martedì 24 aprile 2007

il Riformista 24.4.07
Francia. Doppio turno
L'ultrasinistra soffre e recrimina
Prc E PdcI guardano al Sudamerica, non al Pse
La sinistra radicale ammette la sconfitta
Solo i trotzkisti esultano per il loro candidato
di Ettore Colombo


Non è piaciuto né punto né poco, il risultato del primo turno delle presidenziali francesi alla sinistra radicale italiana, specie dalle parti di Rifondazione. Il problema non sta tanto nel (disastroso) risultato raccolto dai candidati a sinistra della Royal, risultato che anche se si sommano tutti i contendenti peraltro non ha fatto gioire proprio nessuno, tra i partiti della sinistra a sinistra del pd, ma anche nei suoi effetti indotti. Quelli del meccanismo elettorale a doppio turno che i maggiorenti dell'Ulivo vorrebbero importare anche in Italia. Il segretario del Prc Franco Giordano lo dice chiaro, via agenzie e parlandone con i suoi. Alle prime, stabilito che il ballottaggio «chiama la sinistra francese a una sfida unitaria per allargare il consenso intorno alla Royal», spiega che «l'affermazione dell'Udf di Bayrou ripropone le aporie di un bipolarismo che rischia di svuotarsi nella sfida per l'inseguimento al centro e che rivela i limiti intrinseci del sistema a doppio turno». Parlando con i suoi indica tutti i pericoli di un sistema elettorale basato solo sulla negoziazione dei posti, sulla contrattazione del potere, e di accordi per il secondo turno «fatti con la pistola alla tempia, per la sinistra, dove l'unica possibilità è quella di turarsi il naso e votare», ma soprattutto temendo uno scenario - brutalmente prospettato dall'intervento del presidente del Senato Marini - in cui «la maggioranza di una minoranza vuole decidere di volta in volta con chi allearsi in modo spregiudicato, e magari cominciare a trattare la sinistra alternativa come un orpello, mentre noi al confronto con il cattolicesimo democratico, all'interno dell'unica alleanza possibile, l'Unione, siamo seriamente interessati».
Ecco perché Rifondazione, dove peraltro le simpatie per il Pcf, già scarse anni fa, nonostante i due partiti siano alleati nel gruppo del Gue all'Europarlamento e nel progetto Sinistra europea, si sono ormai ridotte quasi allo zero («si tratta di un partito morto», si sente dire) punta al modello elettorale tedesco e teme come la peste il doppio turno.
I Verdi italiani, che naturalmente appoggiano la scelta dei Verdi francesi - la cui candidata Domenique Voynet si è fermata a un modesto 1,5% ma ha già annunciato di voler votare per la Royal - seguono lo stesso filo del ragionamento di Giordano. Criticano, cioè, con il capogruppo alla Camera Angelo Bonelli il doppio turno, definito «un elemento negativo che favorisce la frammentazione a sinistra né dà garanzie di governabilità e pluralismo».
Se Sagunto, e cioè Prc e Pdci, i (presunti) omologhi italiani del Pcf francese, la cui candidata Marie-George Buffet si è fermata al 2%, in crollo anche dalla già disastrosa volta precedente (3,7), piange, Roma però non ride. Vanno male, infatti, anche i due candidati trotzkisti, anche se con una differenza sostanziale: Arlette Laguiller, storica pasionaria di Lotta Operaia, precipita all'1,5 (aveva il 5,2%), mentre il postino trotzkista Olivier Besancenot, leader della Lega comunista rivoluzionaria, non va oltre il 4,1%. I trotzkisti italiani, però, esultano anche perché, in questo caso, i legami della IV Internazionale (la cui “centrale” sta proprio a Parigi) pesano e Besancenot è nei loro cuori. «L'Arlette si è candidata per la sesta volta dal '74 e il suo partito è davvero una setta chiusa - spiega Salvatore Cannavò, deputato del Prc e leader della minoranza (in rotta aperta col partito) “Sinistra critica” - mentre Besancenot è l'unica forza in piedi a sinistra della Royal e in termini di voti assoluti è pure cresciuto. Oggi chiede un voto anti-Sarkozy, più che pro-Royal, per battere le destre e fa bene. L'idea della gauche plurielle, invece, tanto cara a Bertinotti, e cioè l'unità delle sinistre tra Pcf e Ps perseguita per anni, ma anche il progetto di Sinistra europea ne esce massacrato. Con il meccanismo del voto utile il Prc rischia la fine del Pcf».
Nello stato maggiore di Rifondazione, naturalmente, ci credono eccome, invece, nel progetto Sinistra europea, e ne stanno preparando alacremente il lancio per il 16 e 17 maggio a Roma. Se però Uniti a sinistra, il rassemblement che fa capo a Pietro Folena, ha chiesto lo status di osservatore al Pse e intreccia i rapporti più stretti con l'area di Mussi e Salvi (il 29 ci sarà un'assemblea comune), anche in tema di analisi sul voto francese, più di qualche accenno a rapporti «positivi» con le sinistre socialiste e socialdemocratiche europee non si strappa, parlandone al responsabile Esteri del Prc Fabio Amato, che preferisce puntare le sue carte e le sue speranze - come peraltro fa anche il responsabile Esteri del Pdci Jacopo Venier - sul Foro latinoamericano di San Paolo, dove si raccoglie il meglio, a loro dire, della sinistra radicale, socialista, comunista, cattolica e ambientalista (in una parola: altermondialista) di un continente che fa ancora sognare i “new comunist” all'italiana perché vince e governa, ma da posizioni anti-liberiste, pacifiste, populiste e anti-statunitensi.
«In Francia difficilmente sarebbe potuta andare peggio, a sinistra: la frammentazione si paga ma è stato un errore politico», spiega Amato, «lì l'obiettivo dell'unità a sinistra resta da perseguire mentre in Europa e nel mondo il discrimine per noi resta sempre lo stesso: il no alla guerra e al neoliberismo. Ecco perché il Pse e la stessa Internazionale socialista non ci bastano». Per Amato, in ogni caso, nel progetto Sinistra europea sono coinvolte anche forze della sinistra socialista e socialdemocratica: oltre alla Linke tedesca, dagli olandesi ai nordici, dai portoghesi ai greci. Forti dubbi nutre, sull'argomento, Venier del Pdci, partito che sta dentro il Gue e che verso Sinistra europea ha lo status dell'osservatore: «E' un luogo parziale, che divide quello che il Gue unisce, senza dire che quasi tutti i partiti della sinistra alternativa nordica e di altri paesi non vi partecipano». Ma in questo caso si torna nelle beghe interne italiche, quelle tra Pdci e Prc. Venier in ogni caso è molto più critico e severo nei giudizi: in particolare sulla mancanza di una «candidatura unitaria della sinistra già dal primo turno, in Francia, sull'esito triste che segna il destino del Pcf e sull'illusione della sinistra alternativa francese che ha condotto una dura battaglia contro la costituzione europea senza peraltro riuscire a capitalizzare quel risultato».
Non ha dubbi, invece, il senatore Cesare Salvi, leader con Mussi della minoranza Ds: «Il voto francese dice innanzitutto che il socialismo è vivo e vegeto, alla faccia di Rutelli, ora si tratterà di vedere se il voto francese si riposizionerà definitivamente sull'asse destra-sinistra, al ballottaggio. Poi, certo, a sinistra c'è il problema di fare, come direbbe Bertinotti, “massa critica”: i voti a sinistra della Royal se sommati stanno poco sotto il 10% ma si sono divisi. Gli elettori, anche in Italia, chiedono una sinistra capace di vincere e su cui contare. Una lezione importante, quella francese, e tutta da approfondire». Sistema elettorale permettendo.

Repubblica 24.4.07
Il leader di Sinistra Democratica: d'ora in poi le questioni di maggioranza dovranno essere trattate con noi
Mussi avvisa premier e alleati "Anche noi al tavolo dell'Unione"
di Umberto Rosso


ROMA - Adesso, c´è anche l´annuncio ufficiale. «Sì, ci saranno rappresentanze istituzionali del nostro movimento. In Parlamento, così come in giro per l´Italia, negli enti locali. A breve perciò nasceranno i nuovi gruppi alla Camera e al Senato». Consumato a Firenze l´addio ai Ds e al Pd, «senza torte in faccia, con grandissima civiltà», Fabio Mussi e (l´ex) correntone della Quercia sono alle prese con il day-after. E "Sinistra democratica" chiede già di aggiungere un nuovo posto al tavolo del centrosinistra.
Ministro Mussi, anche voi d´ora in poi ai vertici e alle trattative di maggioranza?
«Credo proprio di sì. Siamo una parte del centrosinistra, e al tavolo dobbiamo esserci. Non voglio che sia un seggio permanente, perché lavoriamo ad un movimento più grande, ad un big-bang di tutta la sinistra che non si riconosce nel Pd. Ma è certo che, avendo un ruolo parlamentare rilevante, dovremo poter dire la nostra».
Nuovo partito, e nuova frammentazione sotto il cielo dell´Unione.
«Inevitabile, con la nascita del Pd. Ma li vogliamo accendere i riflettori su quel che è successo davvero al congresso della Margherita?».
Accendiamoli.
«Rutelli annuncia, abbracciando Fassino: il Partito democratico è già qui. Ma come, e le architetture della Costituente, il processo allargato, e il motore che aspetta la potente benzina delle primarie? Niente. Già fatto. Il Pd è nato. Adesso non gli resta che la battaglia per stabilire chi comanda. E che dire di Franco Marini?».
Parliamone.
«E' stato chiaro: il Pd dovrà tenersi le mani libere nelle alleanze di governo».
Nella prossima legislatura, ha precisato.
«Certo, mica penso che Marini punti adesso al ribaltone. Ma i partiti non si fanno per una legislatura, l´orizzonte balistico è più ampio, nascono per durare. Domando: il Pd non doveva essere il timone riformista del centrosinistra? In Italia, lo abbiamo già avuto un grosso partito di centro che "guardava" a sinistra, e che per 50 anni ha lungamente governato alleandosi però ora con la sinistra ora con la destra. Si chiamava Democrazia cristiana».
Partito democratico uguale Dc?
«La formula delle mani libere di Marini lascia intuire nelle intenzioni un Pd che tende ad esercitare la funzione che fu della Dc, con alleanze ora di qua ora di là».
Forse sarà un sogno della Margherita. E sotto la Quercia?
«Già, i Ds. Che ne pensano? Chi lo sa. Un silenzio assordante. Nessun commento, neanche una parola sull´intervento di Marini. Eppure Fassino era seduto in prima fila, al congresso dielle di Cinecittà».
Se restava qualche dubbio sull´addio, il congresso della Margherita l´ha spazzato...
«Ha confermato in pieno la mia scelta di Firenze».
Dove ha parlato di "due" costituenti. Però quella del Pd è comunque in marcia. E la vostra, ministro?
«Ci siano appena messi in cammino. Non per aggiungere un nuovo partitino ad un arcipelago di sigle già affollato. L´obiettivo immediato è la costituzione di un movimento politico, al quale chiediamo l´adesione di iscritti ai Ds, intellettuali, compagni rimasti alla finestra, della grande area di sinistra "liberata" dal progetto centrista del Pd. Il 5 maggio prossimo, nella prima assemblea di "Sinistra democratica", eleggeremo gli organismi provvisori. Dopo l´estate, la struttura definitiva».
E i rapporti con i partiti della sinistra? Con Boselli o con Giordano?
«Il nostro movimento punta ad aprire un processo, a far da sponda, ad innescare un big bang di trasformazione e di aggregazione di tutta la sinistra. Se non avessi il senso del limite e della misura, parlerei di una Epinay italiana. Immagino un centrosinistra basato su due pilastri».
Quali sono?
«Uno è il Pd. L´altro la sinistra. Le aspettative di un Pd che può contare quasi su tutto lo spazio del centrosinistra, francamente mi sembrano esagerate. Per fare maggioranza di governo, ho l´impressione che serviranno altrettanti voti di quelli portati dal nuovo partito di Rutelli e Fassino».
Intanto, via libera ai gruppi parlamentari autonomi del correntone. Nome?
«Ne discuteranno i delegati. La proposta resta "Sinistra democratica"».
Simbolo? Si "libera" la Quercia, sta per sparire dal logo ds...
«Non è libera, apparterrà comunque a Fassino. In ogni caso, bisogna costruire cose nuove. I vecchi edifici a questo punto sono tutti crollati».
Non parliamo perciò di falce e martello.
«A quella ho rinunciato nel 1989».
In pista come Sd alle ammistrative di maggio?
«Troppo presto. Il quadro, piuttosto, sarà variegato. In alcune città, vedi Taranto, i nostri saranno candidati nelle liste civiche. Altrove con l´Ulivo. In altre città ancora nelle liste Ds».
Nessun disagio a trovarsi ancora sotto lo stesso tetto, dopo la scissione?
«No, perché l´obiettivo comune è far vincere il centrosinistra. E daremo una mano, visto che abbiamo una nostra forza anche elettorale».
Dopo, faranno gruppo a sé consiglieri comunali del correntone?
«Vedremo, caso per caso. Non sarà una questione dirimente. Del resto, c´è sempre un´elezione alle porte. Dopo il voto di maggio, ecco il successivo turno di amministrative. E poi le europee. Hai voglia. Qualunque cosa si faccia, c´è sempre a ridosso un´altra elezione... ».

Repubblica 24.4.07
Bertinotti sul monte Athos preghiere, silenzi e palmari
di Goffredo De Marchis


"Si sente la diversità, ma non esistono più aree protette, separate dal resto del mondo" Le telecamere del Tg1 ammesse alla visita
Il presidente della Camera per due giorni dai monaci

ROMA - Pranzo alle otto di mattina con pesce, formaggio, patate e vino rosso. Pasto successivo alle sette di sera. In mezzo tanta preghiera, il raccoglimento nel silenzio, le funzioni religiose. Per due giorni, sabato e domenica, Fausto Bertinotti ha vissuto la vita dei monaci del monte Athos, la comunità ortodossa che ha creato un´enclave autonoma all´interno della penisola greca. Raccolti intorno alla montagna, vivono, in 20 monasteri, 1500 monaci. Zona off limits per le donne e anche per gli animali di sesso femminile. Non ci sono né mucche né capre. Lontani da tutto, in un´atmosfera ascetica, i religiosi tengono viva una tradizione antichissima. E il presidente della Camera ha deciso di venire a vedere. «Ci sono più cose in cielo e in terra di quelle contenute nella nostra immaginazione», ha spiegato ieri al Tg1 citando Shakespeare. Lo ha spinto la curiosità, lo ha colpito il fatto che nemmeno lì, in mezzo alla penisola su cui sorge il monte Athos, si possa tenere a distanza la modernità. Mentre visitava con la delegazione un monastero (c´era il portavoce Fabio Rosati e il direttore di Radiorai Sergio Valzania, coautore del libro "La città degli uomini") un religioso con la tipica barba ha tirato fuori un palmare. Proprio lì dove non è ammessa la televisione. Con qualche eccezione, visto che il presidente della Camera è riuscito a farsi seguire dalle telecamere del Tg1, che ieri sera hanno mandato in onda un servizio sulla visita. Con tanto di nota di rammarico della conduttrice Tiziana Ferrario che ha sottolineato come purtroppo quei monasteri siano off limits per le donne.
Bertinotti ha partecipato alla preghiera, seduto accanto all´abate, in prima fila. È un altro pezzo del personalissimo mosaico bertinottiano, una parte del suo percorso spirituale mai nascosto. «Sono in ricerca», disse qualche anno fa. Un ateo attento alla profondità della fede. Disse anche, quando era il leader di Rifondazione, che il primo giornale letto la mattina era l´Osservatore romano. A breve a Montecitorio verrà inaugurata la sala di meditazione aperta a tutti gli abitanti del Palazzo che lui ha voluto. «Eppoi - ha spiegato dopo la visita - qui c´è una cura particolare delle radici. Si celebrano adesso i mille anni della comunità. Anch´io penso che le radici siano importanti per guardare al futuro».
È proprio il senso di futuro ad averlo colpito, in una terra che dovrebbe essere ferma nel tempo, distante dalla modernità, più attenta all´antico che al progresso. «È vero, sul monte Athos si sente la diversità di un´esperienza. Ma non esistono più aree protette, non c´è un luogo che possa davvero essere separato dal resto del mondo, oggi».
Bertinotti ha soggiornato nel monastero di Vatopedi, nella stanza dove dorme Carlo d´Inghilterra che ama questi luoghi. L´unica con il bagno privato. Al principe è stata dedicata una teca nel museo della comunità con tutti i regali fatti negli ultimi anni. Anche il presidente della Camera ha portato un piccolo omaggio: una mappa della penisola con l´Athos in evidenza. Ha visitato quattro monasteri, ha parlato con gli abati, con i monaci. Ne ha incontrato uno che era stato comunista, partigiano, esule durante la dittatura dei colonnelli. «Siamo due compagni», hanno scherzato abbracciandosi. E hanno discusso a lungo di Sarkozy. «Il mondo globalizzato - ha osservato - spinge questi monaci a non chiudersi completamente e spinge una persona come me a vedere un altro aspetto della vita. Questo ci obbliga a riflettere. I monaci sono gelosi delle loro tradizioni, dei loro riti, della loro storia ma vogliono anche aprirsi». Del resto, la parola più ascoltata nella breve visita è stata «sperimentare», ha raccontato Bertinotti. «Dobbiamo farlo tutti, soprattutto in questi tempi».

Corriere della Sera 24.4.07
Addio unione di sinistra
La partecipazione al voto e il crollo delle estreme
La sinistra può vincere solo insieme al centro
di Bernard-Henri Lévy


La prima bella sorpresa di queste elezioni è chiaramente il tasso di partecipazione. Qualcosa che non si era mai visto prima sotto la Quinta Repubblica francese. Di inaudito in questi ultimi trent'anni e più, dacché osservo le campagne per le elezioni presidenziali.
Questo popolo che si diceva stanco, sfiduciato, depoliticizzato, queste maggioranze indecise, quest'Homo politicus in agonia che avrebbe dovuto cedere il passo al telespettatore e al blogger, ebbene no, questo popolo vive e ci parla — come dirlo altrimenti? — di tutto il suo amore per la politica. Ripenso al Kant di «Che cos'è l'Illuminismo». Ripenso all'ingresso nell'età adulta, senza tutori, del cittadino emancipato, libero dalle catene del pensiero preconfezionato. Finalmente!
La seconda bella sorpresa è Le Pen. Non è mai caduto così in basso. La sua ascesa, che si credeva irresistibile, è stata chiaramente bloccata. Certo, si può anche cavillare. Si può spiegare che non serve a niente sfidare il Front national se non per salvare le proprie tesi. Sia pure così. Ma alla fin fine… non è meglio, tutto sommato, il fantasma del Fn nella testa di qualcuno che non vi appartiene? E si può ripetere, come noi facciamo da vent'anni, che tra l'originale e la sua copia gli elettori scelgono sempre l'originale e, quando smentiscono i pronostici, non si può non riconoscerlo lealmente e felicitarsene? Io non ho mai votato, e non voterò mai, per Nicolas Sarkozy. Ho votato e voterò per Ségolène Royal.
Ma qui si avverte, che lo si voglia o no, e a ragione, l'effetto della strategia del candidato dell'Ump.
La terza bella sorpresa è l'estrema sinistra. Non ho le cifre alla mano delle elezioni precedenti. Scrivo a caldo e non ho i dati esatti. Ma il cospirazionista Bové all'1 per cento, la Laguiller che finisce la sua vita politica su un risultato sconfortante, e il Partito comunista che tocca un livello così basso da mettere in dubbio la sua sopravvivenza: per un antitotalitario che si rispetti, che bella notizia! Per tutti coloro che non si sono ancora convinti che un totalitarismo di sinistra è meglio di un totalitarismo di destra, quale liberazione! Questa liberazione, questo successo, lo dobbiamo all'altra grande vincitrice della serata, la raggiante Ségolène Royal. Anche questo va detto.
La quarta bella sorpresa — dovuta al terzo uomo della campagna presidenziale, François Bayrou — è la comparsa, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, di un centro degno di questo nome. Non il centro di Barre del 1988. Non il centro di Balladur del 1995. Un vero centro. Un vero terzo partito, centrista, dotato di valori e di principi propri. Gli manca ancora, certamente, una forma. Un nome. Il suo posto esatto sullo scacchiere. Deve ancora esplorare compiutamente la sua logica e dire, con fermezza, che non si tratta semplicemente di una «seconda destra», come sospettano alcuni. Ma se farà questo passo, se sarà capace di rompere, tutto cambierà. Ed è vero che, grazie a lui, l'alternanza sarà possibile.
Corollario di tutto questo è che Michel Rocard, Bernard Kouchner e Daniel Cohn-Bendit avevano visto giusto. Troppo in anticipo, forse. Ma avevano ragione. Perché se si allineano tutti i fatti, ciò che precede con quello che segue, se si ripensa alla breccia di Bayrou e al crollo dell'estrema sinistra, la conclusione è inevitabile: la sinistra non ha più la maggioranza di governo con l'appoggio dell'ala estrema; le strategie dette di sinistra pluralista o, peggio, dell'unione della sinistra, appartengono al passato; la sinistra, per dirla in altre parole, può vincere, ma lo farà soltanto alleandosi chiaramente, senza riserve, con questo terzo partito centrista. Un tempo c'era il programma di Maurice Clavel: spezzare la sinistra per vincere la destra. Quello di Claude Lefort: sbriciolare l'omonimia che dà lo stesso nome — «la sinistra» — agli eredi di Lenin e di Jaurès. Finalmente, siamo arrivati. Finalmente, usciamo dagli anni di piombo del socialismo e del marxismo.
Lo sa Mme Royal? Farà lei stessa quei gesti, molto presto, per dimostrare che l'ha capito? Una frase, una sola, rivolta a François Bayrou e a quei sei milioni di elettori che, in gran numero, sono pronti a unirsi a lei… Una frase, una sola, rivolta a Dominique Strauss-Kahn, del quale non smetto di ripetere — e me ne scuso con i miei lettori — che è l'incarnazione, accanto a lei, di questo rinnovamento e stringe in mano le chiavi del successo… Che pronunci queste due frasi, che scuota, pronunciandole, gli arconti del proprio partito, e che sappia cambiare il volto della Francia per vincere.
Perché dimenticavo l'essenziale. Lo stile di Ségolène Royal. Il suo fascino. Questo piglio, decisamente nuovo, di fare la politica e di dirla. La sua grinta. La sua tempra. Questa ostinazione salda che ha saputo superare i trabocchetti e le imboscate che le sono giunti, come capita spesso, dal suo stesso partito. A causa di tutto questo, a causa anche degli impegni presi nei confronti dell'Europa, a causa della sua volontà di farsi messaggera di una Francia che sia innanzitutto un'Idea e che porterà in ogni angolo del mondo, come dice lei, il messaggio dei diritti dell'uomo e dei Lumi, a causa di tutto questo, sì, e nella speranza, voglio ripeterlo, che sappia osare le parole per esprimere questa sinistra moderna, liberale, riformatrice che il Paese aspetta e merita, Ségolène Royal resta — naturalmente — la mia candidata.

(Traduzione di Rita Baldassarre)

Corriere della Sera 24.4.07
L'illusione di inventare una Francia all'italiana
di Massimo Franco


È come se stessero cercando nei risultati francesi conferme alle proprie tesi. Forse perché i partiti italiani inseguono l'elisir di una transizione senza scosse, e una riforma elettorale che la garantisca. Ed i risultati del primo turno delle presidenziali consegnano una situazione incerta, sulla quale è facile proiettare speranze e alleanze a tavolino. Si tratta di un gioco che rischia di sconfinare nel provincialismo. Ma diventa quasi automatico, per chi vuole cogliere il segnale di una conferma del bipolarismo o di un'archiviazione del centrismo. Da questo punto di vista, la Francia diventa lo specchio nel quale l'Italia politica cerca di riflettersi.
E pazienza se l'ex premier socialista Michel Rocard osserva le suggestioni italiane e l'evoluzione dell'Unione verso il Partito democratico con una punta di freddezza: come qualcosa sulla quale è ancora difficile scommettere, perché i fondatori appartengono a culture e tradizioni troppo distanti. A prevalere sono i desideri. Così, nel Romano Prodi che vorrebbe un accordo fra la socialista Ségolène Royal e il centrista François Bayrou, c'è «la speranza» che avvenga. Ed «è chiaro che sarebbe anche una scelta simile a quella italiana», aggiunge il presidente del Consiglio: un centrosinistra fotocopia o quasi del patto Ds-Margherita.
Diventerebbe il «testimonial» perfetto per il nascente Partito democratico: la conferma, per di più proveniente da un Paese-faro dell'Europa come la Francia, che la mescolanza tra forze diverse è possibile e viene premiata. Ma c'è anche una ragione più generale a giustificare il tifo dell'Unione: un calcolo di politica estera. L'impressione è che la maggioranza prodiana si aggrappi alla prospettiva di un'affermazione del duo Royal-Bayrou per esorcizzare i contraccolpi sull'Italia di una Francia di centrodestra presieduta da Nicholas Sarkozy; in sintonia col fronte berlusconiano; e sulla carta meno ostile agli Usa di George Bush.
È un atteggiamento politico a doppio taglio: simmetrico e opposto a quello dell'opposizione italiana. Il centrodestra allinea infatti tutte le ragioni per le quali Bayrou non avrebbe ragione di allearsi con la sinistra della Royal. Gianfranco Fini, leader di An, sostiene che è un elettorato antisinistra in marcia verso Sarkozy. D'altronde, anche alla vigilia del primo turno francese le forze politiche italiane hanno usato candidati e schieramenti d'Oltralpe per ragioni interne, perfino congressuali. Ma quanto sia fragile e un po' forzata una simile impostazione è segnalato da alcune preferenze eterodosse che soprattutto l'Unione fa emergere: con qualche tifoso a sorpresa di Sarkozy.
La stessa soddisfazione del ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, per la vittoria dei candidati «europeisti» rispetto all'euroscettico Le Pen, è in attesa di verifica. «Sia Sarkozy sia Royal si batterono per il sì referendario alla Costituzione europea: l'unico per il no fu proprio Le Pen», si rallegra D'Alema. Il problema è che alla fine la Francia ha bocciato quell'ipotesi di Costituzione. E durante la campagna presidenziale il tema dell'integrazione, dell'allargamento a est, del futuro dell'Ue è rimasto piuttosto in ombra. L'ipotesi che nelle prossime due settimane l'Europa diventi il cuore del confronto, dunque, per il momento è solo un'ipotesi.
L'Unione tifa ambiguamente per un patto Royal-Bayrou pensando al Pd

Corriere della Sera 24.4.07
Il Vaticano: terrorista chi propaganda l'aborto
Affondo dalla Congregazione per la dottrina della fede


ROMA — Oltre all'«abominevole terrorismo dei kamikaze» che assomiglia a un «perverso film sul male» girato ogni giorno in qualche regione diversa del mondo «con sceneggiature sempre nuove e crudeli», esiste anche «un cosiddetto terrorismo dal volto umano che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale». In tale categoria rientrano l'aborto, l'eutanasia, ma anche la pillola abortiva Ru 486 e i laboratori dove si manipolano gli embrioni, e quei Parlamenti che approvano leggi contrarie all'essere umano. Tutto ciò può essere paragonato alle sette sataniche che praticano «un vero e proprio culto sacrilego del male».
Questo durissimo j'accuse è stato lanciato da monsignor Angelo Amato, numero due della Congregazione per la dottrina della fede. Teologo autorevole, Amato è stato braccio destro dell'allora cardinale Ratzinger nell'ex Sant' Uffizio, a partire dal 2003.
Il «terrorismo dal volto umano», ha aggiunto Amato, «viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione, manipolando ad arte il linguaggio con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti». Sempre ieri Benedetto XVI, in una lettera scritta ai vescovi del Messico, è intervenuto contro la depenalizzazione dell'aborto nel paese latinomericano.
«Chiarezza» ha chiesto anche il Sir, agenzia dei vescovi italiani, all'indomani dei congressi dei Ds e della Margherita, mettendo in guardia da «una vecchia concezione laicista di ispirazione ottocentesca». Essa, secondo il Sir, «non rappresenta più un utile cleavage su cui costruire una proposta politica, pure affermando la centralità della famiglia». Quanto al Family Day, i promotori, dovrebbero incontrare il leader della Margherita, Rutelli, giovedì prossimo.
Sul versante opposto il ministro Bonino,a Radio Radicale, ha commentato criticamente l'esito dei due congressi: «Noi abbiamo indetto per il 12 maggio il giorno dell'orgoglio laico, la Margherita sostiene il Family day e i Ds si dicono equidistanti rispetto ai due appuntamenti.Credo che questo esempio spieghi bene il mio scetticismo rispetto ad un modo di vivere la politica».

Corriere della Sera 24.4.07
«Favorevole al cambio di nome anche senza mutare connotati fisici»
La Turco e i transessuali «Giusto rimborsare chi armonizza il corpo»
Il ministro: il sì spetterebbe al medico, non al tribunale
di Margherita De Bac


ROMA — «Non ci trovo niente di scandaloso nel riconoscere ai transessuali maggiori attenzioni da parte del servizio pubblico. L'intimità della persona va rispettata e, quindi, credo che il nostro sistema sanitario debba fare uno sforzo. E' una questione di etica». Manderanno in estasi Luxuria le dichiarazioni di Livia Turco sull'iniziativa preannunciata sul Corriere
dal deputato di Rifondazione da poco riapparso in Parlamento con un naso rifatto: un disegno di legge che renda più accessibili, sul piano della rimborsabilità, gli interventi per transitare da un sesso all'altro. Sarà pronto entro maggio.
PARERE — Il ministro della Salute chiederà un parere al Consiglio Superiore di Sanità e al Comitato di bioetica. «Non mi sento di affermare che tutto ciò che riguarda il sesso vada considerato un diritto — aggiunge —. Credo però che il servizio ospedaliero debba prendersi carico di chi ha bisogno di armonizzare il corpo con la sua identità. Mi chiedo inoltre se sia giusto che a rilasciare le autorizzazioni per il cambiamento di genere debba essere un tribunale anziché un'equipe medica». Il ministro è inoltre favorevole alla proposta di consentire ai transessuali la modifica del nome anche senza aver mutato connotati fisici: «Deve essere una libera scelta. Poter adeguare i documenti a quello che un individuo sente di essere nell'intimo significa mantenere la propria integrità».
Dunque, massima disponibilità ad affrontare il tema degli interventi chirurgici rimborsati a chi è nato in un corpo sbagliato. Luxuria quasi non ci crede: «Grande Livia — commenta entusiasta —. Mi rendo conto che in molte Regioni il bilancio della Sanità è in rosso. Noi però abbiamo bisogno di maggiore assistenza, ci deve essere permesso di realizzare l'armonia tra fisico e spirito. Qui non si tratta di avere il lifting gratis e di rifarsi per apparire giovani e belli. Abbiamo diritto alla salute psicofisica».
BISTURI — Il 20% dei circa 20 mila trans italiani sono «transitati» grazie al bisturi. L'80% invece convive con aspetto e attributi sessuali indesiderati perché non tutti possono operarsi privatamente, a caro prezzo. Il 90% dei transitati ha compiuto il passaggio da uomo a donna. L'attuale sistema sanitario rimborsa alcune prestazioni chirurgiche ma solo per la correzione delle caratteristiche sessuali primarie (genitali).
Di regola, sono esclusemastoplastica, rinoplastica elettrocoagulazione per la depilazione definitiva, trattamenti ormonali. La situazione è molto diversa nelle Regioni. Toscana ed Emilia Romagna sono le più evolute e aperte nei confronti di pazienti così speciali. Lo stesso avviene in altre realtà isolate, come il San Camillo di Roma e il Mauriziano di Torino.
DONAZIONI — Al Policlinico Umberto I di Roma Nicolò Scuderi cerca di assecondare le necessità di chi vuole rettificare il sesso facendo rientrare nella rimborsabilità rinoplastica, correzione del pomo d'Adamo o zigomi. Il chirurgo è in attesa del via libera per un protocollo senza precedenti. Un doppio passaggio maschio-femmina e femmina-maschio. Funzionerebbe così. L'aspirante femmina dona l'organo sessuale che viene trapiantato all'aspirante uomo. Per Scuderi non è un azzardo: «Stiamo studiando i particolari tecnici. E' una soluzione possibile».

il Riformista 24.4.07
Omofobia in Polonia. Allarme Ue
di Sonia Oranges e Mariella Palazzolo


«Siamo venuti fin qui per impedire che la pedofilia e la omosessualità si approprino della nostra società»: questa la motivazione con cui Marcin Stronski, leader dei Giovani di Polonia, gruppo radicale di destra polacco, ha spiegato l'aggressione messa in atto dai suoi militanti alla Marcia per la Tolleranza di Cracovia, l'annuale iniziativa organizzata dai collettivi omosessuali polacchi. Gli ultradestri, che hanno accolto il corteo gay con un lancio di uova per poi passare direttamente alle mani, sono stati bloccati dalle forze dell'ordine che hanno represso duramente gli scontri, senza fare troppi distinguo. Certo è che, in questa stagione, l'intolleranza dell'ultradestra trova terreno fertile nel paese. Dopo i tafferugli in piazza, Stronski ha promesso lotta a oltranza per «difendere i valori familiari che hanno sempre prevalso in Polonia». L'organizzazione estremista mescola elementi xenofobi, nazionalisti e razzisti, ricalcando in alcuni punti (come sul rifiuto dell'omosessualità) i principi fondanti della Lega delle famiglie polacche, uno dei partiti ora al governo insieme con la formazione dei gemelli Kaczynski, autori dell'ondata di provvedimenti di stampo totalitaristico (dalla lustracja al censimento delle ragazze incinta in età scolare, alla lotta ai gay all'interno del corpo insegnante), tali da spingere il parlamento europeo a portare domani in aula il tema dell'omofobia.
Lo sdegno provocato dalla proposta di legge (presentata il mese scorso dal vicepremier ministro dell'educazione e dirigente della Lega delle famiglie polacche Roman Giertych) che proibiva qualsiasi accenno alla omosessualità nella scuola e prevedeva, tra l'altro, di escludere dall'insegnamento e sanzionare gli insegnanti dichiaratamente omosessuali, tiene viva l'attenzione sull'evolversi della vicenda polacca, anche se il governo ha prudentemente rinviato l'approvazione delle nuove norme sine die. «Notiamo con soddisfazione che il governo polacco ha deciso di non andare avanti con la proposta di legge, ma resta il biasimo per un proposito inammissibile da parte di un governo che dovrebbe invece sostenere la libertà di espressione e indirizzare la società verso la pacifica convivenza», commenta l'europarlamentare olandese Kathalijne Maria Buitenweg. L'eurodeputata verde sottolinea come «una corrente che spinge a discriminare le minoranze e a non rispettare i diritti civili si sta infiltrando nella politica e nella società polacche». La commissione per le libertà civili, presieduta dal francese Jean-Marie Cavada, del gruppo dell'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa, aveva messo immediatamente all'ordine del giorno il dibattito sulla proposta polacca e aveva chiesto all'agenzia europea per i diritti fondamentali di valutare il rischio del dilagare dell'omofobia nei paesi della Ue. Gli eurodeputati hanno inserito nell'agenda di giovedì la votazione di una risoluzione: sostengono che l'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse «quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza».
Alcuni europarlamentari polacchi hanno cercato di difendere il proprio governo, sostenendo che il disegno di legge sia opera di una parte minoritaria della coalizione (la Lega della Famiglie Polacche) e che il primo ministro Jaroslaw Kaczynski si fosse immediatamente dichiarato contrario alle norme previste. «Non era la proposta di tutto il governo, ma di un ministro e criticata pubblicamente dal premier. Non rappresentativa di una politica condivisa - ribadisce Konrad Szymanski, europarlamentare del Partito giustizia e legge, che fa parte della coalizione al governo - e il governo polacco non avrebbe mai permesso e mai permetterà che sia discussa in Parlamento una legge che è in contrasto con tutte le norme contro la discriminazione». Lo stesso Kaczynski ha respinto con fastidio le accuse di intolleranza contro gli omosessuali, annunciando che gli europarlamentari polacchi non sosterranno alcuna risoluzione che faccia esplicito riferimento alla Polonia. A Varsavia, dice, «non c'è alcun retaggio culturale di persecuzione nei confronti degli omosessuali».
I fatti, però, lo smentiscono. Poco più di un anno fa, nel gennaio 2006, il Parlamento europeo, aveva già adottato una risoluzione sul tema, a seguito di una serie di dichiarazioni, dal sapore chiaramente omofobico, rilasciate proprio da esponenti politici polacchi. In quell'occasione, il Parlamento europeo chiese di garantire alle coppie gay il rispetto, la dignità e la protezione riconosciuti al resto della società, la libertà di circolazione e la non discriminazione in materia di successione e fiscalità, concludendo con la richiesta agli stati membri e alla Commissione, di intensificare la lotta all'omofobia mediante «un'azione pedagogica» e campagne sociali ad hoc. Ma a Varsavia questo dettaglio deve essere sfuggito.

l'Unità 24.4.07
Dopocongresso, anche Angius tentato dall’uscita
Giudizio negativo su Firenze del leader della terza mozione. E Mussi prepara il lancio di Sd
di Simone Collini


L’ADDIO ai Ds Mussi l’ha dato dal palco del congresso, e ora sta lavorando insieme ai suoi per lanciare il 5 maggio “Sinistra democratica - Per il socialismo euro-
peo”, un movimento politico che si doterà tra breve di gruppi autonomi in Parlamento. Angius al congresso non ha fatto annunci, ma dall’assise di Firenze è uscito con un giudizio ancora più negativo sull’operazione in corso. Il Partito democratico, è la conclusione a cui è arrivato il vicepresidente del Senato, non sarà «né originale né di sinistra, come ci è stato detto». E non a caso quelli con cui ha parlato nelle ultime ore si dicono certi che tra breve ci sarà un altro addio clamoroso all’ombra della Quercia, il suo.
Angius si aspettava «una più coraggiosa apertura» da parte di Fassino ad altre forze oggi non coinvolte, che «non c’è stata»; aveva proposto «una radicale riscrittura del manifesto per il Pd» e ha visto invece il congresso chiudersi con un voto che «nulla ha messo in discussione dei passi fin qui compiuti»; aveva chiesto di sgombrare il campo da «visioni vecchie della laicità» e «chiarezza sul fatto che la collocazione rimane nel campo del socialismo europeo», e né sull’una né sull’altra cosa ha avuto «risposta soddisfacente». Per questi motivi Angius è sempre più tentato di non andare avanti. O meglio, di prendere un’altra strada. Del resto già dopo essere intervenuti venerdì mattina al congresso, Angius e Mussi avevano avuto un lungo colloquio per fare una valutazione a caldo di quanto visto e ascoltato. E le conclusioni a cui erano arrivati non erano poi molto distanti. Solo, il primo firmatario della terza mozione ha voluto aspettare la fine del congresso per capire se ci fossero margini per far compiere qualche correzione di rotta. Ma la relazione di chiusura di Fassino (ascoltata lontano da Firenze) e soprattutto i lavori nelle commissioni e il voto finale sul dispositivo per il Pd gli hanno lasciato ancora di più l’amaro in bocca. A breve, scioglierà la riserva.
Chi ha già compiuto il passo fuori dai Ds è invece già al lavoro per dar vita a un movimento politico autonomo che partecipi al «cantiere» per riunificare le forze di sinistra oggi divise. Mussi ha dato appuntamento a tutti i delegati per sabato. In quella sede si darà il via a una serie di assemblee regionali per preparare il lancio della “Sinistra democratica”, che avverrà a Roma il 5 maggio. Verrà creato un comitato promotore nazionale e anche a dei comitati sul territorio che avranno il compito di raccogliere adesioni al di là dei confini dell’ex sinistra Ds. E a breve verranno anche organizzate iniziative in particolare su quattro tematiche: lavoro salariato, ambiente, qualità della politica, forme nuove di partecipazione. Partire dai contenuti è la parola d’ordine per questa operazione. Ma che si stiano studiando anche formule di aggregazione con le forze a sinistra del Pd è palese. Colloqui con Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio e Boselli ci sono già stati. E Bertinotti non rimane estraneo a tutto ciò che si sta mettendo in movimento, anche se sta attento a rimanere rispettoso del ruolo di presidente della Camera. Colloqui che hanno dato alcuni risultati. Mussi interverrà il 4 maggio al congresso dei Verdi a Genova e Salvi prenderà la parola al congresso dei Comunisti italiani a Rimini domenica. Giorno in cui è convocata a Roma l’assemblea di Uniti a Sinistra, di cui è promotore l’indipendente Prc Pietro Folena, e anche qui Mussi sarà presente. Tanto attivismo serve a preparare il terreno per il futuro «cantiere» della sinistra, necessario a fare quella «massa critica» invocata qualche settimana fa da Bertinotti.
Il primo passo dell’ex minoranza diessina, comunque, è la creazione di “Sinistra democratica”, che si doterà in tempi rapidi di gruppi autonomi in Parlamento ma anche nelle istituzioni locali. Mussi ha già visionato i primi bozzetti del simbolo, che avrà al centro una rosa stilizzato e lungo la corona la scritta “Per il socialismo europeo”.

lunedì 23 aprile 2007

l'Unità 23.4.07
Firenze, abusi in chiesa
Le vittime accusano il Vaticano
di Maristella Iervasi


«TARDIVI e insufficienti» i provvedimenti presi nei confronti di don Lelio Cantini, l’ex parroco, oggi ultraottantenne, della chiesa «Regina della pace» alla periferia di Firenze, sotto inchiesta per abusi sessuali pluriaggravati e continuati su minori. Lo scrivono senza re-
more un gruppo di fedeli-vittime che avevano denunciato quel che accadeva in parrocchia dal 1973 al 1987 alla sede apostolica, e che oggi per questa vicenda stanno parlando anche con i magistrati della procura di via Strozzi. E così senza tanti giri di parole criticano duramente il loro vescovo, il cardinale Ennio Antonelli. Perchè come la Curia fiorentina abbia punito Don Cantini, a loro proprio non va giù: la tanto auspicata scomunica di Ratzinger su Don Cantini non c’è stata. «Siamo profondamente amareggiati - spiegano -. Il cardinale ha cercato sempre di minimizzare quando accaduto e ha proceduto sempre in solitario».
Il gruppo di vittime è intervenuto in merito alla nota del vescovo, diffusa il 14 aprile scorso, sul caso di don Cantini. L’arcivescovo, che dopo essersi consigliato con i vicari foranei, raccontò alla stampa e ai cittadini la verità sulla vicenda del prete, disse in proposito: «Don Lelio è responsabile di misfatti oggettivamente gravi», ma è «pentito» e gli sono «state inflitte pene» tenendo conto dell’età e in armonia con la Congregazione per la dottrina della fede e il decreto su di lui sarà pubblicato sul prossimo bollettino diocesano. Per i parrocchiani, invece, alcuni degli atti delittuosi commessi - sottolineano - «sono canonicamente di esclusiva competenza della Santa Sede, in quanto comportano la scomunica “ipso facto” sul quale solo il Papa può intervenire». E lamentano, inoltre, l’«assordante silenzio» della sede apostolica «da noi interpellata in tal senso».
Ma le critiche delle vittime al cardinale Antonelli non si fermano qui. A loro avviso, l’arcivescvo ha anche definito con estrema leggerezza «un fantasma» il disegno di una presunta «chiesa parallela» di don Cantini. «Su questi, come su molti altri aspetti inquietanti - fanno osservare i fedeli - anche la magistratura adesso ha aperto un’inchiesta e ci auguriamo, per il bene della chiesa stessa - concludono -, che sia fatta piena luce. Senza reticenze e paure». Il riferimento è agli «atti delittuosi» del sacerdote, che secondo le presunte vittime, dal 1973 e per anni, avrebbe abusato di ragazze dai 12 ai 17 anni. Si sarebbe fatto consegnare denaro e beni e avrebbe plagiato ragazzi da indirizzare al seminario per creare un potere alternativo a quello ufficiale.
I sostituti procuratori che si occupano del caso Paolo Canessa e Fedele La Terza. Gli interrogatori hanno preso il via da una decina di giorni, in luoghi diversi dalla procura proprio per tutelare la riservatezza di quanti si sono rivolti alla magistratura ordinaria. Per ora non ci sarebbe stata alcuna delega alla polizia giudiziaria.

l'Unità 23.4.07
Francia. Quattro candidati della sinistra si schierano subito con Ségolène


PARIGI Si schierano con Segolene Royal i partiti minori della sinistra. La verde Dominique Voynet e Arlette Laguiller, di Lutte Ouvriere, hanno fatto sapere che voteranno al secondo turno per la candidata socialista. Voyenet avrebbe ottenuto tra l’1,5 e l’1,7% dei voti e la Laguiller tra 1,4 e 1,5%. Un’indicazione a favore di Royal viene anche dalla candidata del Partito comunista francese, Marie-George Buffet. «Chiamo senza esitazione tutti gli uomini e tutte le donne di sinistra, tutte e tutti i democratici a votare e a far votare il 6 maggio Segolene Royal - ha detto Buffet, che avrebbe ottenuto tra l’1,9 e il 2%, il risultato più basso mai ottenuto dal Pcf -. Sarkozy è un uomo pericoloso e deve essere battuto».
Un invito implicito a votare per Segolene è arrivato anche dal candidato di Lcr (Lega comunista rivoluzionaria) Olivier Besancenot, che ha lanciato un appello su France 3 a fermare la corsa di Sarkozy. Bisogna «battere la destra nelle strade e nelle urne», ha detto Besancenot intervistato dalla tv. Il giovane «postino» Olivier Besancenot della Lega Comunista Rivoluzionaria guida la classifica dei candidati minori con una cifra che secondo le stime degli istituti varia fra il 4 e il 4,7%.

l'Unità 23.4.07
Diliberto: «Possibile ora il ricongiungimento familiare a sinistra»


ROMA Adesso che i Ds sono pronti a costituire il Partito democratico, per Oliviero Diliberto, segretario del Pdci «c'è la possibilità che avvenga un ricongiungimento familiare». «Siamo in attesa a questo punto - ha detto Diliberto a Catania a margine del congresso regionale del suo partito in Sicilia - di una risposta da Mussi, da chi non è entrato nel Pd, e da Rifondazione comunista». Commentando con i giornalisti la fuoriuscita dai Ds di Fabio Mussi e altri, Diliberto ha detto che non sono fuoriusciti dai Ds «perché i Ds non ci sono più». Ciò che hanno fatto per il segretario del Pdci è semplicemente «non aderire al Partito democratico». Questa non adesione, per Diliberto , apre quindi la possibilità ad un «ricongiungimento familiare della sinistra». «Noi veniamo dalla stessa storia - spiega il leader del Pdci -, dal Partito comunista italiano. Noi siamo rimasti comunisti, Mussi non lo è più, ma ci sono tutti i margini, io credo, per una ricomposizione della sinistra». «Lavoreremo per questo anche con il Partito della Rifondazione comunista, però non bisogna pensare - continua Diliberto - alla ricostruzione della sinistra partendo dagli aggettivi, ma bisogna pensare ai contenuti».

l'Unità 23.4.07
«Ma noi non faremo un nuovo partitino»
Parla Cesare Salvi: «Vogliamo riunire la sinistra, non creare un soggetto marginale. Si evitino ritorsioni alle amministrative...»
di Simone Collini


È questione di giorni, poi la sinistra Ds lascerà il partito per dar vita a un movimento politico autonomo. «Si darà una propria rappresentanza in Parlamento e in tutti i livelli istituzionali», spiega Cesare Salvi. Il quale respinge «rappresentazioni caricaturali» ascoltate al congresso: «Non sarà un nuovo partitino, perché nasce dichiaratamente con l’obiettivo di unire la sinistra». Riconosce che a Firenze si è respirato «un clima di civiltà», che conta di ritrovare anche tra qualche settimana: «Compagni che hanno sottoscritto la mozione sono nelle liste dei Ds o dell’Ulivo alle amministrative. Siamo sicuri che non ci saranno ritorsioni. Se ci dovessero essere, dovremo dare indicazioni di voto diverse rispetto ad esse».
Fassino ha chiuso il congresso sottolineando che “democratico” non è aggettivo neutro ma vuol dire progressista, di sinistra.
«Di per sé, la parola democratico è totalmente neutra. Comunque, i termini definitori mi interessano fino a un certo punto. Io non dubito delle buone intenzioni, ma bisogna distinguerle dai fatti. E i fatti dicono che si parte con una fusione con la Margherita, della quale conosciamo le posizioni assunte in questo anno di azione di governo. Quindi, al di là delle intenzioni, inevitabilmente il Pd non sarà di sinistra».
Lei, Mussi e gli altri avete preso un’altra strada, ma al momento la prospettiva non è molto chiara.
«Una cosa è chiara: c’è una grande richiesta in Italia di sinistra e di unità. In campo ci saranno due progetti politici: il Pd, che ha torsione più moderata e centrista, e l’unificazione di partiti e cittadini in una forza di sinistra di ispirazione socialista».
Due progetti in competizione tra loro?
«In competizione e alleati, perché è evidente che il Pd non colma l’intero campo dell’Unione ma lascia uno spazio politico a sinistra. C’è un vasto mondo che chiede di essere rappresentato nelle sue idealità e valori».
Con quali forze politiche intendete lavorare?
«Non voglio impiccarmi alle formule, perché questo è stato l’errore della “road map” del Pd. Le forze sono evidentemente quelle a sinistra del Pd. In ordine alfabetico: Comunisti italiani, al cui congresso nazionale sarò presente, Rifondazione comunista, Sdi e Verdi. Ma soprattutto ci interessa il popolo della sinistra, e soprattutto quella parte oggi delusa».
Delusa da cosa?
«Dai rappresentanti politici e dall’azione del governo. Questo è stato il grande assente dei congressi, ne ha parlato solo Epifani del malcontento nei confronti del governo del centrosinistra. Oggi abbiamo anche questo compito, ridare speranza e fiducia a chi oggi è deluso».
Diceva che lavorerete con il Prc, anche se avete basato parte della battaglia sull’appartenenza al Pse e il Prc non ne fa parte.
«Ripeto, c’è una “road map” da evitare, ed è quella seguita dal Pd. Vedremo, approfondiremo ogni versante, cercheremo anche di immaginare forme della politica diverse da quelle tradizionali, che possano dare una risposta anche a problemi identitari che hanno un peso nella storia italiana».
Il primo passo?
«Daremo vita a un movimento autonomo, dotato di rappresentanze parlamentari e istituzionali a tutti i livelli».
Un nuovo partito?
«Questa di un nuovo partitino è una rappresentazione caricaturale, perché il movimento nasce dichiaratamente con l’obiettivo di unire la sinistra. Così come è una caricatura dire che è basato sulle nostalgie del passato, perché i temi che poniamo, dalle condizioni del lavoro alla nuova questione morale che sta esplodendo in Italia, parlano dell’oggi e del futuro. Pensiamo però che per parlare di questi problemi non si debba tagliare col passato».
Un movimento politico ha bisogno di strutture e risorse economiche per organizzare iniziative e quant’altro.
«Deve essere basato soprattutto sul volontariato. Poi sappiamo che servono anche risorse economiche, e vorremmo evitare la trappola in cui sono caduti i partiti, di ritenere che questi soldi vadano raggiunti e conseguiti sempre e comunque».
Contate di portar con voi una parte del patrimonio dei Ds?
«Queste sono cose che si vedranno con la consueta serenità con la segreteria del partito».
E per quanto riguarda le amministrative? Ci sono esponenti della vostra area candidati nelle liste dei Ds e dell’Ulivo?
«Ci sono, e noi siamo sicuri, visto il clima di civiltà con cui si è svolto il congresso che non ci saranno ritorsioni. Naturalmente se ci dovessero essere dovremo dare indicazioni di voto diverso, pur sempre all’interno del centrosinistra».
Avete il timore che non tutti quelli che hanno sostenuto la vostra mozione vi seguano?
«Abbiamo avuto come consenso degli iscritti circa 40 mila voti. Questa è certamente la base da cui partiamo. Riuniremo i nostri delegati sabato. Le dichiarazioni di posizioni diverse al momento si contano sulle dita di una mano».
Questo è il perimetro del movimento?
«Faremo un comitato promotore aperto ad adesioni successive, perché ci rivolgiamo ovviamente in primo luogo alle compagne e ai compagni che ci hanno seguito in questa battaglia ma ci rivolgiamo anche contestualmente al più ampio mondo della sinistra dispersa che finora non ha avuto una sua rappresentanza politica. E che come si sa ha dimensioni anche abbastanza consistenti».

Repubblica 23.4.07
È la quarta lingua più studiata nelle università americane
La rivincita dell'italiano è boom di corsi negli Usa
di Mario Calabresi


Nuove cattedre persino in Alaska e a Porto Rico. Ottanta atenei americani hanno una sede anche a Firenze
Usa, la rivincita dell'italiano è boom di corsi all'università
In 10 anni raddoppiati gli iscritti: "Merito di moda e cibo"
"È sparita l'idea dell'italiano come emigrante, negli Stati Uniti oggi la nostra immagine è fatta di cultura e di stile"
"Prima l'italianistica era lo studio di Dante, oggi a conquistare gli studenti è un approccio multidisciplinare"

«Quando il professore fece l´appello, il primo giorno, tutti si voltarono a guardarmi: il mio cognome era l´unico che non finisse con una vocale». Università della Pennsylvania, anno 1956, Daniel Berger, ebreo newyorkese, è l´unico studente del corso di italiano a non essere figlio di emigranti.
Gli americani fanno studiare ai loro figli il francese, la lingua dei viaggi, della gastronomia raffinata e della cultura, l´italiano è identificato con il dialetto che parlano i muratori, i giardinieri e i camerieri dei ristoranti. Mezzo secolo dopo la nostra lingua si è presa la rivincita, in crescita costante da dieci anni, ora è la quarta più studiata nelle università americane e oltre 60mila ragazzi nel 2006 hanno scelto di seguire un corso di lingua e cultura italiana. «È un momento magico, ci sono cattedre ovunque negli Stati Uniti perfino in Alaska e alle Hawaii, ne sono appena state aperte due a Puerto Rico». Massimo Ciavolella, che guida il dipartimento di italiano all´Università della California a Los Angeles, ha studiato l´evoluzione del fenomeno: «Vedo tre ragioni per questo boom: è sparita l´idea dell´italiano come emigrante, oggi la nostra lingua si è liberata da quell´immaginario ed esprime un´idea di cultura e di stile. Il successo dei prodotti italiani è servito da traino, penso alla moda e al cibo. L´Italia ha cambiato il modo di vestire e di mangiare degli americani e questo li ha conquistati. Infine è rinata la moda del Grand Tour: Più di 80 università americane hanno una sede a Firenze. Per un giovane studente oggi il viaggio in Italia rappresenta una tappa fondamentale di formazione».
La summer school di Columbia University a Venezia, in cui si studiano lingua, architettura e storia dell´arte, non ha più posti disponibili, come ci racconta Francesco Benelli, che nell´ateneo di Manhattan tiene il corso di architettura rinascimentale: «È nata da tre anni ma ha un successo clamoroso, i ragazzi vogliono scoprire l´Italia e questo è estremamente positivo, ma contemporaneamente va segnalata una crisi degli studi specialistici: a New York c´era una tradizione incredibile di studi sul barocco e il rinascimento, ora sono in forte declino». Il suo collega Nelson Moe, che al Barnard College supervisiona i programmi di chi per un periodo viene in Italia, conferma: «Prima l´italianistica era lo studio approfondito della Divina Commedia, naturale che fosse per pochi, oggi c´è un approccio interdisciplinare che ha conquistato molti studenti: arte, letteratura, cinema, musica e anche la cultura del cibo procedono insieme. L´italiano è vissuto come una lingua polisensoriale capace di aprire le porte al "bello"». Moe non si spaventa, è convinto che il successo figlio anche del boom dei ristoranti, degli stilisti, dei libri di cucina e dei viaggi sia un utile primo passo: «La sfida è conquistare questi studenti per poi portarli a corsi più avanzati».
Negli anni '60, secondo le statistiche della Modern Language Association, 11mila ragazzi studiavano italiano, nel 1970 erano saliti a 34mila, nel 1998 si supera la soglia dei 40mila iscritti, nel 2004 dei 50mila e lo scorso anno dei 60mila. Tra il '98 e il 2002, c´è un balzo del 30%, straordinario se comparato alle altre lingue europee, che negli ultimi cinque anni si è consolidato. Ancora nel '70 il francese la fa da padrone, con 360mila iscritti, poi comincia un declino che oggi ne fa ancora la seconda lingua studiata dietro lo spagnolo (746.000 iscritti) ma a quota 200mila. Al terzo posto c´è il tedesco, che a partire dagli anni '70 venne identificato come la lingua europea degli affari, ma che oggi ha perso questa caratteristica di idioma indispensabile per il business, lasciando il posto al cinese, che cresce insieme all´arabo.
«Storicamente - spiega Ciavolella, citando la ricerca pensata con Dino De Poli e la Fondazione Cassamarca di Treviso - le cattedre di italiano erano stati aperte soltanto in quelle aree degli Stati Uniti e del Canada dove c´erano i figli degli emigranti, come necessità per lo studio degli italo-americani, oggi non è più così, anche se la maggiore concentrazione resta sulla costa Est». In crescita anche il numero degli iscritti ai master e ai dottorati, si è passati da 925 del '98 a 1100 oggi, ma siamo sotto la soglia dei 1200 iscritti sopra la quale un programma entra nella classifica federale e ha diritto ad avere finanziamenti e borse di studio.
Oggi non siamo più emigranti, Renzo Piano sta per inaugurare il grattacielo progettato come sede del New York Times, Bulgari lancia la sua sfida a Tiffany con un negozio grande uguale che occupa l´angolo opposto della Quinta strada, un italoamericano come Rudolph Giuliani corre per la presidenza e il vino italiano è al primo posto tra quelli importati, davanti ad Australia e Francia. Daniel Berger adesso lavora a Roma, al ministero dei Beni Culturali, è consulente per il recupero delle opere d´arte trafugate all´estero. Se è in Italia il merito è di quel professore che faceva l´appello cinquant´anni fa: «Si chiamava Domenico Vittorini, al pomeriggio insegnava ai cantanti d´opera la pronuncia e la fonetica, creò in me la passione per la lingua e per farmi migliorare la grammatica ogni giorno nelle vacanze estive mi spediva una lettera con un compito da rimandargli il giorno dopo. Allora ero solo, oggi finalmente l´italiano in America è la lingua della cultura».

Repubblica 23.4.07
Pd, l'allarme della sinistra "Niente gerarchie nell'Unione"
Giordano: non avete la patente. Mastella: nasce tra gli equivoci
Diliberto, leader del Pdci: "Io e Mussi veniamo dal Pci, ci sono i margini per una ricomposizione"
Il segretario di Prc: "Non c'è più traccia di socialdemocrazia, serve un nuovo soggetto politico"


ROMA - Prove tecniche di riunificazione. Dopo i congressi di Ds e Margherita che hanno dato il via libera al partito democratico, la sinistra dell´Unione cerca il dialogo e studia come dar vita ad un nuovo soggetto unitario. Facendo tornare insieme il Prc di Bertinotti e Giordano e il Pdci di Diliberto. E nello stesso avvertendo gli alleati: con la nascita del Pd non si introducano rapporti di forza diversi all´interno della coalizione di governo.
«Ho sentito Fassino e Rutelli parlare della nuova formazione politica, come di una guida - polemizza il segretario di Rifondazione, Giordano - Vorrei chiedere a tutti e due: ma chi vi ha dato la patente? Non accettiamo gerarchie, restiamo legati al programma dell´Unione e al mandato elettorale». A suo giudizio, «il modello verso cui tende il Partito democratico è quello americano, volto a una visione aconflittuale e pacificata della società. Non c´è più traccia di socialdemocrazia, né di una critica della società e del tempo attuale». Quindi l´ipotesi di dar vita ad un nuovo soggetto politico a sinistra rappresenta proprio «il nostro compito: una forza fondata sulle discriminanti del pacifismo e dell´antiliberismo. Dovrà essere aperto a chi si riconosce in questi valori, a partire dalla sinistra Ds. Il 16 e 17 giugno a Roma si terrà la prima assemblea fondativa della sinistra europea».
Un´analisi condivisa dal leader dei Comunisti italiani. «Piero Fassino - stigmatizza Diliberto - dice che il Pd vuol dire anche partito di sinistra, ma non c´è bisogno di scomodare Carlo Marx, basta andare a leggere il Devoto-Oli per capire che non è così». Insomma per la sinistra quella di ieri non è stata «una bella giornata» perché nel momento in cui i Ds «confluiscono in un soggetto obiettivamente di carattere moderato c´è il rischio che la sinistra scompaia nel nostro paese. E questo non è naturalmente, dal mio punto di vista, un bel segnale». Dunque si presenta la prospettiva di un «ricongiungimento familiare», «io e Mussi - dice -, veniamo dal Pci. Io sono rimasto comunista e lui non lo è più, ma ci sono tutti i margini per una ricomposizione della sinistra. Lavoreremo per questo anche con Rifondazione comunista». Senza legarsi a formule organizzative specifiche (Diliberto immagina una «federazione»), pensando semmai a come «convincere le classi dirigenti». Del resto, osserva il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, «la nascita del Pd apre sconfinate praterie per la sinistra italiana».
Anche la sinistra Ds è pronta al confronto. «Lo splendido risultato di Ségolène Royal dimostra che sinistra e socialismo sono forze vincenti di progresso quando si presentano con le loro bandiere e i loro ideali», avverte Cesare Salvi. Ragionamenti che non riguardano Clemente Mastella. Il quale non è interessato nemmeno al Pd. «Che gli equivoci siano destinati ad essere la caratteristica più vistosa di questo nuovo raggruppamento politico - non ha dubbi il ministro della Giustizia - lo dimostra il fatto che ad alcuni si dia ad intendere che il Partito democratico sarà di sinistra mentre ad altri si indichi una prospettiva quasi di centro; per alcuni si sventoli la bandiera del laicismo e per altri il baluardo delle esigenze cattoliche, anche se a modello dossettiano-emiliano».
(c.t.)

Repubblica 23.4.07
Pagine bianche sul "manifesto" "Ecco le idee del nuovo partito".
ROMA - Il manifesto, il quotidiano comunista, ironizza in prima pagina sul futuro del Partito democratico. Un articolo intitolato «Ecco le idee del Pd», mostra tre pagine completamente bianche, salvo le ultime due parole: «E´ tutto». (...)

Corriere della Sera 23.4.07
La maggiore collezione privata fu trasferita per salvarla da Louvre e British Museum
Siena, il ritorno degli etruschi «deportati» dal Regno 150 anni fa
di M. Antonietta Calabrò


Dopo 150 anni gli «Etruschi» della più grande collezione privata di reperti archeologici, messa insieme a inizio Ottocento dai conti toscani Bonci-Casuccini, sono tornati a Siena. Dalla Sicilia, via mare. Così come se ne erano andati via, per mare da Livorno a Palermo, nel luglio del 1866.
All'epoca ideatore dell'ardita e costosa operazione fu il ministro della pubblica istruzione del neonato Regno d'Italia, l'eminente storico siciliano Michele Amari. Per scongiurare il pericolo che finissero al Louvre o al British Museum (la città di Firenze, impegnata nel trasferimento da Torino della Capitale sabauda, non aveva abbastanza denaro), Amari fece acquistare le opere dal Museo archeologico del capoluogo siciliano, convinto com'era che per loro tramite si potesse fare, dopo quella dell'Italia, l'unità degli italiani. Alla fine, servirono 187 casse per traslocare i diecimila pezzi della collezione che tra acquisto e trasporto costò allo Stato oltre cinquantamila lire.
Da sabato scorso, duecento pezzi scelti di quella raccolta si possono nuovamente ammirare nei luoghi in cui sono stati creati dal genio dei sudditi dei Lucumoni, i re della Dodecapoli, a cominciare da Porsenna, il capo etrusco che sfidò Roma. I reperti risalgono fino al settimo secolo avanti Cristo: sarcofagi e cippi, statue-cinerarie e urne, alcuni straordinari esempi di ceramica greca ed etrusca figurata e una ricca selezione di bronzi, annoverati fra i maggiori capolavori dell'eredità storica ed artistica tramandataci dal popolo che regnava tra il lato destro del Tevere e il lato sinistro dell'Arno in età preromana.
L'eccezionalità della mostra (promossa da Regione Toscana e Regione Sicilia, con il patrocinio del ministero dei Beni culturali) che si dipana su due poli espositivi distinti, uno a Siena, nel complesso Museale di Santa Maria della Scala, e l'altro presso il laboratorio archeologico della città di Chiusi, è esaltata da un'ulteriore peculiarità: è nuovamente visibile la riproduzione dell'intera affrescatura che orna le pareti della tomba «del Colle Casuccini», anche detta «del Leone». E' da questo vasto ipogeo a più camere costruito per i defunti di una famiglia principesca di Chiusi, scoperto nel 1833, che provengono molti reperti. Il ciclo di pitture parietali raffigura scene di banchetto, giochi funebri, danze e virtuosismi ginnici.
Questa tomba non è più visitabile per motivi di tutela e conservazione, a differenza di altre disseminate nelle sue vicinanze, (come quelle della Scimmia e della Pellegrina), ma i suoi dipinti furono completamente riprodotti nell'Ottocento, pochi anni dopo la scoperta dell'ipogeo, da Guido Gatti con pitture ad olio in scala e le copie esposte nel Museo Archeologico di Firenze fino alla disastrosa alluvione dell'Arno del 1966. Da allora nessuno le ha potute più vedere. Adesso, grazie alle fedeli riproduzioni di Gatti, sono nuovamente disponibili a Siena e il pubblico può «entrare» virtualmente nella tomba «del Leone» ed apprezzarne le proporzioni volumetriche e i giochi prospettici. A Chiusi, invece, nelle sale espositive del laboratorio annesso al Museo Archeologico Nazionale, una sezione importante è dedicata alla scultura arcaica, prodotta dalle botteghe dell'etrusca Clevsi - tra il tardo VII e la fine del VI sec. a.C.- . Un esempio straordinario è il cosiddetto Plutone, un pezzo eccezionale di figura maschile seduta su un trono dalla larga spalliera ricurva. Con il busto, cavo, progettato per contenere le ceneri del defunto.
Agli inizi di novembre, compiendo quello che sembra essere un suo particolare destino, la collezione Bonci-Casuccini riprenderà il mare e gli «Etruschi» ritorneranno a Palermo.

Corriere della Sera 23.4.07
Aviva contro tutti
La figlia di Chomsky: in America anche i liberal sono razzisti. Meglio la Cuba di Fidel Castro
di Alessandra Farkas


NEW YORK — Aviva Chomsky non ama essere menzionata come «figlia di», né affidare ai media l'album di famiglia che la ritrae accanto al padre. Il controverso e celeberrimo Noam Chomsky, docente al Mit, socialista libertario e padre della linguistica moderna che la iniziò all'attivismo politico da piccola, durante i turbolenti Anni 60. Quando, ad un rally pacifista, padre e figlia finirono sotto una pioggia di uova marce.
«Non voglio parlare di papà — precisa la 50enne primogenita di Chomsky e della linguista Carol Schatz —. Non concedo mai interviste su temi personali». Dietro alla sua riluttanza non c'è disaccordo filiale ma, al contrario, il rigore intellettuale (identico a quello del padre) di una donna abituata a considerare la vita come sinonimo di impegno sociale e politico. Come dimostra il suo serissimo curriculum vitae, Aviva — sposata al linguista di origine basca Jon Aske, suo collega al Salem State College e da cui ha avuto due figli —, non ha tempo per le facezie. Dal PhD a Berkeley a oggi, tutti i suoi libri e saggi sono stati dedicati a temi quali lo sfruttamento dei contadini e «desterrados» latino- americani e caraibici, espropriati dalle multinazionali perfide e malvagie.
Il suo ultimo sforzo letterario, They take our jobs! And twenty other myths about immigration (Beacon Press) ha un titolo provocatorio quanto il contenuto. «Volto a dimostrare — spiega l'autrice — che il dibattito, ormai centrale, sull'immigrazione in America è basato su presupposti falsi. E che il sentimento popolare è manipolato per scopi politici». Buon sangue non mente, insomma.
«La discriminazione permea ogni aspetto della nostra società, dalla scuola alla tv — spiega la Chomsky —. Ed affligge anche la classe cosiddetta "colta", che vi è contraria a parole, ma non quando viene esercitata nei confronti degli emigranti, cui nell'America di oggi non spetta alcun tipo di diritto». Un dilemma di certo non nuovo in un Paese dove l'emigrazione è stratificata come i cerchi concentrici di un tronco.
«Affermare che siamo la terra degli emigranti parte dall'orribile premessa che indiani nativi ed afroamericani non sono americani come gli altri». Eppure, prosegue, non vi sono dubbi: «Questi due gruppi originari hanno sofferto più degli altri. Esclusi dal privilegio della cittadinanza, considerati presenti, ma senza diritti, come oggi gli ispanici».
«Come ha spiegato bene Tony Morrison nel suo saggio sul "New Yorker" del 1993 — aggiunge — la chiave dell'assimilazione per gli emigranti europei (irlandesi, ebrei, italiani) è stata quella di far proprio il razzismo: il rito di passaggio per diventare americani».
Il libro mette in guardia dalle generalizzazioni. Come quella che vorrebbe tutti gli italo-americani conservatori e repubblicani e gli ebrei solo di sinistra e sostenitori dei diritti civili. «Il vero paradosso è che il grande paladino di una riforma comprensiva dell'emigrazione oggi è il presidente Bush — spiega —. Per tutti gli altri, democratici e repubblicani, sostenere che gli emigranti meritano la totale emancipazione nei diritti umani è un tabù impronunciabile». Uno dei capitoli è dedicato a Lou Dobbs, il mezzobusto della Cnn leader della crociata anti-emigranti.
«Dobbs ha ragione quando dice che l'economia negli ultimi 25 anni ha subito una trasformazione che ha schiacciato la middle class. Ma le vere cause sono la globalizzazione e la Reagonomics. Cioè lo spostamento dei capitali all'estero, la chiusura delle fabbriche Usa e il drastico taglio di tutti i programmi statali. La morte del "social safety network" ha aumentato la polarizzazione sociale: più ricchi e più poveri e meno gente nel mezzo».
«Quest'ultimi, discendenti degli emigranti giunti in America cento anni fa, hanno realizzato l'american dream attraverso la fabbrica, i sindacati e il partito democratico. Molti erano italiani, vincitori economici negli Anni 40 e 50. Oggi sono i perdenti, vulnerabili all'appello di gente come Dobbs, che li esorta a biasimare gli emigranti, capri espiatori di tutti i mali della terra». Un altro capitolo analizza l'impatto dell'emigrazione sulle presidenziali del 2008. Quale candidato ha la posizione più equa? «Nessuno. Da Hillary Clinton non ho sentito una sola proposta progressista e in nessun campo. Dall'invasione dell'Iraq alla sanità, è completamente allineata alla corrente principale in tutto. Come Edwards e Obama, del resto, la cui unica novità è quella di essere nero. L'unica alternativa viene da Dennis Kucinich».
Non che l'Europa sia messa meglio. «Il Vecchio Continente è maestro nella manipolazione del sentimento anti-emigranti e ha varato legislazioni punitive che negano loro i diritti umani in nome di una presunta purezza della razza». Ma sul fronte della sanità, precisa Aviva, «l'Europa è avanti anni luce rispetto a noi nel considerarla un diritto universale per tutti, emigranti inclusi».
Non parlatele del «miracolo Schwarzenegger» o della riforma sanitaria del Massachusetts. «La lobby delle assicurazioni non gli consentirà mai di implementare leggi che danneggiano il loro interesse. Nonostante le finte pretese di copertura globale e gratis per tutti, anche il Massachusetts sta solo facendo un grosso regalo ai giganti assicurativi. Non dimentichiamoci che il fautore della legge è il repubblicano Mitt Romney».
Come Michael Moore, anche Aviva pensa che il sistema sanitario a Cuba sia migliore di quello Usa. «Parlo per cognizione di fatto, avendola visitata più volte». Il dopo-Castro? «È impossibile predirlo. Troppe variabili, troppi attori, dalla comunità cubana di Miami, alla Cia». La tesi secondo cui dopo la sua morte tutto cambierà? «Una fantasia tipicamente americana. Governo, assemblea nazionale e partito sono già da anni nelle mani della generazione più giovane. Cinquantenni come me, cresciuti sotto la rivoluzione e responsabili della trasformazione economica dopo la caduta del muro. Più che un dittatore dal pugno di ferro Fidel è un simbolo. Non prevedo veri cambiamenti».
Anche sul terreno giudiziario «gli Usa non hanno nulla da insegnare ai cubani». «La maggior parte dei prigionieri politici di Cuba si trovano a Guantanamo: gente incarcerata senza avvocato e processo dagli americani. Il sistema legale a Cuba sarà pure imperfetto, ma è milioni di volte meglio di quello messicano e colombiano». E la persecuzione dei gay cubani denunciata dal poeta Reinaldo Arenas? «Roba del passato. E comunque la situazione nel resto dell'America Latina è ben peggiore. Anche nell'area dei diritti umani Cuba è avanti rispetto a Messico, Columbia e Brasile. Fidel non ha squadroni della morte, torture e omicidi politici. E ha guarito la povertà, l'esclusione e l'esproprio che affliggono il resto del continente».

Liberazione 22.4.07
Che fare dopo il congresso Ds?
Sinistra subito
di Ritanna Armeni


Da domani il panorama dei partiti italiani cambia. Due formazioni politiche di non poco conto, una di sinistra e l'altra di centro, hanno deciso di dare vita ad una terza forza politica "democratica", che si richiama alla cultura politica americana e abbandona quella laburista e socialdemocratica europea.
Il dado è tratto, il percorso è all'inizio e sia pure fra molte contraddizioni andrà avanti.
La domanda diventa a questo punto un'altra: chi farà la sinistra? O meglio ancora: che cosa si farà a sinistra? Perché - ci piaccia o no - gli spostamenti in politica provocano dei vuoti e questi vuoti possono essere riempiti. Il vuoto è oggi rappresentato dalla "sinistra".
Questo problema per fortuna se lo stanno ponendo in molti. Se le è posto il "correntone" di Fabio Mussi nel momento in cui ha deciso di non partecipare al processo che porterà al partito democratico. Ieri Liberazione ha dato conto di questa ricerca a sinistra in molti articoli e interviste. E venerdì Rossana Rossanda sul manifesto è intervenuta sulla sinistra, sull'urgenza di una sua unità e di una nuova rappresentanza del mondo del lavoro.
Sono state affermate intenzioni. E soprattutto scelte importanti sono state compiute per evitare che una storia, una esperienza venga meno e perchè lo spazio lasciato vuoto trovi un nuovo soggetto a sinistra.
E'quindi un momento importante per chiunque rivendichi il suo essere "a sinistra" Un momento in cui il fattore tempo da un lato e i modi della costruzione sono della massima importanza. Un nuovo soggetto politico a sinistra con una "massa critica" , se lo si vuole costruire, non può in questa fase politica attendere molto tempo. Non è indifferente che questa costruzione si faccia da ora, oppure fra qualche mese, oppure fra qualche anno. Non è indifferente che si cominci un percorso che chissà quando avrà una conclusione oppure che si dia un obiettivo da raggiungere in un tempo definito.
Non a caso si è parlato di cantiere. Un cantiere non è un progetto, che per quanto interessante e perfetto, è solo un progetto. Un cantiere è un luogo di lavoro, dove ci si incontra, si discute, si costruisce. E' già il luogo in cui esperienze e soggettività si riconoscono e si confrontano. Un cantiere si fa subito e si dà precisi tempi per quello che intende costruire.
Bisogna prendere atto che i tempi non sono ininfluenti oggi nella costruzione della sinistra.
So bene che oggi sono refrattari ai tempi brevi, alle costruzioni affrettate o - come si dice - imposte dall'alto. Ma chi l'ha detto che costruire in tempi brevi significhi costruire senza partecipazione, senza passione, senza approfondimento? E chi ha detto che invece i tempi lunghi non siano i tempi della burocrazia, della mancanza di coraggio e di audacia? Non siano i tempi di chi non osa e difende solo quello che ha fatto finora?
Il secondo fattore riguarda le modalità di lavoro nel grande cantiere della sinistra. Il modo in cui si lavora non è indifferente a ciò che si vuole costruire. So bene che si sta molto discutendo se l'obiettivo che la sinistra deve raggiungere sia un nuovo partito, una federazione, quale organizzazione cioè sia adeguata ai nuovi tempi e ai nuovi compiti. E sono discussioni importanti. Ma queste riflessioni corrono il rischio di rimanere astratte ed estranee a molti se contemporaneamente ad esse non si organizzano grandi campagne e piccole sui contenuti di sinistra. Contenuti sui quali c'è già un sostanziale accordo. Chi oggi non ritiene necessario fra i partiti, le organizzazioni, le associazioni della sinistra una campagna per l'aumento dei salari e delle pensioni italiane che oggi sono il fanalino di coda dell'Europa? Per la sicurezza sul lavoro, contro la precarietà? Sono solo esempi e molti altri se ne potrebbero fare di possibili immediate campagne e battaglie comuni. E non solo su obiettivi sacrosanti e concreti come quelli salariali e i diritti dei lavoratori, ma su grandi questioni culturali quali quello della costruzione di una etica laica di fronte al risorgere dell'integralismo religioso. La costruzione di mobilitazioni e lotte comuni può essere il modo di far ritrovare di nuovo la sinistra, la sua soggettività, la sua identità .
Oggi a guardare bene, senza negarsi la possibile esistenza di differenze culturali e di letture della storia del movimento operaio, del novecento, è però possibile vedere come gli obiettivi che uniscono a sinistra siano di più di quelli che dividono. Basta, credo, con uno sforzo che è doveroso, che è dovuto ai lavoratori, alle donne, ai giovani, ai movimenti, al popolo della sinistra, togliersi gli occhiali del pregiudizio, degli steccati, e anche della sconfitta, che spesso in questi anni sono stati inforcati.

domenica 22 aprile 2007

l'Unità 22.4.07
Berlinguer: «Ora si apre una nuova strada anche a sinistra»
Il vecchio leader, candidato del correntone a Pesaro, lascia. «Costruiremo un nuovo soggetto, che vuole cambiare e governare»
di Bruno Gravagnuolo


IL DISTACCO «Turbato, ma non rassegnato». Così, nel momento del distacco dai Ds si autodefinisce Giovanni Berlinguer, 83 anni, già dirigente storico del Pci, candidato segretario al Congresso di Pesaro del 2001, e oggi eurodeputato Ds nel gruppo del Pse. Tutta una vita in quel partito e una storia mai interrotta, nemmeno dopo il 1989, con la nascita del Pds. Ma adesso quel lungo cammino si interrompe. E con Berlinguer parliamo del suo "non possumus" malgrado gli appelli a restare, intriso di emozioni ma sereno. La sua idea è: in fondo questo crinale è "un' opportunità". Per chiarire, e costruire qualcosa di diverso "alla sinistra del partito democratico". Per salvaguardare il paese, dalla destra e dal rischio del declino. Poi un giorno si vedrà chi aveva ragione, ma intanto occorre governare insieme
Berlinguer, come vive questo addio politico?
«Non è un addio e può essere anche un arrivederci. Inevitabilmente lo spostamento dei Ds verso una forza più ampia e moderata implica la possibilità della creazione di un'altra forza alla sua sinistra, che sia anche sua alleata. Intanto il clima generale di questo congresso non è stato quello di una rottura clamorosa e aspra».
Lei parla di arrivederci. Vede l'eventualità di ritornare insieme in una stessa formazione politica?
«Non faccio il profeta, chissà. Ma ora ci sono due processi avviati contemporaneamente, da forze che fanno parte di una medesima coalizione. La carenza maggiore in questo momento è semmai il profilo dell'Unione. E temo che concentrare tutti gli sforzi sulla creazione del Pd, possa distoglierci dall'impegno di rafforzare la coalizione e consolidare l'attività di governo ».
Qual è il punto politico e programmatico dirimente che le ha impedito di riconoscersi nel Pd?
«Per ora è solo un'operazione di vertice, come tutti riconoscono. E ciò, malgrado i discorsi sulla Costituente, sulla società civile e su “una testa e un voto”. Un'operazione pilotata dall'alto, senz'anima, né anelito ideale o alone di consensi. Tra i contenuti che mancano, segnalo la questione morale. Senza la questione morale al centro, non può esservi oggi partecipazione vera. Così come non può esservi partecipazione senza raccogliere le spinte dei movimenti sulla pace, sui diritti civili e sociali, sul lavoro, sulla legalità, sui Dico. Tutte cose spesso considerate un disturbo dalla “politica alta”, e la cui marginalizzazione ha reso la politica separata e più povera».
Dunque, lei non vede vivificato il progetto del Pd da una vera spinta civile di massa
«Non è che non la veda. Quella spinta non c'è».
Restiamo ai contenuti. Al lavoro ad esempio. Si passa da una sinistra del lavoro da liberare, a una sinistra dell'individualismo solidale. Quanto pesa questo aspetto per lei?
«Senza dubbio il lavoro, e non solo quello operaio, ma anche quello dei servizi e della conoscenza, sbiadisce nell'orizzonte del Pd. E ciò, malgrado l'Italia sia uno dei paesi più sindacalizzati del mondo. Tuttavia non v'è rappresentanza politica adeguata del lavoro, sebbene il Ministro del lavoro stia svolgendo un'opera egregia. Manca un disegno preciso, un asse progettuale che metta al centro il lavoro e i lavori nella società italiana, adeguata al peso che tale dimensione, pur in forme nuove e variegate, ha assunto.»
Veniamo alla laicità e al socialismo europeo, due punti critici e indecisi nell'impianto del Pd...
«Sul primo punto, basta fare il confronto sugli applausi al Congresso. Tutti quelli che hanno insistito sulla laicità, hanno avuto battimani clamorosi. Viceversa il tono della relazione introduttiva e quello degli interventi ufficiali è stato molto meno esplicito, e a ciò si aggiunge la “campana” di Rutelli da Roma. È chiaro che questo sarà un punto di estrema frizione dentro il Pd. Quanto al socialismo europeo, c'è una forte reticenza. La collocazione naturale di una forza di centrosinistra come il Pd, non può che essere il gruppo socialista europeo. Invece la posizione della Margherita è: collaboreremo».
Come finirà in Europa? Doppia appartenenza, seggi divisi, un nuovo gruppo federato al Pse?
«La confusione è tale che nessuno è in grado di dire come finirà. Eppure è ovvio che la sinistra che conta in Europa sta nel Pse. Certo, c'è l'esigenza di rinnovare, ampliare e uscire dagli schemi classici, al di là delle vittorie conseguite dai socialisti europei, tra cui quella di aver addomesticato gli spiriti animali del capitalismo con il welfare. Ma qualsiasi rinnovamento non può prescindere dalla collocazione nel socialismo continentale. E ogni doppia collocazione non è sostenibile»
E ora, cosa c'è dopo la vostra fuoriusciuta dai Ds? Un cantiere da Boselli a Bertinotti?
«Intanto c'è una vasta area di delusi dai Ds, negli ultimi anni. E moltissime associazioni, movimenti ed esperienze tematiche, che guardano a sinistra. Inoltre ci sono i partiti alla sinistra del futuro Pd. L'esigenza maggiore è aggregare queste forze, e raccogliere le aperture convergenti che vanno da Boselli, a Di liberto, a Bertinotti e Giordano, garantendo che esse corrispondano a una volontà effettiva. Nonché a una linea politica responsabile, in funzione del governo dell'Italia. C'è una responsabilità nazionale a cui adempiere, in un momento di gravi rischi per il paese. E dunque la nuova forza di sinistra non potrà né dovrà avere un carattere massimalista o estremista"».
Ma questa sinistra che identità avrà? E quali confini?
«Una forza di sinistra democratica, che includa gli ideali aggiornati del socialismo, ma che sia anche più ricca. Ricca di elementi che il socialismo non aveva incluso nel suo bagaglio. Per esempio il destino del pianeta, l'ambiente, la differenza femminile, l'individuo e il ruolo della conoscenza dentro la riproduzione economica. In sintesi, vi sono due costituenti politiche simultanee. Una più moderata, quella del Pd, e l'altra più a sinistra, tutta da costruire ma necessaria. Ecco, mi auguro che abbiano successo entrambe».

l'Unità 22.4.07
Il travaglio di Angius. E il «rompete le righe» della mozione tre
Il leader ha lasciato Firenze ben prima della chiusura del congresso. Nigra: «Ora faremo delle scelte individuali»
di Eduardo Di Blasi


LA SCELTA INDIVIDUALE. Lo aveva detto nel suo discorso alla platea congressuale. Lui, contrario all'alchimia con la quale sta nascendo il Partito Democratico, aveva confessato: "La politica per qualcuno, almeno per me, è ancora così: una scelta individuale. La politica la si fa e la si pratica, per essa ci si batte, si soffre, si gioisce, si vince e si perde se la si sente come propria, se la si vive come parte di sé, magari non tutta intera, ma in larga misura sì".
Gavino Angius è tornato a Roma già nel tardo pomeriggio di venerdì. Non ha partecipato alle ultime riunioni politiche della propria mozione. Alberto Nigra, portavoce della delegazione, spiega che lo aveva già detto: per motivi personali non sarebbe potuto restare anche il terzo giorno. Chi lo ha visto andare via l'altro giorno lo racconta "molto arrabbiato". Alcuni dei suoi commentano: "Sta attraversando un travaglio difficile". Altri, più amari: "E' partito il "rompete le righe".
Qualunque ne sia la ragione, Gavino Angius, vice presidente del Senato, non era al Mandela Forum quando gli ordini del giorno della propria mozione sono stati respinti dalla maggioranza dei delegati. Non ha contribuito direttamente alla loro scrittura (uno di quelli è stato formulato prendendo a ispirazione il suo discorso all'assemblea). Ufficialmente è ancora nella lista di coloro che prenderanno parte al "Comitato promotore per la Costituente del Partito Democratico" (la mozione conta 45 esponenti su 342), assieme a Massimo Brutti, Mauro Zani, Alberto Nigra, Sergio Gentili.
Lui, Gavino Angius, non si conosce ancora cosa farà. Dopo la svolta della Bolognina si ritrovò sul "fronte del No". Allora si trattava di non rinunciare all'ideologia "comunista" del Pci per quella socialdemocratica che veniva assumendo il nuovo soggetto. Decise di rimanere nel recinto del Pds, una scelta convinta. Oggi resta a riflettere da questa sponda sulla nuova metamorfosi del proprio partito. Sulle opzioni rimaste sul campo. Le due "fasi costituenti" e quello che c'è a valle.
Spiega Nigra: "Non è scontato, che, a livello individuale, sia io che Angius, che altri tra noi, aderiremo al nuovo progetto costituente del Pd". Emerge un "livello individuale" mentre la mozione, arrivata nel porto congressuale, distribuisce i propri delegati dentro il "comitato". Brutti, lo indica apertamente dal palco del Congresso: "Resteremo numerosi e organizzati per rappresentare le nostre ragioni nella fase costituente del Partito Democratico".
Ma Nigra avverte: "La mia opinione è che, se si decide di entrare a far parte della fase costituente bisogna riorganizzarsi per la battaglia". I rischi sono due: il primo è quello numerico. "Una mozione che ha raccolto il 9,4% in uno solo dei soggetti costituenti che possibilità ha di influenzarne il cammino?". Il secondo è nei contenuti stessi del documento: "La mozione - spiega Nigra - è finita con questo congresso, adesso bisogna riarticolarla per renderla funzionale alla nuova battaglia". Infine c'è l'incognita della "società civile", del suo impatto nel disegno finale.
Le decisioni restano rimandate ad una assemblea nazionale della "ex-mozione" che si terrà dopo il ponte del Primo maggio, in una data compresa "tra il 5 e il 10 maggio", più o meno a ridosso dell'appuntamento che si sono dati i sostenitori della mozione Mussi. C'è il tempo per ragionare. Anche il segretario Piero Fassino, nel suo discorso di chiusura, ha aperto al vice presidente del Senato. Lo ha fatto su un elemento di contenuto, il manifesto dei saggi di Orvieto, inviso ai firmatari della Angius-Zani: "Non abbiamo nessuna difficoltà ad accogliere le sollecitazioni che ci vengono da Angius: abbiamo chiamato 250mila persone a decidere, non ci leghiamo certo ad un manifesto scritto da 15 persone".

l'Unità 22.4.07
Cgil, in tanti con Mussi. «Ma sono scelte individuali»
La prospettiva del Pd ha diviso i dirigenti. Ma il sindacato è geloso della sua autonomia
di Giuseppe Vespo


LE SCELTE individuali e l’indipendenza del sindacato. I Ds hanno deciso ieri di dar vita al Partito Democratico. Da ora in poi ci sarà chi lavorerà per la costruzione di questa nuova realtà e chi non la sosterrà, esplorando nuove strade. Così sarà anche all’interno della Cgil. Ma quelle che hanno portato la segreteria confederale a dividersi sulle mozioni Fassino e Mussi, sono scelte personali. Che, sottolineano in corso d’Italia, non devono scalfire l’indipendenza e l’autonomia della confederazione della sinistra. Epifani ha posto con forza la necessità dell’appartenenza del Pd al Partito socialista europeo. Con Fassino si erano schierati in tre: Achille Passoni, Nicoletta Rocchi e Mauro Guzzonato. Con loro, Agostino Megale, presidente dell’Ires, l’istituto di ricerche economiche e sociali della Cgil. Hanno appoggiato il «correntone» di Fabio Mussi: Paolo Nerozzi, Carla Cantone, Morena Piccinini e Fulvio Fammoni. Indipendente, rispetto alle due mozioni, la posizione di Paola Agnello Modica, in quanto di area comunista. Mentre Marigia Maulucci, non iscritta ai Ds, ha annunciato che aderirà al nuovo partito.
Diversa la «geografia» per quanto riguarda le segreterie delle organizzazioni di categoria. Il segretario della Fiom, Gianni Rinaldini, ieri dal palco milanese della Camera del Lavoro - dove si è tenuta l’assemblea della Rete 28 Aprile dal titolo “No a ogni collateralismo tra Cgil e Partito Democratico”- è netto nel suo «no» al nuovo soggetto politico. «Col Pd inizia un terremoto. L’idea liberista sta prendendo piede come unico orizzonte entro il quale si determina la dislocazione delle forze politiche. C’è bisogno di un’organizzazione indipendente, democratica e con una capacità progettuale che la Cgil in questi anni ha perso per strada». Con lui, critico anche Giorgio Cremaschi, da tempo è approdato a posizioni vicine al Prc. Vicini a Mussi e lontani dal Pd: Laura Spezia e Maurizio Landini. «Andrò alla costituente del nuovo movimento socialista di Fabio Mussi - dice Laura Spezia - Ma ritengo che le scelte individuali debbano rimanere tali. Non bisogna coinvolgere il sindacato, che ha da sempre la sua indipendenza. L’aveva prima e l’avrà ancora». Con Fassino, invece, l’altro membro della segreteria Fiom, Fausto Durante.
Per quel che riguarda i leader delle altre organizzazioni di categoria della Cgil, hanno appoggiato il nascente Pd, il leader dei chimici della Filcem, Alberto Morselli; quello dei tessili (Filtea), Valeria Fedeli; Emilio Miceli dei lavoratori della conoscenza (Slc); il segretario della Fillea (edili), Franco Martini; quello della Filt trasporti, Fabrizio Solari e Domenico Moccia della Fisac, i bancari. Si richiama invece alla tradizione socialista Franco Chiriaco della Flai, il sindacato dell’agroindustria. «Non aderisco al Pd, formazione dai connotati centristi, dove il lavoratore è sparito per diventare utente-cittadino, come è sparita la tradizione socialista forte, quella di Riccardo Lombardi e di Pietro Ingrao, di Fernando Santi e Giuseppe Di Vittorio». Sulla stessa sponda di Chiriaco il leader degli statali, Carlo Podda: «Andrò alla riunione dei delegati firmatari della mozioni Mussi perchè credo nell’idea di un movimento che punti alla riaggregazione socialista esplicita, e non nascosta nel cuore». Con Mussi c’è anche Betty Leone dello Spi, il sindacato dei pensionati. «E’ una strada difficile quella che abbiamo scelto - ha detto - ma è la speranza di chi pensa che ci debba ancora essere una realtà a sinistra. Lavoreremo al movimento con l’ambizione di riunificare e di interrompere la maledizione che ci ha contraddistinto negli anni, quella del dividersi e frammentarsi. Noi vogliamo unire le sinistre italiane». Poi giù lungo la rete della maggiore organizzazione sindacale d’Europa, le segreterie regionali e le Camere del lavoro. Gli iscritti ai Ds hanno dibattuto e si sono schierati. I concetti sono gli stessi, a cominciare dall'indipendenza del sindacato. «Ora bisogna pensare e valutare le cose che sono in gioco - dice Susanna Camusso, segretario regionale della Lombardia, che ha appoggiato il «correntone» -. Ma la Cgil non si misura su queste questioni che riguardano i partiti. Ogni militante ha appoggiato personalmente una posizione. Il sindacato ha un suo segretario e la sua indipendenza». A livello regionale con il Pd, tra gli altri, si sono schierati i leader di Piemonte, Liguria, Veneto, Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania e Sardegna. Mentre hanno sostenuto il connubio Dl- Ds i numeri uno di alcune tra le più importanti Camere del Lavoro. A cominciare da quello di Milano, Firenze e Napoli.

il manifesto 22.4.07
Mussi sotto la lente della sinistra radicale
Il cantiere Rifondazione comunista lancia per il 16 e 17 giugno la fondazione della Sinistra europea e già pensa al Cantiere. I Verdi aprono alla discussione e il PdcI attende l'invito
di Sa. M.


Roma. L'orizzonte è chiaro, ma i contorni di quel che si muoverà nei prossimi mesi a sinistra del Partito democratico sono da definire. Ora che Fabio Mussi ha fatto il grande passo abbandonando la Quercia e portando con se quasi tutta la sinistra Ds, il pezzo più radicale dell'Unione è chiamato a decidere sul da farsi tenendo d'occhio prima le amministrative e poi la riforma elettorale. La prima mossa spetta al Prc che infatti ieri pomeriggio ha convocato a Roma il Comitato politico nazionale per aggiornare la preparazione dell'assemblea fondativa della Sinistra europea, prevista per il 16 e 17 giugno: «Quell'appuntamento - spiega Gennaro Migliore, il capogruppo di Rifondazione alla camera - sarà la porta attraverso la quale si vedrà la possibilità di considerare un lavoro consolidato negli anni». L'occasione sarà utile anche per parlare di quel «cantiere a sinistra» che chiama a raccolta «senza vincoli identitari tutti coloro che sono interessati a parlare di sinistra, socialismo e ventunesimo secolo», ha detto il segretario Franco Giordano. L'unica distanza esplicitata è quella con i socialisti di Boselli, con cui le distanze su liberismo e guerra sono ancora forti, ma è chiaro che sulle forme del confronto con gli altri le idee sono tutt'altro che chiare e che c'è ancora qualche ruggine da sanare in particolare con il PdcI. Il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero ha buttato lì che per dialogare con la ex sinistra Ds non vedrebbe male una organizzazione pensata «sul modello della vecchia Flm», la federazione unitaria dei metalmeccanici che riuniva Fiom, Fim e Uilm fino a vent'anni fa. Ma sul punto le idee sono tutt'altro che chiare. E dire che i tempi sono stretti: Mussi ha convocato i suoi per il 5 maggio.
La centrifuga a sinistra ha tirato dentro anche i Verdi. Ieri durante il consiglio federale Alfonso Pecoraro Scanio ha spiegato chiaramente che il dialogo che interessa al Sole che ride non è quello con il Partito democratico. Per ora il tema è un grande soggetto ambientalista che, «di fronte a un Partito democratico così moderato, gradito perfino a Berlusconi, punti ai diritti, alla pace, all'innovazione, ai giovani e ovviamente all'ambiente». Poi però «è anche necessaria un'aggregazione della grande area progressista e laica che in questo Paese ha un larghissimo consenso popolare ma che deve avere una rappresentanza forte». Il passaggio fatto da Pecoraro Scanio non è del tutto scontato per un partito che qui e là ha subito la fuga di dirigenti e amministratori confluiti nel Partito democratico. Ora però la scelta sembra fatta, ne è convinto anche il sottosegretario all'economia Paolo Cento tra i più decisi nel proporre un dialogo con il cantiere in costruzione a sinistra al punto da organizzare anche un dibattito sul tema, presente Franco Giordano, giusto mercoledì scorso: «La nostra discussione deve partire da una confronto che affronti il problema di cambiare il modello economico di sviluppo anche in chiave ecologista. Quello che si muove a sinistra in questo senso ci interessa». Anche i Verdi hanno fissato il loro appuntamento, praticamente sovrapposto a quello della ex sinistra Ds: «La risposta al Partito democratico - ha continuato Pecoraro Scanio - sarà la Convention "Ecologia è economia" dei Verdi che si terrà a Genova il 4 e 5 maggio cui parteciperanno Mussi e altre personalità rappresentative dell'ambiente e dei diritti».
Un po' più in difficoltà sembrano essere al momento i Comunisti italiani, che proprio ieri hanno incassato l'addio del fondatore Armando Cossutta deciso ad abbandonare la carica di presidente e a non partecipare più in alcun modo al partito dopo la rottura consumata a ridosso delle elezioni. Oliviero Diliberto è convinto che il dialogo ci sarà: «Siamo quelli che per primi hanno parlato della necessità di riunificare la sinistra in Italia. Questo è il terzo congresso che facciamo con questa proposta. Quindi ora aspettiamo risposte da parte di coloro che dai Ds non sono confluiti nel Partito democratico e da parte di Rifondazione comunista».

Liberazione 22.4.07
Il congresso Ds approva lo scioglimento. Fassino: «Il Pd è di sinistra». Si agitano i petali della Margherita, Parisi: «Basta con quote e correnti»
Dal Cpn Rifondazione lancia la sfida: «Ci sono le condizioni per un soggetto, ormai anche in tempi rapidi, antiliberista e pacifista»
Giordano: «Adesso la sinistra ha bisogno di un nuovo soggetto»
di Angela Mauro


Assodato che è tempo di accelerare nella costruzione di una nuova aggregazione a sinistra, Rifondazione prova a ragionare sulle modalità e sui luoghi del confronto con tutto ciò che è a sinistra del Partito Democratico, Correntone Ds in primis ma non solo. L'occasione è il comitato politico nazionale riunito a Roma proprio mentre a Firenze si conclude il congresso dei Ds e mentre a Cinecittà la Margherita continua la sua assise nazionale avviata venerdì. «Ci sono le condizioni, ormai anche in tempi rapidi, per un soggetto antiliberista e pacifista». Franco Giordano è netto. «E' evidente - dice il segretario del Prc - che le due assisi di Ds e Margherita descrivono un'ipotesi sociale pacificata e aconflittuale e questo ci carica di una responsabilità grande: accelerare il percorso di unità a sinistra perchè ci sono le condizioni per un soggetto unitario». Alcune date in calendario sono già segnate: il Correntone prepara il suo appuntamento nazionale del 5 maggio per dare vita ad un nuovo movimento. Il Prc punta alla costituzione della sezione italiana della Sinistra Europea il 16 e 17 giugno prossimi e parteciperà come ospite alla giornata organizzata per il 12 maggio dal Cantiere di Occhetto sul tema "Coprire il vuoto a sinistra» (ci saranno anche Mussi, Boselli, Armando Cossutta, Pancho Pardi). Ad ogni modo, è di "cantiere" con la "c" minuscola che si parla, vale a dire di un luogo nuovo di confronto senza legacci con ciò che è già cristallizzato, ma invece con legami a società e ai movimenti e aperture a chi viene da storie diverse e voglia costruire la sinistra e il socialismo del XXI secolo.
Fin qui le dichiarazioni di intenti, cariche della consapevolezza di dover agire subito e di dover trovare una soluzione alle difficoltà che il processo implica. Giordano innanzitutto sgombera il campo dai malintesi. «Non vogliamo fare un'aggregazione di resistenti al Partito Democratico, ma un percorso vivo con i movimenti. La nostra non è una ristrutturazione di ceto politico, ma la volontà di fare la sinistra di alternativa perchè non possiamo assistere al declino della sinistra in Italia». Chiaro. Ma, a parte le date delle assemblee e manifestazioni pubbliche, è bene dare subito un segnale: in Parlamento. Milziade Caprili la butta lì: «Dobbiamo valutare se sono maturi i tempi per porre noi per primi l'idea che in Parlamento si determini un'unità a sinistra». Per il vicepresidente del Senato, si tratta, se non proprio di gruppi unici, di verificare la possibilità di stringere «patti di consultazione, di unità» con i fuoriusciti (de facto) dai Ds e con chi ci sta a sostenere le battaglie sociali e pacifiste. Per Gennaro Migliore bisogna «individuare una mappa dei luoghi del cantiere in questo paese», non si può procedere con «iniziative sporadiche» e non si può «perdere tempo» perchè, dice il capogruppo del Prc alla Camera, «noi dobbiamo fare di tutto per dimostrare ai compagni della sinistra Ds che avevano ragione, al contrario di quanto dice D'Alema quando parla di Mussi». Paolo Ferrero insiste sulla necessità che vada «trovata una modalità» e propone di prendere modello dalla Flm (Federazione Lavoratori Metalmeccanici), sigla che negli anni '70 unì Fiom, Fim e Uilm.
Il tempo, insomma, stringe e non solo per il semplice fatto che sta per nascere (in autunno) il Partito Democratico, ma anche per quello che rappresenta: il compattarsi di pulsioni e prospettive moderate e liberiste con tutto il peso che possono esercitare sul governo dell'Unione. E' forte l'eco delle ultime prese di posizione di Padoa Schioppa sul contratto degli statali e sull'uso del "tesoretto". Nel Prc sono in molti a lanciare il campanello d'allarme. «Noi dobbiamo fare una battaglia politico-culturale e dobbiamo litigare affinchè le risorse in più vadano redistribuite sul reddito», dice Paolo Ferrero. Il ministro insiste su «povertà, casa, non autosufficienze» e incalza: «Va fatta una discussione con il premier Prodi per l'applicazione del programma dell'Unione e bisogna fare una campagna del partito». Il 75% del "tesoretto" (7,5 miliardi di euro), continua Ferrero, va speso per «lo stato sociale e per risarcire chi ha sempre pagato» e le richieste dell'Unione Europea «vanno rispedite al mittente».
Giordano dice «no alle gerarchie nell'Unione e a modifiche del suo impianto programmatico». Una verifica di governo? Il termine «appartiene ad altre epoche», sostiene il segretario del Prc, ma è vero che «c'è una battaglia politica da fare sul risarcimento sociale: le priorità non sono quelle che indica Padoa Schioppa. Se così fosse, non ci sarebbe intesa politica nell'Unione». Bisogna intervenire sulle pensioni basse, anche perchè, ricorda la sottosegretaria al Lavoro Rosi Rinaldi, «se non si fa nulla, la riforma Maroni, con il suo "scalone", comunque parte dal primo gennaio 2008». E poi c'è da operare per un «decisivo aumento dei minimi retributivi, per gli sgravi sugli affitti, per la riduzione dell'Ici sulla prima casa fino alla sua abolizione», insiste Giordano. Sul Tfr «bisogna esplicitare di più la nostra proposta ai lavoratori - puntualizza Ferrero - E' necessario che si tengano il Tfr perchè solo così si può costituire il fondo pubblico gestito dall'Inps». Sono tutti contenuti «legati al nuovo soggetto a sinistra», precisa Giordano. Sono temi che caratterizzeranno la giornata nazionale di mobilitazione del Prc davanti alle fabbriche e i posti di lavoro prevista per il 14 maggio.
Ma se al comitato politico nazionale tutti, nella maggioranza del partito, concordano sulla necessità di lavorare ad un'aggregazione a sinistra, non mancano gli accenti critici sulle modalità ed il clima del percorso. «Bisogna rimettere a qualche milione di persone quelle decisioni che adesso appartengono ai partiti e ai gruppi parlamentari», è l'esordio di Ramon Mantovani, che esorta a non imitare in alcun modo i Ds, la Margherita e il loro nuovo partito. «Le masse convocate dal nascituro Partito Democratico sono passive, chiamate solo per eleggere un leader, per partecipare a sondaggi e convention: competere sullo stesso terreno è suicida e qui - dice il deputato alla platea del Cpn - avverto questa tentazione quando sento parlare della possibilità di fare una cosa nuova e grande a sinistra». Insomma, «sì al confronto con Mussi, sì anche a qualsiasi operazione sul piano elettorale, ma in Rifondazione c'è un progetto che va sviluppato nel confronto con altri progetti. Se Mussi dice che ci vuole una sinistra di governo, esprime quello che è stato per 15 anni e non va bene che noi facciamo finta di non vederlo. Se si dice solo facciamo una cosa grande e nuova - conclude Mantovani - io non ci sto». Alfonso Gianni nota nel partito una «mancanza di spinta e di entusiasmo per la nuova prospettiva». Parlando al cpn, il sottosegretario allo Sviluppo Economico è tagliente: «Il Partito Democratico nasce da una fusione a freddo. Qui sento solo freddo, non c'è nemmeno la fusione...». La deputata Elettra Deiana pone l'accento sulla necessità di rovesciare l'impostazione moderna della rappresentanza femminile in politica. «Deve far riferimento ai contenuti - dice - Invece vedo una modernizzazione che assicura una leadership alle donne, come succede in Francia per Ségolène e negli Stati Uniti con Hillary Clinton, solo perchè ora rendono sul piano del consenso elettorale. La questione sociale è però assente. Vorrei che la nuova aggregazione a sinistra prenda in considerazione questo aspetto».
Sul nuovo soggetto il no è netto da parte delle minoranze. Al cpn Sinistra Critica si esprime con Nando Simeone: «E' solo una reazione al Partito Democratico, mette insieme soggetti in crisi, non considera i movimenti, si ispira alla social-democrazia». Claudio Bellotti di Falce Martello nota che «non esiste un percorso di mobilitazione». Dall'Ernesto invece Claudio Grassi dice sì al dialogo con la sinistra Ds «ma non si parli di un unico partito», mentre Leonardo Masella, capogruppo in Regione in Emilia Romagna, segnala che «il Prc è timido nel rivendicare la sua identità comunista».
«Senza una pratica sociale sui temi economici e sulla pace non c'è nè il Prc, nè la Sinistra Europea, nè il cantiere», avverte il coordinatore della segreteria nazionale Walter De Cesaris, assicurando nessuna «dissolvenza» del partito in altri contenitori: «Bisogna partire subito dalla cultura politica, le formule le si cerca dopo». Una "pratica" viene indicata dalla coordinatrice dei Giovani Comunisti Elisabetta Piccolotti: «Andiamo a manifestare contro il G8 di Rostock a giugno, come abbiamo fatto per Genova. Scendiamo in piazza per la visita di Bush in Italia, come abbiamo fatto nel 2004». La mobilitazione per la visita del presidente Usa è prevista in un ordine del giorno approvato ieri dal cpn. Oggi il Prc si ritrova per la manifestazione pubblica "La sinistra che fa la sinistra", sempre al centro congressi Frentani.

l'Unità 22.4.07
Il procuratore-padre e la bimba di Cogne
di Ferdinando Camon


Comunque vada, resterà un processo memorabile questo di Cogne, lascerà traccia sui giornali e sui testi del Diritto. Sia che il procuratore generale abbia ragione, e la signora Franzoni sia l’assassina di suo figlio, sia che abbia torto, e la signora sia una vittima, anche lei uccisa insieme col figlio. Se la madre è l’assassina, come il procuratore pensa, allora in tutta la lunga storia del processo è mancata una figura che “doveva” esserci, doveva collocarsi davanti alla figlia-moglie-madre-assassina e guidarla verso l’unico sbocco positivo, l’unico bene possibile: la confessione e l’espiazione. Tutte le altre strade sono sbagliate. Aggiungono male al male.
Guidarla verso la confessione e l’espiazione è un compito terribile, chi se lo assume rischia di essere odiato per questo: ma c’è qualcuno che “deve” correre il rischio, adempiere questo ruolo: è il ruolo paterno. Non stiamo parlando del padre in senso stretto. Può anche essere il marito o un fratello o un altro famigliare, una persona che vuol bene alla madre-figlicida (sto cercando i termini interni al sistema di valutazione del procuratore) e, volendole bene cioè amandola, vuole il suo bene cioè salvarla. Con un gesto raro nei processi, dove il procuratore generale che accusa è per l’imputato il nemico numero uno, qui il procuratore assegna a se stesso questo ruolo paterno. Il ruolo di chi ama l’imputato anche se lo ritiene colpevole. E soffre perché l’imputato, col suo comportamento, disprezza e rifiuta di essere amato. E gli indica la strada per la quale può riconquistare l’amore di tutti. C’è qui il concetto che una madre-figlicida può riavere l’affetto di tutti se tutti sentono in quel che ha fatto una disgrazia, di cui lei è comunque vittima, anche se fosse vittima di se stessa. C’è un buio in quella disgrazia, un buio della ragione in cui al nostro posto agiscono altri che hanno altro nome, destino o raptus o es (termine mai pronunciato, che però qui calza bene): il Medioevo ci avrebbe messo anche il diavolo. Ma dopo la disgrazia che ha inflitto o che ha patito, l’uomo deve tornare in mezzo a noi, mondarsene, aiutarci a salvarlo. A Cogne, dice il procuratore, questo non avviene, anzi avviene il contrario. Avviene che la colpevole o vittima della disgrazia “esporta la colpa”, accusa uno di noi, una vicina di casa, e a noi racconta il contrario di quello che sa. Avere pietà diventa difficile. Noi tutti vorremmo “voler bene” a questa madre, ma ci è difficile perché questa madre ci inganna tutti. In un certo senso, ci ha resi suoi nemici.
Se ha fatto questo, la madre si comporta come una bambina, che ha commesso una colpa e ha paura di ammetterla e la nega di fronte a tutti e nonostante tutto. Il termine usato dal procuratore, “bambina”, è una parola-chiave. Forse il procuratore non ci ha pensato, ma i genitori della signora di Cogne continuano ancor oggi a chiamare la loro figlia, che è più volte madre, “la bambina”. Chi ha bambini in casa sa che i bambini non riescono a introiettare il concetto fondante del Diritto, e cioè che espiare, per il colpevole, specialmente per il colpevole di omicidio, “è un diritto”. Se è vero che in famiglia coloro che dovrebbero esercitare sulla signora un ruolo paterno (padre, marito, fratelli maggiori) non lo fanno, e la proteggono, e ritengono di fare il suo massimo bene trattenendola dalla confessione, se questo succede, con questo si fa il male della signora. Bisogna mettere fine al male. Un procuratore dovrebbe soltanto promuovere l'azione penale, sovrintendere alle indagini, svolgere l’accusa, e fermarsi lì. Questo fa qualcosa di strano, anomalo, sconcertante: fa “il padre”. Si preoccupa che l’accusata si scrolli di dosso la paura degli sberleffi, se confessa, e confessi, per essere riamata. C’è una forma di umana grandezza, in questo atto. E di generosità. Temo però che confessare fosse molto difficile, a delitto appena compiuto. Oggi, dopo anni di sviamenti, è diventato pressoché impossibile.
fercamon@alice.it

Liberazione 22.4.07
Psicofarmaci ai bambini distratti o iperattivi? Il ministero della Salute vieti l'immissione in commercio del Ritalin
di Tiziana Valpiana


L'Organizzazione mondiale della sanità in base a studi proiettivi, ha affermato che, nel 2020, la metà dei bambini soffrirà di "malattie mentali". Questa autorevole previsione dovrebbe indurci a ripensare a uno sviluppo che crea alienazione, a una società basata sull'arrivismo e sulla competizione, a una famiglia sempre più compressa e destrutturata, a relazioni anche parentali che si basano più sul "dover essere" che sulle spontanee affettività. Invece, la risposta data a questo pronostico è il "contenimento farmacologico", la medicalizzazione di massa, non solo per i malesseri degli adulti, ma anche per quelli dei bambini… L'uso degli psicofarmaci nei minori sta suscitando un crescente allarme sociale, soprattutto in quei Paesi in cui, dopo decenni di esperienza, si sono evidenziati i loro effetti deleteri in età evolutiva. Nel 2003, la Food and Drug Administration statunitense ha deciso di autorizzare la somministrazione del Prozac ai minori con disturbi depressivi e ossessivo-compulsivi, e non possiamo stupirci, visto che da anni in America, ai bambini di 2 anni veniva prescritto anche il Ritalin. In molti temevano che ben presto, come sempre, anche l'Italia si sarebbe "adeguata", e così è stato! L'Agenzia italiana del farmaco, lo scorso 8 marzo, ha autorizzato l'immissione in commercio il Metilfenidato cloridrato (Ritalin) per il «trattamento della sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) in integrazione al supporto psico-comportamentale». «Al fine di garantire un uso appropriato, sicuro e controllato, sono state individuate procedure che vincolano la prescrizione del farmaco ad una diagnosi differenziale e ad un Piano terapeutico definiti da Centri di riferimento di neuropsichiatria infantile, appositamente individuati dalle Regioni; impongono controlli periodici per la verifica dell'efficacia e della tollerabilità del farmaco; richiedono l'inserimento dei dati presenti nei Piani terapeutici, in un Registro nazionale appositamente istituito presso l'Istituto superiore di sanità, con garanzia d'anonimato, al fine di consentire il monitoraggio e il follow up della terapia farmacologia». «In questo modo - aggiunge l'Aifa - è stata garantita la disponibilità del farmaco soltanto ai casi di reale necessità, evitando gli usi impropri verificatisi in altri Paesi. In ogni caso l'Agenzia italiana del farmaco elaborerà un Rapporto annuale, sulla base dei dati del monitoraggio e del Registro, finalizzato alla valutazione complessiva del problema e delle eventuali altre misure da adottare». Dunque il Ritalin, discusso psicofarmaco usato per curare una discussa diagnosi, ora è in vendita anche in Italia, con mille distinguo e con mille precauzioni, ma con poca informazione. Che cosa è il Metilfenidato? Si tratta di un'anfetamina, droga a tutti gli effetti, tanto che, nel 1989, il ministero della Sanità italiano lo tolse dal mercato, inserendolo nella categoria delle droghe, mentre, durante il governo Berlusconi (lo stesso che ha fatto la Fini-Giovanardi, legge proibizionista e criminalizzante), il principio attivo del Ritalin è passato dalla categoria 1 alla 2, riducendo i vincoli al suo utilizzo e si è sviluppato un vero e proprio mercato nero, un "turismo farmaceutico" per i bambini Adhd. Da anni si parla di una fantomatica sindrome da deficit d'attenzione e iperattività (Adhd), ma la diagnosi è in realtà poco definita, visto che «non vi sono test di laboratorio confermati come diagnostici». L'Osservatorio sulla salute mentale e molte associazioni invitano a non considerare la mancanza d'attenzione e l'iperattività una malattia mentale, ma a cercare di individuare le cause del disagio nella vita sociale, scolastica e familiare. L'uso di psicofarmaci su bambini, il cui comportamento è forse dovuto all'abnorme "bombardamento di stimoli", rischia di coprire le cause del problema e di rispondere solo nascondendo i sintomi. Ciò che "calma" il bambino è un'attenuazione della capacità dei neuro-trasmettitori che ottunde le funzioni cerebrali.
Gli adulti di riferimento, genitori, insegnati e pediatri, scambiano per miglioramento lo "spegnimento" del bambino: una disfunzione cerebrale che nel tempo si trasforma in isolamento, causando tic che danneggiano l'autostima e influenzano l'accettazione sociale.
Perché, allora, se non si è certi sul piano scientifico né dell'esistenza della patologia, né dell'efficacia della cura, né degli effetti indesiderati, si è deciso lo stesso di immettere il Ritalin sul mercato italiano? Non è la prima volta che Rifondazione comunista, anche in sede parlamentare, esprime forte preoccupazione per la facilità con la quale anche in Italia si somministrano psicofarmaci ai minori. E già nella scorsa legislatura avevamo chiesto al Governo di intervenire per far cessare gli screening di massa e i sondaggi tra la popolazione scolastica e infantile finalizzati all'arbitraria classificazione.
Ritenendoci insoddisfatte dalle rassicurazioni fornite dall'Aifa, abbiamo ritenuto di rivolgere un'interrogazione alla ministra della Salute per conoscere le sue valutazioni sulla classificazione dell'Adhd come patologia neuro-psichiatrica e sull'opportunità di prevedere queste terapie a carico del Servizio sanitario nazionale.
Alla luce di tanti dubbi scientifici, continueremo a batterci contro l'uso di psicofarmaci in età pediatrica (esclusi i reali casi di problemi psichiatrici), e porteremo avanti una lotta di cambiamento culturale. Il Ritalin, altrimenti, sarà la prova del fallimento della società, della scuola, della comunità, della politica.

il manifesto 22.4.07
Il prezzo della follia lasciata a se stessa
Da oltre un anno Cho Seung Hui aveva dato segni di malessere, ma il sistema di controllo del campus si era limitato a fargli il vuoto intorno. Il sistema psichiatrico Usa punta al controllo della pericolosità sociale, ma non si fa carico della follia degli altri. La ricerca delle responsabilità gira attorno a una sola domanda: chi pagherà i risarcimenti?
di Maria Grazia Giannichedda


Chi pagherà il conto della follia di Cho Seung Hui? Attraverso la Nbc, il suo video testamento ha fatto il giro del mondo e ha spostato la ricerca delle responsabilità sulla strage al Virginia Tech dall'operato dei servizi di sicurezza al sistema di controllo del comportamento di questo studente, che colleghi e insegnanti avevano subito descritto come solitario e difficile, ma tutto sommato non tanto da suscitare allarme. Da più di un anno infatti Cho aveva dato segni di malessere, senza però disturbare davvero o perlomeno non fino al punto da apparire come pericoloso e attivare sanzioni pesanti.
I fatti ora sembrano chiari: due ragazze molestate da sms che segnalano il problema, ma non vogliono sporgere denuncia; i temi con contenuti aggressivi; le provocazioni verbali a lezione; le idee di suicidio che arrivano ai servizi di assistenza per gli studenti e alla consulenza psichiatrica dell'università; infine il giudice che lo scorso anno firma una proposta di ricovero coatto che il vicino ospedale psichiatrico non ritiene di dover accogliere; il rinvio al servizio psichiatrico territoriale dove forse non andrà mai, questo studente che sta male ma non presenta i tratti del folle delirante e pericoloso. Il sistema di controllo sociale del campus si è limitato così a fargli il vuoto intorno; i servizi psichiatrici, che pure hanno registrato la sua sofferenza, non sono stati capaci di accoglierla, o meglio non si sono sentiti in obbligo di farlo visto che lo studente non evidenziava segni di potenziale pericolosità.
Questo è un punto chiave della vicenda, che rinvia a caratteri tipici ma non unici del sistema psichiatrico americano.
Negli Stati Uniti di oggi l'antica vocazione della psichiatria al controllo della pericolosità sociale (il ricovero coatto si deve attivare quando le condizioni del paziente evidenziano «un imminente e grave pericolo per sé e per gli altri») convive con un sostanziale disimpegno verso la salute mentale di chi non appare pericoloso, che resta perciò «libero» di ricorrere o no al mercato delle cure psichiatriche. In concreto questo significa che i candidati all'internamento negli ospedali psichiatrici di stato e in quelli privati (i due sistemi oggi si equivalgono in quantità, con una sessantina di ospedali in un campo e nell'altro) sono soprattutto coloro che presentano il «physique du rôle» del malato mentale pericoloso: ovvero i più poveri, gli homeless, insomma quelli più in basso nella scala dell'esclusione, che vagano così tra la strada e il complesso circuito degli ospedali psichiatrici a vari livelli di sicurezza, dei ricoveri in gran parte privati, delle istituzioni per alcolisti e tossicodipendenti. Mentre paradossalmente non riceve ascolto la follia degli altri, di quelli che come Cho stanno assai male ma si mantengono nel mondo dell'integrazione: «non esiste», potremo dire, in quanto «la salute mentale comunitaria» (come si dice in un linguaggio tecnico, peraltro inventato dagli americani) non riceve alcuna attenzione pubblica, alcun investimento economico e culturale, come del resto è il caso delle politiche di salute tout court, paradosso noto di un paese che ha una delle spese sanitarie più alte del mondo.
Questo problema è emerso per un attimo nel corso di una drammatica conferenza stampa convocata giovedì dalla polizia e dalle autorità del Virginia Tech, e trasmessa in diretta dalla Cnn. Da poche ore il messaggio video di Cho aveva costretto tutti a prendere atto della sua follia e della sua fragilità, e aveva trasformato la conferenza in un confronto sulle responsabilità duro e destinato a durare a lungo, vista la posta in gioco di risarcimenti miliardari che potrebbero essere chiesti dalle famiglie dei morti e dagli innumerevoli traumatizzati.
I giornalisti hanno dunque messo in croce i dirigenti dell'università: la famiglia di Cho era stata informata del suo comportamento? come mai lo studente non è stato espulso dall'università o perlomeno dal campus? come mai non è stato internato in ospedale psichiatrico visto che non si poteva farlo chiudere in carcere? Alla terza o quarta domanda su questo tono, uno dei dirigenti dell'università, avendo ribadito che non si può violare la privacy di uno studente contattando la sua famiglia, che le domande sul mancato internamento vanno poste al giudice che aveva firmato l'ordinanza di ricovero coatto, al medico che non l'aveva accolta e al servizio territoriale che avrebbe dovuto prendersi cura di Cho, ha perso la pazienza: sappiamo da anni, ha detto, che ogni qualvolta che si devono fare tagli alle spese sociali il primo settore a essere penalizzato è quello della salute mentale, sta qui il problema, in questo sistema sempre più povero e inefficiente. Ma questo tipo di considerazioni non sembra aver suscitato, per ora, l'interesse dei media americani, piuttosto orientati a chiedere agli esperti diagnosi che il video di Cho rende più facili e che sottendono un'unica domanda: una tale evoluzione poteva essere prevista ed evitata? Che significa: dovrà pagare l'ospedale psichiatrico per imperizia o mancato controllo, oppure l'università per non aver difeso la propria comunità dallo studente disadattato e deviante? In ogni caso, chiunque sarà chiamato in futuro a pagare il conto della follia di Cho sarà comunque il capro espiatorio di un sistema sbagliato.

il manifesto 22.4.07
La guerra in casa Molti interrogativi elusi dopo il massacro nel campus americano
Virginia, più domande che risposte
Dopo giorni di silenzio, parla la famiglia dello studente che ha ucciso 32 persone (oltre a se stesso) nel campus del Virginia Tech: «indicibile dolore» per un gesto «terribile e senza senso». Una commissione indagherà sul comportamento delle autorità
di Ma.Fo.


La famiglia Cho ha rotto il silenzio. «Non abbiamo parole per esprimere la nostra tristezza e dolore che tanti abbiano perso la vita in un gesto così terribile e senza senso» ha detto Cho Sun-kyung, sorella di Cho Seung-hui, lo studente che lunedì scorso ha ucciso 32 persone prima di suicidarsi in un'aula dell'università Virginia Tech di Blacksburg. Da quel giorno la famiglia «vive in un incubo», ha detto la ragazza a nome di tutta la famiglia: «E' una terribile tragedia per tutti noi». I Cho si erano trasferiti negli Stati uniti dalla Corea del sud nel 1992, la sorella si era laureata a Princeton nel 2004, per il fratello minore la famiglia sperava qualcosa di simile: ora sono sotto shock.
«Non avremmo mai potuto immaginare che fosse capace di tanta violenza», ha detto la sorella venerdì, mentre l'intero stato della Virginia osservava una giornata di lutto per le vittime del massacro della Virginia Tech. E' stata una giornata di commemorazione, con un minuto di silenzio a mezzogiorno (le 6 del pomeriggio in Italia) osservato nel campus e poi veglie in diverse città.
Commemorazioni e veglie rispondono alla necessità di superare uno shock collettivo. Continuano però anche le indagini, e le polemiche. Ieri è stato annunciato che una commissione indipendente composta da 6 persone (tra cui Tom Ridge, ex capo dell'agenzia per la «sicurezza interna», homeland security, creata dall'amministrazione Bush dopo l'11 settembre 2001) condurrà un'inchiesta su come le autorità hanno affrontato la crisi. Perché, ad esempio, le autorità hanno ignorato il pericolo potenziale posto da Cho: già alla fine del 2005 un tribunale della Virginia lo aveva dichiarato «malato mentale» e aveva ordinato che si sottoponesse a cure psichiatriche. Chissà se l'indagine arriverà al nodo finora eluso: quali servizi di salute mentale la società americana mette a disposizione dei suoi cittadini.
Altre questioni: perché lo studente aveva potuto comprare due pistole, nonostante quell'ordinanza del tribunale? Sul New York Times di ieri un portavoce dell'Ufficio federale per le armi da fuoco (Federal Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives) fa notare che secondo la legge federale una persona dichiarata «mentalmente anormale», o a cui sia stato ordinato un trattamento psichiatrico, non può acquistare armi. Il presidente di una speciale commissione dello stato della Virginia per la riforma delle leggi sulla salute mentale, Richard J. Bonnie, conferma: secondo i criteri federali, Cho non avrebbe avuto il permesso di comprare le pistole. Ma perché allora lo stato della Virginia, peraltro uno dei più ligi nel segnalare al sistema federale i nomi di coloro a cui il diritto a portare armi è sospeso per malattia mentale, non aveva segnalato il nome di Cho Seung-hui? Discordanze nelle definizioni burocratiche tra leggi federali e statali, pare («Correggeremo questa lacuna», ha dichiarato Bonnie al giornale newyorkese).
Altre questioni riguardano la reazione delle autorità di Virginia Tech e le forze di sicurezza, le due ore passate tra la prima sparatoria e la strage finale. Una portavoce della polizia ha annunciato ieri che gli investigatori stanno continuando a lavorare e avranno qualcosa da annunciare la prossima settimana.