Francia. Doppio turno
L'ultrasinistra soffre e recrimina
Prc E PdcI guardano al Sudamerica, non al Pse
La sinistra radicale ammette la sconfitta
Solo i trotzkisti esultano per il loro candidato
di Ettore Colombo
Non è piaciuto né punto né poco, il risultato del primo turno delle presidenziali francesi alla sinistra radicale italiana, specie dalle parti di Rifondazione. Il problema non sta tanto nel (disastroso) risultato raccolto dai candidati a sinistra della Royal, risultato che anche se si sommano tutti i contendenti peraltro non ha fatto gioire proprio nessuno, tra i partiti della sinistra a sinistra del pd, ma anche nei suoi effetti indotti. Quelli del meccanismo elettorale a doppio turno che i maggiorenti dell'Ulivo vorrebbero importare anche in Italia. Il segretario del Prc Franco Giordano lo dice chiaro, via agenzie e parlandone con i suoi. Alle prime, stabilito che il ballottaggio «chiama la sinistra francese a una sfida unitaria per allargare il consenso intorno alla Royal», spiega che «l'affermazione dell'Udf di Bayrou ripropone le aporie di un bipolarismo che rischia di svuotarsi nella sfida per l'inseguimento al centro e che rivela i limiti intrinseci del sistema a doppio turno». Parlando con i suoi indica tutti i pericoli di un sistema elettorale basato solo sulla negoziazione dei posti, sulla contrattazione del potere, e di accordi per il secondo turno «fatti con la pistola alla tempia, per la sinistra, dove l'unica possibilità è quella di turarsi il naso e votare», ma soprattutto temendo uno scenario - brutalmente prospettato dall'intervento del presidente del Senato Marini - in cui «la maggioranza di una minoranza vuole decidere di volta in volta con chi allearsi in modo spregiudicato, e magari cominciare a trattare la sinistra alternativa come un orpello, mentre noi al confronto con il cattolicesimo democratico, all'interno dell'unica alleanza possibile, l'Unione, siamo seriamente interessati».
Ecco perché Rifondazione, dove peraltro le simpatie per il Pcf, già scarse anni fa, nonostante i due partiti siano alleati nel gruppo del Gue all'Europarlamento e nel progetto Sinistra europea, si sono ormai ridotte quasi allo zero («si tratta di un partito morto», si sente dire) punta al modello elettorale tedesco e teme come la peste il doppio turno.
I Verdi italiani, che naturalmente appoggiano la scelta dei Verdi francesi - la cui candidata Domenique Voynet si è fermata a un modesto 1,5% ma ha già annunciato di voler votare per la Royal - seguono lo stesso filo del ragionamento di Giordano. Criticano, cioè, con il capogruppo alla Camera Angelo Bonelli il doppio turno, definito «un elemento negativo che favorisce la frammentazione a sinistra né dà garanzie di governabilità e pluralismo».
Se Sagunto, e cioè Prc e Pdci, i (presunti) omologhi italiani del Pcf francese, la cui candidata Marie-George Buffet si è fermata al 2%, in crollo anche dalla già disastrosa volta precedente (3,7), piange, Roma però non ride. Vanno male, infatti, anche i due candidati trotzkisti, anche se con una differenza sostanziale: Arlette Laguiller, storica pasionaria di Lotta Operaia, precipita all'1,5 (aveva il 5,2%), mentre il postino trotzkista Olivier Besancenot, leader della Lega comunista rivoluzionaria, non va oltre il 4,1%. I trotzkisti italiani, però, esultano anche perché, in questo caso, i legami della IV Internazionale (la cui “centrale” sta proprio a Parigi) pesano e Besancenot è nei loro cuori. «L'Arlette si è candidata per la sesta volta dal '74 e il suo partito è davvero una setta chiusa - spiega Salvatore Cannavò, deputato del Prc e leader della minoranza (in rotta aperta col partito) “Sinistra critica” - mentre Besancenot è l'unica forza in piedi a sinistra della Royal e in termini di voti assoluti è pure cresciuto. Oggi chiede un voto anti-Sarkozy, più che pro-Royal, per battere le destre e fa bene. L'idea della gauche plurielle, invece, tanto cara a Bertinotti, e cioè l'unità delle sinistre tra Pcf e Ps perseguita per anni, ma anche il progetto di Sinistra europea ne esce massacrato. Con il meccanismo del voto utile il Prc rischia la fine del Pcf».
Nello stato maggiore di Rifondazione, naturalmente, ci credono eccome, invece, nel progetto Sinistra europea, e ne stanno preparando alacremente il lancio per il 16 e 17 maggio a Roma. Se però Uniti a sinistra, il rassemblement che fa capo a Pietro Folena, ha chiesto lo status di osservatore al Pse e intreccia i rapporti più stretti con l'area di Mussi e Salvi (il 29 ci sarà un'assemblea comune), anche in tema di analisi sul voto francese, più di qualche accenno a rapporti «positivi» con le sinistre socialiste e socialdemocratiche europee non si strappa, parlandone al responsabile Esteri del Prc Fabio Amato, che preferisce puntare le sue carte e le sue speranze - come peraltro fa anche il responsabile Esteri del Pdci Jacopo Venier - sul Foro latinoamericano di San Paolo, dove si raccoglie il meglio, a loro dire, della sinistra radicale, socialista, comunista, cattolica e ambientalista (in una parola: altermondialista) di un continente che fa ancora sognare i “new comunist” all'italiana perché vince e governa, ma da posizioni anti-liberiste, pacifiste, populiste e anti-statunitensi.
«In Francia difficilmente sarebbe potuta andare peggio, a sinistra: la frammentazione si paga ma è stato un errore politico», spiega Amato, «lì l'obiettivo dell'unità a sinistra resta da perseguire mentre in Europa e nel mondo il discrimine per noi resta sempre lo stesso: il no alla guerra e al neoliberismo. Ecco perché il Pse e la stessa Internazionale socialista non ci bastano». Per Amato, in ogni caso, nel progetto Sinistra europea sono coinvolte anche forze della sinistra socialista e socialdemocratica: oltre alla Linke tedesca, dagli olandesi ai nordici, dai portoghesi ai greci. Forti dubbi nutre, sull'argomento, Venier del Pdci, partito che sta dentro il Gue e che verso Sinistra europea ha lo status dell'osservatore: «E' un luogo parziale, che divide quello che il Gue unisce, senza dire che quasi tutti i partiti della sinistra alternativa nordica e di altri paesi non vi partecipano». Ma in questo caso si torna nelle beghe interne italiche, quelle tra Pdci e Prc. Venier in ogni caso è molto più critico e severo nei giudizi: in particolare sulla mancanza di una «candidatura unitaria della sinistra già dal primo turno, in Francia, sull'esito triste che segna il destino del Pcf e sull'illusione della sinistra alternativa francese che ha condotto una dura battaglia contro la costituzione europea senza peraltro riuscire a capitalizzare quel risultato».
Non ha dubbi, invece, il senatore Cesare Salvi, leader con Mussi della minoranza Ds: «Il voto francese dice innanzitutto che il socialismo è vivo e vegeto, alla faccia di Rutelli, ora si tratterà di vedere se il voto francese si riposizionerà definitivamente sull'asse destra-sinistra, al ballottaggio. Poi, certo, a sinistra c'è il problema di fare, come direbbe Bertinotti, “massa critica”: i voti a sinistra della Royal se sommati stanno poco sotto il 10% ma si sono divisi. Gli elettori, anche in Italia, chiedono una sinistra capace di vincere e su cui contare. Una lezione importante, quella francese, e tutta da approfondire». Sistema elettorale permettendo.
Repubblica 24.4.07
Il leader di Sinistra Democratica: d'ora in poi le questioni di maggioranza dovranno essere trattate con noi
Mussi avvisa premier e alleati "Anche noi al tavolo dell'Unione"
di Umberto Rosso
ROMA - Adesso, c´è anche l´annuncio ufficiale. «Sì, ci saranno rappresentanze istituzionali del nostro movimento. In Parlamento, così come in giro per l´Italia, negli enti locali. A breve perciò nasceranno i nuovi gruppi alla Camera e al Senato». Consumato a Firenze l´addio ai Ds e al Pd, «senza torte in faccia, con grandissima civiltà», Fabio Mussi e (l´ex) correntone della Quercia sono alle prese con il day-after. E "Sinistra democratica" chiede già di aggiungere un nuovo posto al tavolo del centrosinistra.
Ministro Mussi, anche voi d´ora in poi ai vertici e alle trattative di maggioranza?
«Credo proprio di sì. Siamo una parte del centrosinistra, e al tavolo dobbiamo esserci. Non voglio che sia un seggio permanente, perché lavoriamo ad un movimento più grande, ad un big-bang di tutta la sinistra che non si riconosce nel Pd. Ma è certo che, avendo un ruolo parlamentare rilevante, dovremo poter dire la nostra».
Nuovo partito, e nuova frammentazione sotto il cielo dell´Unione.
«Inevitabile, con la nascita del Pd. Ma li vogliamo accendere i riflettori su quel che è successo davvero al congresso della Margherita?».
Accendiamoli.
«Rutelli annuncia, abbracciando Fassino: il Partito democratico è già qui. Ma come, e le architetture della Costituente, il processo allargato, e il motore che aspetta la potente benzina delle primarie? Niente. Già fatto. Il Pd è nato. Adesso non gli resta che la battaglia per stabilire chi comanda. E che dire di Franco Marini?».
Parliamone.
«E' stato chiaro: il Pd dovrà tenersi le mani libere nelle alleanze di governo».
Nella prossima legislatura, ha precisato.
«Certo, mica penso che Marini punti adesso al ribaltone. Ma i partiti non si fanno per una legislatura, l´orizzonte balistico è più ampio, nascono per durare. Domando: il Pd non doveva essere il timone riformista del centrosinistra? In Italia, lo abbiamo già avuto un grosso partito di centro che "guardava" a sinistra, e che per 50 anni ha lungamente governato alleandosi però ora con la sinistra ora con la destra. Si chiamava Democrazia cristiana».
Partito democratico uguale Dc?
«La formula delle mani libere di Marini lascia intuire nelle intenzioni un Pd che tende ad esercitare la funzione che fu della Dc, con alleanze ora di qua ora di là».
Forse sarà un sogno della Margherita. E sotto la Quercia?
«Già, i Ds. Che ne pensano? Chi lo sa. Un silenzio assordante. Nessun commento, neanche una parola sull´intervento di Marini. Eppure Fassino era seduto in prima fila, al congresso dielle di Cinecittà».
Se restava qualche dubbio sull´addio, il congresso della Margherita l´ha spazzato...
«Ha confermato in pieno la mia scelta di Firenze».
Dove ha parlato di "due" costituenti. Però quella del Pd è comunque in marcia. E la vostra, ministro?
«Ci siano appena messi in cammino. Non per aggiungere un nuovo partitino ad un arcipelago di sigle già affollato. L´obiettivo immediato è la costituzione di un movimento politico, al quale chiediamo l´adesione di iscritti ai Ds, intellettuali, compagni rimasti alla finestra, della grande area di sinistra "liberata" dal progetto centrista del Pd. Il 5 maggio prossimo, nella prima assemblea di "Sinistra democratica", eleggeremo gli organismi provvisori. Dopo l´estate, la struttura definitiva».
E i rapporti con i partiti della sinistra? Con Boselli o con Giordano?
«Il nostro movimento punta ad aprire un processo, a far da sponda, ad innescare un big bang di trasformazione e di aggregazione di tutta la sinistra. Se non avessi il senso del limite e della misura, parlerei di una Epinay italiana. Immagino un centrosinistra basato su due pilastri».
Quali sono?
«Uno è il Pd. L´altro la sinistra. Le aspettative di un Pd che può contare quasi su tutto lo spazio del centrosinistra, francamente mi sembrano esagerate. Per fare maggioranza di governo, ho l´impressione che serviranno altrettanti voti di quelli portati dal nuovo partito di Rutelli e Fassino».
Intanto, via libera ai gruppi parlamentari autonomi del correntone. Nome?
«Ne discuteranno i delegati. La proposta resta "Sinistra democratica"».
Simbolo? Si "libera" la Quercia, sta per sparire dal logo ds...
«Non è libera, apparterrà comunque a Fassino. In ogni caso, bisogna costruire cose nuove. I vecchi edifici a questo punto sono tutti crollati».
Non parliamo perciò di falce e martello.
«A quella ho rinunciato nel 1989».
In pista come Sd alle ammistrative di maggio?
«Troppo presto. Il quadro, piuttosto, sarà variegato. In alcune città, vedi Taranto, i nostri saranno candidati nelle liste civiche. Altrove con l´Ulivo. In altre città ancora nelle liste Ds».
Nessun disagio a trovarsi ancora sotto lo stesso tetto, dopo la scissione?
«No, perché l´obiettivo comune è far vincere il centrosinistra. E daremo una mano, visto che abbiamo una nostra forza anche elettorale».
Dopo, faranno gruppo a sé consiglieri comunali del correntone?
«Vedremo, caso per caso. Non sarà una questione dirimente. Del resto, c´è sempre un´elezione alle porte. Dopo il voto di maggio, ecco il successivo turno di amministrative. E poi le europee. Hai voglia. Qualunque cosa si faccia, c´è sempre a ridosso un´altra elezione... ».
Repubblica 24.4.07
Bertinotti sul monte Athos preghiere, silenzi e palmari
di Goffredo De Marchis
"Si sente la diversità, ma non esistono più aree protette, separate dal resto del mondo" Le telecamere del Tg1 ammesse alla visita
Il presidente della Camera per due giorni dai monaci
ROMA - Pranzo alle otto di mattina con pesce, formaggio, patate e vino rosso. Pasto successivo alle sette di sera. In mezzo tanta preghiera, il raccoglimento nel silenzio, le funzioni religiose. Per due giorni, sabato e domenica, Fausto Bertinotti ha vissuto la vita dei monaci del monte Athos, la comunità ortodossa che ha creato un´enclave autonoma all´interno della penisola greca. Raccolti intorno alla montagna, vivono, in 20 monasteri, 1500 monaci. Zona off limits per le donne e anche per gli animali di sesso femminile. Non ci sono né mucche né capre. Lontani da tutto, in un´atmosfera ascetica, i religiosi tengono viva una tradizione antichissima. E il presidente della Camera ha deciso di venire a vedere. «Ci sono più cose in cielo e in terra di quelle contenute nella nostra immaginazione», ha spiegato ieri al Tg1 citando Shakespeare. Lo ha spinto la curiosità, lo ha colpito il fatto che nemmeno lì, in mezzo alla penisola su cui sorge il monte Athos, si possa tenere a distanza la modernità. Mentre visitava con la delegazione un monastero (c´era il portavoce Fabio Rosati e il direttore di Radiorai Sergio Valzania, coautore del libro "La città degli uomini") un religioso con la tipica barba ha tirato fuori un palmare. Proprio lì dove non è ammessa la televisione. Con qualche eccezione, visto che il presidente della Camera è riuscito a farsi seguire dalle telecamere del Tg1, che ieri sera hanno mandato in onda un servizio sulla visita. Con tanto di nota di rammarico della conduttrice Tiziana Ferrario che ha sottolineato come purtroppo quei monasteri siano off limits per le donne.
Bertinotti ha partecipato alla preghiera, seduto accanto all´abate, in prima fila. È un altro pezzo del personalissimo mosaico bertinottiano, una parte del suo percorso spirituale mai nascosto. «Sono in ricerca», disse qualche anno fa. Un ateo attento alla profondità della fede. Disse anche, quando era il leader di Rifondazione, che il primo giornale letto la mattina era l´Osservatore romano. A breve a Montecitorio verrà inaugurata la sala di meditazione aperta a tutti gli abitanti del Palazzo che lui ha voluto. «Eppoi - ha spiegato dopo la visita - qui c´è una cura particolare delle radici. Si celebrano adesso i mille anni della comunità. Anch´io penso che le radici siano importanti per guardare al futuro».
È proprio il senso di futuro ad averlo colpito, in una terra che dovrebbe essere ferma nel tempo, distante dalla modernità, più attenta all´antico che al progresso. «È vero, sul monte Athos si sente la diversità di un´esperienza. Ma non esistono più aree protette, non c´è un luogo che possa davvero essere separato dal resto del mondo, oggi».
Bertinotti ha soggiornato nel monastero di Vatopedi, nella stanza dove dorme Carlo d´Inghilterra che ama questi luoghi. L´unica con il bagno privato. Al principe è stata dedicata una teca nel museo della comunità con tutti i regali fatti negli ultimi anni. Anche il presidente della Camera ha portato un piccolo omaggio: una mappa della penisola con l´Athos in evidenza. Ha visitato quattro monasteri, ha parlato con gli abati, con i monaci. Ne ha incontrato uno che era stato comunista, partigiano, esule durante la dittatura dei colonnelli. «Siamo due compagni», hanno scherzato abbracciandosi. E hanno discusso a lungo di Sarkozy. «Il mondo globalizzato - ha osservato - spinge questi monaci a non chiudersi completamente e spinge una persona come me a vedere un altro aspetto della vita. Questo ci obbliga a riflettere. I monaci sono gelosi delle loro tradizioni, dei loro riti, della loro storia ma vogliono anche aprirsi». Del resto, la parola più ascoltata nella breve visita è stata «sperimentare», ha raccontato Bertinotti. «Dobbiamo farlo tutti, soprattutto in questi tempi».
Corriere della Sera 24.4.07
Addio unione di sinistra
La partecipazione al voto e il crollo delle estreme
La sinistra può vincere solo insieme al centro
di Bernard-Henri Lévy
La prima bella sorpresa di queste elezioni è chiaramente il tasso di partecipazione. Qualcosa che non si era mai visto prima sotto la Quinta Repubblica francese. Di inaudito in questi ultimi trent'anni e più, dacché osservo le campagne per le elezioni presidenziali.
Questo popolo che si diceva stanco, sfiduciato, depoliticizzato, queste maggioranze indecise, quest'Homo politicus in agonia che avrebbe dovuto cedere il passo al telespettatore e al blogger, ebbene no, questo popolo vive e ci parla — come dirlo altrimenti? — di tutto il suo amore per la politica. Ripenso al Kant di «Che cos'è l'Illuminismo». Ripenso all'ingresso nell'età adulta, senza tutori, del cittadino emancipato, libero dalle catene del pensiero preconfezionato. Finalmente!
La seconda bella sorpresa è Le Pen. Non è mai caduto così in basso. La sua ascesa, che si credeva irresistibile, è stata chiaramente bloccata. Certo, si può anche cavillare. Si può spiegare che non serve a niente sfidare il Front national se non per salvare le proprie tesi. Sia pure così. Ma alla fin fine… non è meglio, tutto sommato, il fantasma del Fn nella testa di qualcuno che non vi appartiene? E si può ripetere, come noi facciamo da vent'anni, che tra l'originale e la sua copia gli elettori scelgono sempre l'originale e, quando smentiscono i pronostici, non si può non riconoscerlo lealmente e felicitarsene? Io non ho mai votato, e non voterò mai, per Nicolas Sarkozy. Ho votato e voterò per Ségolène Royal.
Ma qui si avverte, che lo si voglia o no, e a ragione, l'effetto della strategia del candidato dell'Ump.
La terza bella sorpresa è l'estrema sinistra. Non ho le cifre alla mano delle elezioni precedenti. Scrivo a caldo e non ho i dati esatti. Ma il cospirazionista Bové all'1 per cento, la Laguiller che finisce la sua vita politica su un risultato sconfortante, e il Partito comunista che tocca un livello così basso da mettere in dubbio la sua sopravvivenza: per un antitotalitario che si rispetti, che bella notizia! Per tutti coloro che non si sono ancora convinti che un totalitarismo di sinistra è meglio di un totalitarismo di destra, quale liberazione! Questa liberazione, questo successo, lo dobbiamo all'altra grande vincitrice della serata, la raggiante Ségolène Royal. Anche questo va detto.
La quarta bella sorpresa — dovuta al terzo uomo della campagna presidenziale, François Bayrou — è la comparsa, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, di un centro degno di questo nome. Non il centro di Barre del 1988. Non il centro di Balladur del 1995. Un vero centro. Un vero terzo partito, centrista, dotato di valori e di principi propri. Gli manca ancora, certamente, una forma. Un nome. Il suo posto esatto sullo scacchiere. Deve ancora esplorare compiutamente la sua logica e dire, con fermezza, che non si tratta semplicemente di una «seconda destra», come sospettano alcuni. Ma se farà questo passo, se sarà capace di rompere, tutto cambierà. Ed è vero che, grazie a lui, l'alternanza sarà possibile.
Corollario di tutto questo è che Michel Rocard, Bernard Kouchner e Daniel Cohn-Bendit avevano visto giusto. Troppo in anticipo, forse. Ma avevano ragione. Perché se si allineano tutti i fatti, ciò che precede con quello che segue, se si ripensa alla breccia di Bayrou e al crollo dell'estrema sinistra, la conclusione è inevitabile: la sinistra non ha più la maggioranza di governo con l'appoggio dell'ala estrema; le strategie dette di sinistra pluralista o, peggio, dell'unione della sinistra, appartengono al passato; la sinistra, per dirla in altre parole, può vincere, ma lo farà soltanto alleandosi chiaramente, senza riserve, con questo terzo partito centrista. Un tempo c'era il programma di Maurice Clavel: spezzare la sinistra per vincere la destra. Quello di Claude Lefort: sbriciolare l'omonimia che dà lo stesso nome — «la sinistra» — agli eredi di Lenin e di Jaurès. Finalmente, siamo arrivati. Finalmente, usciamo dagli anni di piombo del socialismo e del marxismo.
Lo sa Mme Royal? Farà lei stessa quei gesti, molto presto, per dimostrare che l'ha capito? Una frase, una sola, rivolta a François Bayrou e a quei sei milioni di elettori che, in gran numero, sono pronti a unirsi a lei… Una frase, una sola, rivolta a Dominique Strauss-Kahn, del quale non smetto di ripetere — e me ne scuso con i miei lettori — che è l'incarnazione, accanto a lei, di questo rinnovamento e stringe in mano le chiavi del successo… Che pronunci queste due frasi, che scuota, pronunciandole, gli arconti del proprio partito, e che sappia cambiare il volto della Francia per vincere.
Perché dimenticavo l'essenziale. Lo stile di Ségolène Royal. Il suo fascino. Questo piglio, decisamente nuovo, di fare la politica e di dirla. La sua grinta. La sua tempra. Questa ostinazione salda che ha saputo superare i trabocchetti e le imboscate che le sono giunti, come capita spesso, dal suo stesso partito. A causa di tutto questo, a causa anche degli impegni presi nei confronti dell'Europa, a causa della sua volontà di farsi messaggera di una Francia che sia innanzitutto un'Idea e che porterà in ogni angolo del mondo, come dice lei, il messaggio dei diritti dell'uomo e dei Lumi, a causa di tutto questo, sì, e nella speranza, voglio ripeterlo, che sappia osare le parole per esprimere questa sinistra moderna, liberale, riformatrice che il Paese aspetta e merita, Ségolène Royal resta — naturalmente — la mia candidata.
(Traduzione di Rita Baldassarre)
Corriere della Sera 24.4.07
L'illusione di inventare una Francia all'italiana
di Massimo Franco
È come se stessero cercando nei risultati francesi conferme alle proprie tesi. Forse perché i partiti italiani inseguono l'elisir di una transizione senza scosse, e una riforma elettorale che la garantisca. Ed i risultati del primo turno delle presidenziali consegnano una situazione incerta, sulla quale è facile proiettare speranze e alleanze a tavolino. Si tratta di un gioco che rischia di sconfinare nel provincialismo. Ma diventa quasi automatico, per chi vuole cogliere il segnale di una conferma del bipolarismo o di un'archiviazione del centrismo. Da questo punto di vista, la Francia diventa lo specchio nel quale l'Italia politica cerca di riflettersi.
E pazienza se l'ex premier socialista Michel Rocard osserva le suggestioni italiane e l'evoluzione dell'Unione verso il Partito democratico con una punta di freddezza: come qualcosa sulla quale è ancora difficile scommettere, perché i fondatori appartengono a culture e tradizioni troppo distanti. A prevalere sono i desideri. Così, nel Romano Prodi che vorrebbe un accordo fra la socialista Ségolène Royal e il centrista François Bayrou, c'è «la speranza» che avvenga. Ed «è chiaro che sarebbe anche una scelta simile a quella italiana», aggiunge il presidente del Consiglio: un centrosinistra fotocopia o quasi del patto Ds-Margherita.
Diventerebbe il «testimonial» perfetto per il nascente Partito democratico: la conferma, per di più proveniente da un Paese-faro dell'Europa come la Francia, che la mescolanza tra forze diverse è possibile e viene premiata. Ma c'è anche una ragione più generale a giustificare il tifo dell'Unione: un calcolo di politica estera. L'impressione è che la maggioranza prodiana si aggrappi alla prospettiva di un'affermazione del duo Royal-Bayrou per esorcizzare i contraccolpi sull'Italia di una Francia di centrodestra presieduta da Nicholas Sarkozy; in sintonia col fronte berlusconiano; e sulla carta meno ostile agli Usa di George Bush.
È un atteggiamento politico a doppio taglio: simmetrico e opposto a quello dell'opposizione italiana. Il centrodestra allinea infatti tutte le ragioni per le quali Bayrou non avrebbe ragione di allearsi con la sinistra della Royal. Gianfranco Fini, leader di An, sostiene che è un elettorato antisinistra in marcia verso Sarkozy. D'altronde, anche alla vigilia del primo turno francese le forze politiche italiane hanno usato candidati e schieramenti d'Oltralpe per ragioni interne, perfino congressuali. Ma quanto sia fragile e un po' forzata una simile impostazione è segnalato da alcune preferenze eterodosse che soprattutto l'Unione fa emergere: con qualche tifoso a sorpresa di Sarkozy.
La stessa soddisfazione del ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, per la vittoria dei candidati «europeisti» rispetto all'euroscettico Le Pen, è in attesa di verifica. «Sia Sarkozy sia Royal si batterono per il sì referendario alla Costituzione europea: l'unico per il no fu proprio Le Pen», si rallegra D'Alema. Il problema è che alla fine la Francia ha bocciato quell'ipotesi di Costituzione. E durante la campagna presidenziale il tema dell'integrazione, dell'allargamento a est, del futuro dell'Ue è rimasto piuttosto in ombra. L'ipotesi che nelle prossime due settimane l'Europa diventi il cuore del confronto, dunque, per il momento è solo un'ipotesi.
L'Unione tifa ambiguamente per un patto Royal-Bayrou pensando al Pd
Corriere della Sera 24.4.07
Il Vaticano: terrorista chi propaganda l'aborto
Affondo dalla Congregazione per la dottrina della fede
ROMA — Oltre all'«abominevole terrorismo dei kamikaze» che assomiglia a un «perverso film sul male» girato ogni giorno in qualche regione diversa del mondo «con sceneggiature sempre nuove e crudeli», esiste anche «un cosiddetto terrorismo dal volto umano che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale». In tale categoria rientrano l'aborto, l'eutanasia, ma anche la pillola abortiva Ru 486 e i laboratori dove si manipolano gli embrioni, e quei Parlamenti che approvano leggi contrarie all'essere umano. Tutto ciò può essere paragonato alle sette sataniche che praticano «un vero e proprio culto sacrilego del male».
Questo durissimo j'accuse è stato lanciato da monsignor Angelo Amato, numero due della Congregazione per la dottrina della fede. Teologo autorevole, Amato è stato braccio destro dell'allora cardinale Ratzinger nell'ex Sant' Uffizio, a partire dal 2003.
Il «terrorismo dal volto umano», ha aggiunto Amato, «viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione, manipolando ad arte il linguaggio con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti». Sempre ieri Benedetto XVI, in una lettera scritta ai vescovi del Messico, è intervenuto contro la depenalizzazione dell'aborto nel paese latinomericano.
«Chiarezza» ha chiesto anche il Sir, agenzia dei vescovi italiani, all'indomani dei congressi dei Ds e della Margherita, mettendo in guardia da «una vecchia concezione laicista di ispirazione ottocentesca». Essa, secondo il Sir, «non rappresenta più un utile cleavage su cui costruire una proposta politica, pure affermando la centralità della famiglia». Quanto al Family Day, i promotori, dovrebbero incontrare il leader della Margherita, Rutelli, giovedì prossimo.
Sul versante opposto il ministro Bonino,a Radio Radicale, ha commentato criticamente l'esito dei due congressi: «Noi abbiamo indetto per il 12 maggio il giorno dell'orgoglio laico, la Margherita sostiene il Family day e i Ds si dicono equidistanti rispetto ai due appuntamenti.Credo che questo esempio spieghi bene il mio scetticismo rispetto ad un modo di vivere la politica».
Corriere della Sera 24.4.07
«Favorevole al cambio di nome anche senza mutare connotati fisici»
La Turco e i transessuali «Giusto rimborsare chi armonizza il corpo»
Il ministro: il sì spetterebbe al medico, non al tribunale
di Margherita De Bac
ROMA — «Non ci trovo niente di scandaloso nel riconoscere ai transessuali maggiori attenzioni da parte del servizio pubblico. L'intimità della persona va rispettata e, quindi, credo che il nostro sistema sanitario debba fare uno sforzo. E' una questione di etica». Manderanno in estasi Luxuria le dichiarazioni di Livia Turco sull'iniziativa preannunciata sul Corriere
dal deputato di Rifondazione da poco riapparso in Parlamento con un naso rifatto: un disegno di legge che renda più accessibili, sul piano della rimborsabilità, gli interventi per transitare da un sesso all'altro. Sarà pronto entro maggio.
PARERE — Il ministro della Salute chiederà un parere al Consiglio Superiore di Sanità e al Comitato di bioetica. «Non mi sento di affermare che tutto ciò che riguarda il sesso vada considerato un diritto — aggiunge —. Credo però che il servizio ospedaliero debba prendersi carico di chi ha bisogno di armonizzare il corpo con la sua identità. Mi chiedo inoltre se sia giusto che a rilasciare le autorizzazioni per il cambiamento di genere debba essere un tribunale anziché un'equipe medica». Il ministro è inoltre favorevole alla proposta di consentire ai transessuali la modifica del nome anche senza aver mutato connotati fisici: «Deve essere una libera scelta. Poter adeguare i documenti a quello che un individuo sente di essere nell'intimo significa mantenere la propria integrità».
Dunque, massima disponibilità ad affrontare il tema degli interventi chirurgici rimborsati a chi è nato in un corpo sbagliato. Luxuria quasi non ci crede: «Grande Livia — commenta entusiasta —. Mi rendo conto che in molte Regioni il bilancio della Sanità è in rosso. Noi però abbiamo bisogno di maggiore assistenza, ci deve essere permesso di realizzare l'armonia tra fisico e spirito. Qui non si tratta di avere il lifting gratis e di rifarsi per apparire giovani e belli. Abbiamo diritto alla salute psicofisica».
BISTURI — Il 20% dei circa 20 mila trans italiani sono «transitati» grazie al bisturi. L'80% invece convive con aspetto e attributi sessuali indesiderati perché non tutti possono operarsi privatamente, a caro prezzo. Il 90% dei transitati ha compiuto il passaggio da uomo a donna. L'attuale sistema sanitario rimborsa alcune prestazioni chirurgiche ma solo per la correzione delle caratteristiche sessuali primarie (genitali).
Di regola, sono esclusemastoplastica, rinoplastica elettrocoagulazione per la depilazione definitiva, trattamenti ormonali. La situazione è molto diversa nelle Regioni. Toscana ed Emilia Romagna sono le più evolute e aperte nei confronti di pazienti così speciali. Lo stesso avviene in altre realtà isolate, come il San Camillo di Roma e il Mauriziano di Torino.
DONAZIONI — Al Policlinico Umberto I di Roma Nicolò Scuderi cerca di assecondare le necessità di chi vuole rettificare il sesso facendo rientrare nella rimborsabilità rinoplastica, correzione del pomo d'Adamo o zigomi. Il chirurgo è in attesa del via libera per un protocollo senza precedenti. Un doppio passaggio maschio-femmina e femmina-maschio. Funzionerebbe così. L'aspirante femmina dona l'organo sessuale che viene trapiantato all'aspirante uomo. Per Scuderi non è un azzardo: «Stiamo studiando i particolari tecnici. E' una soluzione possibile».
il Riformista 24.4.07
Omofobia in Polonia. Allarme Ue
di Sonia Oranges e Mariella Palazzolo
«Siamo venuti fin qui per impedire che la pedofilia e la omosessualità si approprino della nostra società»: questa la motivazione con cui Marcin Stronski, leader dei Giovani di Polonia, gruppo radicale di destra polacco, ha spiegato l'aggressione messa in atto dai suoi militanti alla Marcia per la Tolleranza di Cracovia, l'annuale iniziativa organizzata dai collettivi omosessuali polacchi. Gli ultradestri, che hanno accolto il corteo gay con un lancio di uova per poi passare direttamente alle mani, sono stati bloccati dalle forze dell'ordine che hanno represso duramente gli scontri, senza fare troppi distinguo. Certo è che, in questa stagione, l'intolleranza dell'ultradestra trova terreno fertile nel paese. Dopo i tafferugli in piazza, Stronski ha promesso lotta a oltranza per «difendere i valori familiari che hanno sempre prevalso in Polonia». L'organizzazione estremista mescola elementi xenofobi, nazionalisti e razzisti, ricalcando in alcuni punti (come sul rifiuto dell'omosessualità) i principi fondanti della Lega delle famiglie polacche, uno dei partiti ora al governo insieme con la formazione dei gemelli Kaczynski, autori dell'ondata di provvedimenti di stampo totalitaristico (dalla lustracja al censimento delle ragazze incinta in età scolare, alla lotta ai gay all'interno del corpo insegnante), tali da spingere il parlamento europeo a portare domani in aula il tema dell'omofobia.
Lo sdegno provocato dalla proposta di legge (presentata il mese scorso dal vicepremier ministro dell'educazione e dirigente della Lega delle famiglie polacche Roman Giertych) che proibiva qualsiasi accenno alla omosessualità nella scuola e prevedeva, tra l'altro, di escludere dall'insegnamento e sanzionare gli insegnanti dichiaratamente omosessuali, tiene viva l'attenzione sull'evolversi della vicenda polacca, anche se il governo ha prudentemente rinviato l'approvazione delle nuove norme sine die. «Notiamo con soddisfazione che il governo polacco ha deciso di non andare avanti con la proposta di legge, ma resta il biasimo per un proposito inammissibile da parte di un governo che dovrebbe invece sostenere la libertà di espressione e indirizzare la società verso la pacifica convivenza», commenta l'europarlamentare olandese Kathalijne Maria Buitenweg. L'eurodeputata verde sottolinea come «una corrente che spinge a discriminare le minoranze e a non rispettare i diritti civili si sta infiltrando nella politica e nella società polacche». La commissione per le libertà civili, presieduta dal francese Jean-Marie Cavada, del gruppo dell'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa, aveva messo immediatamente all'ordine del giorno il dibattito sulla proposta polacca e aveva chiesto all'agenzia europea per i diritti fondamentali di valutare il rischio del dilagare dell'omofobia nei paesi della Ue. Gli eurodeputati hanno inserito nell'agenda di giovedì la votazione di una risoluzione: sostengono che l'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse «quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza».
Alcuni europarlamentari polacchi hanno cercato di difendere il proprio governo, sostenendo che il disegno di legge sia opera di una parte minoritaria della coalizione (la Lega della Famiglie Polacche) e che il primo ministro Jaroslaw Kaczynski si fosse immediatamente dichiarato contrario alle norme previste. «Non era la proposta di tutto il governo, ma di un ministro e criticata pubblicamente dal premier. Non rappresentativa di una politica condivisa - ribadisce Konrad Szymanski, europarlamentare del Partito giustizia e legge, che fa parte della coalizione al governo - e il governo polacco non avrebbe mai permesso e mai permetterà che sia discussa in Parlamento una legge che è in contrasto con tutte le norme contro la discriminazione». Lo stesso Kaczynski ha respinto con fastidio le accuse di intolleranza contro gli omosessuali, annunciando che gli europarlamentari polacchi non sosterranno alcuna risoluzione che faccia esplicito riferimento alla Polonia. A Varsavia, dice, «non c'è alcun retaggio culturale di persecuzione nei confronti degli omosessuali».
I fatti, però, lo smentiscono. Poco più di un anno fa, nel gennaio 2006, il Parlamento europeo, aveva già adottato una risoluzione sul tema, a seguito di una serie di dichiarazioni, dal sapore chiaramente omofobico, rilasciate proprio da esponenti politici polacchi. In quell'occasione, il Parlamento europeo chiese di garantire alle coppie gay il rispetto, la dignità e la protezione riconosciuti al resto della società, la libertà di circolazione e la non discriminazione in materia di successione e fiscalità, concludendo con la richiesta agli stati membri e alla Commissione, di intensificare la lotta all'omofobia mediante «un'azione pedagogica» e campagne sociali ad hoc. Ma a Varsavia questo dettaglio deve essere sfuggito.
l'Unità 24.4.07
Dopocongresso, anche Angius tentato dall’uscita
Giudizio negativo su Firenze del leader della terza mozione. E Mussi prepara il lancio di Sd
di Simone Collini
L’ADDIO ai Ds Mussi l’ha dato dal palco del congresso, e ora sta lavorando insieme ai suoi per lanciare il 5 maggio “Sinistra democratica - Per il socialismo euro-
peo”, un movimento politico che si doterà tra breve di gruppi autonomi in Parlamento. Angius al congresso non ha fatto annunci, ma dall’assise di Firenze è uscito con un giudizio ancora più negativo sull’operazione in corso. Il Partito democratico, è la conclusione a cui è arrivato il vicepresidente del Senato, non sarà «né originale né di sinistra, come ci è stato detto». E non a caso quelli con cui ha parlato nelle ultime ore si dicono certi che tra breve ci sarà un altro addio clamoroso all’ombra della Quercia, il suo.
Angius si aspettava «una più coraggiosa apertura» da parte di Fassino ad altre forze oggi non coinvolte, che «non c’è stata»; aveva proposto «una radicale riscrittura del manifesto per il Pd» e ha visto invece il congresso chiudersi con un voto che «nulla ha messo in discussione dei passi fin qui compiuti»; aveva chiesto di sgombrare il campo da «visioni vecchie della laicità» e «chiarezza sul fatto che la collocazione rimane nel campo del socialismo europeo», e né sull’una né sull’altra cosa ha avuto «risposta soddisfacente». Per questi motivi Angius è sempre più tentato di non andare avanti. O meglio, di prendere un’altra strada. Del resto già dopo essere intervenuti venerdì mattina al congresso, Angius e Mussi avevano avuto un lungo colloquio per fare una valutazione a caldo di quanto visto e ascoltato. E le conclusioni a cui erano arrivati non erano poi molto distanti. Solo, il primo firmatario della terza mozione ha voluto aspettare la fine del congresso per capire se ci fossero margini per far compiere qualche correzione di rotta. Ma la relazione di chiusura di Fassino (ascoltata lontano da Firenze) e soprattutto i lavori nelle commissioni e il voto finale sul dispositivo per il Pd gli hanno lasciato ancora di più l’amaro in bocca. A breve, scioglierà la riserva.
Chi ha già compiuto il passo fuori dai Ds è invece già al lavoro per dar vita a un movimento politico autonomo che partecipi al «cantiere» per riunificare le forze di sinistra oggi divise. Mussi ha dato appuntamento a tutti i delegati per sabato. In quella sede si darà il via a una serie di assemblee regionali per preparare il lancio della “Sinistra democratica”, che avverrà a Roma il 5 maggio. Verrà creato un comitato promotore nazionale e anche a dei comitati sul territorio che avranno il compito di raccogliere adesioni al di là dei confini dell’ex sinistra Ds. E a breve verranno anche organizzate iniziative in particolare su quattro tematiche: lavoro salariato, ambiente, qualità della politica, forme nuove di partecipazione. Partire dai contenuti è la parola d’ordine per questa operazione. Ma che si stiano studiando anche formule di aggregazione con le forze a sinistra del Pd è palese. Colloqui con Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio e Boselli ci sono già stati. E Bertinotti non rimane estraneo a tutto ciò che si sta mettendo in movimento, anche se sta attento a rimanere rispettoso del ruolo di presidente della Camera. Colloqui che hanno dato alcuni risultati. Mussi interverrà il 4 maggio al congresso dei Verdi a Genova e Salvi prenderà la parola al congresso dei Comunisti italiani a Rimini domenica. Giorno in cui è convocata a Roma l’assemblea di Uniti a Sinistra, di cui è promotore l’indipendente Prc Pietro Folena, e anche qui Mussi sarà presente. Tanto attivismo serve a preparare il terreno per il futuro «cantiere» della sinistra, necessario a fare quella «massa critica» invocata qualche settimana fa da Bertinotti.
Il primo passo dell’ex minoranza diessina, comunque, è la creazione di “Sinistra democratica”, che si doterà in tempi rapidi di gruppi autonomi in Parlamento ma anche nelle istituzioni locali. Mussi ha già visionato i primi bozzetti del simbolo, che avrà al centro una rosa stilizzato e lungo la corona la scritta “Per il socialismo europeo”.