mercoledì 23 maggio 2007

"Alternative per il socialismo", il nuovo bimestrale di cui parlava già l'articolo di Verderami apparso sabato 19 sul Corriere, come si leggeva in un articolo di Barenghi, uscirà venerdì 1 giugno per i tipi degli Editori Riuniti. Fausto Bertinotti ne parlava già in una lettera indirizzata ai compagni della sezione del Prc di Fondi (Latina) datata 1.2.07 (qui), quando sembrava ancora che la rivista sarebbe stata edita dalla "Ponte alle Grazie" di Firenze. La rivista mensile "Problemi del socialismo" - alla quale anche nel titolo essa farà riferimento - fu fondata da Lelio Basso (una scheda biografica qui e un sito a lui dedicato qui) nel 1958, divenne nel 1964 la rivista teorica del Psiup (il partito guidato da Vecchietti, Libertini, Foa, Valori, Lussu e altri che - riprendendo il nome che era stato del partito socialista durante la guerra di liberazione e fino alla Costituente e alla scissione saragattiana del 1947 - nacque nel 1964 da una scissione del Psi al momento dell'ingresso di Nenni al governo insieme alla Dc e del primo centrosinistra e si sciolse nel 1972) e concluse le proprie pubblicazioni nel 1992. Lelio Basso, che morì nel 1978, fu presidente del Psiup dal 1965 al 1968, fino al momento cioé dell'invasione delle truppe del Patto di Varsavia della Cecoslovacchia e membro del Tribunale Russell. La Fondazione Lelio Basso (qui) ha sede in Roma in via della Dogana Vecchia 5, ed è diretta dal prof. Giacomo Marramao.
CRIMINI CATTOLICI, TUTTI I DOCUMENTI:

Elenco dei links:
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Video in inglese con sottotitoli in italiano (da Google)
http://video.google.it/videoplay?docid=3237027119714361315

Testo del video in italiano (da Bispensiero, scaricabile)
http://www.bispensiero.it/index.php?option=com_content&task=view&id=201&Item
id=34


Crimen sollicitationis (definizioni da Wikipedia, scaricabile)
http://it.wikipedia.org/wiki/Crimen_sollicitationis

Crimen sollicitationis (dalla CBS, testo in latino, scaricabile)
http://www.cbsnews.com/htdocs/pdf/crimenlatinfull.pdf

Crimen sollicitationis (dalla CBS, traduzione in inglese, scaricabile)
http://www.cbsnews.com/htdocs/pdf/Criminales.pdf

Lettera Ratzinger/Bertone inviata dalla Congregazione per la dottrina della
fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e
gerarchi interessati (18 maggio 2001).
a. Testo originale in latino (dal sito Vaticano, scaricabile)
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20010518_epistula_graviora%20delicta_lt.html
b. Traduzione in italiano (dal sito degli amici di Ratzinger, scaricabile)
http://www.ratzinger.it/modules.php?name=News&file=article&sid=202
Aprile on line 23.5.07
Guardare ma non toccare...
di Emiliano Sbaraglia


La Rai decide di acquistare il documentario della BBC sulla pedofilia, tenendo a precisare che tutte le parti coinvolte saranno "ampiamente rappresentate". La Chiesa parla già di falsità da denunciare, mentre Santoro prende tempo per definire il "taglio" da proporre alla puntata

Dopo giorni di imbarazzati silenzi e improbabili sotterfugi, alla fine sembra che l'informazione prevarrà sui tentativi di censura. E nel suo piccolo questo giornale, avendone parlato sin dalla scorsa settimana ben prima di altri, sente di aver dato un modesto contributo.
Il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, ha infatti dato il via libera per l'acquisto e la messa in onda del documentario della BBC relativo ai casi di abusi sessuali compiuti da sacerdoti cattolici ai danni di adolescenti e bambini. Michele Santoro, che per primo ne aveva formalmente fatto richiesta, potrà quindi trasmettere il documentario in una delle prossime puntate di "Anno Zero", quale esattamente è da definire: il conduttore sta valutando come impostare questa inchiesta, di certo molto molto delicata.
Azioni e reazioni - Le agenzie battute dall'ufficio-stampa di Viale Mazzini avanzano con i piedi piombo: "Certamente non andrà in onda questa settimana perché secondo Cappon ci sono delle cose da valutare, e comunque in trasmissione dovrà essere garantita la presenza di autorevoli esponenti della Chiesa", si legge nel comunicato. Una Chiesa che per bocca del segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, non ha tardato a far sentire la sua voce: "Non vogliamo alcuna censura -ha riferito il monsignore nel corso di una riunione della Conferenza episcopale-; ma se il documentario dovesse essere trasmesso in Italia vorremmo che ci fosse almeno una chiara presa di distanza da tutte le falsità che questo documentario sembra contenere".
Presunte falsità - A dire il vero, Giuseppe Betori dovrebbe a sua volta chiarire meglio a quale falsità voglia riferirsi, dato che ha criticato in particolare il fatto che il filmato consideri un documento vaticano del 1962 (il "Crimen Sollicitationis") come emanazione del cardinale Ratzinger, mentre all'epoca questi era un semplice teologo. Ma chi (come noi e i nostri lettori) hanno già avuto modo di guardare il documentario, avrà constatato che l'attuale pontefice in realtà viene chiamato in causa a partire dalla metà degli anni ottanta, vale a dire da quando l'allora cardinale assume l'incarico da parte delle gerarchie ecclesiastiche vaticane di controllare che i vescovi siano attenti nel far rispettare i dettami contenuti nel "Crimen Sollicitationis" (cfr. Aprileonline.info del 18-05, "Sex, Crimes and Vatican"). Oltre a questo, ricevuto anche il compito di ritoccare lo stesso documento nell'anno 2001, Ratzinger irrigidisce ancor di più i contenuti del testo, riaffermando tra l'altro la scomunica per coloro i quali si presentino a testimoniare in tribunale per l'accusa di pedofilia a carico di prelati, senza che prima non ne abbiano dato conto ai rappresentanti della Chiesa, o che questa non si sia per prima occupata del singolo caso. Molto più difficile, per il monsignore o chi per lui, sarà invece bollare come "falsità" alcune confessioni che i 38 minuti di video documentano inequivocabilmente.
Prevenzione e censura - Nei giorni scorsi, il presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla Rai Mario Landolfi (An) aveva già affermato che l'azienda Rai doveva impedire la trasmissione del video, perché altrimenti favorirebbe lo sporco gioco di "una squadra di esecuzione mediatica pronta ad aprire il fuoco sulla Chiesa e sul Papa". Contemporaneamente la Chiesa condannava il documentario. Il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, "Avvenire", non risparmiava accuse nei confronti di coloro che avevano messo online il reportage della BBC, tacciandoli di spargere "un'infame calunnia". Ma i fatti sembrano invece dimostrare che anche la Santa Sede si sia alfine dovuta inginocchiare di fronte alla devastante potenzialità informativa delle nuove strutture e tecniche di comunicazione.
Oggi operare attraverso il metodo della censura sembra francamente improbabile: dopo l'avvento di Internet, qualsiasi tentativo di bandire un'informazione non sembra far altro che suscitare l'esatto contrario della volontà iniziale dei censori. Un comune cittadino, nella sua casa possiede le risorse tecniche per guardare un filmato come quello della BBC, digitalizzarlo, e volendo di diffonderlo alla maggior parte del resto del mondo.
La situazione - Tornando alla contingenza della vicenda, il cda della Rai, con la scelta di acquistare il documentario, richiama però all'esigenza imprescindibile per la quale, prima e nel corso della messa in onda, "vengano ampiamente rappresentate in maniera autorevole tutte le posizioni coinvolte".
E se immediatamente contrario alla trasmissione del reportage si è dichiarato il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini ("Non capisco perché se la Bbc ha mandato in onda un documentario spazzatura noi dobbiamo imitarla magari acquistandolo con i soldi della tv pubblica"), secondo alcuni dati sarebbero oltre un milione i visitatori che hanno già cliccato il video disponibile in rete, molti magari per eccesso di voyeurismo, tipica inclinazione dei navigatori-web.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra, verrebbe da dire: ma i peccati vanno confessati. Parola del Signore.

l’Unità 23.5.07
L’inchiesta della Bbc
Lo Scandalo e il Silenzio
di Luigi Cancrini


Il video messo in onda dalla Bbc che tutti noi dovremmo poter vedere nella prossima puntata di Annozero sui preti pedofili è un documento importante. In modo semplice e documentato, esso dà conto delle dimensioni drammatiche di un problema che la Chiesa ha sin qui tentato di ignorare e di nascondere. Intanto parlare di pedofilia e di diritti dei bambini dovrebbe avere accesso anche alla televisione italiana. Per aiutare a capire. Per aprire una discussione seria sul modo in cui questo problema va affrontato.
Nel 1962, con la Crimen Sollicitationis, Roma dette indicazioni ai vescovi del modo un cui doveva essere trattato il problema dei preti pedofili. Riservandone la conoscenza al Tribunale Ecclesiastico e obbligando tutti i fedeli, colpevoli, vittime e famiglie delle vittime, a mantenere il segreto nei confronti delle autorità civili su quello che era accaduto. La pena era, per chi avesse violato questo segreto, quella della scomunica. Nel 2001, pur non parlando più di scomunica, la Congregazione per la difesa della fede presieduta dall’attuale Papa ribadì queste indicazioni in una fase in cui le denunce per pedofilia da parte di preti cattolici raggiungevano negli Stati Uniti il numero di 4.500. Presenti praticamente in tutte le diocesi (secondo il comitato formato da cattolici e non cattolici che tentò di saperne di più «in modo endemico e non epidemico»), mentre un numero purtroppo molto altro di casi simili veniva registrato in Irlanda, in Brasile e in tanti (troppi) paesi del mondo. Motivata dal bisogno di difendere l’immagine della Chiesa, questa posizione ha creato da sempre problemi gravi per le autorità civili incaricate di indagini in questo settore. Il giudice americano che ha chiesto l’estradizione di preti che erano stati comunque perseguiti e che si erano rifugiati all’estero, in Vaticano, racconta nel video di come le sue richieste venivano rinviate al mittente senza che le buste fossero state aperte. Il giornalista che ha seguito le tracce degli abusati ha incontrato ed intervistato persone che si erano portati il loro segreto nel cuore per decine di anni. Rovinandosi la vita nel tentativo di trovare un perché a quello che era loro accaduto. Fidarsi di un prete, subirne la violenza, essere costretti al silenzio, vederlo ripetere impunemente con altri le violenze che aveva fatto a lui o a lei.
C’è davvero un nesso fra la scelta di diventare prete e il rischio di commettere crimini di questo tipo? Gli studi sulla organizzazione psicologica delle persone che mettono in opera comportamenti pedofili dimostra che si tratta di persone che hanno avuto da sempre problemi con la loro sessualità. Chi ha tendenze perverse reagisce spesso da giovane con una inibizione totale degli interessi sessuali. Fare il prete significa, in alcuni di questi casi, darsi una giustificazione alta per un problema che andrebbe risolto in tutt’altro modo. Fobie del sesso e problematiche collegate al tentativo di reprimerlo o di controllarlo sono assai diffuse nell’ambito della educazione cattolica e propongono un ambiente particolarmente favorevole per persone con questo tipo di problemi. Capaci spesso di mantenere una astinenza faticosa ma messe in crisi, in altri casi da quella che un prete intervistato e condannato chiama «la forza irresistibile e quasi inconsapevole» da cui le sue condotte finivano per essere determinate. Mi è capitato spesso di parlare con dei sacerdoti del modo in cui il controllo sulle vocazioni sta cominciando a prendere in considerazione questo tipo di problema. Quello che è stato fatto finora, tuttavia, non è servito a molto se i fatti sono quelli di cui siamo costretti a parlare oggi. Con conseguenze terribili anche per i preti più drammaticamente combattuti tra bene e male perché il suicidio di molti di loro, più o meno pubblicamente accusati, è spesso la prova più evidente del come la pedofilia sia una condanna per chi la mette in opera oltre che per chi la subisce.
La più terribile di tutte le storie riferite nel video è quella del bambino di cinque anni sedotto da un parroco trasferito in un piccolo paese del Brasile più povero dopo che aveva abusato in più sedi di più minori. La promessa era stata quella di dargli lezioni di chitarra. Quando il bambino parlò e la storia fu conosciuta la zia che inutilmente aveva tentato di protestare con le autorità ecclesiastiche e che non poteva permettersi di avere un avvocato perché viveva in condizioni di totale povertà fu duramente discriminata da tutta la comunità locale. Ridicolizzato dai suoi compagni che lo chiamavano «fidanzata del parroco» il bambino diceva solo di voler morire ma nessuno fece nulla fino a quando, alcuni anni dopo, il diario del parroco, venuto per caso nelle mani di altri inquirenti, non fornì particolari allucinanti sulle strategie che lui aveva stabilito di seguire per sedurre dei bambini «orfani e poveri».
Sta nell’immagine di questo bambino l’accusa più terribile per quella Chiesa che avrebbe dovuto continuare a dire con Gesù «lasciate che i pargoli vengano a me». Un’accusa dura ma seria rivolta a delle procedure che non possono più essere mantenute. Un Papa e un clero che tanto si scandalizzano o dicono di scandalizzarsi per divorzio, aborto e coppie di fatto dovrebbero avere la forza di riconoscere un errore grossolano e porvi riparo. Pubblicamente e con chiarezza. Accettando l’idea per cui i comportamenti pedofili fanno male a chi ne è vittima e ha diritto ad essere protetto e risarcito prima che sia troppo tardi. Ma accettando anche l’idea che il prete che abusa dei bambini è una persona che ha il diritto ed il dovere di curarsi. Proteggerlo è un modo di fare del male a lui, agli altri bambini che avranno la sfortuna di incontrarlo e alla Chiesa intera. Gesù, da cui tutti abbiamo ancora tanto da imparare, sottolineava quanto siano importanti e necessari gli scandali. L’augurio è che quello proposto dal video della Bbc non sia soffocato, oggi, da chi si preoccupa più o meno strumentalmente o scioccamente per l’immagine della Chiesa invece che dei bambini.

Corriere della Sera 23.5.07
CAPOTOSTI
«La responsabilità penale? Anche i vescovi rischiano»
di M. Antonietta Calabrò


ROMA — Pedofilia: «La responsabilità penale e civile delle diocesi e dei vescovi non si può escludere sempre e comunque». Caso Bbc-Santoro: «La Rai non può e non deve mandare in onda informazioni palesemente false» dice Piero Alberto Capotosti, ex presidente della Corte Costituzionale e vicepresidente del Csm, uno dei massimi giuristi cattolici.
Professore, il segretario della Cei ha detto che in Italia le diocesi non sono responsabili per i reati di pedofilia commessi dai preti. È così?
«In linea di principio, naturalmente, la responsabilità penale è personale, ci mancherebbe altro. Ma le dichiarazioni del vescovo Betori sono forse un po' troppo assolute. La responsabilità dei vescovi e delle diocesi non si può escludere a priori».
In che senso?
«Che non si può escludere sempre e comunque. Sia in campo penale, sia sotto il profilo civilistico e risarcitorio. Bisogna vedere caso per caso».
Ci faccia un esempio...
«Se il prete responsabile di atti di pedofilia è un insegnante di una scuola o di un seminario vescovile, se è cioè un collaboratore della diocesi e compie gli abusi sessuali approfittando della sua funzione, non c'è dubbio che si possa configurare una responsabilità del vescovo e della diocesi. Un discorso diverso va fatto invece per un sacerdote o un parroco che non siano diretti collaboratori del vescovo».
Quando potrebbe esserci una responsabilità penale?...
«Sotto il profilo del favoreggiamento personale, se il vescovo omette di collaborare o copre i fatti quando c'è un'indagine penale in corso per quegli abusi».
E quando può scattare la responsabilità risarcitoria?
«Negli stessi casi in cui si può configurare una dipendenza diretta del sacerdote dal vescovo».
Ma il vescovo è obbligato a denunciare alla magistratura gli abusi?
«No,questo no. Il vescovo solo in alcuni casi, quando celebra un matrimonio ad esempio, è un pubblico ufficiale. In relazione a eventuali abusi dei suoi preti, è un cittadino come tutti gli altri, e non è tenuto a particolari obblighi di denuncia.
Egli può ritenere che evitare la pubblicità sugli abusi sia un modo per tutelare le vittime soprattutto se si tratta di bambini o ragazzi».
È capitato che un prete pedofilo sia stato solo trasferito e così ha ricominciato gli abusi da un altra parte. Che fare?
«Mi permetto di suggerire la prevenzione assoluta di questi reati. Quando un vescovo ha il sospetto fondato che siano stati consumati abusi del genere deve comunque intervenire, anche se non vuole denunciare i fatti alla magistratura».
Come?
«Penso a sanzioni canoniche che isolino il prete coinvolto e lo mettano in condizione di non nuocere».
Si può mandare in onda sulla Rai il documentario della Bbc sulla pedofilia che chiama in causa l'allora cardinale Ratzinger per un documento del 1962 che secondo Betori e «Avvenire» non può aver firmato perché all'epoca ancora insegnava in Germania?
«In questo caso rispondere è molto semplice. Tra i principi che regolano le trasmissioni in base alla legge sull'emittenza radiotelevisiva, tanto più nel caso del servizio pubblico, c'è il rispetto dell'obiettività e la completezza dell'informazione, nonché della lealtà e imparzialità. Ai sensi della legge vigente non solo si può ma si deve impedire la messa in onda di informazioni che facilmente e oggettivamente appaiono false in base semplice riscontri che può fare un giornalista, ma certamente non può fare il pubblico nel momento in cui sta guardando la trasmissione».
Piero Alberto Capotosti è ex presidente della Corte Costituzionale

Corriere della Sera 23.5.07
LA CHIESA E LE VITTIME
A Boston il «record»: pagati 85 milioni di dollari per gli abusi
di Francesca Basso


MILANO — In Italia il caso è di qualche giorno fa. Ad Agrigento un seminarista è stato risarcito per gli abusi sessuali subiti da un prete mentre frequentava il seminario: oltre 50 mila euro, però l'entità esatta non si conosce perché coperta da una clausola di riservatezza presente nell'accordo tra le parti.
Ma negli Stati Uniti i risarcimenti alle vittime di preti pedofili hanno portato alla bancarotta diverse diocesi. Il caso più eclatante è lo scandalo che nel 2002 ha travolto l'arcidiocesi di Boston: le accuse di pedofilia nei confronti di sacerdoti colpevoli di abusi su minori costrinsero alle dimissioni l'arcivescovo della città Barnard Law. Il suo successore arrivò a una trattativa con le vittime nel 2003: dagli 80 mila ai 300 mila dollari di risarcimento a bambino. Risultato: 85 milioni di dollari a 540 vittime e l'ipoteca sulla cattedrale di Santa Croce. Bancarotta anche per altre due diocesi appena un anno dopo. La causa è sempre la stessa. Finiscono sul lastrico a causa dei risarcimenti alle vittime di sacerdoti condannati per pedofilia le diocesi di Portland (Oregon) e Tucson (Arizona).
Non c'è pace per la Chiesa cattolica statunitense. Nel dicembre scorso la diocesi di Los Angeles aveva già sborsato 60 milioni di dollari a 46 vittime di abusi sessuali: per far fronte ai risarcimenti, ha messo in vendita i propri uffici amministrativi. E il futuro non è roseo: sono centinaia i procedimenti giudiziari in corso che potrebbero concludersi con un pagamento. Anno nero il 2006. Anche la diocesi di Spokane (Washington) è andata all'accordo con le 75 vittime di preti pedofili, alle quali ha destinato circa 46 milioni di dollari. Situazione critica pure in Canada. La diocesi di Terranova ha venduto 150 immobili per rimborsare con 11 milioni di dollari 36 vittime di abusi compiuti da sacerdoti.

l’Unità 23.5.07
La Rai compra il video Bbc per Anno Zero
Non andrà in onda domani, Santoro farà più approfondimenti. La Cei: non vogliamo censure (...)
di Natalia Lombardo


VIA LIBERA della Rai: Michele Santoro può acquistare il video della Bbc, «Sex crimes and the Vatican». Dopo giorni di polemiche è stata evitata la censura preventiva sul documentario che riguarda i casi di pedofilia fra ecclesiasti. Oggi il materiale potrebbe arrivare alla redazione di Anno Zero. Non andrà in onda domani ma la settimana prossima, al massimo la successiva, anche se i consiglieri della Cdl tornano all’attacco, da una parte contro il Dg, dall’altra chiedendo «che sia il Cda a deciderlo», tuona il casiniano Staderini. Berlusconi invece annulla la provocazione di Mentana: «Mediaset non ha nessuna intenzione di acquisire il video della Bbc»: parola di Confalonieri, con il quale l’ex premier ha preso accordi sulla copertura del Milan ad Atene.
Ieri il «caso» Bbc è finito sul tavolo del Cda Rai: ai consiglieri di centrodestra che facevano muro (anche sulla messa in onda attraverso RaiDue), il direttore generale Cappon ha spiegato di aver chiesto garanzie: tutte le parti in causa vengano «ampiamente rappresentate in maniera autorevole», magari qualche alto prelato che possa spiegare le critiche della Chiesa. Ma Santoro si ripromette di approfondire, per capire i motivi delle obiezioni.
Più che obiezioni, dai vescovi arrivano accuse di «falsità»: «Non vogliamo alcuna censura», ha avvertito monsignor Betori, segretario Cei, ma se andrà in onda «in Italia, vorremmo che ci fosse almeno una chiara presa di distanza da tutte le falsità che sembra contenere». Due le «falsità» gravi», secondo la Cei: la Bbc attribuisce il documento «Crimen sollicitationis» del 1962 al cardinale Ratzinger, mentre il Papa nel ’62 era un semplice teologo e «solo dopo 19 anni sarà capo del dicastero che stese il Crimen sollicitationis» (il codice interno sulla segretezza riguardo agli abusi sessuali, in vigore da 40 anni). La Chiesa contesta che sia stato un «tentativo di coprire i pedofili» la scelta di Ratzinger di affidare i processi alla Congregazione per la dottrina della fede.
Santoro ha assicurato il rispetto delle garanzie chieste dal Dg Cappon, (anche «nei riguardi del pubblico», dicono da AnnoZero. Del resto non ci sono troppe sorprese: la «lettera» di Marco Travaglio deve essere inviata alle 4 del pomeriggio perché il destinatario possa rispondere, solo le vignette di Vauro si scoprono alla fine. Il video della Bbc sarà trasmesso integralmente (obbligo imposto dalla Bbc) e doppiato. La polemica si sgonfia, ma il presidente della Vigilanza, Landolfi di An, bolla come «pilatesca la soluzione di Cappon».
(...)

l’Unità 23.5.07
IL DOCUMENTO
«Dopo aver abusato di me, ogni mattina padre Fortune mi lasciava per celebrare messa. Poi tornava ad abusare di me». Dal documento della Bbc
«Così il Vaticano ha coperto e poi protetto i preti pedofili». Le testimonianze in video.
Ecco alcuni stralci tratti dalla trasmissione della Bbc «Crimini sessuali e il Vaticano. Sex crimes and the Vatican»
(a cura di Marco Dolcetta)


Kenyon (speaker) - Quando si venne a conoscenza di quello che succedeva a Fern, le autorità ecclesiastiche locali, in ossequio alle direttive segrete della Chiesa cattolica, misero tutto a tacere. Responsabile di quella imposizione fu il Cardinale Ratzinger, attualmente Papa Benedetto XVI. Quattro anni fa Padre Sean Fortune si trovò al centro di un’inchiesta a largo raggio sugli abusi del clero sui minorenni. Lo scandalo venne fuori quando si parlò di un documento segreto del Vaticano che copriva gli stupratori e le vittime degli abusi. Colm o’ German, violentato da Padre Fortune quando aveva quattordici anni, è tornato a Fern per dimenticare quegli eventi.
Colm - Ogni domenica mattina, dopo aver abusato di me, Padre Fortune mi lasciava nel suo letto e scendeva a dire la sua prima messa. Poi tornava ad abusare di me. In seguito andavamo a far colazione insieme, dopodiché presenziavo alla sua seconda messa.
Kenyon (al pubblico) - La Chiesa locale sapeva che Padre Fortune era un pedofilo, ma invece di informare la polizia cominciò a trasferirlo da una parrocchia all’altra. Quando esplose lo scandalo, si ammazzò prima del processo. Indagando su chi lo aveva aiutato a nascondere le sue malefatte, Colm riuscì a scoprire che era stato il più vecchio esponente della diocesi, l’arcivescovo Brendan Comiskey.
Mac Donald - Comiskey, sei stato tu ad aiutare Padre Fortune ad abusare dei suoi ragazzi?
Comiskey - Quando venni a conoscenza del fatto, lo cacciai dalla parrocchia e lo indussi ad andare da uno psicoanalista.
Mac Donald - Dopo che erano trascorsi sei anni? Perché non lo hai fermato prima?... (al pubblico) Comiskey si dimise. Dopo le sue dimissioni ci furono tante altre storie di abusi. Adesso Colm dirige una associazione irlandese che si occupa delle vittime, ha ottenuto l’apertura di un’inchiesta governativa e ha scoperto che la copertura delle violenze aveva coinvolti diversi preti.
Kenyon (al pubblico) - Nel corso delle indagini Colm si convinse che il documento segreto, conosciuto come Crimen Sollicitationis, era stato utilizzato per mettere a tacere le accuse di abusi. La linea seguita dal Vaticano è che i crimini sessuali commessi dal clero vanno giudicati seguendo esclusivamente il diritto canonico.
Romley - Supponevamo che ci fossero archivi segreti ai quali attingere in qualsiasi circostanza, ma ci dissero che il Nunzio aveva ordinato di non consentire l’accesso a informazioni di tipo criminale, perché erano state sottoposte a una speciale protezione. La Chiesa non vuole riconoscere che il problema è serio perché non vuol consentire alle autorità civili di porre un freno agli abusi dei suoi preti. Ci contrastavano passo passo, realizzando una vera e propria tattica ostruzionistica.
Kenyon - La sua battaglia più dura fu quella contro Padre Henn e altri due preti, che andarono all’estero per sfuggire ai persecutori americani.
Colm - Sapevo che questi preti avevano fatto voto di obbedienza a Roma. Allora decisi di mandare una lettera in Vaticano, per chiedere, dopo che le accuse formali erano state avanzate, che costringessero i preti incriminati a eseguire i loro ordini, tornare in patria e consegnarsi, per consentire alla giustizia di seguire il suo corso, ma restai molto deluso. Avevo scritto al cardinale Sodano, il segretario di Stato, per chiedergli se poteva ordinare a questi preti di tornare in patria, ma mi rimandavano la posta indietro con il pretesto che il destinatario si era rifiutato di accettarla. Non aprivano nemmeno la busta. Una Chiesa con l’autorità morale per fare quello che è giusto è venuta meno al dovere di impedire l’abuso sui bambini. Eppure aveva avuto una reale opportunità di dichiarare al mondo che si sentiva responsabile della protezione dei bambini. E invece non rispondeva neppure.
Kenyon - Padre Henn, il prete che con la scusa di portare in piscina Rick Rivezo finì per abusare di lui, adesso è ricercato per 13 accuse per molestie avanzate da un gran giurì negli Stati Uniti. Ma non è più là. È al sicuro in Vaticano e si oppone all’estradizione dal quartiere generale del suo ordine religioso, i Salvatoriani. Il Vaticano non l’ha costretto a tornare in America ad affrontare il processo.
Colm - La cosa più straordinaria è che Padre Henn non è solo. Un giornale americano ha scoperto che c’erano più di 7 preti americani, accusati di abusi sessuali sui minori, che vivono con il sostegno della Chiesa, dentro e fuori del Vaticano.
Kenyon - Può darsi che il Vaticano conservi le prove di altri preti che abusano dei minori in ogni parte del mondo, ma, invece che alla cooperazione e alla trasparenza, le direttive della Chiesa mirano all’ostruzionismo e alla copertura. C’è un uomo però che ha il potere di cambiare tutto.
Doyle - Il cardinale Ratzinger, che adesso è il Papa, potrebbe dire "questa è la politica di tutta la Chiesa. Cooperazione piena ovunque con le autorità civili e isolamento e dimissioni dei preti dichiarati colpevoli. Completa apertura e trasparenza delle situazioni finanziarie. Eliminazione degli ostacoli ai processi".

Repubblica Lettere 23.5.07
Documentario della Bbc e libertà di stampa
di Corrado Augias

Caro Augias, in una lettera pubblicata ieri si leggeva come nulla di strano vi fosse nei casi di pedofilia tra i preti dato che pedofili ve ne sono in tutte le categorie sociali. Penso invece che questo fatto sia enormemente più grave proprio per il suo contesto.
Coloro che si macchiano di questi reati non sono persone «comuni» ma ministri intoccabili di quell'istituzione che, oggi più che mai, si attribuisce il diritto di essere la sola autorità morale, di dettare legge, anteponendosi persino al Parlamento, in fatto di questioni etiche e di 'valori non negoziabili'.
Stiamo parlando di quell'istituzione che considera il riconoscimento delle unioni affettive tra persone dello stesso sesso come la via che conduce all'incesto e alla pedofilia, ma che non si è fatta scrupolo di promulgare documenti ufficiali che anteponessero, alla salute delle vittime delle migliaia di abusi sessuali perpetrati, la salvezza della propria facciata.
Stiamo parlando insomma di un evento molto grave e, a me pare, ben documentato nel documentario inglese che del resto centinaia di migliaia di persone hanno già visto anche in Italia su Internet. Non posso che appoggiare pienamente Santoro riguardo la sua volontà di trattare questi argomenti, anche nel nostro paese, alla luce del sole e di toglierli dall'esilio dello schermo del computer tra le quattro mura di casa.
Alberto Stucchi

Proprio perché dissento spesso dall'atteggiamento pubblico e politico della chiesa cattolica, mi sento, in questo caso, di condividere solo in parte le opinioni del signor Stucchi.
I casi di pedofilia riscontrati con tanta frequenza tra i sacerdoti, e costati negli Stati Uniti milioni di dollari in risarcimenti, non vanno confusi con l'istituzione chiesa nel suo complesso. Non è detto che la Chiesa sbagli perché i suoi ministri commettono abusi.
E' vero secondo me il contrario: la Chiesa spesso sbaglia nonostante i suoi ministri siano dei sant'uomini. Le controversie sul documentario della Bbc restano comunque un grave indice dello stato di degenerazione del dibattito politico e della fragilità delle nostre libertà. Da una parte si grida "La Rai non è la radio Vaticana", dall'altra si ribatte "Santoro non è onnipotente".
E che c'entra? Se volesse fare solo il suo mestiere? In un paese veramente libero queste opinioni verrebbero accantonate a favore di una verifica sui fatti per controllare se la Bbc abbia sbagliato o ecceduto.
Accertare per esempio dove si trovasse Joseph Ratzinger nel momento in cui la famigerata direttiva 'Crimen sollicitationis' veniva emanata (16 marzo 1962) è cosa che si fa in tre minuti. Più tempo, ma nemmeno molto, ci vorrebbe per controllare le differenze tra il testo del 1962 e il successivo del 1981 quando Ratzinger era a capo del Sant'Uffizio. Altresì agevole il controllo sul comportamento delle gerarchie vaticane dopo la scoperta dello scandalo che ha travolto molti prelati anche di alto rango negli Stati Uniti. Eccetera.
Non c'è argomento che il buon giornalismo non possa trattare usando il dovuto equilibrio; al contrario, il buon giornalismo sta lì per quello. Come diceva Humphrey Bogart, nel film 'L'ultima minaccia': «E' la stampa bellezza, e nemmeno tu la puoi fermare».

Repubblica 23.5.07
L’amaca
di Michele Serra

Impazza su internet il video della Bbc su pedofilia e Vaticano. È abbastanza tendenzioso, diciamo "orientato". Come se, dopo l´intervento del pubblico ministero, la difesa non avesse la parola. Al netto di questa osservazione, rimane l´impatto (fortissimo, perché basato su documenti vaticani) con una mentalità e una cultura giuridica perlomeno sconcertanti. La Chiesa di Roma fa la figura di un mondo a parte, una potente consorteria che ritiene al di fuori (o al di sopra?) delle leggi i suoi membri. In quei documenti, di fronte a denunce plurime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, si suggerisce e anzi si impone a tutte le persone coinvolte di mantenere il più stretto riserbo. Di non denunciare, di occultare, di sopportare cristianamente se si è vittime. I sacerdoti responsabili degli abusi venivano spostati di parrocchia in parrocchia per sottrarli allo scandalo. Né traspare, da quei documenti omertosi, alcuna coscienza del fatto che un reato, in qualunque paese, è sottoposto al giudizio della magistratura e di nessun altro.
È spiacevole dirlo, ma al di là delle penosissime e gravi vicende umane raccontate, se ne ricava, da parte della Chiesa, una sorta di superbia a-sociale. Ed è ben paradossale che tanta attenzione venga riservata alle legislazioni dei vari paesi, quando poi si tenta di sottrarre la condotta dei sacerdoti al vaglio di queste stesse leggi.

Corriere della Sera 23.5.07
Rinviata la messa in onda. Il dg a Santoro: spazio a tutte le parti. Landolfi (An): scelta pilatesca
Cappon dice sì al filmato Scontro aperto nel cda Rai
Contrari i consiglieri Cdl. Berlusconi: Mediaset non lo comprerà
di Paolo Conti


ROMA — Verranno in studio anche esponenti delle gerarchie vaticane? «Sarà un piacere ospitarli», assicura Michele Santoro. Non c'è ancora una data ufficiale ma la redazione di «Annozero» già si starebbe preparando per mandare in onda la prossima settimana il discusso filmato «Sex crimes and Vatican» della Bbc e organizzare un ampio dibattito in studio sulle dure accuse a Benedetto XVI: aver coperto lo scandalo internazionale dei preti pedofili.
Intanto Silvio Berlusconi fa sapere che Mediaset «non ha alcuna intenzione di acquisire il filmato. Dalle informazioni che ho è stato molto criticato anche in Inghilterra e più che informazione è disinformazione». Una risposta diretta a Enrico Mentana che aveva progettato di comprare il materiale e trasmetterlo durante «Matrix».
Ieri il Consiglio di amministrazione Rai si è spaccato ma alla fine il direttore generale Claudio Cappon ha deciso per l'acquisto del filmato assumendosi la personale responsabilità editoriale della scelta. Ma ciò non vuol dire che l'inchiesta andrà sicuramente in onda. Cappon ha chiesto a Santoro che siano «ampiamente e autorevolmente rappresentate» tutte le parti coinvolte.
La discussione è stata accesa. Da una parte il centrosinistra, soprattutto Sandro Curzi, convinto della necessità di mandare tutto in onda (il video è tra i più seguiti del sito www.video.google.it). Dall'altra il centrodestra, in particolare Marco Staderini, contrario. Staderini ha ricordato a Cappon di «non fidarsi di Santoro» e di temere che in diretta una dichiarazione di Marco Travaglio, una vignetta di Vauro possano cancellare qualsiasi equilibrio politico. Curzi ha parlato di «censura preventiva inconcepibile e ridicola perché il filmato è già in rete» e ha sottolineato la dichiarazione di monsignor Betori.
Il Cda tornerà comunque a occuparsi del caso Santoro, con ogni probabilità martedì prossimo e comunque prima della messa in onda. Cappon riferirà sugli accordi presi con Santoro, di fatto sul contenuto della trasmissione. Il centrodestra ha chiesto anche la presenza del «direttore di riferimento» di Santoro. In teoria dovrebbe essere Antonio Marano, direttore di Raidue. Ma Cappon dovrà accertare se nelle intese pattuite tra il conduttore e l'ex direttore generale Alfredo Meocci esista davvero un passaggio in cui si assicura a Santoro la diretta dipendenza editoriale dalla direzione generale.
Comunque Santoro è soddisfatto: «Sono contento per ciò che sta accadendo. La richiesta del pubblico è molto alta. Gli accordi con la Bbc prevedono che il materiale venga trasmesso senza tagli e così sarà fatto. Certamente saremo molto puntuali nel rappresentare tutti i punti di vista, quindi anche le obiezioni e le critiche. La distribuzione degli interventi sarà particolarmente attenta: assicureremo maggiore cura del solito all'impianto della trasmissione». Dunque nessun taglio: se la puntata verrà trasmessa, non scomparirà il passaggio di accusa a Joseph Ratzinger.
Mario Landolfi, presidente An della Vigilanza, contesta: la decisione di Cappon è «pilatesca». Anche nel centrosinistra c'è qualche distinguo. Renzo Lusetti, Margherita: «L'autonomia della Rai è sacra ma attenzione alle bufale». Fabrizio Morri, capogruppo dell'Ulivo in Vigilanza: «Siamo contrari sia a campagne contro il Papa sia alla censura». Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, ricorda che la pedofilia riguarda «un millesimo rispetto a quello che rappresentan la Chiesa nel mondo». Invece Roberto Villetti della Rosa nel Pugno avverte: «Sarebbe davvero curioso se ora non venisse mandato in onda per le pressioni politiche, tra le quali quelle dei teodem, che provengono dall'interno della stessa maggioranza di governo».

Radicali.it 23.5.07
Santoro. Turco, se a Smirne manifestano per difendere la laicità a Roma bisogna lottare per conquistarla
Dichiarazione di Maurizio Turco (deputato della Rosa nel Pugno, segretario della Commissione Affari Costituzionali)


"Chi sostiene che mandare in onda il filmato della BBC sia un "attacco al Papa" non conosce i fatti. Se non altro l'ultimo di una lunga serie: se Ratzinger non fosse stato eletto Papa si sarebbe dovuto presentare di fronte ad un tribunale americano, fatto scongiurato dalla richiesta di Ratzinger di avvalersi dell'immunità diplomatica in quanto Capo di Stato.
Se qualsiasi paese avesse diramato le disposizioni del 1962, ribadite e rafforzate da Ratzinger nel 2001, l'intera comunità internazionale sarebbe insorta . e la Repubblica italiana avrebbe denunciato il Concordato del 1984, visto che la Santa sede si impegnava al pieno rispetto della sovranità dell'ordine Repubblicano, quando invece la violava (e la viola).
Se il filmato della BBC sarà censurato è l'ora di prendere atto che se a Smirne manifestano per difendere la laicità a Roma bisogna lottare per conquistarla."

il Riformista 23.5.07
IL CASO LA CHIESA E LA PEDOFILIA
Il documento del Sant'Uffizio

Il Crimen sollicitationis è un documento segreto redatto nel 1962 dal Santo Uffizio del Vaticano (ora congregazione per la Dottrina della Fede) e approvato da Giovanni XXIII, che istruiva i vescovi su come comportarsi nei casi di abuso, da parte dei preti del sacramento della penitenza, con avances sessuali ai fedeli. Da qui il titolo del documento. La procedura legale si estendeva anche ai casi di pedofilia e zoofilia, i cosiddetti “crimini peggiori”. Il documento - di cui riproponiamo a pagina 5 ampi stralci - è tornato attuale grazie al documentario della Bbc - visionabile solo sul web - sui preti pedofili. Il filmato attribuisce il testo a Ratzinger, ma come ha spiegato il segretario generale della Cei, Betori, nel 1962 l'attuale pontefice «non era neanche cardinale» né a capo della Dottrina della fede. Inoltre, secondo Betori, è discutibile che si faccia passare per «copertura» ai ministri pedofili un provvedimento che rimanda questi reati «a un tribunale più severo, quello della Dottrina della Fede».
In ogni caso, il 24 gennaio 2001 Joseph Ratzinger, allora prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede, e Tarcisio Bertone, che ne era il segretario, inviarono una lettera a tutti i vescovi in cui si affermava di avere analizzato il Crimen sollicitationis giungendo alla conclusione «che solo i “delitti peggiori” vanno considerati di giurisdizione del tribunale della congregazione per la Dottrina della Fede». Confermando così per la pedofilia e la zoofilia l'opportunità del silenzio davanti alla giustizia civile e la competenza unica della giustizia canonica.
Durante l'ultima puntata di Annozero, Michele Santoro aveva annunciato di trasmettere il documentario, incontrando il netto rifiuto di Avvenire. Ieri il Cda Rai ha sbloccato l'acquisto del documentario, che però non andrà in onda nella prossima puntata del programma.
Dalla suprema e santa congregazione del Santo Uffizio per tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri diocesani, anche per quanto riguarda i riti orientali. Istruzioni sul modo di procedere in caso di adescamento.

[...] 4. Essi potranno inoltre assegnarlo a un altro incarico, salvo il caso in cui all’Ordinario ciò sia proibito in quanto ha già accettato la denuncia e ha avuto inizio l’inquisizione.
[...] 11. Poiché, comunque, quello che viene trattato in questi casi deve avere un maggior grado di attenzione e osservanza cosicché questi stessi fatti possano essere trattati nella maniera più segreta possibile, e, dopo che sono stati definiti e passati all’esecuzione, devono essere osservati sotto silenzio perpetuo (Istruzione del Santo Uffizio, 20 Febbraio 1867, no. 14), tutti quelli che entrano a riguardo del tribunale in un qualunque modo o sono ammessi a conoscenza dei fatti a causa del loro compito, devono osservare il più stretto segreto, che è comunemente trattato come Segreto del Santo Uffizio, per tutti i fatti e con tutte le persone, sotto la pena di scomunica latae sententiae, ipso facto e senza alcuna dichiarazione dell’esecuzione [di tale penalità] e riservata alla sola persona del Pontefice Supremo, anche con l’esclusione del Sacro Penitenziario, sono obbligati all’osservanza [di questo segreto] inviolabile. Inoltre gli Ordinari sono obbligati a osservare questa legge ipso jure o a causa del proprio dovere. Gli altri aiutanti a causa del giuramento che devono sempre prestare prima di iniziare a svolgere il proprio dovere. E questi, quindi, sono delegati, interpolati, e informati in loro assenza per mezzo del precetto nelle lettere di delegazione, interpellazione [o di] informazione, come imposto con espressa menzione del segreto del Santo Uffizio e della succitata censura.
[...] 13. In questi casi sono tenuti al giuramento del segreto anche gli accusatori o coloro che hanno sporto denuncia (verso il sacerdote) e i testimoni. Nessuno di essi, tuttavia, è soggetto a censura, salvo che casualmente una di queste persone sia stata espressamente minacciata di censura, per la sua accusa, la sua deposizione o la sua violazione [di esso] per atto. L’accusato, tuttavia, deve essere seriamente avvisato del fatto che anche lui, come tutti [gli altri] specialmente se osserva il segreto con il suo difensore, in caso di trasgressione è soggetto ipso facto a sospensione a divinis.
[...] 21. L’obbligo di denuncia da parte del pentito oggetto di adescamento non cessa in seguito a confessione spontanea da parte del confesso adescatore, confessione resa non perché questi sia stato trasferito, promosso, condannato o presumibilmente riformato o altre ragioni dello stesso genere. L’obbligo cessa, però, in caso di morte dello stesso.
[...] 35. Se non possono essere trovati due testimoni ciascuno dei quali conosca sia la parte denunciata che quella che sporge denuncia, o se essi non possono essere interrogati contemporaneamente senza che ci sia pericolo di scandalo o minaccia del buon nome, sarà necessario trovare un accordo in base al quale due persone, in [testimonianza] separata, interrogano due testimoni soltanto sulla persona denunciata e altre due soltanto sulla persona che denuncia. In tal caso, tuttavia, sarà necessario acquisire altrove informazioni su eventuale odio, inimicizia o altra forma di umana ostilità nei confronti del [sacerdote] denunciato.
[...] 42. a) se risulta evidente che la denuncia è totalmente priva di fondamento, [l’Ordinario] deve ordinare che ciò sia messo agli Atti, e i documenti dell’accusa devono essere distrutti.
[...] 44. Se, in seguito al primo ammonimento, si verificano nei confronti del medesimo accusato ulteriori accuse di adescamento precedenti l’ammonimento stesso, l’Ordinario deve considerare, su propria scelta e in base alla propria coscienza, se il primo ammonimento debba essere ritenuto sufficiente o se debba invece procedere a nuovo ammonimento o eventuali ulteriori misure.
[...] 52. Tenuto conto di ciò, deve aver luogo una procedura per presentare l’accusa alla persona accusata, secondo la formula P, dopo essersi accuratamente e con la massima diligenza accertati che la persona dell’accusato e, in particolare, la persona di coloro che lo denunciano non siano rivelate e, da parte dell’accusato, che egli non violi in alcun modo il vincolo sacramentale. Se, nel corso del discorso, venisse fuori qualcosa che possa far pensare a una violazione del sacramento, diretta o indiretta, il giudice non deve permettere che a ciò si faccia riferimento negli Atti notarili; e se, per casualità, ciò fosse avvenuto, dovrà ordinare, non appena se ne accorga, che venga completamente cancellato. Il giudice deve comunque ricordare che non è in alcun caso suo diritto costringere l’accusato al giuramento di dire la verità (cfr. canone 1744).
[...] 59. Una volta presentato l’appello, il giudice deve trasmettere una copia autenticata o l’originale di tutti gli Atti de caso al Santo Uffizio, nel più breve tempo possibile, aggiungendo informazioni se necessario o se egli lo ritenga opportuno (Canone 1890).
[...] 70. Tutte queste comunicazioni ufficiali devono sempre essere fatte sotto il segreto del Santo Uffizio e, poiché riguardano il bene comune della chiesa al massimo grado, l’ordine di fare queste cose costituisce obbligo sotto pena di peccato mortale.
[...] 71. Con il termine “peggior delitto” si intende in questa sede il significato di un qualsiasi atto esteriore osceno, gravemente peccaminoso, perpetrato in qualsiasi maniera da un ecclesiastico o da questi tentato con persona del suo stesso sesso.
[...] 73. Per avere il peggior delitto, agli effetti penali, una persona deve aver compiuto l’equivalente di quanto segue: qualsiasi atto osceno, esteriore, gravemente peccaminoso, perpetrato in qualsiasi maniera da un ecclesiastico e da questi tentato con giovani di entrambi i sessi o con animali.

l’Unità 23.5.07
Giovanni Russo Spena
No a guerra preventiva e terrorismo. Ma non si militarizzi Roma
«Primo, nessuna zona rossa»
di Andrea Carugati


Due manifestazioni pacifiste contro la visita di Bush in Italia. Perché, onorevole Russo Spena?
«Non c’è stata la volontà da parte di alcuni settori del movimento, a partire dai Cobas, di costruire una piattaforma unitaria. A noi non può andar bene se si dice che il governo italiano è guerrafondaio, che noi abbiamo tradito il movimento pacifista, che la missione in Libano è di guerra al pari di quella in Afghanistan. Su queste basi è impossibile una manifestazione unitaria».
Un nutrito gruppo di intellettuali e politici ha scritto un appello per una manifestazione unitaria. Riuscirà nell’intento?
«È un’operazione importante, rimette i piedi per terra e offre la possibilità di un approccio unitario. Credo che i primi firmatari dell’appello potrebbero essere promotori di un confronto tra le due piattaforme. Io pongo due discriminanti: la non violenza e la presa d’atto che vi possono essere posizioni diverse che si confrontano come è avvenuto tra i pacifisti di tutto il mondo. Al ministro dell’Interno chiediamo di evitare che la città di Roma sia militarizzata e che non si costruiscano zone rosse dove non si possa manifestare. Il governo deve contribuire a isolare possibili frange violente, guai se si comportasse come hanno fatto Berlusconi e Fini a Genova: chiediamo un impegno preciso al governo affinché tenga la situazione in mano».
Il prefetto di Roma Achille Serra ha già detto che non ci saranno zone rosse.
«È l’unico segnale che abbiamo, vediamo, aspettiamo riposte dal Viminale. Credo che il corteo debba poter arrivare dove sempre arrivano i cortei, a largo Chigi. Non si comprenderebbe un divieto particolare per questa manifestazione: adombrerebbe senza dirlo, dunque ipocritamente, ad una zona rossa».
Il presidente Bertinotti ha chiesto la «dismissione» di ogni forma di violenza.
«Noi vogliamo fare una manifestazione contro la guerra preventiva e e per dire a Bush che è indesiderato. Ma anche contro il terrorismo, non per esaltare forme di resistenza. Una piattaforma completamente nonviolenta».
Ci sono rischi di episodi violenti, anche solo di bandiere bruciate?
«Ci sono alcuni settori che pensano di portare la radicalizzazione a livelli infantili. Io mi auguro che non accada nulla, sarebbe una sconfitta per tutti. Compito del governo è quello di evitare zone rosse e tenere calma la situazione: poi ognuno si assume le sue responsabilità».
Se le due manifestazioni si unissero questo aiuterebbe a ridurre i rischi?
«Certamente sì, io ne sarei felice ma temo che sia impossibile perché una parte di chi ha voluto il corteo pensa a un nuovo partito di opposizione a tutti i governi. C’è una logica politica che va ben oltre questa occasione. Bertinotti, Ferrero e anch’io siamo già stati attaccati, dunque non può toccare a noi: devono essere i promotori dell’appello a cercare una mediazione».
Lei ha parlato di Bush come indesiderato. Non crede che questa opinione possa creare imbarazzo a Prodi?
«È una nostra posizione che era nota fin da quando abbiamo scritto il programma. Per noi oggi il pericolo maggiore sono la guerra preventiva e il terrorismo che si alimentano a vicenda. Il nostro giudizio è molto secco, ma non lo abbiamo mai nascosto: essere in maggioranza significa rispettare quello che decidiamo tutti insieme, ma il nostro giudizio sull’amministrazione Bush non è oggetto di trattative».

Corriere della Sera 23.5.07
«Stellet Licht»
Reygadas, da cattivo a mistico Il mistero della resurrezione tra i Mennoniti del Messico
di Giuseppina Manin


Per Dreyer il miracolo è opera di Dio, per me dell'uomo. Un evento straordinario, proprio come la vita e la natura
Un triangolo, un tradimento, la morte improvvisa della moglie

CANNES — Il cielo stellato, di kantiana memoria, pulsa sopra di loro. Luci immobili, eterne, misteriose, come quella legge morale che dovrebbe albergare dentro ogni essere umano, pronta a rischiararne la coscienza, a farlo scegliere tra bene e male. Un firmamento di particolare splendore,
Stellet Licht (Luce silenziosa), come s'intitola il film di Carlos Reygadas ieri in gara, e come si vede solo in certi luoghi fuori dal mondo, liberi da inquinamento luminoso. Ad esempio nello stato di Chihuahua, in Messico, dove una natura a forti tinte convive in radiosa armonia con alcune comunità di Mennoniti, frangia dissidente degli anabattisti d'origine olandese, votati al pacifismo e nemici del progresso. Dediti al lavoro dei campi, campano all'antica, senza luce elettrica, telefoni, tv, internet. Uno stile di vita radicale che corrisponde a uno stile di vita morale di pari rigore. Famiglie compatte e numerose da far gola ai «family day», ruoli ben definiti, preghiere prima dei pasti, niente fronzoli, tutti in riga.
«Una società monolitica, senza classi sociali, dove tutti sono pari — sottolinea il 37enne regista messicano, già applaudito due anni fa a Cannes con l'emozionante Battaglia nel cielo — Uno sfondo astratto che mi ha permesso di dare alla storia la dimensione di un teorema». Trasformando il solito triangolo, lui, lei, l'altra, in una riflessione su vita, morte e — letteralmente — miracoli.
Difatti, anche da quelle parti, capita che uno s'innamori. Che, nonostante moglie e cinque figli, perda la testa per un'altra. E allora non c'è Kant o Lutero che tenga. E nemmeno Dio sembra in grado di dirimere la questione. Come nel resto del mondo, anche lì è subito adulterio. Con le sue croci e le sue delizie, con i suoi amletici dilemmi: se valga di più conservare la pax coniugale o lasciarsi andare a nuove emozioni...
Altre scene da un altro matrimonio. Non a caso i due amanti si chiamano Johan e Marianne, proprio come i due protagonisti della celebre saga bergmaniana. Nello sconquasso degli affetti e delle certezze, chi andrà a pezzi è Esther, la moglie, che tutto sa fin dall'inizio, che ama il marito e invano resiste sperando che tutto torni come prima. La metafora del cuore infranto diventa realtà: un infarto, ed Esther muore.
Johan, annientato dal senso di colpa, è pietrificato dal dolore. Ma il miracolo è in agguato. Alla veglia funebre si presenta l'«altra», chiede di star sola con la cara salma, la bacia sulle labbra.
Una richiesta di perdono, un atto d'amore. Tant'è che la morta resuscita. E nessuno sembra stupirsi più di tanto. Perché da quelle parti i miracoli accadono a ogni momento, a ogni sorgere del sole, a ogni spuntare di stelle.
Una resurrezione che ieri ha fatto tirare in causa Dreyer e il suo celebre Ordet. «E' uno dei miei film preferiti, ma credo che qui siamo su altri fronti - risponde Reygadas - . Per Dreyer il miracolo è opera di Dio, per me dell'uomo. Uno evento "straordinario", proprio come la vita e la natura». Un miracolo laico, insomma. Alla Tarkovsky. La prova che si può morire di dolore ma anche rinascere per amore. «Un messaggio che, dopo lunghe discussioni, è stato considerato giusto dai Mennoniti, che hanno seguito con partecipazione le riprese, ci hanno ospitato, hanno diviso la loro mensa con noi», racconta il regista, arrivato al Festival con il suo cast di non attori, spaesati tra tanto caos, ma anche molto incuriositi.
E' per riguardo verso di loro che stavolta le scene di sesso sono così caste, discrete, rispetto alle choccanti performance di Battaglia nel cielo? «No di certo, è il film che impone il modo di essere girato, non gli attori. Qui tutto è sottinteso, meno esplicito ma non meno erotico». Ma alla fine, che ne pensa lei della fedeltà? «Da giovane la vedevo come una limitazione, un'imposizione della società. Ora non ne sono più così sicuro. Non l'escludo, ma credo che non debba diventare sistematica. Troppi problemi. Però ogni tanto, di rado, può capitare...».

Repubblica 23.5.07
La sinistra nella crisi della politica
di Ezio Mauro


CI SONO due strade per cercare di uscire dalla crisi della politica che è sotto gli occhi di tutti. La prima, è quella di denunciare i ritardi e gli abusi della classe dirigente – tutta – lavorando per una riforma del sistema che è necessaria e urgente, ma che forse è ancora in tempo per salvare le istituzioni dal collasso e per evitare che l´antipolitica diventi il sentimento prevalente del Paese. La seconda, è quella di puntare direttamente sul collasso del sistema, vellicando l´antipolitica per arrivare se non a una seconda ribellione popolare in quindici anni almeno a una delegittimazione dei poteri costituiti: in modo da aprire la strada agli "ereditieri", quel pezzo di classe dirigente che non sa fare establishment ma sa proteggere molto bene la sua dubbia imprenditorialità e la sua scarsa responsabilità, sperando addirittura di ereditare il Paese. Come se in una democrazia, anche malata, la cosa pubblica fosse scalabile al pari di un´azienda in crisi, trasferendo in politica il network italiano delle scatole cinesi che consente di comandare senza essersi guadagnati il comando, senza aver costruito o almeno riammodernato qualcosa – come un partito, un movimento, un sistema culturale – che parla ai cittadini e raccoglie il loro consenso semplicemente perché "poggia su una intuizione del mondo".
Bisogna dire che i partiti e i loro leader fanno di tutto per deludere chi crede nella prima strada, e aiutano chi punta sulla seconda. Solo la cecità e la sordità italiana consentono di dire che l´allarme nasce oggi, all´improvviso. In realtà, prima di Natale il Presidente della Repubblica Napolitano (destinato ad avere un ruolo come quello di Pertini, denunciando la crisi del mondo da cui proviene) aveva parlato chiaro e forte, lanciando un vero e proprio allarme per la "tenuta" della democrazia, lamentando il "distacco" tra politica, istituzioni e cittadini, ammonendo tutte le parti politiche, perché nessuna si illudesse di "trarne vantaggio". Cosa ci voleva di più? Siamo da almeno cinque mesi davanti al rischio conclamato di una regressione democratica, con lo Stato che ritorna Palazzo, separato, trent´anni dopo.
È chiaro che la sinistra, guidando il governo e il Paese, ha le responsabilità maggiori di questo disincanto democratico, ed è naturale che ne subisca le conseguenze maggiori, in termini di consenso. Ma è altrettanto chiaro – e ripeto quel che ho scritto altre volte – che c´è qualcosa di più generale, di sistemico, che sta intaccando le istituzioni e corrode lo stesso discorso pubblico senza distinzioni, perché salta ogni intermediazione riconosciuta e accettata, sia di tipo organizzativo che di tipo culturale, dunque è la doppia anima della politica che viene colpita. Tutta la politica.
Quando il sistema dei partiti fa lievitare in modo indecente i costi della politica e si trasforma in "classe" privilegiata, autoprotetta e onnipotente, controllando gli accessi, premiando l´appartenenza, puntando sulla cooptazione dei fedeli e dei simili, lottizzando ogni spazio pubblico con l´umiliazione del merito, corrodendo così la stessa efficienza della macchina statale, allora diventa impossibile fare distinzioni tra destra e sinistra. Quando a tutto questo si aggiunge da un lato l´esercizio disinvolto e automatico del denaro pubblico per mantenere e far crescere questo sistema autoreferenziale e dall´altro lato l´esibizione pubblica dei privilegi, diventa difficile non parlare di "ceto separato", un tutt´uno dove le differenze culturali e politiche che – per fortuna – dividono e connotano i due schieramenti di destra e sinistra finiscono per essere travolti dal sentimento indistinto di rifiuto e di lontananza che cresce tra i cittadini.
Naturalmente l´anima originaria di Berlusconi, il suo istinto mimetico del senso comune dominante e il carattere della destra italiana possono portarlo a fingere di interpretare il risentimento democratico come una sua possibile politica, perché in realtà l´antipolitica è una forma primaria di espressione del populismo, che se ne giova mentre la nutre. La sinistra, semplicemente, non può. Questo sentimento di progressiva perdita della cittadinanza – perché di questo si tratta – la colpisce al cuore, distrugge il canale di dialogo e di incontro con la sua gente perché fa venir meno una piattaforma identitaria comune, ogni appartenenza sicura, qualsiasi cultura di riferimento: come se con l´agibilità dello spazio politico pubblico venisse a mancare un territorio in cui muoversi da cittadini consapevoli dell´ambito di libertà nostro e altrui, del portato di storia e di tradizione che ci definisce, dei nostri diritti e dei nostri doveri. In questo senso, è drammatico il vuoto di ogni proposta di cambiamento nel costume e nel metodo politico (la rinuncia alla lottizzazione, la riduzione drastica del numero dei ministri, il rifiuto dei privilegi, la riorganizzazione del tempo di lavoro del parlamento) da parte del centrosinistra tornato al governo, dopo il quinquennio berlusconiano. La sinistra radicale, mentre vuole cambiare il mondo vuole intanto cambiare anche il cda delle Ferrovie, per avere un posto. La sinistra riformista, non vede la riforma più urgente: e che credito riformatore può avere – si è chiesto qui Adriano Sofri – una politica che non mostri di saper riformare se stessa?
Un ritardo reso tragico dal paragone con i tempi del nuovo presidente francese Sarkozy, che in due giorni ha fatto il governo, lo ha ridotto ai minimi termini, lo ha rinnovato per metà con ministri-donna. Un ritardo reso amaro dall´abbandono di Blair, che lascia il governo inglese all´età in cui da noi normalmente vi ci si affaccia e lo fa nella convinzione di poter avere una "second life" altrettanto piena e soddisfacente, cancellando lo stereotipo della politica non come professione, ma addirittura come vitalizio. Sia in Francia che in Gran Bretagna, nei discorsi di addio e di investitura la retorica dei leader usa la coppia concettuale formata da "io" e "voi", due parole che trasmettono molto semplicemente l´idea del vincolo di mandato e anche l´idea del vecchio partito come animale politico vivo e vitale, soggetto politico obbligatorio di riferimento, anche per leader carismatici e decisionisti.
Da noi, i partiti sono nati tutti mercoledì scorso, non hanno storia, tradizione, valori consolidati, una cultura di riferimento: tutte quelle cose che fanno muovere e garrire le bandiere, che infatti non ci sono, o restano ammosciate. Anche qui, ancora una volta, la nuova destra berlusconiana prende a prestito i valori e i precetti nel deposito di tradizione millenaria della Chiesa, mentre riempie il vuoto culturale con un carisma vagamente paganeggiante e idolatrico che finge di restituire la politica ai cittadini trasformati in folla mostrando il corpo mistico del leader: mentre in realtà sottrae loro ogni partecipazione reale e per sempre, ipotizzando addirittura una successione in forma dinastica, capricciosa e incontrollabile, comunque autocratica.
Ma la sinistra, quanto può resistere sul mercato politico senza una rifondazione di pensiero, senza idee-forti che diano sostanza alla sua politica, la pre-determinino, e parlino della vita e della morte, dei grandi temi, al cittadino? La parte radicale ha ancora il comunismo nelle sue bandiere, e finché dura quel simbolo sconfitto dalla tragedia che ha suscitato, ogni altra idea non è accostabile. I Ds sembrano credere che diventare riformisti significhi annacquare ogni mattina la propria identità nel mare turbolento del senso comune altrui. Come se gli strumenti propri di una sinistra riformatrice, serena e radicale insieme, non fossero oggi probabilmente i più adatti a governare le contraddizioni della fase: basterebbe saperlo, e usarli, a partire dalla laicità.
Davanti a questi ritardi conclamati, al camaleontismo della destra, alle cifre del disincanto svelate da Ilvo Diamanti, la sinistra ha tuttavia una carta, che è il Partito democratico. Può banalizzarla, come sta facendo, giocandola tutta dentro il mondo chiuso degli apparati, facendo di questo partito l´ultima della creature politiche del Novecento, e allora si misurerà soprattutto il ritardo, l´affanno, il costo tardivo dell´operazione. Oppure, può farne il primo soggetto diverso del nuovo secolo, per una nuova politica, contagiando la "cosa" che dovrà nascere nella sinistra radicale, e forse persino il futuro partito conservatore, a destra. Un partito, ha scritto Mario Pirani, forte perché leggero, potente in quanto disarmato: e soprattutto, scalabile, infiltrabile, contendibile. Da qui non si scappa: perché la riforma della politica parte da qui, se si vuol fare sul serio.
Altrimenti, si inseguirà il fastidio popolare crescente, da gregari spaventati, sperando che non si condensi in quell´antipolitica in cui si entra tutti insieme, ma si esce soltanto a destra. Sperando in più di evitare un nuovo collasso e una nuova supplenza, anche perché non sempre il supplente si chiama Ciampi. "Benissimo il Governatore – diceva allora l´avvocato Agnelli – ma ricordiamoci che dopo di lui c´è solo un generale o un cardinale". I generali non so, ma i cardinali sarebbero anche pronti. Proviamo a dire che non è il caso, perché non ce ne sarà bisogno.

Repubblica 23.5.07
Quando la ragione
di Umberto Galimberti


È bene ricordare che la parola "ragione", in latino ratio, nasce in ambito economico come regolatrice degli scambi, per cui chi riceve deve corrispondere, a chi dà, qualcosa di equivalente, secondo il principio del reddere rationem.
Prima dell´introduzione del "valore di scambio" a regolare i rapporti era lo "scambio simbolico" che si esprimeva nella rapina o nel dono, in cui cioè si celebravano i rispettivi rapporti di forza: o nella forma aggressiva di chi era in grado di appropriarsi dei beni altrui senza contropartita, o nella forma munifica di chi nel dono celebrava la sua potenza e insieme la sudditanza del beneficiario.
Introducendo il principio che chi riceve nello stesso tempo deve dare, non è più in gioco l´esercizio di potenza delle soggettività, ma il calcolo oggettivo del valore delle cose. Così nasce il "mercato", che organizza una società in funzione di detto calcolo, al punto da sostituire progressivamente, al dominio dell´uomo sull´uomo, il dominio dell´apparato calcolante, alla cui razionalità si sottomettono sia il lavoratore sia l´imprenditore i quali, sia pure nella differenza delle loro mansioni, si configurano come funzionari dell´apparato. In questo modo si vanifica ogni ipotesi rivoluzionaria perché, come ci insegna Hegel, la rivoluzione è possibile quando in gioco c´è il conflitto di due volontà, ma non quando la razionalità del mercato le subordina entrambe a sé, annullando il loro potenziale conflitto.
Disciplinando l´impulso al guadagno e depurandolo dai suoi aspetti irrazionali e violenti, il mercato traduce la ragione occidentale in ragione economica, che, nel tendere a un guadagno non occasionale ma continuativo, evidenzia in ogni passaggio il motivo che solo la razionalità è condizione di redditività, perché, risolvendo ogni attività lavorativa in prestazione funzionale, la depura da ogni ideologia, risolvendola nell´ambito della ragione tecnica.
Sotto il dominio della ragione tecnica, l´uomo incomincia ad uscire dalla scena della storia perché: come soggetto di bisogni è assolutamente ininfluente, in quanto i suoi bisogni hanno la possibilità di essere soddisfatti solo se compatibili con la redditività del calcolo economico, mentre come soggetto di azioni (siano esse lavorative, siano esse imprenditoriali) la sua rilevanza è data dalla sua produttività in ordine alla redditività economica, in riferimento alla quale, l´uomo e i suoi scopi sono ridotti a semplici grandezze variabili nel calcolo delle possibilità di guadagno e di profitto.
Ma l´economia (di mercato), dopo aver sottratto gli scambi alla logica della rapina e del dono per sottometterli a un regime di razionalità, soffre ancora di quell´elemento irrazionale, tipico delle passioni, che è la passione per il denaro, da cui la tecnica è tendenzialmente immune, perché non ha come suo scopo il profitto, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non svela la verità, semplicemente funziona. E siccome il suo funzionamento è diventato planetario, planetario è diventato il suo tipo di razionalità che si è soliti chiamare "strumentale", in quanto ha la sua misura nel massimo dell´efficienza, espressa dal miglior rapporto tra i costi impiegati e i risultati raggiunti.
Per la tecnica, e per la razionalità che la governa, modello di efficienza e di funzionalità è la macchina, che non soffre di quegli "inconvenienti umani" che sono lo stato di salute, la variazione degli umori, i ritmi di efficienza, i livelli di precisione, che fanno sentire l´uomo inadeguato rispetto alle macchine che impiega, anche perché dette macchine, dal computer al cellulare giusto per fare degli esempi, incorporano una quantità tale di cultura oggettivata, da far apparire la cultura soggettiva di chi la impiega in tutto il suo limite e la sua inadeguatezza.
Eppure, anche se nel complesso macchinale l´uomo percepisce se stesso come il congegno più asincronizzato, può davvero la ragione strumentale della tecnica, che utilizza solo il pensiero calcolante regolato da criteri di efficienza, produttività, obbiettivi a breve e medio termine, essere all´altezza della globalizzazione del mercato che, per essere compresa, richiede competenze antropologiche per entrare in relazione con altre culture e visioni del mondo di cui il pensiero calcolante è del tutto sprovvisto?
Se il tipo di pensiero è limitato al calcolo tipico della ragione strumentale, forse le imprese che si regolano esclusivamente su questo tipo di pensiero si precludono la capacità di anticipare e governare i cambiamenti, col risultato che avranno sì una storia, ma non un futuro, per aver trascurato il capitale umano che ha ritmi di accumulazione radicalmente diversi dal capitale finanziario. Se quest´ultimo infatti si misura sui tempi brevi del rendiconto trimestrale e della quotazione in borsa, il capitale umano esige un respiro più lungo e una forza che si conquista per maturazioni e arricchimenti successivi, di cui il pensiero calcolante non ha la più pallida idea.

Repubblica 23.5.07
Se il mistero di Rignano diventa un'altra Cogne in tv
di Francesco Merlo


Rignano come Cogne, anzi peggio? Se quella fu l´orgia del macabro e del raccapricciante qui c´è il rischio della profanazione dell´infanzia. Ci sono infatti gli adulti che discutono di violenza sessuale sui bambini ed è tutto un accennare, una fuga nell´eufemismo, una ricostruzione necessariamente oscena, un gusto che anche senza volerlo rimanda alla morbosità.
Ce ne accorgiamo anche noi che adesso ne stiamo scrivendo: Rignano è una trappola nella quale noi giornalisti non dobbiamo cadere. Ed è curioso che proprio Bruno Vespa, così cauto in politica, finga di non sapere che a troppo raccontare un delitto sempre si corre il rischio di commettere un altro delitto. C´è il racconto del delitto e c´è il delitto del racconto.
Vogliamo dire che ormai in Italia non c´è notizia di uno stupro che non diventi stupro di una notizia. E che, dunque, con orrore stiamo assistendo alla veloce trasformazione di una orribile vicenda di presunta pedofilia o anche, se volete, di presunta malagiustizia, in un nuovo abuso del diritto di cronaca, nell´accanimento giornalistico su dei bambini che, abbiano o no subito quelle violenze sessuali, sicuramente ora sono carne da insaccare nel salsicciotto del talk show, sono animali da laboratorio per la macelleria dell´informazione. Com´è possibile che anche i colleghi più sensibili, perspicaci e intelligenti non si fermano dinanzi alla sconcezza? Secondo noi, nasconde sempre qualcosa di malato l´uomo che non chiude le palpebre davanti a una piaga. E non è civile l´idea che il diritto di cronaca significhi infilare il naso nelle nefandezze.
Diciamo la verità: il caso Cogne ci aveva colti impreparati. Non avevamo capito subito quello che stava accadendo nell´informazione italiana. In molti ricordano l´iniziale spaesamento e poi il crescente disagio dinanzi alla rappresentazione della violenza, alla voglia di mostrare nel dettaglio lo scempio di un corpicino, all´indugiare sul particolare raccapricciante, al calcolo dei colpi mortali, al dilungarsi sull´efferatezza, allo spacciare per scienza il bla-bla vanitoso degli psicologi del sabot assassino, alla sanguinolenta esibizione di sapere degli esperti di tragedie greche, alla truce chiacchiera su criminologia, cervello e maternità. Insomma, ci abbiamo messo un po´ di tempo a capire che dietro l´eccesso di cronaca c´era la morbosità, e che non si trattava di analisi fredda e neppure di resoconto intelligente ma di compiacimento.
Ora però lo sappiamo. Adesso capiamo quel che accade mentre accade. E dunque adesso dobbiamo dirlo subito: quel che rischia di tornare fuori, anche attorno a Rignano Flaminio e alla pedofilia, non è il buon giornalismo, ma una roba da pattumiera dell´anima, una immondizia adatta al giornalismo-immondizia e non certo alla Rai, a Mediaset, ai grandi quotidiani e ai settimanali italiani che, come già denunziò l´allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2003, «danno un rilievo altissimo ai fatti di violenza», eccedono, insistono, scavano con un furore che «finisce per dare ai quei drammi una valenza esemplare che essi sicuramente non hanno», e alla fine questa "gutter press", questo giornalismo da rigagnolo, commette «un grave attentato alla dignità umana».
Si sa che la dittatura fascista aveva abolito la cronaca nera ritenendola eversiva e si capisce che il giornalismo italiano si sia liberato liberando il diritto di cronaca. Noi non pensiamo che la rappresentazione, il racconto, la fotografia, la discussione anche quella inutile e oziosa sulla violenza, debbano essere denunziate più della violenza stessa. Ma una cosa è raccontare che c´è stato un caso di harakiri e un´altra mostrare lo sparpagliamento delle viscere. Ci sono cose che debbono essere fatte perché sono importanti. Il magistrato per esempio deve indagare, indagare e indagare, così come il chirurgo deve operare. Ma l´operazione non si fa a "Matrix". E i processi si celebrano in tribunale. Fa bene il macellaio a squartare il vitello, ma non certo davanti a un pubblico pagante.
E non fidatevi dell´indignazione morale che diventa spettacolo, non fatevi prendere dal "serial" sul giallo di Rignano, respingete l´idea "neutrale" di mettere a confronto in televisione i genitori e i presunti pedofili, non credete a chi vi spaccia l´abuso di cronaca come educativo, a chi cerca in televisione la verità senza tabù, a chi vende "la necessità di sapere". Chi davvero si indigna capisce che ci sono degli eccessi dinanzi ai quali solo il silenzio è l´atteggiamento adeguato. Ci sono casi di abbrutimento della vita che sono così eccezionali da meritare professionalità eccezionali che sappiano, quando occorre, anche chiudere gli occhi per pietà.

Il Messaggero 23.5.07
Dico, un sondaggio dietro la svolta di Fassino. Il 25% a messa ogni domenica
Cattolici il 70 per cento dei ds
di Mario Ajello


LA CHIESA non è un bunker. Quella di San Giovanni non è stata né una piazza sanfedista né una piazza di destra. La Cei di Bagnasco forse non è esattamente quella di Ruini, e comunque a sinistra si nota con speranza come il nuovo capo dei vescovi ci tenga a sottolineare l’afflato sociale e solidaristico del cattolicesimo anche in epoca ratzingeriana. E dunque, se non sono “loro” a mettere steccati invalicabili e a spingere sul pedale delle incompatibilità fra laici e cattolici, perché dovremmo essere “noi” a rispolverare al contrario lo spirito di crociata? Ecco il ragionamento che si sta facendo ai piani alti della Quercia.
Lassù sono diventati tutti clerical? O forse teo-dem? Anzi togliattiani fuori tempo massimo, perché non solo la «storia si ripete» ma «la storia si riprete»? Più banalmente, si tratta di un fatto di numeri. Quelli che Piero Fassino ha ricevuto sul suo tavolo di lavoro, contenuti in un sondaggio sorprendente e capace insieme ad altri motivi fra cui la certezza che i Dico in Parlamento non passeranno mai di spingere a una nuova strategia dell’attenzione, o della «mano tesa» come la chiama il leader diessino, verso il cattolicesimo modello piazza San Giovanni. Quello da non regalare a un eventuale Partito di Dio, collocato né di qua né di là ma più di là che di qua, magari guidato da Savino Pezzotta. «Bravo Fassino!», come dicono i teo-dem del centro-sinistra, l’Udc, i cattolici di An ma non la Finocchiaro né la Bindi né la Pollastrini? Non si tratta di essere bravi o no, ma di saper leggere questi numeri forniti al Botteghino dalla Swg. Il 25 per cento dell’elettorato dei Ds è costituito da cattolici praticanti, cioè quelli che vanno a messa ogni domenica. A questo 25 per cento, si aggiunge un 46 per cento di altri elettori della Quercia che si dicono «cattolici praticanti saltuari», ossia vanno a messa una volta al mese. La somma di 25 più 46 fa 71: dunque il 71 per cento degli elettori della Quercia sono, in varie forme e gradi, cattolici. «Soltanto il 29 per cento dei votanti di questo partito alle ultime elezioni fa notare Roberto Weber, titolare di Swg dichiara di essere ateo o osservante di un’altra religione». Dai numeri emerge che, alle elezioni del 2006, i cattolici che votano Forza Italia sono il 19,1 per cento. Ma dopo quello berlusconiano, il secondo partito più votato dai cattolici è la Quercia con il 13,9. Il terzo è An con il 9,8 e il quarto la Margherita con l’8,5. Sommando Ds e Margherita, si arriva a quota 22,4 per cento: tanti sono i cattolici che votano questi due partiti. E dove già si sono presentati insieme, nella lista dell’Ulivo alla Camera, hanno raccolto il 25,3 per cento di elettori cattolici. «Questo dimostra spiega l’onorevole Mimmo Lucà, diessino dei Cristiano Sociali che hanno promosso questo sondaggio che i cattolici preferiscono tendenzialmente un partito unitario, piuttosto che la divisione fra Margherita e Ds».
Di sicuro, il profilo religioso e culturale della Quercia viene ridisegnato sulla scorta di questi dati. E un partito così potrà mai andare allo scontro con Pezzotta? Infatti non ci va. Una delle domande del sondaggio è questa: «Lei potrebbe votare il Partito Democratico?». Il 39 per cento dei cattolici praticanti ha risposto di sì. E tra gli elettori cattolici di centro-destra, il 17 per cento dice di poter prendere in considerazione l’idea di votare Pd. Si tratterà allora, da parte del nuovo partito, di provare a sfondare in quelle aree (Follini è già nel Pd, ma il lavoro da fare supera di gran lunga il singolo abbraccio a qualche personalità) moderate e centriste e cattoliche non di sinistra potenzialmente raggiungibili, almeno secondo queste stime, sull’onda della nuova filosofia che ispira il Partito Democratico. Quella, coniata da Ulrich Beck, dell’intreccio e della sintesi fra spunti e culture diverse all’insegna dell’“e e”, anzi dell’“et et” come dice in latinorum lo studioso tedesco.
E i Ds? Rieccoli, ma sotto una luce nuova: quella della Quercia «cattolica adulta» che addirittura il 30 per cento dei cattolici praticanti, quelli da una messa a settimana, affermano di poter eventualmente votare. Riuscire a raggiungerli sarebbe un capolavoro di equilibrio oppure se l’equilibrio non regge un’estrema resa, con tanto di bacio di pantofola papale, alle ragioni della Chiesa, con ovvio disgusto elettorale da parte dei laici e perfino dei laicisti che ancora si riconoscono in questo partito. Che non a caso ha scelto di stare, l’altra volta, né a piazza San Giovanni al Family Day né a piazza Navona fra i No Vat. Intanto conclude Lucà: «E’ naturale che Fassino e il gruppo dirigente dei Ds, anche per la composizione dell’elettorato di questo partito e per la consapevolezza di quanto sia ampia la componente di cattolici che lo votano e lo voterebbero, abbiano intrapreso una politica di dialogo e di apertura sul terreno dei temi etici, della famiglia, della solidarietà, della vita».
Attenzione però, aprendo e contaminando, mescolando e mescolandosi, a non produrre come non pochi paventano un Pd cui viene aggiunta la lettera “c”: non Partito Democratico, ma Partito Democratico Cristiano. Ma i primi a dolersi, se si va in overdose, sarebbero proprio i Ds.

martedì 22 maggio 2007

l’Unità 22.5.07
No, non è la Bbc. Ma la Rai rinuncia alla censura
Santoro potrà acquistare il documentario sui preti pedofili della tv britannica. Ma sarà sotto osservazione
di Natalia Lombardo


CENSURA PREVENTIVA? Sarà oggi sul tavolo del Cda Rai l’acquisto del documentario della Bbc sui casi di preti pedolifi avvenuti negli Usa, in Irlanda e in Brasile, richiesto da Michele Santoro per la sua trasmissione Anno Zero. Un acquisto che il condutore può fare senza alcuna autorizzazione, dato che per contratto rientra nelle sue prerogative, ma che la burocrazia di Viale Mazzini (sollecitata dai dirigenti più legati al Vaticano) ha finora ostacolato.
Nonostante le pressioni del centrodestra, sembra che il direttore generale della Rai, Claudio Cappon (tornato ieri da Nairobi dove ha inaugurato la sede Rai), non voglia porre una censura preventiva all’acquisto del video (per circa 20mila euro). E dalla concorrenza lancia una provocazione Enrico Mentana: «Se la Rai non lo vuole, il documentario della Bbc lo compriamo noi per Matrix». Del resto per la tv pubblica sarebbe un boomerang censurare il documentario della tv britannica modello di rigore (e richiesto da altre tv) tanto più che fino a ieri sera è stato visto nella versione sottotitolata in italiano da 463mila persone su Google e da tante altre su YouTube.
È probabile invece che il Dg Cappon intervenga sulle modalità della messa in onda: chiedere al conduttore una particolare attenzione all’equilibrio della trasmissione e degli ospiti (e nel mirino potrebbero esserci le vignette finali di Vauro). Se la Cdl all’esterno spara a zero (appoggiando la “scomunica” preventiva dell’Avvenire sul coinvolgiemnto dell’allora cardinale Ratzinger nella copertura dei crimini), nel Cda è da notare l’apertura di Giuliano Urbani. Il consigliere di FI stavolta dà ragione a Santoro: «Ha il “privilegio” di un contratto che lo obbliga a avere rapporti solo col direttore generale», e per la Rai «è impossibile impedire l’acquisto» del filmato, «sarebbe la prima volta che decidiamo di non comprare un video dalla Bbc per autocensura» (dall’archivio della tv britannica attingono anche Piero Angela e Minoli), fa presente Urbani. Sarà anche un laico, ma dalle parole del consigliere forzista si intuisce che il gioco è un altro: incastrare il Dg, pronto a coglierlo in un passo falso. Nessuna censura preventiva, dice Urbani, «semmai possiamo discuterne la messa in onda. E la responsabilità è di Cappon». Appunto, il Dg che il centrodestra nel Cda si prepara a sfiduciare (altro tema della riunione di oggi, ma un eventuale voto potrebbe slittare al 30, quattro giorni prima dell’assemblea dei soci che revocherà Petroni).
Il consigliere del Prc Curzi difende l’autonomia di Santoro e invita tutti ad «abbassare i toni», più cauto Rizzo Nervo, Dl: «L’ultima parola è del Dg». Il centrodestra in Cda potrebbe tirare fuori un altro check point nella direzione di Rai2. Non c’entra in questo caso la par condicio, della quale risponde il direttore del Tg3 Antonio Di Bella, dopo il rifiuto di Mazza del Tg2 ). Fece lo stesso Mimun da direttore del Tg2: Santoro in par condicio fu accolto da Longhi al Tg1.
La polemica è tutta politica. Il ministro Gentiloni chiarisce: «È un problema che riguarda la Rai, non certo il governo». Dai Ds un coro contro la censura, ma Fassino è cauto: «Quando si affronta una materia così delicata servono molta attenzione e prudenza». Parole che fanno abbassare i toni a Landolfi, presidente della Vigilanza, di An. (...)

Repubblica 22.4.07
Santoro vuol trasmetterlo a "Annozero", il direttore generale lo chiama. Fassino invita alla prudenza
Filmato Bbc, Cappon punta al rinvio dopo le elezioni
Il network di Londra autorizza i compratori a tagliare solo 10 minuti dei 40 girati
di Aldo Fontanarosa

ROMA - Tra Claudio Cappon e Michele Santoro c´è stata ieri una lunga telefonata. Il direttore generale, primo responsabile editoriale della Rai, ha spiegato al conduttore di "Annozero" di non essere contrario all´acquisto del documentario della Bbc sui preti pedofili. Non c´è un no pregiudiziale. La vera questione è quando e come mettere in onda il filmato. Cappon, intanto, confida in un rinvio. Questa settimana si chiude la campagna elettorale. Spostare il tutto alla prossima, a urne ormai chiuse, significa arginare una parte delle polemiche. Sempre Cappon, poi, è preoccupato di come la puntata di "Annozero" verrà costruita. Un documentario del genere, chiamando in causa la politica del Vaticano sulla pedofilia, richiede un dibattito a più voci: responsabile, pluralista.
Fin qui le preoccupazioni di Cappon che riecheggeranno nel consiglio Rai di oggi. Dall´altra parte, c´è un Santoro che rivendica una piena autonomia, e che chiede di fare solo il suo lavoro di giornalista. Complica la situazione una condizione che la Bbc pone prima di vendere il programma. La tv pubblica inglese, che lo mise in onda nel 2006, autorizza i compratori a tagliare solo 10 minuti dei 40 di girato. Nessuno, insomma, potrà imporre a Santoro la messa in onda di alcune clip del documentario: chi lo acquista deve poi rispettarne l´integrità narrativa.
Il caso è intricato. E certo peseranno sulla scelta finale anche gli umori dei partiti. Piero Fassino, segretario dei Ds, invita tutti gli attori alla massima prudenza: «Quando si affronta un tema così sensibile, ci vuole attenzione perché l´impatto di qualsiasi immagine, notizia o commento richiede equilibrio». Accanto a Santoro, in favore della messa in onda del documentario, ci sono invece altri parlamentari del centrosinistra. Dal verde Ripamonti al socialista Villetti («la Rai non è Radio Vaticana»), dal diessino Montino a Beltrandi della Rosa nel Pugno («si fa tanta confusione per una cosa già visibile in Internet»). Anche il consigliere Rai Curzi chiede di lasciare a Santoro una libertà totale. Mentre il centrodestra invita il giornalista ad evitare «deliri di onnipotenza». Ha ragione Fassino - dice Landolfi di An - «una cosa del genere si risolve solo con la prudenza».

Repubblica 22.4.07
IL DOCUMENTARIO
La tv inglese attribuisce all'attuale Papa il documento vaticano che imponeva il silenzio sulle violenze. Il giornale della Cei: a quel tempo era in Germania
"Preti pedofili, ecco le prove". "Solo calunnie"
La Bbc accusa Ratzinger: coprì gli abusi. L´Avvenire: nel ‘62 era un docente
di Silvia Fumarola

La vittima. Ogni domenica dopo aver abusato di me, mi lasciava a letto e scendeva a dire Messa
Il governatore. I sacerdoti fanno sparire i nomi degli stupratori.Questa è la mafia, non è la mia Chiesa
L’avvocato. Scrissi al cardinal Sodano di ordinare ai preti di rientrare Rimandavano indietro la posta
Il documento. Ratzinger non c’entra col Crimen sollicitationis: non era prefetto della Congregazione
Il Vaticano. Non voleva riportare gli atti a Roma per occultare ma per evitare condizionamenti
Il trucco. Il documento è stato presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco

ROMA - «Questo è padre Oliver O´Grady, un prete cattolico: la chiesa sapeva che era pedofilo». Comincia così il discusso reportage della Bbc "Sex crimes and the Vatican", il video più visto di Google. Trentotto minuti e 57 secondi. Un viaggio nell´orrore della pedofilia in Irlanda, Stati Uniti, Brasile. O´Grady racconta che gli piacevano i bambini, «ma non quelli grassi e neanche quelli alti, preferivo fossero i magrolini dei quali mi attirava la zona genitale, che una forza irresistibile mi costringeva a toccare». Un atto d´accusa durissimo contro il Vaticano, colpevole di aver insabbiato le inchieste, ostacolato la giustizia civile, trasferito i sacerdoti pur di coprirli, aver abbandonato le vittime. Sul banco degli imputati Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI. Secondo l´inchiesta della Bbc, era garante del Sant´Uffizio del Vaticano (oggi Congregazione per la dottrina della fede) che emise il Crimen sollicitationis, documento segreto del 1962 che istruisce i vescovi su come comportarsi coi sacerdoti accusati di pedofilia. Spiega il filmato (traduzione italiana a cura del sito Bispensiero.it) che «Ratzinger impose la direttiva per vent´anni e nel 2001 emanò il seguito del Crimen sollicitationis. Ma lo spirito era lo stesso, ribadiva la segretezza, pena la scomunica. Ne inviò copia a ogni vescovo. E ha aggiunto che le accuse devono essere vagliate solo dal Vaticano». Avvenire bolla la ricostruzione come «infame calunnia». Scrive l´editorialista Andrea Galli: «Nel 1962 Ratzinger non era prefetto della futura Congregazione per la dottrina della fede, essendo ancora teologo impegnato nella sua Germania. Un documento presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco, escogitato dal Vaticano per coprire reati di pedofilia».
Ferns, Irlanda. Colm O´Gorman, una delle vittime e volto dell´inchiesta, aveva quattordici anni quando fu violentato da Padre Fortune. «Ogni domenica, dopo aver abusato di me, mi lasciava nel suo letto, poi scendeva a dire la prima Messa e tornava ad abusare di me». Fortune venne trasferito. L´arcivescovo Comiskey lo cacciò dalla parrocchia e gli disse di andare in analisi. Dopo sei anni.
Un´altra vittima, Aiden Doyle, parlò con un altro prete che invocò il segreto confessionale. Padre Tom Doyle, esperto di diritto canonico, chiarisce come il Crimen sollicitationis «prescriva una politica di segretezza assoluta. Da nessuna parte c´è scritto di aiutare le vittime». «Solo Roma» dice lo speaker «può pronunciarsi sugli abusi sessuali sui minori». Ancora L´Avvenire ribalta la tesi spiegando che «è un segno della volontà romana non certo di occultare ma di dare il massimo rilievo a certi reati, riservandone il giudizio non a realtà "locali" potenzialmente condizionabili, ma a uno dei massimi organi della Santa Sede». Lo scandalo pedofilia nel 2002 travolge Irlanda e Stati Uniti (4500 preti accusati di violenze), i colpevoli vengono trasferiti di parrocchia in parrocchia. O´Gorman incontra Padre Wall, ex benedettino che ha lasciato il clero ed è al fianco delle vittime. Denuncia: «La maggior parte dei casi non fu mai scoperta, la Chiesa vuole che tutto sia messo a tacere. Aveva un budget di 7 milioni di dollari, nel ´96, per questi casi». Nel 2002 la Chiesa cattolica americana reagì allo scandalo istituendo il Comitato nazionale per il riesame. Il presidente Frank Keating, governatore dell´Oklahoma, paragonò la segretezza della Chiesa a quella della mafia: «I preti non obbediscono ai mandati di comparizione, fanno sparire i nomi degli stupratori. Questa è un´organizzazione criminale, non la mia Chiesa».
Rick Romley, celebre avvocato di Phoenix, ha fatto arrestare otto preti pedofili. Mostra le lettere tornate al suo studio. «Avevo scritto al cardinale Sodano, il segretario di Stato, per chiedere se poteva ordinare a questi preti di tornare in patria. Mi rimandavano la posta indietro col pretesto che il destinatario si era rifiutato di accettarla. Non aprivano nemmeno le buste».

Corriere della Sera 22.5.07
Fassino: preti pedofili Prudenza sul video
«Il filmato Bbc su Annozero? Bisogna avere equilibrio» Oggi la Rai decide se trasmetterlo. Forza Italia non dice no
di Paolo Conti

NEL CDA. Curzi è favorevole alla messa in onda, Staderini contrario

ROMA — Il dialogo tra Piero Fassino e il mondo cattolico continua. L'ultimo messaggio del segretario Ds ha come sfondo la polemica sul caso Santoro, ovvero sul possibile acquisto del video «Sex crimes and Vatican» da parte di «Annozero», un duro filmato sui preti pedofili che sarebbero stati protetti dal Vaticano e dall'allora cardinale Joseph Ratzinger.
Avverte Fassino: «L'argomento è tale che richiede da parte di tutti equilibrio e prudenza». Nessun suggerimento al vertice Rai: «Si tratta di una decisione che compete all'azienda. Quando si affronta una materia così delicata servono molta attenzione e prudenza perché l'impatto di qualsiasi immagine, notizia o commento su temi così sensibili richiede equilibrio e prudenza».
L'analisi è chiara: accostare il nome di Benedetto XVI alla pedofilia senza «equilibrio e prudenza» è un rischio. Non per niente, il giorno dopo il conclave del 2005, Fassino rilasciò un'intervista al «Corriere della Sera» in cui disse di Ratzinger: «Un uomo che certamente mi interessa. Ciò che dice e scrive, anche quando non condivisibile, è di straordinaria intensità etica e culturale. E coglie un punto che tutti oggi avvertono: il mondo non può vivere senza una scala di principi e valori etici».
La dichiarazione di ieri arriva dopo la svolta di Fassino sui Dico («il problema può essere risolto anche agendo sul codice civile») che ha scatenato le rimostranze di verdi, Sinistra democratica, Rifondazione e comunisti italiani ma ha avuto il plauso di «Avvenire ». E dopo l'«attenzione» con cui il segretario Ds ha seguito il Family day. Oggi c'è Mario Landolfi, presidente An della Vigilanza, a dar ragione al segretario Ds: «Giusto, sul filmato ci vuole prudenza».
Ma il filmato verrà trasmesso o no? Lo deciderà oggi il Consiglio di amministrazione della Rai. Intanto Enrico Mentana da casa Mediaset avverte: «Se la Rai non lo vuole, il documentario della Bbc lo compriamo noi per "Matrix"». Oggi il caso verrà prima esposto dal direttore generale Claudio Cappon e poi discusso. Le posizioni sono note. Sandro Curzi (area Rifondazione-Verdi) è a favore della sua messa in onda perché «Santoro deve decidere in piena autonomia», al contrario Marco Staderini (area Udc) ha già annunciato che si batterà in ogni modo per impedirlo. Però ieri si registrava da parte di Forza Italia quasi l'ammissione che la puntata si farà.
Dichiarazione di Elisabetta Gardini, portavoce del partito: «Se crede Santoro vada pure in onda, vada avanti, si svergognerà da sé, giudicheranno i cittadini italiani, la Vigilanza e il Cda Rai». Il consigliere Giuliano Urbani, stessa area di riferimento, ammette l'impossibilità pratica di non procedere con l'acquisto «per il contratto-quadro tra Bbc e Rai cui attingono abbondantemente anche Giovanni Minoli e Piero Angela. In Consiglio parlerà Cappon e annuncerà le decisioni». Perché l'ultimo responsabile editoriale dell'azienda resta sempre e comunque il direttore generale.

Corriere della Sera 22.5.07
IL CONDUTTORE
Santoro: caro Piero, faccio il giornalista La Rai servizio pubblico deve informare
di P. Co.

ROMA — Michele Santoro ha tra le mani l'agenzia di stampa in cui il segretario ds, partito cui il conduttore deve la breve permanenza a Strasburgo come eurodeputato, lo invita all'«equilibrio e alla prudenza». Ma poi Santoro fa Santoro, ovvero replica a bruciapelo: «Io penso che la Rai sia un servizio pubblico e che debba far circolare tutte le informazioni possibili e immaginabili.... Non si possono confondere le virtù di un politico con le virtù di un giornalista». In che senso, Santoro? «Nel senso che la vera finalità di un giornalista dev'essere il procedere con velocità e tempestività e portare a conoscenza del pubblico tutte le informazioni di cui viene in possesso... Quindi noi giornalisti dobbiamo essere prudenti ed equilibrati. Ma anche veloci e tempestivi». Santoro è esposto in queste ore su più fronti. Sul video sulla pedofilia (se la puntata si farà verrà allestita giovedì 31 e non dopodomani). Sulla polemica con Mastella, che gli attribuì un compenso Rai da un milione di euro (Santoro puntualizzò di aver presentato una dichiarazione dei redditi da 250 mila euro).
L'Udeur fa sapere che il conduttore ha querelato il ministro. Ma Santoro precisa: la citazione non è per aver reso pubblica la cifra dello stipendio ma per «aver diffuso notizie false sui suoi compensi e giudizi lesivi della sua dignità personale e professionale». Poi c'è un fronte di polemica interna, ma da sinistra.
A Raitre fanno sapere che già in autunno Milena Gabanelli di «Report» visionò il filmato ma decise di non acquistarlo perché poco affidabile. Infine lo scontro con il consigliere udc Marco Staderini, che lo ha invitato a rispettare le regole. Ieri la replica di Santoro: «La magistratura ha cancellato i provvedimenti disciplinari che mi erano stati inflitti con la sua approvazione durante il governo Berlusconi». «Annozero» andrà in onda anche l'anno prossimo? C'è già chi parla di un Santoro che dice addio al talk show in studio e si imbarca per l'universo dei documentari-inchiesta...

Corriere della Sera 22.5.07
IL «RIVALE»
Mentana «chiama» Mediaset «Compriamolo per Matrix»
di Maria Volpe

MILANO — Ha fiutato la notizia. Ha capito che poteva essere un «colpaccio» per il suo approfondimento di Canale 5. Per questo Enrico Mentana ha detto — riferendosi al video «Sex crimes and Vatican» — «se la Rai non lo vuole, il documentario della Bbc lo compriamo noi per "Matrix"». Quel filmato — che racconta di preti pedofili che sarebbero stati protetti dal Vaticano e dall'allora cardinale Joseph Ratzinger — è fermo lì: Santoro lo vuole acquistare per il suo «Annozero», ma la Rai è indecisa se trasmetterlo o no. Oggi deciderà.
Nel frattempo Mentana ha per l'appunto lanciato un sasso che — come sottolinea lui stesso — «è stato quasi più un modo per smuovere le acque. Perché se un documentario è sul mercato, non è da catacombe». Una censura preventiva che per ora potrebbe essere solo dei vertici di viale Mazzini, ma che domani potrebbe avere la firma anche dei gran capi di Cologno Monzese. Perché magari il presidente Mediaset Fedele Confalonieri o il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi potrebbero non gradire questa messa in onda.
«È vero, potrebbero — confessa Mentana — e io ascolterei le loro motivazioni, ne discuteremmo. Ma il punto non è questo, non è solo se mandarlo in onda oppure no. Il punto è come trasmettere un filmato del genere, con quali modalità. La questione è sempre sul come proporre le cose scottanti. Non è che siccome sono scottanti, si ignorano. Abbiamo trattato argomenti anche più spinosi. Io saprei come contestualizzare questo tema, come del resto saprebbe farlo Santoro. Senza dimenticare due aspetti: le nostre responsabilità sono forti, ma la gente non è sciocca e sa valutare tutto».
Certo è che questo argomento, viste le sue implicazioni politico-sociali, è ad alto tasso di rischio. Ragion per cui, almeno per ora e finché possono, i vertici Mediaset stanno alla larga dall'argomento. Si limitano a spiegare: «Va da sé che non trasmetteremo nulla che non risponda a criteri di obiettività e completezza. Detto questo preferiamo restare fuori da questa polemica che è tutta politica».
Certo è vero, attualmente la questione è ovviamente diventata politica: si terrà conto dei rapporti con il Vaticano o delle denunce giornalistiche? Oggi vedremo. Certo è che Mentana, per il suo «Matrix», ha sempre cercato di lasciare la politica fuori dalla porta, per questo prova a spostare il problema su un altro livello di discussione: «Se un documentario della Bbc diventa proibito, abbiamo finito di lavorare. Parliamo da sempre della Bbc come un esempio lontano da applicare, poi quando c'è l'occasione si scappa. Detto questo è evidente che il filmato va visionato, tradotto e valutato. Magari è opinabile e non ha senso trasmetterlo, magari no. È sbalorditivo perché stiamo discutendo tutti a proposito di qualcosa che nessuno ha ancora visto. Il nostro mestiere è mostrare le cose per poi discuterne. Se la Rai non acquista questo documentario, noi lo visioneremo. Non mi pare di fare la rivoluzione francese se dico questo».

Il Giornale 22.5.07
Bufera su Santoro: "Vuole diffamare il Papa"
di Adalberto Signore

Roma - Santoro insiste, mentre la politica continua a dividersi tra favorevoli e contrari alla messa in onda nel corso della trasmissione AnnoZero dell’inchiesta della Bbc Sex crimes and Vaticans sui casi di pedofila nella Chiesa. Con Mentana che rilancia, assicurando che «se la Rai non lo vuole» ci penserà «Matrix a comprare il documentario» e mandarlo in onda. E con il direttore generale di viale Mazzini Claudio Cappon che nella riunione di oggi del consiglio di amministrazione affronterà la questione, «proponendo - spiega Urbani, membro del Cda - le decisioni da prendere nel merito». Anche se, rileva il consigliere Rai, Sandro Curzi, sarebbe «francamente grottesco».
Se Cappon dovesse affrontare oggi la questione, spiega, «inviterò tutti ad abbassare i toni» e «lasciare al responsabile della trasmissione, come accade in tutte le democrazie, la decisione sulla messa in onda». Dopo giorni di polemiche, insomma, oggi si dovrebbe avere una prima indicazione sulle intenzioni della Rai, anche se ancora non è chiaro chi si prenderà la briga di decidere (se Cappon, il Cda o il direttore del Tg3 Di Bella). Intanto continua a infuriare lo scontro politico sull’inchiesta della Bbc che si occupa dei casi di pedofilia che coinvolgono preti cattolici americani, irlandesi e brasiliani e che, sostiene il documentario, sarebbero stati coperti dal Vaticano e in particolare dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI. Al punto che per l’occasione i capigruppo di Forza Italia, An e Udc in commissione di Vigilanza decidono di buttare giù una nota congiunta nella quale prendono decisamente di petto Santoro. Che - dicono Lainati, Butti e De Laurentiis - «è in pieno delirio di onnipotenza» visto che «alle critiche legittime dei consiglieri di amministrazione della Rai che gli contestano la faziosità della sua trasmissione» (il riferimento è a Staderini, ndr) risponde «confusamente, facendo finta di non capire e senza entrare nel merito» ma «lanciandosi in invettive giustizialiste contro i vertici dell’azienda». Il centrodestra, dunque, si schiera decisamente contro il conduttore di AnnoZero, con il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione che lo accusa di voler «diffamare il Papa» basandosi «su informazioni false e tendenziose». Parla invece di «servizio pubblico televisivo» ad uso e consumo di «una ristretta cerchia di anticattolici e antifamiglia» il capogruppo centrista Luca Volonté. Mentre il segretario della Dc per le Autonomie Gianfranco Rotondi invita Santoro a tornare sui suoi passi perché «in questo momento» trasmettere quel documentario avrebbe «più che un valore cronistico un significato ideologico».
Più netto il deputato azzurro Francesco Giro secondo il quale il conduttore di AnnoZero «vuole aggredire la Chiesa per motivi legati unicamente all’attuale vicenda politica nazionale». E di «atteggiamento gaglioffo» parla Elisabetta Gardini, portavoce di Forza Italia. Mentre il vicesegretario dell’Udeur Antonio Satta bolla il documentario della Bbc come «giornalismo spazzatura».
Nella querelle non vuole entrare invece il governo che per bocca del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni si chiama di fatto fuori perché «è un problema che riguarda la Rai non certo l’esecutivo». A differenza della sinistra, radicale e non, decisamente contraria a che Santoro sia sottoposto «all’ennesima censura». Se il segretario dei Ds Piero Fassino chiede «attenzione, equilibrio e prudenza» perché «sono temi sensibili» - argomentazioni che raccolgono il plauso del presidente della commissione di Vigilanza - Prc, Pdci, Verdi e Rosa nel pugno la vedono in tutt’altro modo e dicono «no alla censura preventiva» lamentando le «gravi e inaccettabili pressioni di cui è oggetto Santoro» (così il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio).
(...)

il manifesto 22.5.07
Santoro tira dritto sul film della Bbc Oggi il Cda della Rai valuta la censura
Anno zero potrebbe mandare «Sex crimes and the vatican» già giovedì. Il blogger che l'ha tradotto in italiano: «Nulla di organizzato. vogliamo solo che la gente sappia»
di Sa. M.

Roma. «Abbiamo avuto qualche ritardo nel perfezionare il contratto, ma chiaramente abbiamo tutto il diritto di comprare questo documentario. La trasmissione dovrebbe essere pronta se non per questa settimana, di certo per la prossima». Michele Santoro è uno abbituato alle tempeste. Anzi diciamo pure che gli piacciono. Dunque ieri pomeriggio lavorava tranquillo alla preparazione della puntata di Annozero che dovrebbe mandare in onda il clamoroso documentario della Bbc Sex crimes and the vatican, dedicato al ruolo delle gerarchie ecclesiastiche e dello stesso papa Ratzinger nella copertura della pedofilia nella chiesa cattolica, cercando di non curarsi troppo della slavina di polemiche che sta correndo verso la sua trasmissione. La strategia è l'unica possibile: continuare con il lavoro finché a pronunciarsi pro o contro non sarà chi è titolato a farlo. Altrimenti si va avanti.
Sul «chi» sia davvero titolato a decidere se un documentario come quello della Bbc possa essere mandato in onda, le opinioni sembrano le più diverse. Di certo un peso decisivo lo avrà il direttore generale della Rai, Claudio Cappon. Ieri Cappon non ha parlato, ma è chiaro che dovrà farlo oggi durante una riunione del Cda Rai che si annunciava già piuttosto tesa. Giusto una decina di giorni fa la destra, incassata la sfiducia di Padoa-Schioppa a Petroni, si preparava a dare l'assalto al suo scranno fra questa riunione e quella programmata per la prossima settimana. E se fino a qualche giorno fa sembrava che questo attacco fosse destinato a risolversi in poco di fatto, la nuova polemica sul «caso Santoro» ha riacceso gli animi di tutta la destra ponendo nuovamente Cappon sottotiro.
Stando al consigliere in quota Forza Italia Giuliano Urbani, dipenderà da come il direttore generale porrà la questione: «Cappon ci dovrà dire se la cosa dipende dal direttore di Rete, dal Cda o dallo stesso direttore generale». Se infatti in periodo di par condicio, come quello attuale, il programma di Michele Santoro, come tutte le trasmissioni informative, vengono ricondotte alla responsabilità della testata (in questo caso il Tg3), per Urbani «il problema è in realtà cosa è stato stabilito dall'azienda nel contratto con Santoro». In nessun caso infatti deve esserci un'eccezione». Sandro Curzi, di Rifondazione, sostiene che la polemica è «grottesca»: «Quel documentario è in Internet e l'hanno già visto, come me, centinaia di migliaia di persone». Dopo aver dato un colpo al cerchio - «I Ds parteciperanno al gay pride» - ed uno alla botte - «per regolare i rapporti tra coppie non sposate potremmo intervenire solo sul codice civile» - il segretario dei Ds Piero Fassino ieri ha cercato di dare semplicemente un colpo di freno: «Il tema è particolarmente delicato e bisogna valutarlo con prudenza ed equilibrio da parte di tutti».
Sul web intanto, l'enorme comunità digitale di chi guarda, scarica e commenta il documentario trasmesso ad ottobre dalla Bbc si allarga, come aveva cominciato a fare già la scorsa settimana quando Michele Santoro ha notato l'epifenomeno digitale contattando immediatamente la testata inglese per i diritti di prelazione. Ieri la versione di Google video, sottotitolata in italiano, aveva toccato quasi 500mila visioni. E a migliaia l'hanno visto anche su Youtube, sebbene diviso in cinque parti, per non parlare dei tanti che l'hanno scaricato da emule o da un server di torrent. Un fenomeno digitale esploso grazie alla buona volontà di Massimo Merighi e la sua compagna, titolari del blog bispensiero.it (un gruppo che raccoglie «amici di Beppe Grillo» soprattutto palermitani) che senza tanti discorsi hanno notato il video su internet in inglese e con un po' di pazienza ed un buon programma di editing video l'hanno sottotitolato in italiano: «Pensavamo di dover aiutare la diffusione di questa notizia - spiega Merighi - non è la prima volta che facciamo operazioni di controinformazione, l'avevamo già fatto con una inchiesta sui parlamentari siciliani che si è conclusa con l'impegno ad un contratto regionale dei tre candidati di quest'autunno». La polemica della Rai li ha un po' travolti, ma rimangono convintissimi: «Non si tratta di andare contro la chiesa, vogliamo solo che si sappia la verità. I cattolici si indigneranno come noi, per questo sarebbe buono se la Rai mandasse tutto».

Liberazione 22.5.07
Pedofilia e Chiesa, ecco la verità
Guardate su Internet (aspettando Annozero) il documentario
di Emilio Carnevali

Se ne avete la possibilità andatevi a vedere l'inchiesta della Bbc sui preti pedofili: Sex Crimes and Vatican (sottotitoli in italiano) sul sito
http://video.google.it/videoplay?docid=3237027119714361315 (in attesa che la Rai autorizzi Santoro a mandarla in onda a "Annozero"). Il filmato gira in rete da qualche giorno dura 39 minuti e lo hanno già visto moltissime persone, in tutto il mondo. Non dirà niente di nuovo per chi conosce il tema, ma racconta moltissimo a chi, invece, non ha mai sospettato niente. Il filmato è eloquente, a tratti commovente. E' informato, mai "pruriginoso", è una sorta di indagine compiuta da un ex ragazzo violentato, Colm. «Avevo 14 anni, dopo aver abusato di me padre Fortune mi lasciava nel suo letto e andava a dire la prima messa. Poi tronava...». Colm oggi dirige un'associazione per le vittime degli abusi ed ha ottenuto l'avvio di un'inchiesta. Tutto ruota intorno al documento segreto "Crimen Sollicitationis", una direttiva del 1962, che mette a tacere le accuse di abusi. Fu ingiunto ai vescovi cattolici di tutto il mondo di tenerla in cassaforte. La pena per chi rompe il giuramento è la scomunica immediata. «Fu Ratzinger ad imporlo per 20 anni». Nel 2001, sempre Ratzinger, emanò il seguito ribadendo la scomunica per chi avesse violato il segreto. La questione ha suscitato una valanga di commenti politici: molti a vanvera (visto che difficilmente hanno visto il filmato) a difesa di non meglio identificati prudenza ed equilibrio. Altri, invece, preoccupati a ragione per la gratuità della censura preventiva. Per Rc ci hanno pensato i due membri della commissione di Vigilanza, Russo Spena e Migliore, capigruppo di Senato e Camera, che ritengono «inaccettabile l'esortazione fatta ieri a Cappon dal presidente della commissione Landolfi a non permettere a Santoro di acquistare e trasmettere il documentario Bbc sulla pedofilia ecclesiastica».
Non è ancora andato in onda (e neppure si sa se Michele Santoro riuscirà a mandarlo), che il documentario della Bbc Sex crimes and the Vatican ha già sollevato un mare di polemiche. L'Avvenire ha sferrato un durissimo attacco preventivo: «I calunniatori dovrebbero chinare il capo e chiedere scusa», ha scritto Andrea Galli dalle colonne del quotidiano della Cei.
In realtà, il documentario, andato in onda sulla tv britannica lo scorso 1 ottobre nell'ambito della serie investigativa "Panorama", non svela nulla di nuovo. Al centro dell'inchiesta, che ricostruisce diverse vicende di abusi perpetrati in Irlanda, Stati Uniti e Brasile, vi è il documento segreto del Sant'Uffizio Crimes Sollecitationis, inviato nel 1962 a tutti i vescovi e contenente le procedure da utilizzare per trattare i casi, compiuti in sede di confessione, di istigazione a pratiche sessuali da parte di sacerdoti. Il documento rivela la fermissima volontà da parte dell'allora prefetto della Sacra Congregazione del Sant'uffizio card. Alfredo Ottaviani, che i reati compiuti dal clero non emergano alla conoscenza dell'opinione pubblica (la punizione massima in cui avrebbero potuto incorrere coloro che fossero stati riconosciuti colpevoli del crimine di sollecitazione è infatti meno grave di quella prevista per chi avesse rotto il vincolo del segreto, ovvero la scomunica).
Il documento è però noto sin dal 2003, quando era stato presentato a tutto il mondo dal network statunitense Cbs e dal settimanale inglese The Observer (in Italia furono pubblicati anche ampi stralci della traduzione dal latino dall'agenzia di stampa Adista). Il documentario della Bbc si limita a riproporre la questione, puntando in particolare il dito contro Joseph Ratzinger, che da Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede sarebbe stato per 20 anni il responsabile dell'applicazione di questo decreto finalizzato all'"insabbiamento" dei casi di pedofilia nel clero.
Il vero dato che emerge da questa vicenda è l'ennesima dimostrazione che nel nostro Paese la Chiesa cattolica appare protetta da una virtuale "intangibilità". Mandare in onda un documentario già trasmesso dalla televisione pubblica britannica, una delle più prestigiose ed autorevoli del mondo, è considerato qui da noi un imperdonabile affronto, una provocazione laicista (chissà se anche in questo caso sarà rispolverata l'accusa di "terrorismo" come per il malcapitato Andrea Rivera, che dal palco del Primo Maggio aveva "osato" criticare la non concessione del funerale religioso a Piergiorgio Welby). L'informazione religiosa deve limitarsi a passare i comunicati stampa della Santa Sede, le sintesi dei discorsi del papa all'Angelus e le prolusioni del presidente della Cei.
Dei numerosissimi casi di pedofilia nel clero italiano quasi nessuno parla, dal momento che fa fede la versione ufficiale data dal segretario della Cei Betori: il fenomeno è «talmente minoritario che non merita attenzione specifica» (maggio del 2002. Nello stesso anno negli stati Uniti scoppiava lo scandalo dei preti pedofili). Peccato che dal 2000 ad oggi più di 50 sacerdoti sono andati sotto inchiesta, ed in molti casi condannati, per abusi sessuali a danni di minori. Il tutto nel più totale silenzio da parte dei media e della Chiesa cattolica, che fa di tutto per occultare i fatti. Il caso forse più clamoroso - che testimonia l'enorme impegno delle autorità ecclesiastiche per evitare che anche in Italia scoppi uno scandalo sul modello di quello americano - è quello del vescovo di Agrigento mons. Carmelo Ferraro. Il vescovo è infatti arrivato a chiedere ad un ex seminarista, vittima di un prete pedofilo che aveva già patteggiato la condanna a 2 anni e 6 mesi, un risarcimento di 200mila euro per danni all'"immagine" e al "prestigio" della Chiesa di Agrigento presso l'"opinione pubblica". La "colpa" dell'ex seminarista era stata quella di denunciare pubblicamente non solo gli abusi subiti, ma anche le responsabilità e i silenzi del vescovo nel corso dell'intera vicenda. Solo dopo una puntata di Mi manda Rai Tre dello scorso dicembre nella quale era stato ricostruito il caso, mons. Ferraro ha fatto marcia indietro e ha ritirato la citazione. Ora l'ex seminarista ha anche ricevuto da parte del prete condannato un risarcimento economico per i danni subiti.
Rimane il problema di una Chiesa cattolica che tende a sottrarre le proprie interne vicende al dibattito pubblico. E rimane il problema dei grandi organi di informazione nazionali spesso troppo acquiescenti nei confronti di un tale atteggiamento. Se la "provocazione" di Santoro contribuirà almeno in parte a infrangere questi tabù, non potrà che essere considerata una iniziativa meritoria del nostro servizio pubblico. Saranno poi gli spettatori a giudicare la qualità e l'equilibrio del lavoro giornalistico. La censura preventiva è in ogni caso la peggiore delle soluzioni, soprattutto quando è motivata da diktat esterni.

Repubblica 22.4.07
I ricordi dei bambini e il caso Rignano
di Massimo Ammaniti


Se ci fosse un medico che cura i malesseri e i turbamenti sociali prescriverebbe alla comunità di Rignano Flaminio una, due, tre lunghe pause di riflessione prima di fare nuove dichiarazioni ed avviare nuove iniziative per far valere i pur legittimi punti di vista dei gruppi in lotta fra loro. Ma gli animi sono troppo esacerbati e la vita della cittadina avvelenata da odi, da risentimenti e da sospetti per ascoltare ogni raccomandazione.
Si è trattata di una brutta storia "noir": i bambini di una tranquilla scuola materna sono diventate vittime di una setta quasi satanica che si è impossessata di loro obbligandoli a sottostare ad abusi, a violenze e addirittura a rituali esorcistici. Purtroppo non è un brutto film e noi continuiamo ad interrogarci su che cosa possa aver innescato queste accuse e quali siano gli indizi gravi che abbiano spinto la Procura a procedere alla carcerazione delle maestre e degli altri indiziati. Allo stesso tempo il Tribunale del Riesame non ha riconosciuto l´esistenza di indizi gravi che giustifichino ulteriormente la detenzione.
Il primo interrogativo da porre riguarda l´attendibilità dei racconti e delle testimonianze rese da bambini di pochi anni e quanto riflettano veramente i fatti denunciati. Non dimentichiamo che rappresentano, questi, gli indizi gravi che hanno giustificato la carcerazione. È difficile sapere che cosa pensino gli inquirenti delle capacità dei bambini di pochi anni di ricordare quello che è avvenuto, soprattutto se si è trattato di esperienze traumatiche come quelle che avrebbero subito. Me lo chiedo perché ogni testimonianza dovrebbe essere soppesata, tenendo presente che non solo può essere intenzionalmente alterata (e non è questo il caso dei bambini), ma che può essere fallace perché i processi di rievocazione dei ricordi sono quanto mai complessi e rispondono a regole non sempre chiare. Vi è una sterminata letteratura scientifica, valga per tutti il libro di Daniel Schacter dell´Università di Harvard "Alla ricerca della memoria", in cui viene spiegato, questa volta sì con forti evidenze scientifiche di tipo psicologico e neurobiologico, che il ricordo non è una semplice fotocopia di quello che è avvenuto e che può essere riprodotto ogni volta che sia richiesto. I processi di memorizzazione sono complessi: a volte siamo in grado di ricordare in modo abbastanza dettagliato quello che è avvenuto, altre volte crediamo di ricordare dei fatti ma si tratta di una ricostruzione fittizia a cui crediamo ciecamente come se fossero veramente avvenuti, altre volte ancora sono un "puzzle" di ricordi riprodotti fedelmente con altre ricostruzioni false, senza che sia possibile capire la veridicità di ogni singola tessera del mosaico. Non a caso in Inghilterra è attiva da decenni una Società sulle memorie recuperate (recovered memories), il cui chairman John Morton insegna nell´Università di Cambridge. Ma prestiamo attenzione a quello che dice Morton relativamente alle dinamiche dei ricordi: «I fattori che influenzano il grado di riproduzione o di ricostruzione dei ricordi includono, ad esempio, il significato personale dell´evento, il contenuto emotivo e la consequenzialità dell´evento, le stesse ragioni per cui la persona sta ricordando l´evento e soprattutto con chi avviene il processo di rievocazione». Ed ogni volta che il ricordo riemerge assume anche le colorazioni del contesto attuale, obbligandoci a dire che non scorre mai lo stesso ricordo sotto al ponte.
Quando poi la rievocazione si riferisca ad eventi con una forte connotazione emotiva, quali sono appunto abusi e violenze, l´attivazione, naturalmente inconsapevole, di distorsioni, alterazioni se non addirittura di soppressioni è addirittura la regola.
Il secondo interrogativo riguarda più specificamente l´età infantile delle vittime, ossia quanto siano in grado di ricordare. Come ognuno di noi sa, non riusciamo a ricordare molto di quello che ci è successo nei primi anni di vita e nella maggior parte dei casi ci tornano alla mente fatti o episodi che ci sono stati raccontati dai nostri familiari. Questa amnesia infantile, di cui aveva ampiamente parlato Sigmund Freud nel secolo scorso, è spiegabile col fatto che il cervello in questa fase è ancora immaturo, soprattutto l´emisfero cerebrale sinistro che ha maggiormente a che fare con la memoria autobiografica, che si riferisce alla capacità di rievocare attivamente e consapevolmente gli eventi della nostra vita e raccontarli ad altri.
C´è un´importante ricerca americana fatta da Ceci negli anni ´90 che conferma tutto questo. Dei bambini fra i tre e i cinque anni venivano sottoposti a visita pediatrica e nei mesi successivi venivano ripetutamente interrogati su quello che era successo. Gradualmente i bambini introducevano inconsapevolmente interpretazioni terribili. Ad esempio mentre il pediatra non aveva toccato i genitali dei bambini, questi ultimi riferivano che il medico aveva messo con violenza bastoni nella vagina o nel sedere oppure che aveva serrato il collo con una corda. Questa ricerca dimostra in modo inequivocabile che interrogando ripetutamente i bambini questi cercano di rispondere in modo da soddisfare le aspettative degli adulti, anche se queste non sono espresse. E nel corso del tempo i bambini diventano sempre più convinti della veridicità di quello che hanno raccontato.
Una conclusione è d´obbligo: molti equivoci e fraintendimenti che avvengono nelle relazioni umane traggono inevitabilmente origine dalle nostre caratteristiche intrinseche nel processing delle informazioni, è qualcosa che non possiamo ignorare.

l’Unità 22.5.07
Bagnasco ordina: «La politica ascolti il Family Day»
L’esordio del nuovo leader Cei: «Aspettiamo un interlocutore all’altezza dei problemi...»
di Roberto Monteforte


Il presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco va all’incasso e indica l’agenda «vera» dei problemi dell’Italia. Nella prolusione con la quale ieri ha aperto la 57ª assemblea generale dei vescovi plaude alla riuscita del «Family day». La politica e le istituzioni ora non possono ignorare la domanda di quel milione di persone che hanno invaso piazza San Giovanni, dando «testimonianza forte e corale a favore del matrimonio quale nucleo fondante e ineguagliabile per la società». Quindi, strada sbarrata ai Dico e via libera a misure a sostegno della famiglia.

FAMIGLIA, emergenza sociale e nuove povertà, una Chiesa popolare e radicata nella società italiana, sana laicità e libertà religiosa, la carità. La linea la dà il Papa, le parole sono del presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco che va al-
l’incasso e indica l’agenda «vera» dei problemi dell’Italia. Nella prolusione con la quale ieri ha aperto la 57sima assemblea generale dei vescovi, il successore del cardinale Ruini plaude alla riuscita del «Family day», la «festa di popolo» promossa dal laicato cattolico lo scorso 12 maggio, prova di «maturità dei laici». La politica e le istituzioni ora non possono ignorare la domanda di quel milione di persone che hanno invaso piazza san Giovanni, dando «testimonianza forte e corale a favore del matrimonio quale nucleo fondante e ineguagliabile per la società». Quell’appello «inequivocabile» della società civile, insiste Bagnasco, non può essere ignorato. «Si attende un'interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati». Quindi, strada sbarrata ai Dico e via libera a misure a sostegno della famiglia.
L’arcivescovo respinge l’accusa di omofobia mossa alla Chiesa. La definisce «ideologica e calunniosa» ed esprime la sua solidarietà al Papa «per le sorprendenti esternazioni - tanto superficiali, quanto inopportune» rivoltegli. E alle accuse di attacco alla laicità, risponde che «la Chiesa difende l'identità del popolo, rispettando la sana laicità, ma suggerendo i grandi criteri e i valori inderogabili, orientando le coscienze e offrendo un'opzione di vita». Il successore del cardinale Ruini cita a più riprese Benedetto XVI: i discorsi tenuti nel suo viaggio in Brasile, l’enciclica Deus Caritas Est, il recente libro su Gesù di Nazareth, l’esortazione post sinodale sull’Eucarestia. Punti fermi il richiamo al rispetto della vita e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio, e la polemica con chi «irride e minaccia quei valori fondamentali», castità compresa. Per Bagnasco non vi sarebbe alcuno scontro tra laici e cattolici. «Tutte polemiche forzose e strumentali, costruite su interpretazioni distorte, che non hanno riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del popolo italiano» taglia corto il vescovo più contestato e minacciato d’Italia. Non enfatizza le sue vicende, le minacce, le scritte offensive. Sono «singoli episodi - osserva - costruiti su interpretazioni distorte e su attribuzioni di pensieri mai pensati, e che neppure le immediate smentite e precisazioni sono servite a chiarire». Vi possono pur essere «legittime diversità di posizioni - afferma - su tematiche anche rilevanti», ma lo scontro è un’altra cosa. Il confronto «deve potersi esprimere con serenità e chiarezza, in un clima di rispettoso dialogo». Quindi, precisa: da parte dei vescovi non vi è «nessun attentato alla laicità della vita pubblica o tentativi di sfigurarla, anche quando rilevano i fondamenti etici e spirituali radicati nella grande tradizione del nostro Paese». L’intenzione è quella di «innervare» la società italiana di «inquietudini» che possono garantirne il futuro. «Nel nostro orizzonte non c'è un popolo triste, svuotato dal nichilismo e tentato dalla decadenza. C'è un popolo vivo, capace di rinnovarsi grazie alle proprie risorse e alla propria inevitabile disciplina, capace di non tradire i suoi giovani, capace di parole credibili nel consesso internazionale». Pare essere un richiamo critico alla politica da parte di una «Chiesa di popolo», che è tale proprio per il suo radicamento sociale e per questo può indicare le nuove emergenze sociali. Siamo tornati al «pacco viveri» denuncia Bagnasco. È la condizione drammatica di tante famiglie monoreddito con più figli a carico che non arrivano alla fine del mese. Come pure quella di chi vive la disoccupazione di lunga durata, il lavoro precario, le madri sole con figli a carico. Invita alla solidarietà Bagnasco. Come cittadini e come cristiani. Ed esprime solidarietà anche alla Chiesa del sud, impegnata per il lavoro e minacciata dall’ndrangheta. Per riaffermare il «costruttivo dialogo tra Chiesa cattolica, politica e società civile» cita, le parola del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Si aspettano quelle di Benedetto XVI.

Repubblica 22.4.07
Boselli: "L’obiettivo è il partito del Papa"
Le reazioni


ROMA - Monsignor Bagnasco «cerca di negare la realtà e cioè che il Family day sia stata essenzialmente una manifestazione contro una legge proposta dal governo per i diritti delle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali». Enrico Boselli, tra i promotori della contro-manifestazione di piazza Navona, non rinuncia a polemizzare a distanza con il presidente della Cei. «Non vedo francamente molte differenze - osserva il segretario dello Sdi - tra il precedente mandato del cardinal Ruini e quello di monsignor Bagnasco. Semmai c´è una maggiore aggressività politica, che fa pensare proprio alla costruzione di un vero partito del papa». Il «fattore di continuità» tra le due presidenze della Cei, rileva quindi Boselli, «è costituito dallo stesso Papa, che fa dell´offensiva integralista sul piano religioso, filosofico e politico il profilo principale del suo pontificato».
Il segretario dei radicali italiani, Rita Bernardini, se la prende invece con Bagnasco per quell´uscita sulle famiglie povere: «Si sono accorti della povertà delle famiglie italiane solo quando è stata proposta anche in Italia la regolamentazione delle coppie di fatto: dove sono stati fino ad oggi i Vescovi? Possiedono il 25 per cento del patrimonio immobiliare italiano e piangono per le difficoltà di alloggio dei giovani sposi». L´Arcigay si «compiace» che «la gerarchia cattolica respinga l´accusa d´omofobia». Ma il presidente dell´organizzazione, Aurelio Mancuso, ci tiene a ricordare al presidente della Cei «quando lui accostò l´omosessualità alla pedofilia». Franco Grillini, della Sinistra democratica, dissente da Bagnasco sul giudizio sul Family Day, «che a noi è apparso come la rappresentazione di un´Italia arcaica e pre-moderna».
(f. b.)

Repubblica 22.4.07
Un nuovo studio su Pio XII con molti documenti inediti
I silenzi e i tormenti di Papa Pacelli
di Marco Politi


Manca il miracolo, sussurrano in Vaticano, e poi la via della beatificazione di Pio XII sarà spianata. Ma intanto, l´8 maggio scorso, la Congregazione per le Cause dei santi ha votato per il riconoscimento delle «virtù eroiche» di papa Eugenio Pacelli. Entro giugno Benedetto XVI dovrebbe dare il suo placet al decreto ed allora Pio XII diventerà venerabile.
Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro (Mondadori, pagg.660, euro 24), il bel libro di Andrea Tornielli, giunge dunque nel momento giusto. Inedita è la documentazione del carteggio familiare - cui l´autore attinge - inedito è il materiale che fa parte del dossier della causa di beatificazione, inedita la ricostruzione del conclave del 1939. Ne risulta un quadro anche umanamente assai ricco e che meglio aiuta a fare il bilancio del suo pontificato. Intanto Pacelli non volle fino all´ultimo diventare cardinale. Benché considerato prodotto perfetto di una macchina curiale capace di portare un minutante al soglio di Pietro, Pacelli insistette più volte con Pio XI per chiudere la carriera di nunzio in Germania e passare a occuparsi della «cura delle anime».
Pio XI aveva, invece, altri progetti su di lui. Lo fece cardinale, lo fece Segretario di Stato ed è interessantissimo vedere nel libro la strategia con cui un pontefice regnante può «spingere» un porporato alla successione. Impagabili sono i brani, in cui Pio XI suggerisce al cardinale Pacelli come «rappresentarsi» nel ruolo di futuro pontefice. E dunque, quando dopo la morte di papa Ratti si apre il conclave, il futuro Pio XII è papabilissimo. Eppure l´elezione lampo (solo tre scrutini) fu contrastata e niente affatto unanime. Monsignor Tardini, grande collaboratore di Pio XII, spiegò così le opposizioni: «Il cardinale Pacelli è un uomo di pace e il mondo ora ha bisogno di un papa di guerra».
Parole profetiche. Nell´incendio della guerra Pacelli - coscienzioso, addolorato, laborioso, impegnato per la sorte dei deboli - non riuscirà ad essere all´altezza del dramma straordinario che va in scena. Rispetto alle polemiche che da decenni circondano la figura di Pio XII, Tornielli è equilibrato e aperto alle giustificazioni di scelte difficili. Ma proprio la pacatezza dell´approccio fa emergere in maniera inequivocabile i suoi limiti. Pacelli intuì presto la natura «eretica» e diabolica del nazismo, soffrì moltissimo per il destino tragico degli ebrei, si spese per salvarne il più possibile, ma non ce la fece a scagliare una solenne condanna contro il simbolo demoniaco di Hitler e del suo regime. Non riuscì a saltare al di là della propria ombra, come dice il proverbio tedesco. Sta qui ciò che Rolf Hochhuth ha definito con l´intuito del drammaturgo il «silenzio» di Pio XII.
Ossessionato dall´idea di equidistanza fra le parti in conflitto, ossessionato dal calcolo di costi e benefici (per le vittime) che potevano risultare da uno scontro frontale con il nazismo, avviluppato nell´angoscia del male minore, Pio XII si è sempre fermato un attimo prima di pronunciare la parola profetica di riprovazione, che lo avrebbe innalzato dinanzi ai posteri. Non sono critici malevoli a notarlo, l´interrogativo agitava lo stesso Vaticano durante la guerra. «Da tante parti - scriveva il cerimoniere pontificio mons. Respighi al cardinale Maglione nel 1943 - si attende una parola del Santo Padre forte e solenne a difesa dell´umanità». Pio XII fece certamente sapere come la pensava, ma quella parola solenne non venne mai.
L´impianto distaccato del libro lo documenta senza ombra di dubbio. La Germania invade Olanda e Lussemburgo, violandone brutalmente la neutralità? Respingendo due testi di dura condanna, preparati da mons. Tardini e dal Segretario di Stato Maglione, Pio XII opta per telegrammi di condoglianza. Hitler introduce l´eutanasia per i malati di mente? Pio XII cassa dal documento del Sant´Uffizio l´espressione crimine «nefasto e inumano», preferendo si dica solo che è un fatto contrario alla legge umana e divina.
L´arcivescovo di Cracovia Sapieha sollecita, tra alti e bassi, un documento sulle sevizie inflitte alla Polonia? Pio XII si limita a citare in pubblico la «tragica sorte del popolo polacco». Sulla persecuzione antiebraica - il libro lo documenta - papa Pacelli era informatissimo. «Piangeva come un fanciullo», era sconvolto, ricorda un testimone. Ma persino nel famoso radiomessaggio del Natale 1942 Pio XII non riuscì a collegare il termine sterminio con la parola «ebrei».
Lui stesso, nel fondo del suo cuore, sapeva che un giorno ciò avrebbe potuto essergli addebitato. Al nunzio Roncalli, in piena guerra, chiede se «il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male».

Corriere della Sera 22.5.07
«In Italia la pillola dell'aborto C'è il via libera dell'Europa»
L'azienda: presto negli ospedali. L'Udc: pericolosa
di Federica Cavadini


MILANO — «Entro novembre la pillola abortiva sarà disponibile negli ospedali italiani, le donne potranno scegliere fra l'aborto chirurgico e quello chimico utilizzando la Ru486». Lo annuncia l'associazione per i diritti dei consumatori Aduc, dopo il «sì» dell'Emea (l'Agenzia europea del farmaco) e immediatamente riparte la polemica sul farmaco, che provoca l'espulsione dell'embrione evitando la sala operatoria, e anche sulla legge 194. «L'aborto non è e non sarà mai un contraccettivo. Ci opporremo con tutte le forze a questa cultura della morte»: è l'intervento del vicepresidente della Camera Giorgia Meloni (An), mentre i Verdi (Luana Zanella) auspicano «che la ministra Turco non tardi ad adeguare il nostro Paese alle scelte già fatte in Europa». Soddisfatto Silvio Viale, ginecologo al Sant'Anna di Torino, promotore della Ru486 in Italia e radicale della Rosa nel Pugno: «Dopo sei anni di boicottaggi, finalmente anche in Italia». In Francia la Ru486 fu introdotta nell'88. E Viale spiega: «Dal dicembre 2005 era in corso una procedura di revisione per autorizzare un dosaggio inferiore, di 200mg, che si è conclusa favorevolmente. Adesso la ditta produttrice, la Exelgyn, potrà attivare la registrazione per mutuo riconoscimento».
Lo scorso autunno l'azienda francese aveva già anticipato al Corriere che avrebbe chiesto la registrazione in Italia dopo il sì dell'Emea. Il sì è arrivato, il parere favorevole verrà adottato dalla Commissione europea il prossimo 6 giugno. E la Exelgyn ha confermato che chiederà l'autorizzazione per commercializzare in Italia la Ru486 entro settembre, come prevede la procedura del mutuo riconoscimento. «Speriamo di avere l'autorizzazione entro l'anno», ha dichiarato Catherine Denicourt, dirigente dell'azienda francese. «Il direttore dell'Aifa (Agenzia internazionale del farmaco), Nello Martini, aveva parlato di 90 giorni necessari per la pratica», ha ricordato Viale.
Al momento, secondo fonti vicine all'Aifa, «non risultano richieste di registrazione». «Ma l'Aifa per il momento non è in gioco», ribatte l'Aduc. E il clima è di nuovo teso. «In un Paese che ha legittimato l'aborto, può esserlo anche una pillola che allevia la sofferenza», sostengono all'Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri. Il dibattito politico ha toni più accesi. Secondo Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, la Ru486 è «pericolosissima» e chiede di «scongiurare la facile commercializzazione della pillola abortiva, non a caso chiamata kill-pill. L'Aifa vigili».
Secondo l'Aduc tempo sei mesi il caso sarà chiuso: «Il nostro ministero darà il via libera entro novembre e per la Ru486 c'è già un distributore italiano».

Repubblica 22.4.07
Benvenuti nella società post-secolare
su "Reset" un dibattito a più voci
Una terza via possibile fra l'irritazione dei non credenti e la voglia di riscatto dei credenti Una discussione intorno alle tesi del giurista Ernst-Wolfgang Böckenförde
di Giancarlo Bosetti


UN DOSSIER CON FILOSOFI E SOCIOLOGI
IL NUMERO di Reset che esce oggi ha sottoposto a un test definito "postsecolare" un gruppo di filosofi, giuristi, sociologi, politici, chiedendo la loro reazione al dilemma di Böckenförde: Bruce Ackerman, Giuliano Amato, Piero Bassetti, Ian Buruma, Massimo Cacciari, Guido Carandini, George Crowder, Klaus Eder, Alessandro Ferrara, Elisabetta Galeotti, Claus Offe, Arturo Parisi, Paolo Pombeni, Geminello Preterossi, Francesco Rimoli, Gian Enrico Rusconi, Karl von Schwarzenberg, Charles Taylor, Nadia Urbinati, Salvatore Veca, Maurizio Viroli. Anticipiamo qui un estratto delle risposte di Amato, Buruma e Taylor e una sintesi dell´introduzione del direttore Giancarlo Bosetti.


Il diktum, o dilemma di Böckenförde è una celebre affermazione, risalente ormai al 1967, ma ritornata in forze di attualità in tempi recenti, in base alla quale «lo Stato liberale si nutre di premesse che non è in grado da solo di garantire». L´autore, Ernst-Wolfgang Böckenförde, tedesco, cattolico, giurista, è il terzo protagonista di una discussione a tre che coinvolge altri due intellettuali germanici, finora più noti: Jürgen Habermas e Joseph Ratzinger. Il confronto con le sue tesi conduce al cuore del tema del "post-secolarismo", parola già affiorata nel dialogo del 2004 tra il futuro Pontefice e il filosofo della razionalità comunicativa, che prendeva le mosse proprio dal diktum.
Sulla scena pubblica vediamo sempre più spesso due situazioni contrapposte: da un lato l´irritazione paralizzante dei non credenti laicisti che non riescono a capire perché si parli tanto di religione, e perché si debba dare ascolto alla voce dei religiosi al di fuori di ambiti strettamente privati e confessionali; dall´altro la condizione di umiliati, angariati e offesi dei credenti che vorrebbero far valere le ragioni della loro fede nella vita sociale e anche nella legislazione e che si sentono respinti come portatori di un residuo irrazionale, come un fenomeno destinato a scomparire con l´avanzare della modernità. Partendo da queste condizioni, così diffuse, Jürgen Habermas ha elaborato un pensiero del possibile «apprendimento reciproco» che dovrebbe caratterizzare una società «post-secolare» e consapevole di esserlo. Habermas si rende conto che ai non credenti si chiede un duro compito, anzi di più: una specie di «riorientamento gestaltico» e cioè uno sconcertante cambiamento di scena.
Quella che di fatto si trova a essere in discussione è l´immagine che il mondo occidentale e i suoi intellettuali hanno finora avuto in prevalenza della modernità e di se stessi, quasi in ogni campo, politico, economico, sociale (e religioso). Quell´immagine rappresentava il futuro per le altre culture, per l´Oriente, l´Asia, l´Africa. Ora invece sempre più spesso ci raggiunge il riflesso della nostra immagine negli occhi degli altri che mostra l´Occidente come un caso a se stante, come una strana devianza (se pur di successo, a suo modo). Sempre più frequente appare l´idea che la secolarizzata Europa non sia il futuro di popoli «ancora» immersi nella religione, ma un unicum che non è detto si debba necessariamente ripetere altrove.
La domanda di Böckenförde in sostanza chiede se per caso chi vive nello stato liberale non sia soggetto all´errore ottico di non percepire quel che esso deve alla religione e non soltanto alla sua lotta per separarsene. Se in tempi di prosperità ideologica e di solidità culturale delle società occidentali il tema di un deficit etico dello stato liberale non si sente, le cose cambiano con l´affacciarsi di una situazione nuova, in cui l´elemento etico è continuamente sollecitato: concezione della vita, della famiglia, della sessualità, nuove frontiere tecnoscientifiche, contrasti identitari e culturali sulla scena internazionale, che ha sullo sfondo il terrorismo islamista e la paura di un conflitto di civiltà. La discussione sul diktum di Böckenförde è tutta da fare e riguarda il futuro del mondo che abbiamo in testa.

AMATO: SE PREVALE UN´EGEMONIA LIBERALE
Il dilemma di Böckenförde è, da quando essa esiste, il dilemma esistenziale della democrazia liberale, la quale da una parte contraddice i suoi principi se non garantisce libertà anche a chi la vuole distruggere, dall´altra non può consentire che la distruzione giunga a compimento.
Nella vicenda della storia, la contraddizione ha tuttavia trovato le sue regole per essere gestita. La più nota è la «clear and present danger rule» elaborata dalla Corte suprema degli Stati Uniti, che protegge in modo incondizionato la libertà di pensiero, sino a quando essa non si trovi a far la parte del «grilletto», che fa esplodere l´azione sovversiva. Su questo fondamento, e con dilatazioni a volte cospicue dei suoi margini, tante altre regole sono state inventate per combattere tempestivamente i «nemici». E se uno si volta indietro, non può non arrivare a una conclusione. Il dilemma esistenziale lo si è storicamente risolto riservando il massimo di garanzia a tutti coloro che si collocano entro la piattaforma dei consensi/dissensi volta a volta ritenuti compatibili con la sopravvivenza dell´insieme e lasciando invece in un limbo assai meno garantista il dissenso che si colloca fuori dalla piattaforma. È questo un difetto della democrazia liberale? O non è invece la naturale conseguenza del suo essere il reggimento degli esseri umani che ne condividono i principi basilari e che quindi non portano le diversità di opinioni e anche di interessi al punto di giustificare la messa a repentaglio dei diritti fondamentali di coloro che hanno opinioni o interessi diversi?
È chiaramente la seconda la risposta che danno quelli come me che se ne sentono figli. E per questo concludono che essa è affidata, prima ancora che alle sue regole (e alle contraddizioni in cui le sue regole la fanno cadere) alla costruzione - direbbe Gramsci - di una egemonia liberale, che compete ai suoi protagonisti culturali e sociali. Ci adopriamo in questo senso e, davanti alle tante diversità che il mondo di oggi mette insieme, badiamo bene a non essere né assimilazionisti, né integrazionisti, e cerchiamo piuttosto di delineare percorsi di feconda contaminazione all´insegna dell´accettazione reciproca.
Scacciamo ogni giorno il demonio - abissalmente realista - che ci ricorda di continuo che la storia non ha ancora dimostrato la capacità della democrazia liberale di reggere fedele a se stessa al di fuori delle isole felici in cui fu inizialmente concepita.

BURUMA: I PERICOLI NASCOSTI NELL'ATEISMO
Come molti termini accademici, l´espressione «post-secolare» mi suona troppo vaga. D´altronde, l´idea di una società completamente secolare è stata sempre un´illusione. La religione organizzata non è mai scomparsa, e oggi attraverso i musulmani e forse perfino il cristianesimo evangelico può addirittura consolidarsi. Lo Stato secolare è ben altro. Io non credo che nelle democrazie liberali, a eccezione forse degli Stati Uniti, la religione organizzata giochi un ruolo preponderante all´interno dello Stato. Né ci tiene a farlo. Ma la società deve dare agio a tutte le religioni, compreso l´islam, di svilupparsi indipendentemente dallo Stato.
Inteso quale ideologia aggressiva, il secolarismo - o l´ateismo - può diventare pericoloso al pari di qualsiasi fede dogmatica. A mio avviso, inoltre, non è necessario che le società siano «omogenee» perché fiorisca la democrazia liberale. Le società non sono mai state omogenee: si pensi, ad esempio, alle tensioni tra cattolici e protestanti in alcune aree dell´Europa settentrionale.
Certo, è innegabile che tradizioni culturali e religiose condivise forniscano una solida base morale che funge da collante per la società, ma tale comunanza non è necessaria. La popolazione degli Stati Uniti è caratterizzata da innumerevoli tradizioni culturali e religiose, eppure nel bene o nel male funziona. C´è invece bisogno di un accordo comune per il rispetto delle leggi; finché ci sarà questo le democrazie liberali non saranno in pericolo.
La storia del XX secolo è costellata di movimenti politici che hanno infranto le leggi per imporre con la violenza la propria visione politica: nazisti, fascisti, Frazione Armata Rossa, Brigate Rosse. I membri di questi movimenti violenti erano europei e condividevano le stesse tradizioni culturali e religiose del resto della società.

TAYLOR: LO STATO NON SPOSI UNA MORALE
Per molto tempo gli intellettuali e gli studiosi, e con loro i giornalisti e noi tutti, si sono bevuti la storia che la modernità dovesse condurre alla secolarizzazione nel senso del declino della religione. Oramai ci rendiamo conto che ciò non è necessariamente vero. La realtà è molto più complessa. E così tutti i problemi che dobbiamo affrontare, compreso quello del pluralismo religioso nelle nostre società, appaiono sotto una luce diversa. La religione non è un fenomeno in declino, che può essere meramente ignorato; continuerà al contrario a far parte del contesto in cui viviamo, e quindi la questione del pluralismo religioso va affrontata.
Nozioni elementari come la laicité alla francese, che tendono semplicemente a emarginare la religione, sono ormai inadeguate alla situazione attuale. C´è bisogno invece di Stati realmente neutrali, non soltanto nei confronti delle varie religioni, ma altresì tra religione e miscredenza. Il secolarismo militante non può certo costituire la base dello Stato, però è un diverso punto di vista che deve avere diritto di cittadinanza nel vasto spettro delle appartenenze religiose e metafisiche. Adeguarsi a questa idea non è facile, e non solo per le Chiese che hanno sempre fornito il collante per l´intera società, ma anche per le ideologie secolari.
Böckenförde ha senza dubbio ragione: il problema esiste. Occorre una profonda e forte convinzione morale del valore della libertà, dell´uguaglianza, della tolleranza, magari anche dell´apertura agli altri; ma, per quanto profonda e organica, lo Stato non può sposare né favorire alcuna interpretazione morale specifica - sia essa religiosa o laica - che funge da base per questi valori fondamentali. (...) In realtà si può concepire una società in cui i punti di vista religioso, metafisico e morale siano ineluttabilmente pluralisti (è questa la situazione in cui ci troviamo), in cui però i fautori di quei diversi punti di vista accettino di promuovere gli stessi valori politici fondamentali: libertà, diritti umani, uguaglianza, governo democratico. Alcune società occidentali hanno adottato tale modello. Ma questa base potrebbe rivelarsi fragile: che cosa accade, infatti, se la pluralità finisce con l´indebolire tutte queste concezioni? In tal caso a essere minacciate sarebbero proprio le fondamenta di quei valori.

il manifesto 22.5.07
La sorprendente sintassi dell'arte rupestre

La «grammatica» e la «sintassi» dell'arte rupestre sono al centro di un convegno internazionale in corso fino al 24 maggio al Centro congressi di Darfo Boario Terme in Val Camonica. Presentando l'incontro, cui prendono parte alcuni dei maggiori esperti mondiali di arte rupestre, il paleontologo Emmanuel Anati, direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici, ha infatti sottolineato come le ultime ricerche abbiano rivelato che le incisioni su roccia, dagli studiosi finora semplicemente catalogate e descritte, possedessero in realtà «una loro grammatica e sintassi, che venivano lette e comprese dai popoli preistorici e che possono essere rilette anche oggi». Nel corso del simposio, dunque, verranno interpretati per la prima volta diciannove monumenti dell'arte rupestre della Borgogna, le cui incisioni riprodurrebbero, secondo gli archeologi, una serie di accordi stipulati per la possibilità di accoppiamento tra gruppi diversi. In altre parole, si tratterebbe delle testimonianze dei primi contratti di matrimonio realizzati trentamila anni fa. Parallelamente al simposio, si tengono inoltre due mostre: la prima analizza l'elemento più semplice dell'arte rupestre, il punto, mentre la seconda si occupa della decodificazione di una roccia, situata in Val Camonica e istoriata con sessantaquattro figure (tra cui un grande simbolo fallico in stato eiaculatorio), rappresentazione di un vero e proprio ciclo che racconta la storia di uno spirito dell'energia virile il quale, oltre a fecondare, svolge un ruolo da intermediario con gli spiriti ancestrali.

Liberazione 22.5.07
Etica e autonomia culturale, la rivoluzione che manca a sinistra
Il merito di Gramsci è aver capito l'importanza delle idee
Senza una visione propria del mondo le classi emergenti non possono diventare padrone di sé. Né gli individui potrebbero interpretare la realtà senza rappresentazioni collettive
di Roberto Finelli


«Nella fabbrica … quanto più il proletario si specializza in un gesto professionale, tanto più sente l'indispensabilità dei compagni, tanto più sente di essere la cellula di un corpo organizzato, di un corpo intimamente unificato e coeso; tanto più sente la necessità dell'ordine, del metodo, della precisione, tanto più sente la necessità che tutto il mondo sia come un'immensa fabbrica, organizzato con la stessa precisione, lo stesso metodo, lo stesso ordine che egli verifica essere vitale nella fabbrica dove lavora». E' quanto scrive Gramsci in un articolo del febbraio 1920 su «L'Ordine Nuovo» dal titolo L'operaio di fabbrica, per indicare appunto l'ordine nuovo che la classe operaia con la sua vita rigorosa, fatta di lavoro, di metodo e produttività, sarà capace di sviluppare e portare, a muovere dalla fabbrica, nell'intera società, di contro al disordine e alla decadenza della borghesia.
Ma invece dell'ordine nuovo, alla sconfitta del movimento dell'occupazione delle fabbriche in Italia e dei movimenti proletari e consiliari in Germania seguiranno negli anni la vittoria del fascismo e del nazionalsocialismo. Eppure la centralità della fabbrica nella vita moderna non verrà meno nella riflessione di Gramsci. Basti pensare alle pagine dedicate, nei Quaderni del carcere , al celebre tema di "Americanismo e fordismo", in cui Gramsci, in contrasto con le previsioni catastrofistiche del Comintern sulle contraddizioni e il declino dell'economia capitalistica, comprende la nuova fase di espansione economica e di enorme trasformazione sociale che il capitalismo americano ha imboccato con la grande meccanizzazione, il lavoro a catena, il taylorismo e l'organizzazione cosiddetta scientifica del lavoro.
Quella americana è un'esperienza di profonda "razionalizzazione" della produzione e dell'intera vita sociale. Priva delle classi parassitarie precapitalistiche ancora vischiosamente presenti nella storia europea, tende a un nesso organico, senza sprechi, di produzione e consumo, in una continuità tra sfera della fabbrica e sfere della vita, dove «l'egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e dell'ideologia». Tra l'Ordine Nuovo e i Quaderni del carcere c'è la riflessione di Gramsci sui motivi della sconfitta del movimento comunista in Occidente e le perplessità sull'involuzione dell'Unione Sovietica. Ma c'è sopratutto l'affermazione di quello che è il contributo maggiore e più originale di Gramsci all'elaborazione del marxismo: la tesi cioè del valore dell'importanza e della funzione insostituibile delle ideologie nel conflitto sociale e in una lotta non perdente per la fuoriuscita dal capitalismo. Per il materialismo storico di Marx ed Engels il piano ideologico o sovrastrutturale è sinonimo di falsa coscienza, di errore, di deformazione della realtà. Concerne la produzione delle idee da parte di intellettuali che sono lontani dal mondo vero e reale del lavoro e dell'economia e, a motivo di tale scissione del lavoro intellettuale da quello manuale, non può che produrre rappresentazioni mistificate e di parte. Per il Gramsci dei Quaderni all'opposto l'ideologia è una funzione strutturalmente costitutiva, in senso positivo, della conoscenza e della coscienza umana. Costituisce l'insieme delle rappresentazioni e dei valori, comuni e collettivi, attraverso cui ogni essere umano, in quanto essere che vive ed è parte di un gruppo e di un contesto sociale, necessariamente percepisce e interpreta la realtà. Il pensiero è sempre collettivo per Gramsci e senza partecipazione a un pensiero collettivo non si darebbe mai pensiero individuale e personale. Per questo l'ideologia è una sorta di trascendentale storico, senso comune e generalizzato, attraverso cui gli uomini danno senso e prendono consapevolezza di sé stessi e del mondo.
Ora quanto Gramsci matura nelle angustie degli anni di carcere è che la lotta delle classi non si gioca solo su un piano economico di interessi e rivendicazioni materiali, di espropriazioni di proprietà ineguali ed oppressive, o di presa del solo potere politico, ma che appunto una rivoluzione sociale non può che accompagnarsi a una rivoluzione intellettuale e morale, che dia conto da parte della classe rivoluzionaria del possesso di una visione del mondo, di una cultura, di una filosofia che la renda padrona di sé e contemporaneamente egemone, quanto a indicazione di valori e di nuove modalità di vita, delle classi che possono esserle vicine ed alleate. E che proprio in ciò consista la parte più delicata e complessa di un processo rivoluzionario: nel farsi cioè autonoma la coscienza culturale e, in senso lato, filosofica della classe in questione da colonizzazioni e interiorizzazioni simboliche anteriori e nel procacciarsi un sapere di sé, illuminante e chiarificante con il proprio essere sociale. Giacché la natura e la finalità dell'ideologia per Gramsci è quella di essere totalitaria: di confrontarsi e di escludere, per la propria capacità di universalizzazione, altre ideologie, e di condurre una classe dall'essere in sé all'essere per sé, traducendo le sedimentazioni conscie e inconscie del suo immaginario sociale in una visione coerente ed unitaria.
Totalitarismo ideologico da accogliere in senso positivo, dunque, e che allontana Gramsci da un'appropriazione "democratica", qual è l'ultima cui abbiamo dovuto assistere, secondo la quale la concezione gramsciana dell'ideologia e del confronto culturale significherebbe l'abbandono dell'orizzonte del comunismo e di una visione della società scandita dalle differenze e dalle opposizioni di classe, per una valorizzazione della democrazia da intendersi quale confronto relativistico delle opinioni e delle idee.
La transizione gramsciana dell'ideologia dal negativo al positivo comporta la questione del ruolo dei produttori d'ideologia, gli intellettuali e del loro rapporto con le masse del proletariato. E, com'è noto - né poteva essere diversamente per un comunista della III Internazionale - Gramsci risolve la questione affidandone la soluzione al partito, intellettuale collettivo in cui coloro che sentono ma non sempre comprendono s'incontrano con coloro che comprendono ma non sempre sentono, in un processo reciproco di educazione nel quale «tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali». Anche perché, se il fine ultimo del comunismo è l'unificazione del genere umano, nella strada verso di esso, il fine dei dirigenti di un partito rivoluzionario è, al di là dell'efficacia e dell'organicità del partito, è proprio quello di eliminare ogni distinzione tra dirigenti e diretti.
Ma perché tutto questo, invece, non è stato? Perché Togliatti, curvando al meglio secondo la sua strategia il lascito di Gramsci, è stato capace di creare il miracolo politico di immettere nella vita civile e politica italiana le masse dei subalterni, irrigidendole contemporaneamente in una struttura stalinista di partito, in cui il processo educativo muoveva solo verticalmente dall'alto ad impedire ogni maturazione autonoma della base? Perchè la rivoluzione morale e intellettuale di Gramsci è stata, nello stesso tempo, così celebrata e così svuotata ed estenuata? Sino a giungere, oggi, all'autoliquidazione di un partito, che ha conservato nelle sue trasformazioni solo un gruppo dirigente, privo di moralità gramsciana e provvido solo della riproduzione di sé?
Io credo forse anche per i limiti del grande pensatore sardo, di cui oggi celebriamo il settantesimo anniversario della morte e della cui solitudine politica carceraria ci ha invitato ancora a ripensare Rossana Rossanda su il manifesto. La grande e acutissima attenzione che Gramsci ha dedicato al tema del formarsi a soggetto storico delle classi subalterne ha avuto infatti come contrappasso una scarsa attenzione al versante dello strutturarsi autonomo dell'oggettività capitalistica. La fabbrica è sempre stata vista in un'ottica fondamentalmente positiva e progressiva di razionalizzazione sociale e antropologica e mai come punto di partenza di una valorizzazione dell'astratto capitalistico e di una società integralmente reificata. E, senza partire dall'astratto del Capitale, non ci può essere punto d'incontro tra l'astrazione di vita del lavoratore e l'astrazione del concetto propria dell'intellettuale. Il rischio è, dunque, che buona parte del marxismo italiano, soprattutto nel suo versante storicistico, sia stato, proprio a partire dalla lezione di Gramsci, un marxismo senza Capitale .