Cara Unione, così non va
Il voto deludente di Palermo, i pensionati scontenti, gli scioperi degli statali in arrivo
I Dico senza una maggioranza certa. Fassino: se ci sono proposte vengano avanti
Divisi pure sul conflitto d’interessi: per l’Udeur è punitivo, per Di Pietro e Pdci è poco
L’Unione e il suo governo sono in difficoltà. C’è innanzitutto la difficile questione sociale: ieri Prodi ha incontrato Epifani, Bonanni e Angeletti per tentare di scongiurare lo sciopero degli statali che potrebbe essere il primo di una serie, un’escalation fino allo sciopero generale. C’è poi la sconfitta elettorale di Palermo, sconfitta annunciata ma non per questo meno dolorosa. E i Dico: dopo il Family Day diventa sempre più complicato trovare una maggioranza per il sì alla legge e ieri Fassino, al comitato nazionale dei Ds, ha invitato chi ha altre proposte a farsi avanti. Alla Camera, dove è iniziata la discussione sul disegno di legge sul conflitto d’interessi, la maggioranza rischia di perdere pezzi: da una parte Mastella, da quella opposta Di Pietro.
Repubblica 16.5.07
"Basta giocare di rimessa" il malessere dei laici del Pd
di Goffredo De Marchis
ROMA - La voglia di rivincita c´è, dopo il Family day. La voglia di affermare che il Partito democratico, quando nascerà, sarà laico al 100 per cento. Dice Marina Sereni, fassiniana, vicecapogruppo dell´Ulivo alla Camera: «Siamo stanchi di giocare di rimessa. Prima o poi dobbiamo pensare a una grande iniziativa laica». Per far capire che i diessini sostenitori del Pd non accetteranno un´egemonia cattolica nel nuovo partito, il ministro dello Sport Giovanna Melandri prende ad esempio i Dico: «Per scrivere quel disegno di legge un compromesso con i cattolici lo abbiamo già raggiunto. Altrimenti non avremmo i Dico, avremmo i Pacs». Spiega Gianni Cuperlo, che ieri al consiglio nazionale dei Ds ha criticato l´equidistanza tra le due piazze di sabato: «La laicità è un principio imprescindibile per il Partito democratico. Ma per fortuna è già così. I teodem della Margherita sono davvero una minoranza».
Si capisce meglio, oggi, l´"acrobazia" di Piero Fassino, che alla vigilia del Family day e del "coraggio laico" ha scelto di non stare né di là né di qua. Se avesse privilegiato uno dei due appuntamenti, forse il Pd si sarebbe arenato definitivamente e tutti avrebbero dovuto rimettere indietro gli orologi. Finché il Pd materialmente non esiste la sintesi tra sinistra laica e cattolici democratici è anche nel né-né. O nel silenzio. La Margherita ieri ha evitato i commenti all´adesione della Quercia al Gay pride del 16 giugno. «Perché l´adesione di un partito a un´iniziativa di nicchia non può dividerci - osserva il coordinatore di Dl e del Pd Antonello Soro -. Così come non ci dividono le adesioni individuali a una manifestazione di massa come il Family day». Però gli animi sono caldi. Fassino ha cercato di raffreddare quelli diessini invitandoli a «liberarsi delle paure». Cominciando dal ritornello della perdita dell´identità di sinistra, cioè della vecchia egemonia post-comunista. Ma se il segretario la evoca, la paura c´è, il rischio di un rigetto pure. E tra qualche giorno i Ds dovranno fare i conti con i gruppi parlamentari di Sinistra democratica nati dalla sua scissione. Una potenziale calamita che si sintetizza nell´anatema di Gavino Angius, transfuga della Quercia che non era contrario al Pd: «Va esattamente come avevo previsto. Nel Partito democratico vincono Rutelli e la sua cultura. Lì non c´è spazio per la laicità».
Pd cattolico, con i laici ai margini. È un pericolo sentito anche da chi, come Mercedes Bresso, nel Pd ha deciso di starci. Parla di «mobilitazione», di una Chiesa che farebbe «meglio a occuparsi delle ingiustizie del mondo», di un dibattito che secondo la presidente del Piemonte, «parte dalla famiglia e poi finisce con il no all´aborto». Nei fatti la corrente laica sta nascendo, speculare ai teodem di Dl. E i Dico, così, diventano una bandiera, una trincea da proteggere a tutti i costi. «Ma certo che quello che conta è una legge che difenda il principio e i diritti - spiega Cuperlo rispondendo a Fassino -. Però sono affezionato ai Dico e non vorrei che aprendo ad altre proposte si finisca per ottenere ancora meno». Cuperlo fa l´esempio della proposta di Alfredo Biondi depositata in Senato. «In cui i conviventi si certificano dal notaio. Come se una storia d´amore fosse un appartamento», sospira. E con Fassino è severo: «Non possiamo inseguire la cronaca e cercare di volta in volta la gestione più indolore dei passaggi delicati».
Il rischio di un´implosione del Partito democratico, il cattolico dei Ds Giorgio Tonini lo ha messo nero su bianco in un editoriale di Europa. «Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata - spiega - . Il Pd è oggetto di un grosso conflitto politico, sono in tanti a non volere un luogo virtuoso di mediazione, contenderanno lo spazio al nuovo soggetto metro per metro. Non caso le due piazze di sabato avevano i medesimi bersagli, la Bindi e la Pollastrini». Per questo alla convocazione di massa, bisognerebbe contrapporre altre piazze, altre manifestazioni. «Ce ne vorrebbe una per aiutare le famiglie che non ci sono, quelle dei giovani ai quali mancano le condizioni per costruirsela. E che avrebbero bisogno di politiche attive», dice la Melandri. Non è finita sabato, insomma. Soro semina ottimismo: «La laicità è un elemento fondativo. Non solo del Pd. Lo era anche della Democrazia cristiana». Ma ai diessini piacerà morire democristiani?
Repubblica 16.5.07
Il peso della Chiesa
Mons. Fisichella a confronto con Ezio Mauro
di Simonetta Fiori
Secondo i cattolici è legittimo influenzare la vita civile e politica, secondo i laici si tratta di ingerenza
Fisichella: "L'uomo appartiene a Dio Mauro: "Il cittadino deve essere libero"
Pisa. Qual è il rapporto tra Chiesa e politica oggi in Italia? È legittimo chiedere ai parlamentari cattolici massima obbedienza verso le gerarchie? E che rischi comporta per la democrazia italiana questa nuova e duplice veste della Chiesa che è insieme autorità e gruppo di pressione, cielo e terra, pulpito e piazza?
Sono soltanto alcuni dei temi discussi ieri a Pisa tra «persone dai pensieri diversi», come recita il titolo dell´iniziativa promossa dall´Arcivescovado. Da una parte monsignor Rino Fisichella, vescovo ausiliare di Roma e rettore della Pontificia Università Lateranense; dall´altro il direttore di Repubblica Ezio Mauro, sostenitore della laicità dello Stato e critico verso la saldatura delle gerarchie con la destra politica. I due interlocutori esprimono posizioni nitidamente contrapposte, ma sarebbe riduttivo riassumerne il dialogo come confronto tra un vescovo e un laico.
E´ in gioco un modo diverso di intendere il ruolo della Chiesa cattolica e l´identità stessa del cristianesimo. Può anche accadere che l´altro autorevole prelato presente all´incontro, l´arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, «rappresentante d´una Chiesa che sa ascoltare più che farsi ascoltare» - come lo definiscono qui a Pisa - concordi con il laico Mauro nella definizione di un cristianesimo che non è e non deve essere «ideologia» o «precettistica», ma «rivelazione», «incontro con Cristo morto e risorto». «Nell´attuale deserto culturale», dice l´arcivescovo Plotti, «la Chiesa non deve recuperare dominio, ma spazi di servizio. La grande sfida è togliersi di dosso il sospetto di cercare solo potere».
RINO FISICHELLA - È in atto una profonda crisi culturale, che ha posto in discussione concetti fondamentali come natura, uomo, diritto, giustizia, verità. Da vescovo e da cittadino sento la responsabilità e il diritto di intervenire nel pubblico dibattito senza essere confinato in un angolo. Si legge nel vangelo di Marco: «Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio». In realtà questa traduzione non è corretta, perché dobbiamo aggiungere innanzi a «date a Dio» un fondamentale "ma". All´imperatore non si può dare quel che appartiene a Dio. Il sovrano tenga la sua moneta, ma tutto ciò che investe la vita dell´uomo appartiene a chi è più in alto. Ci sono alcuni principi che non sono negoziabili.
Alcune proposte di legge non rispettano la dignità delle persone e non sono conformi al bene di tutti. Oggi la mediazione è difficile, perché in parecchi alberga il pensiero dell´imposizione del diritto individuale a scapito del bene comune e del vivere sociale. Se ciascuno decide di far figli come vuole, se mette fine alla propria vita quando vuole, e impone al legislatore le sue scelte, allora il diritto individuale non è più questione di coscienza singola ma diviene atto pubblico, e di conseguenza deve essere regolamentato.
Oggi si fa confusione tra morale ed etica. Da Socrate in poi, l´etica fissa i principi fondamentali attraverso cui la coscienza giudica il bene e il male. L´etica non può essere laica o cristiana, ma solo etica. La morale invece ha una sua connotazione. Quando difendiamo la famiglia non lo facciamo in nome di Gesù Cristo ma in nome dell´etica. Appellarsi alla coscienza è davvero una iattura per lo Stato?
Il laicato cattolico in politica non deve rinunciare alla propria identità cristiana. Questo comporta dei conflitti, ma la disciplina di partito non va forse contro la coscienza? Non è lecito impedirci di intervenire su questioni su cui si gioca il futuro della società. Non chiediamo certo lo Stato etico di hegeliana memoria, ma ricordiamo al legislatore cattolico che deve richiamarsi alla legge impressa nella natura. E se egli non è coerente con i principi della comunità d´appartenenza, deve assumersi la responsabilità delle sue scelte.
EZIO MAURO - Non sono per nulla spaventato da una Chiesa forte, ne riconosco il deposito di tradizione come elemento importante dell´identità nazionale. Di più: un pontefice dal pensiero forte áncora la Chiesa a una solidità culturale che evita alle gerarchie scambi al ribasso nel mercato dalla politica. Quel che mi preoccupa è altro, e cioè che quel pensiero cristiano che non è il mio debba decidere anche per me. Intendiamoci: è importante che si esprima e parli all´intera società, ma non può decidere per me, a meno di accettare che lo Stato italiano diventi cosa ben diversa dalle democrazie occidentali. Dire questo significa coartare la fede? Relegarla fuori dalla sfera del dibattito civile? Niente affatto.
Da laico riconosco che, dopo la morte delle ideologie, la religione è tornata ad arricchire il dibattito pubblico. Ma in questi ultimi anni è accaduto in Italia qualcosa di nuovo e preoccupante. La Chiesa scende in campo come autorità e gruppo di pressione, pretendendo di determinare il comportamento parlamentare dei politici cattolici. Per la prima volta nella storia repubblicana la Chiesa è insieme cielo e terra, pulpito e piazza.
La società italiana appare agli occhi delle gerarchie un terreno ideale per svolgere protettorato di valori. I partiti appaiono assai fragili, privati di un deposito di storia e tradizione. Robusta è la tentazione di esercitare un´egemonia culturale. Ma che problema c´è se la Chiesa è più forte? Il fatto è che ogni identità culturale deve riconoscere l´insieme che contribuisce a concorrere e a determinare. Quell´insieme è lo Stato. Lo Stato democratico non contempla l´assoluto. In Parlamento ogni verità è parziale, come in tutte le democrazie. Il tentativo oggi in atto in Italia, e inedito in Occidente, è cavalcare la precettistica traducendola in norme creatrici di un´identità collettiva e di una società del bene. La distinzione tra la legge del creatore e la legge delle creature è principio fondamentale della laicità.
La Chiesa ha il dovere di intervenire, ma la decisione politica è affidata alla libertà del cittadino, senza vincoli d´obbedienza. Non esiste un´obbligazione religiosa a fondamento delle leggi dello Stato. Tutte le confessioni possono ispirare singoli e gruppi, ma non lo Stato, che tutela la libertà religiosa di tutti, anche di chi non ha una legge divina superiore. Il Dio italiano cammina, ma a me la Chiesa non appare più forte rispetto a prima. S´è aperta una faglia a noi sconosciuta che divide gli stessi credenti. E´ possibile credere in Dio votando a sinistra? Nel momento in cui la Chiesa accettasse l´ibridazione con una parte politica, si mutilerebbe nella sua capacità di parlare a tutti. Com´è possibile sganciare la Chiesa dalla sua componente cattolico-democratica, fondamentale nella costruzione repubblicana? Non è certo nella debolezza della religione civile e nell´appannamento dello spirito repubblicano che la Chiesa diviene più forte. Quel che sfugge è che la laicità dello Stato è la maggior garanzia della difesa del nostro paese, di cui il cattolicesimo è componente importante.
Corriere della Sera 16.5.07
Finocchiaro avverte Prodi «Scissione, rischi al Senato»
di Monica Guerzoni
ROMA — «La scissione ha spostato l'asse politico a sinistra...». Il tono è caldo e privo di enfasi, com'è nello stile di Anna Finocchiaro. Ma i Ds colgono al volo l'allarme sulla tenuta del governo. «Non voglio riaprire un capitolo doloroso, ma devo parlarvi degli effetti della scissione sul gruppo del Senato» inizia la presidente dei Senatori dell'Ulivo abbracciando con lo sguardo la sala di via dei Frentani, orfana dei compagni dell'ex Correntone.
L'addio di Mussi, Salvi e poi di Angius non è «cosa neutra rispetto al governo e alla sua politica», prosegue la Finocchiaro nel più assoluto silenzio del Comitato nazionale per la Costituente del Pd. La creazione di un gruppo della Sinistra democratica ha «fortemente ridimensionato l'Ulivo sotto il profilo della consistenza numerica» e ora il governo deve prestare «attenzione» a quel che accade a Palazzo Madama, deve fare un «forte investimento politico» in vista dei provvedimenti che presto piomberanno sulla giungla del Senato.
«Riforma delle autorità, Rai, pensioni, legge elettorale — elenca Finocchiaro appellandosi ai "ministri presenti in sala", D'Alema, Bersani, Chiti... — Nessuno si sogni di buttare la questione nell'agone del Senato e pensare che noi reggiamo la barra dritta». Si potrebbe dedurne che la presidente metta le mani avanti nel timore di sfaceli prossimi venturi. Ma non è questo, o almeno non è solo questo. L'sos di «Anna dei miracoli», come la chiamano i suoi, è un appello al cuore e alla testa di Romano Prodi. Se ci tiene a sopravvivere, è il consiglio, il premier ponga «grandissima attenzione» sull'Aula del Senato e si appresti a una «gestione oculata» delle questioni che di certo creeranno attriti tra riformisti e massimalisti: il leader indossi i panni del mediatore e concordi i provvedimenti più delicati, conclude Finocchiaro ormai giù dal palco, «o si va tutti a casa».
L'invocazione si fonda sui numeri. Il gruppone dell'Ulivo ante-scissione contava 101 senatori, che dopo Firenze sono diventati 89. Sd, la nuova formazione di Mussi, coi suoi 12 senatori porta a circa 50 i voti dell'ala estrema, forte di un «patto di consultazione» che unisce Prc, Pdci, Verdi ed ex sinistra Ds. La scissione dunque ha stravolto i rapporti di forza, ha spezzato l'asse Prodi-Bertinotti — che al Senato si declinava nella sintonia della Finocchiaro col capogruppo del Prc Giovanni Russo Spena — ha innescato la competition tra sinistra e Pd e all'interno della sinistra stessa. Possono Diliberto e Giordano farsi scavalcare su pace, pensione o lavoro da Mussi o da Salvi?
E c'è un altro aspetto che Finocchiaro non sottovaluta. L'Ulivo ha perso senatori molto esperti nel lavoro parlamentare come Di Siena, Villone, Mele, Iovene, nonché i due big Angius e Salvi, il quale lascerà la commissione Giustizia per guidare il nuovo gruppo. «Temiamo gli emendamenti governativi ai provvedimenti del governo — rivela preoccupato il vicepresidente dl Luigi Zanda — la discussione può infiammarsi e il rischio aumenta...».
Facce preoccupate, in via dei Frentani. Smarrimento, incertezza tra i 350 membri del Comitato nazionale, che ha eletto presidente l'ex segretario generale della Uil Pietro Larizza. Dopo la Margherita, anche i Ds hanno nominato gli organi di direzione, segno che i due partiti non smobilitano. La Quercia va alla «fusione» con un Comitato politico di 112 membri guidato da una presidenza che ne conta 19, tutti i leader compresi Veltroni, Brutti per la terza mozione e un rappresentante (lo nominerà Vincenzo Vita) di quella fetta di Correntone che ha detto no alla scissione. «La cupola...» scherza Nicola Latorre, mentre i fassiniani smentiscono il presunto «commissariamento» del segretario. Maurizio Migliavacca resta coordinatore, la segreteria diventa Comitato esecutivo e accoglie Luciano Pizzetti, cui toccherà costruire il Pd al Nord. E dietro le quinte sarebbe in corso un braccio di ferro sull'ingresso della Finocchiaro al posto di Latorre. «Liberiamoci dalle paure — è il messaggio di Fassino a Rutelli — Nessuno vuole egemonizzare il Pd».
Corriere della Sera 16.5.07
La Quercia tra due fuochi fatica a dialogare con i vescovi
L'Udeur: prevale l'anima radicale della sinistra, i Dico sono finiti
di Massimo Franco
Per la prima volta il segretario del maggior partito di governo ammette che la legge sulle unioni di fatto potrebbe essere bocciata dal Parlamento. «Attenzione», ha detto ieri Piero Fassino ai suoi, «se ci attestiamo sulla posizione "o Dico o morte" corriamo il rischio che, se non viene approvata, ci ritroviamo subalterni». A suo avviso, meglio divincolarsi da una formula vissuta come fattore di lacerazione nell'Unione e nel futuro Partito democratico; e cercare di trovare un compromesso con gli alleati ostili al provvedimento. Il tentativo sembra quello di prendere atto del Family Day cattolico di sabato scorso. Ma promette di essere frustrato.
Nelle file diessine sono state criticate le «oscillazioni» del vertice sulla laicità. Ministri come la Pollastrini e la Melandri, e il capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, difendono i Dico anche contro il loro leader. «Ne va della nostra dignità», sostengono. E l'atteggiamento verso la Margherita resta ambivalente: dialogo e mano tesa alle componenti cattoliche in tensione con l'episcopato; critiche abrasive verso parlamentari e ministri allineati con la Cei. Insomma, Fassino tenta di accreditarsi come un interlocutore delle gerarchie, più dei prodiani e perfino del partito di Rutelli; ma sembra costretto a prendere un'altra direzione.
La sensazione è che a sinistra si stia verificando una sorta di rimozione del Family Day: qualcosa di simile a quanto è avvenuto dopo la vittoria degli astensionisti, appoggiati dai vescovi, nel referendum sulla fecondazione assistita del 2005. La decisione di inviare una delegazione diessina al Gay Pride, la prossima manifestazione delle organizzazioni omosessuali, è stata presa «non per rifarci una verginità», aggiunge testualmente Fassino. Ma finisce per suonare contraddittoria. Fa riaffiorare le tensioni interne seguite alla doppia assenza dei Ds da piazza San Giovanni e da piazza Navona, dove si esibiva il «coraggio laico».
Radicali e socialisti applaudono il segretario dei Ds per il Gay Pride. Ma il fronte cattolico rimane esposto. Il ministro Clemente Mastella, ironizza sulla delegazione diessina. E dice che sarebbe stato meglio perfino andare in piazza Navona. Ma la sua critica va oltre. Cogliendo la prevalenza di «un'anima radicaleggiante», Mastella addita l'arretratezza culturale di ampi settori dell'Unione. Gran parte del centrosinistra sembra pensare che la questione cattolica si sia chiusa con la fine della Dc. In realtà, si stava aprendo. Per questo, secondo il ministro, presente al Family Day, «sarà difficile recuperare consensi». Ed è inutile insistere sui Dico, «affossati politicamente e in Parlamento. Non cambio opinione... Mi pare che la manifestazione di San Giovanni non abbia spiegato nulla». Le distanze nella maggioranza rimangono dunque intatte. Ma le incognite per la legge sulle unioni di fatto sono aumentate. La scissione diessina promette di rafforzare le posizioni estremiste. «Il gruppo dell'Ulivo al Senato è fortemente ridimensionato», ammette la Finocchiaro. E i Ds appaiono sempre più fra due fuochi.
Corriere della Sera 16.5.07
Torna di moda l'impegno. Nel nome di Adorno
di Pierluigi Panza
Pievani, Giglioli e Kerbaker per una critica postideologica della cultura
La scuola di Francoforte, Max Horkheimer, Sartre, Michel Foucault
Si chiama «agone» perché dovrebbe essere il luogo dell'agonismo culturale, un'adunanza dove gli intellettuali combattono sguainando le parole. La nuova collana di saggistica «agone», diretta dallo scrittore Antonio Scurati per la casa editrice Bompiani, si presenta come una palestra dove gli atleti delle lettere, nelle diverse discipline e con diversi attrezzi, gareggiano nella lotta per l'affermazione di proposte e modelli culturali o per la demistificazione di altri. Una lotta che, diversamente dalla polemica, non si esaurisce nell'invettiva e nella critica, ma partecipa all'edificazione di un processo di trasformazione. Insomma, un ritorno alla critica della cultura e, se vogliamo, all'impegno, in una versione postpolitica e postideologica.
Del resto, rispondendo all'accusa d'esser uno dei «nuovi padroni della letteratura» a lui mossa da Aldo Nove, Scurati aveva toccato proprio elementi di «poetica militante»: «Non mi riconosco nel titolo di "padroni della letteratura". La visione del potere ci è estranea. La mia è una visione "agonistica" della cultura che però non si esercita nei confronti di altri scrittori, ma in società, verso i poteri forti od oppressivi. La militanza dello scrittore è lì».
Gli strumenti della militanza non dovrebbero esser più le piazza e le assemblee studentesche come ai tempi di Sartre e Foucault, ma le aule scolastiche, le istituzioni culturali, la televisione e le librerie.
«Con "agone" vorrei fare della critica della cultura più che dell'invettiva e accompagnare la critica a una proposta culturale», afferma Scurati. «Senza essere rigidamente generazionali, vorremmo raccogliere le intelligenze dei 35-45enni pubblicando brevi saggi lontani dall'opinionismo e dal pamphlettismo, con intenti militanti civili e sociali».
Si tratta di un programma che può annoverare tra le proprie radici persino la scuola di Francoforte con il progetto di critica dell'Illuminismo di Adorno e Horkheimer, in un clima, però, da baumiana «società liquida». Dunque, continua Scurati, «le matrici non saranno marxiste o di altre espressioni politiche definite, e ci saranno autori dichiaratamente di sinistra e di destra». L'avvento di una cultura globale nella società di massa dominata dalle comunicazioni ha respinto, negli ultimi decenni, ogni proposta di riflessione critica sui saperi, che in questa collana ha l'ambizione invece di rilanciare attraverso contributi specifici e senza maître à penser.
Per ora, sono impegnati nell'agone in tre. Telmo Pievani (In difesa di Darwin) è armato di un piccolo «bestiario» dell'antidarwinismo all'italiana, che demistifica le difese del Disegno Intelligente sostenute dai teocon nostrani. Il secondo combattente è Daniele Giglioli, ricercatore di letterature comparate, che passa in rassegna i romanzi europei dalla Rivoluzione Francese in poi per mostrare la centralità della figura del terrorista in Sade, Artaud, Manzoni, Dostoevskij, Ellroy, Updike (All'origine del giorno è il terrore)... Il tentativo sarebbe quello di togliere la figura del terrorista da una sfera separata e segregata («non si tratta», sono «altro da noi») per relazionarlo all'esperienza individuale. Infine Andrea Kerbaker, scrittore ed operatore culturale, radiografa Lo stato dell'arte (questo il titolo) in Italia, uno stato di salute che è notoriamente sofferente. Qui il cahier de doléance dovrebbe partire dal Settecento, quando i viaggiatori incominciano a denunciare le noncuranze del Belpaese, quindi riscoprire le critiche di Ruskin e Riegl al restauro stilistico e giungere sino alle denunce dei nostri Brandi, Cederna e, come vuole Kerbaker, Salvatore Settis. Merito del libro è di evidenziare anche i casi positivi, specie per quel che riguarda le donazioni — da quella Vitali a Brera, dalla villa donata al Fai con installazioni di Dan Flavin ai lasciti letterari (come quello di Maria Corti al fondo manoscritti di Pavia). Kerbaker individua anche parole chiave di un sillabario per ottenere successo nella realizzazione dei cosiddetti eventi culturali: «Vivacità, mobilità, originalità, semplicità, contaminazione, comunicazione e contemporaneità». La sfida è anche su come ridare valore o superare alcuni di questi termini.
L'efficacia dei libri di questa collana andrà verificata al di fuori del circuito costituito da editori, giornali, dibattiti culturali, ovvero nella capacità che avranno di influenzare — pur in un contesto complesso e dinamico — gli orientamenti sociali.
Una lettera a Liberazione pubblicata oggi per come - dopo significativi tagli della redazione non approvati dall’autore - è apparsa sul giornale (di seguito la versione originale prima dei tagli):
Sinistra. E se Berlusconi ha detto il vero?
Cara redazione, durante il Family day di Roma, Berlusconi ha detto che chi è cattolico non può essere di sinistra, sostenendo quindi, implicitamente, che può esserlo solo chi è di destra. Ho iniziato così a pormi domande sul significato dell'essere di sinistra oggi in rapporto alla possibilità di essere anche cattolico. Si può essere di sinistra e credere al peccato originale... e che nasciamo tutti cattivi perché figli di Caino e che un bambino debba essere battezzato perché altrimenti rimarrebbe impuro? Si può essere di sinistra e credere alla madonna sostenendo che sia rimasta incinta senza aver avuto un rapporto sessuale con un uomo? Come si può essere di sinistra e condividere le parole del papa che dice che senza dio siamo animali? Come si può essere di sinistra e dire, ancora oggi, che una donna che abortisce è una criminale e che ha commesso un omicidio? E si può esserlo senza sostenere la ricerca sulle cellule staminali e la fecondazione eterologa? Come si può essere di sinistra dimenticando le stragi di milioni di indios, di roghi e persecuzioni commesse dalla chiesa cattolica fino al ‘700? E ancora, come si può esserlo credendo che la sessualità umana sia solo per la procreazione?... Forse essere di sinistra è tutto questo. Che sia pensare e non credere?! E se per una volta, senza pensare, Berlusconi avesse detto una verità?
Filippo Trojano via e-mail
La stessa lettera nella sua a versione integrale, prima che venisse tagliata dalla ineffabile redazione di Liberazione:
Durante la manifestazione del Family day di sabato scorso a Roma, Berlusconi ha detto che chi è cattolico non può essere di sinistra, sostenendo quindi, implicitamente, che può esserlo solo chi è di destra. Ho iniziato così a pormi una serie di domande sul significato dell’essere di sinistra oggi in rapporto alla possibilità di essere anche cattolico. Si può essere di sinistra e credere al peccato originale? Si può essere di sinistra e credere che nasciamo tutti cattivi perché figli di Caino e che un bambino debba essere battezzato perché altrimenti rimarrebbe impuro? Si può essere di sinistra e credere alla madonna sostenendo che sia rimasta incinta senza aver avuto un rapporto sessuale con un uomo? Come si può essere si sinistra e condividere le parole del papa che dice che senza dio siamo animali? Come si può essere di sinistra e dire, ancora oggi, che una donna che abortisce è una criminale e che ha commesso un omicidio? E si può esserlo senza sostenere la ricerca sulle cellule staminali e la fecondazione eterologa? Come si può essere di sinistra dimenticando il passato di stragi di milioni di indios, di roghi e persecuzioni commesse dalla chiesa cattolica fino al ‘700? E ancora, come si può esserlo credendo che la sessualità umana sia solo per la procreazione e non sia realizzazione della propria identità? Infine, si può oggi, essere di sinistra senza la certezza che gli esseri umani nascono fondamentalmente sani, continuando a credere che il pensiero non si possa ammalare nell'aver perduto o rovinato la propria immagine interiore, e che non esista ancora la cura della malattia mentale? Forse essere di sinistra è tutto questo. Che sia pensare e non credere?! E se per una volta, senza pensare, Berlusconi avesse detto una verità?!
Filippo Trojano
l'altra lettera, come è pubblicata sul quotidiano:
Coraggio laico. Quanto mi è costato
Caro direttore, so quanto costa il coraggio laico: 36 euro. Sabato sono andato alla manifestazione di piazza Navona e ho parcheggiato il motorino in piazza S. Pantaleo e sono stato multato per sosta in area pedonale. E questo avveniva mentre le famiglie di San Giovanni avevano lo sconto del 20 per cento sui treni (la differenza chi la pagherà?), e mentre una fila di autobus del gruppo parlamentare dell'Udc occupava (gratis?) il suolo pubblico. La coraggiosa polizia municipale... penna alla mano, ha preso nota di quanti sabato si sono recati, con coraggio, a piazza Navona. Viva il coraggio laico.
Roberto Martina via e-mail
ed eccola qui nella sua versione originale prima dei tagli:
Caro direttore, io so quanto costa il coraggio laico: 36 €. Sabato sono andato alla manifestazione di piazza navona e ho parcheggiato il motorino in piazza S. Pantaleo e sono stato multato, come tanti altri, per sosta in area pedonale. E questo avveniva mentre le famiglie di san giovanni avevano lo sconto del 20% sui treni (la differenza chi la pagherà?), e mentre una fila di autobus del gruppo parlamentare dell'udc occupava (gratis?) il suolo pubblico. La coraggiosa polizia municipale, quella in doppia fila davanti alla sede del proprio comando (cfr recente articolo del Messaggero), del coraggiosissimo grande assente della "politica della fontanella" tale Veltroni, penna alla mano, ha preso nota di quanti sabato si sono recati con coraggio a piazza navona. Viva il coraggio laico.
Caro direttore, io so quanto costa il coraggio laico: 36 €. Sabato sono andato alla manifestazione di piazza navona e ho parcheggiato il motorino in piazza S. Pantaleo e sono stato multato, come tanti altri, per sosta in area pedonale. E questo avveniva mentre le famiglie di san giovanni avevano lo sconto del 20% sui treni (la differenza chi la pagherà?), e mentre una fila di autobus del gruppo parlamentare dell'udc occupava (gratis?) il suolo pubblico. La coraggiosa polizia municipale, quella in doppia fila davanti alla sede del proprio comando (cfr recente articolo del Messaggero), del coraggiosissimo grande assente della "politica della fontanella" tale Veltroni, penna alla mano, ha preso nota di quanti sabato si sono recati con coraggio a piazza navona. Viva il coraggio laico.
Roberto Martina
Liberazione 16.5.07
Il cuore in politica, per Arendt era nocivo
di Roberto Gigliucci
La casa editrice Nottetempo, dove regnano autonomia dal mercato e quindi intelligenza, anche del mercato, ha una collana di piccoli libri, ormai ricca di titoli, i «Sassi», in cui sono apparsi testi di autori come Agamben o Giulietto Chiesa, Gianfranco Bettin o Silvia Bre, di classici come Yourcenar o Elsa Morante, o addirittura Lévi-Strauss e Marx. Tra gli ultimi titoli, a voler spigolare, c'è ad esempio una straordinaria «conversazione con James Joyce» datata 1930 (Adolf Hoffmeister, Il gioco della sera), consigliabile a chi non ne può più del mondo letterario D'Orrico-simile e ritorna allegramente al Finnegans Wake godendo nel far inorridire i benpensanti. E ancora, nei «Sassi», possiamo rileggere il celebre scambio epistolare fra Gershom Scholem e Hannah Arendt, titolato qui Due lettere sulla banalità del male, in traduzione diversa (anonima) da quella di Giovanna Bettini già apparsa in coda al volume di Arendt Ebraismo e modernità (edizioni Feltrinelli).
Scholem, il grande studioso della Qabbalah, amico di Benjamin, scrive ad Arendt dopo aver letto il suo volume Eichmann in Jerusalem (1963), in Italia tradotto come La banalità del male. Scholem, che si dichiara già ammiratore delle Origini del totalitarismo, è ora profondamente turbato da non poche affermazioni del nuovo libro sul processo al nazista Eichmann, tenutosi a Gerusalemme ai primi degli anni '60 e conclusosi con la condanna capitale. Contesta ad Arendt una mancanza di «amore del popolo ebraico», una disinvoltura nel confondere carnefici e vittime, una sostanziale insensibilità e soprattutto, sopra ogni cosa davvero, l'aver tradito il concetto di «male radicale» sostituendolo a quello di «banalità del male», che a Scholem sembra per nulla convincente.
Arendt replica punto per punto, senza infingimenti e con una limpidezza quasi acre. Riconosce senz'altro di non essere animata da alcun «amore» per il popolo ebraico, concludendo: «io non "amo" gli ebrei e non "credo" in loro; io appartengo semplicemente al loro popolo». Affermazione che può sembrare spietata se isolata dal contesto: Arendt in realtà afferma di poter amare delle «persone», non genericamente un popolo o un altro, e così comprendiamo che l'apparente spietatezza è in realtà declinazione di un superiore umanismo. Scrive a un certo punto: «il guaio è che io sono indipendente», e con questo vuole ribadire di essere per l'uomo e contro l'ideologia. Quell'ideologia che, come emergeva dalle Origini del totalitarismo, spezza i vincoli con il reale, vuole sovrapporsi alla realtà e ovunque trova una resistenza (una diversità) spiana tutto quanto, distrugge, massacra, nientifica. Qui le consonanze con Adorno non erano poche. Certo, quel deficit di «tatto del cuore» che Scholem imputa ad Arendt viene riconosciuto, in sede metodologica, da Arendt stessa: «In generale, il ruolo del "cuore" in politica mi sembra del tutto contestabile». Altra affermazione che va illustrata: l'emozionalità è un pericolo nella vita associata in quanto fattore di irrazionalità che si fa guida al posto della lucidità, e non siamo molto distanti dalla estetizzazione della politica di cui parlava Benjamin e su cui ha scritto saggi fondamentali Mosse.
Ma la difesa più interessante da parte di Arendt è quella proprio sulla banalità del male. Riconosce di aver cambiato parere, non parla più di male radicale. A Gerusalemme lei ha visto in Eichmann una icona del male che talora si presentava come grottesco o addirittura comico: «quest'uomo non era un "mostro", ma era difficile non sospettare che non fosse un buffone». E nelle ultime pagine del libro sulla banalità del male aveva scritto: «il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali». L'intuizione del male radicale si fondava, nelle Origini, sull'analisi di un sistema che in nome di una idea astratta di uomo nuovo rendeva superflui ed eliminabili tutti gli uomini, ed era un sistema figlio della metafisica occidentale, di una tradizione filosofica colpevole, come Arendt ribadiva in una celebre lettera a Jaspers del 1951.
Ora, dopo lo spettacolo di Eichmann buffone e stolido co-genocida alla sbarra, Hannah ha scoperto una nuova modalità del male. Il male non è radicale, né demoniaco, tenebroso e abissale. Il male è se mai «estremo», invasivo e devastante, sì, ma, come dire, orizzontale, non assolutamente verticale. Togliendo il sublime dal male estremo e abbassandolo al livello non meno distruttivo di un macchinario ottuso e quotidiano, si squarcia il velo su un orrore ancora più nauseante e prossimo a noi, meno metafisico forse ma più sordo e vicino. Il male radicale è totalmente altro da noi, la sua stessa definizione ritaglia e isola "il mostro", "i mostri", l'estraneità del malvagio puro. Invece il male "banale" ci riguarda, anzi ci guarda costantemente, e la nostra nausea è spaventosa perché ci mostra la superficie di uno specchio.
il manifesto 16.5.07
Parisi va alla guerra: «Più armi»
Mezzi e uomini per aumentare la sicurezza dei nostri in Afghanistan. Costo 26 milioni
di Sa. M.
Roma. Non è piaciuto a molti il discorso che il ministro della Difesa Arturo Parisi è andato a fare alle commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato a ventiquattrore dall'ultimo attentato ad Herat in cui alcuni militari italiani siano stati feriti, sebbene lievemente.
Se era nell'aria che il ministro annunciasse l'aumento di uomini e mezzi «per adeguare le misure di protezione» del contingente italiano in Afghanistan, non tutti si aspettavano che il potenziamento sarebbe stato così consistente: cinque elicotteri A129 Mangusta, otto veicoli Dardo (veri e propri carri armati, blindati e con la torretta alla stumptruppen) e dieci veicoli blindati Lince. Per condurre questi mezzi, gli uomini a disposizione del contingente saranno aumentati del 10%: centoquarantacinque in più, oltre ai mille e quattrocento già presenti sul territorio. C'è poi il costo economico, anche questo consistente «quantificato in 25,9 milioni di euro, di cui 7,2 milioni una tantum per le predisposizioni, i trasporti e le infrastrutture logistiche in teatro, e 18,7 milioni di costi ricorrenti, per un periodo di circa 7 mesi, fino al 31 dicembre 2007», per stare alle parole di Parisi che ha aggiunto che pur di aumentare il potenziale bellico della missione sarà fatta una variazione di bilancio: «La relativa copertura finanziaria d'intesa con la Presidenza del Consiglio e con il ministero dell'Economia e delle Finanze, verrà apprestata in sede di adozione del disegno di legge di assestamento del bilancio per l'anno 2007».
Se formalmente non si violano i tetti della legge di rifinanziamento della missione militare, è vero che almeno per ora il tetto di «nove mezzi aerei», che dovrà essere tenuto nella «media» della missione, può dirsi superato. Con i super elicotteri Mangusta, infatti, i mezzi aerei a disposizione dei nostri uomini nell'area diventano in tutto undici: tre elicotteri della marina, cinque Mangusta, due Predator e un C130.
Cambiamenti importanti, che a sentire il ministro, «non alterano in alcun modo né la natura della partecipazione del nostro contingente alla missione Isaf, né le finalità ultime della nostra presenza», visto che «per numero e tipologia gli equipaggiamenti aggiuntivi non potrebbero consentire un genere di missione differente da quella già adottata dal nostro contingente». Il che non vuol dire tener fermi i nostri ragazzi proprio ora che sono armati un po' meglio: «Questi equipaggiamenti permetteranno di migliorare le capacità di esplorazione, la mobilità e la protezione, quindi la sicurezza attiva e passiva, delle nostre truppe».
Il concetto di «difesa attiva» non convince affatto Elettra Deiana, capogruppo del Prc in commissione Difesa: «I nostri uomini devono essere ben equipaggiati, però l'ambiguo concetto di "politica militare attiva" avanzato dal ministro Parisi nel chiedere l'invio di altri mezzi mi preoccupa. Il potenziamento del contingente militare italiano con mezzi di assalto, come gli elicotteri Mangusta, rischia di snaturare la missione italiana con il conseguente coinvolgimento dei nostri militari in operazioni belliche».
Il nodo dei rapporti con le azioni «belliche» condotte in Afghanistan spesso con l'appoggio dei nostri militari almeno in funzioni di copertura non è stato del tutto risolto. Di fronte alle domande sull'assalto di aprile a Shindand, con il consistente numero di vittime civili, il ministro ha detto che quella «inaccettabile perdita di vite umane» non è stata «correttamente coordinata da Enduring freedom con i comandi Isaf nè la sua esecuzione tempestivamente comunicata». Difficile che sia andata veramente così, visto che sia Enduring freedom che Isaf sono controllate e gestite dalla Nato. E infatti i senatori Francesco Martone e Lidia Menapace, pure questi del Prc, si dicono perplessi: «Non è stato risolto il punto politico del rapporto tra mandato Isaf e le modalità con cui si svolgono le operazioni Enduring freedom, che hanno causato moltissimi morti civili ad Herat, che è sotto il controllo e la responsabilità italiana». Sul tema conferenza di pace, il ministro ha preferito non intervenire.
Liberazione 16.5.07
Uomo donna infinito è il titolo della personale dell'artista Roberta Pugno ospitata negli storici spazi della Ambasciata della Repubblica Araba d'Egitto, Ufficio culturale di Roma, via delle Terme di Traiano 13. Una particolare rilevanza per il momento storico e politico che caratterizza oggi il rapporto tra la civiltà occidentale e il mondo musulmano. Oltre quaranta opere sul tema dell'immagine femminile, dell'immagine maschile, del rapporto uomo-donna e della dimensione "infinita" in cui si colloca la ricerca sulla realtà interiore e psichica. Le tele, magicamente esposte tra luce e buio, saranno accompagnate da poesie e scritti arabi sul tema universale della dialettica tra donna e uomo, e sull'idea di infinito e di assoluto che caratterizza il mondo islamico. Fino al 29 maggio, da lunedì a venerdì dalle 10 alle 16, sabato dalle 19 alle 22, domenica dalle 11 alle 13.
La Stampa 16,5.07
Ecco la lingua delle pietre
Archeologia. Inizia la decifrazione dei petroglifi: rivelano credenze ed emozioni dei sapiens
In Dordogna scoperti i più antichi contratti di matrimonio. Risalgono a circa 30 mila anni fa
di Emmanuel Anati
Le ricerche al Centro Camuno di Studi Preistorici in collaborazione con altri enti [.] hanno portato a risultati promettenti, che aprono la strada ad una lettura dell'arte rupestre o, piuttosto, alla sua decodificazione. Ciò è stato possibile grazie alla sinergia tra discipline diverse, in particolare linguistica e psicologica con il concorso degli psicoanalisti.
Nel mondo, in oltre 180 Paesi, l'uomo preistorico ha lasciato incise o dipinte sulle rocce immagini e simboli che stanno diventando motivo di attrazione per appassionati e studiosi. Si contano oltre 75 mila siti di arte rupestre e si valuta che quanto finora documentato comprenda 45 milioni di immagini. Che cosa ha spinto l'uomo a una tale creatività?
Uno degli aspetti del XXII Simposio di Valcamonica (dal 18 al 24 maggio a Darlo Boario Terme) è quello di trovare una risposta a questa domanda. Già sappiamo che gran parte dell'arte rupestre preistorica non aveva uno scopo decorativo: era un mezzo per trasmettere informazioni e messaggi, era «una scrittura prima della scrittura».
Le ricerche al Centro Camuno di Studi Preistorici in collaborazione con altri enti - la Maison des Sciences de l'Homme di Parigi, il CIPSH, il Consiglio Internazionale della Filosofia e delle Scienze Umane, e l'UISPP, l'Unione Internazionale delle Scienze e Protostoriche - hanno portato a risultati promettenti, che aprono la strada ad una lettura dell'arte rupestre o, piuttosto, alla sua decodificazione. Ciò è stato possibile grazie alla sinergia tra discipline diverse, in particolare linguistica e psicologica con il concorso degli psicoanalisti.
I primi risultati saranno presentati al simposio con una comunicazione sui gruppi più antichi dell'arte preistorica europea, lo stile di La Ferrassie in Dordogna, nel Sud-Ovest della Francia. Questa ricerca propone una lettura di 19 monumenti di arte rupestre, scoperti all'inizio del secolo scorso e mai in precedenza decriptati. Un'analisi dei monumenti ha condotto alla conclusione che si tratti della definizione di regole che stabiliscono le affinità totemiche che permettono l'accoppiamento. Si tratterebbe, quindi, dei più antichi «contratti di matrimonio» che si conoscono, risalenti a circa 30 mila anni fa.
Al simposio saranno organizzate anche due mostre sulla lettura dell'arte rupestre. L'esposizione sulla Valcamonica rivela il processo di lettura e decodificazione di una composizione che comprende una sessantina di segni del VI-V secolo a.C. Si rivela come la narrazione di un mito istoriato su una roccia a scopo didattico, probabilmente rivolta ad una classe di iniziandi.
L'altra mostra illustra le funzioni diverse del punto in vari periodi e in varie culture. Il contesto di cui si trova questo segno rivela intenti differenti e tuttavia mette in luce la presenza di archetipi e di paradigmi universali. Questa ricerca, che ha prospettive rivoluzionarie, sarà al vaglio dei partecipanti provenienti da 34 Paesi. Tutto ebbe inizio con due monografie pubblicate nel 2002: «La struttura elementare dell'arte» e «Lo stile come fattore diagnostico dell'arte preistorica». Questi studi hanno dimostrato la presenza ricorrente di strutture grammaticali e sintattiche dell'arte preistorica fin dai primordi, intorno a 50 mila anni fa.
La decrittazione dell'arte preistorica sta quindi portando alla rivelazione di brani di storia, di credenze, di eventi e di stati d'animo che offrono una visione eccezionale dello sviluppo del sistema cognitivo dell'Homo sapiens. Le conseguenze possono essere di ampia portata: con il procedere di questo tipo di ricerche la storia dell'umanità potrebbe allungarsi dai 5 mila anni dell'attuale storia fino ai 50 mila, da quando si hanno documenti di arte preistorica che possono essere decodificati.
La comprensione dei processi cognitivi dell'uomo preistorico potrà servire non solo a storici e archeologi, ma a psicologi, sociologi, linguisti, storici delle religioni. E' una ricerca dai risultati già vasti, eppure è solo all'inizio.