domenica 20 maggio 2007

l’Unità 20.5.07
Pedofilia, video sui preti: «Avvenire» difende Ratzinger
Circola in rete un servizio della Bbc su fatti americani, con l’attuale Papa che allora ordinava ai vescovi di nascondere i casi di abuso


Un’«infame calunnia» circola via Internet ai danni della Chiesa cattolica e di Papa Benedetto XVI. Reagisce così l’Avvenire, quotidiano della Cei, in un editoriale a firma di Andrea Galli pubblicato sul sito web del quotidiano e che chiama in causa Bispensiero, «sito di amici siciliani di Beppe Grillo, e caricato su Video Google». Il riferimento è a un documentario su preti cattolici e abusi sessuali mandato in onda dalla Bbc nel 2006 ed ora ripreso dal Bispensiero che lo sottotitola in italiano. Un’altra accusa dopo gli scandali degli Usa - con l’arcidiocesi di Los Angeles costretta a mettersi in vendita per risarcire le vittime di abusi - e di quelli a noi più vicini: da ultimo quello di Firenze. Accuse riprese da molti organi d’informazione internazionale, compreso l’autorevole Guardian, quotidiano londinese.
«Un pout pourri di affermazioni e pseudo-testimonianze - sostiene Galli sul video della Bbc - che furono apertamente sconfessate a suo tempo dalla Conferenza episcopale inglese, che invitò la Bbc a vergognarsi per lo standard giornalistico usato nell’attaccare senza motivo Benedetto XVI». Il pezzo forte del servizio - scrive l’editorialista - consiste «nell’accusa rivolta a Ratzinger di essere stato niente meno che il responsabile massimo della copertura di crimini pedofili commessi da sacerdoti in varie parti del globo, in quanto “garante” per 20 anni - da quando fu nominato prefetto vaticano - del testo “Crimen sollicitationis”, che è un’istruzione emanata in realtà dal Sant’Uffizio il 16 marzo 1962». Ratzinger - secondo un avvocato americano che difende tre vittime di pedofilia da parte di preti - quando era prefetto della congregazione e dottrina delle fede avrebbe applicato il Crimen sollicitationis “ordinando” ai vescovi della Chiesa di nascondere le notizie imbarazzanti, soprattutto quelle riguardanti i minori (e questo avveniva con trasferimenti di preti, con lettere alle vittime...).
Ma Galli fa notare che «nel 1962 infatti Joseph Ratzinger non era certo prefetto della futura Congregazione per la dottrina della fede, essendo in quel tempo ancora teologo molto impegnato nella sua Germania. C’è da dire che quel documento veniva presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco, escogitato dal Vaticano per coprire reati di pedofilia, quando invece si trattava di un’importante istruzione atta ad istruire i casi canonici e portare alla riduzione allo stato laicale i presbiteri coinvolti in nefandezze pedofile». Che il testo “Crimen Sollicitationis” non fosse pensato per tale fine - aggiunge ancora l’editorialista - «lo dimostrava un paragrafo, il quindicesimo, che obbligava chiunque fosse a conoscenza di un uso del confessionale per abusi sessuali a denunciare il tutto, pena la scomunica».

Repubblica 20.5.07
Il caso. Santoro ha acquisito i diritti per "Annozero" ma c'è imbarazzo tra i vertici dell'azienda
Inchiesta sui preti pedofili in forse sulla Rai il video Bbc
E "l'Avvenire" attacca: "Infami calunnie"
Sandro Curzi: "La par condicio non c'entra Quel reportage va mandato in onda"
di Silvia Fumarola


ROMA - Il consigliere di amministrazione della Rai Sandro Curzi promette che si batterà perché vada in onda. «Dobbiamo imitare la Bbc, la citiamo sempre come un modello? Quale migliore occasione trasmettere l´inchiesta inglese sul Vaticano e i preti pedofili. D´altronde, è dimostrato, la cosa che va meglio sono proprio le inchieste». La Rai si prepara ad affrontare il caso Bbc: Michele Santoro ha chiesto di acquistare il reportage "Sex crimes and the Vatican" l´inchiesta sul coinvolgimento di sacerdoti cattolici in alcune vicende di abusi sessuali, in cui viene citato anche Papa Benedetto XVI, all´epoca ancora cardinale, quale garante dei preti accusati. Vuole proporre l´inchiesta ad "Annozero", giovedì su RaiDue nella puntata dedicata alla pedofilia. Realizzato dalla Bbc, il filmato è finito su Internet il 5 maggio diventando il video più visto su Google, da oltre 100 mila persone. Trattativa con la tv pubblica inglese chiusa (costo sui 25mila euro, nel rispetto del budget della trasmissione di RaiDue), finora nessun «no» ufficiale alla messa in onda, ma l´operazione Bbc, di fatto, non è chiusa. L´atto formale d´acquisto è passato su diverse scrivanie. Tra scuse e intoppi burocratici, sembra che in Rai nessuno voglia assumersi la responsabilità di firmarlo. Adesso più che mai, alla luce della durissima presa di posizione dell´Avvenire che definisce il video «infame calunnia via Internet» ai danni «della Chiesa e di Ratzinger». Il documentario crea imbarazzo a Viale Mazzini, preoccupa i vertici per le ripercussioni che può avere nei rapporti col Vaticano. L´Avvenire respinge l´accusa «rivolta a Joseph Ratzinger di essere stato niente meno che il responsabile massimo della copertura di crimini pedofili commessi da sacerdoti in varie parti del globo, in quanto "garante" per 20 anni - da quando fu nominato prefetto vaticano - del testo Crimen sollicitationis, che è un´istruzione emanata in realtà dal Sant´Uffizio il 16 marzo 1962».
Secondo Avvenire, «quel documento veniva presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco, escogitato dal Vaticano per coprire reati di pedofilia, quando invece si trattava di un´importante istruzione atta ad "istruire" i casi canonici e portare alla riduzione allo stato laicale i presbiteri coinvolti in nefandezze pedofile». «Insomma» ribadisce il quotidiano della Cei «un insieme di norme rigorose, che nulla aveva a che fare con la volontà di insabbiare potenziali scandali». Domani il caso verrà discusso in Rai. Mentre Curzi promette di battersi perché vada in onda, la trappola burocratica potrebbe fermare Santoro (anche se gli amici scommettono che sarebbe pronto a fare la puntata lo stesso, denunciando la censura). "Annozero" è un programma d´informazione, dipende solo formalmente dal direttore di RaiDue Antonio Marano. In periodo elettorale, quindi durante la par condicio, è ricondotto alla testata giornalistica, non il Tg2 ma il Tg3 (da cui dipendono ben 13 trasmissioni, tra cui una sola della seconda rete, appunto "Annozero"). Il direttore del Tg3 Antonio Di Bella è tenuto a sovrintendere sulla presenza di soggetti politici (la lista degli ospiti viene consegnata 48 ore prima della puntata). Ma la par condicio stavolta non c´entra. A questo punto l´ultima parola spetta al direttore generale della Rai Claudio Cappon.

Corriere della Sera 20.5.07
CHIESA E PEDOFILI
Sul video Bbc si riapre un caso Santoro
di Andrea Garibaldi


ROMA — Michele Santoro vuole acquistare il documentario della Bbc sui preti pedofili per una puntata di «Annozero», ma i vertici Rai per ora non lo autorizzano. «Avvenire» ieri definiva il filmato roba «da bidone della spazzatura»
Il giornalista vuole mandare sulla Rai l'inchiesta della Bbc La Cei: spazzatura. Da viale Mazzini non c'è ancora il sì
Il conduttore di Annozero potrebbe denunciare in diretta come censura il diniego dell'autorizzazione
Secondo il giornale dei vescovi si tratta di «un'infame calunnia»

ROMA — «Sex crimes and Vatican», cioè «Crimini sessuali e Vaticano», è un' inchiesta tv di 39 minuti. Michele Santoro vuole acquistarla per costruirci attorno una puntata di «Annozero», ma i vertici Rai per ora non lo hanno autorizzato.
Avvenire, il quotidiano dei vescovi, ieri in prima pagina definiva il documentario roba «da bidone della spazzatura». Insomma, prima che qualcuno decida di metterlo in onda la Chiesa avverte che quel lavoro è una vergogna e lo scontro sarebbe durissimo. Nel maremoto che già regna in Rai nessuno finora ha preso posizione. Né Marano, direttore di Rai2, secondo il quale Santoro non dipende da lui, né Di Bella, direttore del Tg3, che è responsabile di «Annozero» solo per la par condicio pre-elettorale. Tutto, quindi, nelle mani del direttore generale Cappon.
Far trasmettere il filmato significa incidente grave con il Vaticano, vietare l'acquisto vuol dire mandare Santoro in trincea: il giornalista potrebbe denunciare la censura in diretta. Terze vie non si intravedono, il caso è pronto.
Il tema terribile di cui parliamo è la pedofilia violenta di alcuni preti in Irlanda, negli Usa, in Brasile. In «Sex crimes» la Chiesa cattolica viene accusata di aver voluto coprire i suoi ministri di culto colpevoli di abusi sessuali su minori. In particolare, l'ex cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, viene accusato di aver avallato questa politica di copertura e segretezza e di aver accentrato in Vaticano ogni indagine. Il video non è nuovo e porta un marchio prestigioso, Bbc, che lo ha trasmesso nell'ottobre 2006. Ora, nella scia dei contrasti laici-cattolici, quelli di «Bispensiero», portale siciliano degli amici di Beppe Grillo, hanno deciso di sottotitolare «Sex crimes» e di caricarlo — inizi di questo mese — su Video Google. Risultato: è da giorni il filmato più visto in quel sito. I trentanove minuti ricordano più lo stile Michael Moore, aggressivo e con una tesi da dimostrare, piuttosto che la equidistanza del giornalismo anglosassone. Il conduttore è Colm O'Gorman, vittima delle violenze di un sacerdote irlandese nel 2002. Gorman si sposta negli Usa per padre O'Grady, che al processo confessò di aver violentato trenta bambini e bambine e poi in Brasile e in California con altre vicende di preti e abusi sessuali. Ma il cuore bruciante del documentario riguarda la «Crimen sollicitationis», documento del 1962, con il quale — secondo la Bbc — il Vaticano stabiliva «come mettere a tacere le accuse di abusi sessuali», «obbligava vittime, preti e testimoni alla segretezza assoluta, pena la scomunica».
Ed ecco il punto: «Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, impose per 20 anni l'applicazione del "Crimen"» ed emanò un seguito, secondo il quale «ogni accusa andava vagliata esclusivamente in Vaticano». Il documentario si conclude così: «Il Vaticano non ha risposto alle richieste di interviste».
Avvenire ribatte: «Ognuno si consola come vuole dinanzi alla vitalità cattolica documentata sabato scorso in piazza San Giovanni». Poi cominciano le correzioni: «"Crimen sollicitationis" è un'istruzione emanata dal Sant'Uffizio nel 1962 e in quel tempo Ratzinger era ancora teologo impegnato in Germania... Il documento era atto a istruire i casi canonici e portare allo stato laicale i presbiteri coinvolti in nefandezze pedofile... obbligava chiunque fosse a conoscenza di un uso del confessionale per abusi sessuali a denunciare il tutto, pena la scomunica... Ratzinger, diventato più tardi prefetto della Congregazione, firma una Lettera ai Vescovi dove si prevede che il delitto commesso da un chierico contro un minore di diciotto anni, sia di competenza diretta della Congregazione stessa. Segno della volontà di dare il massimo rilievo a certi reati». Dunque: «I calunniatori dovrebbero chinare il capo e chiedere scusa».
Michele Santoro, invece, vorrebbe partire da «Sex crimes» per discutere, con clamore. La sua struttura ha contattato la Bbc ed esiste già un prezzo del video, attorno ai ventimila euro. Come avvenne per il «Codice da Vinci», parlare di questo video non fa che aumentare la curiosità. Storica o morbosa.

Corriere della Sera 20.5.07
Censura. Il consigliere Udc Staderini: volgare attacco al Papa. Va impedito a ogni costo
di Paolo Conti


ROMA — E così domani, lunedì, al suo rientro da Nairobi (dove ha inaugurato la sede di corrispondenza Rai africana) il direttore generale Claudio Cappon si ritroverà sul tavolo un bel regalo di rientro: il nuovo caso Santoro per di più questa volta collegato al Vaticano, anzi direttamente alla persona di Benedetto XVI. Diciamo la benzina ideale per quell'incendio politico che già sta divampando intorno alla Rai, e nella Rai. In queste ore la macchina burocratica della tv pubblica si è mossa come non mai. Premessa. Siamo in par condicio per la campagna elettorale e ci si muove con cautela. Aggiungiamoci l'incognita vaticana. Ed ecco la trafila. La richiesta di autorizzazione per l'acquisto del filmato voluto da Michele Santoro (20.000 euro circa, cifra bassa per un prodotto del genere, con una mediazione affidata a un'agenzia internazionale milanese competente in diritti tv internazionali) prima è finita sul tavolo di Antonio Marano, direttore di Raidue, area leghista.
E Marano ha risposto: non ho alcun permesso da rilasciare, chiedete al direttore del Tg competente, per di più ricordatevi che Michele ha sempre detto di dipendere dalla direzione generale. Altro chiarimento necessario per capire cosa sta accadendo. Durante la par condicio, gli approfondimenti «dipendono» da un direttore di Tg che controlla l'equilibrio politico: di qui l'accenno di Marano. Il direttore del Tg2, Mauro Mazza, non intende assolutamente «controllare» Santoro su Raidue: e così Michele è finito «sotto» Antonio Di Bella, direttore del Tg3.
Di Bella ha risposto già alla direzione generale: per quanto riguarda strettamente la par condicio, io non ho ostacoli. Sia ben chiaro però che non sono io il responsabile editoriale della trasmissione di Santoro. E così l'acquisto è ancora fermo sul tavolo di Lorenza Lei, direttore delle Risorse televisive. Con grande irritazione di Santoro che rivendica la propria autonomia negli acquisti e nelle scelte editoriali. Lunedì deciderà Cappon. Nel frattempo le voci alla Rai si inseguono. Due scuole di pensiero. Prima: Santoro vuole rifare il martire politico. Seconda: macché, l'asse Cappon-Giancarlo Leone vicedirettore generale (responsabile del palinsesto) non vuole «incidenti» col Vaticano... Chi ha ragione?
La divisione si riscontra anche in Consiglio. Sandro Curzi, consigliere Verdi-Rifondazione: «Michele mi ha chiamato per chiedermi un consiglio. Gli ho detto: se è roba seria vai avanti». Non c'è pericolo di rovinare i rapporti con la Santa Sede? «In Gran Bretagna e negli Stati Uniti si è parlato molto di questo tema. La Rai può farlo ovviamente con le dovute attenzioni professionali. E poi tutti ci chiedono di tornare alle inchieste, di adeguarci allo stile Bbc...».
Furioso invece il cattolico Marco Staderini, Udc: «Ho saputo del caso, lunedì ne parlerò col direttore generale. Mi batterò per impedire a tutti i costi la messa in onda. Bisogna ribadire che i vincoli aziendali valgono per tutti, anche per Santoro. E in questomomento storico- politico, simili servizi sono una scelta sbagliata. Sarebbe solo un attacco volgare e inaccettabile al Papa. Mi auguro che il buonsenso prevalga e l'equilibrio editoriale e aziendale impongano a Santoro di rispettare quelle elementari regole che ha sempre trasgredito. Sono stato critico con lui. Se stavolta insistesse lo sarei ancora di più...». Ma sì, il caso è già scoppiato.

Repubblica 20.5.07
Il sorpasso dell'Islam 1,3 miliardi di musulmani ora sono più dei cattolici
di Orazio La Rocca


La religione cristiana resta la più diffusa contando anche ortodossi, protestanti e sette
La crescita è frutto delle dinamiche demografiche: nei paesi islamici la natalità è più alta
Per l'istituto Usa World Christian Database si tratta di una tendenza "ineluttabile"
Per il Vaticano i dati vanno verificati, perché un computo delle altre religioni non è aiutato dai dati delle parrocchie

CITTÀ DEL VATICANO - «Sorpasso» musulmano sui cattolici. Nel mondo, i seguaci di Maometto sarebbero schizzati a un miliardo e 322 milioni staccando di oltre 100 milioni di unità i fedeli della Chiesa di Roma, fermati a un miliardo 115 milioni. E´ quanto emerge dalle ultime rilevazioni relative all´anno 2005 del World Christian Database (Wcb), un istituto demoscopico statunitense specializzato nello studio delle statistiche religiose. Un dato, però, parzialmente contestato dalle autorità vaticane e da analoghe ricerche statistiche prodotte dall´Annuario Pontificio 2007 dove risulta che i cattolici nel mondo fino a tutto il 2005 erano 1 miliardo e 145 milioni, con un incremento del 6,7 per cento rispetto a 5 anni prima, l´anno del Grande Giubileo del 2000.
Per gli analisti del Wcb la crescita delle comunità musulmane rispetto ai cattolici sarebbe, tuttavia, una tendenza «ineluttabile» legata alle dinamiche demografiche che favoriscono i Paesi islamici, notoriamente a più alto tasso di natalità rispetto alle aree del mondo nelle quali prevalgono i cristiani e, in particolare, i cattolici. Tra i musulmani la comunità largamente maggioritaria è quella sunnita con un miliardo 152 milioni di credenti, contro una minoranza sciita di circa 170 milioni.
I cristiani restano, comunque - stando sempre ai dati del World Christian Database - , di gran lunga la religione più diffusa essendo attestati a quota 2 miliardi 153 milioni, stima che, oltre ai cattolici, comprende 360 milioni di protestanti, 200 milioni di ortodossi, 75 milioni di anglicani e 400 milioni dei cosiddetti «nuovi cristiani», in prevalenza sette e convertiti dell´ultima ora svincolati dal dovere di obbedienza ad una delle confessioni cristiane tradizionali. Un fenomeno particolarmente diffuso in America Latina, come ha sottolineato con toni preoccupati papa Ratzinger nel recente viaggio in Brasile.
Dal Vaticano non sembrano disposti ad accettare di buon grado le rilevazioni del Wcb. Come spiega monsignor Felix Machado, sottosegretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, secondo il quale «la statistiche non sempre sono accurate». Diverso l´identikit della Chiesa cattolica perché - sostiene il monsignore - «abbiamo dati certi, senza margini di errore: infatti ogni parrocchia, anche la più sperduta nel mondo, registra i suoi battezzati; dei nostri fedeli abbiamo nome e cognome; in alcuni Paesi l´atto di battesimo vale anche come attestato civile». Non sarebbe così per le altre religioni: «Come si fa a dire - si chiede l´alto prelato - chi è buddista e chi non è buddista? Chi è musulmano e chi non è musulmano?». Per queste religioni «manca qualsiasi tipo di registrazione», sentenzia il monsignore, che tiene comunque a ricordare che «la Chiesa cattolica non si sia affatto fermata, anzi, è sempre vivissima».
Velatamente diplomatico Mohammed Nour Dachan, presidente dell´Ucoii, l´Unione delle comunità islamiche italiane, secondo il quale «non va bene dare troppa importanza alle cifre perché i credenti devono sentirsi fratelli al di là dei numeri e delle statistiche». «Quando, poi, gli uomini si presenteranno davanti a Dio per il Giudizio finale, il Signore - rammenta Dachan - giudicherà il singolo per quello che ha fatto, non il gruppo di appartenenza». Quanto ai dati sulle religioni, il presidente dell´Ucoii sostiene che «nelle statistiche si fa grande confusione e spesso non sono esatte perché non tengono conto della realtà religiose delle aree prese in esame, ma sarebbe grave e pericoloso se chi diffonde queste cifre lo facesse solo per seminare divisioni tra i credenti nell´unico Dio».

La Stampa 20.5.07
Chávez attacca il Papa: "Si scusi con gli indios"
«La Chiesa li sterminò, lui nega».. E tutto il Sudamerica si infiamma
di Paolo Manzo
qui

Repubblica 20.5.07
Salvi a Fassino e ai cattolici
"Ma Zapatero ha fatto così le unioni civili"
"Proporrò il testo Biondi, i Dico non arrivano in aula"


ROMA - Presidente Cesare Salvi, meglio modificare il codice civile o tenersi i Dico?
«Sostenere, come hanno fatto i cattolici del Family day e ora anche Piero Fassino, che la materia delle unioni civili va risolta nel codice civile non significa nulla. Basti pensare che il Spagna e in Olanda il matrimonio tra omosessuali è stato realizzato con una modifica del codice civile: hanno scritto invece che "matrimonio tra un uomo e una donna", matrimonio tra "due persone"».
Lei ha il pallino nella mani in commissione Giustizia del Senato: i Dico sono ormai archiviati?
«Il disegno di legge del governo non sarà proposto come testo-base per la debolezza dell´impianto giuridico e perché non ha maggioranza. La responsabilità è mia e non posso proporre un ddl in netta minoranza che vedrebbe il voto contrario di tutta l´opposizione, dell´Udeur e dei Teodem della Margherita. Le ministre Rosy Bindi e Barbara Pollastrini hanno condotto un´importante battaglia politica. Siano loro stesse ora a dare un contributo ad una legge seria e che attenui le tensioni».
E quali caratteristiche dovrebbe avere una nuova legge sui diritti dei conviventi?
«Tre punti: 1) scelta libera di due persone anche dello stesso sesso; 2) questo rapporto deve avere una rilevanza pubblica, non solo privatistica; 3)prevedere diritti e doveri».
Pensa alla proposta del forzista Alfredo Biondi?
«Va bene in molte parti, parla di "contratto di unione solidale", prevede una forma di pubblicità che tuttavia ritengo debole, cioè la registrazione negli archivi notarili. Potrebbe essere modificata con la registrazione presso il giudice di pace, come suggerisce Del Pennino. È una base su cui lavorare a patto che si affronti il tema in concreto senza piantare questa o quella bandierina. Dopo le amministrative, ripartiremo in Parlamento».
(g.c.)

Corriere della Sera 20.5.07
Rizzo (Pdci): penoso cedimento culturale. E Rutelli: sul ddl si troverà una soluzione
Dico, cattolici con Fassino Accuse a sinistra: una resa
Lodi da «Avvenire», Udc e FI: serio tentativo di dialogo
di Roberto Zuccolini


ROMA — Piero Fassino tra due fuochi. Definendo «possibile» ritoccare il diritto civile per tutelare le coppie di fatto invece di ricorrere ai Dico, incassa le lodi dell'Avvenire e l'abbraccio di due importanti esponenti del centrodestra: il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa e il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi. Sull'altro fronte invece, cioè il suo, a parte l'applauso scontato dei teodem, continua a provocare una mezza rivolta tra la sinistra radicale e i socialisti, che lo accusano di avere ceduto alla Chiesa. Con un Francesco Rutelli che quasi lo scavalca a sinistra, dichiarandosi ottimista sulla possibilità di far approvare una vera e propria legge sulle convivenze in Parlamento.
A differenza del segretario dei Ds, il leader della Margherita non fa un accenno al diritto civile. In mattinata sostiene che «sui Dico si troverà certamente una soluzione positiva». Perché «il governo ha affidato un disegno di legge in Parlamento». E, di pomeriggio, rincara la dose: «Questa legge la faremo e la faremo tenendo conto di tutte le opinioni della società, non solo della politica». Quindi, fa capire, sentendo anche le opinioni di chi ha manifestato a San Giovanni, con l'obiettivo di «trovare un'intesa più larga possibile».
Ma questo è il problema: come trovare una «sintesi» in Parlamento? Il presidente della commissione Giustizia del Senato, Cesare Salvi, non nasconde le difficoltà di giungere ad un testo unico (perché non ci sono solo i Dico, ma molti altri disegni di legge). Fissa però i suoi paletti: «Libertà nella scelta delle convivenze, riconoscimento anche di quelle omosessuali e rilevanza pubblica dell'atto». Tre punti che non vedono certamente d'accordo il centrodestra e gran parte dei cattolici.
A prendersela con Fassino sono non pochi esponenti dell'Unione. Il verde Angelo Bonelli parla di «resa incondizionata sul tema dei diritti individuali», il comunista italiano Marco Rizzo di «penoso cedimento culturale che mette a repentaglio un secolo di storia» mentre Franco Giordano (Prc) mette in evidenza «le difficoltà a costruire l'identità del Partito Democratico». Ma anche la diessina Barbara Pollastrini, cofirmataria dei Dico insieme a Rosy Bindi, invoca che «non vengano ridotti i diritti».
Arrivano invece i complimenti dal giornale della Cei: «Si tratta di un passo importante per uscire dall'impasse», afferma l'Avvenire. Il forzista Bondi si spinge più in là definendolo «un passo politico significativo». Anzi, «il primo tentativo serio e coraggioso di comprendere le ragioni profonde della manifestazione di San Giovanni». Le stesse cose che pensa l'udc Lorenzo Cesa: «Dopo il Family Day solo un folle potrebbe pensare di procedere come se nulla fosse».

Corriere della Sera 20.5.07
I dubbi della sinistra Contro Bush a Roma protesta soft o dura?
di M.Gu.


ROMA — Sfilare in corteo o aderire al sit-in? Scegliere la manifestazione dei pacifisti integralisti contrari alla sopravvivenza del governo Prodi, o limitarsi a gridare la propria insofferenza verso l'amministrazione Usa da una piazza «amica» dell'esecutivo? È il dilemma che divide la sinistra in vista del viaggio italiano di George Bush, è la doppia linea che spacca Rifondazione e mette in luce i contrasti di un partito che sta con un piede nel governo e con l'altro dentro il movimento. Franco Giordano il 9 giugno si farà vedere al presidio «istituzionale», assieme ad Arci, Fiom, Pdci e (forse) ai Verdi e a Sinistra democratica.
«Condanniamo la politica di Bush ma non abbiamo ancora deciso» rimanda la scelta di Mussi la capogruppo di Sd, Titti Di Salvo. Giordano, dunque, ha scelto la piazza «soft», ma non tutti seguiranno il segretario: Francesco Caruso ha aderito alla manifestazione dell'ala dura, quella dei Centri sociali di Luca Casarini e dei Cobas di Piero Bernocchi, quella di Vauro, Giorgio Cremaschi e dei «dissidenti» Turigliatto, Bulgarelli e Rossi, quella che punta ad alzare i vessilli arcobaleno nel cielo di piazza Navona, gridando slogan senza se e senza ma. «Contro la guerra permanente di Bush», «Contro l'interventismo militare del governo Prodi», «Bush tornatene a casa!», «Il governo Prodi è complice del genocidio dei palestinesi», «Basta crimini contro l'umanità»... Slogan che mettono in serio imbarazzo quei partiti che hanno ministri a Palazzo Chigi, tanto che Rifondazione si appresta a rifiutare l'«appello per una manifestazione unitaria» firmato, sulla prima pagina di Liberazione, da Lidia Menapace, Heidi Giuliani, Fosco Giannini, Alex Zanotelli, Franca Rame...
«Mi pare difficile sfilare con chi definisce "guerrafondaio" il governo — conferma l'impossibilità dell'abbraccio il capogruppo del Prc al Senato, Giovanni Russo Spena —. Quella del corteo è la piattaforma dura di chi spera di costruire un partitino sulle ceneri del governo». Il premier potrebbe chiedere ai ministri di stare alla larga dalle due piazze, ma Russo Spena non condivide l'imbarazzo di Prodi: «Io sarei in imbarazzo se restassi a casa». Una protesta unitaria piacerebbe invece al sottosegretario verde Paolo Cento e pure al comunista Marco Rizzo, che auspica «la mobilitazione più larga possibile». Centomila manifestanti, spera Salvatore Cannavò di Sinistra critica, che s'incarica di scacciare la preoccupazione di chi, nel Prc, teme scontri con la polizia. «È un'operazione meschina distinguere tra piazza pacifica e corteo violento — concorda Caruso —.
Rifondazione sbaglia a proteggere i tentennamenti e le ambiguità del governo».

l’Unità 20.5.07
L’INCONTRO Michele Ciliberto è autore di un poderoso saggio che, nei toni della narrazione, ci restituisce vita e pensiero del Nolano. Domani a Firenze con lui chiuderà la rassegna «Leggere per non dimenticare»
«Laicità, torniamo a Giordano Bruno, maestro di tolleranza»
di Renzo Cassigoli


Giordano Bruno è il protagonista del penultimo appuntamento della XII edizione della rassegna fiorentina «Leggere per non dimenticare»: l’incontro di domani, infatti, sarà dedicato alla presentazione del libro Il teatro del mondo - Vita di Giordano Bruno (Mondadori) di Michele Ciliberto. Cinquecento pagine in bilico tra il racconto biografico e il saggio filosofico, scritto da uno dei massimi conoscitori della vita e dell’opera del grande Nolano.
Come definirebbe questo suo lavoro e quali sono i motivi che l’hanno spinta ad affrontare l’impegno, professor Ciliberto?
«È una biografia di Giordano Bruno e come tale ne segue il percorso intellettuale, filosofico e umano da quando è nato, nel 1548, a quando fu bruciato in Campo de’ Fiori a Roma il 17 febbraio del 1600. I motivi che mi hanno spinto sono dovuti in primo luogo alla eccezionalità della vita del grande Nolano, al suo carattere avventuroso, appassionato. La sua è stata una vita vissuta e spesa in tutta l’Europa dalla Boemia all’Inghilterra, dalla Francia alla Svizzera. In secondo luogo perché la sua filosofia è parte fondamentale della sua biografia, che con essa si sviluppa e si intreccia fondendosi fino ad essere una sola cosa. Non vorrei, però, si pensasse che gli interlocutori di questo libro siano essenzialmente gli specialisti del pensiero filosofico di Bruno. Ho cercato di farne un libro di gradevole lettura, benché estremamente robusto dal punto di vista filosofico e dell’informazione, ed ho cercato di farlo con una struttura concettuale impeccabile, per quel che mi è possibile, anche se non nello stile del saggio tradizionale, piuttosto cercando di costruirlo come un saggio narrativo».
Quali aspetti filosofici sottolinea?
«Per semplificare potrei indicarli per capitoli. Il primo, Cristo traditore, parla di un mondo abbandonato da Dio, nel quale Dio è assente: da qui il senso del tradimento. Un altro tema a cui tengo molto riguarda il "corpo" del filosofo. Vede, in Bruno c’è una forte attenzione al tema della corporeità, anche nelle funzioni più elementari e più crude richiamate in modo volutamente provocatorio e anche liberatorio. Bruno guarda al corpo come a una sorta di livello zero della realtà da cui far partire un processo di liberazione. Poi ho lavorato molto sul tema dell’infinito, del copernicanesimo, e sul tema dell’anima, sul rapporto fra l’anima degli uomini e l’anima delle bestie. Infine ho dedicato altri due blocchi molto ampi, uno al soggiorno in Germania, intitolato La casa della sapienza, il secondo al lungo processo che lo condusse al rogo. Insomma ho cercato di disegnare un quadro a tutto tondo che parlasse del pensiero e della filosofia di Giordano Bruno, ma anche degli eventi della sua vita quotidiana».
Alla fine, chi è Giordano Bruno?
«È un grande rivoluzionario, un grande liberatore del pensiero e del corpo. È uno dei capisaldi del pensiero moderno e dell’esperienza dei moderni come esperienza di libertà. È un modello della libertà per i moderni e, nel contempo, è un uomo complesso: in lui si intrecciano entusiasmo e furore, disincanto e malinconia».
Un libro che esce in un tempo tormentato, segnato nel nostro paese da un indebolimento della visione laica dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Cosa ricaviamo dal pensiero del grande Nolano?
«Bruno è uomo della tolleranza, della filantropia, del riconoscimento della pari dignità di tutte le realtà. In lui è ferma l’idea che non ci sono differenze fra gli uomini dal punto di vista naturale, tutti amati dalla stesso Dio, che è un Dio d'amore, un Dio che include e non esclude nessuno».

La Repubblica Firenze 20.5.07
Domani a "Leggere per non dimenticare" la biografia del filosofo di Nola e il suo rifiuto dell'abiura
Giordano Bruno, libera mente
Stavolta Ciliberto indaga la vita del primo dei moderni
La vicenda lo segue fin dentro il carcere dell'Inquisizione
di Beatrice Manetti


Filosofo, scienziato, mago. Delle tante "anime" di Giordano Bruno, Michele Ciliberto ha sempre prediletto quella filosofica, alla quale ha dedicato gran parte della sua lunga attività di ricerca. Ma ora è la vita di Bruno, nella sua interezza e nella sua complessità, ad essersi imposta alla sua attenzione di studioso. «Perché la sua biografia, breve ma intensissima, fatta di peregrinazioni e di scoperte, è un caso esemplare della cultura italiana del Cinquecento, quando per gli intellettuali era normale girare l´Europa alla ricerca di una sistemazione adeguata - spiega Ciliberto - E soprattutto perché in Bruno vita e filosofia sono intrecciate in modo indissolubile, cosa di cui lui stesso era perfettamente consapevole». Il risultato di questa indagine sulle tracce del filosofo di Nola è la biografia Giordano Bruno. Il teatro della vita, che Ciliberto presenta domani a «Leggere per non dimenticare» (alle 17.30 nella Biblioteca Comunale di via S. Egidio 21; introducono Simonetta Camerlingo, Biagio De Giovanni e Gilberto Sacerdoti), insieme alle Opere mnemotecniche, curate da Marco Matteoli, Rita Sturlese e Nicoletta Tirinnanzi e uscite nell´edizione Adelphi diretta dallo stesso Ciliberto.
Quella sistemazione tanto agognata, Bruno non la trovò mai, in nessun luogo. «Ovunque andasse, subito nascevano degli scontri. Non c´era posto, nell´Europa del Cinquecento, per un post-cristiano, convinto che il cristianesimo fosse la religione della decadenza e che dovesse lasciare il posto a una filantropia universale basata sull´uguaglianza, e per un post-europeo che dalla sua idea della non centralità della Terra faceva discendere, coerentemente, la non centralità dell´Europa. Nell´epoca, tra l´altro, delle grandi conquiste coloniali». Ciliberto segue Giordano Bruno fin dentro la cella del carcere dell´Inquisizione in cui trascorse gli ultimi otto anni della sua vita, lungo le tappe del processo infinito «durante il quale Bruno fece di tutto per non morire, per trovare un compromesso» e che si concluse invece sul rogo in Campo de´ Fiori, «perché l´idea dell´abiura pubblica dei fondamenti del suo pensiero era per lui inaccettabile: poteva ammettere alcuni errori più o meno veniali, ma sull´infinità dell´universo, la pluralità dei mondi, il transito dell´anima umana da un corpo all´altro, non era disposto a trattare». Al fondo di questa vita tragica, «segnata da un´altissima consapevolezza del proprio valore ma anche dalla percezione di sé come perseguitato», resta insomma qualcosa di irriducibile e splendente: «Un nucleo di libertà - sintetizza Ciliberto - che è poi diventato un pezzo della libertà dei moderni».

La Stampa 20.5.07
La mente “messa in carica” dalla poesia
di Rosalba Miceli
qui

Liberazione 20.5.07
Una ricerca sulla realtà umana

Cara "Liberazione", la strada e il progetto proposti dal segretario romano, Massimiliano Smeriglio, per la città di Roma, mi trovano pienamente d'accordo. Se riusciremo a portare avanti questa unità d'azione delle sinistre nelle città e a livello nazionale, sono convinto che alle prossime politiche succederà qualcosa di storico. Vorrei dire, però, che i contenuti citati sono onesti, da perseguire, ma mi piacerebbe sentire qualcosa di nuovo. La domanda che vorrei fare è la seguente: la nuova sinistra che stiamo cercando di costruire può fare a meno di quell'ineludibile esigenza che si chiama "ricerca e conoscenza della realtà umana"?
Fabrizio Roma

Liberazione 20.5.07
XXI secolo. Se io fossi donna…

Caro Piero, se fossi donna potrebbe essermi successo di dover affrontare anche una sola volta nella mia vita la tragica esperienza di un aborto. Se fossi donna, mi arriverebbero quotidianamente i consigli, gli insulti, le accuse di una banda di uomini vestiti di tonache ora nere, ora bianche, ora viola, che per voto non si "accompagnano con donne" e che per sesso non possono aver sperimentato una gravidanza, né un aborto. Se fossi donna e avessi abortito, mi rivolgerei a un avvocato penalista per sporgere querela contro chi mi diffama e mi ingiuria accusandomi di omicidio, di barbarie, di terrorismo, di nazismo, soltanto per aver deciso della mia vita con consapevolezza e senza infrangere nessuna legge dello Stato in cui vivo… Se fossi donna, mi rivolgerei allo Stato italiano e gli chiederei di intervenire nei confronti di chi, da un altro Stato, si permette un'aggressione e una violenza simile contro di me e contro tutte le donne. Se fossi donna, sarei angosciata per quanto è gravoso essere donna nel XXI secolo.
Paolo Izzo via e-mail

Liberazione 20.5.07
On the radio
La mente che inganna se stessa

La mente che inganna se stessa. Per Giovanni Jervis è questa la ragione di molti conflitti che caratterizzano il mondo contemporaneo . Dallo scontro tra pensiero religioso e pensiero laico fino alla convivenza difficile tra culture diverse, sotto sotto c'è un pensiero storto. Pietro Greco ne parla con Giovanni Jervis, psichiatra e psicanalista, autore di "Pensare dritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali" (Bollati Boringhieri) domani alle 11.30 su Radio 3 Scienza. E ancora, la religione sotto la lente dello scienziato. In "Rompere l'incantesimo" (Raffaello Cortina), Daniel Dennett tenta di spiegare le credenze religiose come un fenomeno naturale, frutto dell'evoluzione. Con successo? Lo chiediamo al filosofo Orlando Franceschelli.

il manifesto 20.5.07
Tutto per la famiglia
di Alessandro Robecchi


Istruzioni per avere una famiglia serena. Prendi tuo figlio, lo fai pisciare in un bicchierino e gli fai il test antidroga che ti regala il sindaco di Milano Moratti. L'iniziativa, partita da An, si chiama «Parliamone in famiglia» (non si dice se prima o dopo il test). Comunque, ok, parliamone. Enzo Carra (teodem della Margherita): «Una proposta con un alto contenuto etico che si può rivelare utile a stimolare un rapporto con i figli». Che a lodare l'iniziativa siano i grandi sostenitori della famiglia tradizionale e i devoti del family day non stupisce: come sapete punire è meglio che prevenire, e soprattutto molto più divertente (la colpa, l'espiazione, il perdono... ci sguazzano da secoli!). Le aperture del ministro della sanità hanno fatto il resto. Livia Turco: «Idea interessante».
Bene, direi che ci siamo, non facciamola tanto lunga e passiamo alle prossime mosse.
Telecamere di sorveglianza nella cameretta. Uno strumento di dissuasione e di controllo irrinunciabile. Livia Turco: «Idea interessante».
Irruzione al media center. Corsi di informatica per genitori, perquisizione al computer del figlio e sequestro di materiale sensibile (porno, gol di Totti, istruzioni per costruire la bomba atomica). Perquisizione settimanale a sorpresa del telefonino.
Cane lupo antidroga. Con una media di due test antidroga al mese, la faccenda vi costerà circa 500 euro all'anno (il primo ve lo regalano per farvi prendere il vizio, ma gli altri li pagate). A questo punto, non converrebbe usare un cane lupo addestrato dalla Guardia di Finanza? Livia Turco: «Idea interessante».
Tute arancioni. L'idea del comune di Milano di spedire tute arancioni come quelle dei detenuti di Guantanamo alle famiglie con figli adolescenti, ha creato scalpore, soprattutto tra gli stilisti. Essendo tutti gli adolescenti vestiti con tute arancioni farete fatica a riconoscere chi entra e chi esce dalla cameretta di vostro figlio. Meno male che avete messo le telecamere! Idea interessante.

il manifesto 20.5.07
Una nuova geografia con la scomparsa del limbo
di Filippo Gentiloni


Vale la pena di riflettere su alcune recenti prese di posizione del magistero vaticano: qualche cosa sta cambiando proprio sulla «geografia» dell'al di là: la rinuncia, ormai esplicita, all'affermazione dell'esistenza di un «limbo» per i bambini morti senza battesimo (si pensi al canto IV dell'Inferno di Dante). Bambini che, però, sarebbero persone umane come ripete l'attuale polemica cattolica contro l'aborto.
Allora, quale la loro sorte nell'al di là? Due le strade che i cristiani dei secoli scorsi avevano battute. Una preferiva negare la vera natura umana di un bambino concepito ma non arrivato alla nascita. Di persona umana - sosteneva anche Tommaso d'Aquino - si poteva parlare soltanto dopo qualche mese di vita.
La seconda via aveva inventato il limbo. Un «luogo alternativo sia all'inferno che al paradiso. Niente pene, ma all'eterna beatitudine, secondo la teologia, non si poteva accedere senza la "grazia" del battesimo. Una soluzione quella del limbo, a dir poco, artificiosa, che oggi il Vaticano dichiara insostenibile» (il testo su La Civiltà Cattolica del 5 maggio 2007).
Ma le perplessità non mancano. Le propongono gli stessi numeri: i bambini morti prima della nascita e dell'uso di ragione sono una quantità enorme: un paradiso, dunque, affollatissimo? Una nuova geografia che ci può far piacere, corrispondendo bene alla misericordia e restringendo, invece, lo spazio del male e della pena. Ma come collegare questo paradiso ai dogmi della «grazia» e alla necessità del battesimo?
Forse bisogna ancora una volta distinguere l'immortalità (pagana) dalla resurrezione (cristiana; e per chi?).
Un notevole ridimensionamento della dottrina cattolica sembra inevitabile. Più spazio, dunque, alla discussione e alla interpretazione. Anche al dubbio. Grazie alla vicenda del limbo e alla sua scomparsa.

l’Unità 20.5.07
Prendere e lasciare
di Furio Colombo


La grandezza della Chiesa sta in questo: fra qualche anno la piazzata sulla famiglia sarà come non fosse mai avvenuta. Chi insistesse con il ricordo di quel macigno buttato sul percorso cauto e civile di un governo eletto sarà redarguito come un disturbatore e pregato di smetterla. La Chiesa sarà passata avanti, impegnata di nuovo in grandi ideali come la povertà, la pace e il rispetto per le persone. Non so se esiste un anticlericalismo cronologico. Se esiste, eccomi qua.
Giovanni XXIII ha illuminato il mondo. Giovanni Paolo II lo ha guidato contro leader opportunisti e mediocri e non ha mai smesso di gridare pace. Non aveva le braccia aperte del Papa del Concilio Vaticano II, era severo con i credenti, chiaro anche nelle enunciazioni difficili da accettare. Mai avrebbe fatto politica dal palchetto dei comizi locali, per sottomettere un popolo e umiliare chi lo rappresenta al Parlamento e al governo.
Fatemi ricordare Paolo VI. Aveva visto i miei documentari sul Vietnam (specialmente quello dei bambini di Bien Hoa).
Di ritorno da uno dei viaggi in Vietnam, appena giunto all’aeroporto, mi hanno fatto sapere che desiderava un incontro. Era notte ma il Papa era in piedi, ansioso e attento. Voleva avere notizie dirette di una guerra che lo angosciava. Conosceva e rispettava il giornalista e sapeva benissimo che non parlava a un credente.
In quella Italia che spesso ricordiamo con sarcasmo, Ettore Bernabei, allora Direttore generale della Rai, dava il via libera ai miei “TV 7” sulla guerra (veniva a vederli di persona) che i governi di allora ritenevano “tendenziosi”. Era vero. Amando - come amavo e amo l’America - ero con l’America della pace contro la guerra nel Vietnam. I cattolici che avevano fatto quella scelta sostenevano, anche a costo di scontrarsi con i Buttiglione di allora, questa scelta senza domandarsi se e a quale organizzazione o partito o cultura fosse legato il giornalista a cui consentivano di parlare.
Del resto quasi dieci anni fa Giovanni Paolo Secondo mi ha fatto chiedere di aprire un convegno Vaticano sul cinema e mi è stato affidato il tema «Moralità e cinema». Intendeva dire con chiarezza che non sono richiesti diplomi di fede e prove di sottomissione per chiedere a un laico (certo erano stati considerati i miei libri, i miei articoli) per parlare di moralità. Ha ricordato le sue esperienze teatrali, mentre si appoggiava camminando già con fatica, e ascoltava una voce diversa rispetto ai suoi incontri quotidiani.
***
La grandezza della Chiesa cattolica, che attraversa stagioni diverse e cambia, supera, si apre, si connette o riconnette col mondo in modo sempre nuovo cancellerà - ne sono certo - in un’altra stagione, la giornata triste in cui padri e madri presentavano alle telecamere i loro sei-sette figli e ad alcuni di noi tornava l’amaro ricordo del sillabario fascista della scuola elementare. Nel disegno si vedeva il tavolo della cucina, che si chiamava desco, alle spalle c’era la madia “dove la mamma conserva il pane che il padre ha tratto dai campi, con la pioggia, col sole, con la fatica”. I figli seduti al desco erano una decina. La didascalia diceva «il Signore vede e provvede». E la poesia della pagina, ricordo, era questa: «Cura i bambini/fila la lana/questa è la tipica donna italiana».
Giornata umiliante, dunque, di cui, per gentilezza e amicizia, pochi giornali stranieri hanno scritto. Quei pochi hanno intitolato: «La Chiesa cattolica mobilita i fedeli contro i gay, pacs, e unioni di fatto». Ma non più di venti righe per lo strano evento, un milione e mezzo “in difesa della famiglia”, quando tutta la letteratura del mondo, saggistica e narrativa, che conosce il profondo distacco unicamente italiano dei cittadini dalle istituzioni, sa e ripete da due secoli che una sola forza, un solo nucleo sociale resiste in Italia. Resiste con tanto vigore da sacrificare regole, leggi, doveri a quell’unica istituzione che è appunto la famiglia.
È vero, l’evento è esclusivamente politico (e per questo imbarazza il travestimento religioso). È vero, l’evento è stato preceduto e seguito da dichiarazioni di una durezza aggressiva mai sentita prima, dichiarazioni gratuite e sgradevoli (la mite legge dei Dico accostata ad aborto, eutanasia e pedofilia). Queste autorevoli dichiarazioni hanno creato - salvo che per gli opportunisti che prontamente si adeguano con le loro compagne di secondo, terzo, quarto letto che indosseranno l’uniforme d’obbligo: bikini coraggioso e croce ben visibile fra i seni - un problema di serena convivenza fra credenti e non credenti, fra gay e non gay (ricordate il dirigente dell’Arcigay milanese massacrato di botte in una pizzeria da due forzuti credenti poche sere fa?) fra chi si vanta dei sette figli tipo esodo del Polesine inondato, e sul modello raccomandato dal mio sillabario fascista. Chi non può avere figli certo ricorda ancora che, prima dei Dico, un’altra legge civile, dignitosa e democratica, quella sulla procreazione assistita, è stata resa impossibile dalla stessa mobilitazione di una folla bene organizzata contro lo Stato (c’è al suo posto uno straccetto di legge che invita a correre all’estero).
***
Ci dicono: «Bisogna ascoltare la piazza». Strano. Quando la piazza, altrettanto gremita, nella mobilitazione spontanea dei girotondi, protestava contro leggi ignobili, attentati alla Costituzione, illegalità sistematica, nessuno la ascoltava. Se mai c’era irritazione, fastidio, un po’ di disprezzo per chi si paga da solo il viaggio. Perché, chiedo a chi si prepara a fare il partito democratico, Nanni Moretti, che fa tutto da solo (in altri paesi si chiama “responsabilità del cittadino”) viene liquidato come uno scherzo e Savino Pezzotta che - come un personaggio di Collodi arriva alla testa di mille affollate carrozze prepagate - è la voce di Dio?
Perché è nobile - fino al punto di doverla “ascoltare” (vuol dire: zitti e fate quel che vi dicono) una piazza apertamente contro i diritti dei cittadini, mentre abbiamo disprezzato una piazza (meno esibizionista, certo, senza lo spettacolo dei padri pluri-procreatori esibiti in primo piano in televisione, con moglie stremata un passo indietro) che si era autoconvocata per la difesa della Costituzione, per condannare leggi ad personam senza alcuna riscossione dell’otto per mille ma solo per i diritti di tutti?
La risposta è semplice. Sono più forti loro. Non sto parlando di padri e madri con tutti quei figli spinti all’esibizione ma senza che nessuno abbia proposto qualcosa di concreto per loro. No, riconosciamolo, è più forte la Chiesa, nella stagione di guerra che ha deciso di sferrare all’Italia.
Passerà, mi sono sentito di predire. La Chiesa tornerà alla carità, al sostegno di poveri e dei deboli, al rispetto di ciascuna persona, anche non battezzata. E al rapporto di attenzione incoraggiante e amichevole verso la scienza. Anzi farà (lo ha già fatto altre volte in passato) inimmaginabili passi avanti, partecipando alla ricerca comune di nuove strade per un mondo che sta morendo.
Tornerà. Fra quante vite? Intanto siamo qui e guardiamo in faccia la realtà.
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Ma perché ne parlo oggi, mentre le notizie sono ben altre? Le notizie sono che è stato firmato un patto per la sicurezza fra la Repubblica Italiana e la signora Moratti, solo perché la signora Moratti ha visto in tempo la famosa “piazza da ascoltare”. Ha fatto scendere in strada sei-settemila militanti di Lega e Forza Italia e il gioco è fatto. Si ascolta la piazza e si decide che la sicurezza viene quando lo decide Moratti. Eppure tutti avevano detto che i reati, nella città della Moratti, sono in diminuzione, che Milano è una delle città più sicure in Europa. Ma adesso siamo chiamati a credere, attraverso la voce di due piazze organizzate, che non solo la famiglia è in pericolo, ma anche Milano.
La Moratti però è molto attiva. Ha inventato il “kit della droga” che vuol dire: compri l’arnese in farmacia e - come prova di amicizia, sostegno e fiducia per il tuo teenager - irrompi nella sua stanza, brandisci la confezione e gli annunci la “prova Pantani”. C’è qualche genitore che ha - o ha avuto - figli teenager, che non rabbrividisca di fronte a questa trovata? C’è. Livia Turco, mamma e ministro della Sanità ha detto, con stupore di chi la segue e la stima, un suo sì così precipitoso che ancora non si sa se sarà il ministero della Salute a somministrare direttamente il “kit” ai ragazzi a scuola. Fioroni, che non solo ascolta le piazze ma le guida contro le leggi proposte dal governo di cui è ministro, certamente ci sta. Nasce una nuova “arancia meccanica” in cui ci pensa il ministero a renderti buono per sempre.
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Cos’altro succede? Succede che il testamento biologico con cui un cittadino dispone, finché è sano, il limite che vuole dare alle cure estreme per essere tenuto in vita, sta saltando perché i cardinali sentono puzza di eutanasia. In un Paese in cui non si ha notizia di proteste e dissensi dei credenti per il corpo di Welby, a cui è stata vietata una benedizione in Chiesa, colpevole di avere troppo sofferto, il fiuto dei cardinali è sovrano. Notate l’evento per non dimenticare l’inizio (il lucido, rispettoso, bene organizzato lavoro del medico cattolico Marino, che presiede la commissione Sanità al Senato) quando si arriverà alla fine. Cioè niente. Cos’altro è in pericolo? Sono in pericolo, o meglio a fine corsa, i Dico, naturalmente, legge modesta ma decente, tessuta con pazienza dai ministri Pollastrini e Bindi, limata al punto da evitare che si parli di “reversibilità della pensione” nelle coppie di fatto, perché non si parli di una imitazione della “vera famiglia”.
Adesso i Dico stanno uscendo di scena. Lo ha detto Fassino a «Radio Anch’io», con sorpresa di tanti che per giunta sono in mezzo al guado, non più Ds e non ancora partito democratico. Ha detto: «Questa è una mano tesa a pazza San Giovanni. Savino Pezzotta dice di no ai Dico e vuole modifiche del Codice Civile. Parliamone». Parliamone. Fassino, su l’Unità di sabato, ha precisato: «Voglio salvare la sostanza dei Dico». Fa piacere sentirglielo dire.
Ma Pezzotta, portavoce di una immensa potenza che occupa l’Italia, non vuole i Dico perché non vuole diritti: vita, morte, accoppiamento consentito e procreazione spettano a questa Chiesa da combattimento e nessuno deve metterci le mani. Perciò, dopo avere ucciso i Dico, che almeno erano un simbolo e un riferimento, si uccideranno a una a una le modifiche, anche le più timide e modeste, del Codice Civile, come in una battaglia di Orazi e Curiazi.
Sarebbe stato più bello, io credo, presentarsi al Paese (cioè agli elettori) e dire umilmente: «Avevamo fatto una buona legge, ma non possiamo approvarla. Non abbiamo più i voti. Li ha bloccati il Vaticano che, per il momento domina la scena avendo deciso di governare - con la sua forza notevole - solo in Italia, visto che gli altri Paesi cattolici non stanno al gioco.
La Chiesa del mondo, insediata a Roma e impegnata nel rapido recupero del potere temporale in Italia, aveva detto «prendere, o lasciare», prefigurando la resistenza di un Parlamento e un governo orgogliosi che, pur di fronte a una immensa pressione, continuano a legiferare e a governare. Non è stato così. La parola d’ordine, adesso, sembra essere «prendere e lasciare». Si afferma un buon proposito, se ne fa una buona legge e appena i cardinali dicono no, tanto per stabilire chi comanda, si abbandona il progetto. C’è già un mucchietto di detriti ai piedi dei monsignori. Fra poco - è un fatto umano, succede così se cedi sempre - alzeranno il tiro. Vorranno molto di più.
furiocolombo@unita.it


Latina Oggi 20.5.07
Se torna Giordano
A Roma non sapevano...
di Luigi Cardarelli


«Sono reduce da un comizio a Latina dove ho scoperto che un senatore di Forza Italia becca anche un compenso in quanto presidente del Cda di Acqualatina. 100 mila euro l’anno». Franco Giordano, leader di Rifondazione comunista butta lì anche l’esempio pontino. L’intervista al «Corriere » è una sfuriata contro i costi della politica e un altro altare dove collocare l’immaginaria icona della questione morale. Noi da qualche tempo circumnavighiamo la politica, tentiamo di isolare qualche idea residua e osserviamo il ciarpame delle ambizioni. E altri, tanti in questa provincia che hanno voglia di buttarla a ridere e hanno a noia le parole che ti svegliano dentro, solo a sentire la questione morale vedono i fantasmi e sbarrano gli occhi. Perché fu quello il tempo degli esami di coscienza prima di riprendere le corse sfrenate e sentire, contenti, il rumore dei soldi. Che oggi anche Bertinotti condanna quando ordina ai questori del- la Camera di compiere una indagine sui costi della politica e afferma con candore che «una parte della rappresentanza politica deve essere gratuita come la militanza politica ». Venga qui da noi, presidente. Perché qui abbiamo studiato percorsi eccellenti, di corsa, la destra parsimoniosa non bada a spese, le società partecipate sono un eldorado e abbiamo difficoltà solo a capire l’origine, la sorgente misteriosa di una ricchezza che ci invade. E che vediamo, splendida e prepotente, in questa campagna elettorale affollata come per la festa del patrono, aspra come una guerra, ricca come una tombola. Perché, così come ha detto Giordano, a Roma non sapevano che il senatore Fazzone è anche presidente di Acqualatina. Ma anche coordinatore di Forza Italia, riferimento ampio e forte della politica e dell’economia nella zona sud della Provincia. Perché a Roma non sanno che abbiamo anche un certo Vincenzo Bianchi che è stato parlamentare di Forza Italia, è anche vice sindaco del capoluogo, assessore ai trasporti, vice coordinatore di Forza Italia, presidente di Latinambiente. I costi della politica li verificheranno i questori della Camera, noi qui li vediamo ogni giorno, abbiamo il privilegio del reality. Venga più spesso il segretario di Rifondazione il quale si meraviglia del nostro Consiglio di amministrazione delle Terme senza... Terme. Sappiamo fare anche di più: il partito dei costruttori, per esempio, puoi vederlo solo di profilo, incerto e non identificabile. Ma è nato e cresce perché qui abbiamo scoperto che si può fare tutto senza Piano Regolatore o ripescando le carte che prevedevano una città di duecentomila abitanti. Se Giordano sgrana gli occhi per Fazzone presidente, a noi resta il rammarico di non poter offrire il resto dello spettacolo. A Roma non sanno dei capolavori in cartellone nell’ultimo anno alla commissione urbanistica. E nessuno ancora conosce bene la struttura, la funzione, la... dinamica economica della SpA di Armando Cusani, un genio di ragazzo cresciuto da Sperlonga a Latina con una inclinazione naturale verso la politica dei... fatti e delle imprese. E a Roma non sanno che abbiamo mille candidati per quaranta posti in Consiglio comunale e un esercito in armi per le Circoscrizioni. Nessuno si azzarda a calcolare il volume di affari. Pensi, Giordano, che due candidati si sono annullati per quattro volte in un giorno a via del Lido occupando tutti gli spazi. Uno sull’altro, una barca di soldi, un mare di imbecillità. Non vorremmo, insomma che a Roma pensassero di conoscere il meglio e il peggio del mondo. Qui il laboratorio nato nel ‘93 non ha prodotto capolavori ma curiosi prodotti e tipi della politica cosiddetta «applicata». E accadono fatti che a Roma Giordano o Bertinotti non capirebbero. Qualche sera fa un candidato ha svegliato il quartiere Nicolosi e ha promesso mille lampadine. Proprio così. Gli episodi minimi danno la misura della questione che nessuno vuole chiamare morale. E se azzardi a dire qualche concetto che somigli vagamente alla politica diventi un sovversivo. Dell’ordine immorale costituito. Non sanno a Roma, per esempio, che An, il partito che guida la città, è retta da un commiussario da quasi tre anni. C’era Pedrizzi, c’è Moffa. E non sanno perché. Giordano, venga più spesso da noi. E al Senato cerchi Fazzone. E’ uno che sa.

sabato 19 maggio 2007

l’Unità 19.5.07
AnnoZero darà il video su preti pedofili?
Santoro vuole acquistare il film della Bbc
Ma trova ostacoli dentro la Rai


ANATEMI Chissà se potremo vedere ad «AnnoZero», la trasmissione di Michele Santoro, il video della Bbc dal titolo scottante: «Sex crimes and the Vatican»?
Un filmato che racconta i casi di pedofilia (accertati) fra gli ecclesiasti, e che attribuisce a Ratzinger, non ancora Papa, la responsabilità di aver coperto lo scandalo internazionale.
Una testimonianza che, a quanto sembra, potrebbe avere delle difficoltà a entrare a Viale Mazzini. Michele Santoro, intenzionato a dedicare presto una puntata a questo tipo di crimini, avrebbe chiesto alla Bbc di poter acquistare il filmato. Nulla da eccepire da parte della televisione pubblica britannica, disposta a vendere il suo prodotto che, del resto, ha già fatto il giro del mondo (ed è visibile sul portale Youtube).
Meno facile sembra che sia l’accesso nella Rai, e soprattutto il via libera perché il video sia mandato in onda. In realtà Santoro potrebbe procedere autonomamente, in quanto ha la qualifica di direttore (ad personam) ed è responsabile editoriale di AnnoZero, in onda il giovedì su RaiDue alle 21.
A poter bloccare l’operazione, semmai, potrebbe essere il direttore generale. Ma sotto di lui sembra che sia stata messa in atto una catena di impedimenti burocratici. Certo qualche imbarazzo potrebbe averlo il vicedirettore generale, Giancarlo Leone, in quanto membro del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali.
Nessun divieto diretto sarebbe arrivato a Santoro, piuttosto sembra si tratti di un rimpallo di competenze e responsabilità tra le varie strutture (dall’ufficio acquisti al direttore di RaiDue, Antonio Marano) per rendere difficile l’acquisto del video e la sua messa in onda su RaiDue. Ognuno sembra non voler avere a che fare con materiale così scottante, dicono, tantomeno il direttore del Tg2, Mauro Mazza, che non ha voluto accollarsi neppure la trasmissione. Un programma di informazione come AnnoZero, infatti, in periodo di par condicio deve sottostare a una testata giornalistica. Così la «palla» Santoro è rimbalzata al Tg3 di Antonio Di Bella, che ha accettato di farsi carico del talk show e, a quanto sembra, non avrebbe nulla in contrario a mandare in onda «Sex crimes and the Vatican». n. l.

l’Unità 19.5.07
Spinte e insulti: alla fine vietata la lezione revisionista
Tensione a Teramo per la conferenza di Faurisson
La comunità ebraica: evitato uno scempio
di Massimo Franchi

È FINITA tra schiaffi e strattoni, tra provocazioni e risposte. Il viaggio italiano del negazionista francese Robert Faurisson è durato poche ore. In una Teramo incredula e spaventata, il professor Claudio Moffa - «organizzatore» della lezione revisionista - è stato
duramente contestato e alla fine la Polizia gli ha proibito qualunque manifestazione pubblica, intimando a lui e Faurisson di andarsene alla svelta, scortandoli rispettivamente verso Roma e l’aeroporto di Falconara. «Ha tirato troppo la corda, siamo dovuti intervenire», fanno sapere dalla Questura della cittadina abruzzese. La cronaca di una giornata triste comincia con il solito colpo di scena del presidente del master «Enrico Mattei in medioriente». Organizza una conferenza stampa improvvisata nella centralissima piazza Martiri, dopo che l’università gli aveva letteralmete chiuso le porte in faccia. Davanti ai giornalisti accorsi, Faurisson ha la faccia rilassata e contenta. L’ottantenne ex professore di letteratura spiega subito perché: «Ciò che oggi succede qui sarebbe impossibile in Francia». Grazie a Moffa invece può snocciolare le sue teorie revisioniste sull’Olocausto. «Intanto i forni crematori. Se parlo di menzogna storica non intendo persone che mentono. Sono vittime esse stesse della menzogna storica che ha una lunga storia. Le pretese camere a gas di Hitler e il preteso genocidio degli ebrei, formano una sola ed unica menzogna storica che ha permesso una gigantesca truffa politica e finanziaria di cui il principale beneficiario è il sionismo internazionale e le principali vittime sono il popolo tedesco, ma non i suoi dirigenti, e il popolo palestinese tutto intero».
Parole che pesano come pietre. Specie per una cinquantina di esponenti della comunità ebraica arrivati da Roma con le loro auto. Gli animi si scaldano, la contestazione diventa parapiglia e uno schiaffo raggiunge Faurisson. Moffa si mette in mezzo e, le parole sono sue, è «strattonato perché mi sono interposto tra gli aggressori e Faurisson ma ho subito restituito lo strattone. Poi è intervenuta la polizia». Le forze dell’ordine fermano due cinquantenni e li portano in Questura.
Ma gli animi si riscaldano di nuovo da lì a poco. Arriva Agostino Rabbuffo, segretario cittadino di Forza Nuova e fratello del vice sindaco di Alleanza Nazionale. Inizia a provocare i parenti dei deportati, apostrofandoli pesantemente. «Ti sembra democrazia dare schiaffi?». E poi sbotta: «E se io ti spacco il c... ?». Altro parapiglia, altro intervento della Polizia. Questa volta ad avere la peggio è il vice questore di Teramo Gennaro Capasso che, spintonato, cade e si frattura una spalla. Stavolta i fermati sono tre e sono più giovani.
Intanto Moffa e Faurisson vengono prelevati dalla Digos e allontanati. A pochi chilometri di distanza, alla pizzeria «Acquamarina» di San Nicolò al Tordino (l’unico locale che aveva dato la disponibilità ad ospitare la conferenza dopo il «niet» di almeno una decina fra alberghi e librerie), una cinquantina di neofascisti provenienti da tutto l’Abruzzo aspetta l’arrivo del professor Faurisson. Nessuno avverte loro della cancellazione e la delusione è tanta. La maggior parte hanno il cranio rasato e tatuaggi inequivocabili sulle loro idee. «Le camere a gas sono un’invenzione, le hanno costruite i russi», è la vulgata che va per la maggiore. «A scuola ci insegnano quello che fa comodo agli ebrei».
Se vanno alla spicciolata. La «battaglia di Teramo» è finita. La comunità ebraica traccia un bilancio. «Grazie all’intervento di Mussi - dichiara Riccardo Pacifici, portavoce romano - nel paese c’è stata una reazione. Ma che uno come Moffa possa ancora insegnare è uno scandalo».

Repubblica Lettere 19.5.07
Su Televideo della Rai un'istituzione anomala
di Matteo Pais


Genova. Sarò breve, perché in fondo si tratta di segnalare un dettaglio, chiamiamolo così, che ritengo però molto eloquente. Alla pagina 400 del Televideo Rai troviamo una rubrica dedicata alle istituzioni, e troviamo, cito testualmente, pag. 401 Camera dei Deputati; 416 Ministero dell'Interno; 413 Monopoli di Stato; 418 Cei (Conferenza Episcopale Italiana); 419 Istat; 476 Inps, etc.
Quale tra queste istituzioni è anomala, ovvero non è appartenente allo Stato? Come dicevo un dettaglio, una anche un segno di una questione grande.

il Riformista 19.5.07
Caro Piero, queste sono braccia alzate
di Paolo Franchi


Caro Piero, te lo dico con affetto: fatico a capacitarmi. Lascerei da parte la «questione vaticana» di gramsciana memoria. Che pesi assai è un fatto, che chiunque governi la debba tenere in conto pure. Ma qui nessuno propone di ridurre il papa e la chiesa al silenzio o di impedire ai parroci di farsi sentire fuori dalle parrocchie. Qui si parla di laicità della politica e dello Stato, di valori cioè che dovrebbero accomunare credenti e non credenti; e di allargamento dei diritti di cittadinanza. E tu, di questo sono certo, ne sei convintissimo: basta pensare a come ti sei battuto per varare il ddl sui Dico, anche se ben prima della grande manifestazione di piazza San Giovanni sapevi, immagino, che non aveva (particolare non trascurabile) alcuna possibilità di passare in Senato. Hai aspettato però San Giovanni (e naturalmente anche piazza Navona, a tuo giudizio minoritaria, laicista, e convocata soprattutto per mettere i bastoni tra le ruote a te e al Pd) per farci sapere che, a impiccarsi alla formula “o Dico o morte”, si rischiava di diventare subalterni. Bene, mi sono detto, adesso Piero ci dirà come fare (ancora Antonio Gramsci) a diventare egemonici. Poche ore, e ci hai spiegato come: sedendoti a un tavolo con Savino Pezzotta, che si è dichiarato disponibile al riconoscimento dei diritti attraverso alcune modiche al Codice civile, per vedere insieme quali articoli si possano modificare. Lo avessi sostenuto qualche mese fa, prima di intraprendere la lunga marcia dei Dico, prendendo atto che, per quanto siano nel programma dell’Unione, non c’è la maggioranza per approvarli, applausi certo non ne avresti presi, ma un po’ di comprensione per il tuo realismo politico la avresti sicuramente avuta. A sentirtelo dire adesso, dopo San Giovanni, non siamo esterrefatti solo noi rompiscatole del Riformista ma, credo, tanti tuoi compagni e tanti tuoi elettori che della promessa del Partito democratico assai più di noi sono convinti. Una «mano tesa» al popolo di piazza San Giovanni, come dici tu? Caro Piero, perdona la franchezza, ma queste sembrano di più braccia alzate. In segno di resa.

Corriere della Sera 19.5.07
E Bertinotti cancella il comunismo dalla sua rivista
Secondo Fausto Bertinotti «bisogna avere il coraggio di rischiare».
E lui rischia, toglie dal proprio vocabolario il termine «comunismo», gli dice addio
di Francesco Verderami


La svolta nelle bozze della sua rivista, «Alternative per il socialismo»: Bertinotti abbandona la parola «comunismo» e la sostituisce con «socialismo», «il possibile approdo» della sinistra alternativa

Bertinotti si accomiata dalla parola «comunismo», l'abbandona, non la cita più, e la sostituisce con «socialismo», definito «il possibile approdo» della sinistra alternativa. Per ora la svolta sta nelle bozze della sua rivista,
Alternative per il socialismo, ma è chiaro che l'orizzonte è più ambizioso, che prima o poi a parlare non sarà più il «direttore» Bertinotti, ma il leader storico di Rifondazione. Solo che per arrivare al «possibile approdo» non vuole usare scorciatoie, «è necessaria un'operazione culturale che stia distante dalla quotidianità politica», ha spiegato il presidente della Camera alla sua redazione: «Altrimenti già lo vedo lo scontro tra apparati, la diatriba sugli organismi dirigenti... No, il progetto farebbe la fine del Partito democratico».
Se Bertinotti ha deciso di fare il primo «strappo» attraverso le pagine del suo bimestrale, è perché vuole preparare il gruppo dirigente al distacco da una simbologia che costringe l'area radicale in un recinto angusto.
Solo così potrà sfidare il futuro Pd, «ambire anche a superarlo nei consensi». Mentre progetta l'«Epinay» della sinistra alternativa, racconta di quando «poco più che ventenne fui chiamato a scrivere un pezzo sull'unità sindacale per la rivista di Lelio Basso, Problemi del socialismo». Non a caso il nome del nuovo periodico — che uscirà il primo giugno da Editori Riuniti — incrocia da una parte l'esperienza di Alternative,
foglio culturale del Prc, e dall'altra richiama lo storico giornale di uno dei fondatori del Psiup.
Parla del futuro usando insegnamenti del passato: «Noi siamo per il socialismo di sinistra, non saremo mai socialisti di sinistra». Ragiona sulla «crisi contemporanea della politica italiana» e la misura accostandola alla Francia, «perché la sera in cui ha vinto Nicolas Sarkozy, vedendo le immagini di place de la Concorde in tv, mi è venuta la pelle d'oca»: «Avete notato il suo gesto, la mano tesa a quella parte del Paese che non l'aveva votato e che era stata quindi sconfitta? Lì c'era il senso dello Stato». E certo nessuno a sinistra potrà dubitare di Bertinotti, «però ci sarà un motivo se Max Gallo è rimasto affascinato da Sarkozy».
Insomma, in Francia c'è stata una rivoluzione, a destra. Lui vorrebbe farne una in Italia, a sinistra. Comincia con carta e penna, scrive dell'Europa sfruttandola come metafora. È vero, il presidente della Camera si sofferma sul «vuoto politico» nel Vecchio Continente, ma la sovrapposizione con i problemi nazionali è evidente. Accenna ai «conflitti di sistema», e scorge i limiti della rivolta nel 2005 delle banlieues francesi, «perché questo genere di proteste blocca la capacità degli oppressi di organizzarsi». Poi però, quando nella critica al capitalismo attacca «le classi dirigenti e gli economisti» che «badano solo alla crescita del Pil», si scorge un riferimento alla polemica italiana sul tesoretto, che sta dilaniando il centrosinistra.
Come non bastasse, sostenendo che «la sfida radicale su lavoro e diritti sociali riguarda direttamente la politica e non solo il sindacato», Bertinotti avvisa che «per entrambi è in causa la loro stessa esistenza». Ed ecco che il caso italiano prende il sopravvento, sta nel passaggio in cui il «direttore» descrive l'avvento di «tentazioni neopopuliste», i processi di «spettacolarizzazione e personalizzazione» che «marginalizzano i partiti o li riducono a mero ruolo di supporto», mentre «avanza la centralità dei governi». Aveva promesso che sarebbe stato «per nulla ortodosso», e infatti non scarica solo sulla destra la responsabilità dell'antipolitica: «Anche a sinistra si manifesta una crescente propensione a mutarsi in antipolitica». Bertinotti non la demonizza però, dice che «vista la profondità della crisi, la rinascita della politica non potrà fare a meno di una certa dose di antipolitica».
Ma a fronte di una «mutazione» della sinistra socialdemocratica, l'unica risposta dell'area radicale «per colmare il vuoto» sarà dare «un'adeguata organizzazione ai movimenti»: «Come sinistra alternativa in questi anni abbiamo investito nel movimento. Un'opzione che per un po' ha consentito di ridurre il vuoto della politica e forse anche il gap tra la società e la politica. Ora però l'andamento si è fatto più carsico», anche se «i movimenti non si sono esauriti». Ma questo «magma non può costituirsi in alternativa se non incontra la politica e un'adeguata organizzazione». Serve pertanto «un punto di partenza», che Bertinotti vede nel richiamo alla «questione del socialismo».
Ecco lo «strappo». E sarà pure il «direttore» a scrivere, ma sembra già di sentire il discorso che verrà del leader storico del Prc. Bertinotti per ora si limita a fare i complimenti alla sua redazione: «Siamo riusciti a non citare mai Romano Prodi e Silvio Berlusconi». Se per questo, non è stato mai citato nemmeno il termine «comunismo». «Bene così, dobbiamo guardare avanti».

Corriere della Sera 19.5.07
Dietro il malessere del Prc la tensione nell'alleanza
di Massimo Franco


F orse è azzardato concludere che si sta incrinando l'asse fra Romano Prodi e Fausto Bertinotti; e che Rifondazione comunista è tentata di smarcarsi da Palazzo Chigi. La stessa polemica che ieri ha diviso il presidente del Consiglio e quello della Camera sulle lentezze del Parlamento può essere letta in un'ottica istituzionale, non politica. La cosa non sarebbe meno grave, anzi: lo conferma la nota con la quale il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, invita a intensificare il lavoro legislativo e a cambiare i regolamenti. Ma risulterebbe meno dirompente per l'Unione. D'altronde, quando nell'autunno del 1998 il Prc affondò il primo governo Prodi, si parlò di suicidio del centrosinistra.
Bertinotti ritiene impensabile una replica di quella rottura. Eppure si avverte una tensione crescente. La domanda è se gli alleati considerino il Professore l'àncora a cui aggrapparsi, o che può farli sprofondare. È un'incognita che non riguarda soltanto il Prc. Circola, sotto voce, anche in altri partiti dell'Unione. Le ha dato corpo il brutto risultato delle amministrative siciliane, seppure poco indicativo sul piano nazionale. Ma l'attrito con Rifondazione colpisce per il rapporto stretto, e spesso discusso, con Prodi. Agli attacchi contro il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, segue ora la replica dura di Bertinotti al premier.
Prodi aveva sostenuto che sono le Camere a bloccare il governo. «Forse il presidente del Consiglio è fuorviato dalla scarsa dimestichezza con le aule parlamentari», lo ha rintuzzato Bertinotti. Il premier allora gli ha telefonato, sostenendo che ce l'aveva col centrodestra. Insomma, avrebbero chiarito tutto: al punto che rimane l'eco di una crisi istituzionale evocata soltanto dall'opposizione. Ma è netta l'impressione di una marcia indietro di Palazzo Chigi, accortosi di avere toccato un tasto pericoloso. E i contrasti sono destinati a riesplodere, benché non trovino sbocco. «Marette», ammette Prodi, «ce ne sono e continueranno ad esserci».
Silvio Berlusconi fa notare che, con lui a Palazzo Chigi, uno scontro con il presidente della Camera avrebbe «provocato un cataclisma». L'atteggiamento del premier, invece, è di banalizzare e minimizzare le tempeste, liquidando come «manfrine» le polemiche di alcuni ministri come Mastella. All'origine ci sono la convinzione e il calcolo prodiani di un centrosinistra obbligato a seguirlo; e incapace di esprimere una maggioranza e un governo alternativi. Ma col risultato che il viceministro dell'Economia, Vincenzo Visco, diessino, arriva a parlare di «leadership del Paese allo sbando». E avverte di non illudersi di «prendere voti dando un po' di soldi».
Insomma, sta diventando vistosa la distanza fra la percezione delle cose che Palazzo Chigi accredita, e quella di ministri e partiti. Qualcuno parla di «governo amico», a conferma che l'identificazione con Prodi è altalenante. Il vicepremier Francesco Rutelli critica «i troppi provvedimenti». Protesta perfino il ministro della Difesa. Arturo Parisi non ha gradito il silenzio del Professore sulla fine della missione in Iraq. «Ho cercato inutilmente traccia di quella vicenda nel bilancio del primo anno, e non l'ho trovata». Sarebbe il segno di una «mancanza di cultura della difesa». Detto ad un premier che rivendica discontinuità in politica estera, suona come uno schiaffo: per quanto da amico.

Corriere della Sera 19.5.07
1914 - 1945
Il libro di Enzo Traverso discute le interpretazioni delle tragedie a catena che sconvolsero il Novecento
di Aurelio Lepre


la Lunga Guerra. Illuministi contro romantici: alle radici dell'interminabile conflitto fra gli europei

Sul piano storiografico il tema della «guerra civile europea» combattuta nel XX secolo è certamente affascinante; su quello politico potrebbe essere ancora inquietante.
La definizione nacque in uno dei momenti più drammatici della storia d'Europa, nella Grande guerra che devastò il continente dal 1914 al 1918: come ricorda Enzo Traverso nell'opera densa e complessa che ha dedicato all'argomento ( A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Il Mulino), fu adoperata probabilmente per la prima volta dal pittore tedesco Franz Marc in una lettera scritta dal fronte. I grandi intellettuali di Francia, d'Inghilterra e di Germania, tranne, forse, Romain Rolland e pochi altri, in quegli anni non l'avrebbero accettata. Interpretavano il conflitto in corso come scontro tra civiltà e barbarie — e la civiltà era rappresentata dal proprio Paese e dai suoi alleati —, nel tentativo di dargli più nobili motivazioni. Thomas Mann, ricorda Traverso, lo considerò una lotta tra la Kultur,
intesa come civiltà, e la Zivilisation, civilizzazione (nel senso che le avevano attribuito gli illuministi), vista da lui come sviluppo di una modernità senza anima. Da buon patriota attribuì la Kultur alla Germania e la
Zivilisation alla Francia. Finita la guerra però, nel romanzo La montagna incantata, celebrò nel personaggio dell'illuminista Settembrini «l'intellettuale democratico, razionalista e progressivo», appartenente dunque più alla moderna Zivilisation che alla
Kultur.
Nel 1931 Ernst Jünger sostenne che quella guerra era stata un'Apocalisse in cui l'Europa aveva mosso guerra all'Europa: guerra civile, dunque, come conflitto interno a una stessa civiltà, tra due modi del tutto opposti d'intenderla. In questo senso, quella europea potrebbe essere paragonata anche alla guerra civile americana del 1861-65. Con l'enorme differenza che l'Europa sarebbe arrivata alla pace soltanto dopo una seconda guerra mondiale che, come rilevò ancora Jünger nel 1942, avrebbe superato, almeno sul fronte orientale, gli orrori di tutti i conflitti del passato e sarebbe stata, insieme, guerra di religione (nel senso di ideologia) e tra Stati e popoli. Jünger coglieva qui il carattere del tutto particolare della «guerra civile europea», paragonabile per questo aspetto a quella dei Trent'anni, che devastò l'Europa dal 1618 al 1648 e vide combattere i cattolici contro i protestanti, ma in una situazione resa estremamente complessa dall'esistenza anche di conflitti interstatali. Qualcosa di simile avvenne anche con la rivoluzione francese. I paragoni storici potrebbero continuare, senza peraltro rendere più chiara la definizione di «guerra civile europea», sintetica e suggestiva ma anche vaga e incerta, come nota Traverso.
Può essere intesa almeno in tre modi: lotta di classe tra borghesia e proletariato; scontro tra fascismo e antifascismo; contrapposizione, come scriveva Jünger, tra due modi opposti d'intendere la civiltà europea.
Questa si rifaceva a due differenti tradizioni sette-ottocentesche: l'illuministica e la romantico-nazionale. Traverso colloca l'antifascismo nella prima, ritornando più volte sui richiami degli antifascisti all'illuminismo; ricorda anche che l'intenzione di Goebbels di cancellare dall'Europa le conseguenze della Rivoluzione francese allargò e consolidò il fronte antifascista degli intellettuali. In questa prospettiva è possibile anche spiegare l'alleanza che, nel corso della guerra mondiale, si verificò tra il liberalismo e il comunismo. Erano tutti e due, rileva Traverso, figli dell'illuminismo.
È un'interpretazione fondata, ma bisogna evitare di collocarla all'interno di uno schema provvidenziale, proprio sia della storiografia liberale sia di quella comunista: Traverso evita questo rischio, per esempio quando nota che «la violenza nata dal regresso della civiltà si unisce, attraverso una singolare dialettica, con la violenza moderna e tecnologica della moderna società industriale». Si può anche osservare che non sappiamo se l'alleanza tra liberalismo e comunismo, decisiva per sconfiggere il nazionalsocialismo, si sarebbe ugualmente verificata se il dittatore tedesco non avesse rotto il patto di non aggressione con l'Unione Sovietica e non l'avesse invasa (e se gli Stati Uniti non fossero intervenuti, ma anch'essi dopo essere stati attaccati dal Giappone). È un dubbio angosciante, ma del tutto legittimo. La guerra civile spagnola che, in fatto di alleanze, prefigurò gli schieramenti del secondo conflitto mondiale, semplificando, rileva Traverso, il triangolo liberalismo-comunismo- fascismo nella contrapposizione tra fascismo e antifascismo, terminò con la vittoria del primo.
Traverso dà ampio spazio alle posizioni degli intellettuali, in pagine che sono tra le più interessanti dell'opera. Se però teniamo conto dello svolgimento reale della «guerra civile europea», soprattutto nella sua fase conclusiva, dal 1939 al 1945, vediamo che a deciderla non fu la superiorità di una visione del mondo su un'altra, tanto più che, nonostante si fossero momentaneamente alleati, il liberalismo e il comunismo rimasero inconciliabili e l'antifascismo non riuscì a farne una sintesi. La «guerra civile europea», allargatasi a conflitto mondiale, fu decisa dalla potenza militare e industriale degli Stati, e in primo luogo degli Usa e dell'Urss.
Si può concordare con Traverso quando scrive che alcune guerre civili devono essere combattute. Credo però che la sua affermazione sia valida soprattutto per quelle combattute all'interno di una stessa civiltà, per risolvere le sue contraddizioni, e nemmeno per tutte: non per la Grande guerra (Niall Ferguson e John Keegan ci hanno spiegato che poteva essere evitata), ma soltanto per quella del 1939-45, quando l'Occidente, di cui anche il fascismo era figlio, compì scelte definitive. Che dovrebbero consentire di affidare ormai alla storia anche la «guerra civile europea», impedendo che la politica, come pure continua spesso ad avvenire, alimenti per i propri scopi pericolose memorie contrapposte.


Liberazione 19.5.07
Il Cantiere e i rischi del Partito democratico, l'unità tra le forze antagoniste
Intervista allo storico torinese sul terremoto che sta scuotendo i partiti di governo
De Luna: «Suggerimenti per una sinistra del XXI secolo»
di Vittorio Bonanni


Giovanni De Luna, docente di Storia contemporanea all'Università di Torino, è uno degli osservatori più attenti della realtà politica italiana. La persona giusta insomma alla quale chiedere un parere autorevole sui cambiamenti in corso all'interno del centro-sinistra. Dalla prossima scomparsa dei Ds e della Margherita, con la conseguente nascita del Partito democratico, al tentativo di mettere assieme tutte quelle forze che non partecipano appunto all'iniziativa di Fassino e Rutelli, dalla sinistra Ds a Rifondazione.

Professor De Luna, mi viene in mente in questo momento un libro di Massimo D'Alema uscito dodici anni fa, Un paese normale , che auspicava appunto la trasformazione dell'anomalo sistema politico italiano in uno scenario più europeo, dove appunto da un lato poteva collocarsi la destra e dall'altro, evidentemente, un grande partito socialista o socialdemocratico. Non crede che proprio la nascita del Pd, del quale D'Alema è uno dei fautori, perpetua ad aeternum questa anomalia?
Le perplessità che io ho nei confronti del Partito democratico sono proprio rispetto ad una sorta di tara genetica che vedo nel suo processo d'impianto. Perché ho la sensazione che, orientandosi decisamente verso il centro, finisca obiettivamente per privilegiare chi al centro c'è già. La Margherita e gli altri soggetti dell'ex galassia democristiana, i quali naturalmente e senza nessuna forzatura occupano quella posizione, si trovano così oggettivamente ad essere privilegiati. Tanto da configuare, per gli ex Ds, il rischio di essere dei puri e semplici portatori di voti, rispetto a chi non ha sensi di colpa, a chi non ha un passato da rimproverarsi, a chi non deve prendere nessun tipo di distanza dalle proprie radici. C'è dunque tra i due partner che stanno contraendo questo matrimonio un'oggettiva differenza.

La ricerca dei padri di questa nascente formazione sembra rispecchiare lo scenario che ha appena descritto...
Per quanto mi riguarda, rispetto al mio osservatorio, la costruzione del pantheon va proprio in questa direzione: da un lato c'è chi, naturalmente, vede in De Gasperi il re di questo pantheon, e dall'altro chi si deve affannare a trovare appunto un pantheon all'interno del quale Craxi possa coesistere con Berlinguer.

Tutto questo lascia aperti degli spazi a sinistra. Che cosa pensa del tentativo di aggregazioni delle forze che non condividono l'operazione Pd?
Si configura per la prima volta nella storia d'Italia la possibilità di creare un partito esplicitamente di sinistra che copra un'area vasta di consensi elettorali, stimati intorno al 10-12%. Ma anche questo non è un passaggio né facile né indolore. Perché comunque i soggetti sociali e politici che coprono questa area devono in qualche modo anche loro imparare a far politica in senso diverso e ad intercettare consensi più ampi di quelli tradizionalmente legati alla propria base elettorale.

Tutto il centro-sinistra sta dunque attraversando un momento delicato e denso di incognite...
Il problema non si può configurare come una sorta di viabilità umana al traffico, di posizioni da occupare al centro, di divieto di svolta a sinistra, di sensi unici alternati. Qui c'è un problema di categorie. Io ho l'impressione che la dimensione post-novecentesca faccia molta fatica a filtrare nella realtà della sinistra italiana. Questi ondeggiamenti, queste spaccature, questi conflitti sono la spia di difficoltà che accomunano tutti, da D'Alema a Bertinotti, da Mussi a Diliberto. Va insomma riformulato un progetto che riveda le categorie del '900.

Per esempio?
Mi viene in mente la dimensione delle comunità locali, Serre, la Val di Susa, Vicenza. Queste realtà fanno i conti con una sinistra che ha alle spalle l'idea che la comunità locale appunto era da dissolvere perché ciò che contava era la grande dimensione di classe. Le comunità erano incrostazioni protonazionalistiche, segnate dall'egoismo particolaristico e dallo stretto riflettere i propri interessi specifici contro i grandi interessi collettivi della classe. Adesso passare ad accettare fino in fondo la logica di queste comunità è un salto pazzesco dal punto di vista concettuale e teorico perché nel dna della sinistra è assente il localismo, la comunità locale e ci sono invece i grandi aggregati, le grandi masse, le classi appunto. Da qui sorge la difficoltà di padroneggiare un registro unico di riferimento, oscillante tra l'esaltazione e l'esecrazione. Oppure penso all'emergenza criminalità e ordine pubblico. Anche in questo caso la sinistra non si è mai confrontata nei termini con cui si propone oggi in Italia il problema legato all'immigrazione e alla sicurezza. Sono tutti temi che appunto vanno affrontati marcando una forte discontinuità con le categorie ereditate dal '900. Però ho delle forti perplessità che si possa andare in questa direzione perché temo che tutto venga risolto sul piano delle formule politiche con poco spazio dedicato a questo tipo di rifondazione culturale. L'operazione del Partito democratico non è rassicurante da questo punto di vista proprio perché nasce più all'insegna di sigle politiche che si mettono insieme che sulla base di una progettualità evidente. E così anche la riaggregazione a sinistra è più un'ansia di occupare uno spazio lasciato libero che non una sorta di cambiamento concettuale.

Non crede però che le forze a sinistra del Pd abbiamo le carte più in regola per affrontare una situazione nuova?
Però il passaggio tra l'esecrazione e l'esaltazione è troppo brusco, troppo repentino. Nella tradizione comunista la comunità locale era qualcosa da combattere, rappresentava la resistenza all'industrializzazione. Adesso diventa di colpo qualcosa di positivo. Ma così non funziona, non ce la facciamo. C'è bisogno di qualcosa che in qualche modo recuperi anche la vecchia tradizione che guarda almeno con circospezione a questo tipo di fenomeni, perchè lì dentro precipita la resistenza alla globalizzazione ma anche il piccolo egoismo della comunità locale che comunque è un dato che il '900 ci ha lasciato. E ho l'impressione che in tutta la discussione che si è aperta queste ferite vengano poco tematizzate, privilegiando la realtà degli schieramenti e delle piccole rendite elettorali. Non si può, bisogna avere la forza di dissolvere queste rendite all'interno di un progetto più ampio.

La Stampa 19.5.07
Lettera a Don Milani
La sua utopia si è realizzata, purtroppo
Oggi nessuno sa più niente, né poveri né ricchi
di Paola Mastrocola


Caro don Milani, rileggere oggi il suo libro, mi creda, è illuminante e anche un tantino inquietante: ci aiuta a capire che la scuola di oggi è esattamente la scuola che voleva lei quarant'anni fa. Ma ci chiediamo se forse non sia per questo che non funziona più tanto: perché nel frattempo sono passati quarant'anni…

Dunque, nel suo libro Gianni era il figlio del contadino, Pierino il figlio del dottore. Gianni era definito un deliquente dai professori, perché «era svagato e non amava i libri». Pierino andava benissimo a scuola perché era uno dei «signorini esperti nel frigger aria». «Gianni non sapeva mettere l'acca al verbo avere, ma del mondo dei grandi sapeva tante cose». Nella Costituzione sta scritto che tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua, ma la scuola di allora «aveva più in onore la grammatica che la Costituzione». Gianni non sapeva esprimersi in una lingua corretta, perché «le lingue le creano i poveri ma i ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro, o per bocciarlo». Il ragazzino che scrive la lettera alla professoressa diceva che la scuola di allora era classista e razzista. La cultura, stessa cosa: era classista e razzista. Non c'era posto per i figli dei contadini. Perché non fossero sempre esclusi dall'istruzione, il ragazzino chiedeva di cambiare la scuola.

Chiedeva parecchie cose, tra cui: di non interrogare sulle poesie di Foscolo perché Foscolo scrive parole difficili, come inaugurare che vuole dire augurare male: «C'è scritto nella nota. Ma è una bugia. L'ha inventata il Foscolo perché non voleva bene ai poveri»; di non mettere più in programma l'Eneide, perché è scritto in una «lingua nata morta»; di non fare l'Iliade nella traduzione del Monti, perché «il Monti chi è? uno che ha qualcosa da dirci? uno che parla la lingua che occorre a noi?». Gianni, il figlio del contadino, è andato via da scuola a 15 anni e lavora in officina, «non ha bisogno di sapere se è stato Giove a partorire Minerva o viceversa. Nel programma d'italiano ci stava meglio il contratto dei metalmeccanici». Era il 1967. Quarant'anni dopo possiamo dirle che abbiamo esaudito quasi completamente le richieste di quel suo ragazzino, e questa notizia di sicuro le farà piacere; a parte il contratto dei metalmeccanici che non so se abbiamo messo davvero nei programmi (personalmente spero di no), per il resto sono sicura: studiamo abbastanza la Costituzione e pochissimo la grammatica; siamo completamente indifferenti alle acca del verbo avere; non bocciamo quasi nessuno; il Foscolo lo facciamo poco, giusto al triennio dei licei; e il Monti nessuno più sa chi sia perché abbiamo approntato meravigliose versioni in prosa dell'Iliade, scritte in uno stupendo stile quotidiano corrente. Più o meno la lingua che usiamo per andare a comprare il pane. Il problema è che, così facendo, qui da noi nessuno sa più niente e nessuno ha più voglia di studiare. Nessuno, né i poveri né i ricchi. E questa seconda notizia non so se le farà piacere. Viste le condizioni in cui siamo, mi sono fatta l'idea che sarebbe il caso di ripristinare l'Iliade del Monti. E anche di studiare molto il latino proprio perché è una lingua morta, e fare molta grammatica, e leggere molto Foscolo con le note (come può dire che non amava i poveri, cosa significa?). Mi scusi se oso dirle queste cose, ma sa, l'Iliade del Monti è infinitamente più bella di tutte le versioni piatte e prosaiche che noi (demagoghi e vigliacchi!) ci siamo inventati per rendere Omero a portata di tutti; e i ragazzi lo sanno: tra un pezzo del Monti e un pezzo del traduttore postmoderno non hanno dubbi, scelgono il Monti.

Ma soprattutto sarebbe bene tornare alla sua Iliade proprio perché è difficile, e i nostri giovani hanno ora più che mai bisogno di incontrare la difficoltà, dal momento che vivono in un mondo dove tutto è diventato facile e dunque tremendamente insignificante e ben poco gratificante. Io non lo so perché la letteratura sia stata giudicata così elitaria e impopolare e poco democratica, ma non lo è, mi creda, e dovremmo una buona volta liberarci di questo sacro tabù mistificante. Non possiamo continuare a offrire ai giovani del cibo premasticato, con l'idea che così fanno meno fatica e ci arrivano tutti. Questa è finta democrazia. E soprattutto produce due cose: ignoranza e un'infinita tristezza (un panino al prosciutto sminuzzato e ridotto in pillole non sa più di niente, è vomitevolmente sciapo: lei lo mangerebbe mai?). Fatica, difficoltà e bellezza sono le cose che dobbiamo reintrodurre nella scuola. Solo la fatica di spaccarsi la testa su un libro difficile renderà i nostri giovani culturalmente forti, e quindi preparati ad affrontare la vita e il lavoro.

E solo la bellezza (delle parole del Monti, per esempio!) li convincerà che vale la pena di farla, quella fatica. Io lo so che lei è stato molto amato perché dava voce ai poveri contadini e ai loro figli, esclusi dalla cultura classista dei Pierini figli dei ricchi dottori e professori. E così era logico che fosse (anche se mi disturba un po' veder grondare a ogni riga del suo libro tanto odio di classe…). Allora, forse, era anche giusto. Ma credo che oggi lei scriverebbe un altro libro, molto diverso, perché vedrebbe con chiarezza che è proprio la finta democrazia del dumbing down (è una parola inglese che usiamo per dire la semplificazione eccessiva di tutto) a creare diseguaglianza sociale, privilegiando i ricchi ben forniti di denaro e relazioni utili, e togliendo ai poveri la loro unica arma possibile: un'istruzione alta; è proprio in questa scuola rasoterra che vincono i Pierini più e meglio di prima, stracciando i Gianni 10 a 0, e per di più senza fatica alcuna. E lei questo non l'avrebbe voluto. Sì, credo che oggi lei sarebbe il primo a invertire la rotta.

il manifesto 19.5.07
Sd. L'organizzazione
Sedi, risorse e mezzi di comunicazione
di Lo. C.


Mentre costruisce la sua agenda politica dando un ordine ai contenuti - lavoro, ambiente, politica internazionale e pace, welfare, riforma della politica (e "questione morale", avrebbe detto il nume tutelare Enrico Berlinguer) - la Sinistra democratica si struttura. Al Parlamento europeo, dove i Ds si sono ridotti a 6 a tutto vantaggio della Margherita, in seguito al meccanismo delle dimissioni, Sd ha 4 deputati, 5 se si aggiunge Occhetto. Lilly Gruber è indipendente e un'altra eurodeputata non ha ancora scelto. Al Senato, capogruppo Cesare Salvi, sono in 12 , due di area Angius e alla Camera 21 (o forse 22), capogruppo Titti Di Salvo. Da questa settimana sono disponibili 100 mila tessere della nuova formazione: «Non siamo insensibili alla domanda che ci arriva da tutt'Italia», mi dice con una battuta uno dei coordinatori. 6 mila iscrizioni sono già state raccolte all'assemblea del 5 maggio e un migliaio sono arrivate attraverso il sito. Perché le tessere on-line? Non sarà una forma dello svuotamento della politica? E' vero il contrario, rispondono, «non tutti sono interessati a un rapporto con la classica sezione di zona come al tempo del Pci. Molti, soprattutto giovani, chiedono di partecipare diversamente. Lavorando in gruppi tematici, scrivendo sul sito, proponendo temi di ricerca e lavoro politico. Per questo chiedono che la tessera sia spedita a casa. Abbiamo risposto ok, sei nella newsletter , a ci ha mandato nome e cognome». Una rottura è pur sempre una rottura. Anche se i promotori di Sd intendono ridurre al minimo i conflitti, facendo proprie le parole nobili con cui Fabio Mussi ha concluso il suo intervento al congresso: «Si aprono due fasi costituenti. Sarebbe bene un doppio successo. Buona fortuna, compagni». Con il dovuto fair play, ora bisognerà arrivare alla suddivisione del patrimonio. Le sedi, i n n a n z i t u t t o . Cosa riuscirà a portarsi a casa la nuova formazione, prima ancora che i Ds affrontino il nodo ancor più spinoso dell'unificazione con la Margherita? Se ne occuperà una commissione in una trattativa che sta partendo. Ci sono sezioni in cui Sd ha vinto il congresso, altre in cui le sedi sono ancora condivise (ai Parioli, a Roma, si alternano le riunioni dei Ds e di Sd). In molte sezioni, invece, prevale lo sconcerto, cioè la paralisi. La vicenda è resa più complessa dal fatto che molte sezioni (Pci, poi Pds e Ds, domani Pd) ospitano movimenti vari, e nelle regioni rosse le Case del popolo. Ad Arezzo, nella mitica Casa del popolo «Aurora» - uno dei pochi luoghi di aggregazione della città - ci si interroga sul futuro. Un altro titolo della trattativa riguarda le persone. I funzionari politici devono scegliere, di qua o di là. Si tratta di uomini e donne che hanno maturato il Tfr e, magari, le buonuscite. C'è un pressing diessino su molti quadri orientati verso il nuovo movimento a restare, naturalmente in cambio di un'abiura. Oggi lo strumento principe della comunicazione della Sd è il sito che si sta trasformando in portale ( www.sinistra-democratica.it ). «Circolarità e rete», tutto passa di qui: costruzione dell'agenda politica, comunicazione classica tra centro e periferie, servizi al territorio. Almeno per ora, le tentazioni di bruciare il patrimonio in un quotidiano cartaceo sono più che minoritarie, anche perché non si può negare che la situazione finanziaria attuale è legata a una forte rappresentanza parlamentare di Sd, tutta da riconquistare in futuro. «Dobbiamo mettere in rete gli strumenti esistenti, non abbiamo bisogno di bollettini di partito, funzione ampiamente assolta dal portale», dicono nella sede dei gruppi in via Uffici del Vicario. I primi strumenti esistenti sono il mensile cartaceo Aprile e Aprile on-line a cui viene chiesta una «maggiore contaminazione». « Aprile nasce nella stagione di Cofferati - dice il direttore Massimo Serafini con i circoli vicini al Correntone Ds». Dopo la migrazione bolognese dell'ex segretario Cgil, il giornale è rimasto in mano a Famiano Crucianelli e al gruppo politico arrivato nel partito dall'esperienza del Pdup. Nessuno chiede che si trasformi in «organo» di partito, tant'è che il suo direttore non ha la tessera, anzi sta con il gruppo di ambientalisti che lavora nella Sinistra europea. «Stiamo cercando di costruire sinergie e l'abbinamento tessera Sd-abbonamento». Quando si parla di sinergie si finisce per parlare anche di manifesto , a cui viene chiesta una maggiore contaminazione: «Dobbiamo tutti provare a sparigliare».