martedì 22 maggio 2007

l’Unità 22.5.07
No, non è la Bbc. Ma la Rai rinuncia alla censura
Santoro potrà acquistare il documentario sui preti pedofili della tv britannica. Ma sarà sotto osservazione
di Natalia Lombardo


CENSURA PREVENTIVA? Sarà oggi sul tavolo del Cda Rai l’acquisto del documentario della Bbc sui casi di preti pedolifi avvenuti negli Usa, in Irlanda e in Brasile, richiesto da Michele Santoro per la sua trasmissione Anno Zero. Un acquisto che il condutore può fare senza alcuna autorizzazione, dato che per contratto rientra nelle sue prerogative, ma che la burocrazia di Viale Mazzini (sollecitata dai dirigenti più legati al Vaticano) ha finora ostacolato.
Nonostante le pressioni del centrodestra, sembra che il direttore generale della Rai, Claudio Cappon (tornato ieri da Nairobi dove ha inaugurato la sede Rai), non voglia porre una censura preventiva all’acquisto del video (per circa 20mila euro). E dalla concorrenza lancia una provocazione Enrico Mentana: «Se la Rai non lo vuole, il documentario della Bbc lo compriamo noi per Matrix». Del resto per la tv pubblica sarebbe un boomerang censurare il documentario della tv britannica modello di rigore (e richiesto da altre tv) tanto più che fino a ieri sera è stato visto nella versione sottotitolata in italiano da 463mila persone su Google e da tante altre su YouTube.
È probabile invece che il Dg Cappon intervenga sulle modalità della messa in onda: chiedere al conduttore una particolare attenzione all’equilibrio della trasmissione e degli ospiti (e nel mirino potrebbero esserci le vignette finali di Vauro). Se la Cdl all’esterno spara a zero (appoggiando la “scomunica” preventiva dell’Avvenire sul coinvolgiemnto dell’allora cardinale Ratzinger nella copertura dei crimini), nel Cda è da notare l’apertura di Giuliano Urbani. Il consigliere di FI stavolta dà ragione a Santoro: «Ha il “privilegio” di un contratto che lo obbliga a avere rapporti solo col direttore generale», e per la Rai «è impossibile impedire l’acquisto» del filmato, «sarebbe la prima volta che decidiamo di non comprare un video dalla Bbc per autocensura» (dall’archivio della tv britannica attingono anche Piero Angela e Minoli), fa presente Urbani. Sarà anche un laico, ma dalle parole del consigliere forzista si intuisce che il gioco è un altro: incastrare il Dg, pronto a coglierlo in un passo falso. Nessuna censura preventiva, dice Urbani, «semmai possiamo discuterne la messa in onda. E la responsabilità è di Cappon». Appunto, il Dg che il centrodestra nel Cda si prepara a sfiduciare (altro tema della riunione di oggi, ma un eventuale voto potrebbe slittare al 30, quattro giorni prima dell’assemblea dei soci che revocherà Petroni).
Il consigliere del Prc Curzi difende l’autonomia di Santoro e invita tutti ad «abbassare i toni», più cauto Rizzo Nervo, Dl: «L’ultima parola è del Dg». Il centrodestra in Cda potrebbe tirare fuori un altro check point nella direzione di Rai2. Non c’entra in questo caso la par condicio, della quale risponde il direttore del Tg3 Antonio Di Bella, dopo il rifiuto di Mazza del Tg2 ). Fece lo stesso Mimun da direttore del Tg2: Santoro in par condicio fu accolto da Longhi al Tg1.
La polemica è tutta politica. Il ministro Gentiloni chiarisce: «È un problema che riguarda la Rai, non certo il governo». Dai Ds un coro contro la censura, ma Fassino è cauto: «Quando si affronta una materia così delicata servono molta attenzione e prudenza». Parole che fanno abbassare i toni a Landolfi, presidente della Vigilanza, di An. (...)

Repubblica 22.4.07
Santoro vuol trasmetterlo a "Annozero", il direttore generale lo chiama. Fassino invita alla prudenza
Filmato Bbc, Cappon punta al rinvio dopo le elezioni
Il network di Londra autorizza i compratori a tagliare solo 10 minuti dei 40 girati
di Aldo Fontanarosa

ROMA - Tra Claudio Cappon e Michele Santoro c´è stata ieri una lunga telefonata. Il direttore generale, primo responsabile editoriale della Rai, ha spiegato al conduttore di "Annozero" di non essere contrario all´acquisto del documentario della Bbc sui preti pedofili. Non c´è un no pregiudiziale. La vera questione è quando e come mettere in onda il filmato. Cappon, intanto, confida in un rinvio. Questa settimana si chiude la campagna elettorale. Spostare il tutto alla prossima, a urne ormai chiuse, significa arginare una parte delle polemiche. Sempre Cappon, poi, è preoccupato di come la puntata di "Annozero" verrà costruita. Un documentario del genere, chiamando in causa la politica del Vaticano sulla pedofilia, richiede un dibattito a più voci: responsabile, pluralista.
Fin qui le preoccupazioni di Cappon che riecheggeranno nel consiglio Rai di oggi. Dall´altra parte, c´è un Santoro che rivendica una piena autonomia, e che chiede di fare solo il suo lavoro di giornalista. Complica la situazione una condizione che la Bbc pone prima di vendere il programma. La tv pubblica inglese, che lo mise in onda nel 2006, autorizza i compratori a tagliare solo 10 minuti dei 40 di girato. Nessuno, insomma, potrà imporre a Santoro la messa in onda di alcune clip del documentario: chi lo acquista deve poi rispettarne l´integrità narrativa.
Il caso è intricato. E certo peseranno sulla scelta finale anche gli umori dei partiti. Piero Fassino, segretario dei Ds, invita tutti gli attori alla massima prudenza: «Quando si affronta un tema così sensibile, ci vuole attenzione perché l´impatto di qualsiasi immagine, notizia o commento richiede equilibrio». Accanto a Santoro, in favore della messa in onda del documentario, ci sono invece altri parlamentari del centrosinistra. Dal verde Ripamonti al socialista Villetti («la Rai non è Radio Vaticana»), dal diessino Montino a Beltrandi della Rosa nel Pugno («si fa tanta confusione per una cosa già visibile in Internet»). Anche il consigliere Rai Curzi chiede di lasciare a Santoro una libertà totale. Mentre il centrodestra invita il giornalista ad evitare «deliri di onnipotenza». Ha ragione Fassino - dice Landolfi di An - «una cosa del genere si risolve solo con la prudenza».

Repubblica 22.4.07
IL DOCUMENTARIO
La tv inglese attribuisce all'attuale Papa il documento vaticano che imponeva il silenzio sulle violenze. Il giornale della Cei: a quel tempo era in Germania
"Preti pedofili, ecco le prove". "Solo calunnie"
La Bbc accusa Ratzinger: coprì gli abusi. L´Avvenire: nel ‘62 era un docente
di Silvia Fumarola

La vittima. Ogni domenica dopo aver abusato di me, mi lasciava a letto e scendeva a dire Messa
Il governatore. I sacerdoti fanno sparire i nomi degli stupratori.Questa è la mafia, non è la mia Chiesa
L’avvocato. Scrissi al cardinal Sodano di ordinare ai preti di rientrare Rimandavano indietro la posta
Il documento. Ratzinger non c’entra col Crimen sollicitationis: non era prefetto della Congregazione
Il Vaticano. Non voleva riportare gli atti a Roma per occultare ma per evitare condizionamenti
Il trucco. Il documento è stato presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco

ROMA - «Questo è padre Oliver O´Grady, un prete cattolico: la chiesa sapeva che era pedofilo». Comincia così il discusso reportage della Bbc "Sex crimes and the Vatican", il video più visto di Google. Trentotto minuti e 57 secondi. Un viaggio nell´orrore della pedofilia in Irlanda, Stati Uniti, Brasile. O´Grady racconta che gli piacevano i bambini, «ma non quelli grassi e neanche quelli alti, preferivo fossero i magrolini dei quali mi attirava la zona genitale, che una forza irresistibile mi costringeva a toccare». Un atto d´accusa durissimo contro il Vaticano, colpevole di aver insabbiato le inchieste, ostacolato la giustizia civile, trasferito i sacerdoti pur di coprirli, aver abbandonato le vittime. Sul banco degli imputati Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI. Secondo l´inchiesta della Bbc, era garante del Sant´Uffizio del Vaticano (oggi Congregazione per la dottrina della fede) che emise il Crimen sollicitationis, documento segreto del 1962 che istruisce i vescovi su come comportarsi coi sacerdoti accusati di pedofilia. Spiega il filmato (traduzione italiana a cura del sito Bispensiero.it) che «Ratzinger impose la direttiva per vent´anni e nel 2001 emanò il seguito del Crimen sollicitationis. Ma lo spirito era lo stesso, ribadiva la segretezza, pena la scomunica. Ne inviò copia a ogni vescovo. E ha aggiunto che le accuse devono essere vagliate solo dal Vaticano». Avvenire bolla la ricostruzione come «infame calunnia». Scrive l´editorialista Andrea Galli: «Nel 1962 Ratzinger non era prefetto della futura Congregazione per la dottrina della fede, essendo ancora teologo impegnato nella sua Germania. Un documento presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco, escogitato dal Vaticano per coprire reati di pedofilia».
Ferns, Irlanda. Colm O´Gorman, una delle vittime e volto dell´inchiesta, aveva quattordici anni quando fu violentato da Padre Fortune. «Ogni domenica, dopo aver abusato di me, mi lasciava nel suo letto, poi scendeva a dire la prima Messa e tornava ad abusare di me». Fortune venne trasferito. L´arcivescovo Comiskey lo cacciò dalla parrocchia e gli disse di andare in analisi. Dopo sei anni.
Un´altra vittima, Aiden Doyle, parlò con un altro prete che invocò il segreto confessionale. Padre Tom Doyle, esperto di diritto canonico, chiarisce come il Crimen sollicitationis «prescriva una politica di segretezza assoluta. Da nessuna parte c´è scritto di aiutare le vittime». «Solo Roma» dice lo speaker «può pronunciarsi sugli abusi sessuali sui minori». Ancora L´Avvenire ribalta la tesi spiegando che «è un segno della volontà romana non certo di occultare ma di dare il massimo rilievo a certi reati, riservandone il giudizio non a realtà "locali" potenzialmente condizionabili, ma a uno dei massimi organi della Santa Sede». Lo scandalo pedofilia nel 2002 travolge Irlanda e Stati Uniti (4500 preti accusati di violenze), i colpevoli vengono trasferiti di parrocchia in parrocchia. O´Gorman incontra Padre Wall, ex benedettino che ha lasciato il clero ed è al fianco delle vittime. Denuncia: «La maggior parte dei casi non fu mai scoperta, la Chiesa vuole che tutto sia messo a tacere. Aveva un budget di 7 milioni di dollari, nel ´96, per questi casi». Nel 2002 la Chiesa cattolica americana reagì allo scandalo istituendo il Comitato nazionale per il riesame. Il presidente Frank Keating, governatore dell´Oklahoma, paragonò la segretezza della Chiesa a quella della mafia: «I preti non obbediscono ai mandati di comparizione, fanno sparire i nomi degli stupratori. Questa è un´organizzazione criminale, non la mia Chiesa».
Rick Romley, celebre avvocato di Phoenix, ha fatto arrestare otto preti pedofili. Mostra le lettere tornate al suo studio. «Avevo scritto al cardinale Sodano, il segretario di Stato, per chiedere se poteva ordinare a questi preti di tornare in patria. Mi rimandavano la posta indietro col pretesto che il destinatario si era rifiutato di accettarla. Non aprivano nemmeno le buste».

Corriere della Sera 22.5.07
Fassino: preti pedofili Prudenza sul video
«Il filmato Bbc su Annozero? Bisogna avere equilibrio» Oggi la Rai decide se trasmetterlo. Forza Italia non dice no
di Paolo Conti

NEL CDA. Curzi è favorevole alla messa in onda, Staderini contrario

ROMA — Il dialogo tra Piero Fassino e il mondo cattolico continua. L'ultimo messaggio del segretario Ds ha come sfondo la polemica sul caso Santoro, ovvero sul possibile acquisto del video «Sex crimes and Vatican» da parte di «Annozero», un duro filmato sui preti pedofili che sarebbero stati protetti dal Vaticano e dall'allora cardinale Joseph Ratzinger.
Avverte Fassino: «L'argomento è tale che richiede da parte di tutti equilibrio e prudenza». Nessun suggerimento al vertice Rai: «Si tratta di una decisione che compete all'azienda. Quando si affronta una materia così delicata servono molta attenzione e prudenza perché l'impatto di qualsiasi immagine, notizia o commento su temi così sensibili richiede equilibrio e prudenza».
L'analisi è chiara: accostare il nome di Benedetto XVI alla pedofilia senza «equilibrio e prudenza» è un rischio. Non per niente, il giorno dopo il conclave del 2005, Fassino rilasciò un'intervista al «Corriere della Sera» in cui disse di Ratzinger: «Un uomo che certamente mi interessa. Ciò che dice e scrive, anche quando non condivisibile, è di straordinaria intensità etica e culturale. E coglie un punto che tutti oggi avvertono: il mondo non può vivere senza una scala di principi e valori etici».
La dichiarazione di ieri arriva dopo la svolta di Fassino sui Dico («il problema può essere risolto anche agendo sul codice civile») che ha scatenato le rimostranze di verdi, Sinistra democratica, Rifondazione e comunisti italiani ma ha avuto il plauso di «Avvenire ». E dopo l'«attenzione» con cui il segretario Ds ha seguito il Family day. Oggi c'è Mario Landolfi, presidente An della Vigilanza, a dar ragione al segretario Ds: «Giusto, sul filmato ci vuole prudenza».
Ma il filmato verrà trasmesso o no? Lo deciderà oggi il Consiglio di amministrazione della Rai. Intanto Enrico Mentana da casa Mediaset avverte: «Se la Rai non lo vuole, il documentario della Bbc lo compriamo noi per "Matrix"». Oggi il caso verrà prima esposto dal direttore generale Claudio Cappon e poi discusso. Le posizioni sono note. Sandro Curzi (area Rifondazione-Verdi) è a favore della sua messa in onda perché «Santoro deve decidere in piena autonomia», al contrario Marco Staderini (area Udc) ha già annunciato che si batterà in ogni modo per impedirlo. Però ieri si registrava da parte di Forza Italia quasi l'ammissione che la puntata si farà.
Dichiarazione di Elisabetta Gardini, portavoce del partito: «Se crede Santoro vada pure in onda, vada avanti, si svergognerà da sé, giudicheranno i cittadini italiani, la Vigilanza e il Cda Rai». Il consigliere Giuliano Urbani, stessa area di riferimento, ammette l'impossibilità pratica di non procedere con l'acquisto «per il contratto-quadro tra Bbc e Rai cui attingono abbondantemente anche Giovanni Minoli e Piero Angela. In Consiglio parlerà Cappon e annuncerà le decisioni». Perché l'ultimo responsabile editoriale dell'azienda resta sempre e comunque il direttore generale.

Corriere della Sera 22.5.07
IL CONDUTTORE
Santoro: caro Piero, faccio il giornalista La Rai servizio pubblico deve informare
di P. Co.

ROMA — Michele Santoro ha tra le mani l'agenzia di stampa in cui il segretario ds, partito cui il conduttore deve la breve permanenza a Strasburgo come eurodeputato, lo invita all'«equilibrio e alla prudenza». Ma poi Santoro fa Santoro, ovvero replica a bruciapelo: «Io penso che la Rai sia un servizio pubblico e che debba far circolare tutte le informazioni possibili e immaginabili.... Non si possono confondere le virtù di un politico con le virtù di un giornalista». In che senso, Santoro? «Nel senso che la vera finalità di un giornalista dev'essere il procedere con velocità e tempestività e portare a conoscenza del pubblico tutte le informazioni di cui viene in possesso... Quindi noi giornalisti dobbiamo essere prudenti ed equilibrati. Ma anche veloci e tempestivi». Santoro è esposto in queste ore su più fronti. Sul video sulla pedofilia (se la puntata si farà verrà allestita giovedì 31 e non dopodomani). Sulla polemica con Mastella, che gli attribuì un compenso Rai da un milione di euro (Santoro puntualizzò di aver presentato una dichiarazione dei redditi da 250 mila euro).
L'Udeur fa sapere che il conduttore ha querelato il ministro. Ma Santoro precisa: la citazione non è per aver reso pubblica la cifra dello stipendio ma per «aver diffuso notizie false sui suoi compensi e giudizi lesivi della sua dignità personale e professionale». Poi c'è un fronte di polemica interna, ma da sinistra.
A Raitre fanno sapere che già in autunno Milena Gabanelli di «Report» visionò il filmato ma decise di non acquistarlo perché poco affidabile. Infine lo scontro con il consigliere udc Marco Staderini, che lo ha invitato a rispettare le regole. Ieri la replica di Santoro: «La magistratura ha cancellato i provvedimenti disciplinari che mi erano stati inflitti con la sua approvazione durante il governo Berlusconi». «Annozero» andrà in onda anche l'anno prossimo? C'è già chi parla di un Santoro che dice addio al talk show in studio e si imbarca per l'universo dei documentari-inchiesta...

Corriere della Sera 22.5.07
IL «RIVALE»
Mentana «chiama» Mediaset «Compriamolo per Matrix»
di Maria Volpe

MILANO — Ha fiutato la notizia. Ha capito che poteva essere un «colpaccio» per il suo approfondimento di Canale 5. Per questo Enrico Mentana ha detto — riferendosi al video «Sex crimes and Vatican» — «se la Rai non lo vuole, il documentario della Bbc lo compriamo noi per "Matrix"». Quel filmato — che racconta di preti pedofili che sarebbero stati protetti dal Vaticano e dall'allora cardinale Joseph Ratzinger — è fermo lì: Santoro lo vuole acquistare per il suo «Annozero», ma la Rai è indecisa se trasmetterlo o no. Oggi deciderà.
Nel frattempo Mentana ha per l'appunto lanciato un sasso che — come sottolinea lui stesso — «è stato quasi più un modo per smuovere le acque. Perché se un documentario è sul mercato, non è da catacombe». Una censura preventiva che per ora potrebbe essere solo dei vertici di viale Mazzini, ma che domani potrebbe avere la firma anche dei gran capi di Cologno Monzese. Perché magari il presidente Mediaset Fedele Confalonieri o il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi potrebbero non gradire questa messa in onda.
«È vero, potrebbero — confessa Mentana — e io ascolterei le loro motivazioni, ne discuteremmo. Ma il punto non è questo, non è solo se mandarlo in onda oppure no. Il punto è come trasmettere un filmato del genere, con quali modalità. La questione è sempre sul come proporre le cose scottanti. Non è che siccome sono scottanti, si ignorano. Abbiamo trattato argomenti anche più spinosi. Io saprei come contestualizzare questo tema, come del resto saprebbe farlo Santoro. Senza dimenticare due aspetti: le nostre responsabilità sono forti, ma la gente non è sciocca e sa valutare tutto».
Certo è che questo argomento, viste le sue implicazioni politico-sociali, è ad alto tasso di rischio. Ragion per cui, almeno per ora e finché possono, i vertici Mediaset stanno alla larga dall'argomento. Si limitano a spiegare: «Va da sé che non trasmetteremo nulla che non risponda a criteri di obiettività e completezza. Detto questo preferiamo restare fuori da questa polemica che è tutta politica».
Certo è vero, attualmente la questione è ovviamente diventata politica: si terrà conto dei rapporti con il Vaticano o delle denunce giornalistiche? Oggi vedremo. Certo è che Mentana, per il suo «Matrix», ha sempre cercato di lasciare la politica fuori dalla porta, per questo prova a spostare il problema su un altro livello di discussione: «Se un documentario della Bbc diventa proibito, abbiamo finito di lavorare. Parliamo da sempre della Bbc come un esempio lontano da applicare, poi quando c'è l'occasione si scappa. Detto questo è evidente che il filmato va visionato, tradotto e valutato. Magari è opinabile e non ha senso trasmetterlo, magari no. È sbalorditivo perché stiamo discutendo tutti a proposito di qualcosa che nessuno ha ancora visto. Il nostro mestiere è mostrare le cose per poi discuterne. Se la Rai non acquista questo documentario, noi lo visioneremo. Non mi pare di fare la rivoluzione francese se dico questo».

Il Giornale 22.5.07
Bufera su Santoro: "Vuole diffamare il Papa"
di Adalberto Signore

Roma - Santoro insiste, mentre la politica continua a dividersi tra favorevoli e contrari alla messa in onda nel corso della trasmissione AnnoZero dell’inchiesta della Bbc Sex crimes and Vaticans sui casi di pedofila nella Chiesa. Con Mentana che rilancia, assicurando che «se la Rai non lo vuole» ci penserà «Matrix a comprare il documentario» e mandarlo in onda. E con il direttore generale di viale Mazzini Claudio Cappon che nella riunione di oggi del consiglio di amministrazione affronterà la questione, «proponendo - spiega Urbani, membro del Cda - le decisioni da prendere nel merito». Anche se, rileva il consigliere Rai, Sandro Curzi, sarebbe «francamente grottesco».
Se Cappon dovesse affrontare oggi la questione, spiega, «inviterò tutti ad abbassare i toni» e «lasciare al responsabile della trasmissione, come accade in tutte le democrazie, la decisione sulla messa in onda». Dopo giorni di polemiche, insomma, oggi si dovrebbe avere una prima indicazione sulle intenzioni della Rai, anche se ancora non è chiaro chi si prenderà la briga di decidere (se Cappon, il Cda o il direttore del Tg3 Di Bella). Intanto continua a infuriare lo scontro politico sull’inchiesta della Bbc che si occupa dei casi di pedofilia che coinvolgono preti cattolici americani, irlandesi e brasiliani e che, sostiene il documentario, sarebbero stati coperti dal Vaticano e in particolare dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI. Al punto che per l’occasione i capigruppo di Forza Italia, An e Udc in commissione di Vigilanza decidono di buttare giù una nota congiunta nella quale prendono decisamente di petto Santoro. Che - dicono Lainati, Butti e De Laurentiis - «è in pieno delirio di onnipotenza» visto che «alle critiche legittime dei consiglieri di amministrazione della Rai che gli contestano la faziosità della sua trasmissione» (il riferimento è a Staderini, ndr) risponde «confusamente, facendo finta di non capire e senza entrare nel merito» ma «lanciandosi in invettive giustizialiste contro i vertici dell’azienda». Il centrodestra, dunque, si schiera decisamente contro il conduttore di AnnoZero, con il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione che lo accusa di voler «diffamare il Papa» basandosi «su informazioni false e tendenziose». Parla invece di «servizio pubblico televisivo» ad uso e consumo di «una ristretta cerchia di anticattolici e antifamiglia» il capogruppo centrista Luca Volonté. Mentre il segretario della Dc per le Autonomie Gianfranco Rotondi invita Santoro a tornare sui suoi passi perché «in questo momento» trasmettere quel documentario avrebbe «più che un valore cronistico un significato ideologico».
Più netto il deputato azzurro Francesco Giro secondo il quale il conduttore di AnnoZero «vuole aggredire la Chiesa per motivi legati unicamente all’attuale vicenda politica nazionale». E di «atteggiamento gaglioffo» parla Elisabetta Gardini, portavoce di Forza Italia. Mentre il vicesegretario dell’Udeur Antonio Satta bolla il documentario della Bbc come «giornalismo spazzatura».
Nella querelle non vuole entrare invece il governo che per bocca del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni si chiama di fatto fuori perché «è un problema che riguarda la Rai non certo l’esecutivo». A differenza della sinistra, radicale e non, decisamente contraria a che Santoro sia sottoposto «all’ennesima censura». Se il segretario dei Ds Piero Fassino chiede «attenzione, equilibrio e prudenza» perché «sono temi sensibili» - argomentazioni che raccolgono il plauso del presidente della commissione di Vigilanza - Prc, Pdci, Verdi e Rosa nel pugno la vedono in tutt’altro modo e dicono «no alla censura preventiva» lamentando le «gravi e inaccettabili pressioni di cui è oggetto Santoro» (così il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio).
(...)

il manifesto 22.5.07
Santoro tira dritto sul film della Bbc Oggi il Cda della Rai valuta la censura
Anno zero potrebbe mandare «Sex crimes and the vatican» già giovedì. Il blogger che l'ha tradotto in italiano: «Nulla di organizzato. vogliamo solo che la gente sappia»
di Sa. M.

Roma. «Abbiamo avuto qualche ritardo nel perfezionare il contratto, ma chiaramente abbiamo tutto il diritto di comprare questo documentario. La trasmissione dovrebbe essere pronta se non per questa settimana, di certo per la prossima». Michele Santoro è uno abbituato alle tempeste. Anzi diciamo pure che gli piacciono. Dunque ieri pomeriggio lavorava tranquillo alla preparazione della puntata di Annozero che dovrebbe mandare in onda il clamoroso documentario della Bbc Sex crimes and the vatican, dedicato al ruolo delle gerarchie ecclesiastiche e dello stesso papa Ratzinger nella copertura della pedofilia nella chiesa cattolica, cercando di non curarsi troppo della slavina di polemiche che sta correndo verso la sua trasmissione. La strategia è l'unica possibile: continuare con il lavoro finché a pronunciarsi pro o contro non sarà chi è titolato a farlo. Altrimenti si va avanti.
Sul «chi» sia davvero titolato a decidere se un documentario come quello della Bbc possa essere mandato in onda, le opinioni sembrano le più diverse. Di certo un peso decisivo lo avrà il direttore generale della Rai, Claudio Cappon. Ieri Cappon non ha parlato, ma è chiaro che dovrà farlo oggi durante una riunione del Cda Rai che si annunciava già piuttosto tesa. Giusto una decina di giorni fa la destra, incassata la sfiducia di Padoa-Schioppa a Petroni, si preparava a dare l'assalto al suo scranno fra questa riunione e quella programmata per la prossima settimana. E se fino a qualche giorno fa sembrava che questo attacco fosse destinato a risolversi in poco di fatto, la nuova polemica sul «caso Santoro» ha riacceso gli animi di tutta la destra ponendo nuovamente Cappon sottotiro.
Stando al consigliere in quota Forza Italia Giuliano Urbani, dipenderà da come il direttore generale porrà la questione: «Cappon ci dovrà dire se la cosa dipende dal direttore di Rete, dal Cda o dallo stesso direttore generale». Se infatti in periodo di par condicio, come quello attuale, il programma di Michele Santoro, come tutte le trasmissioni informative, vengono ricondotte alla responsabilità della testata (in questo caso il Tg3), per Urbani «il problema è in realtà cosa è stato stabilito dall'azienda nel contratto con Santoro». In nessun caso infatti deve esserci un'eccezione». Sandro Curzi, di Rifondazione, sostiene che la polemica è «grottesca»: «Quel documentario è in Internet e l'hanno già visto, come me, centinaia di migliaia di persone». Dopo aver dato un colpo al cerchio - «I Ds parteciperanno al gay pride» - ed uno alla botte - «per regolare i rapporti tra coppie non sposate potremmo intervenire solo sul codice civile» - il segretario dei Ds Piero Fassino ieri ha cercato di dare semplicemente un colpo di freno: «Il tema è particolarmente delicato e bisogna valutarlo con prudenza ed equilibrio da parte di tutti».
Sul web intanto, l'enorme comunità digitale di chi guarda, scarica e commenta il documentario trasmesso ad ottobre dalla Bbc si allarga, come aveva cominciato a fare già la scorsa settimana quando Michele Santoro ha notato l'epifenomeno digitale contattando immediatamente la testata inglese per i diritti di prelazione. Ieri la versione di Google video, sottotitolata in italiano, aveva toccato quasi 500mila visioni. E a migliaia l'hanno visto anche su Youtube, sebbene diviso in cinque parti, per non parlare dei tanti che l'hanno scaricato da emule o da un server di torrent. Un fenomeno digitale esploso grazie alla buona volontà di Massimo Merighi e la sua compagna, titolari del blog bispensiero.it (un gruppo che raccoglie «amici di Beppe Grillo» soprattutto palermitani) che senza tanti discorsi hanno notato il video su internet in inglese e con un po' di pazienza ed un buon programma di editing video l'hanno sottotitolato in italiano: «Pensavamo di dover aiutare la diffusione di questa notizia - spiega Merighi - non è la prima volta che facciamo operazioni di controinformazione, l'avevamo già fatto con una inchiesta sui parlamentari siciliani che si è conclusa con l'impegno ad un contratto regionale dei tre candidati di quest'autunno». La polemica della Rai li ha un po' travolti, ma rimangono convintissimi: «Non si tratta di andare contro la chiesa, vogliamo solo che si sappia la verità. I cattolici si indigneranno come noi, per questo sarebbe buono se la Rai mandasse tutto».

Liberazione 22.5.07
Pedofilia e Chiesa, ecco la verità
Guardate su Internet (aspettando Annozero) il documentario
di Emilio Carnevali

Se ne avete la possibilità andatevi a vedere l'inchiesta della Bbc sui preti pedofili: Sex Crimes and Vatican (sottotitoli in italiano) sul sito
http://video.google.it/videoplay?docid=3237027119714361315 (in attesa che la Rai autorizzi Santoro a mandarla in onda a "Annozero"). Il filmato gira in rete da qualche giorno dura 39 minuti e lo hanno già visto moltissime persone, in tutto il mondo. Non dirà niente di nuovo per chi conosce il tema, ma racconta moltissimo a chi, invece, non ha mai sospettato niente. Il filmato è eloquente, a tratti commovente. E' informato, mai "pruriginoso", è una sorta di indagine compiuta da un ex ragazzo violentato, Colm. «Avevo 14 anni, dopo aver abusato di me padre Fortune mi lasciava nel suo letto e andava a dire la prima messa. Poi tronava...». Colm oggi dirige un'associazione per le vittime degli abusi ed ha ottenuto l'avvio di un'inchiesta. Tutto ruota intorno al documento segreto "Crimen Sollicitationis", una direttiva del 1962, che mette a tacere le accuse di abusi. Fu ingiunto ai vescovi cattolici di tutto il mondo di tenerla in cassaforte. La pena per chi rompe il giuramento è la scomunica immediata. «Fu Ratzinger ad imporlo per 20 anni». Nel 2001, sempre Ratzinger, emanò il seguito ribadendo la scomunica per chi avesse violato il segreto. La questione ha suscitato una valanga di commenti politici: molti a vanvera (visto che difficilmente hanno visto il filmato) a difesa di non meglio identificati prudenza ed equilibrio. Altri, invece, preoccupati a ragione per la gratuità della censura preventiva. Per Rc ci hanno pensato i due membri della commissione di Vigilanza, Russo Spena e Migliore, capigruppo di Senato e Camera, che ritengono «inaccettabile l'esortazione fatta ieri a Cappon dal presidente della commissione Landolfi a non permettere a Santoro di acquistare e trasmettere il documentario Bbc sulla pedofilia ecclesiastica».
Non è ancora andato in onda (e neppure si sa se Michele Santoro riuscirà a mandarlo), che il documentario della Bbc Sex crimes and the Vatican ha già sollevato un mare di polemiche. L'Avvenire ha sferrato un durissimo attacco preventivo: «I calunniatori dovrebbero chinare il capo e chiedere scusa», ha scritto Andrea Galli dalle colonne del quotidiano della Cei.
In realtà, il documentario, andato in onda sulla tv britannica lo scorso 1 ottobre nell'ambito della serie investigativa "Panorama", non svela nulla di nuovo. Al centro dell'inchiesta, che ricostruisce diverse vicende di abusi perpetrati in Irlanda, Stati Uniti e Brasile, vi è il documento segreto del Sant'Uffizio Crimes Sollecitationis, inviato nel 1962 a tutti i vescovi e contenente le procedure da utilizzare per trattare i casi, compiuti in sede di confessione, di istigazione a pratiche sessuali da parte di sacerdoti. Il documento rivela la fermissima volontà da parte dell'allora prefetto della Sacra Congregazione del Sant'uffizio card. Alfredo Ottaviani, che i reati compiuti dal clero non emergano alla conoscenza dell'opinione pubblica (la punizione massima in cui avrebbero potuto incorrere coloro che fossero stati riconosciuti colpevoli del crimine di sollecitazione è infatti meno grave di quella prevista per chi avesse rotto il vincolo del segreto, ovvero la scomunica).
Il documento è però noto sin dal 2003, quando era stato presentato a tutto il mondo dal network statunitense Cbs e dal settimanale inglese The Observer (in Italia furono pubblicati anche ampi stralci della traduzione dal latino dall'agenzia di stampa Adista). Il documentario della Bbc si limita a riproporre la questione, puntando in particolare il dito contro Joseph Ratzinger, che da Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede sarebbe stato per 20 anni il responsabile dell'applicazione di questo decreto finalizzato all'"insabbiamento" dei casi di pedofilia nel clero.
Il vero dato che emerge da questa vicenda è l'ennesima dimostrazione che nel nostro Paese la Chiesa cattolica appare protetta da una virtuale "intangibilità". Mandare in onda un documentario già trasmesso dalla televisione pubblica britannica, una delle più prestigiose ed autorevoli del mondo, è considerato qui da noi un imperdonabile affronto, una provocazione laicista (chissà se anche in questo caso sarà rispolverata l'accusa di "terrorismo" come per il malcapitato Andrea Rivera, che dal palco del Primo Maggio aveva "osato" criticare la non concessione del funerale religioso a Piergiorgio Welby). L'informazione religiosa deve limitarsi a passare i comunicati stampa della Santa Sede, le sintesi dei discorsi del papa all'Angelus e le prolusioni del presidente della Cei.
Dei numerosissimi casi di pedofilia nel clero italiano quasi nessuno parla, dal momento che fa fede la versione ufficiale data dal segretario della Cei Betori: il fenomeno è «talmente minoritario che non merita attenzione specifica» (maggio del 2002. Nello stesso anno negli stati Uniti scoppiava lo scandalo dei preti pedofili). Peccato che dal 2000 ad oggi più di 50 sacerdoti sono andati sotto inchiesta, ed in molti casi condannati, per abusi sessuali a danni di minori. Il tutto nel più totale silenzio da parte dei media e della Chiesa cattolica, che fa di tutto per occultare i fatti. Il caso forse più clamoroso - che testimonia l'enorme impegno delle autorità ecclesiastiche per evitare che anche in Italia scoppi uno scandalo sul modello di quello americano - è quello del vescovo di Agrigento mons. Carmelo Ferraro. Il vescovo è infatti arrivato a chiedere ad un ex seminarista, vittima di un prete pedofilo che aveva già patteggiato la condanna a 2 anni e 6 mesi, un risarcimento di 200mila euro per danni all'"immagine" e al "prestigio" della Chiesa di Agrigento presso l'"opinione pubblica". La "colpa" dell'ex seminarista era stata quella di denunciare pubblicamente non solo gli abusi subiti, ma anche le responsabilità e i silenzi del vescovo nel corso dell'intera vicenda. Solo dopo una puntata di Mi manda Rai Tre dello scorso dicembre nella quale era stato ricostruito il caso, mons. Ferraro ha fatto marcia indietro e ha ritirato la citazione. Ora l'ex seminarista ha anche ricevuto da parte del prete condannato un risarcimento economico per i danni subiti.
Rimane il problema di una Chiesa cattolica che tende a sottrarre le proprie interne vicende al dibattito pubblico. E rimane il problema dei grandi organi di informazione nazionali spesso troppo acquiescenti nei confronti di un tale atteggiamento. Se la "provocazione" di Santoro contribuirà almeno in parte a infrangere questi tabù, non potrà che essere considerata una iniziativa meritoria del nostro servizio pubblico. Saranno poi gli spettatori a giudicare la qualità e l'equilibrio del lavoro giornalistico. La censura preventiva è in ogni caso la peggiore delle soluzioni, soprattutto quando è motivata da diktat esterni.

Repubblica 22.4.07
I ricordi dei bambini e il caso Rignano
di Massimo Ammaniti


Se ci fosse un medico che cura i malesseri e i turbamenti sociali prescriverebbe alla comunità di Rignano Flaminio una, due, tre lunghe pause di riflessione prima di fare nuove dichiarazioni ed avviare nuove iniziative per far valere i pur legittimi punti di vista dei gruppi in lotta fra loro. Ma gli animi sono troppo esacerbati e la vita della cittadina avvelenata da odi, da risentimenti e da sospetti per ascoltare ogni raccomandazione.
Si è trattata di una brutta storia "noir": i bambini di una tranquilla scuola materna sono diventate vittime di una setta quasi satanica che si è impossessata di loro obbligandoli a sottostare ad abusi, a violenze e addirittura a rituali esorcistici. Purtroppo non è un brutto film e noi continuiamo ad interrogarci su che cosa possa aver innescato queste accuse e quali siano gli indizi gravi che abbiano spinto la Procura a procedere alla carcerazione delle maestre e degli altri indiziati. Allo stesso tempo il Tribunale del Riesame non ha riconosciuto l´esistenza di indizi gravi che giustifichino ulteriormente la detenzione.
Il primo interrogativo da porre riguarda l´attendibilità dei racconti e delle testimonianze rese da bambini di pochi anni e quanto riflettano veramente i fatti denunciati. Non dimentichiamo che rappresentano, questi, gli indizi gravi che hanno giustificato la carcerazione. È difficile sapere che cosa pensino gli inquirenti delle capacità dei bambini di pochi anni di ricordare quello che è avvenuto, soprattutto se si è trattato di esperienze traumatiche come quelle che avrebbero subito. Me lo chiedo perché ogni testimonianza dovrebbe essere soppesata, tenendo presente che non solo può essere intenzionalmente alterata (e non è questo il caso dei bambini), ma che può essere fallace perché i processi di rievocazione dei ricordi sono quanto mai complessi e rispondono a regole non sempre chiare. Vi è una sterminata letteratura scientifica, valga per tutti il libro di Daniel Schacter dell´Università di Harvard "Alla ricerca della memoria", in cui viene spiegato, questa volta sì con forti evidenze scientifiche di tipo psicologico e neurobiologico, che il ricordo non è una semplice fotocopia di quello che è avvenuto e che può essere riprodotto ogni volta che sia richiesto. I processi di memorizzazione sono complessi: a volte siamo in grado di ricordare in modo abbastanza dettagliato quello che è avvenuto, altre volte crediamo di ricordare dei fatti ma si tratta di una ricostruzione fittizia a cui crediamo ciecamente come se fossero veramente avvenuti, altre volte ancora sono un "puzzle" di ricordi riprodotti fedelmente con altre ricostruzioni false, senza che sia possibile capire la veridicità di ogni singola tessera del mosaico. Non a caso in Inghilterra è attiva da decenni una Società sulle memorie recuperate (recovered memories), il cui chairman John Morton insegna nell´Università di Cambridge. Ma prestiamo attenzione a quello che dice Morton relativamente alle dinamiche dei ricordi: «I fattori che influenzano il grado di riproduzione o di ricostruzione dei ricordi includono, ad esempio, il significato personale dell´evento, il contenuto emotivo e la consequenzialità dell´evento, le stesse ragioni per cui la persona sta ricordando l´evento e soprattutto con chi avviene il processo di rievocazione». Ed ogni volta che il ricordo riemerge assume anche le colorazioni del contesto attuale, obbligandoci a dire che non scorre mai lo stesso ricordo sotto al ponte.
Quando poi la rievocazione si riferisca ad eventi con una forte connotazione emotiva, quali sono appunto abusi e violenze, l´attivazione, naturalmente inconsapevole, di distorsioni, alterazioni se non addirittura di soppressioni è addirittura la regola.
Il secondo interrogativo riguarda più specificamente l´età infantile delle vittime, ossia quanto siano in grado di ricordare. Come ognuno di noi sa, non riusciamo a ricordare molto di quello che ci è successo nei primi anni di vita e nella maggior parte dei casi ci tornano alla mente fatti o episodi che ci sono stati raccontati dai nostri familiari. Questa amnesia infantile, di cui aveva ampiamente parlato Sigmund Freud nel secolo scorso, è spiegabile col fatto che il cervello in questa fase è ancora immaturo, soprattutto l´emisfero cerebrale sinistro che ha maggiormente a che fare con la memoria autobiografica, che si riferisce alla capacità di rievocare attivamente e consapevolmente gli eventi della nostra vita e raccontarli ad altri.
C´è un´importante ricerca americana fatta da Ceci negli anni ´90 che conferma tutto questo. Dei bambini fra i tre e i cinque anni venivano sottoposti a visita pediatrica e nei mesi successivi venivano ripetutamente interrogati su quello che era successo. Gradualmente i bambini introducevano inconsapevolmente interpretazioni terribili. Ad esempio mentre il pediatra non aveva toccato i genitali dei bambini, questi ultimi riferivano che il medico aveva messo con violenza bastoni nella vagina o nel sedere oppure che aveva serrato il collo con una corda. Questa ricerca dimostra in modo inequivocabile che interrogando ripetutamente i bambini questi cercano di rispondere in modo da soddisfare le aspettative degli adulti, anche se queste non sono espresse. E nel corso del tempo i bambini diventano sempre più convinti della veridicità di quello che hanno raccontato.
Una conclusione è d´obbligo: molti equivoci e fraintendimenti che avvengono nelle relazioni umane traggono inevitabilmente origine dalle nostre caratteristiche intrinseche nel processing delle informazioni, è qualcosa che non possiamo ignorare.

l’Unità 22.5.07
Bagnasco ordina: «La politica ascolti il Family Day»
L’esordio del nuovo leader Cei: «Aspettiamo un interlocutore all’altezza dei problemi...»
di Roberto Monteforte


Il presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco va all’incasso e indica l’agenda «vera» dei problemi dell’Italia. Nella prolusione con la quale ieri ha aperto la 57ª assemblea generale dei vescovi plaude alla riuscita del «Family day». La politica e le istituzioni ora non possono ignorare la domanda di quel milione di persone che hanno invaso piazza San Giovanni, dando «testimonianza forte e corale a favore del matrimonio quale nucleo fondante e ineguagliabile per la società». Quindi, strada sbarrata ai Dico e via libera a misure a sostegno della famiglia.

FAMIGLIA, emergenza sociale e nuove povertà, una Chiesa popolare e radicata nella società italiana, sana laicità e libertà religiosa, la carità. La linea la dà il Papa, le parole sono del presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco che va al-
l’incasso e indica l’agenda «vera» dei problemi dell’Italia. Nella prolusione con la quale ieri ha aperto la 57sima assemblea generale dei vescovi, il successore del cardinale Ruini plaude alla riuscita del «Family day», la «festa di popolo» promossa dal laicato cattolico lo scorso 12 maggio, prova di «maturità dei laici». La politica e le istituzioni ora non possono ignorare la domanda di quel milione di persone che hanno invaso piazza san Giovanni, dando «testimonianza forte e corale a favore del matrimonio quale nucleo fondante e ineguagliabile per la società». Quell’appello «inequivocabile» della società civile, insiste Bagnasco, non può essere ignorato. «Si attende un'interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati». Quindi, strada sbarrata ai Dico e via libera a misure a sostegno della famiglia.
L’arcivescovo respinge l’accusa di omofobia mossa alla Chiesa. La definisce «ideologica e calunniosa» ed esprime la sua solidarietà al Papa «per le sorprendenti esternazioni - tanto superficiali, quanto inopportune» rivoltegli. E alle accuse di attacco alla laicità, risponde che «la Chiesa difende l'identità del popolo, rispettando la sana laicità, ma suggerendo i grandi criteri e i valori inderogabili, orientando le coscienze e offrendo un'opzione di vita». Il successore del cardinale Ruini cita a più riprese Benedetto XVI: i discorsi tenuti nel suo viaggio in Brasile, l’enciclica Deus Caritas Est, il recente libro su Gesù di Nazareth, l’esortazione post sinodale sull’Eucarestia. Punti fermi il richiamo al rispetto della vita e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio, e la polemica con chi «irride e minaccia quei valori fondamentali», castità compresa. Per Bagnasco non vi sarebbe alcuno scontro tra laici e cattolici. «Tutte polemiche forzose e strumentali, costruite su interpretazioni distorte, che non hanno riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del popolo italiano» taglia corto il vescovo più contestato e minacciato d’Italia. Non enfatizza le sue vicende, le minacce, le scritte offensive. Sono «singoli episodi - osserva - costruiti su interpretazioni distorte e su attribuzioni di pensieri mai pensati, e che neppure le immediate smentite e precisazioni sono servite a chiarire». Vi possono pur essere «legittime diversità di posizioni - afferma - su tematiche anche rilevanti», ma lo scontro è un’altra cosa. Il confronto «deve potersi esprimere con serenità e chiarezza, in un clima di rispettoso dialogo». Quindi, precisa: da parte dei vescovi non vi è «nessun attentato alla laicità della vita pubblica o tentativi di sfigurarla, anche quando rilevano i fondamenti etici e spirituali radicati nella grande tradizione del nostro Paese». L’intenzione è quella di «innervare» la società italiana di «inquietudini» che possono garantirne il futuro. «Nel nostro orizzonte non c'è un popolo triste, svuotato dal nichilismo e tentato dalla decadenza. C'è un popolo vivo, capace di rinnovarsi grazie alle proprie risorse e alla propria inevitabile disciplina, capace di non tradire i suoi giovani, capace di parole credibili nel consesso internazionale». Pare essere un richiamo critico alla politica da parte di una «Chiesa di popolo», che è tale proprio per il suo radicamento sociale e per questo può indicare le nuove emergenze sociali. Siamo tornati al «pacco viveri» denuncia Bagnasco. È la condizione drammatica di tante famiglie monoreddito con più figli a carico che non arrivano alla fine del mese. Come pure quella di chi vive la disoccupazione di lunga durata, il lavoro precario, le madri sole con figli a carico. Invita alla solidarietà Bagnasco. Come cittadini e come cristiani. Ed esprime solidarietà anche alla Chiesa del sud, impegnata per il lavoro e minacciata dall’ndrangheta. Per riaffermare il «costruttivo dialogo tra Chiesa cattolica, politica e società civile» cita, le parola del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Si aspettano quelle di Benedetto XVI.

Repubblica 22.4.07
Boselli: "L’obiettivo è il partito del Papa"
Le reazioni


ROMA - Monsignor Bagnasco «cerca di negare la realtà e cioè che il Family day sia stata essenzialmente una manifestazione contro una legge proposta dal governo per i diritti delle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali». Enrico Boselli, tra i promotori della contro-manifestazione di piazza Navona, non rinuncia a polemizzare a distanza con il presidente della Cei. «Non vedo francamente molte differenze - osserva il segretario dello Sdi - tra il precedente mandato del cardinal Ruini e quello di monsignor Bagnasco. Semmai c´è una maggiore aggressività politica, che fa pensare proprio alla costruzione di un vero partito del papa». Il «fattore di continuità» tra le due presidenze della Cei, rileva quindi Boselli, «è costituito dallo stesso Papa, che fa dell´offensiva integralista sul piano religioso, filosofico e politico il profilo principale del suo pontificato».
Il segretario dei radicali italiani, Rita Bernardini, se la prende invece con Bagnasco per quell´uscita sulle famiglie povere: «Si sono accorti della povertà delle famiglie italiane solo quando è stata proposta anche in Italia la regolamentazione delle coppie di fatto: dove sono stati fino ad oggi i Vescovi? Possiedono il 25 per cento del patrimonio immobiliare italiano e piangono per le difficoltà di alloggio dei giovani sposi». L´Arcigay si «compiace» che «la gerarchia cattolica respinga l´accusa d´omofobia». Ma il presidente dell´organizzazione, Aurelio Mancuso, ci tiene a ricordare al presidente della Cei «quando lui accostò l´omosessualità alla pedofilia». Franco Grillini, della Sinistra democratica, dissente da Bagnasco sul giudizio sul Family Day, «che a noi è apparso come la rappresentazione di un´Italia arcaica e pre-moderna».
(f. b.)

Repubblica 22.4.07
Un nuovo studio su Pio XII con molti documenti inediti
I silenzi e i tormenti di Papa Pacelli
di Marco Politi


Manca il miracolo, sussurrano in Vaticano, e poi la via della beatificazione di Pio XII sarà spianata. Ma intanto, l´8 maggio scorso, la Congregazione per le Cause dei santi ha votato per il riconoscimento delle «virtù eroiche» di papa Eugenio Pacelli. Entro giugno Benedetto XVI dovrebbe dare il suo placet al decreto ed allora Pio XII diventerà venerabile.
Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro (Mondadori, pagg.660, euro 24), il bel libro di Andrea Tornielli, giunge dunque nel momento giusto. Inedita è la documentazione del carteggio familiare - cui l´autore attinge - inedito è il materiale che fa parte del dossier della causa di beatificazione, inedita la ricostruzione del conclave del 1939. Ne risulta un quadro anche umanamente assai ricco e che meglio aiuta a fare il bilancio del suo pontificato. Intanto Pacelli non volle fino all´ultimo diventare cardinale. Benché considerato prodotto perfetto di una macchina curiale capace di portare un minutante al soglio di Pietro, Pacelli insistette più volte con Pio XI per chiudere la carriera di nunzio in Germania e passare a occuparsi della «cura delle anime».
Pio XI aveva, invece, altri progetti su di lui. Lo fece cardinale, lo fece Segretario di Stato ed è interessantissimo vedere nel libro la strategia con cui un pontefice regnante può «spingere» un porporato alla successione. Impagabili sono i brani, in cui Pio XI suggerisce al cardinale Pacelli come «rappresentarsi» nel ruolo di futuro pontefice. E dunque, quando dopo la morte di papa Ratti si apre il conclave, il futuro Pio XII è papabilissimo. Eppure l´elezione lampo (solo tre scrutini) fu contrastata e niente affatto unanime. Monsignor Tardini, grande collaboratore di Pio XII, spiegò così le opposizioni: «Il cardinale Pacelli è un uomo di pace e il mondo ora ha bisogno di un papa di guerra».
Parole profetiche. Nell´incendio della guerra Pacelli - coscienzioso, addolorato, laborioso, impegnato per la sorte dei deboli - non riuscirà ad essere all´altezza del dramma straordinario che va in scena. Rispetto alle polemiche che da decenni circondano la figura di Pio XII, Tornielli è equilibrato e aperto alle giustificazioni di scelte difficili. Ma proprio la pacatezza dell´approccio fa emergere in maniera inequivocabile i suoi limiti. Pacelli intuì presto la natura «eretica» e diabolica del nazismo, soffrì moltissimo per il destino tragico degli ebrei, si spese per salvarne il più possibile, ma non ce la fece a scagliare una solenne condanna contro il simbolo demoniaco di Hitler e del suo regime. Non riuscì a saltare al di là della propria ombra, come dice il proverbio tedesco. Sta qui ciò che Rolf Hochhuth ha definito con l´intuito del drammaturgo il «silenzio» di Pio XII.
Ossessionato dall´idea di equidistanza fra le parti in conflitto, ossessionato dal calcolo di costi e benefici (per le vittime) che potevano risultare da uno scontro frontale con il nazismo, avviluppato nell´angoscia del male minore, Pio XII si è sempre fermato un attimo prima di pronunciare la parola profetica di riprovazione, che lo avrebbe innalzato dinanzi ai posteri. Non sono critici malevoli a notarlo, l´interrogativo agitava lo stesso Vaticano durante la guerra. «Da tante parti - scriveva il cerimoniere pontificio mons. Respighi al cardinale Maglione nel 1943 - si attende una parola del Santo Padre forte e solenne a difesa dell´umanità». Pio XII fece certamente sapere come la pensava, ma quella parola solenne non venne mai.
L´impianto distaccato del libro lo documenta senza ombra di dubbio. La Germania invade Olanda e Lussemburgo, violandone brutalmente la neutralità? Respingendo due testi di dura condanna, preparati da mons. Tardini e dal Segretario di Stato Maglione, Pio XII opta per telegrammi di condoglianza. Hitler introduce l´eutanasia per i malati di mente? Pio XII cassa dal documento del Sant´Uffizio l´espressione crimine «nefasto e inumano», preferendo si dica solo che è un fatto contrario alla legge umana e divina.
L´arcivescovo di Cracovia Sapieha sollecita, tra alti e bassi, un documento sulle sevizie inflitte alla Polonia? Pio XII si limita a citare in pubblico la «tragica sorte del popolo polacco». Sulla persecuzione antiebraica - il libro lo documenta - papa Pacelli era informatissimo. «Piangeva come un fanciullo», era sconvolto, ricorda un testimone. Ma persino nel famoso radiomessaggio del Natale 1942 Pio XII non riuscì a collegare il termine sterminio con la parola «ebrei».
Lui stesso, nel fondo del suo cuore, sapeva che un giorno ciò avrebbe potuto essergli addebitato. Al nunzio Roncalli, in piena guerra, chiede se «il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male».

Corriere della Sera 22.5.07
«In Italia la pillola dell'aborto C'è il via libera dell'Europa»
L'azienda: presto negli ospedali. L'Udc: pericolosa
di Federica Cavadini


MILANO — «Entro novembre la pillola abortiva sarà disponibile negli ospedali italiani, le donne potranno scegliere fra l'aborto chirurgico e quello chimico utilizzando la Ru486». Lo annuncia l'associazione per i diritti dei consumatori Aduc, dopo il «sì» dell'Emea (l'Agenzia europea del farmaco) e immediatamente riparte la polemica sul farmaco, che provoca l'espulsione dell'embrione evitando la sala operatoria, e anche sulla legge 194. «L'aborto non è e non sarà mai un contraccettivo. Ci opporremo con tutte le forze a questa cultura della morte»: è l'intervento del vicepresidente della Camera Giorgia Meloni (An), mentre i Verdi (Luana Zanella) auspicano «che la ministra Turco non tardi ad adeguare il nostro Paese alle scelte già fatte in Europa». Soddisfatto Silvio Viale, ginecologo al Sant'Anna di Torino, promotore della Ru486 in Italia e radicale della Rosa nel Pugno: «Dopo sei anni di boicottaggi, finalmente anche in Italia». In Francia la Ru486 fu introdotta nell'88. E Viale spiega: «Dal dicembre 2005 era in corso una procedura di revisione per autorizzare un dosaggio inferiore, di 200mg, che si è conclusa favorevolmente. Adesso la ditta produttrice, la Exelgyn, potrà attivare la registrazione per mutuo riconoscimento».
Lo scorso autunno l'azienda francese aveva già anticipato al Corriere che avrebbe chiesto la registrazione in Italia dopo il sì dell'Emea. Il sì è arrivato, il parere favorevole verrà adottato dalla Commissione europea il prossimo 6 giugno. E la Exelgyn ha confermato che chiederà l'autorizzazione per commercializzare in Italia la Ru486 entro settembre, come prevede la procedura del mutuo riconoscimento. «Speriamo di avere l'autorizzazione entro l'anno», ha dichiarato Catherine Denicourt, dirigente dell'azienda francese. «Il direttore dell'Aifa (Agenzia internazionale del farmaco), Nello Martini, aveva parlato di 90 giorni necessari per la pratica», ha ricordato Viale.
Al momento, secondo fonti vicine all'Aifa, «non risultano richieste di registrazione». «Ma l'Aifa per il momento non è in gioco», ribatte l'Aduc. E il clima è di nuovo teso. «In un Paese che ha legittimato l'aborto, può esserlo anche una pillola che allevia la sofferenza», sostengono all'Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri. Il dibattito politico ha toni più accesi. Secondo Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, la Ru486 è «pericolosissima» e chiede di «scongiurare la facile commercializzazione della pillola abortiva, non a caso chiamata kill-pill. L'Aifa vigili».
Secondo l'Aduc tempo sei mesi il caso sarà chiuso: «Il nostro ministero darà il via libera entro novembre e per la Ru486 c'è già un distributore italiano».

Repubblica 22.4.07
Benvenuti nella società post-secolare
su "Reset" un dibattito a più voci
Una terza via possibile fra l'irritazione dei non credenti e la voglia di riscatto dei credenti Una discussione intorno alle tesi del giurista Ernst-Wolfgang Böckenförde
di Giancarlo Bosetti


UN DOSSIER CON FILOSOFI E SOCIOLOGI
IL NUMERO di Reset che esce oggi ha sottoposto a un test definito "postsecolare" un gruppo di filosofi, giuristi, sociologi, politici, chiedendo la loro reazione al dilemma di Böckenförde: Bruce Ackerman, Giuliano Amato, Piero Bassetti, Ian Buruma, Massimo Cacciari, Guido Carandini, George Crowder, Klaus Eder, Alessandro Ferrara, Elisabetta Galeotti, Claus Offe, Arturo Parisi, Paolo Pombeni, Geminello Preterossi, Francesco Rimoli, Gian Enrico Rusconi, Karl von Schwarzenberg, Charles Taylor, Nadia Urbinati, Salvatore Veca, Maurizio Viroli. Anticipiamo qui un estratto delle risposte di Amato, Buruma e Taylor e una sintesi dell´introduzione del direttore Giancarlo Bosetti.


Il diktum, o dilemma di Böckenförde è una celebre affermazione, risalente ormai al 1967, ma ritornata in forze di attualità in tempi recenti, in base alla quale «lo Stato liberale si nutre di premesse che non è in grado da solo di garantire». L´autore, Ernst-Wolfgang Böckenförde, tedesco, cattolico, giurista, è il terzo protagonista di una discussione a tre che coinvolge altri due intellettuali germanici, finora più noti: Jürgen Habermas e Joseph Ratzinger. Il confronto con le sue tesi conduce al cuore del tema del "post-secolarismo", parola già affiorata nel dialogo del 2004 tra il futuro Pontefice e il filosofo della razionalità comunicativa, che prendeva le mosse proprio dal diktum.
Sulla scena pubblica vediamo sempre più spesso due situazioni contrapposte: da un lato l´irritazione paralizzante dei non credenti laicisti che non riescono a capire perché si parli tanto di religione, e perché si debba dare ascolto alla voce dei religiosi al di fuori di ambiti strettamente privati e confessionali; dall´altro la condizione di umiliati, angariati e offesi dei credenti che vorrebbero far valere le ragioni della loro fede nella vita sociale e anche nella legislazione e che si sentono respinti come portatori di un residuo irrazionale, come un fenomeno destinato a scomparire con l´avanzare della modernità. Partendo da queste condizioni, così diffuse, Jürgen Habermas ha elaborato un pensiero del possibile «apprendimento reciproco» che dovrebbe caratterizzare una società «post-secolare» e consapevole di esserlo. Habermas si rende conto che ai non credenti si chiede un duro compito, anzi di più: una specie di «riorientamento gestaltico» e cioè uno sconcertante cambiamento di scena.
Quella che di fatto si trova a essere in discussione è l´immagine che il mondo occidentale e i suoi intellettuali hanno finora avuto in prevalenza della modernità e di se stessi, quasi in ogni campo, politico, economico, sociale (e religioso). Quell´immagine rappresentava il futuro per le altre culture, per l´Oriente, l´Asia, l´Africa. Ora invece sempre più spesso ci raggiunge il riflesso della nostra immagine negli occhi degli altri che mostra l´Occidente come un caso a se stante, come una strana devianza (se pur di successo, a suo modo). Sempre più frequente appare l´idea che la secolarizzata Europa non sia il futuro di popoli «ancora» immersi nella religione, ma un unicum che non è detto si debba necessariamente ripetere altrove.
La domanda di Böckenförde in sostanza chiede se per caso chi vive nello stato liberale non sia soggetto all´errore ottico di non percepire quel che esso deve alla religione e non soltanto alla sua lotta per separarsene. Se in tempi di prosperità ideologica e di solidità culturale delle società occidentali il tema di un deficit etico dello stato liberale non si sente, le cose cambiano con l´affacciarsi di una situazione nuova, in cui l´elemento etico è continuamente sollecitato: concezione della vita, della famiglia, della sessualità, nuove frontiere tecnoscientifiche, contrasti identitari e culturali sulla scena internazionale, che ha sullo sfondo il terrorismo islamista e la paura di un conflitto di civiltà. La discussione sul diktum di Böckenförde è tutta da fare e riguarda il futuro del mondo che abbiamo in testa.

AMATO: SE PREVALE UN´EGEMONIA LIBERALE
Il dilemma di Böckenförde è, da quando essa esiste, il dilemma esistenziale della democrazia liberale, la quale da una parte contraddice i suoi principi se non garantisce libertà anche a chi la vuole distruggere, dall´altra non può consentire che la distruzione giunga a compimento.
Nella vicenda della storia, la contraddizione ha tuttavia trovato le sue regole per essere gestita. La più nota è la «clear and present danger rule» elaborata dalla Corte suprema degli Stati Uniti, che protegge in modo incondizionato la libertà di pensiero, sino a quando essa non si trovi a far la parte del «grilletto», che fa esplodere l´azione sovversiva. Su questo fondamento, e con dilatazioni a volte cospicue dei suoi margini, tante altre regole sono state inventate per combattere tempestivamente i «nemici». E se uno si volta indietro, non può non arrivare a una conclusione. Il dilemma esistenziale lo si è storicamente risolto riservando il massimo di garanzia a tutti coloro che si collocano entro la piattaforma dei consensi/dissensi volta a volta ritenuti compatibili con la sopravvivenza dell´insieme e lasciando invece in un limbo assai meno garantista il dissenso che si colloca fuori dalla piattaforma. È questo un difetto della democrazia liberale? O non è invece la naturale conseguenza del suo essere il reggimento degli esseri umani che ne condividono i principi basilari e che quindi non portano le diversità di opinioni e anche di interessi al punto di giustificare la messa a repentaglio dei diritti fondamentali di coloro che hanno opinioni o interessi diversi?
È chiaramente la seconda la risposta che danno quelli come me che se ne sentono figli. E per questo concludono che essa è affidata, prima ancora che alle sue regole (e alle contraddizioni in cui le sue regole la fanno cadere) alla costruzione - direbbe Gramsci - di una egemonia liberale, che compete ai suoi protagonisti culturali e sociali. Ci adopriamo in questo senso e, davanti alle tante diversità che il mondo di oggi mette insieme, badiamo bene a non essere né assimilazionisti, né integrazionisti, e cerchiamo piuttosto di delineare percorsi di feconda contaminazione all´insegna dell´accettazione reciproca.
Scacciamo ogni giorno il demonio - abissalmente realista - che ci ricorda di continuo che la storia non ha ancora dimostrato la capacità della democrazia liberale di reggere fedele a se stessa al di fuori delle isole felici in cui fu inizialmente concepita.

BURUMA: I PERICOLI NASCOSTI NELL'ATEISMO
Come molti termini accademici, l´espressione «post-secolare» mi suona troppo vaga. D´altronde, l´idea di una società completamente secolare è stata sempre un´illusione. La religione organizzata non è mai scomparsa, e oggi attraverso i musulmani e forse perfino il cristianesimo evangelico può addirittura consolidarsi. Lo Stato secolare è ben altro. Io non credo che nelle democrazie liberali, a eccezione forse degli Stati Uniti, la religione organizzata giochi un ruolo preponderante all´interno dello Stato. Né ci tiene a farlo. Ma la società deve dare agio a tutte le religioni, compreso l´islam, di svilupparsi indipendentemente dallo Stato.
Inteso quale ideologia aggressiva, il secolarismo - o l´ateismo - può diventare pericoloso al pari di qualsiasi fede dogmatica. A mio avviso, inoltre, non è necessario che le società siano «omogenee» perché fiorisca la democrazia liberale. Le società non sono mai state omogenee: si pensi, ad esempio, alle tensioni tra cattolici e protestanti in alcune aree dell´Europa settentrionale.
Certo, è innegabile che tradizioni culturali e religiose condivise forniscano una solida base morale che funge da collante per la società, ma tale comunanza non è necessaria. La popolazione degli Stati Uniti è caratterizzata da innumerevoli tradizioni culturali e religiose, eppure nel bene o nel male funziona. C´è invece bisogno di un accordo comune per il rispetto delle leggi; finché ci sarà questo le democrazie liberali non saranno in pericolo.
La storia del XX secolo è costellata di movimenti politici che hanno infranto le leggi per imporre con la violenza la propria visione politica: nazisti, fascisti, Frazione Armata Rossa, Brigate Rosse. I membri di questi movimenti violenti erano europei e condividevano le stesse tradizioni culturali e religiose del resto della società.

TAYLOR: LO STATO NON SPOSI UNA MORALE
Per molto tempo gli intellettuali e gli studiosi, e con loro i giornalisti e noi tutti, si sono bevuti la storia che la modernità dovesse condurre alla secolarizzazione nel senso del declino della religione. Oramai ci rendiamo conto che ciò non è necessariamente vero. La realtà è molto più complessa. E così tutti i problemi che dobbiamo affrontare, compreso quello del pluralismo religioso nelle nostre società, appaiono sotto una luce diversa. La religione non è un fenomeno in declino, che può essere meramente ignorato; continuerà al contrario a far parte del contesto in cui viviamo, e quindi la questione del pluralismo religioso va affrontata.
Nozioni elementari come la laicité alla francese, che tendono semplicemente a emarginare la religione, sono ormai inadeguate alla situazione attuale. C´è bisogno invece di Stati realmente neutrali, non soltanto nei confronti delle varie religioni, ma altresì tra religione e miscredenza. Il secolarismo militante non può certo costituire la base dello Stato, però è un diverso punto di vista che deve avere diritto di cittadinanza nel vasto spettro delle appartenenze religiose e metafisiche. Adeguarsi a questa idea non è facile, e non solo per le Chiese che hanno sempre fornito il collante per l´intera società, ma anche per le ideologie secolari.
Böckenförde ha senza dubbio ragione: il problema esiste. Occorre una profonda e forte convinzione morale del valore della libertà, dell´uguaglianza, della tolleranza, magari anche dell´apertura agli altri; ma, per quanto profonda e organica, lo Stato non può sposare né favorire alcuna interpretazione morale specifica - sia essa religiosa o laica - che funge da base per questi valori fondamentali. (...) In realtà si può concepire una società in cui i punti di vista religioso, metafisico e morale siano ineluttabilmente pluralisti (è questa la situazione in cui ci troviamo), in cui però i fautori di quei diversi punti di vista accettino di promuovere gli stessi valori politici fondamentali: libertà, diritti umani, uguaglianza, governo democratico. Alcune società occidentali hanno adottato tale modello. Ma questa base potrebbe rivelarsi fragile: che cosa accade, infatti, se la pluralità finisce con l´indebolire tutte queste concezioni? In tal caso a essere minacciate sarebbero proprio le fondamenta di quei valori.

il manifesto 22.5.07
La sorprendente sintassi dell'arte rupestre

La «grammatica» e la «sintassi» dell'arte rupestre sono al centro di un convegno internazionale in corso fino al 24 maggio al Centro congressi di Darfo Boario Terme in Val Camonica. Presentando l'incontro, cui prendono parte alcuni dei maggiori esperti mondiali di arte rupestre, il paleontologo Emmanuel Anati, direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici, ha infatti sottolineato come le ultime ricerche abbiano rivelato che le incisioni su roccia, dagli studiosi finora semplicemente catalogate e descritte, possedessero in realtà «una loro grammatica e sintassi, che venivano lette e comprese dai popoli preistorici e che possono essere rilette anche oggi». Nel corso del simposio, dunque, verranno interpretati per la prima volta diciannove monumenti dell'arte rupestre della Borgogna, le cui incisioni riprodurrebbero, secondo gli archeologi, una serie di accordi stipulati per la possibilità di accoppiamento tra gruppi diversi. In altre parole, si tratterebbe delle testimonianze dei primi contratti di matrimonio realizzati trentamila anni fa. Parallelamente al simposio, si tengono inoltre due mostre: la prima analizza l'elemento più semplice dell'arte rupestre, il punto, mentre la seconda si occupa della decodificazione di una roccia, situata in Val Camonica e istoriata con sessantaquattro figure (tra cui un grande simbolo fallico in stato eiaculatorio), rappresentazione di un vero e proprio ciclo che racconta la storia di uno spirito dell'energia virile il quale, oltre a fecondare, svolge un ruolo da intermediario con gli spiriti ancestrali.

Liberazione 22.5.07
Etica e autonomia culturale, la rivoluzione che manca a sinistra
Il merito di Gramsci è aver capito l'importanza delle idee
Senza una visione propria del mondo le classi emergenti non possono diventare padrone di sé. Né gli individui potrebbero interpretare la realtà senza rappresentazioni collettive
di Roberto Finelli


«Nella fabbrica … quanto più il proletario si specializza in un gesto professionale, tanto più sente l'indispensabilità dei compagni, tanto più sente di essere la cellula di un corpo organizzato, di un corpo intimamente unificato e coeso; tanto più sente la necessità dell'ordine, del metodo, della precisione, tanto più sente la necessità che tutto il mondo sia come un'immensa fabbrica, organizzato con la stessa precisione, lo stesso metodo, lo stesso ordine che egli verifica essere vitale nella fabbrica dove lavora». E' quanto scrive Gramsci in un articolo del febbraio 1920 su «L'Ordine Nuovo» dal titolo L'operaio di fabbrica, per indicare appunto l'ordine nuovo che la classe operaia con la sua vita rigorosa, fatta di lavoro, di metodo e produttività, sarà capace di sviluppare e portare, a muovere dalla fabbrica, nell'intera società, di contro al disordine e alla decadenza della borghesia.
Ma invece dell'ordine nuovo, alla sconfitta del movimento dell'occupazione delle fabbriche in Italia e dei movimenti proletari e consiliari in Germania seguiranno negli anni la vittoria del fascismo e del nazionalsocialismo. Eppure la centralità della fabbrica nella vita moderna non verrà meno nella riflessione di Gramsci. Basti pensare alle pagine dedicate, nei Quaderni del carcere , al celebre tema di "Americanismo e fordismo", in cui Gramsci, in contrasto con le previsioni catastrofistiche del Comintern sulle contraddizioni e il declino dell'economia capitalistica, comprende la nuova fase di espansione economica e di enorme trasformazione sociale che il capitalismo americano ha imboccato con la grande meccanizzazione, il lavoro a catena, il taylorismo e l'organizzazione cosiddetta scientifica del lavoro.
Quella americana è un'esperienza di profonda "razionalizzazione" della produzione e dell'intera vita sociale. Priva delle classi parassitarie precapitalistiche ancora vischiosamente presenti nella storia europea, tende a un nesso organico, senza sprechi, di produzione e consumo, in una continuità tra sfera della fabbrica e sfere della vita, dove «l'egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e dell'ideologia». Tra l'Ordine Nuovo e i Quaderni del carcere c'è la riflessione di Gramsci sui motivi della sconfitta del movimento comunista in Occidente e le perplessità sull'involuzione dell'Unione Sovietica. Ma c'è sopratutto l'affermazione di quello che è il contributo maggiore e più originale di Gramsci all'elaborazione del marxismo: la tesi cioè del valore dell'importanza e della funzione insostituibile delle ideologie nel conflitto sociale e in una lotta non perdente per la fuoriuscita dal capitalismo. Per il materialismo storico di Marx ed Engels il piano ideologico o sovrastrutturale è sinonimo di falsa coscienza, di errore, di deformazione della realtà. Concerne la produzione delle idee da parte di intellettuali che sono lontani dal mondo vero e reale del lavoro e dell'economia e, a motivo di tale scissione del lavoro intellettuale da quello manuale, non può che produrre rappresentazioni mistificate e di parte. Per il Gramsci dei Quaderni all'opposto l'ideologia è una funzione strutturalmente costitutiva, in senso positivo, della conoscenza e della coscienza umana. Costituisce l'insieme delle rappresentazioni e dei valori, comuni e collettivi, attraverso cui ogni essere umano, in quanto essere che vive ed è parte di un gruppo e di un contesto sociale, necessariamente percepisce e interpreta la realtà. Il pensiero è sempre collettivo per Gramsci e senza partecipazione a un pensiero collettivo non si darebbe mai pensiero individuale e personale. Per questo l'ideologia è una sorta di trascendentale storico, senso comune e generalizzato, attraverso cui gli uomini danno senso e prendono consapevolezza di sé stessi e del mondo.
Ora quanto Gramsci matura nelle angustie degli anni di carcere è che la lotta delle classi non si gioca solo su un piano economico di interessi e rivendicazioni materiali, di espropriazioni di proprietà ineguali ed oppressive, o di presa del solo potere politico, ma che appunto una rivoluzione sociale non può che accompagnarsi a una rivoluzione intellettuale e morale, che dia conto da parte della classe rivoluzionaria del possesso di una visione del mondo, di una cultura, di una filosofia che la renda padrona di sé e contemporaneamente egemone, quanto a indicazione di valori e di nuove modalità di vita, delle classi che possono esserle vicine ed alleate. E che proprio in ciò consista la parte più delicata e complessa di un processo rivoluzionario: nel farsi cioè autonoma la coscienza culturale e, in senso lato, filosofica della classe in questione da colonizzazioni e interiorizzazioni simboliche anteriori e nel procacciarsi un sapere di sé, illuminante e chiarificante con il proprio essere sociale. Giacché la natura e la finalità dell'ideologia per Gramsci è quella di essere totalitaria: di confrontarsi e di escludere, per la propria capacità di universalizzazione, altre ideologie, e di condurre una classe dall'essere in sé all'essere per sé, traducendo le sedimentazioni conscie e inconscie del suo immaginario sociale in una visione coerente ed unitaria.
Totalitarismo ideologico da accogliere in senso positivo, dunque, e che allontana Gramsci da un'appropriazione "democratica", qual è l'ultima cui abbiamo dovuto assistere, secondo la quale la concezione gramsciana dell'ideologia e del confronto culturale significherebbe l'abbandono dell'orizzonte del comunismo e di una visione della società scandita dalle differenze e dalle opposizioni di classe, per una valorizzazione della democrazia da intendersi quale confronto relativistico delle opinioni e delle idee.
La transizione gramsciana dell'ideologia dal negativo al positivo comporta la questione del ruolo dei produttori d'ideologia, gli intellettuali e del loro rapporto con le masse del proletariato. E, com'è noto - né poteva essere diversamente per un comunista della III Internazionale - Gramsci risolve la questione affidandone la soluzione al partito, intellettuale collettivo in cui coloro che sentono ma non sempre comprendono s'incontrano con coloro che comprendono ma non sempre sentono, in un processo reciproco di educazione nel quale «tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali». Anche perché, se il fine ultimo del comunismo è l'unificazione del genere umano, nella strada verso di esso, il fine dei dirigenti di un partito rivoluzionario è, al di là dell'efficacia e dell'organicità del partito, è proprio quello di eliminare ogni distinzione tra dirigenti e diretti.
Ma perché tutto questo, invece, non è stato? Perché Togliatti, curvando al meglio secondo la sua strategia il lascito di Gramsci, è stato capace di creare il miracolo politico di immettere nella vita civile e politica italiana le masse dei subalterni, irrigidendole contemporaneamente in una struttura stalinista di partito, in cui il processo educativo muoveva solo verticalmente dall'alto ad impedire ogni maturazione autonoma della base? Perchè la rivoluzione morale e intellettuale di Gramsci è stata, nello stesso tempo, così celebrata e così svuotata ed estenuata? Sino a giungere, oggi, all'autoliquidazione di un partito, che ha conservato nelle sue trasformazioni solo un gruppo dirigente, privo di moralità gramsciana e provvido solo della riproduzione di sé?
Io credo forse anche per i limiti del grande pensatore sardo, di cui oggi celebriamo il settantesimo anniversario della morte e della cui solitudine politica carceraria ci ha invitato ancora a ripensare Rossana Rossanda su il manifesto. La grande e acutissima attenzione che Gramsci ha dedicato al tema del formarsi a soggetto storico delle classi subalterne ha avuto infatti come contrappasso una scarsa attenzione al versante dello strutturarsi autonomo dell'oggettività capitalistica. La fabbrica è sempre stata vista in un'ottica fondamentalmente positiva e progressiva di razionalizzazione sociale e antropologica e mai come punto di partenza di una valorizzazione dell'astratto capitalistico e di una società integralmente reificata. E, senza partire dall'astratto del Capitale, non ci può essere punto d'incontro tra l'astrazione di vita del lavoratore e l'astrazione del concetto propria dell'intellettuale. Il rischio è, dunque, che buona parte del marxismo italiano, soprattutto nel suo versante storicistico, sia stato, proprio a partire dalla lezione di Gramsci, un marxismo senza Capitale .

lunedì 21 maggio 2007

l’Unità 21.5.07
Santoro: aspetto l’ok per il video Bbc sui preti pedofili
Deciderà Cappon. Landolfi: faccia il martire, ma la Rai non compri. Curzi: ma la Bbc non era un modello televisivo?


Il giornalista: non ho avuto finora alcuna comunicazione, mi aspetto che tutto sia a posto

Giulietti: non spetta alla Vigilanza né ai partiti esprimere censure preventive. Decida la Rai

IL CASO BBC. Tornando oggi in Rai dopo aver inaugurato la sede di Nairobi, il Dg Cappon troverà sul suo tavolo la «grana» Bbc, il filmato che Santoro vorrebbe acquistare dalla televisione britannica per trasmetterlo su «Annozero».
Per ora, tutto tace. «Non ho avuto alcuna notizia ufficiale in senso contrario, per cui, essendo ogni cosa a posto dal punto di vista dell’iter burocratico aziendale, mi aspetto che domattina vada tutto a posto» dice Michele Santoro, e ricorda di non aver «bisogno di autorizzazioni particolari» - essendo direttore ad personam - per comprare l’inchiesta della Bbc Sex crimes and Vatican per costruirci attorno una puntata di Annozero. L’inchiesta Bbc riguarda i casi di pedofilia che coinvolgono alcuni ecclesiastici negli Usa, in Irlanda e in Brasile e sostiene che la Chiesa Cattolica, e in particolare l’ex cardinal Ratzinger, oggi Papa, abbiano avallato la copertura dello scandalo.
Uno scandalo, però, ormai pubblico. Tant’è che l’Avvenire, il quotidiano della Cei, ha criticato duramente quell’inchiesta quando la Bbc la mise in onda, un anno fa, e due giorni fa, per impedirne la diffusione, l’abbia definita «infame spazzatura via internet». Infatti è cliccabile su YouTube. Dunque più che pubblica.
Santoro va avanti. «Se dovesse emergere qualcosa in contrario vedremo, ma io non ho avuto alcuna comunicazione», aggiunge il giornalista, ribadendo che «gli ok di prammatica per questo tipo di acquisto ci sono tutti e, dal mio punto di vista, non c’è nulla che possa impedirlo». Vero, eppure la procedura sembra inceppata, e l’affondo dell’Avvenire potrebbe non essere estraneo. Quel che manca è il nulla osta all’acquisto: spetterebbe al direttore del Tg3 Di Bella, la cui vigilanza è però limitata alla par condicio; il direttore del Tg2 Massa ha rifiutato qualsiasi vigilanza..
Toccherà dunque a Cappon, alla vigilia dell’assemblea dei soci che dovrebbe revocare il consigliere Petroni, sciogliere il nodo. «Siamo un paese strano: si loda sempre la Bbc facendone un esempio per la Rai e poi, appena si dice che Santoro vorrebbe usare questa loro inchiesta, le polemiche scoppiano in anticipo», fa notare Sandro Curzi, nel Cda Rai per i Verdi-Rifondazione, per il quale a contare «è solo la serietà giornalistica e qualità dell’inchiesta». Mentre Marco Staderini, Udc, sostiene: «Mi batterò per impedirne a tutti i costi la messa in onda» e «In questo momento storico-politico simili servizi sono una scelta sbagliata». E se il presidente della commissione di vigilanza Landolfi ammonisce: si lasci la palma del martirio a Santoro ma si eviti «di trasformare la Rai in un plotone d’esecuzione pronto a far fuoco sulla Chiesa e sul Papa, con una lacunosa se non calunniosa ricostruzione dei fatti», Giulietti di Articolo 21 attacca: non spetta alla vigilanza né ai partiti chiedere una censura preventiva. In Rai ci sono responsabili editoriali, a loro spetta valutare e decidere.

Corriere della Sera 21.5.07
Il programma Rai
Santoro e il video sui preti pedofili «Non ho bisogno di autorizzazioni»
di Mariolina Iossa


ROMA — Michele Santoro non sta aspettando alcuna autorizzazione, non ne ha bisogno, spiega, e nessuno per adesso gli ha chiesto di fermarsi. L'inchiesta della Bbc sui casi di pedofilia che coinvolgono preti cattolici americani, irlandesi, brasiliani e che, si sostiene nel filmato, sono stati coperti dal Vaticano e in particolare dall'allora cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, sarà comprato per 20 mila euro e trasmesso ad AnnoZero. «Non ho avuto alcuna notizia ufficiale in senso contrario — ha detto ieri Santoro — per cui, essendo ogni cosa a posto dal punto di vista dell'iter burocratico aziendale, mi aspetto che non ci siano impedimenti». Appena appresa la notizia, tuttavia, Avvenire ha reagito parlando di «infame calunnia» e di «spazzatura» e il presidente della commissione di vigilanza Rai, Landolfi (An), ha chiesto ufficialmente al dg Cappon di «fermare Santoro». «Gli lasci pure la palma del martirio — ha continuato ironico Landolfi — ma eviti di trasformare il servizio pubblico in un plotone mediatico di esecuzione pronto a fare fuoco sulla Chiesa e sul Papa, per di più in nome di una lacunosa se non addirittura calunniosa ricostruzione dei fatti».
Sex Crimes and Vatican, questo il titolo dell'inchiesta della Bbc, è vecchia di un anno, e si può comunque vedere su Internet, collegandosi ad un sito siciliano di amici di Beppe Grillo. Per acquistarla, dice Santoro «non ho bisogno di autorizzazioni particolari», il direttore del tg2 Mazza se n'è lavato le mani, quello del tg3 Di Bella ha dato l'ok, ma a lui spetta vigilare su AnnoZero solo riguardo alla par-condicio in tempi di campagna elettorale. Per il resto, Santoro risponde direttamente a Cappon. Il quale non farà in tempo a metter piede a Fiumicino oggi (è stato a Nairobi per l'inaugurazione di una sede Rai), che gli piomberà addosso il problema. Alla richiesta di Landolfi, infatti, già reagisce la sinistra, Russo Spena e Migliore, capigruppo al Senato e alla Camera del Prc accusano: «Grave la richiesta di censura preventiva, non spetta alla commissione. Il documentario è stato trasmesso in Gran Bretagna nel 2006. Se dovessimo accettare imposizioni da parte delle gerarchie ecclesiastiche su questo terreno sarebbe davvero un fatto gravissimo». Anche Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21, è fortemente critico: «La Bbc è un modello di giornalismo rigoroso, non spetta a Landolfi chiedere censure preventive».

Repubblica 21.5.07
La richiesta del presidente della commissione Vigilanza. Il conduttore di "Annozero" vuol trasmettere l'inchiesta che fa infuriare il Vaticano
"La Rai blocchi il video sui preti pedofili"
Landolfi attacca Santoro. Il filmato Bbc sul tavolo del direttore generale
di Silvia Fumarola


ROMA - La Rai è divisa, ma Mario Landolfi, presidente della commissione di Vigilanza, non ha dubbi: bloccare l´inchiesta della Bbc sui preti pedofili. «Apprendo che, su richiesta di Michele Santoro» scrive Landolfi «la direzione generale della Rai si accingerebbe a esaminare la proposta di acquisto di "Sex crimes and the Vatican", una vecchia inchiesta sul coinvolgimento di sacerdoti in vicende di pedofilia in cui viene chiamato in causa anche l´allora cardinale Ratzinger, presentato come colui che avrebbe coperto i responsabili di tali nefandezze. Un´evidente ragione di opportunità dovrebbe consigliare a Cappon di non aderire alla richiesta del conduttore di "Annozero". Lasci pure a Santoro la palma del martirio, ma eviti di trasformare il servizio pubblico in un plotone mediatico di esecuzione pronto a fare fuoco sulla Chiesa e sul Papa».
Un invito alla censura che scatena dure reazioni, mentre il caso Bbc finirà oggi sulla scrivania del direttore generale della Rai Claudio Cappon. La polemica sull´inchiesta (in rete su Google) che denuncia gli abusi sessuali subiti dai minori da parte dei sacerdoti in Irlanda, Stati Uniti e Brasile, crea imbarazzo. Sono giorni delicati a Viale Mazzini, col Cda in bilico, uno scontro col Vaticano fa paura.
Avvenire ha bollato il documentario, già trasmesso sulla Bbc nel 2006, come «infame calunnia via Internet». Santoro, il filmato andrà in onda giovedì? «Non ho avuto alcuna notizia ufficiale in senso contrario, per cui, essendo a posto dal punto di vista dell´iter burocratico aziendale, mi aspetto che tutto si risolva» dice il giornalista. «Se dovesse emergere qualcosa in contrario, vedremo. Gli ok di prammatica per questo tipo di acquisto ci sono tutti e, dal mio punto di vista, non c´è nulla che possa impedirlo». Ma la richiesta è ancora senza firma: dalla scrivania del direttore di RaiDue Antonio Marano è finita sul tavolo di Lorenza Lei, responsabile delle Risorse televisive. Santoro è direttore (ad personam), responsabile editoriale di "Annozero", potrebbe quindi procedere all´acquisto (sui 20mila euro) autonomamente. Antonio Di Bella, direttore del Tg3, sovrintende sulla trasmissione di RaiDue solo per la par condicio: il suo nulla osta è legato agli equilibri politici, non ai contenuti della puntata. La valutazione editoriale spetta solo al direttore generale: Cappon deve ancora pronunciarsi e già viene tirato per la giacchetta.
Giovanni Russo Spena e Gennaro Migliore, componenti (Prc) della Commissione di Vigilanza, denunciano Landolfi. «Riteniamo inaccettabile l´esortazione a Cappon, è un invito alla censura preventiva. Se dovessimo accettare imposizioni dalle gerarchie ecclesiastiche sarebbe gravissimo». Concorda Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21: «Non spetta né a Landolfi e neanche ai singoli partiti chiedere qualsiasi forma di censura preventiva. Non esistono argomenti che non si possono trattare». Giorgio Lainati, capogruppo di Forza Italia nella Commissione, attacca: «La sinistra comunista ha da tempo scatenato nei programmi dei suoi fiancheggiatori in Rai un´offensiva anticlericale. Evidentemente l´enorme successo del Family day ha scatenato la sete di vendetta». «Non vorrei che attorno a una trasmissione di Santoro ripartisse un tormentone» osserva Giorgio Merlo, vice presidente della Vigilanza Rai. «Nel servizio pubblico non è prevista la censura preventiva ma neanche la continua delegittimazione».

Repubblica 21.5.07
Per il Papa a rischio soprattutto i minori
Ratzinger sulla tv "Troppo sesso e scene violente"
di Orazio La Rocca


CITTÀ DEL VATICANO - Nuovo severo richiamo di papa Ratzinger per quei programmi televisivi che «inculcano violenza e comportamenti antisociali o volgarizzano la sessualità umana». Programmi bollati da Benedetto XVI come «inaccettabili», «diseducativi» e «pericolosi», specialmente se «proposto ai minori ed ai ragazzi di qualsiasi età».
L´altolà antitelevisivo arriva durante la domenicale preghiera dell´Angelus recitata, ieri, in piazza San Pietro, alla presenza di circa 20 mila pellegrini, tra i quali anche il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e l´arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani che da oggi fino a venerdì prossimo presiederà in Vaticano l´assemblea generale della Cei. L´invettiva papale prende lo spunto dalla quarantunesima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali - dedicata a «I bambini e i mezzi di comunicazione: una sfida per l´educazione» - celebrata ieri dalla Chiesa cattolica. Ratzinger si rivolge, tra l´altro, ai «responsabili dell´industria dei media e agli operatori della comunicazione sociale, affinché salvaguardino il bene comune, rispettino la verità e proteggano la dignità della persona e della famiglia». Il Pontefice chiede, inoltre, «un´adeguata formazione all´uso corretto dei media» invitando «genitori, insegnanti e comunità ecclesiale a collaborare per educare i bambini, e i ragazzi ad essere selettivi e a maturare un atteggiamento critico, coltivando il gusto per ciò che è esteticamente e moralmente valido». «Anche i mass media - secondo il Pontefice - devono recare il loro contributo a questo impegno educativo, promuovendo la dignità della persona umana, il matrimonio e la famiglia, le conquiste e i traguardi della civiltà».
Richiami ed esortazioni che Benedetto XVI aveva anticipato nel messaggio pubblicato lo scorso mese di gennaio in vista della celebrazione di ieri, fatti propri - subito dopo l´Angelus - da Luca Borgomeo, presidente dell´associazione di telespettatori di matrice cattolica, Aiart, che ha detto «siamo con il Papa quando afferma che i mass media devono difendere la famiglia e il matrimonio». «Troppo spesso - lamenta Borgomeo - non ci si accorge, o non si mette sufficientemente in luce, che giornali, tv e radio contribuiscono a disgregare la famiglia, cellula fondante della nostra società, dando soprattutto ai giovani modelli sbagliati, che delegittimano l´unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio».

l’Unità Lettere 21.5.07
Perché non ricordate il pensiero di Gramsci sul tema Stato-Chiesa?

Cara Unità,
ricorrono 70 anni dalla morte di Antonio Gramsci. Quale modo migliore di onorare la memoria del fondatore del l’Unità che ricordare il suo pensiero integralmente laico sul problema dei rapporti Stato-Chiesa? Molti sanno che nel ’47, in sede di Assemblea Costituente, il Pci di cui era segretario Palmiro Togliatti, votò per l’inserimento del Concordato nella Costituzione Italiana. Quasi del tutto ignorata risulta invece la posizione anticoncordataria («Il concordato è il riconoscimento di una doppia sovranità su uno stesso territorio statale... ») espressa dal fondatore del Pci nei suoi “Quaderni dal carcere”, all’indomani della firma dei Patti Lateranensi. Nel ’47, in un Paese lacerato dalla guerra civile, forse aveva un senso sacrificare sull’altare della pace religiosa il principio della laicità dello Stato. Ma oggi a chi serve e a cosa serve il Concordato? Sarebbe interessante aprire un dibattito sulla questione.
Maria Fausta Adriani, Roma

Repubblica 21.5.07
Oggi in Vaticano prima assemblea generale dei vescovi guidata dal nuovo presidente. Le "truppe" e gli obiettivi della Chiesa
Cei, ecco il manifesto di Bagnasco
"Alleanza con i Teocon per la riconquista cristiana dell'Italia"
Dopo il Family Day Pezzotta potrebbe guidare un movimento
di Marco Politi


ROMA - Monsignor Angelo Bagnasco si presenta oggi con la sua relazione all´assemblea plenaria dell´episcopato. C´è un´atmosfera nuova. La Cei si sta muovendo secondo uno schema a tre punte. C´è il Pastore, il Politico, l´Eminenza grigia. Bagnasco ha il compito di forgiare il programma pastorale della Cei. In questa sessione presenterà una «Nota pastorale» per indicare il cammino della Chiesa italiana dopo il grande convegno di Verona dell´autunno scorso, seguendo le indicazioni di papa Ratzinger. Al primo posto sta la missione di evangelizzare la società, tenendo conto - come ha raccomandato Benedetto XVI - delle convergenze con le forze laiche, che proclamano la difesa dei valori cristiani dell´Occidente: i teocon di Marcello Pera, per capirsi, e gli ambienti che gravitano intorno al Foglio di Giuliano Ferrara (mobilitatosi entusiasticamente per il Family Day).
Con Bagnasco a Genova è cresciuto il ruolo del segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori. Il suo discorso, a Gubbio, ha avuto accenti squisitamente politici. Betori ha spiegato che c´è una «battaglia» in corso e che la Chiesa intende vincerla: embrioni, aborto ed eutanasia sono le questioni su cui la Conferenza episcopale agirà con determinazione in futuro. E si tratta di cose molto concrete. Impedire l´uso della pillola abortiva negli ospedali, bloccare l´impiego della pillola del giorno dopo, vietare qualsiasi sperimentazione sulle cellule staminali embrionali, negare l´autodeterminazione al malato per quanto riguarda il testamento biologico. In proposito la linea della Cei è che deve decidere una commissione, scavalcando la volontà individuale del paziente.
Inedito è il ruolo che il cardinale Ruini continua a svolgere dietro le quinte come interprete della linea papale. Prima del Family Day il cardinal vicario ha contattato il direttore generale della Rai per suggerirgli come trattare l´avvenimento. All´arrivo di Benedetto XVI dal Brasile ha incontrato il ministro Bindi a Ciampino, invitandola ad essere «saggia». Insomma Ruini, ben lontano dall´avere abbandonato il campo della politica, agisce come da suggeritore sullo sfondo.
Il 12 maggio ha rafforzato l´ala interventista della Cei e la sua volontà di determinare la legislazione nel campo cosiddetto «etico», sbarrando il passo a qualsiasi proposta non gradita alla gerarchia ecclesiastica. La mossa del leader Ds Fassino, disposto a discutere di una modifica del codice civile per tutelare i diritti dei conviventi, ha dato ragione a chi al vertice della Chiesa ha sempre propugnato la tesi che l´Ulivo su questi temi può muoversi solo all´interno del perimetro stabilito dall´istituzione ecclesiastica. La Cei aveva indicato che l´unica soluzione doveva essere trovato nell´ambito del codice civile e così deve essere, senza alcun tipo di mediazione. Ciò che la Chiesa intende assolutamente impedire è di dare dignità al «sodalizio» creato dalla coppia di conviventi.
In Parlamento la Cei e il Vaticano hanno ormai una sponda più che solida nell´Udc di Casini, nell´Udeur di Mastella (gratificato, nel vivo del braccio di ferro sulle unioni civili, da una telefonata personale di Benedetto XVI) e nella pattuglia dei teodem dell´Ulivo, che non hanno mai nascosto il desiderio di buttare a mare i Dico. Sotto tiro, da parte ecclesiastica, sono i cattolici democratici nella Margherita.
La novità più rilevante è il progetto di mantenere in vita il «movimento» del Family Day come mezzo di pressione sul governo e sui partiti. Poco importa che i manifestanti del 12 maggio rappresentino soltanto una parte delle tendenze presenti nel mondo cattolico. Savino Pezzotta ne sta facendo una sorta di «sindacato» informale del cattolicesimo, orientato dall´episcopato.
«La piazza di San Giovanni non smobiliterà - ha dichiarato subito dopo la manifestazione - e i cattolici saranno in campo ogni volta che saranno in gioco i valori della vita, della dignità e della libertà della persona». C´è un valore «politico» della piazza, fa sapere, che i politici devono ascoltare. Parole molto generiche, ma lasciano intravedere un movimento a struttura leggera che Pezzotta potrebbe guidare, benchè abbia dichiarato dopo la manifestazione la fine del suo compito di portavoce del Family Day.
Nel corso dell´assemblea della Cei verrà eletto uno dei vicepresidenti. Sarà interessante per cogliere il vento che spira nell´episcopato.

Repubblica 21.5.07
I “Pof” di Fioroni ispirati dal Papa
Dal pedagogismo del ministro dovrebbe uscire una scuola rispondente ai dettami di Benedetto XVI
di Mario Pirani


È singolare che, mentre sulla contrapposizione tra famiglia regolare e Dico il dibattito dilaghi nelle piazze e sui mass-media, su altre questioni, altresì di profilo ideale e, magari, di natura più generale, il disinteresse regni sovrano. Eppure anche su queste si scontrano visioni opposte. Nell´ignoranza e nel silenzio dei più, anche se – tra genitori, alunni e insegnanti – concernono milioni di italiani.
È, infatti, alla scuola che sto alludendo. Ne ho parlato la settimana scorsa ("La carica dei 500 in nome della Falcucci", Repubblica del 14 us) indicando quale iattura rappresenti il ribadito abbandono dei programmi nazionali di studio per sostituirli con «programmi personalizzati», decisi scuola per scuola. Non ci si ferma qui. Come denuncia, anche in questo caso, il benemerito Gruppo dei 500 (insegnanti e genitori) di Torino (e-mail: manifestodeicinquecento email.it), la commissione ministerial-padagogista, insediata dal ministro Fioroni, ha pubblicato altri documenti ufficiali su «Il curricolo nella scuola dell´Autonomia» la cui lettura accresce le preoccupazioni a proposito dell´abbassamento culturale e dello smembramento del sistema scolastico.
Nell´ultimo documento del ministero della PI si legge, infatti: «Con il riconoscimento dell´autonomia alle istituzioni scolastiche il posto che era dei Programmi nazionali viene preso dal Pof (Piano offerta formativa) che è il documento fondamentale costitutivo dell´identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche».
Tanto per chiarirlo ai lettori che ne siano ignari, il Pof è una specie di manifesto che reclamizza le qualità, le caratteristiche, gli accattivanti progetti della singola "azienda scolastica", al fine di ottenere più iscritti e maggiori possibilità di sponsorizzazioni territoriali, visto il taglio dei bilanci pubblici. Se le parole hanno un peso, adombrare una identità culturale à la carte, con programmi diversi da scuola a scuola, adombra qualcosa di molto grave. Ricordo che nemmeno la Repubblica italiana si fonda su una "identità culturale", mentre la Costituzione precisa solo l´impegno alla promozione della cultura (articolo 9), e ne garantisce la libertà, così come la libertà di insegnamento (articolo 33), di cui è titolare ogni singolo docente. Lo Stato non è, dunque, indifferente nei confronti della cultura ma non si identifica in nessuna cultura. La differenza non è di lana caprina. Si ricorderà come attorno alla reiterata richiesta papale per introdurre nella Costituzione europea il principio di "identità cristiana" si sviluppò una fortissima resistenza in quasi tutti i Paesi, tanto che la formulazione venne respinta.
Nel contempo la crociata identitaria si sviluppò in parallelo con l´obbiettivo, tanto caro ai teo-con e ai teo-dem, di debellare in ogni settore il deprecato "relativismo culturale", baluardo del pensiero laico. La scuola è terreno privilegiato di conquista ed ecco che l´"identità" rispunta dal basso, contando sul fatto che, dissolti i dettami su scala nazionale, l´alleanza cattolica destra-centro-sinistra, col supporto di parroci e vescovi, secondo lo schema del Family Day, riesca a permearne i Pof. Del resto è nelle scuole private, le cattoliche in primis ma anche in quelle ebraiche (e presto nelle musulmane), che le «identità» culturali e ideali vengono esplicitamente definite a priori, selezionando su questa base insegnanti e allievi. Scegliendole le famiglie agiscono di conseguenza.
Resta (o restava?) l´ampio baluardo di una scuola pubblica, neutrale e relativista per principio costituzionale, in cui la dialettica delle eventuali diverse identità promana dalla libertà dei singoli, siano essi insegnanti o alunni, e si arricchisce o muta nel confronto reciproco. Ma lo smottamento in atto dei principi della scuola non si ferma qui e lascia intuire le linee di un disegno coerente. Ad esempio laddove si indica l´obbligo di ascoltare «le culture locali e le specifiche esigenze delle famiglie e del territorio». Cosa significa questo per le singole scuole, si chiede il Gruppo dei 500? «I consigli di istituto metteranno ai voti l´identità culturale della scuola? Vincerà chi saprà imporsi e ottenere più voti? E quale fine sarà riservata alle identità perdenti? Si rifaranno alla prossima occasione?». Lo spazio non mi consente di soffermarmi su altri punti, altrettanto gravi, del pedagogismo alla Fioroni, del resto perfettamente coerente con i suoi predecessori. Ne dovrebbe uscire una scuola rispondente ai dettami di Benedetto XVI, con un contentino territoriale optional per i leghisti padani.
L´Ulivo, lo si è già capito, resterà, come in casi simili, in «attento ascolto».

Corriere della Sera 21.5.07
Polemiche nei poli per l'apertura ai cattolici del segretario della Quercia
Dico, tensione nell'Unione E Bondi elogia Fassino
di R. Zuc.


ROMA — Una cosa è certa: la scelta di Piero Fassino ha ribaltato la questione dei Dico. Perché dire che a nuove regole per le convivenze si può arrivare anche con il diritto civile, e aprire quindi ai cattolici, continua a provocare un mezzo terremoto sia a destra che a sinistra.
Un esempio per tutti. Sandro Bondi, che in genere non è tenero con i diessini, da due giorni non fa altro che lodare il segretario della Quercia. E questa volta ne approfitta per metterlo contro il ministro degli Esteri e la capogruppo dell'Ulivo al Senato: «Se penso alle posizioni di Massimo D'Alema e Anna Finocchiaro debbo riconoscere che Fassino ha una marcia in più in termini di stile, di sensibilità e di visione dei problemi». Non c'è male per essere il braccio destro di Silvio Berlusconi. Non solo, scatta nel coordinatore di Forza Italia addirittura un'immedesimazione: «Mi sento molto simile a lui per il lavoro massacrante che ho fatto questi anni nel mio partito: un lavoro silenzioso, spesso misconosciuto, eppure appassionato».
Ma l'uscita del segretario ds fa emergere anche i numerosi distinguo esistenti all'interno degli stessi partiti. Rosy Bindi, cofirmataria del testo sui Dico insieme alla diessina Barbara Pollastrini, accusa Fassino di «cedere» alla piazza. E il ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni, senza citarla, lancia un appello a lavorare al netto dei personalismi: «Dobbiamo mettere da parte l'"io", le "nostre" leggi, il "nostro" pensiero, per guardare a ciò che occorre alle famiglie. E bene ha fatto Fassino a ribadire che si può ricercare qualunque via per garantire i diritti delle persone». Quindi anche con le modifiche al diritto civile.
Ma un altro esponente della Margherita, che non è andato al Family Day come invece ha fatto Fioroni, ha un'opinione ancora diversa: «Sono d'accordo con Fassino, ma ormai è del tutto evidente che da parte del centrodestra non vi è disponibilità alcuna a sedersi attorno ad un tavolo per risolvere il problema. Meglio quindi mettere da parte i Dico, almeno per il momento, in attesa di tempi migliori».
Ieri, accanto ai Verdi, ai Comunisti italiani e ai socialisti di Enrico Boselli, che continuano ad accusare il segretario della Quercia di «cedimento» ai cattolici, è arrivata però la solidarietà di una parte della Quercia. A parlare in difesa di Fassino sono i cristiano sociali di Mimmo Lucà, la vicecapogruppo alla Camera Marina Sereni e Marco Filippeschi. La responsabile delle donne Ds, Vittoria Franco, apre alla possibilità di «esplorare tutte le vie» per giungere alla tutela dei diritti civili. Ma in generale i dalemiani restano freddi, a partire da Anna Finocchiaro che ribadisce: «La decisione spetta al Parlamento».

Repubblica 21.5.07
Lettino e misfatti
Una fabbrica di favole o disciplina necessaria? Due libri a confronto
Se lo psicoanalista fugge dalla Storia
di Umberto Galimberti


Più interessante valutarne l’impatto nella società, suggerendo agli analisti di aprirsi ad altri studiosi
Arriva in Italia l’attacco mosso alla psicoterapia da un gruppo di intellettuali francesi, ma si tratta di un gioco di potere
Impropria l’accusa di non essere scienza: non ha mai preteso di esserlo
Ha favorito il progresso delle donne e i diritti degli omosessuali

Un giorno una donna si presenta nello studio che il dottor Freud aveva appena aperto a Vienna dopo le sue sfortune accademiche, per esporgli un quadro di sofferenze che lo stesso Freud faticava a trattare. Dopo diversi incontri Freud decise di inviare la paziente al dottor Fliess, famoso otorinolaringoiatra di Berlino che teorizzava una stretta relazione tra il naso e i mali dell´organismo. Questa relazione Freud l´aveva già sperimentata su di sé a proposito di certi suoi spasmi cardiaci superati dopo un trattamento nasale.
La poveretta, che si chiamava Emma Eckstein, fu sottoposta da Fliess a un´operazione al naso che la lasciò sfigurata, anche perché nella cavità nasale era stata dimenticata una benda. Ne seguì un´emorragia che portò la paziente vicino alla morte, ma Freud, amico di Fliess, difese a tal punto l´operato del collega da interpretare quell´emorragia come un sintomo isterico. La paziente, ripresasi, tornerà da Freud per curare la diagnosticata isteria e dopo alcuni anni diventerà essa stessa analista.
Di questi episodi la psicoanalisi alle sue origini, ma forse non solo alle sue origini, ne annovera molti, e probabilmente le cose non possono andare diversamente quando la volontà interpretante prevale sulle vicende della vita e sulla versione che ne dà il senso comune. Ma il sapere non è mai nato dal senso comune perché la pigrizia intellettuale, che è poi il terreno infecondo del senso comune, lascia le cose come sono, senza forzarle a cedere il segreto che custodiscono.
Approfittando di questo e di molti altri casi simili che la storia della psicoanalisi annovera, quaranta studiosi francesi dalle competenze più svariate sferrano un attacco senza precedenti alla psicoanalisi, accusandola di non essere una scienza, ma solo una fabbrica di favole, di non aver alcun effetto terapeutico se non quello generico di un placebo, di non condurre alla conoscenza di sé perché seleziona il materiale clinico all´unico scopo di trovare una conferma alle proprie teorie, di non promuovere alcuna ricerca, ma solo una difesa dei propri interessi economici e di potere.
Quando nel 2005 Il libro nero della psicoanalisi (oggi tradotto in italiano da Fazi Editore, pagg. 690, euro 29,50) uscì in Francia, Massimo Ammaniti intervenne opportunamente su Repubblica per denunciare che un simile attacco era rivolto a quel settanta per cento di psichiatri francesi che, nei loro trattamenti, utilizzavano la psicoanalisi o terapie di derivazione psicoanalitica. Quindi una guerra interna dove anche la cultura finisce stritolata e un po´ malmenata nei giochi di potere, per la gioia di chi diffida della psicoanalisi e, senza volerci entrare, plaude ad attacchi impropri come questo che accusa la psicoanalisi di non rispondere a criteri scientifici quando la psicoanalisi non ha mai preteso di essere una scienza.
La ragione è molto semplice. Il metodo scientifico prevede l´oggettivazione dell´uomo, la sua riduzione a cosa, e pertanto è incompatibile con la psicologia che non può annullare la soggettività e l´individualità dell´umano a cui essa è naturalmente ordinata. Queste cose le ha dette a chiare lettere Dilthey più di un secolo fa, le ha ribadite Jaspers, Husserl e Binswanger che hanno sottratto la psicologia all´ambito delle scienze della natura (Naturwissenschaften) per iscriverla tra le scienze dello spirito (Geisteswissenschaften) oggi denominate «scienze ermeneutiche». Stupisce che i francesi queste cose non le abbiano ancora imparate. Il loro atteggiamento assomiglia a quello di chi volesse affrontare lo studio della storia partendo dalle leggi della fisica o, per essere più comprensibili, di chi pretendesse di giocare a tennis tirando in porta.
Molto più interessante è leggere il libro di Eli Zaretsky, professore di storia presso la New York School University, autore de I misteri dell'anima. Una storia sociale e culturale della psicoanalisi (Feltrinelli pagg 520 euro 45) dove la psicanalisi esce dagli studi degli psicoanalisti per entrare in modo radicale nella società e nella storia della cultura, a cui fornisce gli strumenti teorici e pratici che rafforzano i nuovi valori che la modernità è andata proponendo.
In primo luogo il «principio dell´autonomia» che significa la libertà di decidere da soli cosa è giusto e cosa è sbagliato, anziché seguire un percorso stabilito dai propri natali, dalla consuetudine, dalla condizione economica. Nel tentativo di capire perché tale autonomia fosse così difficile da conseguire la psicoanalisi elaborò i concetti di ambivalenza, di resistenza, di meccanismi di difesa che aiutarono il processo di emancipazione.
Allo stesso modo la psicoanalisi contribuì all´emancipazione femminile e al riconoscimento dei diritti dell´omosessualità, sfatando l´idea ottocentesca di una totale alterità dei generi e ridefinendo il genere come scelta dell´oggetto sessuale, portando in primo piano l´individualità nella sfera dell´amore sessuale e l´aspirazione a una vita personale che non fosse in ogni suo aspetto subordinata ai codici sociali.
Dando espressione alla vita personale e sottolineando la distinzione tra pubblico e privato, la psicoanalisi ha emancipato dall´autorità paterna, centripeta, gerarchica e incatenata alla famiglia, e ha dato un significativo contributo all´interiorizzazione del concetto di "democrazia", lasciando intravedere la possibilità di nuove e più riflessive relazioni con l´autorità, nonché l´ingresso nella sfera pubblica di istanze considerate private come l´esercizio della sessualità, la libertà da vincoli irrevocabili, il diritto dell´individuo di operare scelte a partire dalla propria personale natura, considerata non per come appare, ma per come è vissuta.
Oggi, se un invito si può e forse si deve rivolgere alla psicoanalisi è quello di non abbandonare questo stretto contatto con la società e con la storia e andare ad esempio a indagare se accanto a un «inconscio pulsionale» non si sia formato negli uomini del nostro tempo anche un «inconscio tecnologico» che condiziona l´io risolvendo la sua identità in funzionalità, la sua libertà in competenza tecnica, la sua individuazione in atomizzazione, la sua specificità in omologazione.
E come nella vita impersonale della specie a cui appartiene, nelle vicissitudini del suo corpo che segue il proprio ritmo autonomo, l´io trova se stesso nell´inconscio pulsionale da cui cerca di emanciparsi, così nella vita sociale, in qualità di produttore e di consumatore, l´io incontra se stesso come funzionario dell´apparato tecnico, o addirittura come anello di quella catena che l´inconscio tecnologico sopraggiunto connette con il mondo delle macchine che, siano esse amministrative, burocratiche, industriali, commerciali, esigono l´omologazione dell´individuo.
Ciò significa che l´invidio realizza solo se stesso quanto più attivamente si adopera alla propria "passivazione", che consiste nella sua riduzione a semplice ingranaggio dell´apparato tecnico, a sua espressione, con progressivo decentramento da sé, e trasferimento del suo centro nel sistema tecnico che lo riconosce come sua componente e, riconoscendolo, gli conferisce un´identità appiattita sulla sua funzionalità.
Di questi problemi si sono accorti, prima degli psicoanalisti, i filosofi che proprio per questo hanno ideato la «consulenza filosofica» che gli psicoanalisti guardano con sospetto, invece di instaurare un proficuo dialogo, perché la psiche umana non è qualcosa di immutabile, di cui la psicoanalisi ne avrebbe scoperto una volta per tutte la struttura, ma è qualcosa che cammina con la storia e con la storia si modifica. Non seguire queste modificazioni potrebbe significare, per la psicoanalisi, chiudere definitivamente la sua storia.

La Stampa 21.5.07
Giordano: "Così ci emarginano ma non glielo permetteremo"
Il segretario di Rifondazione: «Ds e Dl pretendono di guidare il governo»
di Riccardo Barenghi
qui

Repubblica 21.5.07
A colloquio con l'architetto alla vigilia della mostra di Milano
Il rapporto tra suoni e spazio
"Così costruisco con la musica”
Da ragazzo mi ero messo in testa di suonare la tromba
di Leonetta Bentivoglio


Musica e architettura. L´arte dell´immateriale, che vive nel tempo, e la più materiale delle arti, che abita lo spazio. Mondi in opposizione che possono svelare un territorio ricco di dialoghi e suggestioni reciproche. E´ una storia che l´inventore di spazi Renzo Piano frequenta e conosce da molti anni: «Ho sempre amato la musica, fin da ragazzo, quando volli mettermi a studiare la tromba in Si bemolle», dice. «Però non ero portato, diciamo pure che sono stonatissimo. Sono cresciuto in una città di cantautori come Genova, con amici come Gino Paoli e Fabrizio De André. Fu Gino a dirmi: lascia perdere, che è meglio». Poi giunse l´incontro con Luciano Berio: «Grazie a lui compresi che avrei potuto riconquistare la mia passione per la musica su un terreno nuovo, il mio: che sarei potuto diventare un buon liutaio».
Soprattutto dagli esiti di quell´intesa nasce Memory, Installazione sonora tra architettura, musica e lavoro, fetta integrante e decisiva de Le città visibili, la mostra sull´opera di Piano che s´apre domani alla Triennale di Milano (fino al 16 settembre). Concepita a partire da un´idea di Fabio Fassone e Talia Pecker Berio, vedova del compositore morto nel 2003, e realizzata da Tempo Reale, il centro di ricerca e studi musicali fondato da Berio, Memory compone un «ritratto musicale» di Piano, che per lui ha voluto dire anche «un lavorare a distanza con Luciano. Ma attenzione, non è un omaggio: lui detestava connotazioni romantiche. Piuttosto è un tornare su percorsi comuni, un riguardare cose sulle quali abbiamo tanto discusso e sperimentato. Se si parla della dimensione musicale del mio lavoro, si parla inevitabilmente della mia memoria. Anzi, della mia memoria stonata, come avrebbe detto impietoso Luciano».
Nelle aree della mostra, spiega, scorre una sorta di tappeto sonoro, inclusivo di varie «partiture» che caratterizzano musicalmente gli spazi: «Ci sono i suoni del mio passato: le canzoni di Paoli, la musica di Boulez, insieme al quale ho lavorato molto negli anni ´70 all´Ircam, l´istituto per la ricerca sui suoni fondata a Parigi come sezione musicale del Centre Pompidou, e ancora la musica di Nono, col quale feci l´opera Prometeo, occupandomi dello spazio scenico; vi s´intrecciano i trallallero genovesi, le urla dei camalli, cioè gli scaricatori di porto, le sirene delle navi e anche la tromba in Si bemolle: ovviamente stonata». C´è poi la partitura di Stanze, l´ultima scritta da Berio, dedicata a Piano, la cui esecuzione, in una sala, è proposta a ciclo continuo: «Me la regalò poco prima di morire. Immaginava il pezzo come le stanze di un palazzo, luoghi sonori da attraversare. Quest´idea è alla base dell´intera installazione, dove si passa da una zona all´altra come lungo una sequenza. Entri, senti un brusio, t´introduci in un fascio sonoro e senti una sirena, vai altrove e c´è il rumore del mare. Fantasmi che sono suoni, come le anime perse del film di Wenders Il cielo sopra Berlino». C´è poi la «partitura» che riguarda il tema "Musica e Lavoro" , punto di partenza per un laboratorio progettato anni fa per il Lingotto, che qui assume la forma di una "colla" costituita da rumori del cantiere, martelli pneumatici, frastuono di utensili, le sonorità prodotte da falegnami e liutai... «Ricordo i primi esperimenti di Berio all´Ircam, con Boulez e altri pazzi come loro», racconta Piano. «Si divertivano a creare un suono apparentemente sciocco, come il gorgoglio dell´acqua, per poi spezzarlo, rianalizzarlo, smontarlo...».
Cos´ha in comune questo col suo pluriennale lavoro sugli spazi? «Molto. Riflette i caratteri di una cultura sperimentale, che è poi la nostra italiana del dopoguerra, e che in me diventa esplorazione delle tecnologie per costruire. Inseguendo la leggerezza, mi sono divertito a togliere finché potevo, finché le cose non mi cadevano in mano. Quest´ossessione d´indagare strutture spaziali e tecniche di alleggerimento è connessa strettamente con gli anni dell´Ircam, quando Peppino Di Giugno faceva i suoi primi esperimenti coi sintetizzatori, e John Cage arrivava dagli Stati Uniti recando il suo soffio di follia. C´era una specie di voracità insaziabile. La ricerca è come la fame, ci ripeteva Boulez: mangi, ti passa, poi torna a consumarti lo stomaco. Faccio parte di una generazione cresciuta nell´ansia dell´attraversamento di campi diversi e nel rifiuto di frontiere tra discipline. Tutti i rapporti temporali in musica, diceva Berio, possono divenire allegorie dei rapporti strutturali e delle durate lineari in architettura».
Oggi Piano continua a costruire spazi per la musica: «Ne ho fatti sette o otto, tra cui la sala del Lingotto, l´auditorio di Parma e quello di Roma. Ce ne saranno altri. L´atteggiamento legato alla specificità dei materiali, del loro comportamento, delle loro frequenze, mi deriva da anni di lavoro incessante sulla dimensione musicale. I miei spazi per concerti stanno ai materiali con cui sono costruiti come le musiche di Boulez, Berio e Nono stanno alla ricerca sul suono».