mercoledì 16 maggio 2007

l'Unità 16.5.07
Cara Unione, così non va

Il voto deludente di Palermo, i pensionati scontenti, gli scioperi degli statali in arrivo
I Dico senza una maggioranza certa. Fassino: se ci sono proposte vengano avanti
Divisi pure sul conflitto d’interessi: per l’Udeur è punitivo, per Di Pietro e Pdci è poco
L’Unione e il suo governo sono in difficoltà. C’è innanzitutto la difficile questione sociale: ieri Prodi ha incontrato Epifani, Bonanni e Angeletti per tentare di scongiurare lo sciopero degli statali che potrebbe essere il primo di una serie, un’escalation fino allo sciopero generale. C’è poi la sconfitta elettorale di Palermo, sconfitta annunciata ma non per questo meno dolorosa. E i Dico: dopo il Family Day diventa sempre più complicato trovare una maggioranza per il sì alla legge e ieri Fassino, al comitato nazionale dei Ds, ha invitato chi ha altre proposte a farsi avanti. Alla Camera, dove è iniziata la discussione sul disegno di legge sul conflitto d’interessi, la maggioranza rischia di perdere pezzi: da una parte Mastella, da quella opposta Di Pietro.

Repubblica 16.5.07
"Basta giocare di rimessa" il malessere dei laici del Pd
di Goffredo De Marchis


ROMA - La voglia di rivincita c´è, dopo il Family day. La voglia di affermare che il Partito democratico, quando nascerà, sarà laico al 100 per cento. Dice Marina Sereni, fassiniana, vicecapogruppo dell´Ulivo alla Camera: «Siamo stanchi di giocare di rimessa. Prima o poi dobbiamo pensare a una grande iniziativa laica». Per far capire che i diessini sostenitori del Pd non accetteranno un´egemonia cattolica nel nuovo partito, il ministro dello Sport Giovanna Melandri prende ad esempio i Dico: «Per scrivere quel disegno di legge un compromesso con i cattolici lo abbiamo già raggiunto. Altrimenti non avremmo i Dico, avremmo i Pacs». Spiega Gianni Cuperlo, che ieri al consiglio nazionale dei Ds ha criticato l´equidistanza tra le due piazze di sabato: «La laicità è un principio imprescindibile per il Partito democratico. Ma per fortuna è già così. I teodem della Margherita sono davvero una minoranza».
Si capisce meglio, oggi, l´"acrobazia" di Piero Fassino, che alla vigilia del Family day e del "coraggio laico" ha scelto di non stare né di là né di qua. Se avesse privilegiato uno dei due appuntamenti, forse il Pd si sarebbe arenato definitivamente e tutti avrebbero dovuto rimettere indietro gli orologi. Finché il Pd materialmente non esiste la sintesi tra sinistra laica e cattolici democratici è anche nel né-né. O nel silenzio. La Margherita ieri ha evitato i commenti all´adesione della Quercia al Gay pride del 16 giugno. «Perché l´adesione di un partito a un´iniziativa di nicchia non può dividerci - osserva il coordinatore di Dl e del Pd Antonello Soro -. Così come non ci dividono le adesioni individuali a una manifestazione di massa come il Family day». Però gli animi sono caldi. Fassino ha cercato di raffreddare quelli diessini invitandoli a «liberarsi delle paure». Cominciando dal ritornello della perdita dell´identità di sinistra, cioè della vecchia egemonia post-comunista. Ma se il segretario la evoca, la paura c´è, il rischio di un rigetto pure. E tra qualche giorno i Ds dovranno fare i conti con i gruppi parlamentari di Sinistra democratica nati dalla sua scissione. Una potenziale calamita che si sintetizza nell´anatema di Gavino Angius, transfuga della Quercia che non era contrario al Pd: «Va esattamente come avevo previsto. Nel Partito democratico vincono Rutelli e la sua cultura. Lì non c´è spazio per la laicità».
Pd cattolico, con i laici ai margini. È un pericolo sentito anche da chi, come Mercedes Bresso, nel Pd ha deciso di starci. Parla di «mobilitazione», di una Chiesa che farebbe «meglio a occuparsi delle ingiustizie del mondo», di un dibattito che secondo la presidente del Piemonte, «parte dalla famiglia e poi finisce con il no all´aborto». Nei fatti la corrente laica sta nascendo, speculare ai teodem di Dl. E i Dico, così, diventano una bandiera, una trincea da proteggere a tutti i costi. «Ma certo che quello che conta è una legge che difenda il principio e i diritti - spiega Cuperlo rispondendo a Fassino -. Però sono affezionato ai Dico e non vorrei che aprendo ad altre proposte si finisca per ottenere ancora meno». Cuperlo fa l´esempio della proposta di Alfredo Biondi depositata in Senato. «In cui i conviventi si certificano dal notaio. Come se una storia d´amore fosse un appartamento», sospira. E con Fassino è severo: «Non possiamo inseguire la cronaca e cercare di volta in volta la gestione più indolore dei passaggi delicati».
Il rischio di un´implosione del Partito democratico, il cattolico dei Ds Giorgio Tonini lo ha messo nero su bianco in un editoriale di Europa. «Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata - spiega - . Il Pd è oggetto di un grosso conflitto politico, sono in tanti a non volere un luogo virtuoso di mediazione, contenderanno lo spazio al nuovo soggetto metro per metro. Non caso le due piazze di sabato avevano i medesimi bersagli, la Bindi e la Pollastrini». Per questo alla convocazione di massa, bisognerebbe contrapporre altre piazze, altre manifestazioni. «Ce ne vorrebbe una per aiutare le famiglie che non ci sono, quelle dei giovani ai quali mancano le condizioni per costruirsela. E che avrebbero bisogno di politiche attive», dice la Melandri. Non è finita sabato, insomma. Soro semina ottimismo: «La laicità è un elemento fondativo. Non solo del Pd. Lo era anche della Democrazia cristiana». Ma ai diessini piacerà morire democristiani?

Repubblica 16.5.07
Il peso della Chiesa
Mons. Fisichella a confronto con Ezio Mauro
di Simonetta Fiori


Secondo i cattolici è legittimo influenzare la vita civile e politica, secondo i laici si tratta di ingerenza
Fisichella: "L'uomo appartiene a Dio Mauro: "Il cittadino deve essere libero"

Pisa. Qual è il rapporto tra Chiesa e politica oggi in Italia? È legittimo chiedere ai parlamentari cattolici massima obbedienza verso le gerarchie? E che rischi comporta per la democrazia italiana questa nuova e duplice veste della Chiesa che è insieme autorità e gruppo di pressione, cielo e terra, pulpito e piazza?
Sono soltanto alcuni dei temi discussi ieri a Pisa tra «persone dai pensieri diversi», come recita il titolo dell´iniziativa promossa dall´Arcivescovado. Da una parte monsignor Rino Fisichella, vescovo ausiliare di Roma e rettore della Pontificia Università Lateranense; dall´altro il direttore di Repubblica Ezio Mauro, sostenitore della laicità dello Stato e critico verso la saldatura delle gerarchie con la destra politica. I due interlocutori esprimono posizioni nitidamente contrapposte, ma sarebbe riduttivo riassumerne il dialogo come confronto tra un vescovo e un laico.
E´ in gioco un modo diverso di intendere il ruolo della Chiesa cattolica e l´identità stessa del cristianesimo. Può anche accadere che l´altro autorevole prelato presente all´incontro, l´arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, «rappresentante d´una Chiesa che sa ascoltare più che farsi ascoltare» - come lo definiscono qui a Pisa - concordi con il laico Mauro nella definizione di un cristianesimo che non è e non deve essere «ideologia» o «precettistica», ma «rivelazione», «incontro con Cristo morto e risorto». «Nell´attuale deserto culturale», dice l´arcivescovo Plotti, «la Chiesa non deve recuperare dominio, ma spazi di servizio. La grande sfida è togliersi di dosso il sospetto di cercare solo potere».
RINO FISICHELLA - È in atto una profonda crisi culturale, che ha posto in discussione concetti fondamentali come natura, uomo, diritto, giustizia, verità. Da vescovo e da cittadino sento la responsabilità e il diritto di intervenire nel pubblico dibattito senza essere confinato in un angolo. Si legge nel vangelo di Marco: «Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio». In realtà questa traduzione non è corretta, perché dobbiamo aggiungere innanzi a «date a Dio» un fondamentale "ma". All´imperatore non si può dare quel che appartiene a Dio. Il sovrano tenga la sua moneta, ma tutto ciò che investe la vita dell´uomo appartiene a chi è più in alto. Ci sono alcuni principi che non sono negoziabili.
Alcune proposte di legge non rispettano la dignità delle persone e non sono conformi al bene di tutti. Oggi la mediazione è difficile, perché in parecchi alberga il pensiero dell´imposizione del diritto individuale a scapito del bene comune e del vivere sociale. Se ciascuno decide di far figli come vuole, se mette fine alla propria vita quando vuole, e impone al legislatore le sue scelte, allora il diritto individuale non è più questione di coscienza singola ma diviene atto pubblico, e di conseguenza deve essere regolamentato.
Oggi si fa confusione tra morale ed etica. Da Socrate in poi, l´etica fissa i principi fondamentali attraverso cui la coscienza giudica il bene e il male. L´etica non può essere laica o cristiana, ma solo etica. La morale invece ha una sua connotazione. Quando difendiamo la famiglia non lo facciamo in nome di Gesù Cristo ma in nome dell´etica. Appellarsi alla coscienza è davvero una iattura per lo Stato?
Il laicato cattolico in politica non deve rinunciare alla propria identità cristiana. Questo comporta dei conflitti, ma la disciplina di partito non va forse contro la coscienza? Non è lecito impedirci di intervenire su questioni su cui si gioca il futuro della società. Non chiediamo certo lo Stato etico di hegeliana memoria, ma ricordiamo al legislatore cattolico che deve richiamarsi alla legge impressa nella natura. E se egli non è coerente con i principi della comunità d´appartenenza, deve assumersi la responsabilità delle sue scelte.
EZIO MAURO - Non sono per nulla spaventato da una Chiesa forte, ne riconosco il deposito di tradizione come elemento importante dell´identità nazionale. Di più: un pontefice dal pensiero forte áncora la Chiesa a una solidità culturale che evita alle gerarchie scambi al ribasso nel mercato dalla politica. Quel che mi preoccupa è altro, e cioè che quel pensiero cristiano che non è il mio debba decidere anche per me. Intendiamoci: è importante che si esprima e parli all´intera società, ma non può decidere per me, a meno di accettare che lo Stato italiano diventi cosa ben diversa dalle democrazie occidentali. Dire questo significa coartare la fede? Relegarla fuori dalla sfera del dibattito civile? Niente affatto.
Da laico riconosco che, dopo la morte delle ideologie, la religione è tornata ad arricchire il dibattito pubblico. Ma in questi ultimi anni è accaduto in Italia qualcosa di nuovo e preoccupante. La Chiesa scende in campo come autorità e gruppo di pressione, pretendendo di determinare il comportamento parlamentare dei politici cattolici. Per la prima volta nella storia repubblicana la Chiesa è insieme cielo e terra, pulpito e piazza.
La società italiana appare agli occhi delle gerarchie un terreno ideale per svolgere protettorato di valori. I partiti appaiono assai fragili, privati di un deposito di storia e tradizione. Robusta è la tentazione di esercitare un´egemonia culturale. Ma che problema c´è se la Chiesa è più forte? Il fatto è che ogni identità culturale deve riconoscere l´insieme che contribuisce a concorrere e a determinare. Quell´insieme è lo Stato. Lo Stato democratico non contempla l´assoluto. In Parlamento ogni verità è parziale, come in tutte le democrazie. Il tentativo oggi in atto in Italia, e inedito in Occidente, è cavalcare la precettistica traducendola in norme creatrici di un´identità collettiva e di una società del bene. La distinzione tra la legge del creatore e la legge delle creature è principio fondamentale della laicità.
La Chiesa ha il dovere di intervenire, ma la decisione politica è affidata alla libertà del cittadino, senza vincoli d´obbedienza. Non esiste un´obbligazione religiosa a fondamento delle leggi dello Stato. Tutte le confessioni possono ispirare singoli e gruppi, ma non lo Stato, che tutela la libertà religiosa di tutti, anche di chi non ha una legge divina superiore. Il Dio italiano cammina, ma a me la Chiesa non appare più forte rispetto a prima. S´è aperta una faglia a noi sconosciuta che divide gli stessi credenti. E´ possibile credere in Dio votando a sinistra? Nel momento in cui la Chiesa accettasse l´ibridazione con una parte politica, si mutilerebbe nella sua capacità di parlare a tutti. Com´è possibile sganciare la Chiesa dalla sua componente cattolico-democratica, fondamentale nella costruzione repubblicana? Non è certo nella debolezza della religione civile e nell´appannamento dello spirito repubblicano che la Chiesa diviene più forte. Quel che sfugge è che la laicità dello Stato è la maggior garanzia della difesa del nostro paese, di cui il cattolicesimo è componente importante.

Corriere della Sera 16.5.07
Finocchiaro avverte Prodi «Scissione, rischi al Senato»
di Monica Guerzoni


ROMA — «La scissione ha spostato l'asse politico a sinistra...». Il tono è caldo e privo di enfasi, com'è nello stile di Anna Finocchiaro. Ma i Ds colgono al volo l'allarme sulla tenuta del governo. «Non voglio riaprire un capitolo doloroso, ma devo parlarvi degli effetti della scissione sul gruppo del Senato» inizia la presidente dei Senatori dell'Ulivo abbracciando con lo sguardo la sala di via dei Frentani, orfana dei compagni dell'ex Correntone.
L'addio di Mussi, Salvi e poi di Angius non è «cosa neutra rispetto al governo e alla sua politica», prosegue la Finocchiaro nel più assoluto silenzio del Comitato nazionale per la Costituente del Pd. La creazione di un gruppo della Sinistra democratica ha «fortemente ridimensionato l'Ulivo sotto il profilo della consistenza numerica» e ora il governo deve prestare «attenzione» a quel che accade a Palazzo Madama, deve fare un «forte investimento politico» in vista dei provvedimenti che presto piomberanno sulla giungla del Senato.
«Riforma delle autorità, Rai, pensioni, legge elettorale — elenca Finocchiaro appellandosi ai "ministri presenti in sala", D'Alema, Bersani, Chiti... — Nessuno si sogni di buttare la questione nell'agone del Senato e pensare che noi reggiamo la barra dritta». Si potrebbe dedurne che la presidente metta le mani avanti nel timore di sfaceli prossimi venturi. Ma non è questo, o almeno non è solo questo. L'sos di «Anna dei miracoli», come la chiamano i suoi, è un appello al cuore e alla testa di Romano Prodi. Se ci tiene a sopravvivere, è il consiglio, il premier ponga «grandissima attenzione» sull'Aula del Senato e si appresti a una «gestione oculata» delle questioni che di certo creeranno attriti tra riformisti e massimalisti: il leader indossi i panni del mediatore e concordi i provvedimenti più delicati, conclude Finocchiaro ormai giù dal palco, «o si va tutti a casa».
L'invocazione si fonda sui numeri. Il gruppone dell'Ulivo ante-scissione contava 101 senatori, che dopo Firenze sono diventati 89. Sd, la nuova formazione di Mussi, coi suoi 12 senatori porta a circa 50 i voti dell'ala estrema, forte di un «patto di consultazione» che unisce Prc, Pdci, Verdi ed ex sinistra Ds. La scissione dunque ha stravolto i rapporti di forza, ha spezzato l'asse Prodi-Bertinotti — che al Senato si declinava nella sintonia della Finocchiaro col capogruppo del Prc Giovanni Russo Spena — ha innescato la competition tra sinistra e Pd e all'interno della sinistra stessa. Possono Diliberto e Giordano farsi scavalcare su pace, pensione o lavoro da Mussi o da Salvi?
E c'è un altro aspetto che Finocchiaro non sottovaluta. L'Ulivo ha perso senatori molto esperti nel lavoro parlamentare come Di Siena, Villone, Mele, Iovene, nonché i due big Angius e Salvi, il quale lascerà la commissione Giustizia per guidare il nuovo gruppo. «Temiamo gli emendamenti governativi ai provvedimenti del governo — rivela preoccupato il vicepresidente dl Luigi Zanda — la discussione può infiammarsi e il rischio aumenta...».
Facce preoccupate, in via dei Frentani. Smarrimento, incertezza tra i 350 membri del Comitato nazionale, che ha eletto presidente l'ex segretario generale della Uil Pietro Larizza. Dopo la Margherita, anche i Ds hanno nominato gli organi di direzione, segno che i due partiti non smobilitano. La Quercia va alla «fusione» con un Comitato politico di 112 membri guidato da una presidenza che ne conta 19, tutti i leader compresi Veltroni, Brutti per la terza mozione e un rappresentante (lo nominerà Vincenzo Vita) di quella fetta di Correntone che ha detto no alla scissione. «La cupola...» scherza Nicola Latorre, mentre i fassiniani smentiscono il presunto «commissariamento» del segretario. Maurizio Migliavacca resta coordinatore, la segreteria diventa Comitato esecutivo e accoglie Luciano Pizzetti, cui toccherà costruire il Pd al Nord. E dietro le quinte sarebbe in corso un braccio di ferro sull'ingresso della Finocchiaro al posto di Latorre. «Liberiamoci dalle paure — è il messaggio di Fassino a Rutelli — Nessuno vuole egemonizzare il Pd».

Corriere della Sera 16.5.07
La Quercia tra due fuochi fatica a dialogare con i vescovi
L'Udeur: prevale l'anima radicale della sinistra, i Dico sono finiti
di Massimo Franco


Per la prima volta il segretario del maggior partito di governo ammette che la legge sulle unioni di fatto potrebbe essere bocciata dal Parlamento. «Attenzione», ha detto ieri Piero Fassino ai suoi, «se ci attestiamo sulla posizione "o Dico o morte" corriamo il rischio che, se non viene approvata, ci ritroviamo subalterni». A suo avviso, meglio divincolarsi da una formula vissuta come fattore di lacerazione nell'Unione e nel futuro Partito democratico; e cercare di trovare un compromesso con gli alleati ostili al provvedimento. Il tentativo sembra quello di prendere atto del Family Day cattolico di sabato scorso. Ma promette di essere frustrato.
Nelle file diessine sono state criticate le «oscillazioni» del vertice sulla laicità. Ministri come la Pollastrini e la Melandri, e il capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, difendono i Dico anche contro il loro leader. «Ne va della nostra dignità», sostengono. E l'atteggiamento verso la Margherita resta ambivalente: dialogo e mano tesa alle componenti cattoliche in tensione con l'episcopato; critiche abrasive verso parlamentari e ministri allineati con la Cei. Insomma, Fassino tenta di accreditarsi come un interlocutore delle gerarchie, più dei prodiani e perfino del partito di Rutelli; ma sembra costretto a prendere un'altra direzione.
La sensazione è che a sinistra si stia verificando una sorta di rimozione del Family Day: qualcosa di simile a quanto è avvenuto dopo la vittoria degli astensionisti, appoggiati dai vescovi, nel referendum sulla fecondazione assistita del 2005. La decisione di inviare una delegazione diessina al Gay Pride, la prossima manifestazione delle organizzazioni omosessuali, è stata presa «non per rifarci una verginità», aggiunge testualmente Fassino. Ma finisce per suonare contraddittoria. Fa riaffiorare le tensioni interne seguite alla doppia assenza dei Ds da piazza San Giovanni e da piazza Navona, dove si esibiva il «coraggio laico».
Radicali e socialisti applaudono il segretario dei Ds per il Gay Pride. Ma il fronte cattolico rimane esposto. Il ministro Clemente Mastella, ironizza sulla delegazione diessina. E dice che sarebbe stato meglio perfino andare in piazza Navona. Ma la sua critica va oltre. Cogliendo la prevalenza di «un'anima radicaleggiante», Mastella addita l'arretratezza culturale di ampi settori dell'Unione. Gran parte del centrosinistra sembra pensare che la questione cattolica si sia chiusa con la fine della Dc. In realtà, si stava aprendo. Per questo, secondo il ministro, presente al Family Day, «sarà difficile recuperare consensi». Ed è inutile insistere sui Dico, «affossati politicamente e in Parlamento. Non cambio opinione... Mi pare che la manifestazione di San Giovanni non abbia spiegato nulla». Le distanze nella maggioranza rimangono dunque intatte. Ma le incognite per la legge sulle unioni di fatto sono aumentate. La scissione diessina promette di rafforzare le posizioni estremiste. «Il gruppo dell'Ulivo al Senato è fortemente ridimensionato», ammette la Finocchiaro. E i Ds appaiono sempre più fra due fuochi.

Corriere della Sera 16.5.07
Torna di moda l'impegno. Nel nome di Adorno
di Pierluigi Panza


Pievani, Giglioli e Kerbaker per una critica postideologica della cultura

La scuola di Francoforte, Max Horkheimer, Sartre, Michel Foucault

Si chiama «agone» perché dovrebbe essere il luogo dell'agonismo culturale, un'adunanza dove gli intellettuali combattono sguainando le parole. La nuova collana di saggistica «agone», diretta dallo scrittore Antonio Scurati per la casa editrice Bompiani, si presenta come una palestra dove gli atleti delle lettere, nelle diverse discipline e con diversi attrezzi, gareggiano nella lotta per l'affermazione di proposte e modelli culturali o per la demistificazione di altri. Una lotta che, diversamente dalla polemica, non si esaurisce nell'invettiva e nella critica, ma partecipa all'edificazione di un processo di trasformazione. Insomma, un ritorno alla critica della cultura e, se vogliamo, all'impegno, in una versione postpolitica e postideologica.
Del resto, rispondendo all'accusa d'esser uno dei «nuovi padroni della letteratura» a lui mossa da Aldo Nove, Scurati aveva toccato proprio elementi di «poetica militante»: «Non mi riconosco nel titolo di "padroni della letteratura". La visione del potere ci è estranea. La mia è una visione "agonistica" della cultura che però non si esercita nei confronti di altri scrittori, ma in società, verso i poteri forti od oppressivi. La militanza dello scrittore è lì».
Gli strumenti della militanza non dovrebbero esser più le piazza e le assemblee studentesche come ai tempi di Sartre e Foucault, ma le aule scolastiche, le istituzioni culturali, la televisione e le librerie.
«Con "agone" vorrei fare della critica della cultura più che dell'invettiva e accompagnare la critica a una proposta culturale», afferma Scurati. «Senza essere rigidamente generazionali, vorremmo raccogliere le intelligenze dei 35-45enni pubblicando brevi saggi lontani dall'opinionismo e dal pamphlettismo, con intenti militanti civili e sociali».
Si tratta di un programma che può annoverare tra le proprie radici persino la scuola di Francoforte con il progetto di critica dell'Illuminismo di Adorno e Horkheimer, in un clima, però, da baumiana «società liquida». Dunque, continua Scurati, «le matrici non saranno marxiste o di altre espressioni politiche definite, e ci saranno autori dichiaratamente di sinistra e di destra». L'avvento di una cultura globale nella società di massa dominata dalle comunicazioni ha respinto, negli ultimi decenni, ogni proposta di riflessione critica sui saperi, che in questa collana ha l'ambizione invece di rilanciare attraverso contributi specifici e senza maître à penser.
Per ora, sono impegnati nell'agone in tre. Telmo Pievani (In difesa di Darwin) è armato di un piccolo «bestiario» dell'antidarwinismo all'italiana, che demistifica le difese del Disegno Intelligente sostenute dai teocon nostrani. Il secondo combattente è Daniele Giglioli, ricercatore di letterature comparate, che passa in rassegna i romanzi europei dalla Rivoluzione Francese in poi per mostrare la centralità della figura del terrorista in Sade, Artaud, Manzoni, Dostoevskij, Ellroy, Updike (All'origine del giorno è il terrore)... Il tentativo sarebbe quello di togliere la figura del terrorista da una sfera separata e segregata («non si tratta», sono «altro da noi») per relazionarlo all'esperienza individuale. Infine Andrea Kerbaker, scrittore ed operatore culturale, radiografa Lo stato dell'arte (questo il titolo) in Italia, uno stato di salute che è notoriamente sofferente. Qui il cahier de doléance dovrebbe partire dal Settecento, quando i viaggiatori incominciano a denunciare le noncuranze del Belpaese, quindi riscoprire le critiche di Ruskin e Riegl al restauro stilistico e giungere sino alle denunce dei nostri Brandi, Cederna e, come vuole Kerbaker, Salvatore Settis. Merito del libro è di evidenziare anche i casi positivi, specie per quel che riguarda le donazioni — da quella Vitali a Brera, dalla villa donata al Fai con installazioni di Dan Flavin ai lasciti letterari (come quello di Maria Corti al fondo manoscritti di Pavia). Kerbaker individua anche parole chiave di un sillabario per ottenere successo nella realizzazione dei cosiddetti eventi culturali: «Vivacità, mobilità, originalità, semplicità, contaminazione, comunicazione e contemporaneità». La sfida è anche su come ridare valore o superare alcuni di questi termini.
L'efficacia dei libri di questa collana andrà verificata al di fuori del circuito costituito da editori, giornali, dibattiti culturali, ovvero nella capacità che avranno di influenzare — pur in un contesto complesso e dinamico — gli orientamenti sociali.

Una lettera a Liberazione pubblicata oggi per come - dopo significativi tagli della redazione non approvati dall’autore - è apparsa sul giornale (di seguito la versione originale prima dei tagli):
Sinistra. E se Berlusconi ha detto il vero?

Cara redazione, durante il Family day di Roma, Berlusconi ha detto che chi è cattolico non può essere di sinistra, sostenendo quindi, implicitamente, che può esserlo solo chi è di destra. Ho iniziato così a pormi domande sul significato dell'essere di sinistra oggi in rapporto alla possibilità di essere anche cattolico. Si può essere di sinistra e credere al peccato originale... e che nasciamo tutti cattivi perché figli di Caino e che un bambino debba essere battezzato perché altrimenti rimarrebbe impuro? Si può essere di sinistra e credere alla madonna sostenendo che sia rimasta incinta senza aver avuto un rapporto sessuale con un uomo? Come si può essere di sinistra e condividere le parole del papa che dice che senza dio siamo animali? Come si può essere di sinistra e dire, ancora oggi, che una donna che abortisce è una criminale e che ha commesso un omicidio? E si può esserlo senza sostenere la ricerca sulle cellule staminali e la fecondazione eterologa? Come si può essere di sinistra dimenticando le stragi di milioni di indios, di roghi e persecuzioni commesse dalla chiesa cattolica fino al ‘700? E ancora, come si può esserlo credendo che la sessualità umana sia solo per la procreazione?... Forse essere di sinistra è tutto questo. Che sia pensare e non credere?! E se per una volta, senza pensare, Berlusconi avesse detto una verità?
Filippo Trojano via e-mail

La stessa lettera nella sua a versione integrale, prima che venisse tagliata dalla ineffabile redazione di Liberazione:
Durante la manifestazione del Family day di sabato scorso a Roma, Berlusconi ha detto che chi è cattolico non può essere di sinistra, sostenendo quindi, implicitamente, che può esserlo solo chi è di destra. Ho iniziato così a pormi una serie di domande sul significato dell’essere di sinistra oggi in rapporto alla possibilità di essere anche cattolico. Si può essere di sinistra e credere al peccato originale? Si può essere di sinistra e credere che nasciamo tutti cattivi perché figli di Caino e che un bambino debba essere battezzato perché altrimenti rimarrebbe impuro? Si può essere di sinistra e credere alla madonna sostenendo che sia rimasta incinta senza aver avuto un rapporto sessuale con un uomo? Come si può essere si sinistra e condividere le parole del papa che dice che senza dio siamo animali? Come si può essere di sinistra e dire, ancora oggi, che una donna che abortisce è una criminale e che ha commesso un omicidio? E si può esserlo senza sostenere la ricerca sulle cellule staminali e la fecondazione eterologa? Come si può essere di sinistra dimenticando il passato di stragi di milioni di indios, di roghi e persecuzioni commesse dalla chiesa cattolica fino al ‘700? E ancora, come si può esserlo credendo che la sessualità umana sia solo per la procreazione e non sia realizzazione della propria identità? Infine, si può oggi, essere di sinistra senza la certezza che gli esseri umani nascono fondamentalmente sani, continuando a credere che il pensiero non si possa ammalare nell'aver perduto o rovinato la propria immagine interiore, e che non esista ancora la cura della malattia mentale? Forse essere di sinistra è tutto questo. Che sia pensare e non credere?! E se per una volta, senza pensare, Berlusconi avesse detto una verità?!
Filippo Trojano

l'altra lettera, come è pubblicata sul quotidiano:
Coraggio laico. Quanto mi è costato
Caro direttore, so quanto costa il coraggio laico: 36 euro. Sabato sono andato alla manifestazione di piazza Navona e ho parcheggiato il motorino in piazza S. Pantaleo e sono stato multato per sosta in area pedonale. E questo avveniva mentre le famiglie di San Giovanni avevano lo sconto del 20 per cento sui treni (la differenza chi la pagherà?), e mentre una fila di autobus del gruppo parlamentare dell'Udc occupava (gratis?) il suolo pubblico. La coraggiosa polizia municipale... penna alla mano, ha preso nota di quanti sabato si sono recati, con coraggio, a piazza Navona. Viva il coraggio laico.
Roberto Martina via e-mail


ed eccola qui nella sua versione originale prima dei tagli:
Caro direttore, io so quanto costa il coraggio laico: 36 €. Sabato sono andato alla manifestazione di piazza navona e ho parcheggiato il motorino in piazza S. Pantaleo e sono stato multato, come tanti altri, per sosta in area pedonale. E questo avveniva mentre le famiglie di san giovanni avevano lo sconto del 20% sui treni (la differenza chi la pagherà?), e mentre una fila di autobus del gruppo parlamentare dell'udc occupava (gratis?) il suolo pubblico. La coraggiosa polizia municipale, quella in doppia fila davanti alla sede del proprio comando (cfr recente articolo del Messaggero), del coraggiosissimo grande assente della "politica della fontanella" tale Veltroni, penna alla mano, ha preso nota di quanti sabato si sono recati con coraggio a piazza navona. Viva il coraggio laico.
Roberto Martina


Liberazione 16.5.07
Il cuore in politica, per Arendt era nocivo
di Roberto Gigliucci


La casa editrice Nottetempo, dove regnano autonomia dal mercato e quindi intelligenza, anche del mercato, ha una collana di piccoli libri, ormai ricca di titoli, i «Sassi», in cui sono apparsi testi di autori come Agamben o Giulietto Chiesa, Gianfranco Bettin o Silvia Bre, di classici come Yourcenar o Elsa Morante, o addirittura Lévi-Strauss e Marx. Tra gli ultimi titoli, a voler spigolare, c'è ad esempio una straordinaria «conversazione con James Joyce» datata 1930 (Adolf Hoffmeister, Il gioco della sera), consigliabile a chi non ne può più del mondo letterario D'Orrico-simile e ritorna allegramente al Finnegans Wake godendo nel far inorridire i benpensanti. E ancora, nei «Sassi», possiamo rileggere il celebre scambio epistolare fra Gershom Scholem e Hannah Arendt, titolato qui Due lettere sulla banalità del male, in traduzione diversa (anonima) da quella di Giovanna Bettini già apparsa in coda al volume di Arendt Ebraismo e modernità (edizioni Feltrinelli).
Scholem, il grande studioso della Qabbalah, amico di Benjamin, scrive ad Arendt dopo aver letto il suo volume Eichmann in Jerusalem (1963), in Italia tradotto come La banalità del male. Scholem, che si dichiara già ammiratore delle Origini del totalitarismo, è ora profondamente turbato da non poche affermazioni del nuovo libro sul processo al nazista Eichmann, tenutosi a Gerusalemme ai primi degli anni '60 e conclusosi con la condanna capitale. Contesta ad Arendt una mancanza di «amore del popolo ebraico», una disinvoltura nel confondere carnefici e vittime, una sostanziale insensibilità e soprattutto, sopra ogni cosa davvero, l'aver tradito il concetto di «male radicale» sostituendolo a quello di «banalità del male», che a Scholem sembra per nulla convincente.
Arendt replica punto per punto, senza infingimenti e con una limpidezza quasi acre. Riconosce senz'altro di non essere animata da alcun «amore» per il popolo ebraico, concludendo: «io non "amo" gli ebrei e non "credo" in loro; io appartengo semplicemente al loro popolo». Affermazione che può sembrare spietata se isolata dal contesto: Arendt in realtà afferma di poter amare delle «persone», non genericamente un popolo o un altro, e così comprendiamo che l'apparente spietatezza è in realtà declinazione di un superiore umanismo. Scrive a un certo punto: «il guaio è che io sono indipendente», e con questo vuole ribadire di essere per l'uomo e contro l'ideologia. Quell'ideologia che, come emergeva dalle Origini del totalitarismo, spezza i vincoli con il reale, vuole sovrapporsi alla realtà e ovunque trova una resistenza (una diversità) spiana tutto quanto, distrugge, massacra, nientifica. Qui le consonanze con Adorno non erano poche. Certo, quel deficit di «tatto del cuore» che Scholem imputa ad Arendt viene riconosciuto, in sede metodologica, da Arendt stessa: «In generale, il ruolo del "cuore" in politica mi sembra del tutto contestabile». Altra affermazione che va illustrata: l'emozionalità è un pericolo nella vita associata in quanto fattore di irrazionalità che si fa guida al posto della lucidità, e non siamo molto distanti dalla estetizzazione della politica di cui parlava Benjamin e su cui ha scritto saggi fondamentali Mosse.
Ma la difesa più interessante da parte di Arendt è quella proprio sulla banalità del male. Riconosce di aver cambiato parere, non parla più di male radicale. A Gerusalemme lei ha visto in Eichmann una icona del male che talora si presentava come grottesco o addirittura comico: «quest'uomo non era un "mostro", ma era difficile non sospettare che non fosse un buffone». E nelle ultime pagine del libro sulla banalità del male aveva scritto: «il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali». L'intuizione del male radicale si fondava, nelle Origini, sull'analisi di un sistema che in nome di una idea astratta di uomo nuovo rendeva superflui ed eliminabili tutti gli uomini, ed era un sistema figlio della metafisica occidentale, di una tradizione filosofica colpevole, come Arendt ribadiva in una celebre lettera a Jaspers del 1951.
Ora, dopo lo spettacolo di Eichmann buffone e stolido co-genocida alla sbarra, Hannah ha scoperto una nuova modalità del male. Il male non è radicale, né demoniaco, tenebroso e abissale. Il male è se mai «estremo», invasivo e devastante, sì, ma, come dire, orizzontale, non assolutamente verticale. Togliendo il sublime dal male estremo e abbassandolo al livello non meno distruttivo di un macchinario ottuso e quotidiano, si squarcia il velo su un orrore ancora più nauseante e prossimo a noi, meno metafisico forse ma più sordo e vicino. Il male radicale è totalmente altro da noi, la sua stessa definizione ritaglia e isola "il mostro", "i mostri", l'estraneità del malvagio puro. Invece il male "banale" ci riguarda, anzi ci guarda costantemente, e la nostra nausea è spaventosa perché ci mostra la superficie di uno specchio.

il manifesto 16.5.07
Parisi va alla guerra: «Più armi»
Mezzi e uomini per aumentare la sicurezza dei nostri in Afghanistan. Costo 26 milioni
di Sa. M.


Roma. Non è piaciuto a molti il discorso che il ministro della Difesa Arturo Parisi è andato a fare alle commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato a ventiquattrore dall'ultimo attentato ad Herat in cui alcuni militari italiani siano stati feriti, sebbene lievemente.
Se era nell'aria che il ministro annunciasse l'aumento di uomini e mezzi «per adeguare le misure di protezione» del contingente italiano in Afghanistan, non tutti si aspettavano che il potenziamento sarebbe stato così consistente: cinque elicotteri A129 Mangusta, otto veicoli Dardo (veri e propri carri armati, blindati e con la torretta alla stumptruppen) e dieci veicoli blindati Lince. Per condurre questi mezzi, gli uomini a disposizione del contingente saranno aumentati del 10%: centoquarantacinque in più, oltre ai mille e quattrocento già presenti sul territorio. C'è poi il costo economico, anche questo consistente «quantificato in 25,9 milioni di euro, di cui 7,2 milioni una tantum per le predisposizioni, i trasporti e le infrastrutture logistiche in teatro, e 18,7 milioni di costi ricorrenti, per un periodo di circa 7 mesi, fino al 31 dicembre 2007», per stare alle parole di Parisi che ha aggiunto che pur di aumentare il potenziale bellico della missione sarà fatta una variazione di bilancio: «La relativa copertura finanziaria d'intesa con la Presidenza del Consiglio e con il ministero dell'Economia e delle Finanze, verrà apprestata in sede di adozione del disegno di legge di assestamento del bilancio per l'anno 2007».
Se formalmente non si violano i tetti della legge di rifinanziamento della missione militare, è vero che almeno per ora il tetto di «nove mezzi aerei», che dovrà essere tenuto nella «media» della missione, può dirsi superato. Con i super elicotteri Mangusta, infatti, i mezzi aerei a disposizione dei nostri uomini nell'area diventano in tutto undici: tre elicotteri della marina, cinque Mangusta, due Predator e un C130.
Cambiamenti importanti, che a sentire il ministro, «non alterano in alcun modo né la natura della partecipazione del nostro contingente alla missione Isaf, né le finalità ultime della nostra presenza», visto che «per numero e tipologia gli equipaggiamenti aggiuntivi non potrebbero consentire un genere di missione differente da quella già adottata dal nostro contingente». Il che non vuol dire tener fermi i nostri ragazzi proprio ora che sono armati un po' meglio: «Questi equipaggiamenti permetteranno di migliorare le capacità di esplorazione, la mobilità e la protezione, quindi la sicurezza attiva e passiva, delle nostre truppe».
Il concetto di «difesa attiva» non convince affatto Elettra Deiana, capogruppo del Prc in commissione Difesa: «I nostri uomini devono essere ben equipaggiati, però l'ambiguo concetto di "politica militare attiva" avanzato dal ministro Parisi nel chiedere l'invio di altri mezzi mi preoccupa. Il potenziamento del contingente militare italiano con mezzi di assalto, come gli elicotteri Mangusta, rischia di snaturare la missione italiana con il conseguente coinvolgimento dei nostri militari in operazioni belliche».
Il nodo dei rapporti con le azioni «belliche» condotte in Afghanistan spesso con l'appoggio dei nostri militari almeno in funzioni di copertura non è stato del tutto risolto. Di fronte alle domande sull'assalto di aprile a Shindand, con il consistente numero di vittime civili, il ministro ha detto che quella «inaccettabile perdita di vite umane» non è stata «correttamente coordinata da Enduring freedom con i comandi Isaf nè la sua esecuzione tempestivamente comunicata». Difficile che sia andata veramente così, visto che sia Enduring freedom che Isaf sono controllate e gestite dalla Nato. E infatti i senatori Francesco Martone e Lidia Menapace, pure questi del Prc, si dicono perplessi: «Non è stato risolto il punto politico del rapporto tra mandato Isaf e le modalità con cui si svolgono le operazioni Enduring freedom, che hanno causato moltissimi morti civili ad Herat, che è sotto il controllo e la responsabilità italiana». Sul tema conferenza di pace, il ministro ha preferito non intervenire.

Liberazione 16.5.07
Uomo donna infinito
è il titolo della personale dell'artista Roberta Pugno ospitata negli storici spazi della Ambasciata della Repubblica Araba d'Egitto, Ufficio culturale di Roma, via delle Terme di Traiano 13. Una particolare rilevanza per il momento storico e politico che caratterizza oggi il rapporto tra la civiltà occidentale e il mondo musulmano. Oltre quaranta opere sul tema dell'immagine femminile, dell'immagine maschile, del rapporto uomo-donna e della dimensione "infinita" in cui si colloca la ricerca sulla realtà interiore e psichica. Le tele, magicamente esposte tra luce e buio, saranno accompagnate da poesie e scritti arabi sul tema universale della dialettica tra donna e uomo, e sull'idea di infinito e di assoluto che caratterizza il mondo islamico. Fino al 29 maggio, da lunedì a venerdì dalle 10 alle 16, sabato dalle 19 alle 22, domenica dalle 11 alle 13.

La Stampa 16,5.07
Ecco la lingua delle pietre
Archeologia. Inizia la decifrazione dei petroglifi: rivelano credenze ed emozioni dei sapiens
In Dordogna scoperti i più antichi contratti di matrimonio. Risalgono a circa 30 mila anni fa
di Emmanuel Anati


Le ricerche al Centro Camuno di Studi Preistorici in collaborazione con altri enti [.] hanno portato a risultati promettenti, che aprono la strada ad una lettura dell'arte rupestre o, piuttosto, alla sua decodificazione. Ciò è stato possibile grazie alla sinergia tra discipline diverse, in particolare linguistica e psicologica con il concorso degli psicoanalisti.
Nel mondo, in oltre 180 Paesi, l'uomo preistorico ha lasciato incise o dipinte sulle rocce immagini e simboli che stanno diventando motivo di attrazione per appassionati e studiosi. Si contano oltre 75 mila siti di arte rupestre e si valuta che quanto finora documentato comprenda 45 milioni di immagini. Che cosa ha spinto l'uomo a una tale creatività?
Uno degli aspetti del XXII Simposio di Valcamonica (dal 18 al 24 maggio a Darlo Boario Terme) è quello di trovare una risposta a questa domanda. Già sappiamo che gran parte dell'arte rupestre preistorica non aveva uno scopo decorativo: era un mezzo per trasmettere informazioni e messaggi, era «una scrittura prima della scrittura».
Le ricerche al Centro Camuno di Studi Preistorici in collaborazione con altri enti - la Maison des Sciences de l'Homme di Parigi, il CIPSH, il Consiglio Internazionale della Filosofia e delle Scienze Umane, e l'UISPP, l'Unione Internazionale delle Scienze e Protostoriche - hanno portato a risultati promettenti, che aprono la strada ad una lettura dell'arte rupestre o, piuttosto, alla sua decodificazione. Ciò è stato possibile grazie alla sinergia tra discipline diverse, in particolare linguistica e psicologica con il concorso degli psicoanalisti.
I primi risultati saranno presentati al simposio con una comunicazione sui gruppi più antichi dell'arte preistorica europea, lo stile di La Ferrassie in Dordogna, nel Sud-Ovest della Francia. Questa ricerca propone una lettura di 19 monumenti di arte rupestre, scoperti all'inizio del secolo scorso e mai in precedenza decriptati. Un'analisi dei monumenti ha condotto alla conclusione che si tratti della definizione di regole che stabiliscono le affinità totemiche che permettono l'accoppiamento. Si tratterebbe, quindi, dei più antichi «contratti di matrimonio» che si conoscono, risalenti a circa 30 mila anni fa.
Al simposio saranno organizzate anche due mostre sulla lettura dell'arte rupestre. L'esposizione sulla Valcamonica rivela il processo di lettura e decodificazione di una composizione che comprende una sessantina di segni del VI-V secolo a.C. Si rivela come la narrazione di un mito istoriato su una roccia a scopo didattico, probabilmente rivolta ad una classe di iniziandi.
L'altra mostra illustra le funzioni diverse del punto in vari periodi e in varie culture. Il contesto di cui si trova questo segno rivela intenti differenti e tuttavia mette in luce la presenza di archetipi e di paradigmi universali. Questa ricerca, che ha prospettive rivoluzionarie, sarà al vaglio dei partecipanti provenienti da 34 Paesi. Tutto ebbe inizio con due monografie pubblicate nel 2002: «La struttura elementare dell'arte» e «Lo stile come fattore diagnostico dell'arte preistorica». Questi studi hanno dimostrato la presenza ricorrente di strutture grammaticali e sintattiche dell'arte preistorica fin dai primordi, intorno a 50 mila anni fa.
La decrittazione dell'arte preistorica sta quindi portando alla rivelazione di brani di storia, di credenze, di eventi e di stati d'animo che offrono una visione eccezionale dello sviluppo del sistema cognitivo dell'Homo sapiens. Le conseguenze possono essere di ampia portata: con il procedere di questo tipo di ricerche la storia dell'umanità potrebbe allungarsi dai 5 mila anni dell'attuale storia fino ai 50 mila, da quando si hanno documenti di arte preistorica che possono essere decodificati.
La comprensione dei processi cognitivi dell'uomo preistorico potrà servire non solo a storici e archeologi, ma a psicologi, sociologi, linguisti, storici delle religioni. E' una ricerca dai risultati già vasti, eppure è solo all'inizio.

martedì 15 maggio 2007

il Riformista 15.5.07
Sd. Il Pse va bene ma non basta
Il grande vuoto lasciato dal Pd e le nostre idee per colmarlo
di Carlo Leoni


La nascita del movimento politico “Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo”, con la straordinaria manifestazione del 5 maggio, è stata còlta non solo dai numerosi partecipanti, ma da tutti gli osservatori e dai commentatori come una vera e consistente novità nel panorama politico italiano.
Tutti hanno capito che facciamo sul serio, che vogliamo portare a sinistra una forte spinta all'unità e al rinnovamento politico e culturale.Proprio per questo ci vengono subito poste tante domande e ci viene richiesto il massimo di chiarezza sul progetto politico che abbiamo in testa.
Ci si chiede, innanzitutto, se l'ancoraggio al Pse resta per noi un punto strategico o se è stata soltanto una bandiera strumentalmente agitata durante i congressi dei Ds. Ci si chiede, poi, se siamo più attratti dalla “costituente socialista” o dalla “Sinistra Europea”, dalla sinistra “riformista” o da quella “radicale”, e così via.
Provo a rispondere.
Vogliamo innanzi tutto rimanere coerenti con quanto affermato nel corso del congresso Ds a proposito della costruzione di una grande forza della sinistra italiana e della nostra appartenenza al Pse. Sono concetti che continuiamo ad affermare in questi giorni, in ogni iniziativa pubblica che organizziamo o a cui veniamo invitati.
Proverei a riassumerli così:
1) Ci chiamiamo “Sinistra Democratica per il socialismo europeo”, perché siamo una forza socialista che ha il suo punto di riferimento nel Pse: quel campo di forze che in Francia è tornato ad esprimere una vitalità ed un consenso che, qui in Italia, sono stati sottovalutati solo per valutazioni tattiche di corto respiro.
E' logico, dunque, che per noi sia molto importante il rapporto con il partito di Enrico Boselli, che del Pse e dell'Internazionale Socialista è membro effettivo ed autorevole.
Ma da socialisti europei non abbiamo mai mancato di dire che il Pse ha bisogno di un profondo rinnovamento e di più coraggiose aperture, in una direzione però opposta a quella desiderata dai promotori del Pd.
La globalizzazione neoliberista ha aggravato i problemi del pianeta: sperequazioni sociali tra i diversi paesi e al loro interno, l'allarme sul clima, l'aumento delle vittime (in particolare bambini) delle guerre, del terrorismo, della fame, dell'Aids, l'indebolimento delle istituzioni politiche sovranazionali, sono purtroppo dati della realtà.
Ma se è fallita questa globalizzazione -che ha aggravato e non risolto i problemi del mondo- lo stesso si può dire riguardo alla risposta prevalente che è venuta dalla sinistra europea: la “terza via” (in Gran Bretagna), la “neue Mitte” (in Germania), e la “rivoluzione liberale” (in Italia).
Il documento “Per una nuova Europa sociale” di Delors e Rasmussen, approvato al congresso del Pse di Porto, va chiaramente al di là delle suggestioni blairiane e si colloca più nettamente nell'ambito di un nuovo progetto socialista per l'Europa del futuro.
Ci consideriamo quindi politicamente parte del Pse, ritenendo indispensabile una sua più coraggiosa apertura alle culture critiche della globalizzazione, al pacifismo e all'ambientalismo, nella prospettiva di una nuova Europa sociale.
2) La costruzione del Partito democratico lascia un vuoto a sinistra. Lo spazio non più presidiato dai Ds, che stanno per sciogliersi, è quello della sinistra italiana, senza altri aggettivi. Uno spazio che non riusciranno a coprire, da sole, né la “costituente socialista”, né “Sinistra Europea”, né il “patto per il clima” proposto dai Verdi.
Intendiamoci: si tratta di cose serie, alle quali guardiamo con grande interesse, che dimostrano una disponibilità a mettersi in discussione e a produrre fatti nuovi. Ma la sfida che sta di fronte a tutti noi domanda risposte ancora più coraggiose e richiede, prima di ogni altra cosa, che ci si lasci alle spalle la distinzione - questa sì ideologica- tra riformisti e radicali. Una distinzione che non ha alcun riscontro nella realtà politica ora che, per la prima volta nella storia italiana, tutta la sinistra è impegnata nel governo del Paese.
Guardiamo a cosa è successo sabato. Davanti all'attacco senza precedenti alla laicità dello Stato, culminato col Family day, tutta la sinistra ha saputo spontaneamente ritrovarsi insieme e avverte, comunemente, l'esigenza di difendere un valore fondante della nostra Repubblica. Un valore fondante della nostra civiltà.
Non basta dunque allargare di più ciò che si è già oggi. E neanche “confederare” le attuali organizzazioni della sinistra. Bisogna lavorare per una nuova grande forza unitaria e plurale, di governo, che attualmente non so dire se sarà un partito (nel senso tradizionale del termine). Cominciamo però a considerare i modelli e le forme di cui già si parla in questi giorni. Ragioniamoci.
In ogni caso, oggi all'ordine del giorno non c'è la formazione di un partito, ma l'avvio di un processo di confronto e di convergenza programmatica che investa tutta la sinistra italiana: sui temi che ci stanno a cuore (pace, lavoro, ambiente, laicità e questione morale). Non vedo ostacoli pregiudiziali a lavorare tutti insieme.
Basta iniziare e, ovviamente, basta volerlo.
Sono tante e tanti quelli che non vogliono più giocare di rimessa, che non vogliono più continuare a votare solo “contro”: dobbiamo restituire nelle loro mani il futuro unitario della sinistra italiana.

il Riformista 15.5.07
Sinistra. Il Cantiere è in stallo
Rifondazione vuole dimissionare TPS
(e prova a incalzare da vicino Mussi)
di Ettore Colombo


La sinistra radicale si prepara a «chiedere il conto» al ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Ieri pomeriggio, appena letti sulle agenzie i risultati delle elezioni in Sicilia (quelle di Palermo in testa) le dichiarazioni dei capigruppo di Prc, Verdi e Pdci hanno cominciato a montare come un'onda. Le esternazioni del ministro su una riforma delle pensioni “punitiva” e la sua ostilità a chiudere i contratti di pubblico impiego e scuola, ancora in alto mare, sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso, agli occhi della sinistra radicale, anche perché rese a ridosso del (disastroso) voto siciliano.
Ai piani alti di via del Policlinico - dove l'insofferenza verso Padoa-Schioppa è montata a tal punto che il segretario del Prc Franco Giordano ha detto di sentirsi, ormai, «leader di un partito di opposizione» - si ragiona anche, e apertamente, sulla possibilità di un «rimpasto», all'interno del governo, che, nel medio periodo, e cioè entro l'anno, dovrebbe vedere proprio il titolare dell'Economia tra le vittime illustri di un Prodi-ter. Ieri, tutto lo stato maggiore del Prc era impegnato a Torino, davanti ai cancelli della Fiat di Mirafiori, per una campagna - lanciata su diversi organi di stampa - chiamata «del risarcimento sociale». In base alle richieste di Rifondazione, infatti, non ci sono dubbi: le pensioni non si toccano e la destinazione del “tesoretto” va distribuita esattamente al rovescio da come immagina Padoa-Schioppa. Due terzi (7,5 miliardi) ai ceti meno abbienti (famiglie incluse) e un terzo (2,5 miliardi) a copertura del debito (il che, peraltro, vuol dire lo zero assoluto alle imprese), secondo lo schema formulato dal ministro alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero, capodelegazione del Prc al governo e sempre meno “in feeling” con il titolare dell'Economia, a differenza di quando l'asse Prodi-Bertinotti era l'architrave dell'Unione.
Non che le cose, all'interno della sinistra a sinistra del Pd, procedano per il meglio. Nei corridoi di Montecitorio si racconta di un confronto molto aspro, se non peggio, tra Mussi e Diliberto dopo l'intervista in cui quest'ultimo gli chiedeva in modo perentorio «di scegliere» tra la sinistra e Boselli. Ma monta anche una discreta insofferenza, da parte di Rifondazione, per la scelta del leader di Sinistra democratica di voler «stare nel mezzo» tra il cantiere socialista e quello bertinottiano. Scelta che alcuni vedono confermata dalla indicazione del socialista Valdo Spini a capogruppo dei 24 deputati di Sd alla Camera, decisione sino ad ora rinviata per i malumori che ha creato nell'ala sinistra di Sd, che a Spini avrebbe preferito l'ambientalista Fulvia Bandoli. La scelta del capogruppo di Sd sarà formalizzata alla prima riunione ufficiale del gruppo, che si terrà stasera, alle 21, alla Camera. A far storcere il naso a molti, sia nella sinistra radicale che dentro Sd, non è solo il valore politico della scelta pro-Spini, ma persino un'intervista rilasciata dallo stesso Spini al quotidiano del Pri La voce repubblicana. Intervista in cui Spini difende l'operato di Tony Blair (intervento in Iraq escluso) e ne rilancia l'esempio per l'Italia. E così, se al Senato per il gruppo di Sd i giochi sono fatti (capogruppo sarà Cesare Salvi) alla Camera, fino a ieri, i giochi erano ancora aperti, anche se l'indicazione di Mussi per Spini è stata netta.
Per quanto riguarda il fronte della polemica economico-sociale, invece, sia Mussi che Gavino Angius hanno chiaramente espresso tutta la loro «insofferenza», per le posizioni del ministro, sia prima che dopo l'ultima riunione in ordine temporale che ha cercato di rimettere assieme e far dialogare i vari pezzi della sinistra a sinistra del Pd, quella organizzata dal «Cantiere» di Achille Occhetto sabato scorso a Roma, poche ore prima che si tenesse la manifestazione di piazza Navona, cui tutto lo stato maggiore della sinistra radicale ha poi partecipato. Anche sabato, però, tra Boselli che invitava Sd a prendere parte al cantiere socialista e Giordano che chiedeva di stilare subito «un patto d'unità d'azione», tra le forze a sinistra del Pd, Mussi ha preferito tenersi aperte entrambe le porte e insistere nel puntare a una riaggregazione «unitaria» di «tutta la sinistra». Anche per questo, e non solo a causa di Padoa-Schioppa, l'insofferenza di Rifondazione - che ha deciso di accelerare il processo di costituzione della sua «Sinistra europea», il cui battesimo avverrà a giugno - cresce.

il Riformista 15.5.07
San Giovanni. Il problema è che a sinistra e tra i laici manca una politica
La piazza dei cattolici ha messo in luce un vuoto
di Emanuele Macaluso


Lucia Annunziata, in un articolo apparso ieri sulla Stampa, sbeffeggia quella sinistra che ha guardato la grande piazza San Giovanni, riempita da persone che hanno risposto all'appello della Chiesa e delle organizzazioni cattoliche, con altezzosità intellettuale: «Nulla è successo e tutto è come prima». Il problema, dice Lucia, è tutto politico e la risposta a piazza San Giovanni non può essere quella che si è vista a piazza Navona rievocando il referendum sul divorzio del 1974 mentre ce n'è stato un altro nel 2005 sulla procreazione assistita, perso dai laici. E non si è riflettuto abbastanza su ciò che matura nella società attorno ai temi dell'etica pubblica e privata.
A proposito del referendum del 1974, nell'articolo si osserva che fu vinto dai laici «nonostante la Chiesa fosse in quel periodo più forte e attiva di oggi». In verità, in quella fase, la politica era forte. Dopo il 1974, nelle elezioni regionali del 1975 e in quelle politiche del 1976 la sinistra storica Pci-Psi-Psdi rappresentava circa il 50% del Paese, e con i repubblicani e i laici del Pli (la legge sul divorzio era firmata dal liberale Baslini) si superava il 50%. Il Pci di Togliatti, oggi invocato come realista per avere votato l'articolo 7 della Costituzione, aveva lanciato la parola d'ordine: «Dove c'è un campanile ci sia una sezione del Pci». I campanili sono rimasti, le sezioni del Pci non ci sono più, e non c'è nient'altro: non solo sul piano organizzativo ma su quello politico-culturale. Berlinguer fu prudente sul referendum sul divorzio, ma quando fu il momento della battaglia non si risparmiò per vincerla. Non disse che stava tra le due piazze: fece una scelta netta e combatté.
Da allora il mondo e l'Italia sono molto cambiati, e la famiglia non è solo quella fondata sul matrimonio, come dice la Costituzione. La quale, per alcuni cialtroni della destra, sarebbe invecchiata in tutti i suoi articoli, specie in quelli sui diritti dei lavoratori, ma sarebbe freschissima solo nell'articolo 29. È esattamente il contrario. Non è un caso, cara Lucia, che dove in Europa si è rielaborata la politica sui temi che hai ricordato è stata aggiornata la legislazione sul welfare e sui diritti, quindi sulla famiglia. Hai ragione: in Italia la sinistra sul welfare, sui nuovi diritti, sulla sicurezza non ha una sua elaborazione e una sua linea politica.
L'unione pasticciata tra Ds e Margherita aggraverà questa carenza, perché non c'è una base politico-culturale su cui fondare il cosiddetto Partito democratico. I documenti prodotti scansano gli ostacoli, evitano gli scogli, non trattano i problemi irrisolti. Parlano di «transizione epocale» ma non ci dicono quali soluzioni dare ai problemi che quella “epocalità” ci pone. Non sono né stupito né indignato né contrariato dalla grande manifestazione di piazza San Giovanni (dove ridicolmente girovagavano i Berlusconi, i Fini e i Casini). Ho grande rispetto per Pezzotta e Bobba da te ricordati come persone certo non assimilabili e non vicini alla destra. Tuttavia un fatto è certo. La Chiesa ha voluto una grande manifestazione il cui tema non era solo la famiglia, ma l'impronta da dare alla società e allo Stato nel suo complesso. E ha messo in luce il vuoto di chi parla di laicità senza avere una politica e una forza organizzativa per farla prevalere, anche col consenso dei cattolici democratici. Occorre un punto di vista sulla società e sullo Stato dove la Chiesa è libera di fare la manifestazione che ha fatto, ma il Parlamento deve legiferare tenendo presenti i problemi e i diritti di tutti. Anche delle minoranze cattoliche o non cattoliche. Temo che il politicismo del Pd non favorirà questa riflessione.

l’Unità 15.5.07
Laicità: il governo dica
di Gianfranco Pasquino


La piazza è uno dei luoghi della democrazia. Sia quando governa il centrosinistra sia quando governava il centrodestra - i cui esponenti hanno regolarmente criticato le manifestazioni di piazza del centrosinistra - tutti i cittadini hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni anche scendendo in piazza. Naturalmente, vi sono molti altri luoghi dove la democrazia si esprime, con altre modalità, ad esempio, sopra tutti, la cabina elettorale.
Nella sua componente numerica, il voto si presta a facili interpretazioni. La quantità di cittadini che si esprimono nelle piazze risulta più facilmente interpretabile nella sua dose di protesta piuttosto che nel suo contenuto di proposta.
Non mi pare dubbio che, grazie agli slogan, agli striscioni, alle motivazioni, la piazza del Family Day fosse portatrice di una protesta chiara e forte contro il disegno di legge licenziato dal governo di centro-sinistra per la regolamentazione dei Dico. Qualche politico particolarmente avveduto e lungimirante ha colto nella protesta anche la proposta: sostegno di vario tipo, immagino in special modo monetario, alle famiglie tradizionali. Nonostante la oramai molto nota varietà delle tipologie familiari in Italia, i politici accorsi al Family Day rimangono ostinati nel difendere un solo tipo di famiglia, quella composta da un padre e da una madre, sposati, preferibilmente, credo, una sola volta, in Chiesa, con almeno una creatura procreata con mezzi naturali. Che questo tipo di famiglia sia oggi, in Italia, e quasi sicuramente in tutto l’Occidente, assolutamente minoritario, sembra poco importare ai politici del Family Day. Molti di loro, del centro-destra, intendevano, infatti, mandare un solo preciso messaggio al governo: stop ai Dico. Che questo messaggio, come, peraltro, è già avvenuto in occasione della “piazza” di Vicenza, sia stato mandato anche da parlamentari (e da ministri) del governo in carica, appare, però, alquanto bizzarro.
Infatti, in un regime democratico, i ministri che non condividono la politica del loro governo godono dello straordinario privilegio di rassegnare in maniera onorevole il loro mandato. Il messaggio che mandano, marciando e cantando insieme ai dimostranti in piazza, colpisce direttamente il governo e, non a caso, il centro-destra esulta e chiede l’abbandono immediato dei Dico. Non tanto incidentalmente, la protesta del Family Day riguarda anche, se ne faccia una ragione Dario Franceschini, il Partito Democratico. Se, come sostiene con molta buona volontà Piero Fassino, il compito del Partito Democratico consiste nel mettere insieme, non oserò dire “d’amore e d’accordo”, la piazza del Family Day e la piazza del Coraggio Laico, questo compito, ad un mese dai congressi che hanno decretato la nascita del Partito Democratico, non è neppure ancora cominciato. Magari, nonostante gli atteggiamenti ambivalenti e riduttivi, fino al suo totale rigetto, che molti dei «costituenti» del Partito Democratico hanno mostrato nei confronti del Manifesto dei Valori, qualcuno avrebbe potuto ricordarsene e chiamare al rispetto di quelle poche indicazioni, non del tutto prive di valore. Invece, sembra che stia avvenendo proprio quello che molti, in special modo, anzi, quasi esclusivamente nell’ambito dei Ds, poiché la Margherita ha messo la sordina all’argomento oppure si è addirittura pronunziata a favore del Family Day (più o meno opportunisticamente blandendo il proprio elettorato) avevano temuto ieri e temono, a ragion veduta, ancora di più oggi e per il domani: un cedimento non piccolo, non marginale, non ininfluente sulla laicità.
Al riguardo, non di soli atteggiamenti e sentimenti si tratta, ma di comportamenti e di una visione complessiva della politica: i laici dettano, quando hanno potere di governo, regole sulle quali hanno raggiunto un accordo il più ampio e condiviso possibile, basato sulla ragionevolezza e sull’apertura di spazi di libertà. I Dico sono, ovvero erano (?), uno di questi accordi. Non sorprendentemente, la piazza del Family Day non li condivide, ma i governanti del centro-sinistra e i dirigenti del Partito Democratico non possono pensare neppure per un momento che quella piazza rappresenti tutto il loro elettorato e ancora meno che rappresenti le opinioni e le preferenze dell’intero elettorato italiano. Ascoltare la piazza non vuole affatto dire dare ragione alla piazza. Vuole dire prendere atto che esistono posizioni e valutazioni diverse, ma un governo, anche quando gode di un consenso risicato, forse, soprattutto in questo caso, deve avere il coraggio delle proprie scelte e procedere fino a sottoporre, quando verrà il tempo, alla verifica elettorale l’esito delle sue scelte, delle sue leggi.
Tocca al Partito Democratico che, oggi più di ieri, è il perno del governo, tenere ferma la barra della laicità e non abbandonare in nessun modo i Dico, adesso, a maggior ragione, anche per il loro significato simbolico. Mi ripeto: la piazza è uno dei luoghi della democrazia. Nella democrazia parlamentare della Repubblica italiana gli altri luoghi sono, non Città del Vaticano, ma, quantomeno, Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi.

l’Unità 15.5.07
Quel vuoto che si apre a sinistra
di Achille Occhetto


Riportiamo stralci dell’intevento di Achille Occhetto all’incontro organizzato sabato dal Cantiere dal titolo: «Coprire un vuoto a sinistra»

Mi è capitato di dire, alla vigilia dei congressi che si sono proposti di dare vita al partito democratico, che gli uomini e le donne di sinistra stavano provando un profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana sembrava precipitare in un buco nero. In sostanza abbiamo temuto che in quel buco nero potesse sparire la sinistra. Ma quella sensazione, se in me non è ancora del tutto scomparsa, si è notevolmente attenuata sabato scorso assieme a Mussi, ad Angius e a Giovanni Berlinguer al Palazzo dei congressi dove quel vuoto si è come d’incanto riempito della passione e della speranza di una nuova sinistra. (...)
Non c’era dubbio che occorresse riprendere, in qualche modo, la via della unificazione a sinistra e della contaminazione tra i diversi riformismi di cui abbiamo tante volte parlato. Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la formazione del Pd. (...)
Mi sembra di poter affermare che si sta lasciando nella politica italiana un enorme spazio vuoto: quello di una sinistra moderna, capace di reinventare il senso di una attuale ispirazione socialista e democratica. (...)
Alaine Touraine, in un suo recente scritto, afferma che è ancora sensato parlare contro il capitalismo e che l’opinione pubblica si aspetta dai dirigenti che mettano dei limiti all’onnipotenza dei mercati e delle imprese e chiede una "sterzata a sinistra". Mettendo, di nuovo, al centro il lavoro. (...)
Ma la sinistra del terzo millennio non può esimersi dal tentare l’impresa, sicuramente titanica, di definire le linee di un nuovo modello di sviluppo, di un modo diverso di produrre e di consumare, a partire dal problema energetico, e nel contesto di una democrazia planetaria che si proponga di affrontare in modo radicale le grandi sfide della lotta al sottosviluppo e della difesa del pianeta dalla catastrofe ecologica. Il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo.
Occorre sicuramente una profonda rivoluzione culturale, ma che non sia un modo per rinviare: che al contrario deve incominciare subito e dal basso, coinvolgendo direttamente i cittadini, i movimenti le associazioni, le personalità della cultura.
Per questo abbiamo partecipato con commozione allo straordinario evento di sabato scorso con il quale si è dato vita al movimento della sinistra democratica, un movimento aperto che si pone l’obiettivo dell’unificazione della sinistra. E dico subito che noi del Cantiere intendiamo essere parte attiva di questo movimento. Con quale obiettivo? Quello di dar vita a qualcosa di nuovo, attraverso una effettiva ricerca aperta, scevra da vincoli e pregiudiziali rispetto alle appartenenze del passato.
Infatti mi sembra che oggi non sia molto utile scegliere tra una federazione di comunisti e una federazione di socialisti, se per davvero vogliamo muoverci nella direzione della costruzione di una inedita sinistra democratica. Per questo ritengo che tutti dovrebbero fare uno sforzo per uscire dal proprio guscio. Personalmente penso che la nuova sinistra debba muoversi nell’alveo storico del socialismo europeo, con l’obiettivo di un suo rinnovamento nella direzione di un avvicinamento tra tutte le sinistre europee. (...)
E arriviamo al come, a quel come che anche metodologicamente ci differenzia dal processo avviato nella formazione del Pd. Il come richiama l’esigenza - ecco la proposta - di una vera costituente delle idee, presieduta da un comitato di saggi che siano espressione dei grandi filoni riformatori, aperta alla società civile e ai movimenti e che trascenda - senza annullarli - gli attuali apparati partitici.
Questa costituente dovrebbe aprire in tutto il paese, attorno ad alcuni nuclei programmatici fondamentali, un confronto reale, un processo di avvicinamento e di reciproca comprensione, una effettiva unificazione delle idee capace anche di prevedere i fisiologici elementi di diversità, legati alle differenti radici politiche, culturali e religiose.
Solo così si può dar vita ad una sinistra plurale, moderna e democratica. Per questo vi invito a non chiudere nel passato il discorso che si deve ancora aprire.

Repubblica 15.5.07
Il ministro della Solidarietà con Giordano distribuisce volantini tra indifferenza e proteste
di Diego Longhin


Ferrero contestato a Mirafiori "Capisco la delusione sul governo"
Le accuse degli operai: da voi solo parole, ora dovete fare qualcosa di sinistra

TORINO - «Compagno, queste sono solo parole, noi vogliamo fatti. A parlare siamo tutti bravi». Daniele Tabbia, 44 anni, tuta blu di Mirafiori ha appena ricevuto dal segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, il volantino con le proposte del partito su casa, salario, pensioni e sanità. Lo slogan della campagna è invitante: «Facciamo il vostro gioco». Ma chi da 20 anni lavora alle Carrozzerie lo guarda appena. Non è per nulla convinto.
Il clima nella più grande fabbrica d´Italia, dopo le esternazioni del ministro dell´Economia Padoa Schioppa sulle pensioni, è rovente. «Noi qua dentro siamo trattati come bestie. Ci volete far stare in linea di montaggio fino alla morte?», urla l´operaio. Il leader del Prc, accompagnato dal ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero cerca di reagire: «Ma noi sullo scalone non cederemo, è una promessa». La risposta non tarda ad arrivare: «Voglio vedere se fra 18 anni potrò lasciare questo posto, ma ormai non ci credo più», ribatte Giuseppe Olivieri, 40 anni, anche lui operaio.
Sono le 13.30, dalla porta 2 di Mirafiori escono i primi gruppi di lavoratori per il cambio turno. Qualcuno urla: «Fate qualche cosa di sinistra». Giordano e Ferrero continuano ad intercettare le tute blu, anzi, ascoltano gli sfoghi. La più dura è una donna, 31 anni, da dieci in Fiat. Si chiama Diana Bellivino, guadagna mille euro al mese: «Ho votato Rifondazione, sono al governo, ma non è cambiato nulla. Me l´ha messa nel di dietro come gli altri. Sono tutti uguali, raccontano solo frottole». Anche i delegati della Fiom sono in difficoltà: «Non bastano le proposte - racconta Ugo Bolognesi - quando era in discussione la Finanziaria i colleghi ci hanno coperti d´insulti. Ora ci risiamo».
Ferrero, che fa un po´ fatica a farsi riconoscere, dà ragione agli operai. «I tempi del cambiamento sono troppo lunghi: dopo un anno di governo le buste paga sono sempre le stesse, chi era precario continua ad esserlo e sulle pensioni c´è indecisione». Ma aggiunge: «Noi non cederemo e questo bagno di realtà non può che rafforzarci».
La delusione, però, è tanta. «Anche Fausto ci ha abbandonato», urlano. Nei toni il popolo di Mirafiori, lo stesso che aveva fischiato i leader di Cgil, Cisl e Uil nelle assemblee di quattro mesi fa, è ancora pacato. Nessuna contestazione forte, tante critiche. «Ho un figlio di 28 anni, non ha ancora un anno di marchette. Devo pure dagli 50 euro alla settimana per i divertimenti. Ma ti sembra giusto?», chiede Franco Caldi a Giordano. Molti tirano dritto, dicono che sono tutte balle. Un´operaia si ferma: «Perché non fate venire Padoa Schioppa a lavorare un solo giorno qua dentro. Forse cambia idea». Prende e se ne va.
Piovono domande su tutto: «Cosa ne fate del tesoretto?», «Ci togliete l´Ici?», «Perché non ci ridate il Tfr, è nostro?». Nicola Angelo è perentorio, 46 anni, di cui 20 in Fiat: «Se alla fine saranno gli altri a vincere sulle pensioni dovete andarvene dal governo». Giordano gli dà ragione: «Noi non voteremo nulla che non corrisponda al programma di questo volantino». Ormai il cambio turno è finito: «Ero venuto per ascoltare i lavoratori e ho avuto la riprova di quanto sia diffuso il malessere. Ora sono ancora più determinato».

Repubblica 15.5.07
Se la fede nasce dal dolore
Intervista a Giovanni Jervis
di Luciana Sica

"Pensare dritto, pensare storto" è il nuovo pamphlet del celebre psicologo sul ruolo delle religioni nelle società di oggi
"Ma non è possibile sradicare il bisogno che tutti abbiamo di essere rassicurati"
"Ci rifugiamo in consolazioni che non stanno con i piedi per terra"
"La nostra mente funziona in modo molto meno logico di quanto pensiamo"

ROMA. «Il mio nuovo libro è un contributo al dibattito sul ruolo delle religioni nella società di oggi»: è così che ne parla - in questa intervista - Giovanni Jervis, psichiatra e psicoanalista, intellettuale laico da sempre appassionato cultore del dubbio e della ragione critica. Ha settantaquattro anni e da poco ha smesso d´insegnare Psicologia dinamica («mi mancano senz´altro le lezioni e gli studenti, certamente non l´ambiente accademico»).
Pensare dritto, pensare storto è il titolo brillante scelto dall´autore per questo suo pamphlet in uscita da Bollati Boringhieri (pagg. 206, euro 14): a colpire è innanzitutto il "tono" del volume, sembra più parlato che scritto, somiglia a un´affabulazione - a tratti un po´ labirintica - che ruota intorno a certi abili trucchi della mente inclini a fabbricare fantasie collettive. Molto discorsivo, colloquiale, mai erudito, per niente noioso, si presenta nel sottotitolo - con sobrietà quasi dimessa - come una Introduzione alle illusioni sociali, tenendo ovviamente conto della lezione freudiana sull´illusorietà della religione (è del 1927 L´avvenire di una illusione, testo più volte citato).
Jervis mena fendenti in diverse direzioni: ha insofferenza per il narcisismo delle Grandi Menti, è irritato dalla cultura media nelle sue forme più sciattamente divulgative, è puntiglioso sugli slittamenti semantici di alcune parole fin troppo abusate, odia la retorica: «quel modo di parlare che non dimostra ma convince, non dice come stanno le cose ma seduce».
Professor Jervis, perché l´essere umano approda a credenze del tutto campate per aria?
«Perché la nostra mente funziona in modo molto meno logico e razionale di quanto pensiamo, perché il nostro modo di ragionare segue canali che controlliamo molto meno di quanto immaginiamo. Gli studi attuali della psicologia scientifica tendono a mostrare che nella nostra mente c´è - come dire - molto più inconscio che coscienza: se cento anni fa si dubitava dell´esistenza dell´inconscio, oggi si mette in discussione che esista la coscienza, non più qualcosa che spiega ma qualcosa che va spiegato».
A distanza di un secolo, è la nozione di inconscio a reggere di più. Una rivincita di Freud, nonostante - è lei a scriverlo un po´ en passant - il fondatore della psicoanalisi non venga neppure citato nel Cambridge Dictionary of Scientists?
«Negli ultimi trent´anni il panorama delle nostre conoscenze psicologiche è profondamente cambiato e in futuro ne sapremo sempre di più su come siamo, su come funziona la nostra mente, sull´intelligenza e la stupidità, su come si fabbricano le convinzioni, su come nasce l´altruismo o l´egoismo, su come i bambini crescono, apprendono e diventano adulti: tutti temi sottoposti dalla psicologia scientifica a verifiche empiriche serie, a un tipo d´indagine che non si fida delle prime impressioni, con risultati spesso sorprendenti. Ma forse la tematica che regge un po´ tutto il mio libro è proprio quella degli autoinganni, cara a Freud: la nostra tendenza a sbagliarci su noi stessi perché ci fa comodo così, creandoci appunto delle illusioni, rifugiandoci in consolazioni che non stanno con i piedi per terra, essendo più sicuri di quello che dovremmo essere, diventando alla fine dogmatici».
Gli autoinganni che spingono alle certezze assolute, la critica al relativismo oltranzista che può sconfinare nell´intolleranza, un certo pessimismo sulla possibilità di conciliare il pensiero laico con quello religioso, sono tutte questioni centrali del suo libro. Del resto, le sue incursioni su territori forse più vicini alla politica che alla psicologia non sono di oggi. Perché ne è così affascinato?
«Perché sono convinto che oggi la psicologia scientifica possa fornire un contributo importante alle questioni complesse che riguardano la convivenza, come l´integrazione degli immigrati o le contese tra le classi sociali e tra i popoli. E´ vero: il mio è un libro scritto da uno psicologo che utilizza gli strumenti della psicologia moderna, ma come oggetto ha temi sociali e politici. Il punto è che la conoscenza attuale della natura umana è assai migliore di anni fa, anche per quanto riguarda i fattori che ci fanno mettere d´accordo o che invece creano conflitto, legati al nostro modo di pensare, spesso più contorto - crooked - che limpido. Possiamo chiarire alcuni di questi fattori, quelli che ci incoraggiano a cooperare e quelli che invece spingono a distruggerci a vicenda. In ogni caso gli sviluppi delle scienze moderne portano ad analizzare la realtà secondo criteri sempre più incompatibili con le tradizioni spiritualistiche e religiose. C´è un divario crescente tra il discorso scientifico che parte dal basso, dall´esame della realtà, dalla vita quotidiana e i concetti religiosi che calano dall´alto, da principi indiscutibili, dati una volta per tutte. Quando i cattolici parlano di "famiglia naturale" usano una terminologia che non ha nulla a che fare con le famiglie come esistono nella realtà».
Ma lei non ignora la difficoltà - se non l´impossibilità - di vivere senza certezze, i "difetti" della ragione rendono evanescente la nozione, cara agli illuministi, di libero arbitrio... Rompere l´incantesimo, il bestseller di Daniel Dennett appena uscito da Cortina, non l´ha convinta per niente, è così?
«L´ho trovato un libro molto noioso e anche ingenuo. Non basta dire: Dio non esiste, se invece tutti abbiamo bisogno di consolazioni, di speranze, di rassicurazioni. Il bisogno di religione è un bisogno psicologico che non si può affatto sottovalutare, negare, sradicare, perché nasce dal dolore, dai lutti, dalla paura della morte, dal desiderio di dare un senso all´esistenza. Altra cosa però sono le istituzioni religiose, le strutture di fede che chiedono obbedienza, rinunciando non solo allo spirito critico ma spesso anche al più elementare senso della realtà. L´incompatibilità tra pensiero laico e pensiero religioso è reale, sta esplodendo negli ultimi anni e non è destinata a ridursi».
Non c´è spazio per facili ottimismi...
«Per facili ottimismi, no di certo, ma neppure per il più cupo pessimismo».
Dove rintraccia uno spiraglio di speranza?
«Proprio in quella che è la natura umana. Io, come del resto altri, e con molte buone pezze di appoggio, credo che noi non siamo né anarchici né cattivi. Possiamo diventare terribilmente cattivi in determinati contesti, ma comunque non siamo animali informi guidati da istinti solo aggressivi e competitivi: al contrario, abbiamo tendenze socializzanti in positivo e anche una moralità di fondo nel nostro modo di comportarci. Siamo individui strutturati che appartengono a una specie sociale, ci piace stare insieme e fare cose insieme, abbiamo delle forti predisposizioni alla cooperazione e all´altruismo... Non mi sembra che emerga una visione così pessimistica».
Sì, ma lei esclude che le nostre azioni siano il frutto di una vera deliberazione progettuale. C´è allora qualcosa di sensato nella nostra vita?
«C´è molto di sensato. Perché le nostre azioni non sono comunque inutili o improvvisate. Perché c´è una socialità, ci sono equilibri interpersonali che in qualche modo indirizzano le nostre azioni. Noi in genere facciamo quello che si fa, che va fatto, seguendo dei copioni anche molto opportuni che ci impediscono di fare grosse scemenze o cattiverie».
Da tutto quello dice, e che ha scritto, s´intuisce che non crede affatto nella primarietà del Male, in quella pulsione di morte ancora difesa dalla psicoanalisi. Mi sbaglio?
«Alcuni concetti roboanti come il Male e il Bene sono del tutto privi di senso, astrazioni che pretendono di trasformarsi in entità metafisiche. La nozione di pulsione di morte è largamente superata, è un modo di spiegare le cose inesatto e fuorviante, e che alla fine non spiega nulla».
La considera una pura congettura?
«È un errore metodologico, perché non è possibile spiegare con una sorta d´istinto immaginario, con un principio del Male del tutto metafisico, delle vicende umane e sociali che sono nelle vite individuali e nella storia. Non è che ci sia qualcosa di mostruoso che sonnecchia ed è lì latente dentro di noi, non è che ci sia qualcosa che spunta come un fungo e che chiamiamo, anche impropriamente, cattiveria: non è così che è possibile attribuire un senso al dolore che s´infligge agli altri, agli stermini o alle pulizie etniche».
Ormai si sente molto più amico dei cognitivisti che degli psicoanalisti, non è vero?
«Sì, è vero, ma soprattutto sul piano appunto metodologico, perché invece dal punto di vista della pratica terapeutica gli analisti con un po´ di esperienza hanno ancora parecchio da insegnare».
Questa è un po´ una sorpresa. È da anni che lei ostenta tutta la sua diffidenza per la clinica analitica. Ha cambiato idea?
«Non credo, ma non si può neppure buttare nella spazzatura ogni trattamento su base analitica».
Anche perché lei fa questo mestiere. Le sue non sono comunque terapie a orientamento analitico?
«Non ho mai smesso di fare questo mestiere, lo faccio tuttora, e credo che alcuni orientamenti analitici siano tuttora validi e preziosi: per esempio, la cautela nel considerare il coinvolgimento all´interno del rapporto terapeutico, quello che si definisce tecnicamente il controtransfert. Da questo punto di vista, la psicoanalisi ci ha dato un patrimonio di avvertenze, di saggezze straordinarie».

Repubblica 15.5.07
Esperimento all'università di Parma: la risonanza magnetica svela i processi di immedesimazione
Tutte le emozioni in un quadro così reagisce il nostro cervello
di Elena Dusi


"Le aree motorie che corrispondono ai muscoli tesi dei Prigioni, si attivano mentre osserviamo i giganti che cercano di divincolarsi dalla pietra"
"Rievocare" le sensazioni di San Tommaso, "imitare" il gesto di Fontana. Fino alla più forte delle emozioni: la sindrome di Stendhal

ROMA - Emozione è guardare un´opera d´arte come se ci si trovasse al suo interno. Provare le stesse sensazioni dei suoi personaggi. Rievocare i movimenti compiuti dalle mani dell´artista. «L´abilità di un pittore coincide con la sua capacità, spesso inconscia, di rievocare un´emozione nel cervello dell´osservatore» spiega Vittorio Gallese, professore del dipartimento di neuroscienze dell´università di Parma ed esperto di neuroestetica, la scienza che cerca di spiegare il rapporto fra cervello e opere d´arte.
Forte della sua esperienza nella scoperta dei neuroni specchio, Gallese ipotizza che le emozioni trasmesse da un´opera d´arte attraverso la tensione muscolare e le espressioni facciali dei suoi protagonisti si riflettano nella corteccia cerebrale degli osservatori. Le aree motorie che corrispondono ai muscoli tesi dei Prigioni di Michelangelo si attivano guardando i giganti che cercano di divincolarsi dalla pietra. I circuiti del dolore si "accendono" (a volte anche con un brivido) guardando le vittime dei Disastri della guerra di Goya. I neuroni specchio costituiscono quei particolari circuiti cerebrali (scoperti proprio a Parma una quindicina di anni fa) che ci fanno intuire le intenzioni o le emozioni altrui dai gesti del loro corpo o dagli atteggiamenti del loro viso.
Lo stesso meccanismo di empatia che ci permette di vivere in sintonia con gli altri sta alla base del nostro emozionarci di fronte a un´opera d´arte, ipotizzano Vittorio Gallese e David Freedberg, direttore dell´Accademia italiana di studi avanzati della Columbia University. Il neuroscienziato e lo storico dell´arte hanno appena pubblicato insieme uno studio su "Movimento, emozione ed empatia nell´esperienza estetica" sulla rivista Trends in Cognitive Sciences. «Per verificare fino in fondo le nostre ipotesi, stiamo svolgendo i test su un gruppo di volontari, osservando le loro reazioni cerebrali con la risonanza magnetica transcranica» spiega Gallese.
La teoria dell´immedesimazione per spiegare l´emozione di fronte alle opere d´arte non è certo una novità, se già Platone usava il termine "mimesi" anche per riferirsi alla creazione artistica. «Ma l´osservazione di questo fenomeno alla luce delle conoscenze scientifiche moderne - spiega Gallese - rappresenta una novità».
"Rievocare" la sensazione di San Tommaso che infila il dito nel costato del Cristo, "simulare" lo sforzo dei Prigioni, "imitare" il gesto di Fontana che squarcia la tela non vuol dire compiere effettivamente gli stessi gesti. «I neuroni si attivano come se dovessero squarciare la tela - spiega Gallese - ma senza impartire l´ordine ai muscoli». Un´emozione di intensità eccezionale può forse spiegare la sindrome di Stendhal. «Forse - prova a ipotizzare Gallese - in questi casi i meccanismi che abbiamo descritto diventano ipereccitati, e l´attivazione del cervello raggiunge livelli ingestibili».

Repubblica 15.5.07
Quando la Chiesa mette al bando
Cosa c'è dietro il monito lanciato da Benedetto XVI
di Giovanni Filoramo


Storia di una interdizione nel mondo cattolico e nelle altre religioni
L'espulsione dalla comunità ecclesiale e l'impedimento ai sacramenti

In un sermone predicato il 16 maggio del 1519 in occasione della lettura domenicale del giorno, il testo di Giovanni 16, 2: «Vi espelleremo dalle sinagoghe», Lutero, non ancora scomunicato, affronta di petto il problema degli aspetti degenerativi che l´istituto della scomunica, al pari delle indulgenze, aveva all´epoca assunto. Mezzo di pressione, in questo caso fiscale – per imporre alle popolazioni renitenti il pagamento delle decime – , mentre manifestava il potere della Chiesa e del papato sul corpo esteriore dei fedeli, esso rivelava nel contempo la sua impotenza di autentico vincolo spirituale, capace di legare nel profondo la comunità dei fedeli. Soltanto Dio, infatti, poteva introdurre e, dunque, escludere dalla comunione dei veri credenti.
Nella radicalità della sua critica all´istituto giuridico della scomunica, così come si era venuto configurando nella Chiesa medievale, il sermone di Lutero racchiude non soltanto le ragioni profonde della rottura confessionale che si consumava in quegli anni cruciali, ma, più in generale, gli elementi caratterizzanti del fenomeno generico, il bando da una comunità religiosa, di cui la scomunica costituisce una specie, per quanto significativa. Sottolineando la dimensione essenzialmente religiosa ma, prima ancora, squisitamente individuale di un atto che si sarebbe dovuto consumare nel foro interiore del singolo, tra il peccatore e il suo Dio, Dio di grazia e di giustizia, l´agostiniano Lutero metteva a nudo, indirettamente, la caratteristica fondamentale del bando, che, con le variazioni del caso, si ritrova anche in altre tradizioni religiose: l´esclusione dello scomunicato dalla "comunione" religiosa di appartenenza.
La situazione di pluralismo religioso in cui viviamo ci mette oggi nuovamente di fronte a un problema che sembrava appartenere al passato e che le analisi antropologiche, appiattendo troppo spesso la religione sulla cultura, tendono a sottovalutare: la centralità della comunità religiosa e dei diritti sacri che la reggono, tra cui rientrano le modalità, sanzionate sacralmente, dell´ingresso e dell´esclusione, i due fenomeni che ne stanno alla base. I conflitti che periodicamente emergono, sia nel caso di comunità islamiche sia di altre comunità religiose ormai ampiamente presenti anche nelle nostre città, relativi alla difficoltà di mediare tra esigenze comunitarie e normative dello Stato su campi scottanti come l´istruzione scolastica, i tempi e gli spazi sacri, il rispetto delle regole alimentari religiose nelle mense degli ospedali, delle caserme, delle scuole, l´ammissibilità di un abbigliamento religiosamente qualificato nei luoghi pubblici, culminano nel problema del bando. A prescindere ora dalle forme che assume, esso non è negoziabile, non può cioè, per la centralità che riveste nella identità del gruppo, sottoporsi a quelle forme di mediazione con il quadro giuridico statuale che possono essere ricercate in altri casi.
Al pari dei riti di ingresso, infatti, anche se con caratteristiche e logiche diverse, i meccanismi di esclusione, che culminano nel bando come modalità di allontanamento senza ritorno dell´escluso, costituiscono forme vitali di sanzionamento e legittimazione dell´identità corporativa della comunità religiosa. In quanto tali, essi sono rintracciabili in numerose religioni, fondate e regolamentate da un diritto sacro o, in sua assenza, rette da regole non scritte di tipo sacrale. Questa distinzione rimanda a sua volta, dal punto di vista comparativo, a una distinzione più generale tra due tipi fondamentali: quelle in cui la religione coincide con la cultura e l´ethnos di appartenenza, e quelle in cui, come le religioni profetiche, monoteistiche e di salvezza, l´identità della comunità acquista una sua specificità religiosa, fondandosi ad esempio, come avviene nel cristianesimo e nell´islam, sull´annuncio profetico e sulla rivelazione della volontà salvifica di Dio, che si rivolge a tutti gli uomini, favorendo la creazione di un vincolo comunitario che trascende le appartenenze etnico-culturali.
Anche se i meccanismi di esclusione possono, in questi due tipi di religione, coincidere, con uno spettro che può andare dalla confisca dei beni alla confisca del bene più prezioso: la vita, la logica soggiacente è diversa. Nelle religioni antiche, che noi chiamiamo pagane e politeistiche, e nelle loro continuità moderne, come le religioni indigene e tradizionali che non hanno conosciuto le trasformazioni indotte dalle missioni cristiane ed islamiche, proprio per la coincidenza tra vita politica, dimensione culturale e dimensione religiosa, in genere i motivi di esclusione coincidono con crimini socialmente riprovevoli (che noi saremmo tentati di definire "profani" o "secolari"), come l´omicidio o l´adulterio. Le colpe "religiose" più frequenti, che facevano scattare da parte dello stato o della città il decreto di espulsione del colpevole, comprendevano in genere varie forme di sacrilegio e cioè di violazione delle regole di purità e sacrali che regolamentavano la vita politica, come la bestemmia, lo spergiuro, la mancanza di rispetto nei confronti delle figure sacrali del sacerdote o del sovrano, la violazione delle regole sacrali connesse alla celebrazione di particolari festività. Naturalmente, queste regole di fondo variavano a seconda dei contesti culturali e del soggetto coinvolto: se un singolo o un gruppo o addirittura un´intera comunità. Così come variavano il grado e l´intensità dell´esclusione dalla vita della comunità: dal bando temporaneo, all´esilio, all´esclusione perpetua che, in una società antica, in cui un individuo tendeva a essere identificato e a identificarsi con la comunità di appartenenza, coincideva con la sua messa a morte sociale.
Le forme di bando introdotte dalle religioni del secondo tipo, fondate su di un nuovo concetto di identità e di appartenenza specificamente religiose, conoscono l´emergere di un fenomeno nuovo. Ora che l´individuo, convertendosi alla nuova fede, può scegliere di abbandonare la società e, con ciò, la religione di origine, egli può anche scegliere di abbandonare a un certo punto la religione a cui si è convertito. Una esclusione volontaria, che queste comunità religiose non hanno mai visto di buon occhio, considerandola a vario titolo un tradimento dell´unica fede vera e introducendo, in questo modo, nuove cause di esclusione specificamente religiose, dall´eresia all´apostasia, termine, quest´ultimo, che è diventato l´oggetto di specifiche regolamentazioni giuridiche, con relative pene e condanne, che possono in determinati casi arrivare fino alla morte. Nel contempo, esse hanno ripreso e adattato alla nuova situazione le forme tradizionali di esclusione, inserendole nelle rispettive tradizioni di diritto sacro e, a seconda del modo di confrontarsi con le sfide della modernità (indotte, ad esempio, dal diffondersi dei diritti umani), mitigando e contemperando le proprie esigenze identitarie con le più generali esigenze del diritto laico e dei suoi presupposti etici. Così, per non portare che un esempio, una religione come l´induismo, per un verso potenzialmente inclusivista e dunque poco incline ad escludere, per un altro, caratterizzato da una forte organizzazione gerarchica che per secoli ha escluso dall´identità religiosa e dunque sociopolitica i fuori casta, a partire dalla formazione dell´India nel 1947, in seguito ai processi di secolarizzazione e laicizzazione promossi dalla sua dirigenza politica e iscritti nella sua costituzione, ha dovuto rimettere in discussione questo secolare meccanismo di esclusione, con le conseguenze talora drammatiche che ne hanno segnato la storia più recente.

Repubblica 15.5.07
Dalle scomuniche individuali a quelle collettive
Quel potere sovrano esercitato dai papi
di Augusto Paravicini Bagliani

Celebri sono le scomuniche inflitte da Papa Gregorio IX all´imperatore Federico II di Svevia e da Paolo III al re d´Inghilterra Enrico VIII

Qualche settimana fa, l´accenno del papa all´Inferno suscitò sorpresa e provocò un dibatto. In questi ultimi giorni, è la parola scomunica a porsi in modo analogo al centro dell´attenzione pubblica, in seguito alla dichiarazione di papa Benedetto XVI secondo cui «chi vota a favore di leggi pro-aborto si autoesclude dall´eucarestia» (secondo la dichiarazione di padre Lombardi, portavoce del Vaticano). L´esistenza stessa del dibatto è interessante, perché né per l´Inferno né per la scomunica gli accenni del papa contenevano novità. Essi corrispondono cioè a quanto affermano i più recenti documenti ufficiali, il Catechismo o il Diritto Canonico. Ma il fatto è che da decenni, la scomunica si era fatta in disparte nei rapporti tra la Chiesa e il mondo dei laici, non sembrava cioè costituire una seria minaccia agli occhi di tanta opinione pubblica, grazie al progressivo affermarsi di valori come il dialogo interreligioso, la tolleranza e il pluralismo. Ed è forse per queste ragioni che il ritorno alla ribalta dalla parola scomunica ha suscitato le reazioni che si sono lette sui giornali di tutto il mondo. Come fu per l´Inferno qualche settimana fa.
Il recente dibattito ha permesso di ricordarci che cosa significa la scomunica. La quale pone sostanzialmente un fedele nell´impossibilità di celebrare la comunione, ossia l´Eucarestia. Perché l´Eucarestia è il Corpo di Cristo, che rappresenta la Chiesa. E la scomunica comporta una separazione temporanea dalla comunità ecclesiale.
Questo nesso, fondamentale, tra scomunica e Eucarestia, ha radici storiche antiche. Nel 1215, il concilio Lateranense IV decretò che i fedeli avevano l´obbligo di fare la comunione una volta all´anno, il giorno di Pasqua; e chi non si fosse comunicato in quel giorno si sarebbe autoscomunicato ipso facto. Mai prima di allora la scomunica era stata prevista in termini così generali nei confronti dei fedeli. Il decreto del 1215 fu generalmente osservato. Innumerevoli sono le visite pastorali medievali e moderne che segnalano la presenza di scomunicati (per non aver adempito all´obbligo pasquale) nelle parrocchie di cui descrivono la vita spirituale e la situazione del clero. Il loro gran numero dimostra che anche nel Medio Evo la frequentazione alla messa fu lungi dall´essere generale.
Insomma, dal Duecento in poi e per molti secoli successivi, la scomunica era una minaccia che poteva verificarsi annualmente. Il che fece nascere il desiderio di possedere un certificato per l´avvenuta confessione e comunione. Si dice che l´imperatrice Maria Teresa fosse particolarmente puntigliosa in questo.
In quei secoli del Medio Evo e dell´età moderna, sui fedeli incombeva un´altra minaccia, quella della scomunica collettiva, ossia dell´"interdetto". Agli abitanti di una città o di una diocesi le autorità religiose – il papa o il vescovo – potevano vietare di accedere ai sacramenti per un periodo indeterminato. La promulgazione dell´ "interdetto" comportava il divieto assoluto di organizzare celebrazioni eucaristiche. Le ragioni che spinsero papi e vescovi a ricorrere a questo tipo di scomunica collettiva erano di natura religiosa ma anche politica. L´interdetto era una decisione estrema che tentava di risolvere conflitti che sembravano insanabili. Si impediva però così di vivere una vita sacramentale a intere popolazioni che di fatto non erano sempre responsabili di tali conflitti. Famiglie aristocratiche, monasteri ed altre istituzioni ecclesiastiche ottennero sovente il privilegio di poter continuare a celebrare offici divini in caso di interdetto imposto dalle autorità ecclesiastiche.
Per secoli dunque, scomuniche individuali e collettive hanno ritmato la vita religiosa dell´Europa cristiana. Ma lo strumento della scomunica fu anche un´arma di grande importanza nei conflitti tra papato e sovrani. Celebri sono, ad esempio, le scomuniche inflitte da papa Gregorio IX all´imperatore Federico II di Svevia (morto nel 1250) e da Paolo III al re d´Inghilterra Enrico VIII (morto nel 1547). Federico II fu scomunicato per molteplici ragioni, politiche e religiose, che vanno dalla mancata Crociata all´edificazione di una colonia di Saraceni a Lucera, e così via. Enrico VIII fu scomunicato per avere fatto annullare dalla Chiesa anglicana il matrimonio con Anna d´Aragona e riconoscere ufficialmente il matrimonio clandestino con Anna Bolena. Due grandi artisti del Cinquecento – Federico Zuccari e Giorgio Vasari – illustrarono queste scomuniche in due stupendi affreschi, conservati a Caprarola (Palazzo Farnese) e nelle Sala regia del Palazzo Vaticano. Ambedue i papi che stanno scomunicando Federico II e Enrico VIII tengono in mano una candela con l´intento di gettarla fra la folla riunita sotto la Loggia delle Benedizioni in Vaticano. I due artisti illustrano una cerimonia reale, nel corso della quale il papa, accompagnato dai cardinali e dai prelati di curia vestiti di bianco, procedevano alla scomunica dei "nemici" e dei "ribelli" della Chiesa, gettando appunto candele tra la folla, che simboleggiavano le fiamme dell´Inferno. Il rito fu celebrato ogni anno il Giovedì santo per più di cinque secoli, dall´inizio del Duecento (all´epoca di Federico II) fino al tardo Settecento. Il grande scrittore francese Montaigne assistette al rito nel 1580 e ne offrì una descrizione precisa. Egli osservò che sul balcone della Loggia della Basilica vaticana era stato disteso un panno di colore nero durante la cerimonia, simbolo dell´Inferno. Intorno al 1770 il rito fu ufficialmente abbandonato. E´ vero che da almeno un secolo (Thomas Hobbes) la legittimità della scomunica di natura politica era stata messa in discussione. Da allora, la Loggia delle Benedizioni sulla facciata della Basilica vaticana non servì più a celebrare il rito di scomunica in contumacia dei ribelli della Chiesa ma ad accogliere esclusivamente la benedizione papale urbi et orbi, che il papa celebra ancor oggi quando viene eletto, nel giorno di Pasqua ed in altre circostanze particolarmente solenni.

Repubblica 15.5.07
Quello che la Chiesa considera empio
Storie di anatemi e altre inquisizioni
di Franco Cordero

La scomunica richiede forme terrificanti. Il vescovo scandisce l´anatema avendo intorno dodici preti che tengono in mano la candela che poi calpesteranno

Anatema: il nome greco corrispondente, dal verbo "anatíthemi" (appendere), designa offerte votive, ad esempio le armi d´una battaglia vinta; variando una vocale i Settanta traducono così l´ebraico "hérem", parola sinistra. In Giosuè 6.17 e 21 indica la mattanza d´ogni anima viva a Gerico, uomini, donne, bambini, vecchi, buoi, pecore, asini (meno una prostituta, Rahab, che aveva ospitato spie ebree). I due significati coesistono nell´aggettivo latino "sacer": tale l´uomo consacrato agli dèi infernali; chiunque l´ammazzi rende ossequio al dio; finché resti vivo, nuoce alla comunità. Nel lessico cattolico "anathema sit" chi lancia, sostiene o condivide idee empie.
Vediamo due casi. Nella fosca dottrina agostiniana, imposta alla Chiesa romana da quella d´Africa, Dio tira i fili della vita psichica lasciando ai pazienti l´illusione d´essere padroni in casa loro: la storia cosmica (genesi, caduta, redenzione) è un colossale gioco autistico perché angeli e animali umani erano discriminati ab aeterno, alcuni salvi, in malora l´enorme resto; i piani includevano peccato d´Adamo e lue genetica. Corre l´anno 418, primavera, quando 214 vescovi del XVI concilio cartaginese scomunicano Pelagio, monaco britanno, fautore d´un cristianesimo d´alta tensione morale, e l´allievo Celestio. A proposito d´uno dei nove anatemi ivi formulati, sant´Agostino vitupera l´idea "folle" che i bambini morti senza battesimo sfuggano all´inferno: ma il guignol dei neonati in pasto al diavolo non entra nelle raccolte romane o ne esce presto; poi dottori meno efferati escogitano il limbo, luogo d´una malinconica felicità naturale; infine, anno Domini 2007, dettati conformi ai tempi lo svuotano traslocando gl´inquilini in paradiso. Gran testa quel retore fenicio ex manicheo, convertito a Milano, vescovo d´Ippona, autore d´una psicanalisi ante Freud: ha scoperto la causalità psichica, altissimo merito scientifico; senonché chiama "grazia" l´impulso irresistibile inoculato dallo Spirito santo e in tale fantasmagoria l´assunto deterministico sviluppa paradossi ripugnanti alla cultura romana; Dio diventa orco. Da notare come abbia fondo ateistico l´umanesimo pelagiano. La Chiesa naviga come può, tra Scilla e Cariddi: condanna Pelagio, santifica Agostino, codifica l´impulso divino determinante, lascia credere alle anime tenere d´essere attive nella partita; insomma, balla sul filo della contraddizione. Il bianco è anche nero, dicono i canoni tridentini "de iustificatione" (sesta sessione, 13 gennaio 1547): "anathema sit" chi afferma che l´uomo possa salvarsi con le sue forze; o abbassa la grazia a fattore coadiuvante; o postula un´incipiente buona volontà interamente umana. Puro agostinismo ma i tre seguenti riabilitano sotto banco il monaco britanno: maledetto chi nega l´apporto umano al processo salutare o considera irresistibile l´impulso pneumatico o vede nell´uomo un automa. L´ortodossia configura uno stato onirico, sublogico, dove p e non-p siano egualmente vere: fiorisce una retorica del pastiche; solo così l´alchimia ecclesiastica diluisce conflitti dirompenti.
In sede antropologica il costo è rovinoso. Sotto qualunque insegna militino, gli ecclesiocrati professano un culto ateo del potere: il loro dipende da premesse non verificabili (il pianeta terra epicentro d´un romanzo divino culminante nell´Ecclesia triumphans; o l´imminente collasso dell´economia capitalistica e avvento d´una società armoniosa dove nessuno soffra nel lavoro alienato), perciò negano i fatti che le smentiscono; passato e futuro fluttuano, né vigono regole sintattiche; 2+2=5 o qualunque altro numero, secondo i dettami d´un soi-disant infallibile intelletto collettivo. Verità fluide. Mater Ecclesia, Partito, setta le definiscono in mercuriali quotidiane. Ora, non esistendo ancora un controllo genetico rigoroso, è affare arduo governare i cervelli frenandoli affinché pensino poco e siano pensieri innocui: l´indottrinamento avviene in forma capillare, dagli asili alle accademie; poi bisogna sorvegliarli, cogliere i devianti, dispensare cure o pene, donde spie, investigatori, consulenti, terapeuti, oracoli, apparati coattivi. La funzione crea l´organo: Tomás de Torquemada prefigura Heinrich Himmler o Andrej Vyšinskij, diligenti energumeni d´un lavoro efferatamente stupido, astuto però e ricco d´abilità pratiche, la cui massima è «al diavolo l´intelligenza»; dal filtro esce un personale direttivo adeguato al modello.
La scomunica richiede forme terrificanti. Le descrive Enrico da Susa, cardinale Ostiense (Summa aurea, metà del XIII secolo): il vescovo scandisce l´anatema avendo intorno dodici preti; tengono in mano "lucernas ardentes"; al punto culminante le sbattono in terra e calpestano.. Lo scomunicato finisce «cum diabolo et angelis suis, maledetto dalla «planta pedis usque ad verticem capitis». Sono inferno Lager e gulag. Meno brutali gl´interdetti borghesi ma altrettanto inesorabili. Guidati dall´istinto, praticano scomuniche anche i branchi, escludendo l´animale inidoneo alla vita gregaria. Nel mondo umano l´ordigno selettivo è in mano a gente uscita da selezioni perverse: teste piccole, talvolta maligne; gl´inquisitori figurano male nei verbali; Stalin sopraffà Trotskij; Martin Bormann divora i concorrenti. Vari segni indicano un´età dogmatica allo stato rinascente. Se i germi attecchiscono, quod Deus avertat, quanto lavoro porteranno al patologo del pensiero: concessa l´ipotesi d´un Creatore (sui gusti del quale è caritatevole chiudere gli occhi), non storpiamo i suoi pochi doni; tolto l´intelletto, cosa resta agli adamiti? Povere scimmie nude.

Repubblica 15.5.07
Le parole di Benedetto XVI
Dove porta il castigo papale
di Marco Politi

Tornare alla scomunica di un parlamento nel XXI secolo è inquietante. E apre un interrogativo sul pontificato di Joseph Ratzinger. Quando il 25 aprile scorso i deputati del Distretto federale di Città del Messico si sono riuniti per votare una liberalizzazione dell´aborto, un comunicato dell´arcidiocesi della capitale li ha minacciati del «castigo della scomunica». Automatico. «Gli scomunicati non potranno partecipare alla Santa Messa, ricevere la comunione, confessarsi né accedere agli altri sacramenti, né essere padrini né partecipare attivamente alla vita della Chiesa».
Passata la legge, il portavoce dell´arcivescovo di Città del Messico, cardianale Rivera Carrera, ha intimato ai deputati pro-aborto: «Abbiano la decenza di non entrare in cattedrale e in nessun´altra chiesa cattolica del mondo finché non saranno stati perdonati». Un episodio locale? Benedetto XVI, volando in Brasile ha appoggiato i vescovi messicani: «Questa scomunica – ha scandito – non era una cosa arbitraria, ma è prevista dal Codice (di diritto canonico). Sta semplicemente nel diritto che l´uccisione di un innocente bambino è incompatibile con l´accostarsi in comunione con il Corpo di Cristo. Quindi (i vescovi) non hanno fatto qualcosa di nuovo, di sorprendente, di arbitrario».
Una dichiarazione pesante, gravida di conseguenze al di là del caso messicano. Il Vaticano se ne è reso subito conto sterilizzando nel bollettino ufficiale le parole papali, cercando di attutire il placet alle minacce dell´episcopato messicano. Ma papa Ratzinger non fa gaffe – non la fece nemmeno a Ratisbona evocando l´attacco a Maometto di un imperatore bizantino – parla e manda segnali precisi.
In due anni di pontificato è venuta emergendo una teoria dei Due Regni. C´è il regno delle scelte socio-economiche, in cui Benedetto XVI rispetta la laicità dello Stato, sottolineando che l´attività politica non è competenza della Chiesa e che essa «non deve trasformarsi in soggetto politico», perché snaturerebbe la sua missione. E poi c´è il regno dell´esistenza umana – la nascita, la sessualità, le relazioni di coppia, la paternità, la maternità, la genetica, la morte – su cui in nome della legge naturale e divina la Chiesa proclama il suo potere di intervento totale. Qui non vale la libertà di coscienza e di mediazione dei deputati cattolici. Qui il "diritto" della Chiesa esige sottomissione assoluta. Nasce da questa concezione il revival della scomunica sulla bocca del Papa. Il cattolico che non ubbidisce è "fuori". Mentre la Chiesa può usare tutte le armi: dalle sanzioni canoniche alle manovre politiche dirette come si vede in Italia. È un gioco pericoloso. Pretendere di porre la dottrina religiosa come criterio assoluto della legislazione significa entrare nella logica della sharia, che equipara la parola di Dio alla legge civile. Così è lo scontro tra tribù religiose.

Corriere della Sera 15.5.07
Il nuovo saggio dello studioso israeliano Zeev Sternhell sulle conseguenze storiche dell'antilluminismo
I nemici dei Lumi
Da Croce a Furet, da Berlin a Bauman gli avversari inattesi del razionalismo
di Dino Messina


È passato un quarto di secolo dalla prima edizione di Né destra né sinistra,
il libro rivoluzionario in cui Zeev Sternhell, uno dei maggiori storici israeliani, individuava le radici del fascismo non semplicemente nella crisi derivante dalla prima guerra mondiale, ma nel pensiero e nei movimenti irrazionalisti che si diffusero in Europa alla fine dell'Ottocento. Oggi questo studioso ci offre un'opera monumentale, Contro l'Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra fredda, edita in Italia come quasi tutti i suoi libri da Baldini Castoldi Dalai. Docente di Scienze politiche all'Università di Gerusalemme, in questi giorni a Parigi, Sternhell ci spiega che l'oggetto delle sue ricerche non è semplicemente cambiato, ma si è enormemente allargato, sino a comprendere quasi tre secoli. «Nei miei saggi come Né destra né sinistra o Nascita dell'ideologia fascista riflettevo sul fascismo, centro del lungo movimento antilluminista che nasce contestualmente alla filosofia dei Lumi e si estende attraverso varie tappe e forme sino ai nostri giorni».
La catastrofe europea del Novecento, è questo uno dei contributi originali del nuovo saggio di Sternhell, «non è solo il prodotto della Grande Guerra nè della crisi di fine secolo, ma è parte di un'onda lunga che da Giambattista Vico, Johann Gottfried Herder ed Edmund Burke arriva sino ai neoconservatori americani». Intendiamoci, Sternhell non criminalizza alcuna forma di pensiero, ma individua quelle correnti che contro i Lumi e la Rivoluzione francese predicano «l'antirazionalismo, l'antiuniversalismo, l'idea che la comunità sia più importante dell'individuo».
Nato come reazione al pensiero di Hume, Kant, Rousseau, Montesquieu, «l'antilluminismo — spiega Sternhell — diventa presto corrente autonoma. Per far capire di che cosa parliamo, consideriamo il concetto di nazione: ai due estremi abbiamo da un lato la definizione dell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert secondo cui la nazione è una collezione di individui che vivono nello stesso territorio sotto lo stesso governo. Una definizione asettica, nessun accenno alla storia, alla cultura, al linguaggio, alla religione. All'estremo opposto abbiamo Herder, che definiva la nazione come un corpo vivente in cui gli arti sono gli individui».
Dal punto di vista politico, Sternhell non esita a individuare nel nazionalismo polacco il più estremo interprete europeo dell'antilluminismo. Mentre non ci sono dubbi che dal punto di vista intellettuale «il più caratteristico movimento antilluminista sia rappresentato dai neoconservatori americani». Lo storico israeliano dedica alcune pagine nella parte finale del suo saggio a Gertrude Himmelfarb, definita «gran badessa del neoconservatorismo americano» che prosegue una «linea di pensiero inaugurata da Burke», il quale dissocia la Gloriosa rivoluzione inglese del 1689 dalla Rivoluzione francese di un secolo dopo. I neoconservatori statunitensi si inscrivono dunque, secondo Sternhell, nella grande corrente di pensiero che tende a isolare «la diabolica specificità della Rivoluzione francese», negando quindi la portata dei valori universali a vantaggio della comunità e della tradizione. In oltre seicento pagine di un saggio dotto e appassionato incontriamo protagonisti del pensiero anche a noi vicini, ai quali Sternhell non risparmia critiche severe. È il caso di Benedetto Croce. «L'inizio di una storia — ci dice lo storico — è importante quanto la sua fine. Così il Croce che alla fine dell'Ottocento si scagliava contro Rousseau, i Lumi e la democrazia è importante quanto il Croce autore del manifesto antifascista. Il leader liberale del secondo dopoguerra non può cancellare il predicatore antilluminista che appoggiò il Mussolini degli inizi. La parabola di questo filosofo italiano ci dice quanto importanti siano le idee, destinante spesso a diventare realtà nel futuro».
Non v'è dubbio che Sternhell sia un convinto assertore della filosofia dei Lumi e dei principi universali affermati con la Rivoluzione francese. Una scelta di campo che non lo fa esitare nemmeno davanti a personaggi come Hannah Arendt, Isaiah Berlin, François Furet o Zygmunt Bauman. Alla Arendt Sternhell imputa «uno di quegli errori di prospettiva che contribuiscono ancora oggi a rendere oscuro l'orizzonte». Al centro della querelle lo sterminio degli ebrei. L'autrice di Le origini del totalitarismo mette in discussione «la stessa modernità, fino ad attaccare la Rivoluzione francese e i diritti dell'uomo». La Arendt scrive, ispirandosi a Burke, che «la perdita dei diritti nazionali ha portato con sè in tutti i casi la perdita dei diritti umani... Gli internati nei campi di concentramento hanno potuto rendersi conto... che l'astratta nudità dell'essere-nient'altro-che-uomo era il loro massimo pericolo». Per Sternhell invece «gli ebrei non furono sterminati perché, decaduti dalla cittadinanza, restava loro la sola qualità di essere umani, ma proprio perché questa qualità era loro negata, perché l'idea di una natura umana comune a tutti gli uomini, l'idea di un diritto naturale valido per tutti e per sempre era scomparsa nel corso della lunga lotta contro i Lumi». Si vede qui quanto vitali Sternhell consideri i principi illuministici. Da difendere sempre anche a costo di attaccare un pensatore liberale come Isaiah Berlin, il quale considerava, sulla scorta di Friedrich Meinecke, il razionalismo come «radice del male», perché «conduce all'utopia, all'idea, di tutte la più nefasta, secondo la quale l'uomo è in grado di cambiare il mondo; uccide gli istinti e le forze vitali; distrugge i legami quasi carnali che uniscono i membri di una comunità etnica; ci fa vivere in un mondo chimerico».
Convinto che l'utopia portasse al disastro un altro grande storico e amico di Sternhell, François Furet, lo studioso della Rivoluzione francese che negli ultimi anni di vita «si era avvicinato non solo al pensiero neoconservatore ma anche alle analisi di Ernst Nolte che considera il nazismo come una reazione naturale e legittima alla rivoluzione russa». Con Octavio Paz, ci dice Sternhell, «sono convinto che le utopie siano i sogni della ragione: possono avere effetti disastrosi ma nello stesso tempo ci aprono orizzonti per il futuro. Non per questo dobbiamo rassegnarci al fatto che il mondo non possa essere cambiato. La rivoluzione sovietica non è il solo modo di introdurre cambiamenti. Pensiamo alla democrazia che un secolo e mezzo fa nella maggior parte del mondo era considerata un'utopia, o al suffragio per le donne che cento anni fa in Europa era un sogno o ancora alla legislazione sociale, uno dei fattori che ha reso il vecchio continente il luogo dove si vive meglio nel mondo».
Sternhell considera Jürgen Habermas il maggiore rappresentante del pensiero illuminista oggi in Europa e Jacques Derrida, il filosofo francese morto nell'ottobre 2004, come il suo più valido antagonista, anche se arrivava a sostenere il paradosso che «ci sarebbe solo un passo tra l'umanesimo, quale che sia, e il razzismo, il colonialismo e l'eurocentrismo». Ancora più paradossale il sociologo britannico di origini ebraico-polacche Zygmunt Bauman: «Ma ho difficoltà a prenderlo sul serio. Non posso pensare che l'Olocausto, come sostiene Bauman, abbia radici nell'Illuminismo. L'Olocausto non può avere radici nei diritti umani, nel razionalismo. È un'aberrazione»

il manifesto 15.5.07
Il porta a porta di Rifondazione Con gli operai, davanti alle fabbriche
Partita ieri da Mirafiori la campagna del Prc «Facciamo il vostro gioco». Quello dei lavoratori
di Manuela Cartosio


Torino «Che ci state a fare in un governo che va bene per Montezemolo, non per noi lavoratori?». «Via Berlusconi, vi siete seduti sulle poltrone e avete arrotolato le bandiere». «Dove l'avete raccattato 'sto Padoa Scioppa che vuol farci venire a lavorare con le stampelle? Una settimana di cura qua dentro e sulle pensioni cambia idea». «Siete tutti uguali. Parole, parole, parole...». «Io so che siete diversi, ma cristo fatela vedere la differenza». «Non mi è piaciuto proprio il trattamento che avete riservato a Turigliatto». «Da quando la sinistra parla male della Juve, io con voi ho chiuso». Tutto abbastanza prevedibile: gli operai, e le operaie, di Mirafiori sono tipi spigolosi e bruschi di natura. Dopo un anno di governo Prodi, con le pensioni strette tra scalone e scalini, la delusione acquisce la loro scontrosità.
Dunque, sia lode a Rifondazione che ieri ha iniziato da Torino il suo scomodo porta a porta. Niente poltroncine bianche, maggiordomo e dling dlong, le porte essendo quelle di fabbriche e uffici. Una trentina di esponenti del Prc - dal segretario Franco Giordano ai capigruppo Migliore e Russo Spena, dal responsabile lavoro Maurizio Zipponi al ministro Paolo Ferrero - si sono presentati al cambio turno agli ingressi di una quindicina di fabbriche in città e nell'hinterland. Hanno distribuito il volantino che illustra la campagna «Facciamo il vostro gioco», scandita su quattro temi: salario, pensioni, sanità, casa. Sono i capitoli a cui destinare il grosso (7 miliardi e mezzo) del «tesoretto» perché - dice Rifondazione - «E' l'ora del risarcimento sociale».
Alla Porta 2 di Mirafiori, quella delle carrozzerie, c'erano Giordano e Ferrero. Il primo più attivo nel cercare d'agganciare i lavoratori, il secondo più schiscio, reduce da un'ora passata all'ufficio comunale di Pinerolo per rinnovare la carta d'identità. «Un'ora ben spesa perché in coda all'anagrafe si capiscono i problemi veri delle persone, il mondo non è quello degli editoriali dei giornali». Ben spesa anche l'ora di «ascolto» alla Porta 2: molti operai tirano dritto, ma anche i silenzi parlano. Parlano di una crescente «disaffezione» della classe operaia verso la politica. «Siamo al bordo», ammette Ferrero, recuperare i lavoratori alla politica e alla sinistra «dipende da quel che facciamo noi al governo».
Le pensioni fanno la parte del leone nei discorsi di chi si ferma. «Ho 37 anni di marchette», dice Vincenzo Gargano, 54 anni, «mio figlio non ne ha manco una, lavora due giorni e poi lo lasciano a casa, gli devo passare 50 euro la settimana. Un governo che fa star male tanto i padri che i figli non è di sinistra. Io continuo a credere in voi, però...». I «privilegi» dei politici, gli stipendi e le pensioni grasse dei parlamentari, tornano in tanti capannelli. Un pensionato, militante di Rifondazione, è venuto apposta da Bardonecchia per dire al suo segretario «Franco, su questo dovete dare un segnale e che sia forte». I delagati (della Fiom) raccontano che il malcontento dei lavoratori si scarica tutto sulle loro spalle, «quando avete votato la finanziaria, ne hanno dette di tutti i colori contro Bertinotti». Una brunetta di 31 anni, 10 in Fiat, divide equamente le sue rimostranze contro Rifondazione - «vi ho votato ma non mi beccate più» - e contro il sindacato: «Quando c'è il governo di sinistra, beve tutto». Allora, meglio che governi la destra? «No, per carità. Io Berlusconi non lo posso vedere», inteviene uno con la maglietta della Tnt, «però gli scioperi e le manifestazioni si devono fare anche contro il governo Prodi». Si fa avanti un fresco ex diessino. E' il più speranzoso: «Proviamoci ancora, adesso c'è questa occasione di una forza vera di sinistra...». Un assist per Giordano che ci salta dentro: «Per questo proponiamo un patto di azione a tutta la sinistra radicale che sia spendibile subito, per redistribuire a fini sociali il tesoretto. Se i soldi li vogliamo dare agli operai, la chiamano assistenza. Invece quelli che danno alle imprese sono sostegno alla produzione. Questo vocabolario è sbagliato, non è il nostro». Siamo stati gli unici a criticare la ripartizione del cuneo fiscale, ricorda Giordano. «Però poi il regalo l'hanno incassato solo i padroni. Io prendevo mille e cento euro un anno fa e altrettanto prendo adesso», obietta un operaio che prevede: «Finirà così anche con le pensioni. Rifondazione dirà che non è d'accordo, poi voterà gli scalini per non far cadere il governo». «Non voteremo niente che non sia nel programmo dell'Unione», replica Giordano.
Alla fine l'operaia Maria Antonietta offre qualche consolazione al segretario: «C'è delusione, ma io di Rifo continuo a fidarmi. Tenete duro, non lasciateci in mano a Fassino e a Rutelli».
Poi svelti a casa o «alla catena».

Liberazione 15.5.07
Fiat, al cambio turno: Rc e operai disillusi
Pensioni, precarietà: tira aria di sciopero. I lavoratori riconoscono l'impegno di Rifondazione
Ma, dicono, attenzione, il tempo sta per scadere e ancora non è successo niente
di Fabio Sebastiani


Torino. «Vi diamo il mandato a far cadere il governo se succede qualcosa di strano sulle pensioni». Angela ha alle spalle quasi trent'anni di Fiat. Esce dalla porta 2 con una busta di plastica in mano e i capelli ravviati come può. Sono da poco passate le tredici e trenta. Deve correre a casa. Ha da dare il cambio al marito e poi attaccarsi al telefono per prenotare un esame alla Asl, ma si ferma volentieri a scambiare quattro chiacchiere con il segretario del Prc Franco Giordano, prima, e poi con il ministro Paolo Ferrero. Di Fiat, e di "carrozzeria", non ne può davvero più. Prolungarle la permanenza anche solo un giorno sarebbe una crudeltà inenarrabile. «Se così fosse chiedo che stacchino la spina come a Welby», dice scherzando. «E' come l'accanimento terapeutico. E' una crudeltà aggiuntiva».
Il Partito della Rifondazione comunista ha deciso di aprire direttamente dai luoghi di lavoro la sua campagna sul "Risarcimento sociale", una sorta di "fase tre" del governo Prodi, dopo l'inizio entusiastico e pieno di speranze e il grigiore dei "dodici punti". Ora si tratta di ritornare alla sostanza del programma grazie al quale l'Unione ha vinto le elezioni. E per farlo occorre sottolineare di nuovo all'opinione pubblica le radici vere della coalizione.
A Torino, il Prc ieri si è mobilitato davanti a 25 siti produttivi. Venticinque cancelli dove ha distribuito volantini e incontrato i lavoratori. "Ascoltare, proporre, mobilitare", sono le tre parole chiave della giornata. «Perché è il nostro metodo di lavoro», chiarisce il segretario del Prc nel corso della conferenza stampa convocata nella sede della federazione torinese. Il bilancio della giornata tutto sommato sarà positivo. A Rifondazione comunista i lavoratori riconoscono la volontà e l'impegno. Ma, aggiungono, il tempo sta per scadere. I risultati concreti devono arrivare senza troppi indugi. Il clima generale del paese non può più essere quello della "perenne immodificabilità". Nessuno riconosce più al centrosinistra di nascondersi dietro il dito della lotta al governo Berlusconi.
Alla "Porta 2" di Mirafiori ad un certo punto minaccia di piovere. Al cambio turno delle 13.30 passano da qui circa mille lavoratori. Si affrettano ad entrare, ma i volantini vanno via ugualmente. A distribuirli ci sono, oltre ai militanti della federazione torinese, Giordano e Ferrero, entrambi circondati da un folto gruppo di giornalisti.
Anche per le "scontrose" e "distanti" tute blu della Fiat alla fine la politica conta ancora qualcosa. In quei fogli a colori e dalla grafica invitante ci sono scritte nero su bianco le proposte di Rifondazione comunista su pensioni, salari, precarietà, casa, sanità , tfr, fisco, Meridione. Lo "scalone", e gli "scalini", sono gli argomenti più gettonati. Nessuno è disposto a concedere anche solo un minuto di più. «Lo scalone va abolito e basta. E' per questo che vi abbiamo dato il voto», dice Luca. «E' questo che dovete fare», aggiunge. E per quanto riguarda il Tfr non è che per i fondi si prepari questa grande successo, anzi. Angela dice che i soldi è meglio tenerseli in tasca. Qualcun altro mugugna ad alta voce: «La politica fa schifo»; «Questa scena l'abbiamo già vista»; «Siete qui perché cercate un voto?». Altri sono ugualmente critici ma perlomeno si confrontano. «Ho votato l'Unione», dice Tommaso. «E ancora non è successo niente. Quanto dovrò ancora aspettare?».
Sulle pensioni qui alle carrozzerie tira aria di sciopero. Il ministro Ferrero con il suo bel pacco di volantini in mano non ha nessuna difficoltà ad ammettere che «fanno bene». «I lavoratori sono disillusi e il governo farebbe bene a tenerne conto», aggiunge davanti ai giornalisti.
Ma anche sul salario non è che la cosa vada molto meglio. I metalmeccanici sono impegnati in un rinnovo contrattuale in cui hanno chiesto appena 147 euro. Nella maggioranza dei casi la loro busta paga supera appena i mille euro. Dai cosiddetti sgravi fiscali sono stati molto delusi. Il primo confronto che fanno è con i "salari" dei deputati. «Basta con questa disparità. Fate qualcosa di eclatante per rimettere in equilibrio la situazione». Franco Giordano parla delle proposte del Prc. Su questo è pronto a prendersi i suoi impegni. E' anche su questi terreni che va misurata, aggiunge, «l'utilità sociale della sinistra». La discussione si fa più pacata, ma non per questo lontana da altri temi spinosi come i conflitti internazionali. La permanenza in Afghanistan non trova nessun entusiasmo. Qualcuno ricorda poi al segretario del Prc anche l'impegno preso sulla precarietà. Nei racconti viene fuori una "atipicità" che non finisce di sorprende e di interrogare. «Mio figlio, che lavora da precario da anni nella pubblica amministrazione, non ce la fa più con questo clima di attesa perenne - racconta Claudio, tuta blu della Fiat che ormai ha davanti a se pochi anni fino alla pensione -. Tanto valeva non promettere niente. Se ne sarebbe fatto una ragione». E' un po' lo stesso clima che si respira negli altri siti produttivi dove sono presenti quote consistenti di contratti a tempo determinato. Alla lontananza dalla politica dovuta al cambio generazionale si aggiunge anche la rabbia per una condizione di cui non si vede uno sbocco concreto. E' così alla Wind di Ivrea, ma anche alla Iveco, sempre a Torino. Alla "Porta 2", infine, non mancano le battute polemiche anche all'indirizzo degli altri ministri. «Mandateci Tommaso Padoa Schioppa a lavorare qui anche soltanto per una settimana», dice uno. «Meno molto meno. In un giorno avrebbe già capito tutto», gli fa eco un altro.