venerdì 25 maggio 2007

Repubblica 25.5.07
Replica all’attacco di Montezemolo: ero ospite, no comment
Il gelo di Bertinotti "Ogni cosa a suo tempo"
La critica al capitalismo e gli elogi al discorso di Marchionne
di Alessandra Longo


ROMA - «Ero ospite, ho ascoltato e non commento, mi attengo alla consegna del silenzio». No, non è giorno di interviste e battute. Fausto Bertinotti lascia, scuro in volto e a passo rapido, l´assemblea di Confindustria evitando di aprire un nuovo fronte con Luca Cordero di Montezemolo che l´ha accusato di aver detto «un´autentica falsità» quando ha bollato il capitalismo italiano come «impresentabile». Per quella frase contro Bertinotti son partiti forti gli applausi della sala. Il presidente della Camera ha dovuto incassare, prendendo appunti, in prima fila, senza muovere muscolo. Replicare? Non se ne parla nemmeno, se non altro per dovere formale di cortesia: «Ogni cosa a suo tempo. Ci vorrebbe un discorso molto impegnativo che mi riservo di fare in futuro».
In fondo, un po´ se lo aspettava. Sapeva di aver irritato molti imprenditori con quella sua sortita, lo scorso aprile, sulla vicenda Telecom. Era un venerdì notte, su Raitre: «Il fatto che ci si chieda in queste ore se ci sia un imprenditore italiano con abbastanza soldi per intervenire su Telecom è sconcertante.... Il capitalismo è a un estremo di impresentabilità». Parole gravi, dice subito Confindustria che non ascolta nemmeno la stupita precisazione di Bertinotti: «State confondendo un mio giudizio sul sistema capitalistico italiano, la cui malattia mi sembra evidente, con la capacità imprenditoriale di singole aziende di ottenere delle performance di successo che sono altrettanto evidenti». Ormai è guerra dichiarata. Montezemolo aspetta solo l´occasione per pareggiare il conto. E l´occasione arriva ieri.
Bertinotti e il capitalismo. Non sempre polemiche, non sempre critiche tranchant. Non è un mistero che il presidente della Camera conservi nel suo studio di Montecitorio copia del discorso che Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat, fece nel luglio 2006 all´Unione Industriali di Torino. Un discorso in cui si boccia l´equazione tra risanamento dell´impresa e taglio del costo del lavoro. «Questo borghese mi interessa», fu il commento pronunciato da Bertinotti in una sede politicamente sensibile come la festa di Liberazione. Marchionne, consapevole di essere diventato suo malgrado "un´icona" tornò a parlare della sua filosofia in un´intervista a «Repubblica»: «E´ inutile picchiare su chi sta alla linea di montaggio, pensando così di risolvere i problemi».
Borghesia cosiddetta illuminata, capitalismo che sviluppa le aziende senza licenziare ma anche «capitalismo avanzato che produce precarietà, nuova schiavitù». I buoni e i cattivi. Marchionne sì, Montezemolo e la sua visione del mondo del lavoro no.
Il presidente di Confindustria attacca, Bertinotti annuncia che, a tempo debito, risponderà. Intanto, però, in qualche maniera gira per tutto il giorno intorno all´argomento, evoca «l´imbarbarimento dei rapporti, il primato del mercato, il lavoro nero, la mercificazione». Lo fa, dopo l´assemblea romana, in un contesto diverso, amico, a Firenze, per i 50 anni dell´Arci. Gli chiedono che cosa ne pensa del patto generazionale proposto da Giuliano Amato (e certo ben visto da Montezemolo) per l´innalzamento dell´età pensionabile. La reazione è secca, forse frutto dell´umore: «Propongo di andare di fronte ad una fabbrica tessile del Biellese, aspettare una lavoratrice sui 55 anni con 37 anni di lavoro alle spalle e chiederlo direttamente a lei».

Corriere della Sera 25.5.07
Accolta la richiesta della Cgil, non potranno influire sullo scrutinio finale
Il Tar: «Niente crediti dall'ora di religione»
Maturità, sospesa l'ordinanza del ministro
di Giulio Benedetti

Il sindacato: e chi non segue questo insegnamento?
Rischio di violare la Costituzione


ROMA — I prof di religione non potranno far pesare il loro giudizio nell'assegnazione del credito scolastico della maturità (oggi fino a 20 punti) ai ragazzi che si avvalgono dell'insegnamento.
Il Tar del Lazio ha sospeso in via cautelare l'ordinanza del ministero numero 26 del 15 marzo (che prefigura la riforma degli esami di Stato) nei paragrafi che riconoscono al docente di religione questa facoltà. La sospensiva arriva a pochi giorni dalle riunioni dei collegi dei docenti. Nessun commento, per ora, dal ministero dell'Istruzione.
Viale Trastevere impugnerà la decisione del Tar? Il tempo per prendere una qualunque iniziativa è molto limitato. È probabile che nella prossima tornata di esami i circa 20 mila docenti di religione non potranno dare il loro contributo, in alcuni casi significativo, per la valutazione della «carriera scolastica» dei ragazzi, come erano soliti fare dal '99 quando la maturità è stata riformata. La richiesta di sospensiva è stata inoltrata da sindacati, associazioni e da confessioni religiose diverse da quella cattolica. La contesa sulle prerogative dei prof di religione vede schierati da un parte il sindacato e le associazioni laiche, convinti dell'inammissibilità del loro giudizio ai fini della bocciatura, promozione o ammissione agli esami di Stato degli studenti che seguono l'insegnamento; dall'altra le associazioni cattoliche. L'ordinanza del 15 marzo, con la quale Fioroni ha ribadito che la frequenza dell'insegnamento della religione cattolica o dell'attività alternativa consente di attribuire il credito scolastico, ha riacceso lo scontro.
Il tribunale amministrativo, commenta con soddisfazione Enrico Panini, segretario generale della Flc-Cgil, ha ravvisato in alcuni punti dell'ordinanza, «il rischio di violazione della Costituzione e di altre norme di legge». «Sul piano didattico - continua Panini - l'insegnamento della religione non può, a nessun titolo, concorrere alla formazione del credito scolastico per gli esami di maturità, perché ciò darebbe luogo a una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono nè l'insegnamento religioso nè usufruiscono di attività sostitutive». Secondo il sindacalista «sarà ora compito del ministero avvisare urgentemente del cambiamento di indicazione le scuole che tra pochi giorni saranno impegnate negli scrutini». «Questa decisione ci meraviglia molto — afferma Nicola Incampo, docente di religione e collaboratore del sito Cultura Cattolica — perché l'ordinanza del ministro Fioroni ha esteso il riconoscimento di un credito anche ai ragazzi che non seguono l'insegnamento della religione cattolica, che hanno seguito le attività alternative». «Fioroni - ha concluso Incampo - non ha fatto altro che confermare quanto il ministro Berlinguer, nel '99, aveva già predisposto quando aveva riformato l'esame di Stato».

il manifesto 25.5.07
Sinistra democratica La Roma che sta con Mussi cerca una Casa comune. Viaggio nelle sezioni
I post-comunisti della capitale
Testaccio, Garbatella, Tufello, la cintura popolare e anche quartieri centrali e socialmente misti non si sono fatti irretire dalle sirene veltroniane che cantano le lodi del Partito democratico. Non vogliono un altro partitino ma un processo unitario. Parlano di lavoro, pace, casa, salute. E partecipazione
di Loris Campetti


Roma Testaccio, Garbatella, Tufello. Sono quartieri popolari dove è storicamente è fortemente radicata la sinistra romana. Qui la mozione Mussi-Salvi ha vinto l'ultimo congresso dei Ds, in alcuni casi con percentuali che al tempo del Pci si sarebbero definite bulgare. Con la sinistra si è schierata gran parte della cintura popolare, da Prima Valle a Torre Angela. Ma anche in sezioni con una composizione sociale mista, come Alberone, Talenti, Esquilino, Trionfale, Fassino ha dovuto incassare una pesante sconfitta. Lo stesso è successo a Ostia e Ostia antica, o a Vitinia sulla via del mare. La mozione Mussi è andata bene anche in quartieri né popolari né di sinistra, come la Balduina. Il 23% dei voti a Roma, a cui si aggiunge il 13% della mozione Angius, la cui partecipazione numerica alla formazione della Sinistra democratica «stiamo valutando», ci dice il coordinatore di Sd nel Lazio, Angelo Fredda. Il coordinatore romano, Massimo Cervellini, insiste sulla natura prevalentemente popolare del nuovo movimento e ci suggerisce una riflessione: «In questa città così caratterizzata dal volto e dai modi accattivanti del sindaco Walter Veltroni, ci si sarebbe potuti aspettare un trionfo del metrò che porta al Partito democratico. Le cose non sono andate così, e questo aiuta a capire meglio Roma e le sue sfaccettature». Le scelte individuali sono segnate da tanti elementi. I nomi di spicco, i compagni con ruoli nelle assemblee elettive, dell'area Angius hanno deciso di correre verso il Pd, mentre in quartieri come il Tiburtino o Pietralata chi ha votato la terza mozione congressuale sta passando in massa in Sd. Persino tra i sostenitori di Fassino c'è chi ha già perso le speranze nel Pd, «colpa dell'accentramento burocratico e dei contenuti sempre più centristi. Sta avvenendo all'Esquilino, dove alcuni compagni vengono con noi», dice Cervellini.
Nelle piazze e nei mercati
La prima considerazione del cronista che ha visitato sezioni e incontrato molti compagni e compagne del movimento «Sinistra democratica per il socialismo europeo», è che a Roma esiste e resiste una sinistra forte. E' militante, appassionata, legata al territorio («i comunisti della capitale»); tiene aperte le sezioni tutti i giorni e al sabato garantisce una presenza al mercato di quartiere con i volantini e i questionari, come succede al Testaccio il cui segretario di sezione, Vincenzo Smaldore, ha appena 23 anni; le lotte per la casa e la sanità si alternano con gli attivi su «fase politica e nostri compiti». Gli anziani che abitano le case popolari senza ascensore costruite al Tufello per gli italiani in fuga dalla Libia «li portiamo in braccio al seggio a ogni elezione», racconta il giovane segretario della sezione Fabrizio Picchetti, un figlio d'arte. Le elette e gli eletti nelle circoscrizioni due volte a settimana vanno in sezione ad ascoltare problemi e richieste della «gente».
Sono in molti quelli che dopo aver condiviso o (mal)sopportato tutte le svolte e le trasformazioni del vecchio Pci non sono tornati a casa, né si sono adeguati al nuovo Pd che forse avanza e forse no, anzi ritrovano il gusto di fare politica in una forza che dice di non voler fare un partitino ma di contribuire a riunificare la sinistra. Di anime, però o per fortuna, ce ne sono molte in Sd. C'è chi, trentenne, non ha mai preso tessere e chi la tessera l'aveva stracciata in una delle tante giravolte del dopo muro di Berlino. C'è chi aveva tentato altre strade, in Rifondazione o nel Pdci, ma era rimasto con l'amaro in bocca. Ci sono movimentisti e partitisti. Ci sono tanti delegati, quadri e dirigenti sindacali. Nelle sezioni incontri militanti con un passato nel Manifesto, in Lotta continua, in gruppi cattolici. Ma a Roma incontri soprattutto una forte domanda di partecipazione politica di chi si aspetta un processo unitario nel territorio.
Una fucina del dissenso
La Villetta è la sede storica del Pci alla Garbatella, «presa nel '44, era la sede del Fascio», ricorda il segretario Natale Di Schiena, un ex manifestino «natoliano» che si batte come un leone perché la sezione venga assegnata a Sd: «Abbiamo vinto il congresso con il 61,9% dei voti, a cui se ne aggiungono alcuni della mozione Angius». E' stato eletto segretario dei Ds, e non smetterà di esercitare il mandato congressuale finché non sarà definito il destino della sezione. Qui a Garbatella la sinistra è da sempre egemone, e nel Pci-Pds-Ds è egemone la sinistra. Già nel '66 nei locali dedicati ai partigiani Francesco e Giuseppe Cinelli (uccisi dai nazisti alle Fosse ardeatine), si respirava aria ingraiana. Dopo la svolta di Occhetto fu molto forte la componente che scelse di fondare Rifondazione, conquistando un piano della Villetta. Quartiere popolare, struttura architettonica fascista di pregio nata per garantire al regime il controllo sociale e diventata una fucina del dissenso sociale e politico romano. La Villetta è un punto di riferimento per un quartiere vissuto da operai, impiegati, pensionati e giovani coppie, in cui sono attivi anche il Prc, il centro sociale La strada («con loro mai litigato né fatto iniziative insieme, salvo la dovuta solidarietà in caso di provocazioni fasciste»), una sede dello Sdi. Le iniziative non mancano, dal Festival jazz al Festival dei popoli, alle Feste dell'Unità a cui forse si affiancheranno le Feste di Aprile. Ora Sd sta tentando di costruire un coordinamento nel quartiere tra le forze di sinistra «su casa, salute, welfare», sapendo che «la spinta unitaria è più forte nella base che nei gruppi dirigenti».
«Non abbiamo vinto puntando sul ricordo del passato, una memoria che pure conta: il motore di Sd non è la nostalgia ma la politica, punti di vista precisi sulla questione sociale, la precarietà, il rifiuto della guerra, la laicità», dice Natale. Laicità? «Vai a spiegarlo ai compagni che non hanno mai visto di buon occhio il rapporto Dc-Pci che il futuro è nel Pd con i post-democristiani». Qui tutti pensano che alla prossima scadenza elettorale, le provinciali romane, «la sinistra dovrà presentarsi unita». Per sinistra si intende la sinistra, naturalmente non si parla del Partito democratico che «per una citazione di Togliatti ne fa cinque di De Gasperi«. Alla Garbatella, se sull'Afghanistan si facesse un referendum tra i 123 iscritti della Mussi («Fabio è iscritto da noi»), «si schierebbero tutti per il ritiro».
Anche a Testaccio sventola da sempre la bandiera rossa, affiancata da quella giallorossa della Roma. «Difficile dire chi vincerebbe il referendum sull'Afghanistan, forse finirebbe 50 a 50», dice il consigliere comunale Roberto Giulioli. Paolo «lo splendido sessantenne» sottolinea i rischi di una «fuga da Kabul», Vincenzo il giovane segretario teme «la vendetta dei talebani sulle donne», gli altri compagni e compagne che mi ricevono in sezione scuotono la testa, poco convinti di tutti quei se e quei ma. Più del 60% dei testaccini vota «ancora» a sinistra, il 40% sceglieva i Ds. In questa sezione che comprende anche Aventino e San Sabba, la Mussi ha raccolto il 59%, Angius il 6% e Fassino s'è fermato al 35%. Il quartiere ha subìto una trasformazione radicale, una sorta di rivoluzione che rischia di farne un'area snob della capitale: pub, ristoranti, soprattutto discoteche «che fanno casino fino alle 6 del mattino e la gente non ne può più, la notte non si dorme e non si circola, sembra di essere in via Condotti il sabato pomeriggio». Evi sta preparando un questionario per addentare questa contraddizione e rivendica l'autogoverno del territorio, contro l'accerchiamento del Monte dei cocci. Il 60% dei testaccini vive ancora nelle case ex Iacp, la popolazione sta invecchiando. I militanti di Sd vogliono mettere il becco su tutto e difendono la vivibilità e la composizione sociale del quartiere, in cui convivono tradizione e presunta modernità. I «cavallari» con le stalle e le carrozzelle che di giorno «spupazzano» i turisti tra i Fori e piazza del Popolo vivono accanto all'area in ristrutturazione del vecchio mattatoio dove finirà un pezzo di Università, le Belle arti e quant'altro, «altre 25 mila persone che pendoleranno sul Testaccio, un incubo».
Mentre discutiamo con i e le militanti di Sd nell'ala sinistra della sezione, un sottile muro ci divide dalla riunione dei Ds, anzi dei non più Ds e non ancora Pd. Qui, come al Trionfale, le sedi saranno divise in due («Potevamo forse buttar fuori quel 35% di compagni fassiniani?», si chiede Giulioli. Lunedì il movimento è stato presentato al quartiere in un'assemblea numerosa e partecipata. «C'è entusiasmo - assicura la consigliera municipale Gabriella Casalini - ci siamo liberati da un incubo. Io vengo dal Pdup, e mi devi credere se ti dico che al tempo dei girotondi eravamo accusati di lavorare contro il partito». «Liberazione, ma anche dispiacere per la rottura E un po' d'incertezza per il futuro», corregge un'altra militante. Stringere i rapporti con il resto della sinistra, «lavorare per presentarci unitariamente alle elezioni, ma sapendo che noi abbiamo una cultura di governo, gli altri meno», sostiene Paolo che non nasconde le sue origini «extraparlamentari» ma contesta l'idea che «noi saremmo la tradizione e i fassiniani la modernità». Tutti pensano che il patrimonio culturale cresciuto nel quartiere vada salvaguardato e valorizzato, fermando «i tentativi di trasformare il Testaccio in un parco divertimenti che mettono a rischio la convivenza civile». Qui c'è la prestigiosa Scuola popolare di musica di Giovanna Marini, ma c'è anche un tessuto artigiano «che è una risorsa, non un residuo». I rapporti con il governo? «Lealtà e senso di responsabilità, lo sfascio non serve ma ci sono dei limiti, oltre i quali è importante riconquistare un'autonomia politica», dice Gilioli. «Non si può andare avanti all'infinito agitando lo spauracchio Berlusconi». Il segretario rivendica una continuità con le lotte contro la guerra e le basi americane. Nel volantone colorato che tappezza il tavolo della sezione sono elencate le priorità di Sd: «Lotta alla precarietà; pari opportunità; difesa dell'ambiente; laicità dello stato; etica della politica; pace». «Ci sono gli apparati anche tra noi, ma è più forte la spinta unitaria. Chi aveva come priorità la difesa di un posto, di uno status, ha scelto di trasmigrare con Fassino nel Pd», dice Roberto. Ma è inutile negarlo, anche il Testaccio sta cambiando, nella composizione sociale e nella testa della gente. Mentre mi salutano, i testaccini di Sd, vogliono che appunti sul quaderno un ultimo pensiero collettivo: «Sarebbe bello trasformare questa nostra sede in una Casa comune della sinistra». Fuori, il sole è tramontato, il traffico aumenta e le discoteche si preparano ad accogliere il popolo della notte.
Percentuali bulgare per Mussi
Anche la sezione del Tufello ha una storia ingraiana, massicciamente schierata nel '90 contro la svolta di Occhetto. Le mozioni Mussi e Angius hanno raccolto addirittura l'81% e il 5%. Operai, qualche delegato sindacale, molti edili, pensionati, impiegati, insomma popolo: venerdì scorso hanno partecipato in tanti all'assemblea di presentazione di Sd nel territorio, «abbiamo dovuto mettere le trombe fuori perché la gente non entrava tutta in sala», dice con una punta d'orgoglio il segretario, Fabrizio. Nessuno mette in dubbio la destinazione futura della sede: «anche volendo, i fassiniani non potrebbero tenerla aperta». Nel quartiere operano anche il Prc, lo Sdi, il centro sociale Astra, la Sinistra rosso-verde nata da una fuoriuscita dal Pdci. «Stiamo creando le condizioni per aprire una Casa comune di tutta la sinistra». Il Tufello è accerchiato da speculazioni edilizie e ipermercati, anche qui il controllo del territorio è al vertice dell'iniziativa di Sd.
La Cgil romana non ha una particolare tradizione di sinistra. Eppure, molti quadri e dirigenti hanno sostenuto con convinzione le posizioni di Mussi. A partire dal segretario regionale del Lazio Walter Schiavella che insiste sul carattere personale delle scelte, perché «la Cgil deve restare autonoma». Perché Sd? «Perché non si sente l'esigenza di un altro partito più vicino all'impresa che ai lavoratori. Se è vero che viviamo in una società complessa, le ricette semplici hanno le gambe corte». Tiene a precisare: «Sto con Sd, ma a condizione che lavori a produrre unità e non nuova frammentazione a sinistra». Lavoro e precarietà, casa e servizi, «in una città dove con la modernità crescono aree di marginalità». Una ricetta per invertire la tendenza: «La partecipazione». (2-continua)

il manifesto 25.5.07
Per Giulia Rodano, assessore alla cultura del Lazio, i valori del «rodanismo» trovano spazio nella Sd
«Un movimento per unire la sinistra»
di Lo. C.


Giulia Rodano è assessore alla cultura della Regione Lazio. Le è toccato in sorte un cognome impegnativo: il padre Franco è nella storia dell'antifascismo romano, nel '43 fondò il movimento dei comunisti cattolici, mentre la moglie Maria Lisa Cinciari ne era responsabile del gruppo femminile. Con Ossicini e Tatò diede vita al Partito della sinistra cristiana guadagnandosi, nel '45, la scomunica ad personam di Pio XII. Poi il Pci, dove Franco svolse un ruolo importante di confronto e raccordo tra comunismo e cattolicesimo. Ha avuto un rapporto stretto con Togliatti, poi con Berlinguer come «architetto» del compromesso storico. Il rodanismo è stata una componente originale della sinistra romana.
Quanto pesa nel nuovo movimento l'anima partitista?
Sinistra democratica nasce programmaticamente non per fare l'ennesimo partitino ma per essere forza «coalizionale». L'obiettivo è la riunificazione della sinistra, restituendole dignità e diritto di parola. Per dire che il re è nudo, cosa che in epoca di pensiero unico non si dice più. Che sono sbagliate molte privatizzazioni e lo è il metodo adottato per realizzarle. Che serve un'autonomia della politica...
Dalla società è talmente autonoma da non vederla più.
Naturalmente intendo autonomia dall'economia. Io credo nell'intervento pubblico, perché serve un potere democratico che governi il mercato. Va cambiato il cammino imboccato dall'Unione europea che oggi è solo politica monetaria e Bolkestein, con un'iniezione di politica economica e di politica sociale. Per tornare in Italia, come Sd abbiamo a cuore lo scandalo dei costi della politica che hanno qualcosa a che fare con la caduta della partecipazione popolare e democratica: prima che una questione morale, come direbbe Berlinguer è una questione democratica.
Coalizionali, ma per non perdere tempo avete già le tessere.
Per svolgere una funzione politica dobbiamo costituire dei gruppi nelle istituzioni, anche per essere un punto di riferimento per chi vuol tornare a fare politica, e sono tanti. I rischi di apparato esistono, come forma di resistenza, ma possono essere sconfitti. A Roma il congresso è andato bene perché c'è un elettorato d'opinione di sinistra, non solo scontenti e apparato. Così come non credo in un nuovo partitino, non credo nelle fusioni fredde tra gruppi dirigenti delle forze esistenti. Credo invece che dovremo arrivare a una presentazione unitaria già alla prossima tornata elettorale. In Regione abbiamo costituito un coordinamento tra le forze di sinistra, ci vediamo settimanalmente per definire gli interventi comuni.
Esiste ancora il «rodanismo»?
E' una domanda difficile. Certo non esiste una corrente rodaniana in Sd, dove però vivono molte idee di mio padre, certamente più che nel Pd. L'eredità più importante è una concezione profondamente laica della politica.
La laicità dei catto-comunisti?
Certamente, a partire dalla consapevolezza che «il Regno non è di questo mondo». Un'altra eredità consiste nella convinzione che il mercato va governato, perciò serve un'autonomia della politica. Infine, se posso citare un libro di mio padre («Lezioni di storia possibile», ndr), pensiamo che è sempre possibile un'altra storia ed è nelle mani degli uomini e delle donne.

giovedì 24 maggio 2007

l’Unità 24.5.07
Da oggi a Firenze la conferenza sulla famiglia
Dopo il Family day parte l’attacco alla legge sull’aborto
di Maria Zegarelli


A Roma in Piazza San Giovanni la spallata ai Dico, a Firenze dove oggi si apre la Conferenza della Famiglia, l’attacco alla legge 194. D’altronde Savino Pezzotta lo aveva detto: «Il Forum delle Famiglie si farà sentire». Alla Conferenza della Famiglia che si concluderà sabato le famiglie cattoliche arrivano con una proposta di legge che sa di provocazione: 34 articoli per dare il via, di fatto, alla riforma della legge 194. Esclusione delle procedure per l’interruzione volontaria di gravidanza dalle competenze dei consultori, aiuti economici (fino ai cinque anni di età del figlio) per le donne che rinunciano ad abortire e una lettera del medico di base inviata a casa in cui si ricorda alla donna «il dovere morale di collaborare nel tentativo di superare le difficoltà che l’hanno indotta a chiedere l’Ivg».
Savino Pezzotta aveva avvertito. Il Forum delle Famiglie si farà sentire. Promessa mantenuta. Alla Conferenza della Famiglia che parte oggi a Firenze e si concluderà sabato le famiglie cattoliche arrivano con una proposta di legge che sa di provocazione: 34 articoli per dare il via, di fatto, alla riforma della legge 194. Esclusione delle procedure per l’interruzione volontaria di gravidanza dalle competenze dei consultori, aiuti economici (fino ai cinque anni di età del figlio) per le donne che rinunciano ad abortire e una lettera del medico di base inviata a casa in cui si ricorda alla donna «il dovere morale di collaborare nel tentativo di superare le difficoltà che l’hanno indotta a chiedere l’Ivg». E questa sarà la posizione ufficiale delle gerrachie alla Conferenza, visto che monsignor Betori ha indicato proprio nel Forum l’organismo «che esprime il sentire del mondo cattolico sulle problematiche della famiglia». E questo il primo risultato post-Family Day. Dopo i Dico, la legge 194. Secondo il Forum i consultori dovrebbero occuparsi di assistenza sociale e psicologica alle persone in difficoltà, con lo scopo ultimo di salvaguardare l’unico modello di famiglia che riconoscono. Avvalendosi anche degli oratori. Un’altra «grana» che scende sull’iniziativa voluta dal ministro Rosy Bindi e che ha già creato aspre polemiche e molte defezioni per la scelta del ministro di non invitare soltanto le associazioni di coppie di fatto etero e omosessuali ad una tre giorni intensa dove sono iscritte duemila persone. Da Firenze tutti - dalla politica alle associazioni - si aspettano un piano di politiche per le famiglie.
Oggi arriverà il Capo dello Stato Giorgio Napolitano e sabato quello del Consiglio Romano Prodi. Grandi numeri, grandi obiettivi, molte assenze. A confronto nove ministri del governo, partiti, sindacati, associazioni e enti locali. Non ci saranno, Paolo Ferrero; la sinistra, «perché la decisione di non invitare le famiglie di fatto è, oltre che profondamente errata, una discriminazione che impedisce alla Conferenza di rappresentare davvero un luogo di confronto tra opinioni diverse», come scrivono in una nota i capigruppo del Senato di Sd, Prc, Verdi, Prc, Rnp e Pdci. «Mi dispiace che alla Conferenza sia stato escluso qualcuno - dice la ministra Barbara Pollastrini -. Rimango convinta che investire sulla famiglia significhi, innanzitutto, investire sui diritti di cittadinanza delle persone. Per questo non c’è contraddizione tra sostegno alle famiglie e allargamento di diritti e doveri di tutti i cittadini». Fiorenza Bassoli, responsabile welfare ds, dice che su quoziente familiare e interventi sull’Ici, la posizione del partito è quella di una «condivisione dello spirito del quoziente familiare, purché si lavori sul metodo da seguire nel proporlo».

Corriere della Sera 24.5.07
Da Fassino alla Sereni, nei Ds corsa al dialogo con la Chiesa
di Fabrizio Roncone


Le aperture del segretario sui Dico, la Turco che difende Bagnasco. Carra: leggendo certe parole non si crede a chi le ha dette

Di fronte agli attacchi della Cei, il leader del partito ha invitato Santoro alla prudenza sui preti pedofili

ROMA — C'è, sembra di capire, una specie di deriva verso il mondo cattolico. «C'è che alcuni titoli di giornale — dice Enzo Carra, ex democristiano di lungo corso, portavoce di Arnaldo Forlani e adesso teodem: uno che ammette di avere Francesco Rutelli come leader politico e papa Ratzinger come guida spirituale — ecco c'è che devi davvero leggerteli due volte prima di capire chi abbia fatto certe dichiarazioni». Perché, cos'è che non si capisce? «Chi è che parla». La deriva. «Diciamo una corsa a posizionarsi. Così magari ti ritrovi con una ex comunista molto complimentosa con un alto prelato...».
Fuori dalla metafora: l'altro giorno c'è stata la Livia Turco, ex comunista di stretta osservanza dalemiana e combattivo ministro della Sanità, che ha chiaramente espresso parole di elogio per l'arcivescovo Angelo Bagnasco. Il quale, appena lo scorso 26 marzo, disse: «I Dico? Sono inaccettabili. Anzi, sono pericolosi». Disse proprio così, il presidente della Cei, e però meno di quaranta giorni dopo ti ritrovi la Turco che addirittura rilancia: «Sono favorevole al dialogo con questa Chiesa. È vicina ai bisogni della società. E poi il presidente della Cei non è vero che alza steccati, non si schiera come in una lotta tra bene e male...».
Raccontano che qualcuno, nella Quercia che stanno cominciando a segare in vista del nuovo Partito democratico, abbia commentato: «Ma se arriviamo a dire certe cose, allora tanto valeva andare in piazza San Giovanni, al Family Day». Ecco, perché poi comincia ad esserci anche questo rimpianto. Perché la festa dei cattolici è stata grande e c'è chi aveva consigliato, diciamo così, di presentarsi. Come Anna Serafini, deputata e moglie di Piero Fassino. Lei l'aveva detto: «Se avessi il dono dell'ubiquità andrei sia dai cattolici a piazza San Giovanni, sia dai laici, a piazza Navona».
Esplicita. Non a caso, quelli che nel Pd non entreranno, scuotevano la testa. Franco Grillini: «È uno scherzo, vero?». E Gloria Buffo: «Adesso avrete capito, spero, che aria tira nella sinistra che va a fondare questo Pd...». Tira un'aria che scuote le tende di velluto rosso della Santa Sede. Sentite Piero Fassino: «Io direi che alla fine non è il caso di impiccarsi alla formula "o Dico o morte"». Insomma, dopo settimane di battaglie a Montecitorio, frenata secca e cambio di strategia: linea morbida. Con gran soddisfazione della Cei che così, giorno dopo giorno, vede lentamente finire il riconoscimento dei diritti per gli omosessuali sul più morto dei binari parlamentari.
Ma non basta. Perché sfogliando la raccolta dei giornali, ci si imbatte in un'altra uscita dello stesso Fassino. Ieri l'altro. Nel bel mezzo delle polemiche che infuriano su Michele Santoro e sui suoi piani, che prevedono la messa in onda, nel corso di Annozero, Raidue, di «Sex crimes and the Vatican», un duro filmato sui preti pedofili che sarebbero stati protetti dal Vaticano e da Joseph Ratzinger, nei mesi in cui era ancora solo un cardinale, ecco che il segretario dei Ds interviene con una sorta di monito: «L'argomento richiede equilibrio e prudenza».
Insomma, le parole sono queste. Magari pesa un sondaggio come quello commissionato dal Botteghino alla Swg, e pubblicato dal Messaggero, che produce un risultato sorprendente: nei Ds, il 70% dei militanti sarebbe cattolico. Ma poi dev'esserci proprio una strategia. Per dire: oggi, a Firenze, si apre la Conferenza nazionale della famiglia e, come si sa, il ministro Bindi non ha invitato le associazioni dei gay. Quando questa decisione divenne pubblica, era il 7 maggio scorso, scoppiò una baruffa polemica. Parlamentari di Rifondazione e del Pdci increduli. Il verde Paolo Cento che sudava nervoso. La Rosy Bindi che stava lì, nel suo ufficio, convinta di ritrovarsi in trincea da sola e invece, pian piano, eccole arrivare i primi attestati di solidarietà. Da dove? Ma da sinistra, naturalmente. Prima Marina Sereni, vicecapogruppo alla Camera dell'Ulivo: «È giusto che Rosy non abbia fatto certi inviti». E poi Maurizio Migliavacca, coordinatore Ds: «Il ragionamento di Rosy ha una sua logica...».
Strappi che diventano comprensibili, moderazione, con la Chiesa non si polemizza più. Con la Chiesa, una certa sinistra, dialoga. Ma in questo, non casualmente, c'è Walter Veltroni che sta qualche stagione avanti. Il 16 novembre del 1994, presentò personalmente a Giovanni Paolo II, in Vaticano, una copia dei sei volumi del Nuovo Testamento che il quotidiano l'Unità, di cui era direttore, avrebbe distribuito ai lettori. L'altro ieri, il sindaco di Roma era invece a Bergamo, con Savino Pezzotta, l'organizzatore del Family Day. Entrambi invitati a un convegno. Su don Primo Mazzolari.

Corriere della Sera 24.5.07
Religioni e pace
Le fedi e la lotta per il potere
di Emanuele Severino


Giganteschi i problemi da affrontare perché la pace regni nel mondo. Ben più complessi quelli per capire che cosa sia la pace. A questo punto l'uomo «pratico» smette di leggere: vuole proposte «concrete», qui, ora. Tuttavia il mondo se ne va per la sua strada: in nessun luogo il «concreto» può prescindere ormai da quanto accade sull'intero Pianeta e da quanto accadrà in un futuro anche non prossimo. Eventi come la globalizzazione economico-tecnologica, la disponibilità delle energie, lo «sviluppo sostenibile» sono irriducibili alla logica del qui, ora. Inoltre la pace è intesa in modi contrastanti. La pace della democrazia o del capitalismo non è quella del cristianesimo o dell'islam. Quale scegliere? E come scegliere se non si sa che cos'è la pace? D'altra parte, quale forma di sapere potrà dircelo? Nel convegno «Dialogo interculturale: una sfida per la pace», che si è tenuto presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma il 3 e 4 maggio scorsi, prendendo la parola dopo l'intervento di Seyyed Mohammad Khatami, ex presidente dell'Iran, ho rilevato che ormai sulla terra ogni sapere e ogni conoscenza sono divenuti una fede.
Mi soffermerò ora su questo tema, tralasciando gli altri della mia relazione; ma si può dire subito che, allora, ci troviamo nella condizione in cui soltanto una fede potrà dirci che cosa è la pace.
Ma, si dirà, e la scienza? La scienza è fede?! Sì. Per avere potenza sul mondo, la scienza ha rinunciato da tempo ad essere «verità», nel senso attribuito a questa parola dalla tradizione filosofica. La scienza è divenuta sapere ipotetico. Sa di non essere sapere assoluto («verità», appunto) - e in questo senso non è fede ma dubbio -; tuttavia per aver potenza sul mondo deve aver fede nella propria capacità di trasformarlo; ed è all'interno di questa fede che essa elabora, risolve o conferma i propri dubbi. La distinzione tra scienza e tecnica appartiene al passato, quando la scienza credeva di conoscere la «verità», e considerava la tecnica come «applicazione di essa».
Certo, la fede scientifica è diversa dalla fede religiosa, dalla fede in cui anche l'arte consiste, ed è diversa anche dalla fede nella quale in effetti consiste la «verità» a cui si rivolge la tradizione filosofica. Diversissime la complessità, coerenza, potenza, consapevolezza di sé delle varie fedi; ma ogni fede è la volontà che il mondo abbia un certo senso piuttosto che altri, o che gli si debba dare un certo ordinamento piuttosto che altri. Proprio perché ha questo carattere, ogni fede è irrimediabilmente in conflitto con ogni altra. Vuole imporsi su ogni altra, a costo di distruggerla. Afferma che il mondo è in un certo modo, non perché appaia l'impossibilità che esso sia altrimenti, ma perché, da ultimo vuole che esso sia in quel modo. Nell'apparire di quella impossibilità consiste invece la «verità» a cui si era rivolta la tradizione filosofica.
Ma se la fede è questa volontà (anzi, la fede è la volontà stessa) e se tale volontà è una molteplicità di volontà contrapposte, allora la radice di ogni conflitto è l'esistenza stessa della fede. Senza fede non si può vivere, si ripete. Sì, ma questo vuol dire che la vita è nelle mani del conflitto, della guerra, della violenza. La volontà è guidata dalla conoscenza, si ripete, anche la volontà di pace. Sì, ma se oggi ogni conoscenza mostra di essere una fede (e, certo, si deve capire perché questo evento decisivo si sia prodotto), allora volere la pace facendosi guidare dalla fede significa volere la pace collocandosi sin dal principio nella dimensione della guerra. E ottenere la pace sulla base dalla fede significa aver fede - soltanto fede - di averla ottenuta. Sarà il «dialogo» - si ripete - a risolvere il problema della pace. Ma il dialogo può solo condurre a scoprire una base comune a certe sedi. Ad esempio, cristianesimo e islam hanno in comune la Bibbia e la filosofia greca. Ma ciò che è specifico di una fede è anche ciò in cui essa più si riconosce ed è quindi per essa irrinunciabile. Dialogando tra loro, eppur scoprendo quanto hanno in comune, le fedi non possono rinunciare alla propria specificità. Rinuncerebbero a se stesse. Ma allora è inevitabile che alla fine, soprattutto quando vogliono che non una parte del mondo, ma il mondo intero abbia un certo senso piuttosto che un altro, esse si scontrino non solo sul piano del dialogo, ma anche su quello dell'agire effettivo dei popoli e che prevalga la fede più potente.
Ho più volte indicato i motivi per i quali la tecnica, adeguatamente intesa, è la fede più potente. Le fedi si combattono, ma per vincere debbono affidarsi alla potenza maggiore oggi esistente sulla Terra: la tecnica, appunto. E affidandosi alla tecnica ne riconoscono più o meno esplicitamente la primazia. In quanto voluta dalla fede più potente, la pax technica è la forma più potente della conflittualità.
Si sono mostrati alcuni degli ostacoli a cui va incontro ogni volontà di pace. Ma intanto, si dirà, qualcosa si deve pur fare per la pace! È, questo, il discorso che sempre è stato fatto. Non ha mai impedito i massacri e la violenza che accompagnano ogni momento della storia.

Corriere della Sera 24.5.07
La «cosa rossa»
La sinistra gioca d'anticipo e lancia le sue «primarie» sull'economia
di Maria Teresa Meli


ROMA — Rifondazione comunista sembra avere le idee ben chiare sul futuro della sinistra dopo la nascita del Partito democratico. Bertinotti lo ha scritto nell'editoriale della nuova rivista di cui è direttore: è necessario dare vita «in tempi relativamente brevi» a «un nuovo soggetto politico». Franco Giordano, che del Prc è il segretario, si sta ingegnando per costruire il percorso che dovrà condurre a questo obiettivo. Intanto, anche la sinistra avrà le sue primarie: una consultazione che si terrà dall'ultima domenica d'agosto sino alla fine di settembre nei gazebo, nelle feste di Rifondazione come in quelle del Pdci, dei Verdi e della Sinistra democratica.
Una consultazione non sui nomi e cognomi, come quella della Costituente del Pd. Ma sulle cose. Bisognerà rispondere a un questionario con dieci domande, quasi tutte incentrate sulle questioni economiche e sociali. In parole povere, il popolo della sinistra (anche in questo caso, come per le primarie del Partito democratico si prevede che si arriverà a un milione di votanti) dirà quale dovrà essere la Finanziaria che verrà. E con questi risultati in mano Giordano si presenterà da Romano Prodi. Una mossa che contrasta, mediaticamente, le primarie del Pd, e non solo. Perché di fronte al risultato delle consultazioni della sinistra sarà difficile per il Partito democratico emarginare la sinistra nelle scelte di politica economica.
Ovviamente, nel questionario sarà contenuta anche una domanda su come l'elettore della sinistra si immagina il futuro soggetto politico di cui parla Bertinotti. E questo è un modo per superare le difficoltà che attraversano l'arcipelago composto da Prc, Pdci, Verdi e Sinistra democratica. Difficoltà che sono già emerse con la convocazione, da parte di Giordano, di un incontro dei dirigenti di questi partiti per «decidere un'agenda sociale» e sottoscrivere una sorta di patto «d'unità d'azione». La data proposta da Giordano era quella del 30 maggio, ma i transfughi dei Ds per quel giorno hanno promosso un'assemblea dei loro parlamentari. Perciò hanno proposto un rinvio. L'appuntamento, quindi, è per il 31. Ma non è solo una questione di date. La Sinistra democratica ha chiesto che all'incontro partecipi anche lo Sdi. Richiesta difficile da soddisfare visto che all'ordine del giorno dell'incontro ci sono le pensioni, il contratto del pubblico impiego e il Dpef. Temi, questi, su cui difficilmente Enrico Boselli può andare d'accordo con Giordano, Diliberto, o con lo stesso Mussi. Perché allora gli scissionisti della Quercia hanno avanzato questa proposta? Per non spaccarsi, visto che al loro interno sono divisi tra chi strizza l'occhio ai socialisti e chi immagina invece un futuro con Rifondazione e compagni.
Nelle trattative di questi giorni, il Prc ha spiegato che un allargamento del genere non si può fare.
Nonostante le ritrosie e i problemi, i transfughi della Quercia alla fine hanno accettato l'appuntamento del 31 anche perché la Cgil è favorevole a questa novità. «Almeno - è il ragionamento che viene fatto nel sindacato di Guglielmo Epifani - vi saranno delle forze che sostengono le nostre ragioni e le nostre proposte». Ma Giordano non intende fermarsi qui. Pensa a una nuova iniziativa, verso metà giugno, in cui i leader della sinistra tutti insieme firmeranno solennemente un patto d'unità d'azione. Certo, il cammino è lungo e l'obiettivo bertinottiano di archiviare il comunismo per il socialismo non è facile da raggiungere. Storicamente, per la sinistra è più facile dividersi che unirsi. Lo dimostra anche la decisione della Sinistra democratica di costruire (nonostante le smentite ufficiali) un partito in proprio, tant'è vero che sono già state stampate centocinquantamila tessere della Sd. Ma come ha spesso ripetuto in queste settimane il capogruppo di Rifondazione al Senato Giovanni Russo Spena «o si arriva insieme alle europee oppure si resterà divisi per sempre». Dunque, è una prova difficile, quella che attende la sinistra. Agevolata, però, dal complicato e travagliato parto del Pd...

l’Unità 24.5.07
«Ecco il cervello del Ventunesimo secolo»
di Alessandro Delfanti


NEUROSCIENZE E SOCIETÀ Nuove tecniche diagnostiche, nuovi farmaci: è la rivoluzione in corso. Ma agire sulla mente quali vantaggi e quali rischi comporta? Parla lo studioso Steven Rose

Steven Rose, biologo, dirige il gruppo di ricerca sul cervello e il comportamento della Open University, in Inghilterra. Ma alla carriera di ricercatore ha da anni affiancato un lavoro culturale, ritagliandosi un ruolo di critico della visione strettamente deterministica della natura e del comportamento dell’essere umano. Quella, per intenderci, che fa sì che i giornali possano titolare «trovato il gene dell’omosessualità». Per Steven Rose, in particolare, il cervello (la struttura più complessa tra quelle prodotte dall’evoluzione) deve essere studiato usando strumenti più ampi di quelli che le moderne neuroscienze hanno a disposizione. Anche se la frontiera della conoscenza scientifica del cervello si sta rapidamente spostando verso risultati sbalorditivi: nel suo ultimo libro, Il cervello del ventunesimo secolo, Rose si è dedicato proprio alle conseguenze dello sviluppo delle neuroscienze e delle tecnologie di intervento sul cervello umano. Conquiste importanti ma delicate, nel momento in cui la possibilità di manipolare una mente umana si fa sempre più reale.
Professor Rose, scienza e tecnologia stanno esplorando sempre più a fondo il nostro cervello. La scienza svelerà i misteri della mente?
«Non credo che le neuroscienze, da sole, saranno sufficienti per comprendere la mente e interrogarsi sulla questione della coscienza. Ad esse dovranno affiancarsi altri modi di indagare questi problemi, come la filosofia, le scienze sociali o la letteratura. Quello che la scienza può spiegare sono i meccanismi di funzionamento del cervello. Ma la complessità della mente è troppo vasta per poter essere ridotta alle sue componenti di base, che non possono rendere conto degli esseri umani, della loro capacità di agire, della loro socialità e delle loro emozioni».
Ma oggi noi disponiamo di strumenti per cambiare il cervello e adattarlo alle nostre vite e al nostro ambiente: i farmaci, per esempio. Ciò influirà anche sul nostro sviluppo culturale?
«Certo, ci stiamo dirigendo verso una cultura nella quale potremo modificare in modo intenzionale la nostra mente, tramite farmaci o in altre forme. La farmacologia influirà sul nostro modo di pensare in modo sempre più complesso, con effetti nemmeno paragonabili a ciò che ha fatto, per esempio, l’alcool nella cultura occidentale. Per questo credo che la cosa più interessante sia indagare le possibili ripercussioni sociali. In particolare c’è un secondo problema, alla cui nascita stiamo già assistendo, che è quello del maggior controllo sociale. Alcune forme di comportamento stanno diventando problemi di tipo medico, basti pensare all’esempio dell’uso di psicofarmaci usati per controllare il comportamento dei bambini a scuola. Sto pensando anche al problema del Ritalin, usato per curare patologie di recente invenzione come la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd)».
Quindi non è una questione soltanto medica?
«Questi cambiamenti stanno comprimendo le nostre possibilità di adottare certi comportamenti all’interno delle nostre società. Per questo io credo che ci stiamo avviando verso l’“era del controllo”, in particolare dopo l’11 settembre. Un esempio è l’uso del brain imaging, le tecniche di visualizzazione dell’attività elettrica del cervello, in campo giudiziario o per identificare potenziali terroristi, come è stato proposto recentemente negli Usa. Un buon esempio può essere quello di Darpa, l’agenzia di ricerca del Pentagono, che ha diversi progetti diretti a scoprire se sia possibile modificare i comportamenti umani tramite tecniche di stimolazione cerebrale. Lo sviluppo delle neuroscienze solleva problemi complessi, che comprendono la sfida a comprendere cosa significhi essere umani, la possibilità di capire meglio il funzionamento del cervello e lo sviluppo di nuove cure per alcune patologie. Al contempo, però, c’è il grande problema di dare ai cittadini la possibilità di controllare e dirigere queste nuove tecnologie...».
Un problema di tipo etico?
«Certamente: la neurotica (la disciplina che studia le questioni etiche legate alla mente e alle neuroscienze), infatti, ha sollevato diverse preoccupazioni riguardo a questi temi. L’uso di farmaci per migliorare la nostra intelligenza e le nostre performance, ma anche il rischio del controllo sociale grazie a nuovi mezzi farmacologici e tecnologici sono questioni da indagare anche dal punto di vista etico. Credo, tuttavia, che il problema più urgente sia quello di mettere nelle mani cittadini il cammino della scienza e lo sviluppo delle nuove tecnologie: un percorso che comincia con il dialogo e l’informazione».

Corriere della Sera 24.5.07
A Genova vengono messe in discussione le tesi del teorico considerato il padre della moderna semantica
Davidson, ecco la ragione che regola le azioni
Il filosofo che ha scoperto il nesso tra lingua e comportamenti
di Massimo Piattelli Palmarini


Si ribellò a Willard Quine che bollava le idee come «creature delle tenebre» e alla scuola comportamentista

Nato il 6 Marzo 1917 a Springfield Massachusetts, laureatosi a Harvard nel 1939, professore a Stanford per quindici anni, poi a Princeton, a Chicago e infine a Berkeley (dal 1981 alla sua morte, il 30 Agosto 2003) Donald Davidson occupa un posto del tutto speciale nel firmamento delle star filosofiche anglosassoni del Novecento. Molti di coloro che oggi si occupano della sintassi e della semantica del linguaggio quotidiano si proclamano neo-davidsoniani. A differenza, infatti, dell'altro grande filosofo americano, il celeberrimo Willard V. Quine, che pure fu uno dei suoi principali ispiratori e mentori, Davidson presto voltò le spalle alle tesi dette comportamentiste, secondo le quali si può fare vera scienza solo studiando i comportamenti e le propensioni a comportarsi in un modo, piuttosto che in un altro, quando le circostanze esterne lo impongono.
Quine aveva bollato idee, pensieri, significati e rappresentazioni mentali come «creature delle tenebre», stabilendo una netta equivalenza tra ciò che è pubblico, manifesto, praticamente utile e ciò che è razionale. Per i moderni psicologi cognitivi e per gli studiosi delle strutture linguistiche profonde Quine è un rispettato avversario da confutare, mentre Davidson è un saggio zio da aggiornare. Andando contro la corrente allora dominante nella filosofia anglosassone, fino dai primi anni Sessanta, Davidson rivendicò il posto prominente delle ragioni come cause dei comportamenti.
Un suo motto famoso e allora dissacratore fu: «Una ragione fondamentale per un'azione è la causa di tale azione». Mi accorgo che sul mio conto in banca è stato erroneamente versato un milione di euro. Mi farebbe gran comodo, ma avverto subito la banca dell'errore. Perché? Forse perché temo le conseguenze legali di un mio silenzio, forse perché preferisco non fare una figuraccia stando zitto, o forse perché, molto semplicemente, giudico che sia la cosa giusta da fare. Il comportamentismo sarebbe andato a nozze con la prima spiegazione, avrebbe un po' titubato con la seconda, ma non avrebbe potuto dare cittadinanza scientifica alla terza. In uno dei suoi lavori più famosi, intitolato, non a caso, Azioni, ragioni e cause Davidson rivendica, appunto, la perfetta legittimità scientifica e filosofica di una spiegazione dei comportamenti basata sulle ragioni. Anzi, in una serratissima argomentazione, sostiene che, quando c'è una ragione ed essa è trasparente a chi agisce, è proprio lei la causa fondamentale che spiega l'azione.
Un'altra perla davidsoniana dimostra che non sono solo i matematici, i fisici, i chimici e i biologi a fare scoperte. Anche i filosofi possono, letteralmente, fare scoperte. Prendiamo in prestito dal neo-davidsoniano Barry Schein (MIT e poi Università della California del Sud, a Los Angeles) una semplice frase della lingua corrente, che tutti capiamo senza problema: «Gli alberi diventano più fitti, se ci si inoltra nella foresta». È chiaro che nessun singolo albero diventa «più fitto» ed è altrettanto chiaro che il nostro inoltrarsi non è la causa dell'infittirsi degli alberi. Parrebbe, però, che gli unici oggetti ai quali la frase fa riferimento siano gli alberi, la foresta e noi, che l'unica azione menzionata sia camminare verso il folto, che l'unica proprietà menzionata sia un cambiamento di folto, e poi, e poi, c'è quel maledetto «se». Ebbene, provate e riprovate a combinare secondo la logica pura questi ingredienti in mille modi, ma il significato di quella frase, pur a tutti noi perfettamente ovvio, non viene fuori. Un'altra frase alla Schein-Davidson è la seguente: «Cinque ragazzi hanno mangiato sei pizze». Anche qui, capiamo che la frase si applica a un'infinità di spartizioni delle sei pizze tra i cinque ragazzi. Forse uno ne ha mangiate due e gli altri una a testa, oppure ciascuno ha mangiato un pezzo di ciascuna pizza. Possiamo sbizzarrirci a immaginare altre situazioni consimili, quasi all'infinito. Il logico puro, qui, non sa bene cosa dire.
Materialissimi pezzi di pizza, i cinque materialissimi ragazzi e l'azione manducatoria, anch'essa quanto mai materiale, non bastano a farci cavare le gambe da frasi come queste. Nel 1967 Davidson ebbe un'idea geniale: va bene, anzi è indispensabile, avere come referenti per le espressioni del linguaggio comune pizze, alberi, foreste e ragazzi, va anche bene avere come referenti dei verbi camminate e manducazioni, ma non basta. Bisogna introdurre come componenti elementarissime, come oggetti astratti, ma onnipresenti, atomici, gli eventi. Non si pensi a manifestazioni annunciate da striscioni, in teatri, palasport, a regate o simili. Un evento alla Davidson è cosa molto, molto semplice. L'evento di inoltrarsi nella foresta, per esempio, o di mangiare sei pizze, o l'infittirsi di alberi.
Quando si introducono gli eventi e le relazioni tra eventi, tra eventi e oggetti e tra eventi e azioni, di colpo, spiegare il significato di frasi come quelle appena viste diventa semplicissimo. Molte parole delle lingue correnti, ai quattro angoli della terra, fanno esplicito riferimento a eventi. Avverbi come «frequentemente», «raramente», espressioni come «ogni anno», «alle calende greche» e così via. Ma anche spesso pronomi come «lo» (lo ripete ogni mattina, ho visto che lo faceva). E perfino, come Davidson ci ha mostrato, ogni verbo di azione, che racchiude un posticino al suo interno per uno o più eventi. Il filosofo e linguista James Higginbotham, nel 1985 (allora al MIT), ha infine messo il cacio sui maccheroni, identificando la flessione dei verbi (presente, passato, futuro) come l'operatore sintattico che lega (cioè lo spiedino che infila esattamente) gli eventi davidsoniani nelle frasi. «Ha traversato la Manica in otto ore, lentamente in assoluto, ma rapidissimamente, dato che lo ha fatto a nuoto». Nessuna contraddizione! Niente è sia lento che rapido. C'è un evento di attraversamento della Manica, un evento di nuotata attraverso la Manica, e un evento di otto ore.
Se due di questi eventi sono lo stesso evento (attraversamento e otto ore), allora si ha lentezza, per una traversata. Ma se altri due sono lo stesso evento (la nuotata e l'attraversamento), allora la lentezza non regge più. Se ora li mettiamo tutti insieme (quel rivelatore «lo» e il tempo del verbo, in «lo ha fatto a nuoto»), si ha la combinazione di lentezza e rapidità che la frase veicola, senza alcuna contraddizione. Togliete gli eventi, lasciate solo sponde di mare, bracciate e orologi e diventa impossibile al logico puro espungere una contraddizione inevitabile che è, invece, assente in questa frase. Molti sono i tesori logici e filosofici lasciatici in eredità da Davidson in sessant'anni di operoso e brillante lavoro, ma la scoperta delle ragioni come cause, e degli eventi come atomi elementarissimi del linguaggio, a mio avviso, restano ancora i due suoi più preziosi.

Corriere della Sera 24.5.07
Costato 27 milioni di dollari, sarà il più grande degli Usa. Tre candidati alla Casa Bianca credono a questa teoria
Un super museo anti-Darwin La rivincita del Creazionismo
di Massimo Gaggi


Aprirà sabato, dinosauri animati dal papà di King Kong

NEW YORK — Dinosauri animati dappertutto. Opera di Patrick Marsh, il mago degli effetti speciali degli Universal Studios: le ultime reincarnazioni di King Kong e dello Squalo cinematografico sono opera sua. Ken Ham, il fondatore del nuovo museo del creazionismo che verrà inaugurato alla fine di questa settimana a Petersburg, in Kentucky, osserva soddisfatto le sue creature. E, davanti alle telecamere, commenta: «Sono animali straordinari, che affascinano i bambini. Per anni i dinosauri sono stati usati dagli evoluzionisti per propagandare la loro causa. Ora tocca a noi».
Negli Stati Uniti patria della scienza, ma anche dell'integralismo cristiano che contesta Darwin, il creazionismo (l'ipotesi che attribuisce l'origine dell'umanità all'opera di Dio come è descritta nella Bibbia) ha sempre trovato un terreno fertile: ancora oggi oltre la metà degli americani non crede all'evoluzione, mentre un terzo considera la Genesi non una rappresentazione allegorica della realtà, ma una verità da interpretare alla lettera. Per anni i tentativi dei creazionisti di affiancare all'insegnamento di Darwin quello del cosiddetto «disegno intelligente» hanno portato lo scompiglio nei programmi scolastici di vari Stati conservatori. La controffensiva del mondo scientifico e l'intervento della magistratura in nome della separazione fra Stato e Chiesa, hanno poi, in genere, riportato l'insegnamento della biologia sui binari tradizionali. Ma i creazionisti hanno spesso reagito ritirando i loro figli dalle scuole e moltiplicando libri e luoghi — musei o parchi tematici — dedicati alla loro causa.
Dai grandi dinosauri d'acciaio di Palm Springs in California al Creation Studies Institute di Fort Lauderdale, in Florida, sono ormai una decina i centri dedicati a questa causa. Ma nessuno ha le dimensioni, la raffinatezza tecnologica e la suggestione del museo che verrà inaugurato sabato, nel weekend del «Memorial Day».
La struttura realizzata da Ham ci porta in un mondo che non è vecchio di milioni di anni, come sostiene qualunque scienziato, ma che è stato creato da Dio appena 6000 anni fa. Nei diorami i dinosauri convivono tranquillamente con l'uomo e vengono messi in salvo da Noè sulla sua arca, insieme a tutti gli altri animali. Con un sorriso mascherato a stento, i giornalisti chiedono a Ham come abbia fatto Noè ad evitare una strage di animali ad opera dei tirannosauri, ma il presidente del museo — un 55enne australiano con un filo di barba alla Abramo Lincoln — prende la domanda molto sul serio: «Quesito interessante: prima del peccato originale gli animali non erano feroci. Probabilmente anche dopo i dinosauri hanno continuato per un po' ad essere erbivori».
Mark Looy, il portavoce del museo e di «Answers in Genesis» (Risposte nella Genesi), l'organizzazione evangelica che lo ha realizzato, è un attivista che non vive certamente fuori dal mondo: si rende conto che alcuni aspetti della ricostruzione — come la convivenza di uomini e dinosauri — rischiano di essere controproducenti, visto che lasciano perplessi anche molti cristiani conservatori. «D'altra parte — avverte —, una lettura corretta della Bibbia, i sei giorni della Creazione, porta esattamente a questo. Se rinunciamo ad un'interpretazione ortodossa, tirando la Genesi di qua e di là a seconda delle convenienze, non ci sarà più limite alle forzature».
Un concetto che i creazionisti, furiosi con i cattolici per le loro aperture sul darwinismo, hanno tradotto in un «diorama» destinato a suscitare polemiche: Nel primo quadro due teenager parlano, in chiesa, con un sacerdote che accetta l'evoluzionismo. Nella seconda scena la ragazza, tornata a casa, si mette in contatto con un'organizzazione abortista, mentre il fratello guarda un video porno. Il messaggio degli integralisti è fin troppo chiaro: senza lo scudo di un'interpretazione rigorosa della Bibbia, non c'è modo di difendere i giovani dai mali della società.
«Questa roba è pericolosa per la società più di quanto lo sia il fumo per la salute» commenta Clark Stevens direttore della Campagna per la difesa della Costituzione, un'organizzazione che vuole tutelare il contenuto scientifico dell'istruzione scolastica. Molti gruppi che la pensano nello stesso modo si apprestano a manifestare contro l'apertura del museo, un'opera da 27 milioni di dollari totalmente finanziata da donazioni. Ma molti, anche nel fronte progressista, sono contrari a divieti e ostracismi. Del resto è difficile mettere al bando una visione che, benché respinta dalla scienza, è condivisa da Brownback, Huckabee e Tancredo, tre dei sette candidati repubblicani alla Casa Bianca.

mercoledì 23 maggio 2007

"Alternative per il socialismo", il nuovo bimestrale di cui parlava già l'articolo di Verderami apparso sabato 19 sul Corriere, come si leggeva in un articolo di Barenghi, uscirà venerdì 1 giugno per i tipi degli Editori Riuniti. Fausto Bertinotti ne parlava già in una lettera indirizzata ai compagni della sezione del Prc di Fondi (Latina) datata 1.2.07 (qui), quando sembrava ancora che la rivista sarebbe stata edita dalla "Ponte alle Grazie" di Firenze. La rivista mensile "Problemi del socialismo" - alla quale anche nel titolo essa farà riferimento - fu fondata da Lelio Basso (una scheda biografica qui e un sito a lui dedicato qui) nel 1958, divenne nel 1964 la rivista teorica del Psiup (il partito guidato da Vecchietti, Libertini, Foa, Valori, Lussu e altri che - riprendendo il nome che era stato del partito socialista durante la guerra di liberazione e fino alla Costituente e alla scissione saragattiana del 1947 - nacque nel 1964 da una scissione del Psi al momento dell'ingresso di Nenni al governo insieme alla Dc e del primo centrosinistra e si sciolse nel 1972) e concluse le proprie pubblicazioni nel 1992. Lelio Basso, che morì nel 1978, fu presidente del Psiup dal 1965 al 1968, fino al momento cioé dell'invasione delle truppe del Patto di Varsavia della Cecoslovacchia e membro del Tribunale Russell. La Fondazione Lelio Basso (qui) ha sede in Roma in via della Dogana Vecchia 5, ed è diretta dal prof. Giacomo Marramao.
CRIMINI CATTOLICI, TUTTI I DOCUMENTI:

Elenco dei links:
[i documenti sono scaricabili cliccando sul collegamento con la parte
destra del mouse e scegliendo l'opzione "salva oggetto con nome"].

Video in inglese con sottotitoli in italiano (da Google)
http://video.google.it/videoplay?docid=3237027119714361315

Testo del video in italiano (da Bispensiero, scaricabile)
http://www.bispensiero.it/index.php?option=com_content&task=view&id=201&Item
id=34


Crimen sollicitationis (definizioni da Wikipedia, scaricabile)
http://it.wikipedia.org/wiki/Crimen_sollicitationis

Crimen sollicitationis (dalla CBS, testo in latino, scaricabile)
http://www.cbsnews.com/htdocs/pdf/crimenlatinfull.pdf

Crimen sollicitationis (dalla CBS, traduzione in inglese, scaricabile)
http://www.cbsnews.com/htdocs/pdf/Criminales.pdf

Lettera Ratzinger/Bertone inviata dalla Congregazione per la dottrina della
fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e
gerarchi interessati (18 maggio 2001).
a. Testo originale in latino (dal sito Vaticano, scaricabile)
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20010518_epistula_graviora%20delicta_lt.html
b. Traduzione in italiano (dal sito degli amici di Ratzinger, scaricabile)
http://www.ratzinger.it/modules.php?name=News&file=article&sid=202
Aprile on line 23.5.07
Guardare ma non toccare...
di Emiliano Sbaraglia


La Rai decide di acquistare il documentario della BBC sulla pedofilia, tenendo a precisare che tutte le parti coinvolte saranno "ampiamente rappresentate". La Chiesa parla già di falsità da denunciare, mentre Santoro prende tempo per definire il "taglio" da proporre alla puntata

Dopo giorni di imbarazzati silenzi e improbabili sotterfugi, alla fine sembra che l'informazione prevarrà sui tentativi di censura. E nel suo piccolo questo giornale, avendone parlato sin dalla scorsa settimana ben prima di altri, sente di aver dato un modesto contributo.
Il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, ha infatti dato il via libera per l'acquisto e la messa in onda del documentario della BBC relativo ai casi di abusi sessuali compiuti da sacerdoti cattolici ai danni di adolescenti e bambini. Michele Santoro, che per primo ne aveva formalmente fatto richiesta, potrà quindi trasmettere il documentario in una delle prossime puntate di "Anno Zero", quale esattamente è da definire: il conduttore sta valutando come impostare questa inchiesta, di certo molto molto delicata.
Azioni e reazioni - Le agenzie battute dall'ufficio-stampa di Viale Mazzini avanzano con i piedi piombo: "Certamente non andrà in onda questa settimana perché secondo Cappon ci sono delle cose da valutare, e comunque in trasmissione dovrà essere garantita la presenza di autorevoli esponenti della Chiesa", si legge nel comunicato. Una Chiesa che per bocca del segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, non ha tardato a far sentire la sua voce: "Non vogliamo alcuna censura -ha riferito il monsignore nel corso di una riunione della Conferenza episcopale-; ma se il documentario dovesse essere trasmesso in Italia vorremmo che ci fosse almeno una chiara presa di distanza da tutte le falsità che questo documentario sembra contenere".
Presunte falsità - A dire il vero, Giuseppe Betori dovrebbe a sua volta chiarire meglio a quale falsità voglia riferirsi, dato che ha criticato in particolare il fatto che il filmato consideri un documento vaticano del 1962 (il "Crimen Sollicitationis") come emanazione del cardinale Ratzinger, mentre all'epoca questi era un semplice teologo. Ma chi (come noi e i nostri lettori) hanno già avuto modo di guardare il documentario, avrà constatato che l'attuale pontefice in realtà viene chiamato in causa a partire dalla metà degli anni ottanta, vale a dire da quando l'allora cardinale assume l'incarico da parte delle gerarchie ecclesiastiche vaticane di controllare che i vescovi siano attenti nel far rispettare i dettami contenuti nel "Crimen Sollicitationis" (cfr. Aprileonline.info del 18-05, "Sex, Crimes and Vatican"). Oltre a questo, ricevuto anche il compito di ritoccare lo stesso documento nell'anno 2001, Ratzinger irrigidisce ancor di più i contenuti del testo, riaffermando tra l'altro la scomunica per coloro i quali si presentino a testimoniare in tribunale per l'accusa di pedofilia a carico di prelati, senza che prima non ne abbiano dato conto ai rappresentanti della Chiesa, o che questa non si sia per prima occupata del singolo caso. Molto più difficile, per il monsignore o chi per lui, sarà invece bollare come "falsità" alcune confessioni che i 38 minuti di video documentano inequivocabilmente.
Prevenzione e censura - Nei giorni scorsi, il presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla Rai Mario Landolfi (An) aveva già affermato che l'azienda Rai doveva impedire la trasmissione del video, perché altrimenti favorirebbe lo sporco gioco di "una squadra di esecuzione mediatica pronta ad aprire il fuoco sulla Chiesa e sul Papa". Contemporaneamente la Chiesa condannava il documentario. Il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, "Avvenire", non risparmiava accuse nei confronti di coloro che avevano messo online il reportage della BBC, tacciandoli di spargere "un'infame calunnia". Ma i fatti sembrano invece dimostrare che anche la Santa Sede si sia alfine dovuta inginocchiare di fronte alla devastante potenzialità informativa delle nuove strutture e tecniche di comunicazione.
Oggi operare attraverso il metodo della censura sembra francamente improbabile: dopo l'avvento di Internet, qualsiasi tentativo di bandire un'informazione non sembra far altro che suscitare l'esatto contrario della volontà iniziale dei censori. Un comune cittadino, nella sua casa possiede le risorse tecniche per guardare un filmato come quello della BBC, digitalizzarlo, e volendo di diffonderlo alla maggior parte del resto del mondo.
La situazione - Tornando alla contingenza della vicenda, il cda della Rai, con la scelta di acquistare il documentario, richiama però all'esigenza imprescindibile per la quale, prima e nel corso della messa in onda, "vengano ampiamente rappresentate in maniera autorevole tutte le posizioni coinvolte".
E se immediatamente contrario alla trasmissione del reportage si è dichiarato il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini ("Non capisco perché se la Bbc ha mandato in onda un documentario spazzatura noi dobbiamo imitarla magari acquistandolo con i soldi della tv pubblica"), secondo alcuni dati sarebbero oltre un milione i visitatori che hanno già cliccato il video disponibile in rete, molti magari per eccesso di voyeurismo, tipica inclinazione dei navigatori-web.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra, verrebbe da dire: ma i peccati vanno confessati. Parola del Signore.

l’Unità 23.5.07
L’inchiesta della Bbc
Lo Scandalo e il Silenzio
di Luigi Cancrini


Il video messo in onda dalla Bbc che tutti noi dovremmo poter vedere nella prossima puntata di Annozero sui preti pedofili è un documento importante. In modo semplice e documentato, esso dà conto delle dimensioni drammatiche di un problema che la Chiesa ha sin qui tentato di ignorare e di nascondere. Intanto parlare di pedofilia e di diritti dei bambini dovrebbe avere accesso anche alla televisione italiana. Per aiutare a capire. Per aprire una discussione seria sul modo in cui questo problema va affrontato.
Nel 1962, con la Crimen Sollicitationis, Roma dette indicazioni ai vescovi del modo un cui doveva essere trattato il problema dei preti pedofili. Riservandone la conoscenza al Tribunale Ecclesiastico e obbligando tutti i fedeli, colpevoli, vittime e famiglie delle vittime, a mantenere il segreto nei confronti delle autorità civili su quello che era accaduto. La pena era, per chi avesse violato questo segreto, quella della scomunica. Nel 2001, pur non parlando più di scomunica, la Congregazione per la difesa della fede presieduta dall’attuale Papa ribadì queste indicazioni in una fase in cui le denunce per pedofilia da parte di preti cattolici raggiungevano negli Stati Uniti il numero di 4.500. Presenti praticamente in tutte le diocesi (secondo il comitato formato da cattolici e non cattolici che tentò di saperne di più «in modo endemico e non epidemico»), mentre un numero purtroppo molto altro di casi simili veniva registrato in Irlanda, in Brasile e in tanti (troppi) paesi del mondo. Motivata dal bisogno di difendere l’immagine della Chiesa, questa posizione ha creato da sempre problemi gravi per le autorità civili incaricate di indagini in questo settore. Il giudice americano che ha chiesto l’estradizione di preti che erano stati comunque perseguiti e che si erano rifugiati all’estero, in Vaticano, racconta nel video di come le sue richieste venivano rinviate al mittente senza che le buste fossero state aperte. Il giornalista che ha seguito le tracce degli abusati ha incontrato ed intervistato persone che si erano portati il loro segreto nel cuore per decine di anni. Rovinandosi la vita nel tentativo di trovare un perché a quello che era loro accaduto. Fidarsi di un prete, subirne la violenza, essere costretti al silenzio, vederlo ripetere impunemente con altri le violenze che aveva fatto a lui o a lei.
C’è davvero un nesso fra la scelta di diventare prete e il rischio di commettere crimini di questo tipo? Gli studi sulla organizzazione psicologica delle persone che mettono in opera comportamenti pedofili dimostra che si tratta di persone che hanno avuto da sempre problemi con la loro sessualità. Chi ha tendenze perverse reagisce spesso da giovane con una inibizione totale degli interessi sessuali. Fare il prete significa, in alcuni di questi casi, darsi una giustificazione alta per un problema che andrebbe risolto in tutt’altro modo. Fobie del sesso e problematiche collegate al tentativo di reprimerlo o di controllarlo sono assai diffuse nell’ambito della educazione cattolica e propongono un ambiente particolarmente favorevole per persone con questo tipo di problemi. Capaci spesso di mantenere una astinenza faticosa ma messe in crisi, in altri casi da quella che un prete intervistato e condannato chiama «la forza irresistibile e quasi inconsapevole» da cui le sue condotte finivano per essere determinate. Mi è capitato spesso di parlare con dei sacerdoti del modo in cui il controllo sulle vocazioni sta cominciando a prendere in considerazione questo tipo di problema. Quello che è stato fatto finora, tuttavia, non è servito a molto se i fatti sono quelli di cui siamo costretti a parlare oggi. Con conseguenze terribili anche per i preti più drammaticamente combattuti tra bene e male perché il suicidio di molti di loro, più o meno pubblicamente accusati, è spesso la prova più evidente del come la pedofilia sia una condanna per chi la mette in opera oltre che per chi la subisce.
La più terribile di tutte le storie riferite nel video è quella del bambino di cinque anni sedotto da un parroco trasferito in un piccolo paese del Brasile più povero dopo che aveva abusato in più sedi di più minori. La promessa era stata quella di dargli lezioni di chitarra. Quando il bambino parlò e la storia fu conosciuta la zia che inutilmente aveva tentato di protestare con le autorità ecclesiastiche e che non poteva permettersi di avere un avvocato perché viveva in condizioni di totale povertà fu duramente discriminata da tutta la comunità locale. Ridicolizzato dai suoi compagni che lo chiamavano «fidanzata del parroco» il bambino diceva solo di voler morire ma nessuno fece nulla fino a quando, alcuni anni dopo, il diario del parroco, venuto per caso nelle mani di altri inquirenti, non fornì particolari allucinanti sulle strategie che lui aveva stabilito di seguire per sedurre dei bambini «orfani e poveri».
Sta nell’immagine di questo bambino l’accusa più terribile per quella Chiesa che avrebbe dovuto continuare a dire con Gesù «lasciate che i pargoli vengano a me». Un’accusa dura ma seria rivolta a delle procedure che non possono più essere mantenute. Un Papa e un clero che tanto si scandalizzano o dicono di scandalizzarsi per divorzio, aborto e coppie di fatto dovrebbero avere la forza di riconoscere un errore grossolano e porvi riparo. Pubblicamente e con chiarezza. Accettando l’idea per cui i comportamenti pedofili fanno male a chi ne è vittima e ha diritto ad essere protetto e risarcito prima che sia troppo tardi. Ma accettando anche l’idea che il prete che abusa dei bambini è una persona che ha il diritto ed il dovere di curarsi. Proteggerlo è un modo di fare del male a lui, agli altri bambini che avranno la sfortuna di incontrarlo e alla Chiesa intera. Gesù, da cui tutti abbiamo ancora tanto da imparare, sottolineava quanto siano importanti e necessari gli scandali. L’augurio è che quello proposto dal video della Bbc non sia soffocato, oggi, da chi si preoccupa più o meno strumentalmente o scioccamente per l’immagine della Chiesa invece che dei bambini.

Corriere della Sera 23.5.07
CAPOTOSTI
«La responsabilità penale? Anche i vescovi rischiano»
di M. Antonietta Calabrò


ROMA — Pedofilia: «La responsabilità penale e civile delle diocesi e dei vescovi non si può escludere sempre e comunque». Caso Bbc-Santoro: «La Rai non può e non deve mandare in onda informazioni palesemente false» dice Piero Alberto Capotosti, ex presidente della Corte Costituzionale e vicepresidente del Csm, uno dei massimi giuristi cattolici.
Professore, il segretario della Cei ha detto che in Italia le diocesi non sono responsabili per i reati di pedofilia commessi dai preti. È così?
«In linea di principio, naturalmente, la responsabilità penale è personale, ci mancherebbe altro. Ma le dichiarazioni del vescovo Betori sono forse un po' troppo assolute. La responsabilità dei vescovi e delle diocesi non si può escludere a priori».
In che senso?
«Che non si può escludere sempre e comunque. Sia in campo penale, sia sotto il profilo civilistico e risarcitorio. Bisogna vedere caso per caso».
Ci faccia un esempio...
«Se il prete responsabile di atti di pedofilia è un insegnante di una scuola o di un seminario vescovile, se è cioè un collaboratore della diocesi e compie gli abusi sessuali approfittando della sua funzione, non c'è dubbio che si possa configurare una responsabilità del vescovo e della diocesi. Un discorso diverso va fatto invece per un sacerdote o un parroco che non siano diretti collaboratori del vescovo».
Quando potrebbe esserci una responsabilità penale?...
«Sotto il profilo del favoreggiamento personale, se il vescovo omette di collaborare o copre i fatti quando c'è un'indagine penale in corso per quegli abusi».
E quando può scattare la responsabilità risarcitoria?
«Negli stessi casi in cui si può configurare una dipendenza diretta del sacerdote dal vescovo».
Ma il vescovo è obbligato a denunciare alla magistratura gli abusi?
«No,questo no. Il vescovo solo in alcuni casi, quando celebra un matrimonio ad esempio, è un pubblico ufficiale. In relazione a eventuali abusi dei suoi preti, è un cittadino come tutti gli altri, e non è tenuto a particolari obblighi di denuncia.
Egli può ritenere che evitare la pubblicità sugli abusi sia un modo per tutelare le vittime soprattutto se si tratta di bambini o ragazzi».
È capitato che un prete pedofilo sia stato solo trasferito e così ha ricominciato gli abusi da un altra parte. Che fare?
«Mi permetto di suggerire la prevenzione assoluta di questi reati. Quando un vescovo ha il sospetto fondato che siano stati consumati abusi del genere deve comunque intervenire, anche se non vuole denunciare i fatti alla magistratura».
Come?
«Penso a sanzioni canoniche che isolino il prete coinvolto e lo mettano in condizione di non nuocere».
Si può mandare in onda sulla Rai il documentario della Bbc sulla pedofilia che chiama in causa l'allora cardinale Ratzinger per un documento del 1962 che secondo Betori e «Avvenire» non può aver firmato perché all'epoca ancora insegnava in Germania?
«In questo caso rispondere è molto semplice. Tra i principi che regolano le trasmissioni in base alla legge sull'emittenza radiotelevisiva, tanto più nel caso del servizio pubblico, c'è il rispetto dell'obiettività e la completezza dell'informazione, nonché della lealtà e imparzialità. Ai sensi della legge vigente non solo si può ma si deve impedire la messa in onda di informazioni che facilmente e oggettivamente appaiono false in base semplice riscontri che può fare un giornalista, ma certamente non può fare il pubblico nel momento in cui sta guardando la trasmissione».
Piero Alberto Capotosti è ex presidente della Corte Costituzionale

Corriere della Sera 23.5.07
LA CHIESA E LE VITTIME
A Boston il «record»: pagati 85 milioni di dollari per gli abusi
di Francesca Basso


MILANO — In Italia il caso è di qualche giorno fa. Ad Agrigento un seminarista è stato risarcito per gli abusi sessuali subiti da un prete mentre frequentava il seminario: oltre 50 mila euro, però l'entità esatta non si conosce perché coperta da una clausola di riservatezza presente nell'accordo tra le parti.
Ma negli Stati Uniti i risarcimenti alle vittime di preti pedofili hanno portato alla bancarotta diverse diocesi. Il caso più eclatante è lo scandalo che nel 2002 ha travolto l'arcidiocesi di Boston: le accuse di pedofilia nei confronti di sacerdoti colpevoli di abusi su minori costrinsero alle dimissioni l'arcivescovo della città Barnard Law. Il suo successore arrivò a una trattativa con le vittime nel 2003: dagli 80 mila ai 300 mila dollari di risarcimento a bambino. Risultato: 85 milioni di dollari a 540 vittime e l'ipoteca sulla cattedrale di Santa Croce. Bancarotta anche per altre due diocesi appena un anno dopo. La causa è sempre la stessa. Finiscono sul lastrico a causa dei risarcimenti alle vittime di sacerdoti condannati per pedofilia le diocesi di Portland (Oregon) e Tucson (Arizona).
Non c'è pace per la Chiesa cattolica statunitense. Nel dicembre scorso la diocesi di Los Angeles aveva già sborsato 60 milioni di dollari a 46 vittime di abusi sessuali: per far fronte ai risarcimenti, ha messo in vendita i propri uffici amministrativi. E il futuro non è roseo: sono centinaia i procedimenti giudiziari in corso che potrebbero concludersi con un pagamento. Anno nero il 2006. Anche la diocesi di Spokane (Washington) è andata all'accordo con le 75 vittime di preti pedofili, alle quali ha destinato circa 46 milioni di dollari. Situazione critica pure in Canada. La diocesi di Terranova ha venduto 150 immobili per rimborsare con 11 milioni di dollari 36 vittime di abusi compiuti da sacerdoti.

l’Unità 23.5.07
La Rai compra il video Bbc per Anno Zero
Non andrà in onda domani, Santoro farà più approfondimenti. La Cei: non vogliamo censure (...)
di Natalia Lombardo


VIA LIBERA della Rai: Michele Santoro può acquistare il video della Bbc, «Sex crimes and the Vatican». Dopo giorni di polemiche è stata evitata la censura preventiva sul documentario che riguarda i casi di pedofilia fra ecclesiasti. Oggi il materiale potrebbe arrivare alla redazione di Anno Zero. Non andrà in onda domani ma la settimana prossima, al massimo la successiva, anche se i consiglieri della Cdl tornano all’attacco, da una parte contro il Dg, dall’altra chiedendo «che sia il Cda a deciderlo», tuona il casiniano Staderini. Berlusconi invece annulla la provocazione di Mentana: «Mediaset non ha nessuna intenzione di acquisire il video della Bbc»: parola di Confalonieri, con il quale l’ex premier ha preso accordi sulla copertura del Milan ad Atene.
Ieri il «caso» Bbc è finito sul tavolo del Cda Rai: ai consiglieri di centrodestra che facevano muro (anche sulla messa in onda attraverso RaiDue), il direttore generale Cappon ha spiegato di aver chiesto garanzie: tutte le parti in causa vengano «ampiamente rappresentate in maniera autorevole», magari qualche alto prelato che possa spiegare le critiche della Chiesa. Ma Santoro si ripromette di approfondire, per capire i motivi delle obiezioni.
Più che obiezioni, dai vescovi arrivano accuse di «falsità»: «Non vogliamo alcuna censura», ha avvertito monsignor Betori, segretario Cei, ma se andrà in onda «in Italia, vorremmo che ci fosse almeno una chiara presa di distanza da tutte le falsità che sembra contenere». Due le «falsità» gravi», secondo la Cei: la Bbc attribuisce il documento «Crimen sollicitationis» del 1962 al cardinale Ratzinger, mentre il Papa nel ’62 era un semplice teologo e «solo dopo 19 anni sarà capo del dicastero che stese il Crimen sollicitationis» (il codice interno sulla segretezza riguardo agli abusi sessuali, in vigore da 40 anni). La Chiesa contesta che sia stato un «tentativo di coprire i pedofili» la scelta di Ratzinger di affidare i processi alla Congregazione per la dottrina della fede.
Santoro ha assicurato il rispetto delle garanzie chieste dal Dg Cappon, (anche «nei riguardi del pubblico», dicono da AnnoZero. Del resto non ci sono troppe sorprese: la «lettera» di Marco Travaglio deve essere inviata alle 4 del pomeriggio perché il destinatario possa rispondere, solo le vignette di Vauro si scoprono alla fine. Il video della Bbc sarà trasmesso integralmente (obbligo imposto dalla Bbc) e doppiato. La polemica si sgonfia, ma il presidente della Vigilanza, Landolfi di An, bolla come «pilatesca la soluzione di Cappon».
(...)

l’Unità 23.5.07
IL DOCUMENTO
«Dopo aver abusato di me, ogni mattina padre Fortune mi lasciava per celebrare messa. Poi tornava ad abusare di me». Dal documento della Bbc
«Così il Vaticano ha coperto e poi protetto i preti pedofili». Le testimonianze in video.
Ecco alcuni stralci tratti dalla trasmissione della Bbc «Crimini sessuali e il Vaticano. Sex crimes and the Vatican»
(a cura di Marco Dolcetta)


Kenyon (speaker) - Quando si venne a conoscenza di quello che succedeva a Fern, le autorità ecclesiastiche locali, in ossequio alle direttive segrete della Chiesa cattolica, misero tutto a tacere. Responsabile di quella imposizione fu il Cardinale Ratzinger, attualmente Papa Benedetto XVI. Quattro anni fa Padre Sean Fortune si trovò al centro di un’inchiesta a largo raggio sugli abusi del clero sui minorenni. Lo scandalo venne fuori quando si parlò di un documento segreto del Vaticano che copriva gli stupratori e le vittime degli abusi. Colm o’ German, violentato da Padre Fortune quando aveva quattordici anni, è tornato a Fern per dimenticare quegli eventi.
Colm - Ogni domenica mattina, dopo aver abusato di me, Padre Fortune mi lasciava nel suo letto e scendeva a dire la sua prima messa. Poi tornava ad abusare di me. In seguito andavamo a far colazione insieme, dopodiché presenziavo alla sua seconda messa.
Kenyon (al pubblico) - La Chiesa locale sapeva che Padre Fortune era un pedofilo, ma invece di informare la polizia cominciò a trasferirlo da una parrocchia all’altra. Quando esplose lo scandalo, si ammazzò prima del processo. Indagando su chi lo aveva aiutato a nascondere le sue malefatte, Colm riuscì a scoprire che era stato il più vecchio esponente della diocesi, l’arcivescovo Brendan Comiskey.
Mac Donald - Comiskey, sei stato tu ad aiutare Padre Fortune ad abusare dei suoi ragazzi?
Comiskey - Quando venni a conoscenza del fatto, lo cacciai dalla parrocchia e lo indussi ad andare da uno psicoanalista.
Mac Donald - Dopo che erano trascorsi sei anni? Perché non lo hai fermato prima?... (al pubblico) Comiskey si dimise. Dopo le sue dimissioni ci furono tante altre storie di abusi. Adesso Colm dirige una associazione irlandese che si occupa delle vittime, ha ottenuto l’apertura di un’inchiesta governativa e ha scoperto che la copertura delle violenze aveva coinvolti diversi preti.
Kenyon (al pubblico) - Nel corso delle indagini Colm si convinse che il documento segreto, conosciuto come Crimen Sollicitationis, era stato utilizzato per mettere a tacere le accuse di abusi. La linea seguita dal Vaticano è che i crimini sessuali commessi dal clero vanno giudicati seguendo esclusivamente il diritto canonico.
Romley - Supponevamo che ci fossero archivi segreti ai quali attingere in qualsiasi circostanza, ma ci dissero che il Nunzio aveva ordinato di non consentire l’accesso a informazioni di tipo criminale, perché erano state sottoposte a una speciale protezione. La Chiesa non vuole riconoscere che il problema è serio perché non vuol consentire alle autorità civili di porre un freno agli abusi dei suoi preti. Ci contrastavano passo passo, realizzando una vera e propria tattica ostruzionistica.
Kenyon - La sua battaglia più dura fu quella contro Padre Henn e altri due preti, che andarono all’estero per sfuggire ai persecutori americani.
Colm - Sapevo che questi preti avevano fatto voto di obbedienza a Roma. Allora decisi di mandare una lettera in Vaticano, per chiedere, dopo che le accuse formali erano state avanzate, che costringessero i preti incriminati a eseguire i loro ordini, tornare in patria e consegnarsi, per consentire alla giustizia di seguire il suo corso, ma restai molto deluso. Avevo scritto al cardinale Sodano, il segretario di Stato, per chiedergli se poteva ordinare a questi preti di tornare in patria, ma mi rimandavano la posta indietro con il pretesto che il destinatario si era rifiutato di accettarla. Non aprivano nemmeno la busta. Una Chiesa con l’autorità morale per fare quello che è giusto è venuta meno al dovere di impedire l’abuso sui bambini. Eppure aveva avuto una reale opportunità di dichiarare al mondo che si sentiva responsabile della protezione dei bambini. E invece non rispondeva neppure.
Kenyon - Padre Henn, il prete che con la scusa di portare in piscina Rick Rivezo finì per abusare di lui, adesso è ricercato per 13 accuse per molestie avanzate da un gran giurì negli Stati Uniti. Ma non è più là. È al sicuro in Vaticano e si oppone all’estradizione dal quartiere generale del suo ordine religioso, i Salvatoriani. Il Vaticano non l’ha costretto a tornare in America ad affrontare il processo.
Colm - La cosa più straordinaria è che Padre Henn non è solo. Un giornale americano ha scoperto che c’erano più di 7 preti americani, accusati di abusi sessuali sui minori, che vivono con il sostegno della Chiesa, dentro e fuori del Vaticano.
Kenyon - Può darsi che il Vaticano conservi le prove di altri preti che abusano dei minori in ogni parte del mondo, ma, invece che alla cooperazione e alla trasparenza, le direttive della Chiesa mirano all’ostruzionismo e alla copertura. C’è un uomo però che ha il potere di cambiare tutto.
Doyle - Il cardinale Ratzinger, che adesso è il Papa, potrebbe dire "questa è la politica di tutta la Chiesa. Cooperazione piena ovunque con le autorità civili e isolamento e dimissioni dei preti dichiarati colpevoli. Completa apertura e trasparenza delle situazioni finanziarie. Eliminazione degli ostacoli ai processi".

Repubblica Lettere 23.5.07
Documentario della Bbc e libertà di stampa
di Corrado Augias

Caro Augias, in una lettera pubblicata ieri si leggeva come nulla di strano vi fosse nei casi di pedofilia tra i preti dato che pedofili ve ne sono in tutte le categorie sociali. Penso invece che questo fatto sia enormemente più grave proprio per il suo contesto.
Coloro che si macchiano di questi reati non sono persone «comuni» ma ministri intoccabili di quell'istituzione che, oggi più che mai, si attribuisce il diritto di essere la sola autorità morale, di dettare legge, anteponendosi persino al Parlamento, in fatto di questioni etiche e di 'valori non negoziabili'.
Stiamo parlando di quell'istituzione che considera il riconoscimento delle unioni affettive tra persone dello stesso sesso come la via che conduce all'incesto e alla pedofilia, ma che non si è fatta scrupolo di promulgare documenti ufficiali che anteponessero, alla salute delle vittime delle migliaia di abusi sessuali perpetrati, la salvezza della propria facciata.
Stiamo parlando insomma di un evento molto grave e, a me pare, ben documentato nel documentario inglese che del resto centinaia di migliaia di persone hanno già visto anche in Italia su Internet. Non posso che appoggiare pienamente Santoro riguardo la sua volontà di trattare questi argomenti, anche nel nostro paese, alla luce del sole e di toglierli dall'esilio dello schermo del computer tra le quattro mura di casa.
Alberto Stucchi

Proprio perché dissento spesso dall'atteggiamento pubblico e politico della chiesa cattolica, mi sento, in questo caso, di condividere solo in parte le opinioni del signor Stucchi.
I casi di pedofilia riscontrati con tanta frequenza tra i sacerdoti, e costati negli Stati Uniti milioni di dollari in risarcimenti, non vanno confusi con l'istituzione chiesa nel suo complesso. Non è detto che la Chiesa sbagli perché i suoi ministri commettono abusi.
E' vero secondo me il contrario: la Chiesa spesso sbaglia nonostante i suoi ministri siano dei sant'uomini. Le controversie sul documentario della Bbc restano comunque un grave indice dello stato di degenerazione del dibattito politico e della fragilità delle nostre libertà. Da una parte si grida "La Rai non è la radio Vaticana", dall'altra si ribatte "Santoro non è onnipotente".
E che c'entra? Se volesse fare solo il suo mestiere? In un paese veramente libero queste opinioni verrebbero accantonate a favore di una verifica sui fatti per controllare se la Bbc abbia sbagliato o ecceduto.
Accertare per esempio dove si trovasse Joseph Ratzinger nel momento in cui la famigerata direttiva 'Crimen sollicitationis' veniva emanata (16 marzo 1962) è cosa che si fa in tre minuti. Più tempo, ma nemmeno molto, ci vorrebbe per controllare le differenze tra il testo del 1962 e il successivo del 1981 quando Ratzinger era a capo del Sant'Uffizio. Altresì agevole il controllo sul comportamento delle gerarchie vaticane dopo la scoperta dello scandalo che ha travolto molti prelati anche di alto rango negli Stati Uniti. Eccetera.
Non c'è argomento che il buon giornalismo non possa trattare usando il dovuto equilibrio; al contrario, il buon giornalismo sta lì per quello. Come diceva Humphrey Bogart, nel film 'L'ultima minaccia': «E' la stampa bellezza, e nemmeno tu la puoi fermare».

Repubblica 23.5.07
L’amaca
di Michele Serra

Impazza su internet il video della Bbc su pedofilia e Vaticano. È abbastanza tendenzioso, diciamo "orientato". Come se, dopo l´intervento del pubblico ministero, la difesa non avesse la parola. Al netto di questa osservazione, rimane l´impatto (fortissimo, perché basato su documenti vaticani) con una mentalità e una cultura giuridica perlomeno sconcertanti. La Chiesa di Roma fa la figura di un mondo a parte, una potente consorteria che ritiene al di fuori (o al di sopra?) delle leggi i suoi membri. In quei documenti, di fronte a denunce plurime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, si suggerisce e anzi si impone a tutte le persone coinvolte di mantenere il più stretto riserbo. Di non denunciare, di occultare, di sopportare cristianamente se si è vittime. I sacerdoti responsabili degli abusi venivano spostati di parrocchia in parrocchia per sottrarli allo scandalo. Né traspare, da quei documenti omertosi, alcuna coscienza del fatto che un reato, in qualunque paese, è sottoposto al giudizio della magistratura e di nessun altro.
È spiacevole dirlo, ma al di là delle penosissime e gravi vicende umane raccontate, se ne ricava, da parte della Chiesa, una sorta di superbia a-sociale. Ed è ben paradossale che tanta attenzione venga riservata alle legislazioni dei vari paesi, quando poi si tenta di sottrarre la condotta dei sacerdoti al vaglio di queste stesse leggi.

Corriere della Sera 23.5.07
Rinviata la messa in onda. Il dg a Santoro: spazio a tutte le parti. Landolfi (An): scelta pilatesca
Cappon dice sì al filmato Scontro aperto nel cda Rai
Contrari i consiglieri Cdl. Berlusconi: Mediaset non lo comprerà
di Paolo Conti


ROMA — Verranno in studio anche esponenti delle gerarchie vaticane? «Sarà un piacere ospitarli», assicura Michele Santoro. Non c'è ancora una data ufficiale ma la redazione di «Annozero» già si starebbe preparando per mandare in onda la prossima settimana il discusso filmato «Sex crimes and Vatican» della Bbc e organizzare un ampio dibattito in studio sulle dure accuse a Benedetto XVI: aver coperto lo scandalo internazionale dei preti pedofili.
Intanto Silvio Berlusconi fa sapere che Mediaset «non ha alcuna intenzione di acquisire il filmato. Dalle informazioni che ho è stato molto criticato anche in Inghilterra e più che informazione è disinformazione». Una risposta diretta a Enrico Mentana che aveva progettato di comprare il materiale e trasmetterlo durante «Matrix».
Ieri il Consiglio di amministrazione Rai si è spaccato ma alla fine il direttore generale Claudio Cappon ha deciso per l'acquisto del filmato assumendosi la personale responsabilità editoriale della scelta. Ma ciò non vuol dire che l'inchiesta andrà sicuramente in onda. Cappon ha chiesto a Santoro che siano «ampiamente e autorevolmente rappresentate» tutte le parti coinvolte.
La discussione è stata accesa. Da una parte il centrosinistra, soprattutto Sandro Curzi, convinto della necessità di mandare tutto in onda (il video è tra i più seguiti del sito www.video.google.it). Dall'altra il centrodestra, in particolare Marco Staderini, contrario. Staderini ha ricordato a Cappon di «non fidarsi di Santoro» e di temere che in diretta una dichiarazione di Marco Travaglio, una vignetta di Vauro possano cancellare qualsiasi equilibrio politico. Curzi ha parlato di «censura preventiva inconcepibile e ridicola perché il filmato è già in rete» e ha sottolineato la dichiarazione di monsignor Betori.
Il Cda tornerà comunque a occuparsi del caso Santoro, con ogni probabilità martedì prossimo e comunque prima della messa in onda. Cappon riferirà sugli accordi presi con Santoro, di fatto sul contenuto della trasmissione. Il centrodestra ha chiesto anche la presenza del «direttore di riferimento» di Santoro. In teoria dovrebbe essere Antonio Marano, direttore di Raidue. Ma Cappon dovrà accertare se nelle intese pattuite tra il conduttore e l'ex direttore generale Alfredo Meocci esista davvero un passaggio in cui si assicura a Santoro la diretta dipendenza editoriale dalla direzione generale.
Comunque Santoro è soddisfatto: «Sono contento per ciò che sta accadendo. La richiesta del pubblico è molto alta. Gli accordi con la Bbc prevedono che il materiale venga trasmesso senza tagli e così sarà fatto. Certamente saremo molto puntuali nel rappresentare tutti i punti di vista, quindi anche le obiezioni e le critiche. La distribuzione degli interventi sarà particolarmente attenta: assicureremo maggiore cura del solito all'impianto della trasmissione». Dunque nessun taglio: se la puntata verrà trasmessa, non scomparirà il passaggio di accusa a Joseph Ratzinger.
Mario Landolfi, presidente An della Vigilanza, contesta: la decisione di Cappon è «pilatesca». Anche nel centrosinistra c'è qualche distinguo. Renzo Lusetti, Margherita: «L'autonomia della Rai è sacra ma attenzione alle bufale». Fabrizio Morri, capogruppo dell'Ulivo in Vigilanza: «Siamo contrari sia a campagne contro il Papa sia alla censura». Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, ricorda che la pedofilia riguarda «un millesimo rispetto a quello che rappresentan la Chiesa nel mondo». Invece Roberto Villetti della Rosa nel Pugno avverte: «Sarebbe davvero curioso se ora non venisse mandato in onda per le pressioni politiche, tra le quali quelle dei teodem, che provengono dall'interno della stessa maggioranza di governo».

Radicali.it 23.5.07
Santoro. Turco, se a Smirne manifestano per difendere la laicità a Roma bisogna lottare per conquistarla
Dichiarazione di Maurizio Turco (deputato della Rosa nel Pugno, segretario della Commissione Affari Costituzionali)


"Chi sostiene che mandare in onda il filmato della BBC sia un "attacco al Papa" non conosce i fatti. Se non altro l'ultimo di una lunga serie: se Ratzinger non fosse stato eletto Papa si sarebbe dovuto presentare di fronte ad un tribunale americano, fatto scongiurato dalla richiesta di Ratzinger di avvalersi dell'immunità diplomatica in quanto Capo di Stato.
Se qualsiasi paese avesse diramato le disposizioni del 1962, ribadite e rafforzate da Ratzinger nel 2001, l'intera comunità internazionale sarebbe insorta . e la Repubblica italiana avrebbe denunciato il Concordato del 1984, visto che la Santa sede si impegnava al pieno rispetto della sovranità dell'ordine Repubblicano, quando invece la violava (e la viola).
Se il filmato della BBC sarà censurato è l'ora di prendere atto che se a Smirne manifestano per difendere la laicità a Roma bisogna lottare per conquistarla."

il Riformista 23.5.07
IL CASO LA CHIESA E LA PEDOFILIA
Il documento del Sant'Uffizio

Il Crimen sollicitationis è un documento segreto redatto nel 1962 dal Santo Uffizio del Vaticano (ora congregazione per la Dottrina della Fede) e approvato da Giovanni XXIII, che istruiva i vescovi su come comportarsi nei casi di abuso, da parte dei preti del sacramento della penitenza, con avances sessuali ai fedeli. Da qui il titolo del documento. La procedura legale si estendeva anche ai casi di pedofilia e zoofilia, i cosiddetti “crimini peggiori”. Il documento - di cui riproponiamo a pagina 5 ampi stralci - è tornato attuale grazie al documentario della Bbc - visionabile solo sul web - sui preti pedofili. Il filmato attribuisce il testo a Ratzinger, ma come ha spiegato il segretario generale della Cei, Betori, nel 1962 l'attuale pontefice «non era neanche cardinale» né a capo della Dottrina della fede. Inoltre, secondo Betori, è discutibile che si faccia passare per «copertura» ai ministri pedofili un provvedimento che rimanda questi reati «a un tribunale più severo, quello della Dottrina della Fede».
In ogni caso, il 24 gennaio 2001 Joseph Ratzinger, allora prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede, e Tarcisio Bertone, che ne era il segretario, inviarono una lettera a tutti i vescovi in cui si affermava di avere analizzato il Crimen sollicitationis giungendo alla conclusione «che solo i “delitti peggiori” vanno considerati di giurisdizione del tribunale della congregazione per la Dottrina della Fede». Confermando così per la pedofilia e la zoofilia l'opportunità del silenzio davanti alla giustizia civile e la competenza unica della giustizia canonica.
Durante l'ultima puntata di Annozero, Michele Santoro aveva annunciato di trasmettere il documentario, incontrando il netto rifiuto di Avvenire. Ieri il Cda Rai ha sbloccato l'acquisto del documentario, che però non andrà in onda nella prossima puntata del programma.
Dalla suprema e santa congregazione del Santo Uffizio per tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri diocesani, anche per quanto riguarda i riti orientali. Istruzioni sul modo di procedere in caso di adescamento.

[...] 4. Essi potranno inoltre assegnarlo a un altro incarico, salvo il caso in cui all’Ordinario ciò sia proibito in quanto ha già accettato la denuncia e ha avuto inizio l’inquisizione.
[...] 11. Poiché, comunque, quello che viene trattato in questi casi deve avere un maggior grado di attenzione e osservanza cosicché questi stessi fatti possano essere trattati nella maniera più segreta possibile, e, dopo che sono stati definiti e passati all’esecuzione, devono essere osservati sotto silenzio perpetuo (Istruzione del Santo Uffizio, 20 Febbraio 1867, no. 14), tutti quelli che entrano a riguardo del tribunale in un qualunque modo o sono ammessi a conoscenza dei fatti a causa del loro compito, devono osservare il più stretto segreto, che è comunemente trattato come Segreto del Santo Uffizio, per tutti i fatti e con tutte le persone, sotto la pena di scomunica latae sententiae, ipso facto e senza alcuna dichiarazione dell’esecuzione [di tale penalità] e riservata alla sola persona del Pontefice Supremo, anche con l’esclusione del Sacro Penitenziario, sono obbligati all’osservanza [di questo segreto] inviolabile. Inoltre gli Ordinari sono obbligati a osservare questa legge ipso jure o a causa del proprio dovere. Gli altri aiutanti a causa del giuramento che devono sempre prestare prima di iniziare a svolgere il proprio dovere. E questi, quindi, sono delegati, interpolati, e informati in loro assenza per mezzo del precetto nelle lettere di delegazione, interpellazione [o di] informazione, come imposto con espressa menzione del segreto del Santo Uffizio e della succitata censura.
[...] 13. In questi casi sono tenuti al giuramento del segreto anche gli accusatori o coloro che hanno sporto denuncia (verso il sacerdote) e i testimoni. Nessuno di essi, tuttavia, è soggetto a censura, salvo che casualmente una di queste persone sia stata espressamente minacciata di censura, per la sua accusa, la sua deposizione o la sua violazione [di esso] per atto. L’accusato, tuttavia, deve essere seriamente avvisato del fatto che anche lui, come tutti [gli altri] specialmente se osserva il segreto con il suo difensore, in caso di trasgressione è soggetto ipso facto a sospensione a divinis.
[...] 21. L’obbligo di denuncia da parte del pentito oggetto di adescamento non cessa in seguito a confessione spontanea da parte del confesso adescatore, confessione resa non perché questi sia stato trasferito, promosso, condannato o presumibilmente riformato o altre ragioni dello stesso genere. L’obbligo cessa, però, in caso di morte dello stesso.
[...] 35. Se non possono essere trovati due testimoni ciascuno dei quali conosca sia la parte denunciata che quella che sporge denuncia, o se essi non possono essere interrogati contemporaneamente senza che ci sia pericolo di scandalo o minaccia del buon nome, sarà necessario trovare un accordo in base al quale due persone, in [testimonianza] separata, interrogano due testimoni soltanto sulla persona denunciata e altre due soltanto sulla persona che denuncia. In tal caso, tuttavia, sarà necessario acquisire altrove informazioni su eventuale odio, inimicizia o altra forma di umana ostilità nei confronti del [sacerdote] denunciato.
[...] 42. a) se risulta evidente che la denuncia è totalmente priva di fondamento, [l’Ordinario] deve ordinare che ciò sia messo agli Atti, e i documenti dell’accusa devono essere distrutti.
[...] 44. Se, in seguito al primo ammonimento, si verificano nei confronti del medesimo accusato ulteriori accuse di adescamento precedenti l’ammonimento stesso, l’Ordinario deve considerare, su propria scelta e in base alla propria coscienza, se il primo ammonimento debba essere ritenuto sufficiente o se debba invece procedere a nuovo ammonimento o eventuali ulteriori misure.
[...] 52. Tenuto conto di ciò, deve aver luogo una procedura per presentare l’accusa alla persona accusata, secondo la formula P, dopo essersi accuratamente e con la massima diligenza accertati che la persona dell’accusato e, in particolare, la persona di coloro che lo denunciano non siano rivelate e, da parte dell’accusato, che egli non violi in alcun modo il vincolo sacramentale. Se, nel corso del discorso, venisse fuori qualcosa che possa far pensare a una violazione del sacramento, diretta o indiretta, il giudice non deve permettere che a ciò si faccia riferimento negli Atti notarili; e se, per casualità, ciò fosse avvenuto, dovrà ordinare, non appena se ne accorga, che venga completamente cancellato. Il giudice deve comunque ricordare che non è in alcun caso suo diritto costringere l’accusato al giuramento di dire la verità (cfr. canone 1744).
[...] 59. Una volta presentato l’appello, il giudice deve trasmettere una copia autenticata o l’originale di tutti gli Atti de caso al Santo Uffizio, nel più breve tempo possibile, aggiungendo informazioni se necessario o se egli lo ritenga opportuno (Canone 1890).
[...] 70. Tutte queste comunicazioni ufficiali devono sempre essere fatte sotto il segreto del Santo Uffizio e, poiché riguardano il bene comune della chiesa al massimo grado, l’ordine di fare queste cose costituisce obbligo sotto pena di peccato mortale.
[...] 71. Con il termine “peggior delitto” si intende in questa sede il significato di un qualsiasi atto esteriore osceno, gravemente peccaminoso, perpetrato in qualsiasi maniera da un ecclesiastico o da questi tentato con persona del suo stesso sesso.
[...] 73. Per avere il peggior delitto, agli effetti penali, una persona deve aver compiuto l’equivalente di quanto segue: qualsiasi atto osceno, esteriore, gravemente peccaminoso, perpetrato in qualsiasi maniera da un ecclesiastico e da questi tentato con giovani di entrambi i sessi o con animali.

l’Unità 23.5.07
Giovanni Russo Spena
No a guerra preventiva e terrorismo. Ma non si militarizzi Roma
«Primo, nessuna zona rossa»
di Andrea Carugati


Due manifestazioni pacifiste contro la visita di Bush in Italia. Perché, onorevole Russo Spena?
«Non c’è stata la volontà da parte di alcuni settori del movimento, a partire dai Cobas, di costruire una piattaforma unitaria. A noi non può andar bene se si dice che il governo italiano è guerrafondaio, che noi abbiamo tradito il movimento pacifista, che la missione in Libano è di guerra al pari di quella in Afghanistan. Su queste basi è impossibile una manifestazione unitaria».
Un nutrito gruppo di intellettuali e politici ha scritto un appello per una manifestazione unitaria. Riuscirà nell’intento?
«È un’operazione importante, rimette i piedi per terra e offre la possibilità di un approccio unitario. Credo che i primi firmatari dell’appello potrebbero essere promotori di un confronto tra le due piattaforme. Io pongo due discriminanti: la non violenza e la presa d’atto che vi possono essere posizioni diverse che si confrontano come è avvenuto tra i pacifisti di tutto il mondo. Al ministro dell’Interno chiediamo di evitare che la città di Roma sia militarizzata e che non si costruiscano zone rosse dove non si possa manifestare. Il governo deve contribuire a isolare possibili frange violente, guai se si comportasse come hanno fatto Berlusconi e Fini a Genova: chiediamo un impegno preciso al governo affinché tenga la situazione in mano».
Il prefetto di Roma Achille Serra ha già detto che non ci saranno zone rosse.
«È l’unico segnale che abbiamo, vediamo, aspettiamo riposte dal Viminale. Credo che il corteo debba poter arrivare dove sempre arrivano i cortei, a largo Chigi. Non si comprenderebbe un divieto particolare per questa manifestazione: adombrerebbe senza dirlo, dunque ipocritamente, ad una zona rossa».
Il presidente Bertinotti ha chiesto la «dismissione» di ogni forma di violenza.
«Noi vogliamo fare una manifestazione contro la guerra preventiva e e per dire a Bush che è indesiderato. Ma anche contro il terrorismo, non per esaltare forme di resistenza. Una piattaforma completamente nonviolenta».
Ci sono rischi di episodi violenti, anche solo di bandiere bruciate?
«Ci sono alcuni settori che pensano di portare la radicalizzazione a livelli infantili. Io mi auguro che non accada nulla, sarebbe una sconfitta per tutti. Compito del governo è quello di evitare zone rosse e tenere calma la situazione: poi ognuno si assume le sue responsabilità».
Se le due manifestazioni si unissero questo aiuterebbe a ridurre i rischi?
«Certamente sì, io ne sarei felice ma temo che sia impossibile perché una parte di chi ha voluto il corteo pensa a un nuovo partito di opposizione a tutti i governi. C’è una logica politica che va ben oltre questa occasione. Bertinotti, Ferrero e anch’io siamo già stati attaccati, dunque non può toccare a noi: devono essere i promotori dell’appello a cercare una mediazione».
Lei ha parlato di Bush come indesiderato. Non crede che questa opinione possa creare imbarazzo a Prodi?
«È una nostra posizione che era nota fin da quando abbiamo scritto il programma. Per noi oggi il pericolo maggiore sono la guerra preventiva e il terrorismo che si alimentano a vicenda. Il nostro giudizio è molto secco, ma non lo abbiamo mai nascosto: essere in maggioranza significa rispettare quello che decidiamo tutti insieme, ma il nostro giudizio sull’amministrazione Bush non è oggetto di trattative».

Corriere della Sera 23.5.07
«Stellet Licht»
Reygadas, da cattivo a mistico Il mistero della resurrezione tra i Mennoniti del Messico
di Giuseppina Manin


Per Dreyer il miracolo è opera di Dio, per me dell'uomo. Un evento straordinario, proprio come la vita e la natura
Un triangolo, un tradimento, la morte improvvisa della moglie

CANNES — Il cielo stellato, di kantiana memoria, pulsa sopra di loro. Luci immobili, eterne, misteriose, come quella legge morale che dovrebbe albergare dentro ogni essere umano, pronta a rischiararne la coscienza, a farlo scegliere tra bene e male. Un firmamento di particolare splendore,
Stellet Licht (Luce silenziosa), come s'intitola il film di Carlos Reygadas ieri in gara, e come si vede solo in certi luoghi fuori dal mondo, liberi da inquinamento luminoso. Ad esempio nello stato di Chihuahua, in Messico, dove una natura a forti tinte convive in radiosa armonia con alcune comunità di Mennoniti, frangia dissidente degli anabattisti d'origine olandese, votati al pacifismo e nemici del progresso. Dediti al lavoro dei campi, campano all'antica, senza luce elettrica, telefoni, tv, internet. Uno stile di vita radicale che corrisponde a uno stile di vita morale di pari rigore. Famiglie compatte e numerose da far gola ai «family day», ruoli ben definiti, preghiere prima dei pasti, niente fronzoli, tutti in riga.
«Una società monolitica, senza classi sociali, dove tutti sono pari — sottolinea il 37enne regista messicano, già applaudito due anni fa a Cannes con l'emozionante Battaglia nel cielo — Uno sfondo astratto che mi ha permesso di dare alla storia la dimensione di un teorema». Trasformando il solito triangolo, lui, lei, l'altra, in una riflessione su vita, morte e — letteralmente — miracoli.
Difatti, anche da quelle parti, capita che uno s'innamori. Che, nonostante moglie e cinque figli, perda la testa per un'altra. E allora non c'è Kant o Lutero che tenga. E nemmeno Dio sembra in grado di dirimere la questione. Come nel resto del mondo, anche lì è subito adulterio. Con le sue croci e le sue delizie, con i suoi amletici dilemmi: se valga di più conservare la pax coniugale o lasciarsi andare a nuove emozioni...
Altre scene da un altro matrimonio. Non a caso i due amanti si chiamano Johan e Marianne, proprio come i due protagonisti della celebre saga bergmaniana. Nello sconquasso degli affetti e delle certezze, chi andrà a pezzi è Esther, la moglie, che tutto sa fin dall'inizio, che ama il marito e invano resiste sperando che tutto torni come prima. La metafora del cuore infranto diventa realtà: un infarto, ed Esther muore.
Johan, annientato dal senso di colpa, è pietrificato dal dolore. Ma il miracolo è in agguato. Alla veglia funebre si presenta l'«altra», chiede di star sola con la cara salma, la bacia sulle labbra.
Una richiesta di perdono, un atto d'amore. Tant'è che la morta resuscita. E nessuno sembra stupirsi più di tanto. Perché da quelle parti i miracoli accadono a ogni momento, a ogni sorgere del sole, a ogni spuntare di stelle.
Una resurrezione che ieri ha fatto tirare in causa Dreyer e il suo celebre Ordet. «E' uno dei miei film preferiti, ma credo che qui siamo su altri fronti - risponde Reygadas - . Per Dreyer il miracolo è opera di Dio, per me dell'uomo. Uno evento "straordinario", proprio come la vita e la natura». Un miracolo laico, insomma. Alla Tarkovsky. La prova che si può morire di dolore ma anche rinascere per amore. «Un messaggio che, dopo lunghe discussioni, è stato considerato giusto dai Mennoniti, che hanno seguito con partecipazione le riprese, ci hanno ospitato, hanno diviso la loro mensa con noi», racconta il regista, arrivato al Festival con il suo cast di non attori, spaesati tra tanto caos, ma anche molto incuriositi.
E' per riguardo verso di loro che stavolta le scene di sesso sono così caste, discrete, rispetto alle choccanti performance di Battaglia nel cielo? «No di certo, è il film che impone il modo di essere girato, non gli attori. Qui tutto è sottinteso, meno esplicito ma non meno erotico». Ma alla fine, che ne pensa lei della fedeltà? «Da giovane la vedevo come una limitazione, un'imposizione della società. Ora non ne sono più così sicuro. Non l'escludo, ma credo che non debba diventare sistematica. Troppi problemi. Però ogni tanto, di rado, può capitare...».

Repubblica 23.5.07
La sinistra nella crisi della politica
di Ezio Mauro


CI SONO due strade per cercare di uscire dalla crisi della politica che è sotto gli occhi di tutti. La prima, è quella di denunciare i ritardi e gli abusi della classe dirigente – tutta – lavorando per una riforma del sistema che è necessaria e urgente, ma che forse è ancora in tempo per salvare le istituzioni dal collasso e per evitare che l´antipolitica diventi il sentimento prevalente del Paese. La seconda, è quella di puntare direttamente sul collasso del sistema, vellicando l´antipolitica per arrivare se non a una seconda ribellione popolare in quindici anni almeno a una delegittimazione dei poteri costituiti: in modo da aprire la strada agli "ereditieri", quel pezzo di classe dirigente che non sa fare establishment ma sa proteggere molto bene la sua dubbia imprenditorialità e la sua scarsa responsabilità, sperando addirittura di ereditare il Paese. Come se in una democrazia, anche malata, la cosa pubblica fosse scalabile al pari di un´azienda in crisi, trasferendo in politica il network italiano delle scatole cinesi che consente di comandare senza essersi guadagnati il comando, senza aver costruito o almeno riammodernato qualcosa – come un partito, un movimento, un sistema culturale – che parla ai cittadini e raccoglie il loro consenso semplicemente perché "poggia su una intuizione del mondo".
Bisogna dire che i partiti e i loro leader fanno di tutto per deludere chi crede nella prima strada, e aiutano chi punta sulla seconda. Solo la cecità e la sordità italiana consentono di dire che l´allarme nasce oggi, all´improvviso. In realtà, prima di Natale il Presidente della Repubblica Napolitano (destinato ad avere un ruolo come quello di Pertini, denunciando la crisi del mondo da cui proviene) aveva parlato chiaro e forte, lanciando un vero e proprio allarme per la "tenuta" della democrazia, lamentando il "distacco" tra politica, istituzioni e cittadini, ammonendo tutte le parti politiche, perché nessuna si illudesse di "trarne vantaggio". Cosa ci voleva di più? Siamo da almeno cinque mesi davanti al rischio conclamato di una regressione democratica, con lo Stato che ritorna Palazzo, separato, trent´anni dopo.
È chiaro che la sinistra, guidando il governo e il Paese, ha le responsabilità maggiori di questo disincanto democratico, ed è naturale che ne subisca le conseguenze maggiori, in termini di consenso. Ma è altrettanto chiaro – e ripeto quel che ho scritto altre volte – che c´è qualcosa di più generale, di sistemico, che sta intaccando le istituzioni e corrode lo stesso discorso pubblico senza distinzioni, perché salta ogni intermediazione riconosciuta e accettata, sia di tipo organizzativo che di tipo culturale, dunque è la doppia anima della politica che viene colpita. Tutta la politica.
Quando il sistema dei partiti fa lievitare in modo indecente i costi della politica e si trasforma in "classe" privilegiata, autoprotetta e onnipotente, controllando gli accessi, premiando l´appartenenza, puntando sulla cooptazione dei fedeli e dei simili, lottizzando ogni spazio pubblico con l´umiliazione del merito, corrodendo così la stessa efficienza della macchina statale, allora diventa impossibile fare distinzioni tra destra e sinistra. Quando a tutto questo si aggiunge da un lato l´esercizio disinvolto e automatico del denaro pubblico per mantenere e far crescere questo sistema autoreferenziale e dall´altro lato l´esibizione pubblica dei privilegi, diventa difficile non parlare di "ceto separato", un tutt´uno dove le differenze culturali e politiche che – per fortuna – dividono e connotano i due schieramenti di destra e sinistra finiscono per essere travolti dal sentimento indistinto di rifiuto e di lontananza che cresce tra i cittadini.
Naturalmente l´anima originaria di Berlusconi, il suo istinto mimetico del senso comune dominante e il carattere della destra italiana possono portarlo a fingere di interpretare il risentimento democratico come una sua possibile politica, perché in realtà l´antipolitica è una forma primaria di espressione del populismo, che se ne giova mentre la nutre. La sinistra, semplicemente, non può. Questo sentimento di progressiva perdita della cittadinanza – perché di questo si tratta – la colpisce al cuore, distrugge il canale di dialogo e di incontro con la sua gente perché fa venir meno una piattaforma identitaria comune, ogni appartenenza sicura, qualsiasi cultura di riferimento: come se con l´agibilità dello spazio politico pubblico venisse a mancare un territorio in cui muoversi da cittadini consapevoli dell´ambito di libertà nostro e altrui, del portato di storia e di tradizione che ci definisce, dei nostri diritti e dei nostri doveri. In questo senso, è drammatico il vuoto di ogni proposta di cambiamento nel costume e nel metodo politico (la rinuncia alla lottizzazione, la riduzione drastica del numero dei ministri, il rifiuto dei privilegi, la riorganizzazione del tempo di lavoro del parlamento) da parte del centrosinistra tornato al governo, dopo il quinquennio berlusconiano. La sinistra radicale, mentre vuole cambiare il mondo vuole intanto cambiare anche il cda delle Ferrovie, per avere un posto. La sinistra riformista, non vede la riforma più urgente: e che credito riformatore può avere – si è chiesto qui Adriano Sofri – una politica che non mostri di saper riformare se stessa?
Un ritardo reso tragico dal paragone con i tempi del nuovo presidente francese Sarkozy, che in due giorni ha fatto il governo, lo ha ridotto ai minimi termini, lo ha rinnovato per metà con ministri-donna. Un ritardo reso amaro dall´abbandono di Blair, che lascia il governo inglese all´età in cui da noi normalmente vi ci si affaccia e lo fa nella convinzione di poter avere una "second life" altrettanto piena e soddisfacente, cancellando lo stereotipo della politica non come professione, ma addirittura come vitalizio. Sia in Francia che in Gran Bretagna, nei discorsi di addio e di investitura la retorica dei leader usa la coppia concettuale formata da "io" e "voi", due parole che trasmettono molto semplicemente l´idea del vincolo di mandato e anche l´idea del vecchio partito come animale politico vivo e vitale, soggetto politico obbligatorio di riferimento, anche per leader carismatici e decisionisti.
Da noi, i partiti sono nati tutti mercoledì scorso, non hanno storia, tradizione, valori consolidati, una cultura di riferimento: tutte quelle cose che fanno muovere e garrire le bandiere, che infatti non ci sono, o restano ammosciate. Anche qui, ancora una volta, la nuova destra berlusconiana prende a prestito i valori e i precetti nel deposito di tradizione millenaria della Chiesa, mentre riempie il vuoto culturale con un carisma vagamente paganeggiante e idolatrico che finge di restituire la politica ai cittadini trasformati in folla mostrando il corpo mistico del leader: mentre in realtà sottrae loro ogni partecipazione reale e per sempre, ipotizzando addirittura una successione in forma dinastica, capricciosa e incontrollabile, comunque autocratica.
Ma la sinistra, quanto può resistere sul mercato politico senza una rifondazione di pensiero, senza idee-forti che diano sostanza alla sua politica, la pre-determinino, e parlino della vita e della morte, dei grandi temi, al cittadino? La parte radicale ha ancora il comunismo nelle sue bandiere, e finché dura quel simbolo sconfitto dalla tragedia che ha suscitato, ogni altra idea non è accostabile. I Ds sembrano credere che diventare riformisti significhi annacquare ogni mattina la propria identità nel mare turbolento del senso comune altrui. Come se gli strumenti propri di una sinistra riformatrice, serena e radicale insieme, non fossero oggi probabilmente i più adatti a governare le contraddizioni della fase: basterebbe saperlo, e usarli, a partire dalla laicità.
Davanti a questi ritardi conclamati, al camaleontismo della destra, alle cifre del disincanto svelate da Ilvo Diamanti, la sinistra ha tuttavia una carta, che è il Partito democratico. Può banalizzarla, come sta facendo, giocandola tutta dentro il mondo chiuso degli apparati, facendo di questo partito l´ultima della creature politiche del Novecento, e allora si misurerà soprattutto il ritardo, l´affanno, il costo tardivo dell´operazione. Oppure, può farne il primo soggetto diverso del nuovo secolo, per una nuova politica, contagiando la "cosa" che dovrà nascere nella sinistra radicale, e forse persino il futuro partito conservatore, a destra. Un partito, ha scritto Mario Pirani, forte perché leggero, potente in quanto disarmato: e soprattutto, scalabile, infiltrabile, contendibile. Da qui non si scappa: perché la riforma della politica parte da qui, se si vuol fare sul serio.
Altrimenti, si inseguirà il fastidio popolare crescente, da gregari spaventati, sperando che non si condensi in quell´antipolitica in cui si entra tutti insieme, ma si esce soltanto a destra. Sperando in più di evitare un nuovo collasso e una nuova supplenza, anche perché non sempre il supplente si chiama Ciampi. "Benissimo il Governatore – diceva allora l´avvocato Agnelli – ma ricordiamoci che dopo di lui c´è solo un generale o un cardinale". I generali non so, ma i cardinali sarebbero anche pronti. Proviamo a dire che non è il caso, perché non ce ne sarà bisogno.

Repubblica 23.5.07
Quando la ragione
di Umberto Galimberti


È bene ricordare che la parola "ragione", in latino ratio, nasce in ambito economico come regolatrice degli scambi, per cui chi riceve deve corrispondere, a chi dà, qualcosa di equivalente, secondo il principio del reddere rationem.
Prima dell´introduzione del "valore di scambio" a regolare i rapporti era lo "scambio simbolico" che si esprimeva nella rapina o nel dono, in cui cioè si celebravano i rispettivi rapporti di forza: o nella forma aggressiva di chi era in grado di appropriarsi dei beni altrui senza contropartita, o nella forma munifica di chi nel dono celebrava la sua potenza e insieme la sudditanza del beneficiario.
Introducendo il principio che chi riceve nello stesso tempo deve dare, non è più in gioco l´esercizio di potenza delle soggettività, ma il calcolo oggettivo del valore delle cose. Così nasce il "mercato", che organizza una società in funzione di detto calcolo, al punto da sostituire progressivamente, al dominio dell´uomo sull´uomo, il dominio dell´apparato calcolante, alla cui razionalità si sottomettono sia il lavoratore sia l´imprenditore i quali, sia pure nella differenza delle loro mansioni, si configurano come funzionari dell´apparato. In questo modo si vanifica ogni ipotesi rivoluzionaria perché, come ci insegna Hegel, la rivoluzione è possibile quando in gioco c´è il conflitto di due volontà, ma non quando la razionalità del mercato le subordina entrambe a sé, annullando il loro potenziale conflitto.
Disciplinando l´impulso al guadagno e depurandolo dai suoi aspetti irrazionali e violenti, il mercato traduce la ragione occidentale in ragione economica, che, nel tendere a un guadagno non occasionale ma continuativo, evidenzia in ogni passaggio il motivo che solo la razionalità è condizione di redditività, perché, risolvendo ogni attività lavorativa in prestazione funzionale, la depura da ogni ideologia, risolvendola nell´ambito della ragione tecnica.
Sotto il dominio della ragione tecnica, l´uomo incomincia ad uscire dalla scena della storia perché: come soggetto di bisogni è assolutamente ininfluente, in quanto i suoi bisogni hanno la possibilità di essere soddisfatti solo se compatibili con la redditività del calcolo economico, mentre come soggetto di azioni (siano esse lavorative, siano esse imprenditoriali) la sua rilevanza è data dalla sua produttività in ordine alla redditività economica, in riferimento alla quale, l´uomo e i suoi scopi sono ridotti a semplici grandezze variabili nel calcolo delle possibilità di guadagno e di profitto.
Ma l´economia (di mercato), dopo aver sottratto gli scambi alla logica della rapina e del dono per sottometterli a un regime di razionalità, soffre ancora di quell´elemento irrazionale, tipico delle passioni, che è la passione per il denaro, da cui la tecnica è tendenzialmente immune, perché non ha come suo scopo il profitto, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non svela la verità, semplicemente funziona. E siccome il suo funzionamento è diventato planetario, planetario è diventato il suo tipo di razionalità che si è soliti chiamare "strumentale", in quanto ha la sua misura nel massimo dell´efficienza, espressa dal miglior rapporto tra i costi impiegati e i risultati raggiunti.
Per la tecnica, e per la razionalità che la governa, modello di efficienza e di funzionalità è la macchina, che non soffre di quegli "inconvenienti umani" che sono lo stato di salute, la variazione degli umori, i ritmi di efficienza, i livelli di precisione, che fanno sentire l´uomo inadeguato rispetto alle macchine che impiega, anche perché dette macchine, dal computer al cellulare giusto per fare degli esempi, incorporano una quantità tale di cultura oggettivata, da far apparire la cultura soggettiva di chi la impiega in tutto il suo limite e la sua inadeguatezza.
Eppure, anche se nel complesso macchinale l´uomo percepisce se stesso come il congegno più asincronizzato, può davvero la ragione strumentale della tecnica, che utilizza solo il pensiero calcolante regolato da criteri di efficienza, produttività, obbiettivi a breve e medio termine, essere all´altezza della globalizzazione del mercato che, per essere compresa, richiede competenze antropologiche per entrare in relazione con altre culture e visioni del mondo di cui il pensiero calcolante è del tutto sprovvisto?
Se il tipo di pensiero è limitato al calcolo tipico della ragione strumentale, forse le imprese che si regolano esclusivamente su questo tipo di pensiero si precludono la capacità di anticipare e governare i cambiamenti, col risultato che avranno sì una storia, ma non un futuro, per aver trascurato il capitale umano che ha ritmi di accumulazione radicalmente diversi dal capitale finanziario. Se quest´ultimo infatti si misura sui tempi brevi del rendiconto trimestrale e della quotazione in borsa, il capitale umano esige un respiro più lungo e una forza che si conquista per maturazioni e arricchimenti successivi, di cui il pensiero calcolante non ha la più pallida idea.

Repubblica 23.5.07
Se il mistero di Rignano diventa un'altra Cogne in tv
di Francesco Merlo


Rignano come Cogne, anzi peggio? Se quella fu l´orgia del macabro e del raccapricciante qui c´è il rischio della profanazione dell´infanzia. Ci sono infatti gli adulti che discutono di violenza sessuale sui bambini ed è tutto un accennare, una fuga nell´eufemismo, una ricostruzione necessariamente oscena, un gusto che anche senza volerlo rimanda alla morbosità.
Ce ne accorgiamo anche noi che adesso ne stiamo scrivendo: Rignano è una trappola nella quale noi giornalisti non dobbiamo cadere. Ed è curioso che proprio Bruno Vespa, così cauto in politica, finga di non sapere che a troppo raccontare un delitto sempre si corre il rischio di commettere un altro delitto. C´è il racconto del delitto e c´è il delitto del racconto.
Vogliamo dire che ormai in Italia non c´è notizia di uno stupro che non diventi stupro di una notizia. E che, dunque, con orrore stiamo assistendo alla veloce trasformazione di una orribile vicenda di presunta pedofilia o anche, se volete, di presunta malagiustizia, in un nuovo abuso del diritto di cronaca, nell´accanimento giornalistico su dei bambini che, abbiano o no subito quelle violenze sessuali, sicuramente ora sono carne da insaccare nel salsicciotto del talk show, sono animali da laboratorio per la macelleria dell´informazione. Com´è possibile che anche i colleghi più sensibili, perspicaci e intelligenti non si fermano dinanzi alla sconcezza? Secondo noi, nasconde sempre qualcosa di malato l´uomo che non chiude le palpebre davanti a una piaga. E non è civile l´idea che il diritto di cronaca significhi infilare il naso nelle nefandezze.
Diciamo la verità: il caso Cogne ci aveva colti impreparati. Non avevamo capito subito quello che stava accadendo nell´informazione italiana. In molti ricordano l´iniziale spaesamento e poi il crescente disagio dinanzi alla rappresentazione della violenza, alla voglia di mostrare nel dettaglio lo scempio di un corpicino, all´indugiare sul particolare raccapricciante, al calcolo dei colpi mortali, al dilungarsi sull´efferatezza, allo spacciare per scienza il bla-bla vanitoso degli psicologi del sabot assassino, alla sanguinolenta esibizione di sapere degli esperti di tragedie greche, alla truce chiacchiera su criminologia, cervello e maternità. Insomma, ci abbiamo messo un po´ di tempo a capire che dietro l´eccesso di cronaca c´era la morbosità, e che non si trattava di analisi fredda e neppure di resoconto intelligente ma di compiacimento.
Ora però lo sappiamo. Adesso capiamo quel che accade mentre accade. E dunque adesso dobbiamo dirlo subito: quel che rischia di tornare fuori, anche attorno a Rignano Flaminio e alla pedofilia, non è il buon giornalismo, ma una roba da pattumiera dell´anima, una immondizia adatta al giornalismo-immondizia e non certo alla Rai, a Mediaset, ai grandi quotidiani e ai settimanali italiani che, come già denunziò l´allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2003, «danno un rilievo altissimo ai fatti di violenza», eccedono, insistono, scavano con un furore che «finisce per dare ai quei drammi una valenza esemplare che essi sicuramente non hanno», e alla fine questa "gutter press", questo giornalismo da rigagnolo, commette «un grave attentato alla dignità umana».
Si sa che la dittatura fascista aveva abolito la cronaca nera ritenendola eversiva e si capisce che il giornalismo italiano si sia liberato liberando il diritto di cronaca. Noi non pensiamo che la rappresentazione, il racconto, la fotografia, la discussione anche quella inutile e oziosa sulla violenza, debbano essere denunziate più della violenza stessa. Ma una cosa è raccontare che c´è stato un caso di harakiri e un´altra mostrare lo sparpagliamento delle viscere. Ci sono cose che debbono essere fatte perché sono importanti. Il magistrato per esempio deve indagare, indagare e indagare, così come il chirurgo deve operare. Ma l´operazione non si fa a "Matrix". E i processi si celebrano in tribunale. Fa bene il macellaio a squartare il vitello, ma non certo davanti a un pubblico pagante.
E non fidatevi dell´indignazione morale che diventa spettacolo, non fatevi prendere dal "serial" sul giallo di Rignano, respingete l´idea "neutrale" di mettere a confronto in televisione i genitori e i presunti pedofili, non credete a chi vi spaccia l´abuso di cronaca come educativo, a chi cerca in televisione la verità senza tabù, a chi vende "la necessità di sapere". Chi davvero si indigna capisce che ci sono degli eccessi dinanzi ai quali solo il silenzio è l´atteggiamento adeguato. Ci sono casi di abbrutimento della vita che sono così eccezionali da meritare professionalità eccezionali che sappiano, quando occorre, anche chiudere gli occhi per pietà.

Il Messaggero 23.5.07
Dico, un sondaggio dietro la svolta di Fassino. Il 25% a messa ogni domenica
Cattolici il 70 per cento dei ds
di Mario Ajello


LA CHIESA non è un bunker. Quella di San Giovanni non è stata né una piazza sanfedista né una piazza di destra. La Cei di Bagnasco forse non è esattamente quella di Ruini, e comunque a sinistra si nota con speranza come il nuovo capo dei vescovi ci tenga a sottolineare l’afflato sociale e solidaristico del cattolicesimo anche in epoca ratzingeriana. E dunque, se non sono “loro” a mettere steccati invalicabili e a spingere sul pedale delle incompatibilità fra laici e cattolici, perché dovremmo essere “noi” a rispolverare al contrario lo spirito di crociata? Ecco il ragionamento che si sta facendo ai piani alti della Quercia.
Lassù sono diventati tutti clerical? O forse teo-dem? Anzi togliattiani fuori tempo massimo, perché non solo la «storia si ripete» ma «la storia si riprete»? Più banalmente, si tratta di un fatto di numeri. Quelli che Piero Fassino ha ricevuto sul suo tavolo di lavoro, contenuti in un sondaggio sorprendente e capace insieme ad altri motivi fra cui la certezza che i Dico in Parlamento non passeranno mai di spingere a una nuova strategia dell’attenzione, o della «mano tesa» come la chiama il leader diessino, verso il cattolicesimo modello piazza San Giovanni. Quello da non regalare a un eventuale Partito di Dio, collocato né di qua né di là ma più di là che di qua, magari guidato da Savino Pezzotta. «Bravo Fassino!», come dicono i teo-dem del centro-sinistra, l’Udc, i cattolici di An ma non la Finocchiaro né la Bindi né la Pollastrini? Non si tratta di essere bravi o no, ma di saper leggere questi numeri forniti al Botteghino dalla Swg. Il 25 per cento dell’elettorato dei Ds è costituito da cattolici praticanti, cioè quelli che vanno a messa ogni domenica. A questo 25 per cento, si aggiunge un 46 per cento di altri elettori della Quercia che si dicono «cattolici praticanti saltuari», ossia vanno a messa una volta al mese. La somma di 25 più 46 fa 71: dunque il 71 per cento degli elettori della Quercia sono, in varie forme e gradi, cattolici. «Soltanto il 29 per cento dei votanti di questo partito alle ultime elezioni fa notare Roberto Weber, titolare di Swg dichiara di essere ateo o osservante di un’altra religione». Dai numeri emerge che, alle elezioni del 2006, i cattolici che votano Forza Italia sono il 19,1 per cento. Ma dopo quello berlusconiano, il secondo partito più votato dai cattolici è la Quercia con il 13,9. Il terzo è An con il 9,8 e il quarto la Margherita con l’8,5. Sommando Ds e Margherita, si arriva a quota 22,4 per cento: tanti sono i cattolici che votano questi due partiti. E dove già si sono presentati insieme, nella lista dell’Ulivo alla Camera, hanno raccolto il 25,3 per cento di elettori cattolici. «Questo dimostra spiega l’onorevole Mimmo Lucà, diessino dei Cristiano Sociali che hanno promosso questo sondaggio che i cattolici preferiscono tendenzialmente un partito unitario, piuttosto che la divisione fra Margherita e Ds».
Di sicuro, il profilo religioso e culturale della Quercia viene ridisegnato sulla scorta di questi dati. E un partito così potrà mai andare allo scontro con Pezzotta? Infatti non ci va. Una delle domande del sondaggio è questa: «Lei potrebbe votare il Partito Democratico?». Il 39 per cento dei cattolici praticanti ha risposto di sì. E tra gli elettori cattolici di centro-destra, il 17 per cento dice di poter prendere in considerazione l’idea di votare Pd. Si tratterà allora, da parte del nuovo partito, di provare a sfondare in quelle aree (Follini è già nel Pd, ma il lavoro da fare supera di gran lunga il singolo abbraccio a qualche personalità) moderate e centriste e cattoliche non di sinistra potenzialmente raggiungibili, almeno secondo queste stime, sull’onda della nuova filosofia che ispira il Partito Democratico. Quella, coniata da Ulrich Beck, dell’intreccio e della sintesi fra spunti e culture diverse all’insegna dell’“e e”, anzi dell’“et et” come dice in latinorum lo studioso tedesco.
E i Ds? Rieccoli, ma sotto una luce nuova: quella della Quercia «cattolica adulta» che addirittura il 30 per cento dei cattolici praticanti, quelli da una messa a settimana, affermano di poter eventualmente votare. Riuscire a raggiungerli sarebbe un capolavoro di equilibrio oppure se l’equilibrio non regge un’estrema resa, con tanto di bacio di pantofola papale, alle ragioni della Chiesa, con ovvio disgusto elettorale da parte dei laici e perfino dei laicisti che ancora si riconoscono in questo partito. Che non a caso ha scelto di stare, l’altra volta, né a piazza San Giovanni al Family Day né a piazza Navona fra i No Vat. Intanto conclude Lucà: «E’ naturale che Fassino e il gruppo dirigente dei Ds, anche per la composizione dell’elettorato di questo partito e per la consapevolezza di quanto sia ampia la componente di cattolici che lo votano e lo voterebbero, abbiano intrapreso una politica di dialogo e di apertura sul terreno dei temi etici, della famiglia, della solidarietà, della vita».
Attenzione però, aprendo e contaminando, mescolando e mescolandosi, a non produrre come non pochi paventano un Pd cui viene aggiunta la lettera “c”: non Partito Democratico, ma Partito Democratico Cristiano. Ma i primi a dolersi, se si va in overdose, sarebbero proprio i Ds.