza e rifiuta di essere amato. E gli indica la strada per la quale può riconquistare l’amore di tutti. C’è qui il concetto che una madre-figlicida può riavere l’affetto di tutti se tutti sentono in quel che ha fatto una disgrazia, di cui lei è comunque vittima, anche se fosse vittima di se stessa. C’è un buio in quella disgrazia, un buio della ragione in cui al nostro posto agiscono altri che hanno altro nome, destino o raptus o es (termine mai pronunciato, che però qui calza bene): il Medioevo ci avrebbe messo anche il diavolo. Ma dopo la disgrazia che ha inflitto o che ha patito, l’uomo deve tornare in mezzo a noi, mondarsene, aiutarci a salvarlo. A Cogne, dice il procuratore, questo non avviene, anzi avviene il contrario. Avviene che la colpevole o vittima della disgrazia “esporta la colpa”, accusa uno di noi, una vicina di casa, e a noi racconta il contrario di quello che sa. Avere pietà diventa difficile. Noi tutti vorremmo “voler bene” a questa madre, ma ci è difficile perché questa madre ci inganna tutti. In un certo senso, ci ha resi suoi nemici.
Se ha fatto questo, la madre si comporta come una bambina, che ha commesso una colpa e ha paura di ammetterla e la nega di fronte a tutti e nonostante tutto. Il termine usato dal procuratore, “bambina”, è una parola-chiave. Forse il procuratore non ci ha pensato, ma i genitori della signora di Cogne continuano ancor oggi a chiamare la loro figlia, che è più volte madre, “la bambina”. Chi ha bambini in casa sa che i bambini non riescono a introiettare il concetto fondante del Diritto, e cioè che espiare, per il colpevole, specialmente per il colpevole di omicidio, “è un diritto”. Se è vero che in famiglia coloro che dovrebbero esercitare sulla signora un ruolo paterno (padre, marito, fratelli maggiori) non lo fanno, e la proteggono, e ritengono di fare il suo massimo bene trattenendola dalla confessione, se questo succede, con questo si fa il male della signora. Bisogna mettere fine al male. Un procuratore dovrebbe soltanto promuovere l'azione penale, sovrintendere alle indagini, svolgere l’accusa, e fermarsi lì. Questo fa qualcosa di strano, anomalo, sconcertante: fa “il padre”. Si preoccupa che l’accusata si scrolli di dosso la paura degli sberleffi, se confessa, e confessi, per essere riamata. C’è una forma di umana grandezza, in questo atto. E di generosità. Temo però che confessare fosse molto difficile, a delitto appena compiuto. Oggi, dopo anni di sviamenti, è diventato pressoché impossibile.
fercamon@alice.it

Liberazione 22.4.07
Psicofarmaci ai bambini distratti o iperattivi? Il ministero della Salute vieti l'immissione in commercio del Ritalin
di Tiziana Valpiana


L'Organizzazione mondiale della sanità in base a studi proiettivi, ha affermato che, nel 2020, la metà dei bambini soffrirà di "malattie mentali". Questa autorevole previsione dovrebbe indurci a ripensare a uno sviluppo che crea alienazione, a una società basata sull'arrivismo e sulla competizione, a una famiglia sempre più compressa e destrutturata, a relazioni anche parentali che si basano più sul "dover essere" che sulle spontanee affettività. Invece, la risposta data a questo pronostico è il "contenimento farmacologico", la medicalizzazione di massa, non solo per i malesseri degli adulti, ma anche per quelli dei bambini… L'uso degli psicofarmaci nei minori sta suscitando un crescente allarme sociale, soprattutto in quei Paesi in cui, dopo decenni di esperienza, si sono evidenziati i loro effetti deleteri in età evolutiva. Nel 2003, la Food and Drug Administration statunitense ha deciso di autorizzare la somministrazione del Prozac ai minori con disturbi depressivi e ossessivo-compulsivi, e non possiamo stupirci, visto che da anni in America, ai bambini di 2 anni veniva prescritto anche il Ritalin. In molti temevano che ben presto, come sempre, anche l'Italia si sarebbe "adeguata", e così è stato! L'Agenzia italiana del farmaco, lo scorso 8 marzo, ha autorizzato l'immissione in commercio il Metilfenidato cloridrato (Ritalin) per il «trattamento della sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) in integrazione al supporto psico-comportamentale». «Al fine di garantire un uso appropriato, sicuro e controllato, sono state individuate procedure che vincolano la prescrizione del farmaco ad una diagnosi differenziale e ad un Piano terapeutico definiti da Centri di riferimento di neuropsichiatria infantile, appositamente individuati dalle Regioni; impongono controlli periodici per la verifica dell'efficacia e della tollerabilità del farmaco; richiedono l'inserimento dei dati presenti nei Piani terapeutici, in un Registro nazionale appositamente istituito presso l'Istituto superiore di sanità, con garanzia d'anonimato, al fine di consentire il monitoraggio e il follow up della terapia farmacologia». «In questo modo - aggiunge l'Aifa - è stata garantita la disponibilità del farmaco soltanto ai casi di reale necessità, evitando gli usi impropri verificatisi in altri Paesi. In ogni caso l'Agenzia italiana del farmaco elaborerà un Rapporto annuale, sulla base dei dati del monitoraggio e del Registro, finalizzato alla valutazione complessiva del problema e delle eventuali altre misure da adottare». Dunque il Ritalin, discusso psicofarmaco usato per curare una discussa diagnosi, ora è in vendita anche in Italia, con mille distinguo e con mille precauzioni, ma con poca informazione. Che cosa è il Metilfenidato? Si tratta di un'anfetamina, droga a tutti gli effetti, tanto che, nel 1989, il ministero della Sanità italiano lo tolse dal mercato, inserendolo nella categoria delle droghe, mentre, durante il governo Berlusconi (lo stesso che ha fatto la Fini-Giovanardi, legge proibizionista e criminalizzante), il principio attivo del Ritalin è passato dalla categoria 1 alla 2, riducendo i vincoli al suo utilizzo e si è sviluppato un vero e proprio mercato nero, un "turismo farmaceutico" per i bambini Adhd. Da anni si parla di una fantomatica sindrome da deficit d'attenzione e iperattività (Adhd), ma la diagnosi è in realtà poco definita, visto che «non vi sono test di laboratorio confermati come diagnostici». L'Osservatorio sulla salute mentale e molte associazioni invitano a non considerare la mancanza d'attenzione e l'iperattività una malattia mentale, ma a cercare di individuare le cause del disagio nella vita sociale, scolastica e familiare. L'uso di psicofarmaci su bambini, il cui comportamento è forse dovuto all'abnorme "bombardamento di stimoli", rischia di coprire le cause del problema e di rispondere solo nascondendo i sintomi. Ciò che "calma" il bambino è un'attenuazione della capacità dei neuro-trasmettitori che ottunde le funzioni cerebrali.
Gli adulti di riferimento, genitori, insegnati e pediatri, scambiano per miglioramento lo "spegnimento" del bambino: una disfunzione cerebrale che nel tempo si trasforma in isolamento, causando tic che danneggiano l'autostima e influenzano l'accettazione sociale.
Perché, allora, se non si è certi sul piano scientifico né dell'esistenza della patologia, né dell'efficacia della cura, né degli effetti indesiderati, si è deciso lo stesso di immettere il Ritalin sul mercato italiano? Non è la prima volta che Rifondazione comunista, anche in sede parlamentare, esprime forte preoccupazione per la facilità con la quale anche in Italia si somministrano psicofarmaci ai minori. E già nella scorsa legislatura avevamo chiesto al Governo di intervenire per far cessare gli screening di massa e i sondaggi tra la popolazione scolastica e infantile finalizzati all'arbitraria classificazione.
Ritenendoci insoddisfatte dalle rassicurazioni fornite dall'Aifa, abbiamo ritenuto di rivolgere un'interrogazione alla ministra della Salute per conoscere le sue valutazioni sulla classificazione dell'Adhd come patologia neuro-psichiatrica e sull'opportunità di prevedere queste terapie a carico del Servizio sanitario nazionale.
Alla luce di tanti dubbi scientifici, continueremo a batterci contro l'uso di psicofarmaci in età pediatrica (esclusi i reali casi di problemi psichiatrici), e porteremo avanti una lotta di cambiamento culturale. Il Ritalin, altrimenti, sarà la prova del fallimento della società, della scuola, della comunità, della politica.

il manifesto 22.4.07
Il prezzo della follia lasciata a se stessa
Da oltre un anno Cho Seung Hui aveva dato segni di malessere, ma il sistema di controllo del campus si era limitato a fargli il vuoto intorno. Il sistema psichiatrico Usa punta al controllo della pericolosità sociale, ma non si fa carico della follia degli altri. La ricerca delle responsabilità gira attorno a una sola domanda: chi pagherà i risarcimenti?
di Maria Grazia Giannichedda


Chi pagherà il conto della follia di Cho Seung Hui? Attraverso la Nbc, il suo video testamento ha fatto il giro del mondo e ha spostato la ricerca delle responsabilità sulla strage al Virginia Tech dall'operato dei servizi di sicurezza al sistema di controllo del comportamento di questo studente, che colleghi e insegnanti avevano subito descritto come solitario e difficile, ma tutto sommato non tanto da suscitare allarme. Da più di un anno infatti Cho aveva dato segni di malessere, senza però disturbare davvero o perlomeno non fino al punto da apparire come pericoloso e attivare sanzioni pesanti.
I fatti ora sembrano chiari: due ragazze molestate da sms che segnalano il problema, ma non vogliono sporgere denuncia; i temi con contenuti aggressivi; le provocazioni verbali a lezione; le idee di suicidio che arrivano ai servizi di assistenza per gli studenti e alla consulenza psichiatrica dell'università; infine il giudice che lo scorso anno firma una proposta di ricovero coatto che il vicino ospedale psichiatrico non ritiene di dover accogliere; il rinvio al servizio psichiatrico territoriale dove forse non andrà mai, questo studente che sta male ma non presenta i tratti del folle delirante e pericoloso. Il sistema di controllo sociale del campus si è limitato così a fargli il vuoto intorno; i servizi psichiatrici, che pure hanno registrato la sua sofferenza, non sono stati capaci di accoglierla, o meglio non si sono sentiti in obbligo di farlo visto che lo studente non evidenziava segni di potenziale pericolosità.
Questo è un punto chiave della vicenda, che rinvia a caratteri tipici ma non unici del sistema psichiatrico americano.
Negli Stati Uniti di oggi l'antica vocazione della psichiatria al controllo della pericolosità sociale (il ricovero coatto si deve attivare quando le condizioni del paziente evidenziano «un imminente e grave pericolo per sé e per gli altri») convive con un sostanziale disimpegno verso la salute mentale di chi non appare pericoloso, che resta perciò «libero» di ricorrere o no al mercato delle cure psichiatriche. In concreto questo significa che i candidati all'internamento negli ospedali psichiatrici di stato e in quelli privati (i due sistemi oggi si equivalgono in quantità, con una sessantina di ospedali in un campo e nell'altro) sono soprattutto coloro che presentano il «physique du rôle» del malato mentale pericoloso: ovvero i più poveri, gli homeless, insomma quelli più in basso nella scala dell'esclusione, che vagano così tra la strada e il complesso circuito degli ospedali psichiatrici a vari livelli di sicurezza, dei ricoveri in gran parte privati, delle istituzioni per alcolisti e tossicodipendenti. Mentre paradossalmente non riceve ascolto la follia degli altri, di quelli che come Cho stanno assai male ma si mantengono nel mondo dell'integrazione: «non esiste», potremo dire, in quanto «la salute mentale comunitaria» (come si dice in un linguaggio tecnico, peraltro inventato dagli americani) non riceve alcuna attenzione pubblica, alcun investimento economico e culturale, come del resto è il caso delle politiche di salute tout court, paradosso noto di un paese che ha una delle spese sanitarie più alte del mondo.
Questo problema è emerso per un attimo nel corso di una drammatica conferenza stampa convocata giovedì dalla polizia e dalle autorità del Virginia Tech, e trasmessa in diretta dalla Cnn. Da poche ore il messaggio video di Cho aveva costretto tutti a prendere atto della sua follia e della sua fragilità, e aveva trasformato la conferenza in un confronto sulle responsabilità duro e destinato a durare a lungo, vista la posta in gioco di risarcimenti miliardari che potrebbero essere chiesti dalle famiglie dei morti e dagli innumerevoli traumatizzati.
I giornalisti hanno dunque messo in croce i dirigenti dell'università: la famiglia di Cho era stata informata del suo comportamento? come mai lo studente non è stato espulso dall'università o perlomeno dal campus? come mai non è stato internato in ospedale psichiatrico visto che non si poteva farlo chiudere in carcere? Alla terza o quarta domanda su questo tono, uno dei dirigenti dell'università, avendo ribadito che non si può violare la privacy di uno studente contattando la sua famiglia, che le domande sul mancato internamento vanno poste al giudice che aveva firmato l'ordinanza di ricovero coatto, al medico che non l'aveva accolta e al servizio territoriale che avrebbe dovuto prendersi cura di Cho, ha perso la pazienza: sappiamo da anni, ha detto, che ogni qualvolta che si devono fare tagli alle spese sociali il primo settore a essere penalizzato è quello della salute mentale, sta qui il problema, in questo sistema sempre più povero e inefficiente. Ma questo tipo di considerazioni non sembra aver suscitato, per ora, l'interesse dei media americani, piuttosto orientati a chiedere agli esperti diagnosi che il video di Cho rende più facili e che sottendono un'unica domanda: una tale evoluzione poteva essere prevista ed evitata? Che significa: dovrà pagare l'ospedale psichiatrico per imperizia o mancato controllo, oppure l'università per non aver difeso la propria comunità dallo studente disadattato e deviante? In ogni caso, chiunque sarà chiamato in futuro a pagare il conto della follia di Cho sarà comunque il capro espiatorio di un sistema sbagliato.

il manifesto 22.4.07
La guerra in casa Molti interrogativi elusi dopo il massacro nel campus americano
Virginia, più domande che risposte
Dopo giorni di silenzio, parla la famiglia dello studente che ha ucciso 32 persone (oltre a se stesso) nel campus del Virginia Tech: «indicibile dolore» per un gesto «terribile e senza senso». Una commissione indagherà sul comportamento delle autorità
di Ma.Fo.


La famiglia Cho ha rotto il silenzio. «Non abbiamo parole per esprimere la nostra tristezza e dolore che tanti abbiano perso la vita in un gesto così terribile e senza senso» ha detto Cho Sun-kyung, sorella di Cho Seung-hui, lo studente che lunedì scorso ha ucciso 32 persone prima di suicidarsi in un'aula dell'università Virginia Tech di Blacksburg. Da quel giorno la famiglia «vive in un incubo», ha detto la ragazza a nome di tutta la famiglia: «E' una terribile tragedia per tutti noi». I Cho si erano trasferiti negli Stati uniti dalla Corea del sud nel 1992, la sorella si era laureata a Princeton nel 2004, per il fratello minore la famiglia sperava qualcosa di simile: ora sono sotto shock.
«Non avremmo mai potuto immaginare che fosse capace di tanta violenza», ha detto la sorella venerdì, mentre l'intero stato della Virginia osservava una giornata di lutto per le vittime del massacro della Virginia Tech. E' stata una giornata di commemorazione, con un minuto di silenzio a mezzogiorno (le 6 del pomeriggio in Italia) osservato nel campus e poi veglie in diverse città.
Commemorazioni e veglie rispondono alla necessità di superare uno shock collettivo. Continuano però anche le indagini, e le polemiche. Ieri è stato annunciato che una commissione indipendente composta da 6 persone (tra cui Tom Ridge, ex capo dell'agenzia per la «sicurezza interna», homeland security, creata dall'amministrazione Bush dopo l'11 settembre 2001) condurrà un'inchiesta su come le autorità hanno affrontato la crisi. Perché, ad esempio, le autorità hanno ignorato il pericolo potenziale posto da Cho: già alla fine del 2005 un tribunale della Virginia lo aveva dichiarato «malato mentale» e aveva ordinato che si sottoponesse a cure psichiatriche. Chissà se l'indagine arriverà al nodo finora eluso: quali servizi di salute mentale la società americana mette a disposizione dei suoi cittadini.
Altre questioni: perché lo studente aveva potuto comprare due pistole, nonostante quell'ordinanza del tribunale? Sul New York Times di ieri un portavoce dell'Ufficio federale per le armi da fuoco (Federal Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives) fa notare che secondo la legge federale una persona dichiarata «mentalmente anormale», o a cui sia stato ordinato un trattamento psichiatrico, non può acquistare armi. Il presidente di una speciale commissione dello stato della Virginia per la riforma delle leggi sulla salute mentale, Richard J. Bonnie, conferma: secondo i criteri federali, Cho non avrebbe avuto il permesso di comprare le pistole. Ma perché allora lo stato della Virginia, peraltro uno dei più ligi nel segnalare al sistema federale i nomi di coloro a cui il diritto a portare armi è sospeso per malattia mentale, non aveva segnalato il nome di Cho Seung-hui? Discordanze nelle definizioni burocratiche tra leggi federali e statali, pare («Correggeremo questa lacuna», ha dichiarato Bonnie al giornale newyorkese).
Altre questioni riguardano la reazione delle autorità di Virginia Tech e le forze di sicurezza, le due ore passate tra la prima sparatoria e la strage finale. Una portavoce della polizia ha annunciato ieri che gli investigatori stanno continuando a lavorare e avranno qualcosa da annunciare la prossima settimana.

venerdì 20 aprile 2007

Corriere della Sera 20.4.07
Bellocchio (in giuria): «Macché complotto I nuovi registi non sono adatti ai festival»
Con me ci sarà anche il mio amico Michel Piccoli: bello trovare un volto conosciuto Come a scuola
di Giuseppina Manin


MILANO — «Mi spiace che non ci sia nessun film italiano in gara. Mi spiace davvero». Marco Bellocchio sospira sincero davanti al cartellone di Cannes. Dove il solo nome italiano presente nella sezione principale è il suo, ma stavolta dall'altra parte della barricata, nella giuria presieduta da Stephen Frears, che dovrà decidere l'ambito Palmarès. «No, non penso a nessun complotto, a nessuna presa di posizione antitaliana — prosegue il regista, habitué della Croisette, nel 2002 in competizione con L'ora di religione, l'anno scorso al Certain Regard con Il regista di matrimoni —. Ci sono anni in cui si va in gara, magari anche con più di un titolo, e anni che invece... Capita in qualsiasi festival. A volte resta fuori l'Italia, a volte tocca ad altri».
Resta però la delusione. «Sì — ammette —, anche perché si era detto e ridetto che questo era l'anno d'oro del cinema italiano». D'oro forse solo per il botteghino... «Confesso di non averne visti molti di quei film di cui si è tanto parlato e che hanno riscosso tanto successo di pubblico: Ho voglia di te, La notte prima degli esami, Manuale d'amore... Di certo credo gli si debba riconoscere il merito di aver dato respiro al nostro cinema, di aver giovato alla sua cagionevole salute».
«Però — aggiunge —, è anche vero che non sono film da festival. La nostra cinematografia non mi pare inseguire in questo momento modelli particolarmente originali. La ricerca di nuovi linguaggi mi sembra davvero poca. Le grandi stagioni del cinema italiano, quelle che tra gli anni '60 e '70 ci avevano portato ai vertici mondiali, restano ancora lontane. La speranza è che questa ripresa, questa maggior circolazione di capitali, aiuti a emergere nuovi talenti, magari più anticonformisti».
Intanto, per questa tornata va così. Eppure si era sentito dire di Luchetti, si era sentito dire di Olmi. «E in effetti ci sono tutti e due. Il primo nel Certain Regard, il secondo tra gli Hommages per il 60mo anniversario. Non ho ancora visto il film di Lucchetti mentre Centochiodi sì. Ammiro molto Olmi per la sua originalità, sincerità, la forza delle sue immagini. Pur se le mie idee sono lontanissime dalle sue, lui così rivolto alla religione, io ateo, davanti a lui, tanto di cappello. Capisco anche che da maestro schivo qual è, non abbia più voglia di gareggiare. A Cannes Olmi ha già vinto la sua Palma d'oro con L'albero degli zoccoli».
Di rado Bellocchio accetta di andare in giuria, ma stavolta l'idea di passare due settimane sulla Croisette a guardare film lo mette persino di buon umore. «Ma sì, mi pare quasi di andare in vacanza... Una volta che mi vedeva nicchiare davanti a un simile invito, Comencini mi disse: vai, è sempre una bella esperienza. Aveva ragione. Per un motivo o per l'altro, al cinema ormai vado sempre di meno e fare il giurato è l'occasione per una bella scorpacciata di film. Per di più con la garanzia di proiezioni eccellenti, nella loro lingua originale e, vista la severità della selezione, con scarsa probabilità di bidoni. Sulla carta il cartellone promette bene. Mi aspetto immagini di forza inedita, capaci di sorprendermi ed emozionarmi. La bellezza è sempre un grande stimolo, spinge all'emulazione. Insomma, quasi una terapia».
E poi in giuria c'è anche Michel Piccoli. Che nel 1980, proprio con un film di Bellocchio, Salto nel vuoto, vinse a Cannes il premio come miglior attore. «Un grande amico, l'idea di ritrovarlo mi dà un enome piacere e mi rasserena. Perchè entrare in una giuria dove spesso nessuno conosce l'altro è un po' come il primo giorno di scuola: mette un po' d'ansia». Tra tanta festa, uno scotto da pagare: lo smoking. «Già, i francesi ci tengono alla forma. Ne ho fatto uno tre anni fa, ma da allora non l'ho più messo. Spero di poterci entrare ancora».

l’Unità 20.4.07
Mussi al passo d’addio
«Piero, grazie lo stesso»
«Sarà il discorso più difficile della mia vita». Abbracci e commozione
«Ma la decisione è presa». Oggi il leader della minoranza Ds se ne va
di Simone Collini


UN APPELLO all’unità da parte del segretario se lo aspettava. Quello che Fabio Mussi non si aspettava è tutto il resto: il modo in cui Piero Fassino ha invitato chi è contrario al Partito democratico a non "separarsi" (e guardandosi bene dal pronunciare la parola "scissione"), il modo in cui la platea del Mandela Forum ha risposto, quell’applauso più forte e prolungato di tutti gli altri, e soprattutto il modo in cui lui stesso ha reagito. Lo sguardo che si alza dai fogli pieni di appunti e va dritto in platea, poi su sulle tribune, poi la mano che va a coprire la bocca, gli occhi che si fanno lucidi. Anche per questo l’intervento che farà oggi sarà, dice, "il più difficile della mia vita".
Ministro si è commosso?, gli domandano quando Fassino chiude il suo intervento. "Bè", guarda in alto, "insomma", guarda l’interlocutore, "siamo fatti di sangue e carne", e abbozza un sorriso. Quasi a scusarsi, perché i sentimenti non possono prendere il sopravvento sulle valutazioni politiche. E infatti è solo un attimo: "Ringrazio Fassino, il suo è stato un appello fraterno, che tocca corde profonde. Però deve prevalere la razionalità e l’assunzione di una responsabilità politica".
La razionalità gli dice che non può accettare che "si evapori la storia della sinistra italiana una storia piena anche di tanti drammi, ma gloriosissima", la responsabilità che sente di assumersi è di abbandonare i compagni di "una lunga militanza, di una vita" per dar vita a un movimento politico che lavori insieme ad altri per riunificare le forze di sinistra oggi divise. In poche parole: "Non ci sono le condizioni politiche per un ripensamento". Anche perché, se Fassino ha affermato "la necessità storica del Pd", Mussi questa necessità storica non la vede, né l’ha vista dimostrare dalla relazione del segretario: "Anzi, da come il congresso ha ascoltato, mi pare serpeggi più di un dubbio, e non solo tra le mozioni di minoranza". Ed è di nuovo la battaglia politica a conquistare la prima fila. La sfera degli affetti deve rimanere dietro, anche se nella scorza di indifferenza che si è portato dietro a Firenze le falle in alcuni momenti si vedono tutte. Come quando entra nel catino del Mandela Forum, scatta un applauso tutto per lui e dal primo piano che trasmette il maxischermo è evidente quanto sia emozionato. O quando va a sedersi al suo posto e non smette di stringere mani ai compagni che gli si fanno incontro, e che oggi lascerà per prendere un’altra strada: Marina Sereni, Anna Finocchiaro, Marco Minniti, Sergio Chiamparino, Pierluigi Bersani. Cerca di sdrammatizzare. "Ricordati - dice Mussi al ministro dello Sviluppo economico riprendendo una considerazione che aveva fatto nei giorni scorsi - che la sinistra esiste in natura". E quello: "Lo so. Non siamo così bravi da sradicarla". Sorrisi, pacche sulle spalle. Oggi è il giorno dell’addio. Non del solo Mussi.
I 250 delegati che hanno firmato la sua mozione sono con lui. La sera prima dell’apertura del congresso i delegati della seconda mozione si sono incontrati a Firenze per decidere la linea da tenere. Quattro ore di discussione, chiuse in piena notte con l’approvazione all’unanimità della proposta fatta da Mussi: non si partecipa ai lavori delle commissioni, non si entra negli organismi dirigenti eletti dal congresso, parla uno per tutti, poi via senza clamore. E Mussi parlerà oggi.
"Sarà l’intervento più difficile della mia vita", non nasconde. Ancora una volta è l’altalena tra sentimenti e razionalità a venire alla luce, come è inevitabile che sia in un momento come questo. "Con Fassino, D’Alema e altri c’è sempre stata un’amicizia al di sopra dei dissapori", raccontava l’altra notte in una pausa della riunione dei delegati. Con Fassino si sono abbracciati quando sono andati a sistemarsi al tavolo della presidenza. Con D’Alema ha scambiato varie battute durante l’intervento di apertura del segretario. "Io farò di tutto perché questo rapporto rimanga anche dopo". Del resto, l’operazione a cui pensa consiste nell’avvio di una costituente di "pari dignità" rispetto al quella del Pd, che ha l’obiettivo di costruire a sinistra dell’Ulivo una forza consistente, con consensi a due cifre. "Con il 30% non si governa", è il ragionamento che fa quando sente parlare del Pd come della soluzione alla governabilità del paese. "Perché il governo sia solido occorre lavorare all’unità della coalizione. La frammentazione? Capirei se l’ipotesi fosse la riunificazione delle forze più piccole, e invece qui si fondono le due più grosse. Che senso ha? Non cambia nulla".

l’Unità 20.4.07
«L’apertura di Fassino? Bene ma vedremo»
Angius raccoglie quanto detto dal segretario. Ma i suoi: «Non ci siamo ancora»


Parlerà questa mattina Gavino Angius, tra i promotori della terza mozione congressuale. Ieri, nell'intervento di apertura, Piero Fassino ha definito le proposte di correzione di questa mozione (coofirmata da Mauro Zani) "in buona parte condivisibili". Non solo. Ha continuato: "Intendiamo raccoglierle". Un'apertura che alle orecchie dell'uditorio è apparsa anche ampia: "Chiedo di far valere le loro proposte - ha detto il segretario dei Ds - nel cantiere del Pd. Lungo il percorso non mancheranno le occasioni per operare tutte le verifiche necessarie". E, ha anche aggiunto, "in caso, all'indomani dell'assemblea costituente, questa assemblea congressuale, che a norma di Statuto rimane in vita tra un Congresso e l'altro ed è la sede di decisione democratica più larga, sarà riunita per valutare l'andamento del processo costituente e assumere gli adempimenti successivi". A caldo Angius risponde ai giornalisti: "Occorre sciogliere alcuni nodi sui quali interverrò: quello della laicità e dell'appartenenza al campo del socialismo europeo". E ha eccepito, nel merito, ''Non mi piace che il nuovo partito sia fatto solo dai Ds e dalla Margherita e su questo bisogna lavorare molto''.
Nella riunione del pomeriggio, i delegati della terza mozione, hanno fatto il punto della situazione. E sono giunti ad una conclusione anche più battagliera. Il portavoce della mozione, Alberto Nigra illustra il dispositivo comune che dovrebbe uscire dai due congressi, e che è stato pubblicato sull’Unità. La pagina di giornale è sottolineata: "Tre dei sei punti proposti non ci convincono per niente", afferma Nigra. E spiega: "Il secondo, ad esempio, dice che Ds e Dl assumono il manifesto come orizzonte ideale. . A noi quel manifesto non piace, e non solo a noi. Il manifesto va riscritto con il contributo di tutti: dei socialisti, di Di Pietro e Bordon….". Non convince nemmeno il punto numero 4, il potere dato agli organi dirigenti durante la fase di transizione ("In questo caso, sul Pse, chiediamo a Fassino di farsi garante presso i Dl della nostra proposta"). E nemmeno il 6 che afferma come, all'atto di nascita del Pd, verrà conclusa l'attività politica di Ds e Dl. Gli esponenti della Terza Mozione hanno sempre chiesto che alla fine del processo costituente sia convocato un Congresso di scioglimento dei Ds. Per adesso, affermano, all'apertura politica espressa dal segretario non ha corrisposto un'apertura di fatto. E' stata, afferma maliziosamente qualcuno, "un'apertura congressuale". Alla quale oggi Angius risponderà.

l’Unità Roma 20.4.07
All’Auditorium la filosofia è di massa
Tutto pronto per la seconda edizione del festival dal 9 al 13 maggio
di Luciana Cimino


CONFINI Dal 9 al 13 maggio oltre 120 studiosi e personalità della cultura si cimenteranno con l’idea di confine, metafora in continuo movimento, nella seconda edizione del Festival della Filosofia. L’Auditorium Parco della Musica come una grande agorà animata da spirito laico e impegno civile. La formula ricalca quella vincente dello scorso anno (oltre 30 mila visitatori nel 2006): 18 tavole rotonde, 7 lectio magistralis, 6 incontri con pensatori di confine (panorama di autori borderline e figure di culto) e 4 con “voci di confine”, alla ricerca di una riflessione filosofica comune alle diverse culture, 5 caffe filosofici, la novità di quest’anno. E poi “Dentro e fuori”, rassegna di cinema a cura di Edoardo Bruno, fondatore della storica rivista “Filmcritica”, spazi per bambini, teoria e pratica di yoga. Oltre agli spettacoli: “Io, Charles Darwin”, una prima assoluta tra scienza e teatro con la partecipazione di Edoardo Boncinelli, Giulio Giorello, Pier Luigi Luisi su testo e regia di Valeria Patera, “Quattro cosmicomiche di Italo Calvino”, di e con Graziella Galvani, Mariano Mariani e Beatrice Pucci e, sempre in prima assoluta, “Il suono del Logos”, progetto originale commissianato dalla Fondazione Musica per Roma ad alcuni tra i più rappresentativi compositori di musica contemporanea. L’artista Gianfranco Baruchello, inoltre, nel foyer presenterà la mostra «Pieghe, flussi, pensieri in bocca», una raccolta di 15 opere realizzate dagli anni sessanta in poi, tra cui un quadro di circa 15 metri.
«All’Auditorium si formerà un nuovo tipo di sfera pubblica - ha commentato Giacomo Marramao, docente all’Università di Roma III, nonché, assieme a Paolo Flores D’Arcais e alla Fondazione Musica per Roma, organizzatore del festival - che raccoglie le questioni che la sfera pubblica italiana, ormai desertificata, non affronta». E dunque si discuterà di antitesi tra oriente e occidente, di religione, di illuminismo ed eutanasia, di confini della politica e delle città. Due i “quodlibeta”: un confronto tra Hanif Kureishi e Tariq Ramadam, due intellettuali musulmani molto diversi du “laicismo, secolarizzazione e religione” e “La volontà di Dio è compatibile con la democrazia?” in cui Paolo Flores D’Arcais e Giuliano Ferrara si confrontano sulla laicità. Negli altri appuntamenti: Marc Augè (il 10 maggio), Franco Cordero, Eugenio Scalfari, Piergiorgio Odifreddi, Umberto Galimberti, Gianni Vattimo, Fernando Savater. Gli studenti dei licei romani parteciperanno con il progetto dell’assessorato alle Politiche Scolastiche “Roma per vivere, Roma per pensare”. L’ingresso agli eventi è gratuito o ad un costo di 1-2 euro.

Corriere della Sera 20.4.07
FANTASMI SOCIALISTI
di Gian Antonio Stella


Non ha mai nominato, manco una volta, la parola operai, mai la parola fabbrica, mai la parola masse. Temi che un tempo incendiavano i militanti di quello che si vantava di essere il più grande partito comunista d'Occidente. Non ha mai citato, neppure una volta, quel Silvio Berlusconi il cui solo nome per un decennio riusciva magicamente a riaccendere anche le più ammaccate e tristi riunioni di piazza. E dopo aver rimosso le arie dell'«Internazionale» e «Bandiera Rossa» e perfino della «Canzone Popolare» o dell'ironica «Il cielo è sempre più blu», ha affidato la missione di scaldare i cuori al robusto inno di Mameli e a «Over the Rainbow», come non ci fossero più canzoni capaci di riassumere con parole italiane e comprensibili all'intera platea una fede buona per tutti.
Eppure nella sua appassionata relazione al quarto congresso dei Ds, così appassionata da fargli venire infine un groppo in gola, Piero Fassino è stato chiamato a fare i conti soprattutto con una parola antica: socialismo. E lì, ha dovuto tentare più acrobazie del mitico Giovanni Palmiri il giorno in cui fermò il fiato ai milanesi comparendo su un trapezio nel cielo di piazza Duomo.
Doveva infatti, lassù sul filo, reggere contemporaneamente in equilibrio quattro socialismi differenti. Il primo, ovvio, era il richiamo al socialismo che doveva rassicurare Fabio Mussi o almeno instillare qualche dubbio nei suoi fedeli, con un continuo rimando alla lunga storia della sinistra e un monito sulle scissioni del passato, «nessuna delle quali è stata foriera di maggiori opportunità». Il secondo doveva confortare Poul Rasmussen, George Papandreou, Kurt Beck e Martin Schultz, che certo non erano venuti a Firenze per essere smentiti dopo aver detto più volte di aspettarsi che il «partito nuovo» entri senz'altro nella grande famiglia socialista europea. Il terzo dovrebbe, se non subito almeno in un futuro ravvicinato, convincere i socialisti della diaspora a non vedere nel Partito democratico «una riedizione in scala minore del compromesso storico» ma piuttosto «la casa anche dei socialisti». Operazione complessa per l'erede di quell'Enrico Berlinguer che, al di là della rivendicazione di una diversità morale, marchiò Bettino Craxi come «un pericolo per la democrazia» e di quel Massimo D'Alema che ammiccava: «Diciamo che non son mai stato un socialista italiano. Sono diventato direttamente un socialista europeo».
L'esercizio più arduo, però, era il quarto: fare digerire questo continuo appello al socialismo, nominato e invocato nelle sue varianti 31 volte, a chi nella Margherita ha già detto e ridetto di non avere alcuna intenzione di entrare nel Pse e men che meno nell'Internazionale Socialista. Anche se per il segretario diessino «già oggi è costituita per quasi metà dei suoi 185 partiti da forze di ispirazione culturale diversa dall'esperienza socialista». Esempio? Il Partito del Congresso Indiano e il Partito dei Lavoratori di Lula. Due esempi, come dire, esotici.
Basteranno? Francesco Rutelli dice che risponderà oggi. Ma potete scommettere che da qui all'appuntamento fondante della prossima primavera, che appare lontana lontana, il tema sul tappeto resterà questo.

Corriere della Sera 20.4.07
Mussi, strappo con commozione «No a Piero, la sinistra evapora»
Oggi l'addio. «Ci terrei molto a mantenere i rapporti personali»
di Aldo Cazzullo


FIRENZE — Alla fine Berlusconi applaude. Lui no. Il mangiacomunisti batte convinto le mani a un discorso pieno di Camere del Lavoro, ruolo storico del Pci, compagne e compagni. Lui, «nato sotto un altoforno», «figlio della Piombino operaia», amico di Fassino e D'Alema fin dalla giovinezza, resta a braccia rigide. A Livorno, il giorno di quell'altra scissione del 1921, Bordiga avrà applaudito Turati? Probabilmente no. Nel dubbio, Fabio Mussi non applaude Fassino.
«Mussi segretario di partito! Il sogno di tutta una vita da impiegato, al prezzo di una piccola scissione!». La vignetta di Vincino, che sul Corriere lo punta da settimane, era impietosa. Mussi ieri si è ribellato: «La nostra non è una scissione». Sono loro, quelli della maggioranza Ds, che se ne vanno. «Stanno facendo un partito in cui non mi riconosco». Fassino si è commosso nel chiederle di restare. «Che c'entra? Anche io mi sono commosso». A dire il vero era apparso chino sul banco a prendere appunti. «Siamo fatti di carne. Fassino ha toccato corde profonde. Ma la razionalità ci impone di andare avanti. Del resto, qualche dubbio sulla sua relazione il congresso l'ha avuto: si respirava un'atmosfera sospesa, di attesa». Del suo intervento di oggi, è ovvio. L'unico dubbio resta se fare come i seguaci di Bordiga e Gramsci a Livorno, lasciare in massa il teatro subito dopo la conclusione del capo, che stavolta è lui. Lo è diventato ai tempi dei girotondi e all'ombra di Cofferati, ora altrove. Indimenticabile la sua relazione al culmine del «biennio rossiccio» (la definizione è di Peppino Calderola), in un convegno all'Ambra Jovinelli, in cui Mussi espresse tutta la sua calda fiducia nell'avvenire: «La destra ci trascinerà indietro in un medioevo delle istituzioni e dell'anima, popolato di latifondisti del video, soldati di ventura, bande tribali!».
Impiegato, proprio no. Mussi, invece, è personaggio di spessore. Vecchio Pci di Piombino, Fgci, Normale di Pisa, dove ha affinato appunto la razionalità e conosciuto D'Alema, sulle scale del pensionato per studenti. «Avevamo due borse a testa, una per mano. Sentimmo un frastuono. I fascisti avevano tentato di metter su una manifestazione per i colonnelli greci, quelli di sinistra avevano reagito. Mollammo le borse e ci precipitammo. Capitando in mezzo a un massacro infernale. Ci conoscemmo così, nel furore della battaglia. Massimo era asciutto come un'acciuga, aveva i baffetti appena accennati e una testa enorme tutta ricci. Io ero magro, portavo un gran ciuffo nero sulla fronte e non avevo ancora i baffi». Ieri Fassino l'ha abbracciato e baciato. D'Alema si limita a una pacca, poi gli indica il posto accanto a Reichlin. I mussiani precisano che respingeranno l'invito di Fassino a restare nel partito, ma eviteranno l'uscita in massa dal Palasport. L'intervento di oggi si annuncia ancora più ottimista di quello del Mussi girotondino: «Nello stadio tecnologico in cui si trova l'umanità, l'incremento del consumo di materia ed energia disegna una curva catastrofica!». A Firenze non è apparso altrettanto angosciato.
«In questi quarant'anni ho affrontato diversi momenti difficili, cambiamenti profondi, svolte. Ogni volta mi sono preso la libertà di dire quel che pensavo». Non è vero che è stato sempre all'opposizione. «L'ultima volta che ho votato la mozione di maggioranza, lo slogan era: "Una grande sinistra in un grande Ulivo". Oggi l'Ulivo è più piccolo e la sinistra ammaina le insegne. Evapora». In effetti Mussi è il più coerente con la stagione dei movimenti e della critica da sinistra alle segreterie dei partiti. Altri del Correntone che simpatizzarono per i girotondi, da Bassolino alla Melandri, non ci sono più. In serata quel che resta della sinistra del partito era riunita per una cena frugale, crostini di milza, ribollita e chianti, per decidere il da farsi. Si diffonde la voce che Fabio parlerà a mezzogiorno, sciogliendo l'imbarazzo: tutti i delegati, non soltanto i suoi, lascerebbero il congresso, ma per andare a pranzo. Potrebbe essere una delle ultime volte, a ricordare l'altra relazione di Mussi: «Qui si mette a rischio la biosfera, le condizioni basilari di produzione e riproduzione della vita!».
Irremovibile, si augura almeno di non perdere le amicizie. «Ci terrei molto a salvare i rapporti personali. Quando nel '94 ci fu il ballottaggio D'Alema-Veltroni, andai da Massimo a dirgli: ho deciso, voto Walter. Lui non mi ha mai portato rancore». Portare rancore a Mussi è quasi impossibile: anche gli avversari gli riconoscono correttezza, simpatia e talento per le battute, riservate negli ultimi tempi al partito democratico (la migliore: «Fondere cristianesimo e illuminismo era il grande problema irrisolto di Kant; ora ci provano Fassino e Rutelli»). Se ne accorse anche Berlusconi, che dopo averlo schernito — «la sua faccia è una via di mezzo tra Hitler e un salumiere» — lo invitò a cena. «Fu una serata memorabile, una gara di battute» ha raccontato Mussi. Ieri Berlusconi appariva rilassato e disponibile, alle riforme e all'intervento in Telecom. Più preoccupato Mussi, che ha il problema dell'approdo. La coerenza socialista lo porterebbe verso il rinato Psi, dove però troverebbe De Michelis e le insegne del garofano. Più probabile l'accordo con Bertinotti, che socialista non è. Alla festa della ribollita si decide che è meglio restare al congresso ed evitare sceneggiate: «Siamo gente seria, noi». Il capo è chiuso in albergo a limare l'intervento, che si annuncia denso, colto, ricco di citazioni. Quell'altra volta aveva evocato Krugmann, Albraith, Adorno («In gioventù a me molto caro»), Tversky e Kahnemann: «Il presente immediato è governato dal cieco caso. Si gioca a dadi; ma il tuo numero non esce mai».

Corriere della Sera 20.4.07
Nessun fischio al Cavaliere. Via al disgelo
Berlusconi a Firenze applaude Fassino: discorso serio. Condivido il 95%, quasi quasi mi iscrivo al Pd
di Marco Galluzzo


FIRENZE — Si avvicina il dalemiano Latorre e gli stringe la mano e parlottano per due minuti. Gli vanno incontro il senatore Franco Debenedetti, il tesoriere diessino, Ugo Sposetti, lo accolgono con un sorriso e un benvenuto. Lui si fa strada fra i delegati e nessuno lo fischia. Si accomoda in terza fila e un centinaio fra fotografi e cameramen lo assediano, mandando in tilt la sicurezza a lui dedicata (i portuali di Livorno), all'aria alcune sedie, rischiando di far cadere a terra Gianni Letta, trasformando il suo ingresso in un happening. «Un'accoglienza da star», dirà l'ex sottosegretario di Palazzo Chigi, che più di tutti lo ha voluto al congresso dei Ds.
Berlusconi applaude il discorso di Fassino seduto in terza fila, con accanto Paolo Bonaiuti e Gianni Letta. Batte le mani al passaggio sulla legge elettorale, poi di nuovo quando il segretario ds parla di riforme condivise, per un Paese più civile, dove «l'avversario non è più considerarsi un nemico» e l'Italia può considerarsi stabilizzata. Sembra di assistere a un fotomontaggio ma è realtà: il Cavaliere applaude più volte Fassino, i due si parlano senza parlarsi, lui arriva a dire che «il 95% delle cose che ho sentito sono condivisibili, quasi quasi mi iscrivo anche io al partito democratico».
Per il ministro Mastella l'atmosfera «è quella dell'inciucio, vogliono farci fuori, noi piccoli partiti». Per chi assiste all'evento, strette di mano, gesti e parole descrivono un dialogo istituzionale fra Forza Italia e Ds nel pieno del suo svolgimento. L'ex premier sceglie di fare outing su Telecom, comunica in modo ufficiale la sua disponibilità, proprio sull'uscio del Palacongressi fiorentino. Chi ha voglia di immaginare scenari può sbizzarrirsi: il Cavaliere sdoganato dai ds, ha tentato di fare un passo indietro in politica e uno avanti negli affari, il conflitto di interessi che scolora, un assetto istituzionale diverso in cui le riforme danno attuazione a un accordo sotterraneo.
È l'esegesi possibile di una cronaca che vede Berlusconi ancora circondato da cameraman e cronisti all'uscita dal congresso. Alfredo Reichlin sbotta indispettito: «La sua presenza è un fattore di disordine». D'Alema segue divertito, con gli occhi, la bolgia. Lui continua a parlare, senza sosta: «È stata una platea civile. È uno stimolo per noi, se fanno il partito democratico anche noi realizzeremo presto un mio sogno, quello del partito della Libertà. A Fassino in ogni caso faccio tanti e sinceri auguri, ha fatto un discorso serio, responsabile». Poi però avverte, alludendo anche alla legge Gentiloni: «Spero che alle parole seguano i fatti».
Fra gli ospiti c'è il socialista europeo Martin Schultz: l'ex premier lo definì kapò, ne nacque un caso internazionale. Oggi è acqua passata, è lo stesso Schultz a dire «mi fa piacere rivederlo in un clima diverso». Anche Berlusconi continua a ripetere che c'è «un clima di transizione», che esistono le opportunità che «i partiti comincino a confrontarsi senza eliminarsi a vicenda», che «il bipolarismo può fare un passo avanti».
Oggi l'ex premier sarà di nuovo in veste di ospite, al congresso della Margherita. Assisterà al discorso di Rutelli. Per Mastella e altri della maggioranza ci sarà di nuovo «aria di inciucio».

Corriere della Sera 20.4.07
Bertinotti, fine settimana sul Monte Athos


MILANO — Il viaggio era stato fissato per il 23 e il 24 febbraio. Poi la bocciatura della mozione dell'Unione sulla politica estera al Senato e la conseguente crisi di governo con tanto di avvio di consultazioni al Colle, lo avevano convinto a rinunciare. E a malincuore aveva ammesso: «Il richiamo al dovere mi ha fatto restare qui. Ma se avessi avuto coraggio ci sarei andato, dicendo che ci sarebbe stata una ragione in più». Ora però, il fine settimana di riflessione tanto atteso è arrivato e neppure i due congressi di Ds e Margherita intralceranno i piani del presidente della Camera: domani e domenica Fausto Bertinotti visiterà i monasteri della repubblica teocratica greco-ortodossa del Monte Athos, nella parte più orientale della penisola Calcidica, in Grecia.
Con al seguito una delegazione ristretta e formata da soli uomini (i monaci proibiscono l'accesso delle donne nella loro repubblica), Bertinotti arriverà intorno alle 13 a Karies, la capitale, dove risiedono gli organi direttivi. Prima tappa, il monastero di Vatopedi, uno dei più antichi. Nel pomeriggio prenderà parte alla celebrazione dei vespri. Domenica, la sua giornata di preghiera inizierà alle 5.45, con il rito religioso nella cappella del monastero. Poi visita ai monasteri della Grande Lavra e di Simonos Petra.

Corriere della Sera 20.4.07
«Aversa, situazione grave verifiche sui pazienti reclusi»
di Livia Turco e Clemente Mastella


Una catena di morti (tre suicidi, due vittime dell'Aids), sovraffollamento (300 reclusi in una struttura che può ospitarne 170), degrado: il dramma dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, uno dei sei in Italia, è stato al centro di un reportage pubblicato sul Corriere della Sera di mercoledì. Ecco l'intervento dei ministri della Salute e della Giustizia.
Gentile direttore, in qualità di ministro della Giustizia e di ministro della Salute siamo convinti che le informazioni pubblicate dal Corriere della Sera, a proposito della situazione dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, meritino la più sollecita attenzione.
Il problema delle condizioni e del ruolo degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è oggetto di una seria riflessione da parte dei nostri uffici per riuscire a realizzare, al più presto, iniziative adeguate ad affrontare una situazione che è grave, sotto molti profili, ormai da lungo tempo.
Il primo e più urgente passaggio è costituito dalla piena attuazione del decreto legislativo 230/1999, che prevede il trasferimento integrale delle competenze in maniera sanitaria, ora assolte dall'Amministrazione penitenziaria, al Servizio sanitario nazionale e alle Regioni. In questo senso, concordiamo sulla necessità di accelerare, d'intesa con le Regioni, tutte le procedure utili allo scopo.
A nostro giudizio si impone, inoltre, una verifica rapida e puntuale della validità dei criteri che, per una quota degli attuali internati, determinano la permanenza negli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Appare, infine, indispensabile affrontare la questione centrale dell'imputabilità degli autori di reato, che forma oggetto delle direttive, di prossima presentazione, da parte della Commissione per la riforma del Codice penale insediata presso il Ministero della Giustizia.
Cordiali saluti,
Ministro della Salute
Ministro della Giustizia

il manifesto 20.4.07
Partiti nel vuoto
di Gabriele Polo


Un partito muore quando vengono meno i motivi per cui è sorto: forse questo devono aver pensato i dirigenti dei Ds. Un partito nasce quando dalla società ne emerge il bisogno: sicuramente a questo non hanno pensato i leader della Quercia avviandosi a sciogliersi nel nascente Partito democratico.
I due atti che vanno in scena a Firenze, morte e nascita, non conoscono soluzione di continuità, perché c'è da preservare la struttura (fuoriuscite a parte) e questo è già un giudizio di merito, insieme all'altro che - in realtà - è una constatazione: il futuro Pd avrà un consistenza elettorale che - nel migliore dei casi - sarà pari alla metà della somma delle due entità storiche che eredita, quella democristiana e quella comunista. Aritmeticamente è un disastro, ma è niente rispetto al prodotto di un pasticcio politico che viene rivendicato come balzo vero il futuro. Difficile spiegare simili incongruenze e tali masochismi se non con una constatazione e una riflessione.
La constatazione riguarda la genesi del binomio morte-nascita. Il Pd sarà il primo partito al mondo a nascere dal governo. Di solito avviene il contrario: si fa un partito, si pongono degli obiettivi e si cerca di portarli al potere. Qui, invece, il nuovo soggetto politico nasce dentro «il potere», per dare maggior stabilità al governo. E' il risultato di una concezione della politica per cui quest'ultima si può esercitare davvero solo stando al governo: chi è fuori non conta nulla. Una depravazione dell'agire pubblico, condita dall'oosessione della stabilità, che si è talmente impossessata dei professionisti della politica al punto da contagiare anche chi, all'estrema sinistra, finisce col pensare che la politica si possa fare solo dall'opposizione: governisti e oppositori sono vittime della una stessa logica, che esaurisce tutto nel «governo». Dimenticando quanto potere reale abbiano perso nell'era della globalizzazione le istituzioni rappresentative ed esecutive a scapito di poteri sovranazionali, dal mercato con le sue istituzioni alla cultura con i suoi cenacoli.
La riflessione (ma è soprattutto un terreno ricerca e di lavoro) è che la morte-nascita che si rappresenta a Firenze è solo un piccolo aspetto di una crisi cui manca una diagnosi. Crisi nel senso proprio del termine, momento di trasformazione profonda che non trova ancora uno sbocco chiaro: l'ingarbugliarsi guerrafondaio delle relazioni internazionali in quello che Wallerstein chiamava sistema-mondo, la riduzione del peso degli stati nazionali in assenza di nuovi organismi di governo reale, la dispersione sociale di ogni comunità, la preminenza del mercato incontrollato sul lavoro frammentato. Una tale «confusione» che porta un partito a sciogliersi perché chi lo compone non ne ritrova più il senso nel mondo cambiato e che porta alla nascita di un nuovo soggetto politico senza una qualsiasi barra. Così quel che resta è solo l'amministrazione confusa e un po' velleitaria di un presente che non sa scorgere futuro.
E' su quest'ultimo terreno - un campo fitto di individui ma privo di progetto, che si apre in Italia e nel mondo - che una futura sinistra dovrà lavorare. Per non ridursi all'essenza speculare del vuoto politico targato Pd.

il manifesto 20.4.07
Silvio applaude, Mussi no
Berlusconi è già innamorato: «Se il Partito democratico è quello tratteggiato da Fassino quasi quasi mi iscrivo». Fabio Mussi si commuove ma non ci ripensa, oggi l'addio dal podio
di Micaela Bong


«Siamo fatti di carne e sangue». Il segretario Piero Fassino ha terminato la sua relazione e Cesare Salvi esce subito dal palazzetto: «L'appello a restare? Vado a fumarmi una sigaretta e ci penso», risponde ironico. Ma Fabio Mussi, ancora in piedi all'estremità del palco, aspetta parecchi minuti prima di commentare. Verso l'uscita laterale del Mandela Forum di Firenze dove inizia il quarto e ultimo congresso dei Ds c'è ancora Silvio Berlusconi circondato da giornalisti, telecamere e fotografi che straparla e si concede a ogni inquadratura, a ogni microfono, a ogni taccuino. E il leader della sinistra diessina aspetta che torni la calma. «Siamo fatti di carne e sangue», dice allora a chi finalmente gli domanda se si è commosso quando il segretario si è rivolto a lui e a Cesare Savi nell'estremo appello a ripensarci. In quel momento sul maxischermo è apparso il ministro dell'università, un primo piano che sì, l'emozione la tradiva tutta. Ma prevalgono «la razionalità e la responsabilità politica». Nessun ripensamento dell'ultimo minuto, «non ci sono le condizioni politiche» e «qui si fa un partito che non sento mio, io ero per una grande sinistra in un grande Ulivo. Qui si fa un Ulivo più piccolo senza sinistra». Quello che una volta era il correntone uscirà. E anzi, anche dalla platea Mussi dice di aver sentito serpeggiare dubbi, la sensazione di uno «stato d'animo sospeso».
Strano congresso, in effetti questo. Fine di una storia, comunque la si voglia mettere, ma senza grandi entusiasmi. La parola d'ordine è futuro. I giovani, soprattutto i giovani in primo piano nei maxischermi che rimandano decine di «frame» di tg di tutto il mondo che poi lasciano il posto a altrettante facce, le persone in carne e ossa del Partito democratico. La ventiquattrenne Caterina, sciarpa lilla stile Gruber annodata al collo, che parla del muro di Berlino caduto quando lei aveva cinque anni, dei primi soldi guadagnati in euro e delle «grandi speranze» accese nei giovani con la vittoria dell'Unione. «La politica è un grande viaggio verso il futuro invece che una piccola stazione confinata nel passato», recita una voce fuori campo mentre sugli schermi scorrono a gran velocità le immagini di strade, campi, orizzonti indefiniti e Bob Dylan canta «Series of dreams», «stavo pensando a una serie di sogni dove niente arriva alla cima, tutto quanto sta giù dove è ferito e giunge a una sosta permanente». Non proprio il massimo, per il partito del futuro.
Giù, sotto una sorta di rampa da skate-board interrotta da uno schermo che da sopra il palco scivola verso il parterre, siedono le delegazioni dei partiti di maggioranza e opposizione. E siede Silvio Berlusconi, che entra quasi inosservato e appena si trova nella sala scatta il parapiglia. L'Udc D'Onofrio cerca di salvare il leader dalla valanga umana che gli si riversa addosso: «Faccio il servizio d'ordine», si dice da solo. Nessun applauso al Cavaliere, ovviamente, ma nemmeno fischi. Quando entra Piero Fassino, scatta l'applauso, ma non aria da ovazioni (l'applausometro dice: prima Finocchiaro, secondo Bersani). Il segretario saluta gli ospiti, ma quando Fassino stringe lungamente la mano a Berlusconi la scena si può vedere solo dal vivo e non su maxischermo come per gli altri. Una sapiente regia ha voluto evitare che il faccione del Cavaliere si tirasse dietro qualche fischio? Il «fair play» è comunque studiato. E i maliziosi pensano subito all'affare Telecom.
Ancora qualche minuto prima della relazione di Fassino. «Somewhere over the rainbow...», suona e risuona la colonna sonora del Mago di Oz mentre la strega cattiva dell'ovest, colui contro il quale l'Unione è riuscita per un soffio a vincere le elezioni siede tranquillamente tra i comunisti trasformandosi d'incanto nella strega del nord, la fata buona di Arcore. «Coraggioso», «responsabile» «serio», non si risparmierà il Cavaliere commentando l'intervento di Fassino. Mentre il segretario afferma che in politica non ci sono nemici, ma avversari, Berlusconi annuisce. Quando Fassino parla della necessità delle riforme, il leader forzista applaude.
Al Forum per ora Fabio Mussi aspetta. Aspetta di parlare, oggi, dal podio per il suo ultimo intervento da diessino. Sull'uscita laterale, Berlusconi è ancora lì a dire che il Partito democratico è «molto positivo», perché rafforza il bipolarismo. Il Cavaliere quasi quasi si iscriverebbe a questo Pd se non fosse che nella relazione di Fassino «non c'è stato alcun accenno critico al passato» e il segretario diessino «ha detto che porteranno le loro bandiere nel nuovo partito». Quelle bandiere per Berlusconi sono ancora un po' troppo. Per la sinistra della Quercia che fu sono invece troppo poco.

il manifesto 20.4.07
Quell'anarchico di nome Kafka
Un Kafka tutto politico contro la macchina dell'oppressione. Quella esercitata dallo stato e dalla legge e quella che infliggiamo a noi stessi. In un saggio di Michael Löwy la potenza ribelle dello scrittore praghese
di Mario Pezzella


Un uomo ribelle, ironico, con simpatie sovversive: questo l'inconsueto ritratto di Kafka, come emerge dal libro di Michael Löwy Kafka, sognatore ribelle (Eléuthera, pp. 136, euro 13). Löwy ricorda i contatti di Kafka con gli ambienti anarchici praghesi e la «passione antiautoritaria», da cui prende origine la sua opera letteraria. La sua ribellione contro l'autorità patriarcale possiede una dimensione storica e politica, presente anche nei romanzi maggiori. Il Processo - secondo Löwy -, oltre ad essere un resoconto di disperazione esistenziale, compie una critica radicale del potere burocratico, che domina lo stato del Novecento. L'autorità contestata da Kafka non è solo quella familiare e paterna, ma è l'impersonale e anonima burocrazia, che la sostituisce in forma sempre più radicale nel corso del secolo passato (come mostreranno gli studi sull'autorità e la famiglia della Scuola di Francoforte). Sembra che Kafka abbia affermato in una conversazione: «Le catene dell'umanità torturata sono di carta protocollo», riferendosi agli immani meandri e apparati amministrativi dello stato moderno, in cui l'individuo viene stritolato come una rondella insignificante. Il «Castello» dell'omonimo romanzo è il simbolo stesso di questa anonima impenetrabilità. Secondo Löwy, i romanzi di Kafka descrivono il passaggio epocale da un'autorità fondata sulla dipendenza personale, ad un potere astratto che si impone «come il meccanismo impersonale del congegno» (Löwy), destinato a uccidere i condannati nel racconto Nella colonia penale.
In realtà, più che ad una completa eliminazione del potere arcaico e personale assistiamo nell'opera di Kafka al suo inedito connubio con una tecnologia «sofisticata, moderna, esatta, calcolata, razionale» (Löwy). Il più arcaico e il più moderno si fondono nell'ottusa brutalità dei funzionari kafkiani, che sono nonostante tutto i rappresentanti di un'autorità astratta e insondabile. Come già aveva osservato Walter Benjamin nel suo saggio su Kafka, il diritto e la burocrazia sono le incarnazioni moderne del destino, che impedisce la libertà e l'autodecisione. La reificazione burocratica è un'espressione di quella generalmente imposta dal capitalismo, di cui sembra che Kafka abbia affermato: «Il capitalismo è un sistema di dipendenze che procedono dall'alto al basso e dal basso all'alto. Tutto è dipendente, tutto è concatenato. Il capitalismo è una condizione del mondo e dell'anima».
Una lettura così dichiaratamente politica dell'opera di Kafka non esclude tuttavia altri piani di lettura - teologico, esistenziale, psicoanalitico -, collocandoli in una prospettiva critica e non convenzionale. Così, la meditazione teologica di Kafka non ha nulla in comune con le rassicuranti interpretazioni del suo amico Max Brod, per cui il Castello rappresenterebbe la Grazia o il governo di Dio. Come già avevano intuito Adorno e Benjamin, quella di Kafka è una teologia radicalmente negativa, in cui ogni Legge ed ogni Chiesa positiva hanno perso intima vitalità e si sono trasformate in apparati astratti al servizio del potere. «La non-presenza di dio nel mondo e la non-redenzione degli uomini», caratterizzano secondo Löwy la teologia negativa kafkiana. Come Benjamin, egli crede tuttavia in una «debole forza messianica», che sarebbe rimasta in possesso dell'umanità e sosterrebbe la sua resistenza contro il male e l'apparato del dominio. Come Bloch, Scholem e lo stesso Benjamin nei primi due decenni del secolo, Kafka è incline a una sorta di paradossale «anarchismo religioso»: la redenzione messianica richiede la cooperazione dell'uomo e questa si manifesta innanzittutto nella distruzione degli apparati di costrizione e di potere: «Il Messia verrà solo quando non sarà più necessario», scrive in tal senso Kafka in un aforisma del 1917, «non all'ultimo, ma all'ultimissimo giorno».
Anche l'ebraismo di Kafka va considerato alla luce della sua passione antiautoritaria. E' probabile che nella stesura del Processo Kafka sia stato influenzato da alcune condanne per «omicidio rituale», e dall'antisemitismo morboso che ne era derivato (in particolare quella contro Mendel Beiliss, del 1913). Esse gli ponevano innanzi in modo inconfutabile la maledizione del paria, che poteva colpire alla cieca e in modo irrazionale ogni ebreo (questa nozione è al centro di un grande saggio di Hannah Arendt del 1944). Tuttavia, questa condizione viene da lui progressivamente universalizzata. K. nel processo rapresenta la condizione ebraica, eppure allo stesso tempo la sorte che sempre più frequentemente può toccare ad ogni individuo sottoposto agli apparati giuridici della modernità. I romanzi di Kafka sono scritti «dal punto di vista dei vinti» (Löwy) e descrivono la reificazione che invade ormai ogni piega dell'esperienza soggettiva, senza risparmiare quel «foro interiore», che perfino Hobbes riteneva intangibile dalla violenza del potere. La corruzione della più intima soggettività è l'aspetto più inquietante dell'opera kafkiana, che Arendt ha indicato come interiorizzazione della colpa e identificazione con l'aggressore.
Alla fine del Processo, K. si lascia uccidere quasi senza reagire, come rassegnato e convinto della propria colpa. In realtà, per quel poco che sappiamo della sua vita, egli non è colpevole per avere resistito o trasgredito a qualche legge, ma per aver partecipato senza protesta all'apparato anonimo e impersonale, che ora lo colpisce personalmente. Burocrate egli stesso, K. è solitario, narcisista e indifferente alla sorte degli altri. Egli ha compiutamente interiorizzato la legge dell'apparato, prima di subirne e comprenderne sul suo corpo la cieca violenza. Il male compiuto da K. è una «banale» pertecipazione all'indifferenza e alla passività collettiva, come quelle che poi realmente permetteranno la creazione dei totalitarismi e dei campi di sterminio. Il romanzo descrive il risveglio doloroso della sua coscienza e la sua tardiva decisione a lottare. Come spesso Kafka ripete nella sua opera, il rinvio e la sospensione indefinita conducono a perdere l'attimo propizio, che precipita inesorabilmente nel tempo mancato.

Uno stralcio dal discorso di Fassino del 19.4 al PalaMandela di Firenze:

«(...) C’è qui, dunque, un ampio appassionante terreno di ricerca, confronto e incontro che consente anche di aprire una nuova stagione del rapporto tra credenti e non credenti.
Ed è per questo che non guardiamo con ostilità al Family Day promosso da un gruppo ampio di associazioni cattoliche, con le quali ci interessa al contrario interloquire.
Così come – nel rispetto delle autonomie di pensiero e di ruoli – serve una nuova stagione di confronto tra fede e politica.
Né ci spaventa e ci preoccupa che il mondo cattolico, le sue istituzioni sociali, la Chiesa si manifestino con maggiore assertività.
Semmai tutto questo deve sollecitare la politica ad essere all’altezza delle sfide culturali e morali che anche dal mondo cattolico ci vengono poste.
Le nuove frontiere della scienza, della ricerca e delle tecnologie ci hanno condotto in un tempo in cui la vita, la morte, la riproduzione sono affidati sempre di più all’intervento dell’uomo e del suo sapere.
E ciò suscita – sia in Benedetto XVI, sia in un non credente come Habermas – interrogativi etici, culturali, antropologici a cui tutti siamo chiamati a dare risposte, promuovendo una nuova stagione di ricerca culturale e di dialogo tra culture e religioni.
Anche per questo serve un grande Partito Democratico, di donne e uomini liberi, credenti e non credenti, mossi dall’unico intento di affermare valori di uguaglianza, di giustizia, di solidarietà, di dignità.
Qui sta la vera difesa della laicità. Che non consiste nella riproposizione di antichi e anacronistici steccati. Ma nella comune ricerca di un nuovo umanesimo, di un pensiero nuovo, capace di suscitare comuni, innovative risposte alle grandi questioni che interrogano l’intelligenza e la coscienza dell’umanità contemporanea.
Solo la politica capace di alimentarsi a questa ricerca comune è una politica forte, autonoma e quindi laica.
E d’altra parte il rapporto con il mondo cattolico rappresenta una delle grandi costanti della politica italiana.
E le modalità con cui il mondo cattolico ha organizzato e realizzato la sua presenza politica ha sempre segnato la storia italiana, sia quando vi è stato un partito come la Democrazia Cristiana, fondato sul presupposto storico dell’unità politica dei cattolici, e sia quando, come oggi, quel partito non c’è (...)».


Corriere della Sera Roma 20.4.07
Filosofia, voci di confine
Diciotto tavole rotonde e due controversie sulla laicità


È dedicato al tema dei Confini il Festival della Filosofia, che quest'anno ha in progetto diciotto tavole rotonde, sette «Lectio Magistralis», due controversie, sei incontri su pensatori di confine, quattro incontri su voci di confine, cinque caffè filosofici. Nei numerosi appuntamenti si alterneranno pensatori, intellettuali e scrittori. Come Marc Augé, Marco Bellocchio, Remo Bodei, Andrea Camilleri, Luciano Canfora, Franco Cordero, Giulio Giorello, Hanif Kureishi, Piergiorgio Odifreddi, Tariq Ramadan, Fernando Savater. Curata da Paolo Flores d'Arcais e da Giacomo Marramao, docente all'Università Roma Tre, la rassegna affronta un tema che rappresenta un nodo nevralgico del nostro presente: il confine come luogo dell'emancipazione, «la soglia lungo la quale si può e si deve vivere l'esperienza necessaria e irrinunciabile dell'avventura umana, politica e civile».
Tra le novità di quest'anno, le due controversie filosofiche sul tema della laicità, che vedranno il 9 maggio Paolo Flores d'Arcais a confronto con Giuliano Ferrara e il 23 maggio Hanif Kureishi, scrittore e regista anglo-pakistano laico e contrario alle scuole religiose, dibattere con Tariq Ramadan, docente universitario svizzero e intellettuale islamico moderato. «Avremmo voluto organizzarne di più - ha annunciato Flores d'Arcais - ma abbiamo chiamato moltissimi cardinali, vescovi e biblisti e tutti ci hanno detto di no. Anche molti filosofi famosi non gradiscono il confronto, che invece dovrebbe essere il sale della filosofia. Ci teniamo a farlo sapere, per non essere poi accusati di laicismo fondamentalista».
Nuovo anche il concerto «Il suono del Logos», che verrà eseguito in prima assoluta la sera del 10 maggio nella sala Petrassi, con «cantate filosofiche» composte da sei musicisti contemporanei, da Luca Francesconi a Helmut Oeringh, ispirati ai volti e alle voci di altrettanti pensatori, da Norberto Bobbio a Oliver Sacks. Tra gli spettacoli, sono ancora da segnalare l'opera teatrale «Io, Charles Darwin, tracce e voci della mia vita», tratta dall'autobiografia dello scienziato che ha teorizzato l'evoluzione della specie, e le «Quattro cosmicomiche di Italo Calvino» con la narrazione recitata e concertata da Graziella Galvani.
Altra novità di quest'anno, l'entrata a pagamento: di due euro per il publico generico e di un euro per gli studenti. Decisa, come hanno spiegato il presidente di Musica per Roma Gianni Borgna e l'amministratore delegato Carlo Fuortes, per evitare «i problemi del troppo successo», come è accaduto per il Festival della matematica, quando fuori dalle porte dell'Auditorium si sono accalcati centinaia di studenti che alla fine non sono riusciti a entrare. Adesso i numeri sono contingentati e chi vorrà entrare potrà acquistare i biglietti già dai prossimi giorni e organizzarsi un palinsesto personale di eventi.
Organizzate sul tema di Confini anche le lezioni di yoga, le attività per i bambini programmate dall'assessore Maria Coscia, la rassegna di cinema con sette film scelti da Edoardo Bruno, la mostra di Gianfranco Baruchello che espone un'opera lunga quindici metri.
CONFINI. FESTIVAL DELLA FILOSOFIA. Auditorium Parco della Musica, tel. 06.80241281. Dal 9 al 13 maggio