venerdì 1 giugno 2007

il manifesto 1.6.07
La ricerca delle «Alternative» e l'autocoscienza del leader
In edicola la nuova rivista teorica di Bertinotti «per una società liberata è aperta». Battezzata questa mattina da Massimo Fagioli. Scoppia la scintilla tra i militanti senza identità e una politica narcisista?
di Ida Dominijanni


Alternative, ovvero «ciò che è maturato nel nuovo secolo nella critica della globalizzazione capitalistica; la trasformazione (e l'autotrasformazione) delle soggettività come leva di 'un altro mondo possibile'». Per il socialismo, ovvero «per una società liberata e aperta: liberata dallo sfruttamento e dall'alienazione capitalistica, aperta nella possibilità che offre a ciascuno e ciascuna di vivere la libertà e la propria irriducibile differenza». Il programma del nuovo bimestrale di Fausto Bertinotti, Alternative per il socialismo appunto, che esce oggi edito da Editori riuniti e distribuito in edicola da Left, si riassume in queste righe tratte dagli «Appunti» che in coda al primo numero restituiscono lo schema di base su cui la rivista è stata progettata e discussa con un gruppo di collaboratori (in questo primo numero scrivono fra gli altri Rina Gagliardi, Tiziano Rinaldini, Riccardo Bellofiore, Ali Rashid, Ritanna Armeni, Lea Melandri, Anubi D'Avossa Lussurgiu, Lea Melandri, Sandro Portelli, Domenico Jervolino, Giuseppe Prestipino).
Un progetto iperpolitico, anche se è lo stesso Bertinotti, nell'editoriale di presentazione anticipato ieri da Liberazione, a insistere sulla necessità prioritaria di una «grande opera culturale» rivolta non solo a un'avanguardia politica ma «all'intera società che vogliamo trasformare», investita com'è da una crisi che non si presenta più solo come crisi della democrazia, della politica, del capitalismo, della classe omai precarizzata, ma come «crisi di civiltà». L'opera culturale è finalizzata tuttavia a uno scopo preciso, riaprire «una linea di ricerca per la rivoluzione in Occidente», giacché «la vocazione totalizzante del capitalismo, cioè la sua aspirazione a sussumere, dentro di sé, l'intera vita della specie e il suo rapporto con la natura» riporta all'ordine del giorno «il tema del socialismo oltre il Novecento». Tema che tuttavia - e qui torniamo agli «Appunti» - ha bisogno di una coraggiosa sferzata di revisionismo culturale, di segno opposto rispetto a quello egemone dall'89 in poi nella sinistra moderata.
Alla chiave marxiana - che «resta fondativa ma non è esaustiva» - la traccia di lavoro per la rivista ne affianca perciò altre, prima fra tutte un'ispirazione benjaminiana, dalla quale Alternative trae per un verso la critica dell'idea di progresso, per l'altro la riproposizione del «balzo di tigre» nella storia: ovvero, come ripensare il salto rivoluzionario, sia pure all'interno di un processo di trasformazione disteso nel tempo. Va da sé che sia per ingranare la marcia della trasformazione sia per aprirla al salto rivoluzionario serve una buona analisi del capitalismo globale, del lavoro salariato e del nuovo proletariato postindustriale, della crisi della democrazia, nonché un fertile intreccio fra storie generazionali diverse e fra contraddizioni e soggettività diverse, queste ultime purtroppo ancora rubricate come «vecchie» (la classe) e «nuove» (genere, generazione, etnie) mentre la storia ce le presenta già intrecciate da decenni se non da sempre. Va da sé, infine, che il lavoro di Alternative dovrà nutrire la costruzione di quella sinistra di alternativa cui Bertinotti affida il compito di riempire «il vuoto politico» che c'è a sinistra, facendo leva sulla «risorsa» del movimento altermondialista e degli altri movimenti; quanto alla pratica, la stella polare, senza o con il balzo di tigre, resta la non violenza e di più non si dice.
E a proposito di pratica, non dev'essere senza significato che Alternative per il socialismo venga battezzata questa mattina alla Sala Sinopoli dell'Auditorium di Roma in un incontro fra il presidente della camera e l'«Analisi Collettiva» di Massimo Fagioli, il terzo solenne incontro dopo quello che il 5 novembre 2004 lanciò la «svolta» della non violenza a Villa Piccolomini e quello che il 26 luglio 2005 lanciò il programma di Bertinotti per le primarie alla Libreria «Amore e psiche» di Roma. Infatti non senza significato lo giudica per l'Analisi Collettiva Federico Masini, preside della facoltà di Studi orientali alla Sapienza, che officerà il battesimo e a buon diritto incassa la «novità storica» dell'incontro fra la ricerca di Bertinotti su «una democrazia socialista che non c'è mai stata» e «la ricerca sulla realtà inconscia» che non un secolo di psicoanalisi, ma «35 anni di Analisi Collettiva hanno dimostrato conoscibile». E non lo giudicherà d'altro canto senza significato chiunque conosca il percorso dell'Analisi Collettiva di Fagioli, la sua fascinazione sulla crisi dei gruppi dell'estrema sinistra alla fine degli anni Settanta, la sua pratica terapeutica basata sul culto della personalità, la sua politica di autopromozione, così come oggi vengono del resto raccontate nei blog frequentati da chi quell'esperienza l'ha fatta e l'ha poi messa in questione. Per la cultura della sinistra italiana, che ad un confronto serio con la psicoanalisi e «la realtà inconscia» non è mai stata sensibile, l'incontro dell'Auditorium non pare la migliore occasione di recupero. E comporta almeno una domanda, questa: se alla fine degli anni Settanta la fascinazione dell'Analisi Collettiva sugli ex militanti della nuova sinistra poteva far leva sulla promessa del ritrovamento di un'identità di gruppo perduta nella sconfitta e nella delusione politica, non è che sui militanti senza identità di oggi rischia di far presa solo grazie al collante del narcisismo del leader?

il manifesto 1.6.07
L'analisi collettiva di Fausto
Tutto esaurito per l'incontro all'Auditorium Debutto con incidente: «Left» verso lo sciopero
La sorpresa è un comunicato della redazione pubblicato proprio oggi, nell'edizione di "Left" che serve a portare in edicola il primo numero di "Alternative". «La redazione di "Left Avvenimenti", i poligrafici e i lavoratori Co.co.pro esprimono, a grande maggioranza, la loro forte preoccupazione per l'annunciato ridimensionamento. Chiediamo al Cda di informare al più presto i lavoratori su come intende affrontare la situazione e comunque di impegnarsi a garantire i posti di lavoro». Nel comunicato si annuncia lo «stato di agitazione» e in redazione non si esclude lo sciopero se l'editore proporrà tagli occupazionali. O magari la sostituzione della coppia di direttori, Andrea Purgatori e Alberto Ferrigolo, che firmano il giornale solo da cinque mesi. L'amministratore delegato di "Left", nonché direttore editoriale nonché firma frequente del giornale Luca Bonaccorsi replica al comunicato ricordando di essersi economicamente molto impegnato, dopo il suo arrivo nel dicembre 2005. Due mesi dopo aveva già sostituito una coppia di direttori: Giulietto Chiesa e Adalberto Minucci. Per il direttore di "Alternative" Bertinotti la sgradevole sorpresa di una protesta sindacale proprio al debutto. E la compagnia dello psichiatra Massimo Fagioli, rubrichista fisso e persino inventore della testata «Left».
Agi
BERTINOTTI E IL LUNGO ABBRACCIO CON IL 'POPOLO' DI FAGIOLI
(AGI) B Roma, 1 giu. - L'applauso e' scrosciante, straordinariamente lungo; prima, durante e dopo l'incontro durato almeno tre ore. Un abbraccio con standing ovation e urletti di consenso da un pubblico numeroso, attento, ma anche capace di critica come raramente si potrebbe riscontrare oggi a manifestazioni di partito. Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha incontrato all'Auditorium di Roma, per la seconda volta dopo l'appuntamento del novembre 2004, quando era ancora segretario di Rifondazione comunista, il 'movimento' dello psichiatra, Massimo Fagioli, in una sala Sinopoli strapiena e in collegamento video con una altrettanto gremita sala Petrassi. "Riscontro un elemento straordinario di partecipazione, di interesse alla cultura politica", ha detto Bertinotti al termine dell'incontro definito dai promotori "dell'analisi collettiva", dedicato alla "cultura socialista" dopo la fine del comunismo. Emozionato, teso ad ascoltare domande che erano vere e proprie mini-conferenze, il presidente della Camera ha notato: "Non c'e' stato un solo intervento che parlasse di governo, di Prodi, di Berlusconi o dei ministri. Nulla". E poi con una battuta ha sottolineato : "Anche se non dover parlare del governo non e' poi male...". Oltre al numero dei partecipanti, Bertinotti ha evidenziato il metodo del confronto: "La modalita' di assoluta concentrazione, il silenzio, l'attenzione, la manifestazione di affetto di cui sono molto grato, perche' di questi tempi ce n'e' bisogno, mi pare configurino il tutto come un vero e proprio evento culturale". Una ricerca "nel profondo" che parte dall'analisi del collettivo, ma che poi tocca soprattutto l'individuo, l'uomo e che, secondo Fagioli, "e' oggi soltanto di sinistra". Ma Bertinotti, rispondendo alle domande su religione e laicita', ha voluto segnalare la necessita' di respingere qualsiasi elemento "totalizzante, ogni visione manichea. E' vero: io penso che gli ideali di giustizia e di liberta' siano il bene e che la sinistra sia impegnata a rappresentarli, ma quella che va abbondonata e' la presunzione che tu sei il bene e lui e' il male. Bisogna indagare dentro tutte e tutti". (AGI) Cav (Segue) 011528 GIU 07 ZCZC AGI2394 3 POL 0 R01 / (Segue 2385)

Agi
BERTINOTTI E IL LUNGO ABBRACCIO CON IL 'POPOLO' DI FAGIOLI (2)
(AGI) B Roma, 1 giu. - "Nel mio studio alla Camera B ha raccontato Bertinotti - c'e' un quadro di grande forza di Sironi, che un tempo bollavo solo come un fascista e d'altronde uno scrittore come Celine, che ha certamente dei tratti di razzismo nella sua opera, rappresenta per altri versi elementi indispensabili per la modernita'. Per troppo tempo la sinistra si e' cullata nell'idea non vera di una destra rozza e ignorante. La ricerca deve essere aperta e avvalersi di tutti i contributi umani". Quello di Bertinotti e' un no a a "tutti i piu' variegati fondamentalismi a partire da quello oggi trionfante del mercato, a quelli religiosi e delle culture che si ritengono forti. Io non sono per le culture deboli, ma la politica per essere con la 'p' maiuscola deve avere una sua capacita' di fondazione autonoma. Laicita' e' far vivere una fondazione autonoma del progetto politico, cosa che i fondamentalismi vogliono mettere in discussione. Abbiamo un esempio chiaro nella nostra Costituzione, che e' la dimostrazione della possibilita' pratica della politica di costruire la sua autonomia, di disegnare un'idea di societa' nel dialogo tra culture diverse, nato nella Resistenza e nella lotta di liberazione". Quanto al rapporto del personale con il politico, Bertinotti ha detto di "non condividere l'idea della militanza soltanto come sacrificio, a tutto scapito della vita personale. La politica puo' anche realizzare la tua felicita' personale". (AGI) Cav 011532 GIU 07

Agi
BERTINOTTI: QUESTIONE SETTERNTRIONALE? TORNI "VENTO DEL NORD"
(AGI) B Roma, 1 giu. - La sinistra deve saper tornare a far soffiare nelle sue vele quello che Pietro Nenni chiamava il "vento del nord", altrimenti "resta a zero". Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, in occasione dell'incontro a Roma promosso dal movimento dello psichiatra Massimo Fagioli, lancia un allarme e torna sulle indicazioni giunte dal recente voto amministrativo, un esito che richiede alla sinistra "mesi di studio", per affrontare quell'enorme mutamento sociale, economico e culturale che si e' prodotto al nord da "25 anni. Le elezioni - sottolinea Bertinotti- sono soltanto un termometro di un processo che chiunque puo' constatare, attraversando il settentrione d'Italia e vivendo nelle sue comunita', e cioe' del vero e proprio sradicamento della sinistra". Con la Resistenza e subito dopo la guerra ci fu il "vento del nord" e poi negli anni Sessanta e Settanta "il grande ciclo di lotte operaie e studentesche, che aveva rappresentato una cultura prevalente, se non egemone. Ma questa cultura - dice Bertinotti - e' stata sradicata nel ciclo degli ultimi 25 anni, per il quale uno degli elementi fondamentali e' la perdita di ruolo sociale dei lavoratori, la riduzione drammatica del loro potere d'acquisto e il mancato riconoscimento del loro ruolo nella societa'. Un fenomeno molto profondo", legato alla deindustrializzazione comune a tante realta' europee e sul quale "si innestano altri grandi fenomeni", a partire dalla nuova ondata di immigrazione straniera, che "si inseriscono su aree molto sofferenti sul tema dell'identita'". Ma, rileva il presidente della Camera, "se sei espiantato da li', dove si sta determinando una riorganizzazione complessa, economica e sociale, della vita degli individui e della collettivita', allora stai a zero, sei fuori da quello che Gramsci definiva il processo egemonico e sei sei fuori non c'e' salvezza". Per questo "la sinistra di alternativa deve avere una ambizione piu' rilevante di un intervento soltanto di tipo economicistico, deve saper produrre una cultura che determini egemonia, altrimenti nelle valli prealpine prevalgono la paura, la disperazione, l'antipolitica e il populismo sulla cultura della solidarieta' e dell'incontro e li' non schiodi piu'. Chi vuole cambiare il mondo - insiste Bertinotti- deve influire sulla cultura generale del paese, del popolo in cui vive. Occorre tenere insieme il problema della pancia, ma anche quello della testa e del cuore della gente". (AGI) Cav 011423 GIU 07

Agi
BERTINOTTI: FINE COMUNISMO NON DI NECESSITA' LIBERAZIONE
(AGI) – Roma, 1 giu. - "La storia non si riduce mai soltanto alle sue macerie e una sconfitta non segna per forza in modo negativo il valore di una esperienza". Quindi, finito il comunismo viva il socialismo, che "all'inizio, prima delle esigenze statuali imposte dall'Urss, erano la stessa cosa". Il socialismo del XXI secolo, che Fausto Bertinotti vuole contribuire a costruire assieme alla sinistra alternativa in Italia e in Europa.
"Siamo a un bivio – dice il presidente della Camera, in occasione dell'incontro con il movimento dello psichiatra Massimo Fagioli all'Auditorium di Roma –: esaurita la 'pars destruens' e quella della resistenza, attraversata anche da molti elementi di innovazione come la nonviolenza, stiamo entrando in una fase 'constuens'. In Europa e in Italia c'e' bisogno di una sinistra di alternativa in grado di essere protagonista del futuro della storia europea".
La sconfitta della "storia grande e terribile del comunismo, non cancella – secondo Bertinotti – il problema della necessita' della liberazione dall'oppressione e dallo sfruttamento. Tanto piu' nella fase attuale dominata dalla globalizzazione, dalla mercificazione totale delle cose, ma anche degli uomini. Questa societa' in cui siamo e' accettabile oppure no? Io penso di no e, allora, per la politica non c'e' concetto piu' alto che quello di rivoluzione, del trascendere l'ordine delle cose esistente". Non certo una rivoluzione che preveda "l'assalto al Palazzo d'Inverno o metodi di tipo golpista, perche' – rileva Bertinotti – quella che non regge piu' e' l'idea che prima c'e' la presa del potere e poi la sua trasformazione. La rivoluzione deve essere un processo di liberazione e in questo senso la nonviolenza costituisce la rottura con il passato per la sinistra di alternativa".
La nonviolenza e' per Bertinotti "il ponte possibile tra soggetti collettivi e percorsi individuali e il socialismo esce forse ammaccato dalla storia, ma meno di altri. Non pero' il cosiddetto 'socialismo scientifico', segnato da una presunta ineluttabilta' della storia. La liberazione la costruisci soltanto con le tue mani". Anche per questo Carlo Marx e' si' un "pensatore imprescindibile, ma il problema e' il suo oltrepassamento. La nonviolenza non e' una ipotesi da poeti, ma la levatrice di una nuova storia per costruire una sinistra alternativa in grado di avere ambizioni di influenza in Italia e in Europa, di costruire quell'egemonia culturale nella societa' di cui parlava Gramsci. Non si tratta – conclude Bertinotti - di avere qualche deputato in piu' o in meno, ma di raccogliere il compito storico di costruire un nuovo percorso di liberazione". (AGI)

Adnkronos
POLITICA: BERTINOTTI LA CULTURA NON È SOLO DI SINISTRA
A SIRONI UN TEMPO RISPONDEVO CON PICASSO E A DESTRA C'È ANCHE CÈLINE
Roma, 1 giu. (Adnkronos) - "Per molti anni ho pensato che il bene e la sinistra fossero equivalenti, che la cultura di sinistra potesse procedere procedere senza errore, che ogni buona ricerca fosse una ricerca di sinistra. Credo purtroppo che questo elemento rassicurante non si può più sostenere così come quello secondo cui la destra sia sempre priva di capacità di ricerca". Prosegue così il percorso intellettuale di Fausto Bertinotti, che smonta così, davanti alla platea di giovani studenti, studiosi ed esperti di psichiatria, alcune delle vecchie parole d'ordine di un Paese spaccato, forse residuo di una Prima Repubblica dove non c'erano ancora avversari ma solo nemici.
Il presidente della Camera lo fa nel corso del dibattito 'Incontri dell'analisi collettiva: la cultura socialistà, organizzato all'Auditorium della capitale, con la sala Sinopoli gremita di circa 1700 persone, più altre 700 riunite in video-conferenza nella vicina sala Petrassi, tutte accomunate da un esperienza di cui il prof. Massimo Fagioli è il riconosciuto ispiratore. Bertinotti va oltre e, rispondendo ad una psichiatra sostenitrice dell'incapacità della destra di fare ricerca, arriva a citare lo scrittore 'maledettò Louis- Ferdinad Cèline, a rivalutare il razionalismo in architettura e la pittura metafisica.
"Molti anni fa -dice- quando mi chiedevano di Mario Sironi, rispondevo con Picasso, oppure, chessò, l'arte povera. Oggi invece nel mio studio alla Camera c'un quadro di Sironi, che vi assicuro è di una forza straordinaria". Questo per significare che non si può ridurre "tutta l'esperienza umana alle categorie di destra o di sinistra: la ricerca deve essere 'apertà". E quindi, un riconoscimento all'autore di 'Viaggio al termine della nottè: "Per troppo tempo si è identificata la destra come priva di cultura, rozza e ignorante. Ma se prendete Cèline, che è certamente uno scrittore antisemita, non si può negare che sia un'espressione importante della modernità". (Fan/Zn/Adnkronos) 01-GIU-07 14:20

Adnkronos
SINISTRA: BERTINOTTI STUDI RISULTATO NORD E RIFLETTA SU EGEMONIA PERDUTA (2) = IL SOCIALISMO NON PUO' PRESCINDERE DALLA RICERCA DELLA FELICITA' INDIVIDUALE
(Adnkronos) - "La sinistra non può derivare il suo futuro solo da Marx, ma Marx è imprescindibile perchè se tecnicamente è eccepibile" dice Bertinotti citando Colajanni, "politicamente parla ancora". E poi, se la storia del comunismo "è una storia che finisce con una sconfitta -prosegue l'ex segretario di Rifondazione- non sono sconfitte le ragioni per cui quella storia è nata". Pensiamo, esorta ancorta la platea, "a ciò che è accaduto dopo: alla democrazia sotto scacco, all'accentuazione delle disuguaglianze. Tutto ciò ci riporta all'origine, ossia al fatto che non si può precettare una società caratterizzata dall'oppressione e dallo sfruttamento". Senza contare i cosiddetti progressi della scienza e della tecnica che mercificano non più solo il mondo inorganico ma anche il corpo "arrivando al commercio degli organi".
Insomma, un Bertinotti in gran forma davanti ad un uditorio giovane, appassionato, silenzioso, che si adegua a ritmi lenti da terapia collettiva, che a tratti assume i toni di un'elaborazione non ancora perfezionata della fine di quella che fu insieme un'ideologia e un impero. Interventi dalla platea anche lunghi, a volte specialistici sul rapporto tra identità collettiva e identità umana individuale, con divagazioni bibliche, riferimenti alla filosofia greca, al "logos occidentale".
E qui Bertinotti offre un altro suggerimento: "Non si può contribuire alla causa del socialismo senza cercare la propria felicità individuale ed è questo che arricchisce anche la causa generale". Certo, la politica non deve assicurare la felicità, però resta validissimo l'articolo 3 della Costituzione per cui "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...". (segue)
(Fan/Gs/Adnkronos) 01-GIU-07 15:35

Adnkronos
- Il presidente della Camera Fausto Bertinotti mostra di credere alla possibilità che la legislatura completi il suo percorso a condizione che vi sia "uno scatto della politica". Parlando al termine di un incontro con i giovani e con esperti di psichiatria presso l’auditorium della capitale Bertinotti ha detto che la durata della legislatura "dipende dalla capacità della maggioranza e del governo di guadagnare il consenso".
"Penso -ha aggiunto al terza carica dello Stato- che il Paese, come si è visto anche dalle ultime vicende in modo acuto, reclami uno scatto della politica. Poi -ha concluso- non tocca a a me dire come".
(Fan/Zn/Adnkronos) 01-GIU

Adnkronos
NOTIZIE FLASH: 2/A EDIZIONE - L'INTERNO
(10) Roma. "La politica della sinistra dovrebbe mettersi per mesi interi a studiare il risultato del voto espresso dal nord Italia, perchè lì c'è una riorganizzazione complessiva della psicologia indivuduale e collettiva, dei rapporti sociali, delle relazioni tra capitale e lavoro. E se si viene spiantati da lì, significa essere a zero nel processo egemonico". Recupera la vecchia lezione gramsciana, il presidente della Camera Fausto Bertinotti per parlare di attualità rispettando il ruolo istituzionale davanti a oltre duemila tra studenti, professori, psichiatri riuniti all’Auditorium per il dibattito 'Incontri dell’analisi collettiva: la cultura socialistà. "Per una sinistra che voglia essere alternativa -mette in guardia il presidente Bertinotti- è assolutamente necessario avere l’ambizione di produrre cultura, perchè è la cultura che consente di fare politica. Mentre nel vuoto della cultura, e quindi della politica, prevalgono la paura, la solitudine, l’incertezza. E su quello crescerà il populismo, l’antipolitica e la devastazione della cultura della solidarietà". Da dove ripartire? "Quello che conta è l'attraversamento, non solo la meta a cui tendi ma l’umanità con la quale ti rapporti in un cammino" dice Bertinotti, che non lesina accenti autobiografici: "Senza il movimento operaio e la cultura del superamento dell’alienazione e dello sfruttamento del lavoro salariato oggi sarei infintamente più stupido e ho un grande debito di riconoscenza verso quel mondo". E quindi, nessuna nostalgia del comunismo realizzato, anche se "attenzione, anche la socialdemocrazia ha fallito" e "la storia non si riduce mai solo alle sue macerie" ma anche necessità di recuperare il buon vecchio Carlo Marx.

Adnkronos
SINISTRA: BERTINOTTI, STUDI RISULTATO NORD E RIFLETTA SU EGEMONIA PERDUTA
(3) (Adnkronos) - Bertinotti si avvia a concludere, evocando l'immagine di un corteo silenzioso che a Portella della Ginestra ricorda le vittime del massacro dei contadini procedendo sotto le note solenni dell’Internazionale, cita la Resistenza come "educazione sentimentale di una collettività" che seppe dar vita ad una Costituzione espressione delle culture fondamentali d’Italia.
Prova così a coniugare senso di appartenenza aldilà degli incidenti della storia saldandolo ad una missione nel segno della non violenza per evitare "la catastrofe generale" di un mondo dominato dal mercato, dallo sfruttamento, dalla diseguaglianza: "In Italia ci vuole -conclude- una sinistra alternativa con l’ambizione di influenzare la comunità euripea, non di cercare qualche deputato in più. E’ un compito storico. Oggi l’emergenza è il precariato che ti rende solo, disperato, con la possibilità che chiunque ti revochi il contratto... Persino i giornalisti sono da due anni senza contratto".
Ce n'è abbastanza, dunque, per dire cosa deve fare una nuova sinistra, per un Bertinotti che incrocia pubblico e privato, psicologia e politica: "Camminare sulle due gambe: su ciò che non sappiamo dell’uomo e della donna e su ciò che sappiamo dello sfruttamento e dell’oppressione della società". L’esito è, prevedibilmente, una standing ovation, con il presidente della Camera che si inchina, mano sul cuore, a questo popolo in cerca.

Adnkronos
BERTINOTTI, LA CULTURA NON E' SOLO DI SINISTRA
Roma, 1 giu. (Adnkronos) - "Per molti anni ho pensato che il bene e la sinistra fossero equivalenti, che la cultura di sinistra potesse procedere procedere senza errore, che ogni buona ricerca fosse una ricerca di sinistra. Credo purtroppo che questo elemento rassicurante non si puo' piu' sostenere cosi' come quello secondo cui la destra sia sempre priva di capacita' di ricerca". Prosegue cosi' il percorso intellettuale di Fausto Bertinotti, che smonta cosi', davanti alla platea di giovani studenti, studiosi ed esperti di psichiatria, alcune delle vecchie parole d'ordine di un Paese spaccato, forse residuo di una Prima Repubblica dove non c'erano ancora avversari ma solo nemici. (Fan/Zn/Adnkronos)

Ansa
BERTINOTTI, BASTA DIRE CHE BUONA CULTURA SOLO A SINISTRA
RICERCA SIA APERTA, FINE COMUNISMO NON E' FINE LOTTA LIBERAZIONE
(di Francesco Bongarra')
(ANSA) - ROMA, 1 GIU - Applausi lunghi e urla da stadio, ma anche un confronto serrato, serio, pesato, sulla cultura socialista. I protagonisti sono da una parte Fausto Bertinotti, dall'altra circa duemila psicologi e psichiatri seguaci dello psichiatra Massimo Fagioli che periodicamente si incontrano per degli ''incontri dell'analisi collettiva''.
L'occasione dell'incontro, che dura tre ore, e' l'uscita del primo numero di 'Alternativa per il socialismo', la rivista diretta dal presidente della Camera: un po' un idolo per questa platea (lo aveva gia' incontrato nel 2004 quando era ancora ''solo'' segretario di Rifondazione comunista) che gli riserva un'accoglienza piu' che calorosa, con presenze e applausi che ormai difficilmente si vedono nei tradizionali appuntamenti di partito e che resistono solo nelle manifestazioni di movimenti ecclesiali come Cl o i Focolarini.
E i 'Fagiolini' (cosi' si chiamano scherzosamente tra loro i seguaci dello psichiatra) tutto sommato sono una chiesa, con un leader e dei seguaci. Che condividono un cammino e che soprattutto hanno un credo: ''La ricerca sul cosciente e' solo di sinistra'', dice al cronista Fagioli prima dell'inizio dell'incontro. Un concetto ribadito nel primo della decina di lunghi interventi (ciascuno una piccola conferenza) dalla platea, pronunciato con voce lenta e quasi da lettino psichiatrico da una giovane psichiatra. Ma il presidente della Camera spiazza la platea quando sostiene che non e' piu' possibile sostenere che la destra sia ''rozza ed ignorante'' e che non si puo' dire una ricerca ''per essere buona non puo' che essere di sinistra, altrimenti e' reazionaria per definizione''.
"Per molti anni ho pensato che il bene e la sinistra fossero equivalenti, che la cultura di sinistra potesse procedere senza errore, che ogni buona ricerca fosse una ricerca di sinistra. Credo purtroppo che questo elemento rassicurante non si puo' piu' sostenere, cosi' come quello secondo cui la destra sia sempre priva di capacita' di ricerca''. E cita lo scrittore 'maledetto' Louis-Ferdinad Celine, rivalutando il razionalismo in architettura e la pittura metafisica, ma anche la pittura di Mario Sironi, di cui tiene un quadro nel suo ufficio a Montecitorio. ''Non si puo' ridurre - sostiene - tutta l'esperienza umana alle categorie di destra o di sinistra: la ricerca deve essere 'aperta'. Per troppo tempo si e' identificata la destra come priva di cultura, rozza e ignorante. Ma se prendete Celine, che e' certamente uno scrittore antisemita, non si puo' negare che sia un'espressione importante della modernita'''.
Poi Bertinotti parla di comunismo e socialismo, che una volta ''erano termini intercambiabili''. ''La storia - dice - non si riduce mai soltanto alle sue macerie e una sconfitta non segna per forza in modo negativo il valore di una esperienza''. E la sconfitta della ''storia grande e terribile del comunismo, non cancella il problema della necessita' della liberazione dall'oppressione e dallo sfruttamento. Tanto piu' nella fase attuale dominata dalla globalizzazione, dalla mercificazione totale delle cose, ma anche degli uomini. Questa societa' in cui siamo e' accettabile oppure no? Io penso di no e, allora, per la politica non c'e' concetto piu' alto che quello di rivoluzione, del trascendere l'ordine delle cose esistente. Non certo una rivoluzione che preveda l'assalto al Palazzo d'Inverno o metodi di tipo golpista, perche' - aggiunge - quella che non regge piu' e' l'idea che prima c'e' la presa del potere e poi la sua trasformazione. La rivoluzione deve essere un processo di liberazione e in questo senso la nonviolenza costituisce la rottura con il passato per la sinistra di alternativa''.
Quindi, il presidente della Camera invita la sinistra a ''riflettere per mesi'' sulla sconfitta della sinistra al Nord alle ultime Amministrative, che conferma la ''necessita' di una sinistra alternativa''.
Alla fine, tornano gli applausi. E Bertinotti e' soddisfatto. ''Riscontro - dice lasciando l'auditorium - un elemento straordinario di partecipazione, di interesse alla cultura politica. Non c'e' stato un solo intervento che parlasse di governo, di Prodi, di Berlusconi o dei ministri. Nulla. Anche se - conclude con una battuta - non dover parlare del governo non e' poi male...''.(ANSA).

Ansa
BERTINOTTI, DOPO VOTO NORD SINISTRA RIFLETTA
(ANSA) - ROMA, 1 GIU - ''La politica della sinistra dovrebbe riflettere per mesi nello studio del risultato delle ultime amministrative nel nord'': lo afferma il presidente della Camera Fausto Bertinotti intervenendo ad un dibattito su ''La cultura del socialismo'', in concomitanza con l'uscita del primo numero della rivista ''Alternative per il socialismo'' da lui diretta. Bertinotti sottolinea che ''al nord sta intervenendo una riorganizzazione dei rapporti tra economia e politica, tra lavoro e capitale. Se li' vieni espiantato come e' accaduto alla sinistra alle amministrative allora vuol dire che stai a zero con il processo egemonico. In questa condizione non si puo' costruire una sinistra alternativa che e' necessaria: deve essere ambiziosa, intervenire anche al di la' dei semplici ambiti economici e sociali per produrre anche una cultura che determini una egemonia. Diversamente - prosegue - nelle valli prealpine non si schiodi. E finiscono con il prevalere la paura e l'incertezza'' che hanno determinato il successo del centrodestra al nord nell'ultimo voto locale''.(ANSA).

Ansa
BERTINOTTI, SINISTRA A UN BIVIO, ALTERNATIVA SERVE
(ANSA) - ROMA, 1 GIU - ''La sinistra oggi e' a un bivio'': ne e' convinto il presidente della Camera Fausto Bertinotti secondo cui ''serve una sinistra di alternativa in grado di essere protagonista nel futuro in Italia e in Europa''. ''Siamo arrivati ad un punto - spiega Bertinotti - in cui si e' esaurita la 'pars destruens', di resistenza, attraversata anche da molti elementi di innovazione come la non violenza. Stiamo entrando ora in una fase 'construens', nella quale c'e' la necessita' in Italia e in Europa di una sinistra alternativa capace di essere protagonista''.(ANSA).

Asca
BERTINOTTI: SINISTRA ATTENTA, ELEZIONI NORD DIMOSTRANO SUO SRADICAMENTO
(ASCA) - Roma, 1 giu - Fausto Bertinotti mette sull'avviso la sinistra dopo l'insoddisfacente risultato elettorale amministrativo nel Nord del Paese. C'e' bisogno di un'attenta analisi del risultato, a partire dalla constatazione che nell'Italia settentrionale e' in atto - e le ultime elezioni rappresentano solo l'ultimo episodio di questo prcesso - ''un vero e proprio sradicamento della sinistra''. Il presidente della Camera interviene al Parco della Musica ad un dibattito sulla cultura socialista nell'ambito degli ''Incontri dell'analisi collettiva'', organizzati dallo psichiatra Fagioli. Bertinotti non interviene direttamente sugli argomenti di stretta attualita'. Unica eccezione, sia pure in parte, e' il riferimento alla recente tornata elettorale. ''Dopo il voto amministrativo al Nord - dice - la sinistra dovrebbe mettersi per mesi allo studio del risultato''. In quell'area del Paese, sottolinea il presidente della Camera, ''sta intervenendo una riorganizzazione dei rapporti tra economia e politica, tra lavoro e capitale''. Quello che si e' prodotto al Nord, continua Bertinotti, ''e' la storia di 25 anni, di un processo che chiunque puo' constatare''. E' in atto ''un vero e proprio sradicamento della sinistra''. fdv/cam/sr

carta.org
Bertinotti presenta «Alternative per il Socialismo» 1 giugno 2007 E' stato presentato questa mattina all'Auditorium di Roma, da Fausto Bertinotti, il bimestrale «Alternative per il Socialismo», da oggi in edicola con Left. A tenere a battesimo la nuova rivista, che si propone di ospitare argomeni di filosofia e politica per proiettare il pensiero maxiano e non solo verso il futuro, c'erano Massimo Fagioli e Luca Bonaccorsi, direttore di Left, in qualità di intervistatore. La parola «alternative», al plurale, indica un'approccio in cui il pensiero marxista è sì irrinunciabile, ma non è il solo, ha ribadito il Presidente della Camera. Che pure ha sottolineato di esse per un pensiero forte, ma che il pensiero forte va costruito e condiviso, non solo predicato. Dalla platea della sala Sinopoli, pienissima, sono venute molte domande all'indirizzo di Bertinotti, sui problemi attuali come la precarietà, e anche molti interrogativi su cosa sia possibile "salvare" di 150 anni di pensiero marxista. Ma il tema del dibattito ha più volte deviato verso tematiche vicine alla «analisi collettiva» di Fagioli e dei seguaci dei suoi seminari, che costituivano buona parte del pubblico presente in sala.

Dire
GOVERNO. BERTINOTTI: SERVE UNO SCATTO DELLA POLITICA
(DIRE) Roma, 1 giu. - Il governo durera'? Fausto Bertinotti, avvicinato dai giornalisti all'Auditorium di Roma dopo una mattinata di dibattito con gli esponenti delle scuola psicoanalitica di Massimo Fagioli, non e' ne' ottimista ne' pessimista sul prosieguo della legislatura: "Questo dipendera' -afferma il presidente della Camera- dalla capacita' della maggioranza del Governo di guadagnarsi il consenso". Pero' un'indicazione la da': "Penso che il Paese reclami uno scatto della politica. Poi non tocca a me dire come".

Ato/Dim/ Dire
CULTURA. BERTINOTTI: MA ANCHE SIRONI PUO' COMMUOVERE
(DIRE) Roma, 1 giu. - "Ho pensato per tanti anni che tutto il bene stesse a sinistra, ma purtroppo questa rassicurazione non c'e'". Fausto Bertinotti incontra i seguaci di Massimo Fagioli, i cosiddetti "fagiolini", ed espone le sue attuali convinzioni sulla ricerca culturale a fronte di una platea che dice "tutta la buona ricerca non puo' che essere di sinistra". Per farlo cita un artista che certo non e' stato di sinistra- Mario Sironi, un futurista convinto assertore del fascismo. "Non si puo' dire- replica Bertinotti- che a destra c'e' sempre una cattiva ricerca. Ho nel mio studio a Montecitorio una tela di Sironi che e' uno spettacolo commovente".

Apc
BERTINOTTI DA FAGIOLI, OLTREPASSA MARX ED ELOGIA SIRONI E CELINE
Analisi collettiva all'Auditorium: Sinistra si rimetta in cammino
Roma, 1 giu. (Apcom) - La sinistra alternativa, in Italia e in Europa, ha il "grande compito storico" di riorganizzarsi con l'ambizione "di diventare protagonista del futuro della Ue". La "nuova politica" della sinistra deve raccogliere dei "lasciti importanti" dalla sua storia, uno su tutti il pensiero "imprescindibile" di Karl Marx, ma deve essere consapevole che "senza ripensamenti" non potrà riprendere il suo cammino. Il ragionamento, firmato Fausto Bertinotti, non è nuovo. La platea invece è quella molto "comunista", nelle modalità di incontro (sedute di analisi collettive, pubbliche e gratuite) più che nell'aspetto, dei 'fagiolini', gli 'adepti' dello psichiatra Massimo Fagioli, che dal 1975 porta avanti seminari di ricerca collettivi sulla psiche umana, con la convinzione, ribadita oggi, che tale ricerca sia un'esclusiva della sinistra.
Davanti all'accoglienza attenta e calorosa di 1200 persone, riunite nella sala Sinopoli dell'Auditorium (altre 700 si sono dovute accontentare di seguire l'evento dal maxischermo nella più piccola sala Petrassi), Bertinotti, però, smentisce la convinzione del popolo di Fagioli: "La ricerca può avvalersi del contributo di pensieri reazionari; la sinistra per troppo tempo si è cullata nell'idea che la destra fosse ignorante e rozza". Un'idea che, confessa, ha accompagnato anche parte della sua storia personale: "Ho pensato per molti anni che 'bene e sinistra' fossero equivalenti e cioè che la collocazione di sinistra fosse in grado di produrre il giusto e che le buone ricerche fossero tendenzialmente di sinistra". Ora però "credo che purtroppo non sempre si possa avere questo elemento rassicurante e che la destra non è sempre priva di una capacità di ricerca". Per dimostrarlo Bertinotti porta due esempi: "Una volta se mi si chiedeva di Sironi, preferivo parlare di Picasso. Ora nel mio studio ho un suo quadro ed è uno spettacolo commovente". E ancora, lo scrittore Celine: "E' antisemita, ma la sua ricerca sulla scrittura è imprescindibile".
Il popolo dei fagiolini non fa una piega, applaude ad ogni intervento di Bertinotti e, al termine del dibattito, durato 3 ore, gli regala una standing ovation che lo fa commuovere. Per loro nulla è cambiato dal 5 novembre del 2004 quando a Villa Piccolomini incontrarono l'allora segretario del Prc. Per Bertinotti invece qualcosa è cambiato. Il ruolo innanzitutto: oggi, da presidente della Camera, spiega alla platea, "non devo parlare del governo, e questo - osserva ironico - non è poi un male, né delle forze politiche in campo" ma "sento il dovere di investire sulla cultura politica".
E' in linea con questo sentire la rivista bimestrale 'Alternative per il socialismo' diretta dal presidente della Camera, da oggi in edicola. "I termini socialismo e comunismo - spiega - all'inizio del terzo millennio sono stati sconfitti ma occorre rimettersi in cammino", "appartengono ad un mondo che non c'è più ma l'anelito non è finito" anche perché "la società in cui stiamo non è accettabile". E allora, rileva l'ex segretario del Prc, "la sinistra italiana è ad un bivio: ha esaurito la sua funzione di pars destruens, che pure ha portato i suoi elementi di innovazione come la 'non-violenza', e occorre che entri nella pars costruens con l'ambizione più rilevante del semplice intervento nella sfera economico-sociale: la sinistra alternativa deve produrre una cultura che determini egemonia", nella nozione gramsciana. "Questo - rileva Bertinotti - è un grande compito storico".
Gli elementi che la "nuova sinistra" deve portarsi dietro per riprendere il cammino sono, suggerisce il presidente della Camera, "la non-violenza, che non è un'ipotesi di poeti e navigatori ma la levatrice della nuova storia", e anche "il pensiero di Marx" che è "imprescindibile", è "una eredità che non si può disperdere", anche se la nuova sinistra non può affondarvi totalmente le sue radici ma deve "oltrepassarla" indagando "ciò che di essa può servire per la società futura che si vuole costruire".
Luc 011738 giu 07

il Velino
Bertinotti incoronato dai “fagiolini” spauracchio dei radical

Roma, 1 giu (Velino) - Le agenzie di stampa non hanno lesinato particolari sull’acclamazione avvenuta, con tanto di standing ovation, oggi pomeriggio nei confronti del presidente della Camera Fausto Bertinotti all’Auditorium della capitale. Un pubblico decisamente particolare, strettosi attorno alla terza carica dello Stato ma, soprattutto, a Massimo Fagioli, la cui vicenda umana e professionale lo distingue come uno dei personaggi più influenti della scena radical-chic di casa nostra e, in un certo senso, tra i più “temuti” dai suoi leader, visto ciò che è accaduto a chi ha osato mettersi sulla sua strada. Psichiatra freudiano eretico, professore universitario, Fagioli, frutto del Movimento post-sessantottino ben presto bandito dalla comunità scientifica ufficiale, si distingue da più di un ventennio per aver costituito, attingendo a piene mani dal milieu della borghesia radicale inquieta e salottiera romana, un gruppo di adepti (da tutti ribattezzati “fagiolini”), uso a periodiche e lunghe sedute di terapia collettiva, che si è via via tramutato in un movimento composto da centinaia di aderenti, cui più di un collega e di un addetto ai lavori non ha risparmiato la qualifica di lobby. (segue)

giovedì 31 maggio 2007

l’Unità 31.5.07
Giordano: «Tutta colpa del Pd»
Il segretario di Rc: «Il loro fallimento ha alluvionato tutti. Sulle pensioni nessun cedimento»
di Wanda Marra


«IL NOSTRO, quello di Rifondazione, è un voto negativo. Anche se ci sono alcune situazioni in contro-tendenza come Taranto. Ma mi pare che il problema di fondo sia che non tiene il Pd. È come una breccia in una diga, in cui passa l’acqua e alluviona
tutti.
L’utile argine può essere l’unità delle forze a sinistra, in grado anche di determinare con maggior efficacia il cambio di marcia della politica del governo». È questa l’analisi complessiva del segretario di Rifondazione comunista, Franco Giordano.
Segretario, perché il voto ha punito il centrosinistra?
«Ci sono delle cose che sono persino un po’ clamorose. Non si può chiudere il contratto degli statali il giorno dopo le elezioni. Come non si può far passare in tutte le realtà di fabbrica l’idea che siamo noi a dover tagliare la previdenza, mentre è il centrodestra che ha proposto con lo scalone di Maroni l’aumento di 3 anni dell’età pensionabile. C’è stata una fortissima delusione, che ha prodotto disincanto e disaffezione, con un terremoto che ha il suo epicentro al Nord, in particolare nel Lombardo-Veneto, ma dispiega onde sismiche in tutta Italia. Quando il lavoro dipendente pubblico o privato perde fiducia, o si astiene, o è preda delle fobie ideologiche e delle angosce alimentate dalle destre».
Il vostro particolare risultato negativo da che dipende?
«Dal fatto che siamo coinvolti nella politica del governo».
Che cosa avreste dovuto voi fare di più (o di meno) dentro il governo?
«Le aree più sensibili alla disaffezione sono quelle che più di tutte credono nel cambiamento. Sono proprio i ceti popolari che cadono preda delle destre reazionarie o dell’astensionismo».
Insomma, Rifondazione ha puntato i piedi troppo poco?
«Dobbiamo uscire fuori dalla politica di Palazzo. C’è un evidente problema di efficacia del governo. Noi avremo maggiore determinazione, tenteremo di costruire l’unità a sinistra, con un nuovo soggetto, di intensificare il rapporto con movimenti e associazioni. Siamo coinvolti anche noi nella disillusione. Dico al governo e allo stesso Prodi: serve un bagno di umiltà, si deve ritrovare la sintonia col popolo. Bisogna essere intransigenti sulle questioni sociali, a cominciare dasalari, pensioni, lotta alla precarietà. E faremo valere queste cose con una maggiore determinazione sul terreno anche dei numeri».
Che significa?
«Le forze della sinistra se si mettono insieme devono poter pesare di più. Purtroppo, l’impianto della politica economica e sociale rischia di essere solo appannaggio del Pd, e alla prova dei fatti le cose sono andate male. Abbiamo visto che spesso e volentieri non ci troviamo di fronte alla costruzione delle decisioni. E lo dico chiaramente: il Dpef deve essere discusso prima. Ora non abbiamo più alibi: non ci si può più fare la solfa sul problema del risanamento. Noi abbiamo sempre detto che risanamento e redistribuzione devono andare insieme. Finora abbiamo visto solo il primo tempo del film».
State pensando di uscire dal governo?
«Il problema non è questo, ma che il governo esce dal paese. Il problema non è Rc, non siamo al ‘98, è il rapporto tra governo e popolo. Trovo assolutamente di sottovalutazione le riflessioni di Prodi. Una buona politica di fronte a un malessere così diffuso non può volgere lo sguardo dall’altra parte».
La domanda sorge spontanea: ma voi dov’eravate?
«Ma come? Forse vi siete distratti voi, quando abbiamo sollevato questo problema ripetutamente, e tutti avete seguito la vecchia logica di Rc che protesta».
Ma tutto considerato il resto della sinistra radicale va meglio...
«Mi pare che siamo penalizzati tutti. Ovvio che c’è proporzionalmente una difficoltà enorme nel Pd, e una anche nostra. Ma anche facendo le debite proporzioni è diverso perdere 15-20 punti al Nord, come fa il Pd, e 1 come noi. Ma all’operaio disilluso di Mirafiori devi portare un risultato concreto, non solo chiederlo al governo. Lo devi ottenere».
Come?
«Saremo determinati. Non voteremo nessun provvedimento sulle pensioni che non preveda l’abbattimento dello scalone. Ci vuole una marcia in più nella lotta alla precarietà, si deve investire di più in innovazione e ricerca e sostenere tutte le politiche degli aumenti retributivi».
Non crede che però serva una riflessione nel vostro partito?
«Certo, c’è una riflessione critica sulle modalità con cui questo governo ha prodotto le sue azioni. Serve una riflessione seria sulla critica della politica. Per questo dobbiamo mettere mano al soggetto unitario della sinistra subito. Siamo anche incentivati dalle esperienze dell’Aquila, Taranto, Gorizia. Quando ci sono esperienze fortemente alternative, la risposta c’è. E dunque, chiedo a tutti a sinistra di uscire fuori da dubbi e incertezze».

l’Unità 31.5.07
Ma è un brutto risveglio per la Sinistra radicale
Rifondazione perde ovunque. E non ridono nemmeno Verdi e Pdci


COLPA del governo. E in particolare: colpa del non ancora nato Pd. The Day after delle amministrative della sinistra radicale è caratterizzata dalla ricerca del colpevole. In assoluto, però, neanche la sinistra d’alternativa è andata esattamente bene. Rifondazione innanzitutto. Ieri Liberazione intitolava «Elezioni 2007, brutto ricordo per il Prc», un’analisi elettorale impietosa, dalla quale si evidenzia che il partito perde consensi soprattutto a Nord, e si consola («ma poco» per ammissione dello stesso quotidiano) con i dati della Puglia, dell’Abruzzo e dei comuni del napoletano. Nel dettaglio: Rc ha perso in totale l’1% alle amministrative dei comuni capoluogo (-19.178 voti) e il 2% nelle provinciali (-51.621 voti). Non è un risultato brillante neanche quello dei Verdi e del Pdci, che però insieme fanno registrare un seppur piccolo incremento. Alle provinciali guadagnano lo 0,4%, mentre perdono lo 0,2% alle comunali. Canta vittoria Sinistra democratica, con riferimento all’affermazione del suo esponente Cialente, all’Aquila, al successo di Gorizia, dove Andrea Bellavite, candidato dell’ex sinistra Ds, Rc e movimenti, è arrivato secondo, dopo quello del centrodestra, e Taranto, con il successo di Stéfano.
La più penalizzata dal voto è dunque senza dubbio Rc. Le analisi sono rimandate alla direzione e all’esecutivo di lunedì. Ma il partito si trova in una situazione scomoda: da una parte il richiamo di Prodi a una minor litigiosità, dall’altra il fatto che molti elettori del partito vedono non realizzati alcune promesse che si aspettavano. «Siamo noi che chiediamo maggiore collegialità, dobbiamo governare meglio e dare un segnale diverso agli elettori governando meglio e redistribuire le risorse», dichiara Migliore, capogruppo alla Camera. Il vicecapogruppo del partito in Senato, Tommaso Sodano, accennando anche a una certa «timidezza» di Rifondazione in qualche caso, dichiara che la mediazione possibile c’è già: basta tornare al programma dell’Unione. A tutti i partiti della sinistra d’alternativa, comunque, sembra chiaro che per pesare di più ed essere più determinati serve al più presto il nuovo soggetto della sinistra. «Dove avevamo una nostra lista siamo andati bene, abbiamo ottenuto tra il 4% e il 9%, ad eccezione di Matera dove siamo andati male e ci siamo fermati poco sopra il 2%. Ma non posso gioire per un nostro buon risultato quando c'è stato un naufragio...», dichiara Mussi. Oggi c’è il primo appuntamento ufficiale che vedrà riuniti intorno allo stesso tavolo i vertici di Rc, Pdci, Sd e Verdi. A dichiarare che bisogna accelerare verso il nuovo soggetto, oltre a c (che però subisce gli altolà delleb sue minoranze, con varia intensità, a seconda si tratti di Grassi o Cannavò) è Oliviero Diliberto, che si pone come obiettivo le amministrative del 2008. Mentre i Verdi con Pecoraro Scanio parlano di «un’alleanza arcobaleno», ma invitano a «non fossilizzarsi» sui contenitori.
Nel frattempo, restano sul tavolo i problemi “originari”. È Alberto Nigra (area Angius di Sd) a rispondere a Diliberto, che invitava «i compagni di Sd» a scegliere, reputando troppe le differenze con lo Sdi di Boselli: «Porre paletti verso lo Sdi come fa Diliberto è sbagliato: non si tratta di organizzare meglio la cosiddetta sinistra radicale ma di dare vita in Italia ad una forza della sinistra di governo».

l’Unità 31.5.07
Donne, quando l’inferno è in casa
Sempre più casi di soprusi in famiglia. Bindi: subito leggi più incisive


UN MORTO ogni due giorni, 1.200 vittime in cinque anni e in sette casi su 10 la vittima è una donna e in 8 su 10 l’autore è un uomo. È allarme per il moltiplicarsi
delle violenze in famiglia: su 10 omicidi avvenuti nella sfera familiare, 6 sono stati commessi tra le mura domestiche. Tanto che anche il ministro Bindi, dopo la tragedia di Compignano, avverte: «La violenza in famiglia è una realtà troppo a lungo rimossa, sulla quale è invece necessaria una seria presa di coscienza». «Per questo - spiega il ministro - non bastano le leggi, che pure vanno adeguate e rese più incisive, come abbiamo cominciato a fare con il disegno di legge sulla violenza in famiglia. Uno dei nostri obiettivi è quello di realizzare una rete diffusa di servizi sul territorio, innovando e allargando la funzione dei consultori familiari che vanno concepiti sempre più come Centri Famiglia, in cui siano integrate professionalità e competenze diverse. Luoghi vicini alle famiglie, capaci di cogliere fin dall’inizio i segnali di disagio e maltrattamento».
E proprio sui segnali si concentra la denuncia di Telefono Rosa, da anni al fianco delle donne che subiscono violenze: «L’omicidio di Marsciano è l’ennesimo episodio di una morte annunciata» accusa la presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, che osserva come ancora una volta segni di tendenze violente da parte di familiari siano stati clamorosamente ignorati.
E i dati che emergono sui delitti in famiglia parlano chiaro. L’ultimo rapporto è dell’Eures-Ansa, del 2006: 174 omicidi in famiglia nel 2005, addirittura il 29,1% del totale. E la sfera familiare precede le vittime della mafia (146, il 24,4%) e della criminalità comune (91, il 15,2%). Quest’ultimo dato è in controtendenza rispetto al 2004, con un aumento del 28,2%, quando le vittime furono 71. Questo perchè «accanto alla diffusione dei delitti collegati ai 'reati comuni'», emerge «quella degli omicidi compiuti da individui 'qualunque', spesso giovani, estranei alla malavita, divenuti assassini per futili motivi o banali litigi». La maggior parte degli omicidi in famiglia avviene al Nord e ad armare la mano degli assassini è una volta su quattro il movente passionale e se su dieci donne uccise in Italia ben sette sono state ammazzate dal partner o da un familiare, cresce anche il numero di uomini vittime della famiglia: nel 2005 l’incremento è stato del 28,8%.
Il contesto nel quale si consumano la maggior parte degli omicidi è quello della coppia (100 delitti, pari al 53,5%). L’allarme riguarda soprattutto le donne: nel 68,4% dei casi le vittime di omicidio in famiglia sono donne, più numerose nelle regioni del Centro (75%), seguite da Sud (68,8%) e Nord (65,1%). L’indice di rischio (vittime per 100 mila abitanti) risulta significativamente più alto tra le donne e in particolare nella fascia 35-54 anni.

I NUMERI
1.200 LE VITTIME delle violenze dentro la sfera familiare negli ultimi 5 anni. In pratica, un morto ogni due giorni. In Francia questo rapporto, su dati del 2003, è di un morto ogni 4 giorni. Caso drammatico quello russo, dove fra le 10 mila e le 15 mila donne ogni anno sono uccise dal partner o dai parenti, senza che il Paese si sia ancora dotato di una legge particolarmente punitiva per questo reato.
70% DEI CASI la vittima della violenza familiare è una donna, otto volte su dieci uccisa da un uomo (non necessariamente il marito o il convivente)
174 GLI OMICIDI compiuti in famiglia nel 2005 (29% del totale dei morti per fatti violenti in Italia, dati Eures-Ansa). Nella sfera familiare avviene anche il 92% degli omicidi-suicidi (una persona che uccide un familiare e poi si toglie la vita).
146 I MORTI ammazzati per mano della criminalità organizzata nello stesso anno (24%), 91 i morti per criminalità comune.
5 GLI ASSASSINI fra fratelli e/o sorelle. La percentuale più bassa fra gli “incastri” familiari.

l’Unità 31.5.07
Figlio unico per legge, un boomerang per la Cina
di Lina Tamburrino


L’immagine più accattivante resta sempre Piazza Tien-An-Men: gruppi di scolaresche con i cappellucci rossi o gialli; bambine con vestiti trasparenti bianchi o rosa; ragazzini con i jeans; neonati con le brachette con lo spacco posteriore al posto dei pampers; ragazzi che si divertono inseguendo gli aquiloni.
L’immagine di una infanzia protetta, amata, irrinunciabile. Ma non è proprio così. La «questione demografica» è una ferita aperta, sempre sanguinante nel corpo immenso della Cina, che conta già un miliardo e 250 milioni di abitanti.

La popolazione cinese oggi è inferiore di almeno 500 milioni di persone rispetto ai ritmi di crescita naturali

Al censimento del 2000 il rapporto tra maschi e femmine era arrivato a 117 uomini per 100 donne

Uno degli effetti collaterali della limitazione del numero dei neonati è l’invecchiamento della popolazione

NELLA CINA delle cento proteste c’è anche quello contro la politica del figlio unico. Non ci stanno le aree rurali dove i figli, soprattutto maschi, significano forza lavoro. Non ci stanno le città dove si teme che il Paese diventi presto «un gigante vecchio». Non ci stanno le donne che pagano questa politica con aborti forzati
Politica che umilia i ceti urbani - i quali anche se malvolentieri la seguono - e alimenta ricorrenti proteste nelle immense aree povere del Paese e nelle zone abitate da minoranze etniche, per le quali comunque un secondo figlio è permesso. Anni fa una sanguinosa rivolta nel musulmano Xingjiang ebbe la sua origine proprio nel rifiuto della campagna abortista; la denuncia della politica abortista è uno dei punti forti della lotta contro Pechino dei tibetani in esilio; e le recenti proteste nel Guangxi sono state anche esse originate dallo stesso rifiuto. Non che le campagne cinesi siano tranquille, anzi. Il dato più recente ci informa di 87 mila proteste nel 2005, originate nella stragrande maggioranza dei casi da contrasti tra contadini e «quadri» locali sull’uso del suolo agricolo pubblico. Ultima, di qualche settimana fa, è stata la rivolta scoppiata in una vasta area del ricco Guangdong, dove le terre sono state acquistate da parenti e amici dei «quadri» del posto i quali ora le mettono in vendita a prezzi ben più alti.
Affidata alla responsabilità dei funzionari locali e modellata nel suo andamento dalle esigenze delle riforme in agricoltura, la politica del figlio unico è stata trattata alla stregua di un «obiettivo produttivo» quasi che gli aborti si potessero paragonare alla raccolta del grano. Essa ha generato incubi: aborti forzati, appunto; campagne di sterilizzazione di massa; abbandono di neonati non «autorizzati»; ecografie per scoprire il sesso del feto e quindi ricorrere all’aborto se femmina. La politica del figlio unico, è il giudizio unanime di quanti fuori Cina hanno studiato il fenomeno, è costato alla donne un inaudito tributo di sangue e di sofferenze. Ma anche la complicità nel perseguire quell’obiettivo: il figlio maschio, visto ancora oggi come indispensabile strumento di lavoro nei campi e unica protezione nella vecchiaia dei genitori. E in effetti la questione demografica è il punto di coagulo di tutte le contraddizioni che dilaniano il Paese: il rispetto dei diritti umani, la difficoltà estrema a delineare un sistema pensionistico, l’assenza di una estesa protezione sanitaria, la reticenza a diffondere le conoscenze sul sesso e la contraccezione, l’abisso che divide il mondo urbano da quello rurale. Per esorcizzare le paure derivanti da uno sviluppo dimezzato, ecco allora che alla famiglia cinese non restano che figli, più figli, figli maschi.
Con risultati inevitabili, agghiaccianti e pericolosi. Che- Fu Lee e Qiusheng Liang, coautori di un recente libro sulla politica demografica cinese, hanno calcolato che la popolazione di quel grande Paese oggi è inferiore di almeno 500 milioni di persone rispetto a quanto ci si poteva aspettare «naturalmente» e che la politica di controllo degli ultimi 30 anni ha contribuito per almeno il 50% al calo della crescita della popolazione. Ma gli effetti collaterali sono pesanti, appunto. Al censimento del 2000, il rapporto tra maschi e femmine era arrivato a 117 maschi per 100 donne, il più alto in assoluto nella storia cinese e il più alto tra i paesi asiatici. Con punte massime del 130 a 100 nel Jiangxi, nel Guangdong una delle zone più ricche del paese, nell’Henan. Proiettando questi dati, è stato già calcolato, con molta apprensione, che nel 2020, 24 milioni di giovani cinesi ( addirittura c’è chi parla di 50 milioni) non troveranno moglie. Una prospettiva insopportabile in un Paese e in una cultura nei quali il matrimonio -innanzitutto per ragioni sociali- è una istituzione irrinunciabile. Ecco la ragione- almeno una delle principali- del fenomeno che da qualche anno flagella la Cina più povera: il rapimento delle donne per rivenderle a scopo matrimoniale (ne ha anche parlato un film al recente festival di Cannes) e il concubinato, diffuso oramai anche nella ricca Hong Kong. E ci sono studiosi i quali temono che da queste frustrazioni possa derivare l’estendersi di altri fenomeni criminali, oltre a quelli già oggi patiti dalle donne.
L’altro «effetto collaterale» è l’invecchiamento della popolazione. James E. Howell della Stanford University ha calcolato che tra qualche decennio la Cina sarà un «gigante vecchio», con una popolazione declinante (superata dall’India che avrà raggiunto un miliardo e 300 milioni di persone) e anziana. E dunque con difficoltà per la sua economia: non potrà più contare sulla bruta forza lavoro, ma dovrà fare leva sulle competenze e sulla tecnologia; e con problemi con il suo sistema di protezione pensionistico e di beni per gli anziani. Nel 2000 l’età media della forza lavoro era di 37 anni, nel 2025 salirà a 46.
Il figlio unico è stato sempre oggetto di discussioni con pressioni perché ci fosse un allentamento, ufficiale, non tollerato nei fatti come adesso. Ma i dirigenti temono che un addolcimento possa aprire la strada a un nuovo picco nel tasso di fertilità, con conseguenze negative sulla crescita e sulla governabilità del Paese. Già adesso, gli squilibri tra zone ricche che sono state graziate dal «mercato socialista» e zone rimaste escluse, appaiono agli occhi dei cinesi più attenti un peso insostenibile. Allentare la politica demografica avrebbe come conseguenza quella di gonfiare ancora di più il serbatoio fatto da centinaia e centinaia di milioni di cinesi che nelle campagne non hanno assistenza, non possono mandare i figli a scuola perché non hanno soldi sufficienti per le tasse, non hanno pensione; e fatto dagli emigranti che si spostano dalle campagne nelle città dove, non potendo contare sul permesso stabile di soggiorno, non possono disporre di niente, non di case ( se non a mercato nero), non di assistenza, non di scuole.
Il controllo pubblico della sessualità e della riproduzione biologica prevale sempre sul diritto individuale alla sessualità e sulla protezione della donna e del bambino: è questa, sostiene Evelyne Micollier su «China Perspectives», una costante della politica e della cultura cinese, fin dai tempi della prima dinastia imperiale, quella degli Han. Nella Cina delle riforme, cambiamenti ci sono stati anche in questo campo, superando il moralismo dell’epoca maoista o meglio della rivoluzione culturale quando veniva presentato ed esaltato come un eroe da imitare colui-colei che si comportava ignorando la propria identità- e dunque i propri impulsi sessuali. Oggi le indagini sociologiche ci dicono che i giovani della Cina continentale sono più disinibiti di quelli di Hong Kong, dove pare facciano sentire il loro peso la Chiesa e la tradizione moralistica inglese. O di quelli di Taiwan, dove pare si faccia sentire il peso di una cultura confuciana ben solida. Nella Cina continentale le relazioni prematrimoniali non sono più un tabù. In Cina gli studi sociologici sulla sessualità hanno subìto un passo in avanti notevole a partire dal 1990, anche per effetto della diffusione della HIV e della necessità di fronteggiare il fenomeno. Recentemente il ministro della Sanità ha lanciato l’allarme: se non si interviene, entro il 2010 in Cina ci saranno 10 milioni di persone infette. Già adesso il 10% degli infetti è costituito da adolescenti i quali non hanno nozione alcuna del fenomeno e di come proteggersi.
Si presta più attenzione dunque, e si crea qualche organismo in più. Ma il moralismo cacciato dalla porta rientra in qualche modo dalla finestra. Nei libri di testo per l’educazione sessuale, la masturbazione e le relazioni prematrimoniali trovano poco attenzione, che invece è centrata innanzitutto sulla moralità sessuale. I corsi di educazione sessuale sono facoltativi, e in ogni caso fanno parte dei corsi di biologia; non molta attenzione viene dedicata alle informazioni sulla politica demografica. L’Associazione per la politica di pianificazione familiare, con il sostegno dell’Onu, ha preparato un testo da distribuire nelle scuole purché, ci si augura, l’iniziativa non venga ostacolata da insegnanti e genitori bacchettoni. Una larga parte della opinione pubblica più attenta ritiene che il progredire della modernizzazione possa dare un valido contributo alla definizione di una politica demografica non così invasiva, aggressiva, distruttiva. Ma fino a quando anche in Cina una donna non potrà tranquillamente dire: «il corpo è mio e lo gestisco io» non credo che si possa essere molto ottimisti.

Repubblica 31.5.07
Il presidente della Camera a Repubblica Tv: il governo deve dare risposte su pensioni e precariato
"All'Italia servono due sinistre se il Pd fallisce è un guaio per tutti"
Bertinotti: nel 2011 lascio. Darò la mano a Bush? Non rispondo


Passaggio storico. Per la prima volta la sinistra è stata sradicata dal nord. È un passaggio storico, esito di un processo europeo ventennale
Risposta a Prodi. Il Paese è malato? Mi sembra una autodifesa. I Paesi europei sono tutti malati. Il punto è che le ricette sono inadeguate

ROMA - "Se il paese è malato le ricette sono sbagliate". Fausto Bertinotti risponde a Romano Prodi durante un videoforum a Repubblica Tv, subissato da oltre 300 domande in un´ora di diretta. Il presidente della Camera sottolinea che – per il suo ruolo – dovrà essere reticente, ma poi non si nasconde dietro lo scranno di Montecitorio. Inforca gli occhialetti marroni e dà risposte chiare: la sinistra al nord è ridotta a fenomeno marginale. Se il partito democratico fallisse, sarebbe un disastro per tutti. Quanto a lui, a fine legislatura, è pronto a lasciare.
Prodi dice di essere deluso dal risultato elettorale, lo è anche lei?
«Non parlerei di delusione perché siamo davanti a un passaggio storico. Per la prima volta nella storia della Repubblica la sinistra, anzi le sinistre, sono state sradicate dal Nord. E devo dire per onestà che non penso che la cosa sia legata agli ultimi mesi: siamo davanti all´esito di una storia di vent´anni. Una storia che è europea, così come la crisi della sinistra è europea».
Il premier ha anche detto che questo paese è ancora malato.
«Mi sembra un´autodifesa. In realtà i paesi europei sono tutti malati, perché l´Europa non riesce a esprimere un´idea di futuro. Il punto è che le risposte sono inadeguate a questa malattia».
Il voto ha messo in crisi anche il processo di nascita del Partito Democratico
«Io sono lontanissimo culturalmente dal progetto. Mi sembra un´imitazione americana, non fa parte della sinistra europea, ma detto questo penso che un suo fallimento sarebbe un guaio per tutta la sinistra. Nell´Europa di oggi ci sono due sinistre: c´è un campo riformista che possiamo definire centrosinistra, e una sinistra di alternativa. Ecco io credo che queste due realtà devono poter convergere per governare, e contemporaneamente sfidarsi sulle alternative di società da costruire».
Ma in Italia c´è la sensazione che la politica non sappia più dare risposte ai cittadini. Non crede che si debba fare un passo in avanti, che si debba cercare di dare a chi governa e a chi decide strumenti più adeguati, come accade in Spagna, in Francia, in Inghilterra?
«E´ vero, la crisi italiana ha una sua densità particolare. C´è prima di tutto una crisi della politica, ridotta ad amministrazione. L´economia è diventata indiscutibile, e la politica è diventata minore. Molta della gente che conosco prova disaffezione nei confronti di una politica che ha messo fuori dall´agone la figura dell´operaio, del lavoratore che guadagna 1000-1100 euro al mese e non ha più nessun riconoscimento sociale o culturale. In più, c´è una crisi delle istituzioni: tutte le ricette adottate dalla Seconda Repubblica, a partire dalla scelta drastica del sistema maggioritario, hanno fallito. Abbiamo una governabilità apparente, i governi durano cinque anni ma coalizioni così fatte hanno una scarsa capacità di scelta. E la frantumazione dei partiti aumenta. Serve un sistema elettorale che torni a responsabilizzare i partiti. Come il sistema tedesco. E ancora: occorre superare un bicameralismo fragile che ha conseguenze drammatiche sulla credibilità delle istituzioni. Bisogna ridurre il numero dei parlamentari e rimettere mano ai regolamenti. Bisogna mandare subito un segnale sui costi della politica e legiferare su questo, almeno per la prossima legislatura»
Lei ha polemizzato con il presidente di Confindustria Montezemolo, ma crede ci fosse qualcosa di condivisibile nelle sue parole?
Prima di tutto voglio dire che il nostro è stato uno scontro aspro ma condotto con reciproca grande civiltà. Comunque, credo che il discorso di Montezemolo sia stato un discorso organico, un manifesto, che aveva poco a che fare col suo ruolo di presidente di Confindustria. Un ragionamento che va preso sul serio ma che io non condivido affatto. Perché vede destra e sinistra come categorie morte, e pretende di misurare tutto con il paradigma unico dell´impresa. Trascurando i danni che la pura misura del profitto e della concorrenza produce in termini di precarietà, di coesione sociale, di disuguaglianza, di povertà. Come ho già detto, la critica più efficace al discorso di Montezemolo è il rapporto dell´Istat».
Scrive Valentina: "Mia madre non vuole andare in pensione a 58 anni perché poi io alla pensione non ci arriverò mai". Mentre un altro ascoltatore si lamenta: "Ormai anche a sinistra prende piede l´idea che ci si debba adattare alla precarietà in favore della flessibilità".
«Se dovessi dare un consiglio al governo direi: dia una risposta a queste due domande. Quanto a me, credo che un ragionamento che dice: "aumenta l´attesa di vita quindi deve aumentare l´età in cui si va in pensione" sia una violenza sociale. Un lavoratore operaio ha un´attesa di vita diversa dalla media. C´è una parte della popolazione che va incentivata a lavorare di più, ma questa donna di 58 anni che magari è una lavoratrice tessile, sottoposta a turni massacranti, spesso di notte, lei no. Il precariato è invece la condizione generalizzata della generazione che entra nel mercato del lavoro in questo tempo. Ci sono giovani del Cnr che hanno contratti a 3 mesi. Ho conosciuto hostess dell´Alitalia che sono state precarie per 12 anni. Non è solo un danno sociale grandissimo ma impigrisce le imprese. Serve una legge per interrompere questo meccanismo infernale.
Romano Prodi ha detto che al termine della legislatura considererà esaurita la sua esperienza in politica. E´ lo stesso per lei?
«Direi proprio di sì, ho 67 anni, e penso che anche nella politica ci sia un limite di età. Se vale per i vescovi vale anche per chi esercita le funzioni di direzione politica».
A Roma sta per arrivare George Bush. E´ giusto manifestare nei confronti di un presidente americano che viene in Italia in visita ufficiale?
«Se è giusto lo stabilisce chi ci va. Certo è legittimo. L´importante è che i fenomeni di partecipazione si esercitino in un quadro di non violenza. Saprei bene cosa dire se non fossi in questo ruolo, ma visto che lo sono mi taccio».
Se dovesse incontrare Bush, la infastidirà stringergli la mano?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».

Corriere della Sera 31.5.07
Sì al video sui preti pedofili. Il Cda si spacca
di Paolo Conti


ROMA — Stasera Michele Santoro manderà in onda il video Sex crimes and the Vatican su Raidue durante Annozero.
Ma il prezzo pagato dai vertici è altissimo, una spaccatura senza precedenti. Ieri sera tra le 20.30 e le 21 è stato difficile capire dove fosse il cuore del potere alla Rai: cinque consiglieri di amministrazione dell'area di centrodestra riuniti senza il presidente Claudio Petruccioli, che aveva abbandonato i lavori, e senza il direttore generale Claudio Cappon.
Poi, regolamento alla mano, la presidenza è stata assunta pro-tempore dal consigliere anziano Giuliano Urbani. Una scelta clamorosa, senza precedenti nella storia di questo Consiglio: una votazione senza il presidente in carica.
I cinque hanno approvato un documento sulla trasmissione di Santoro (polemicamente chiamato «onorevole» nel testo) in cui si impegna il direttore generale «a vigilare affinché la trasmissione risponda alle esigenze del pubblico servizio, assicuri una corretta informazione, la tutela dei diritti dei minori, il più rigoroso rispetto delle leggi nonché delle diverse idee e sensibilità». Poi si sottolinea «l'esclusiva responsabilità del direttore generale in merito alla corretta gestione della trasmissione da lui autorizzata». La guerra tra Cappon e i consiglieri di centrodestra è insomma a un punto di non ritorno. Il documento di mediazione proposto da Petruccioli, identico nel resto, si limitava a «impegnare il direttore generale a riferire al Cda sull'andamento della trasmissione» L'atteggiamento del centrodestra ha scatenato il polemico abbandono di Sandro Curzi («non intendo partecipare nella maniera più assoluta a una riunione che si prefigura come un tentativo intollerabile di censura preventiva») e poi di Nino Rizzo Nervo, Carlo Rognoni e infine di Petruccioli. Marco Staderini (area Udc) aveva chiesto in un primo momento di votare per impedire l'uso del documentario. Nel pomeriggio la redazione di Annozero aveva già comunicato l'elenco degli ospiti in studio con Michele Santoro per commentare «al dovuto livello», secondo le indicazioni di Cappon, il filmato contestato: cioè monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia università lateranense (accompagnato da dieci studenti di teologia), Don Fortunato di Noto, da anni impegnato contro la pedofilia su internet, il professor Piergiorgio Odifreddi, autore di «Perché non possiamo essere cristiani», e il giornalista Colm O'Gorman, autore dell'inchiesta della Bbc. Proprio la presenza di Fisichella (col chiaro via libera da parte del Vaticano) avrebbe suggerito a Urbani maggiore cautela su una richiesta secca di sospensione del filmato.
In quanto al bilancio, il centrodestra fino all'ultimo ha lasciato immaginare una clamorosa bocciatura della proposta di Claudio Cappon. Invece il documento del direttore generale è stato approvato, con l'astensione di Marco Staderini. Le cifre definitive: un rosso di 78,6 milioni nel 2006 per Rai spa (contro un utile di 16,4 milioni nel 2005) e di 87,4 per l'intero gruppo Rai (contro un utile di 22,9 milioni nell'anno precedente). Almeno 10 milioni di euro in più, per Rai spa, rispetto alle anticipazioni dei giorni scorsi che parlavano di 69 milioni di euro. E lo stesso ministro del Tesoro, Tommaso Padoa- Schioppa, nella sua audizione del 16 maggio in commissione di Vigilanza aveva parlato di 63 milioni di euro. Il centrodestra fa sapere di aver approvato il bilancio «in quanto atto dovuto» e di ritenere ingiustificate le spiegazioni per il deficit. L'obiettivo del centrodestra è chiaro: il ruolo di Claudio Cappon.

Corriere della Sera 31.5.07
A centocinquant'anni dalla nascita poche celebrazioni ufficiali e una biografia che fa discutere
L'antifascismo di Pio XI nascosto dalla Curia
di Alberto Melloni


Era prevedibile che l'apertura degli archivi di Pio XI custoditi in Vaticano cambiasse la storia del rapporto fra Chiesa e fascismo. Ed Emma Fattorini, di cui esce ora per i tipi di Einaudi il saggio Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa (pagine 252, e 22), dimostra con una prima e rigorosa ricognizione della carte quant'è profondo questo cambiamento.
Cambiamento che — diciamolo subito — riguarda Pio XI e non Pio XII. L'opera, purtroppo, ha iniziato a far rumore non per la sua ipotesi centrale, ma per una subordinata pacelliana: essa conferma, quasi a margine del discorso, che il cardinal Pacelli cerca di smussare ogni volta che può, anche all'indomani della morte di papa Ratti, la crescente insofferenza del suo superiore verso i governi d'Italia e Germania. E com'era facile prevedere le «brigate Pacelli» sono prontamente intervenute a spiegarci che anche in questo caso il futuro Pio XII ha fatto l'unica cosa che poteva fare... Polemica stantia, legata forse alle tappe della beatificazione di Pacelli o al bisogno di accreditarsi per chissà quale ambizione: ma che trascura il cuore di questo volume.
Lavorando sui faldoni di alcuni organi curiali (gli affari ecclesiastici straordinari, la segreteria di Stato, il Sant'Uffizio) e inserendo gli inediti nella storiografia, Emma Fattorini disegna la parabola anomala di un papa che si pente: racconta la disillusione di Achille Ratti, segue il mutare delle sue posizioni, trova tracce del tormento che lo anima. Ché Achille Ratti, eletto papa nel 1922, coltiva per anni l'illusione che il fascismo possa essere un «bene minore», che difende i valori cristiani, rispetto al «male maggiore» costituito dal comunismo. Eppure, mentre ancora tenta delle aperture di credito verso i totalitarismi, Pio XI compie passi nuovi. L'autrice li segue sui vari quadranti della sua politica davvero globalizzata.
Il papa, che aveva fulminato l'utopia reazionaria dell'Action Française e condannato con l'enciclica Divini Redemptoris il comunismo ateo, si mostra possibilista davanti alla strategia della «mano tesa» del Fronte popolare in Francia. Nella Spagna della guerra civile le atrocità lo sgomentano al punto che nel luglio del 1936 Pio XI riconosce: «Non avevamo capito» — e si chiede scorato: «Indire preghiere? E rivolte a chi? Ma come, in quale senso?». Le voci più preoccupate dalla Germania di Hitler, soprattutto il vescovo von Galen, lo convincono a far leggere nelle chiese tedesche la lettera Mit brennender Sorge e lo spingono a tentare quella enciclica contro il razzismo impigliatasi nell'ostruzionismo del padre generale dei gesuiti, un polacco antisemita e anticomunista allo stesso titolo. In Italia lo sdegno contro Mussolini e le leggi razziali cresce ininterrotto: avrebbe dovuto sfociare in una denunzia pubblica, che non viene pronunciata l'11 febbraio 1939 perché Pio XI muore il giorno innanzi: le copie e i piombi di questo discorso vengono distrutti per ordine del suo camerlengo Eugenio Pacelli con uno zelo che è difficile chiamare prudenza, che il successore di Pacelli riparerà leggendone qualche brano nel 1959, e che Benedetto XVI aprendo gli archivi ha messo a disposizione degli storici.
Da queste carte dell'Archivio segreto Vaticano Emma Fattorini fa emergere due elementi: la tensione spirituale che porta Pio XI da una devozione crociata all'evocazione profetica alle ossa sante che dovrebbero ridare vita a un cattolicesimo inscheletritosi nel clericofascismo; e la asimmetria spirituale fra questo dinamismo del papa e l'immobilismo dei suoi collaboratori, ipnotizzati dall'esigenza di mantenere salda la sponda anticomunista, come poi faranno per la neutralità in guerra.
Questo libro, dunque, offre una suggestiva ricognizione. Dico ricognizione non in senso riduttivo: solo per sottolineare che per ripensare storicamente quella stagione — trascurata in un Paese e in una Chiesa che dopo Ratti non han sentito rimorsi, ma talora nostalgia del cattofascismo — richiede scavi, tempo, edizioni, giovani. Cose che l'Italia potrebbe fare, come già fanno governi e istituzioni di Germania o di Francia. Anche per evitare che queste carte diventino preda d'incursioni giornalistiche, iceberg nel mare di celebrazioni ideologiche o monadi nel nulla, com'è accaduto nel centocinquantesimo anniversario della nascita di Pio XI, che cade quest'oggi: a parte un vespro dell'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, qualche cosa attorno alla casa natale, papa Ratti si vede dedicare da un sito leghista il Palio degli Zoccoli di Desio, suo paese natale, domenica prossima. Si potrebbe far di meglio: ma se non si riuscirà, il libro della Fattorini dice che ne sarebbe valsa la pena.

il manifesto 31.5.07
Patto d'azione tra sinistre in cerca di unità. Oggi primo incontro, Sdi fuori dalla porta
Sinistra democratica soddisfatta dal risultato elettorale. Discussione su come presentarsi alle prossime amministrative. Si prepara un contro - Dpef
di A. Fab.


Roma. La formula che mette d'accordo tutti è questa: la riunione di oggi tra i rappresentanti di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e Sinistra democratica (gli ex diessini guidati da Fabio Mussi) «darà corso a un cammino comune». Un cammino che alcuni (soprattutto il Pdci) vorrebbe accelerare verso un'unità formale dei partiti da fare subito, altri (soprattutto Sd) vorrebbe percorrere passo dopo passo anche per mantenere l'interlocuzione con una quinta forza, i socialisti di Enrico Boselli - con loro hanno organizzato un incontro bilaterale. Il primo approdo del percorso è dunque già segnato: sarà un «patto di unità d'azione» tra le forze che sono a sinistra del Partito democratico. Con al centro da subito i temi economici. Quello a cui inizieranno a lavorare Giordano, Diliberto, Pecoraro e Mussi sarà così una sorta di contro Dpef, ovvero un documento di programmazione economica molto più virato sul sociale rispetto a quello che si sta preparando negli uffici di Tommaso Padoa Schioppa.
Delegazioni numerose per i quattro partiti: all'incontro di stamattina ci saranno anche i capigruppo di camera e senato, i ministri e i sottosegretari. L'invito per questa che è la prima riunione «ufficiale» dopo la scissione nei Ds e la nascita di Sinistra democratica - novità che ha portato a parlarsi anche Pdci e Prc che si sono ignorati per dieci anni - avviene su invito di Giordano. E Rifondazione ci tiene a precisare che si tratta di un appuntamento deciso prima delle amministrative, prima dunque del tracollo del Pd e delle rinate tentazioni «centriste» che rischiano di mettere la sinistra dell'Unione in condizione di doversi difendere. E certo i risultati elettorali avranno un peso sull'agenda delle sinistre.
Se Pdci e Verdi hanno tenuto e in qualche caso guadagnato, Rifondazione ha pagato qualcosa ma soprattutto c'è stato il debutto di Sinistra democratica. Non ovunque, visto che in molte città i candidati di Mussi erano ancora nelle liste dei Ds. Ma a Taranto proprio Ezio Stefano di Sinistra democratica ha superato lo sfidante del Pd e tutti gli altri e regalando alla lista degli ex diessini un risultato superiore al 9%. A questo punto sarà difficile per Mussi e Salvi decidere di rinunciare alle prossime prove elettorali, anche perché il partito - che ufficialmente è ancora un movimento, ma ha già tessere e sedi - vorrà pesarsi prima di andare all'incontro con gli altri. Invece Diliberto ancora ieri insisteva sulla necessità della sinistra di unirsi anche prima del Pd, in modo da andare sotto lo stesso simbolo alle prossime amministrative del 2008. In questo il segretario del Pdci si ritrova dopo molti anni in sintonia con Fausto Bertinotti: il presidente della camera ha ripetuto che la sinistra «alternativa» deve al più presto «aggregarsi» per «competere» ma anche per «convergere sui programmi» con il partito democratico. Della necessità di un percorso unitario è convinta anche Rifondazione, ma la formula prescelta è quella della confederazione che permette a tutti di mantenere le proprie identità di partito. Quella del Prc è in evoluzione: nascerà a metà giugno la sezione italiana di Sinistra europea. La confederazione è una vecchia proposta di Diliberto, tanto vecchia che era rivolta soprattutto ai Ds ai tempi in cui il partito democratico era solo nei pensieri di Prodi. I Verdi, infine, temono che la riaggregazione di tanti spezzoni finisca per assomigliare troppo a una riedizione in piccolo del Pci, ragione per cui si tengono cauti sulle formule e spingono per un'unità d'intenti progressista. Anche se nel partito di Pecoraro c'è chi come Paolo Cento ha minori preoccupazioni e più fretta. Ma l'incontro di oggi è solo il primo, altri seguiranno a cadenza regolare, mentre i gruppi parlamentari proveranno a darsi un coordinamento.

il manifesto 31.5.07
Violenze formato famiglia
Il caso di Perugia riapre le polemiche su quanto accade all'interno delle mura domestiche. Save the children: un milione di bambini in Italia assistono ad abusi di padri sulle madri
di Eleonora Martini


Potrebbero essere un milione i bambini in Italia che assistono impotenti alle violenze fisiche e sessuali commesse in famiglia dai propri padri sulle madri. Di sicuro sono almeno 385 mila perché la stima sulla violenza assistita dai minori, forma poco conosciuta e sottovalutata nelle conseguenze psichiche ed emotive che lascia sui piccoli, è stata fatta a partire dal numero di donne che si rivolge ai centri antiviolenza sparsi sul territorio nazionale. E' quanto si apprende scorrendo il 3° Rapporto sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia stilato dal Gruppo di lavoro per la Crc (Convenction on the rights of the child), composto da 62 associazioni no profit, con il coordinamento di Save the children. Ma c'è di più: il numero di minori esposti alla violenza domestica in Italia è il più alto d'Europa proporzionalmente alla popolazione, secondo i dati Onu del 2006. E nel mondo, in assoluto, pochi paesi ci superano in questa macabra classifica: il Messico, la Tailandia, le Filippine, il Sudafrica, l'Arabia Saudita, gli Usa e qualche altro.
Sfruttati economicamente e sessualmente, abusati, violentati nel corpo e nella psiche, imbottiti di farmaci e psicofarmaci, fotografati con videofonini per sfruttare poi il mercato pedopornografico, la condizione del bambino tra le mura domestiche o nei luoghi di cura (scuola, asili) italiani immortalata nel rapporto è impietosa. Nel capitolo dedicato agli abusi, redatto dal Cismi, il Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia, si parla anche di una vera e propria persecuzione subita all'interno e all'esterno della famiglia dai minori omosessuali. Il Gruppo di lavoro punta l'indice contro le politiche che hanno ridotto i fondi destinati ai servizi impegnati nel trattamento dei minori e delle donne vittime di violenza domestica. In particolare poi si sofferma sull'accanimento sulle donne durante la gravidanza e chiede di attivare i protocolli per la rilevazione di questi crimini previsti dall'Oms. E la denuncia arriva proprio mentre i teodem dell'Ulivo, con ben due ddl presentati ieri in Senato, insistono sulla centralità dell'aiuto alle coppie sposate under 35 per favorire «la crescita e il sostegno della natalità».
La famiglia patriarcale e maschilista, quella tipica italiana, si conferma quindi come uno dei luoghi più a rischio per i bimbi. Il Gruppo di lavoro infatti avverte di non forzare il principio di bigenitorialità al punto di anteporlo al superiore interesse del minore o farlo diventare strumento di «ulteriore persecuzione e stigmatizzazione nei confronti delle madri e dei bambini».
Ma ad ostacolare la lotta alla violenza sulle donne e sui bambini sono anche i processi mediatici come quello sul caso di Rignano Flaminio, denuncia la presidente del Cismai, Roberta Luberti. «Da Bruno Vespa a Liberazione, c'è stato un accanimento contro i genitori che hanno denunciato gli abusi e una difesa pregiudiziale degli imputati mentre le indagini sono ancora in corso. E questo danneggerà molto i processi di pedofilia e di violenze sui minori perché le madri hanno sempre più paura ad esporsi con una denuncia», accusa Luberti. E spiega: «I genitori sono stati fatti passare per matti spiegando che la paura dei pedofili è una delle fobie della nostra società. La realtà non è questa: purtroppo i casi di violenza fisica, psicologica e sessuale sui minori sono molti di più di quelli che vengono denunciati e che trovano giustizia nelle aule di tribunale. E le difese ci sguazzano in questo tipo di processi mediatici».

Liberazione 31.5.07
Il bimestrale diretto da Bertinotti da domani in edicola e in libreria
La sfida di una nuova rivista che rilancia l'idea del socialismo
di Domenico Jervolino


Il primo numero della rivista "Alternative per il socialismo" è pronto e si offre al giudizio dei lettori. Domani saràò in vendita nelle edicole e nelle librerie. E' una rivista nuova. Gli elementi forti di novità che essa presenta sono tutti legati alla fase politica inedita con la quale siamo chiamati a misurarci: una sinistra alternativa al neoliberismo che assume responsabilità di rilievo nella vita del nostro paese senza perdere di radicalità, senza rinunciare all'esercizio della riflessione critica sulle sfide del presente e su quelle del futuro. Anche il plurale del titolo ha un suo significato: non si tratta certo di un pluralismo eclettico, ma del senso della parzialità, del limite, della pazienza dell'agire politico e quindi della pluralità degli approcci teorici, delle piste di ricerca, delle pratiche politiche e sociali
L'aggiunta della prospettiva alla quale è finalizzata questa ricerca: "per il socialismo", oltre a far riferimento a un precedente storico illustre: la rivista di Lelio Basso "Problemi per il socialismo", dice già una presa di posizione impegnativa e tutt'altro che scontata nell'epoca della globalizzazione capitalistica.
La cosa più vana (nel senso di vuota, inutile, persino sciocca) che si potrebbe fare sarebbe quella di opporre questa finalizzazione per il socialismo a quella "per il comunismo". E' proprio Basso a notare che Marx parla indifferentemente di comunismo e di socialismo, per dire sempre la stessa cosa, senza distinguere - come si farà dopo di lui - il socialismo come prima fase e il comunismo come seconda. Marx adopera indifferentemente le due parole nei vari momenti della sua vita, qualche volta parla semplicemente di città futura. Quello che conta per Marx è l'aspirazione a questa nuova società, è in definitiva la liberazione dell'uomo. Quest'idea del socialismo/comunismo come liberazione mi pare ciò che oggi è veramente attuale, anche se più che mai controcorrente. Sul piano politico dovrebbe non solo spingerci verso un superamento della divaricazione fra le due principali tradizioni culturali del movimento operaio che si sono formate per ragioni storiche nel XX secolo, ma anche verso un'apertura e una contaminazione con altre culture, legate ai diversi movimenti che sono cresciuti negli ultimi decenni, dal femminismo ai new global. Contro la visione dogmatica che pretende di padroneggiare il corso del processo storico con la sicurezza di una vittoria finale, che spesso si accompagna poi a una diagnosi del presente che non lascia alcun spazio a una reale prassi trasformatrice, un rinnovato impegno nell'oggi della storia e della politica deve assumere il rischio dell'insuccesso del progetto socialista, nella consapevolezza dei prezzi che tale insuccesso comporterebbe per la grande maggioranza dell'umanità fino a giungere a un degrado senza precedenti della qualità della vita sul pianeta terra.
Il riferimento all'elemento "messianico" della storia (Benjamin) comporta una visione della memoria storica, della prassi e della comunità interumana in cui le sofferenze, le sconfitte, le lotte e le speranze di intere generazioni di oppressi e di ribelli non sono considerate vane, ed è anzi possibile e doveroso farsi carico delle promesse non mantenute del passato.
Questa concezione non comporta una enfatizzazione superumana del soggetto rivoluzionario (quasi fosse un salvatore che riscatta tutto il dolore della storia), ma una assunzione della finitezza come premessa per la condivisione di una comune condizione umana. E quindi un'assunzione di responsabilità da parte di soggetti - corporei, finiti, col senso del proprio limite e dalla propria fragilità, ma al contempo capaci di rispondere e di agire per un futuro comune dell'umanità. Significa saper trasformare il potere, piuttosto che prenderlo così come è, marcato dalla stratificazione sociale e dalle sue gerarchie, e perciò socializzarlo, diffonderlo, "tradurlo" in una pluralità di linguaggi e di capacità condivise. Occorre parlare, mi pare, di "rotture" al plurale, non di una rottura unica, definitiva, epocale, quindi di una catena di rotture, parziali ma effettive: il discorso ritorna qui al plurale di "alternative" e anche al plurale di "riforme" dentro una strategia che è politica e non meramente economicistica, proprio perché prevede una pluralità di riforme che comportano ciascuna una rottura nel potere esistente e l'apertura di nuovi spazi di democrazia

La ricerca intorno alla crisi (anche se parziale) del neoliberismo, alle difficoltà e contraddizioni dell'impero americano e alla insostenibilità politica di un governo unipolare del mondo sono essenziali per il nostro progetto di rivista. E' evidente che chi parte dall' idea di un impero mondiale onnipotente giunge ad altre conclusioni in merito a temi cruciali, come il ruolo della democrazia, lo stare e o no all'interno di una dialettica di tipo istituzionale, la partecipazione alla vita politica, antagonistica ma fondata su un agire politico realistico, il ruolo dell'Europa e di una possibile anche se difficile funzione di mediatore pacifico che essa potrebbe svolgere nel mondo d'oggi tristemente segnato dalla barbarie della guerra e della violenza.
Ripensare la democrazia è uno dei grandi compiti di una nuovo pensiero della liberazione.

Queste e altre ancora sono alcune delle piste di ricerca nelle quali si impegnerà la nuova rivista, interagendo coi suoi amici e lettori ai quali fin da ora si propone di partecipare a questo progetto formando un'associazione, di cui si è già costituito un nucleo promotore.

Liberazione 31.5.07
Nel nostro continente c'è un vuoto politico. Sta qui la crisi della democrazia. Occorre un soggetto politico nuovo per colmarlo. Ma non nasce un soggetto nuovo se non si costruisce una cultura nuova
Europa e sinistra: il paradosso del vuoto e della necessità
di Fausto Bertinotti


…la crisi della coesione sociale, determinata dall'attuale assetto capitalistico, pone alle sinistre problemi affatto inediti. Non si tratta più soltanto di recepire e rappresentare nella politica il conflitto sociale e di classe, non si tratta più neppure di tentare di ricomporre, in un predefinito blocco sociale, i diversi movimenti e le diverse soggettività che sono protagonisti dei conflitti. Si tratta di collocare la propria iniziativa in una società attraversata, oltre che da movimenti di cambiamento, da divisioni e frantumazioni di ogni sorta, da solitudini e scoppi di violenza, da individualismi e egoismi "tribali" per trovare il bandolo di un filo con il quale, in primo luogo, realizzare una tessitura unitaria sociale e culturale nel campo d'azione delle lotte per il cambiamento al fine di conseguire processi di unificazione, di socializzazione e di politicizzazione condivisa. Di più, assai di più però è la necessità di nuova coesione che viene proposta dalla crisi di civiltà che viviamo. E' l'intera società che vogliamo trasformare che deve essere investita da una grande opera culturale per ridefinire le ragioni del vivere insieme entro cui conquistare la compresenza dell'autonomia del conflitto e della convivenza umana.
E' un problema che già vide all'opera Gramsci, che lo considerava uno dei nodi della rivoluzione in Occidente, il problema del rapporto tra la cultura e le sorti dell'umanità associata. E' per noi il problema della critica all'idea di base dominante, al fondamento ideologico del sistema in atto e alle culture di massa che si generano nella combinazione tra la loro trasmissione nel sistema complesso delle comunicazioni di massa e l'erosione prodotta dalla crisi di civiltà dei costumi ereditati. Può aiutarci il concetto di causazione ideale come possibilità di identificare l'idea di base di un sistema e, contemporaneamente, di superarla, se non pienamente almeno quanto è possibile, cioè come rottura capace di accompagnare il processo di trasformazione reale e l'ascesa dei suoi protagonisti.
Il tema dell'egemonia, demolito sulla base di un travisamento volgare, il trasferimento del tema stesso dalla società al partito, torna a indicare una indispensabile linea di ricerca per la rivoluzione in Occidente, il tema appunto del rapporto tra cultura e le sorti dell'umanità, il tema oggi cruciale di una diversa antropologia rispetto a quella prevalente, di un passaggio necessario nel modo storico con cui l'uomo ha concepito se stesso. La necessità dell'operazione culturale mi sembra evidente.
A volte, sembra di trovarsi ormai pienamente immersi dentro le profezie socioculturali di Marshall MacLuhan, vecchie di quarant'anni. Che cosa è accaduto? Troppe, forse, sono state le rimozioni e le sottovalutazioni, anche a sinistra. Come l'incidenza della guerra (e delle guerre) nella determinazione del senso comune. Come il peso sulle coscienze della spirale violenza-guerra-terrorismo. Come la precarietà: che non è solo la condizione in cui versa il giovane nel mercato del lavoro, ma è anche la descrizione di una condizione sociale, civile e culturale. Non solo cioè questione economica, ma civile, che concerne cioè l'intera civiltà, e che coinvolge nella crisi il senso stesso dell'esistenza.
Come i problemi aperti che riguardano i rapporti tra sessi, generazioni e comunità, e tra l'individuo e la classe, il singolo e la comunità. Come la crisi di identità e di senso che queste "fratture multiple" mettono in moto. Una vera e propria crisi di civiltà lavora sul fondo. E la crescita abnorme della diseguaglianza ne diventa il paradigma più significativo.
In questi snodi si determina la crisi del modello sociale europeo, per come si è costruito nelle lotte dopo la vittoria sul nazi-fascismo. Il lavoro è il luogo di questa sfida di fondo, ma è occultato, reso invisibile, oscurato, rispetto alle scelte della politica: il prevalente è una sorta di lotta di classe al rovescio, del capitale contro il lavoratore che ha come suo teatro la riorganizzazione del lavoro e del mercato del lavoro su scala mondiale.
Di tutto questo, non c'è consapevolezza adeguata nella cultura della sinistra. Al di là dell'osservazione dell'impoverimento relativo delle masse popolari, non è chiara la vera "posta in gioco", e cioè che le nuove politiche neoliberiste tendono ad aggredire, e a cancellare, l'intero patrimonio storico del movimento operaio in Europa: la possibilità dei lavoratori di costituirsi in alleanze durevoli, in coalizioni; di esercitare un potere contrattuale effettivo, attraverso le organizzazioni sindacali (il contratto collettivo di lavoro); di fare delle lotte sul lavoro il centro delle relazioni sociali. Con il nuovo capitalismo riemerge tutta intera la vocazione totalizzante del capitalismo stesso, cioè la sua aspirazione a sussumere, dentro di sé, l'intera vita della specie e il suo rapporto con la natura. Il paradigma scientifico e tecnologico che in esso tende ad affermarsi, e la riduzione dell'uomo a consumatore dominato dalla fantasmagoria delle merci, ne sono i veicoli principali. Il fatto nuovo è che questo paradigma sposta la soglia dello sfruttamento fino ad inglobare tutto il vivente umano e, tendenzialmente, la mente stessa dell'uomo. L'allargamento del campo ne modifica la composizione e la fisionomia, ma ne estremizza la ragion d'essere, piuttosto che limitarla. Da qui la tentazione di includere tutti, tutte e tutto nel processo di accumulazione riducendo ogni linguaggio al proprio, quello delle merci.
Sul versante della tecnologia e della scienza, la specie umana ha completato, nel ventesimo secolo, il suo dominio sulla materia inerte. Un passaggio storico che esalta la differenza fondamentale tra i due cicli del capitalismo, cioè tra quello caratterizzato dai beni materiali e quello che Marcello Cini chiama "dei beni non tangibili": diversamente dalle merci tradizionali, i beni immateriali non si esauriscono con il loro consumo, mentre la produzione del profitto si sgancia dal rapporto diretto col tempo di lavoro strettamente necessario per produrre unità di merce. In realtà, il secondo ciclo, quello che si definisce come economia della conoscenza, non si separa dal primo, quello fordista, ma lo aggancia e lo riproduce su un'altra scala. La conferma inesorabile viene dal peso che continua ad essere attribuito, dalle classi dirigenti e dagli economisti, al tema della crescita, al valore del Pil come misuratore dello stato di salute di un'economia, alla costante ripresa dell'idea di sviluppo ininterrotto e, più duramente, alla sistematica compressione del livello dei salari. Sul versante culturale, dello Stato sociale e del lavoro, si fa strada la tendenza all'abrogazione del rapporto tra occupazione, lavoro e società e la sua sostituzione con il lavoro come puro fatto individuale. Ogni lavoratore avrebbe una quota minima di diritti e individualmente si dovrebbe arrangiare con l'impresa e il mercato per le sue prospettive professionali e di vita. E' la prospettiva allarmante che il libro verde europeo assume invece come realistica e proponibile. Come dicevamo, è la coalizione lavorativa in quanto tale che si vuole mettere in discussione. Del resto, dove resistono ancora in Europa veri Contratti collettivi nazionali di lavoro? Dove sono vissuti da grandi masse di lavoratori come fattori identitari?
La sfida, dunque, è radicale. Lavoro e diritti sociali riguardano direttamente la politica e non solo il sindacato: per entrambi è in causa la loro stessa esistenza.
In questo quadro, si sta profondamente modificando la geografia delle sinistre europee, in un processo che produce una serie di conseguenze paradossali.
Intanto, nelle forze politiche (anche nel Partito del socialismo europeo) l'esperienza nazionale torna ad essere decisiva, e il cammino di "europeizzazione" si fa assai più lento e contraddittorio del previsto. In secondo luogo, se c'è una linea di tendenza prevalente nelle socialdemocrazie, e più generalmente nel campo riformista, essa concerne assai più le culture politiche che non la conformazione dei soggetti organizzati. Le culture politiche dei partiti socialdemocratici e socialisti si vanno trasformando, pur con grandi differenze tra paese e paese, in culture "liberal-sociali", secondo la definizione di Riccardo Bellofiore: per un verso, esse rinunciano all'intervento pubblico e statale in economia, al welfare universalistico, alla costruzione del compromesso sociale attraverso il potere contrattuale del sindacato e dei lavoratori; per l'altro verso aderiscono all'ideologia "modernizzante" della globalizzazione e dell'autonomia del mercato. Così, l'equilibrio sociale viene collocato fuori dal meccanismo di accumulazione e di concorrenza, e la compensazione si fa tutta esterna, sul terreno sia dei diritti individuali che delle tutele sociali per singole e specifiche realtà. Il fatto che questa scelta, oltre che rinunciataria di ogni ipotesi di trasformazione, sia anche impraticabile, non ne riduce il peso nella "non politica" esistente.
In terzo luogo, nel clima generale (e generalizzato) di crisi del rapporto tra società e politica, prendono corpo negli stessi partiti di sinistra, negli stessi gruppi dirigenti, fenomeni "antipolitici". Si affacciano tentazioni neopopuliste, magari con connotati "dolci". Si affermano processi di spettacolarizzazione e di personalizzazione che marginalizzano i partiti o li riducono a mero ruolo di supporto…
E dunque, quali sono oggi i "nostri compiti"? Quali la prospettiva e la direzione di marcia da intraprendere? Quali i contenuti che identificano, in grande, l'idea di ricostruzione della sinistra e di rifondazione radicale della politica? A questi interrogativi classici, ma ineludibili, sarà dedicata la gran parte del lavoro di questa rivista. Intanto, certo, vi sono alcuni punti fermi da cui cominciare.
Se il problema principale in Europa è il vuoto della politica delle sinistre, per "colmare il vuoto" sono essenziali la proposta - e il lavoro - di un'alternativa di società.
Non solo un orizzonte, ma un obiettivo, per quanto improbo, di attualità storica, che non deriva né soltanto, né forse principalmente, dalla lezione della nostra storia, ma, da un lato, dalla considerazione che oggi "non è un capitalismo in crisi, ma la crisi del capitalismo che scuote profondamente la società" e, dall'altro, dall'analisi e dall'assunzione della critica portata dai movimenti alternativi che hanno caratterizzato l'alba di questo ventunesimo secolo. E' il tema del socialismo (non dei socialisti) del ventunesimo secolo; è il tema del socialismo oltre il Novecento che viene così all'ordine del giorno della politica…
Così, prende corpo il compito "nostro" nel nostro tempo: la costruzione di una sinistra alternativa europea, dotata della necessaria massa critica, capace di essere protagonista di un processo di unificazione europea, oggi in crisi, capace di cominciare a rispondere, per una parte, proprio a quelle domande.
Si tratta di sciogliere il paradosso europeo, il pendolo che oscilla tra il vuoto e la necessità. Per un verso, questa assenza pesante, che tiene lontana la politica da troppi territori della vita quotidiana, dai drammi umani e sociali come dalle frontiere più avanzate della scienza e della tecnica, dalle esperienze lavorative come dall'elaborazione dei sentimenti e delle emozioni, è proprio ciò che connota l'Europa, la non-Europa del presente. Di fronte ai grandi processi del nostro tempo, l'Europa appare lontana e impotente….
Eppure, per l'altro verso, da ognuno di questi terreni, dal loro insieme e persino dall'aut aut che in essi matura tra cambiamento e catastrofe, emerge l'urgenza della rinascita politica dell'Europa. E' sempre più evidente che ai grandi problemi sociali, economici ed ambientali non c'è più una soluzione realizzabile all'interno dei confini nazionali - se la si vuole cercare, come è necessario, fuori dal dominio del mercato e verso un diverso modello sociale. Del resto, questa costruzione di un'altra Europa è la sola possibilità di portare nella costruzione statuale, in un nuovo processo costituente, le istanze dei movimenti…

Liberazione 31.5.07
Benvenuta alla nuova rivista: riempie un vuoto di idee
Senza una teoria la sinistra non ha futuro
L'urgenza di una nuova cultura, i problemi irrisolti.
La nonviolenza, la critica al potere, il rapporto tra femminismo e operaismo...
di Piero Sansonetti


Abbiamo forzato un po' il titolo di questo articolo di Fausto Bertinotti, del quale pubblichiamo ampi stralci (la versione integrale la trovate sulla rivista "Alternative per il socialismo" che è in libreria e in edicola da domani). Il titolo originale, che Bertinotti stesso ha dato al suo articolo, è più complesso e meno rumoroso: "L'Europa e la sinistra. Il paradosso del vuoto e della necessità". Il titolo che pubblichiamo qui sopra è un po' una nostra interpretazione dell'articolo, ma anche - più in generale - una intepretazione del senso di questa nuova rivista, che sta per uscire con un programma culturale e politico, mi pare, piuttosto ambizioso.
L'idea di "rivoluzione", secondo me, è contenuta sia nell'articolo sia nel progetto editoriale della rivista. Rivoluzione nel significato pieno di questa parola, che è ormai una parola sperduta nel linguaggio e nel dibattito politico, eppure è ancora ricchissima, viva: rivoluzione, e cioè il rovesciamento dei principi della società attuale, la ricostruzione del suo sistema di idee, lo smantellamento dei meccanismi essenziali che la fanno vivere e ne regolano le relazioni, ne garantiscono la compattezza. Rivoluzione come progetto di società. Rivoluzione svuotata del suo contenuto - storicamente assai rilevante - di rivolta ramata e di presa del potere. In due parole, abbastanza semplici, rivoluzione contro il "capitalismo totalizzante", del quale parla a lungo Bertinotti in questo saggio, e contro la sua pretesa di ridurre a mercato l'intera complessità dei nostri corpi, del nostro spirito, delle nostre energie, della nostra abilità produttiva, delle nostre relazioni interpersonali, di tutta la nostra vita privata e pubblica. Bertinotti dice che il capitalismo moderno (che supera ma non abbandona, anzi ingloba, il vecchio capitalismo fordista) è basato sulla mercificazione completa del pianeta, e che l'unica risposta possibile è la costruzione di un modello demercificante. Penso che intenda dire che il cammino per sottrarre al mercato, via via, pezzi della società - diritti, relazioni, solidarietà, e naturalmente Stato - non può avvenire senza mettere in discussione il mercato stesso. Non cancellarlo, ma metterlo in discussione, levargli il ruolo centrale che ha assunto, ridurlo ad aspetto assolutamente secondario della civiltà. Proposito che è stato abbandonato da una parte consistente del movimento socialdemocratico europeo, il quale ha invece compiuto - dice Bertinotti - quella scelta che Riccardo Bellofiore definisce "liberal-sociale", e che lascia al mercato la sua centralità e il suo dominio.
Mi sembra inutile, però, continuare a riassumervi - e a interpretare - l'articolo di Bertinotti, che potere leggere e interpretare da soli. A me preme sottolineare una sola cosa, e poi proporre alcune osservazioni, spunti di discussione.
La sottolineatura è di quello che mi sembra il senso di questa nuova rivista, ben spiegato nell'articolo di Bertinotti: aprire non solo una discussione ma un vero e proprio lavoro di ricerca, di elaborazione, di definizione teorica, che permetta alla sinistra di affrontare le sfide che ha davanti - prima fra tutte, se non capisco male, quella di una sua nuova e solida riunificazione - uscendo dal politicismo degli ultimi 15 anni e ricostruendo un proprio bagaglio di idee, cioè definendo i confini della propria cultura e costruendo dentro questi confini nuovi strumenti che servano a interpretare la società e la storia, e a cambiarle, come diceva il vecchio Marx. Non so se è giusto usare questa parola, ma credo di sì: ideologia. Cioè un sistema, articolato su piani diversi, di strategie, progetti politici, chiavi di interpretazione della storia, collegamenti di idee, principi etici, ma anche senso comune diffuso e di massa, che servano a riconoscere se stessi, a stare insieme, a realizzare battaglie, sommovimenti, conquiste comuni. La destra ha una sua ideologia, anche se piuttosto rozza e oggi molto altalenate tra liberismo e fondamentalismo religioso. La sinistra, almeno da 15 anni, sembra terrorizzata persino dall'idea di avvicinarsi alla costruzione ideologica. Per questo perde, o viene fagocitata dal centro, o si mimetizza, o diventa elitaria e scollegata dalle grandi aggregazioni dell'opinione pubblica. Eppure una volta la sinistra era fortissima sul piano dell'ideologia. E trovava lì, nel suo sistema di pensiero, il più grande fattore di stabilità, di forza.
Allora c'era il marxismo e tutto il gigantesco castello di produzione teorica che intorno al marxismo si era sviluppato in 150 anni. Oggi può bastare un ritorno a Marx? Io credo di no, e mi sembra che nel progetto di Alternative, così come lo scorgo da questo primo numero, ci sia una risposta analoga. Quelle che Bertinotti definisce le nuove contraddizioni ("genere, generazione, culture, etnie") non trovano risposte nella consultazione di Marx e dei classici. O comunque trovano risposte insufficienti e forse sbagliate. E allora come si può pensare alla ricostruzione di una sinistra per questo secolo, se non ci si applica alla produzione di un sistema di idee?
Io, per esempio, vedo avanzare - dal dibattito e dalle lotte politiche di questi anni - due gigantesche questioni sulla cui soluzione so dire e ho sentito dire pochissimo. Le riassumo schematicamente. La prima è quella del rapporto tra femminismo e operaismo. Se volete posso dirlo anche in modo politicamente più corretto: tra lotta fra i sessi e lotta fra le classi. Sono due culture, due scuole politiche, che nel migliore dei casi riescono ad affiancarsi, a non entrare in collisione, a farsi spazio, a rispettarsi. Ma non c'è ancora neanche il barlume di una connessione tra di loro. Che vuol dire connessione? Non lo so con esattezza, credo però che in nessun caso possa avvenire se entrambe le scuole non accettano di rimettersi in discussione e di rinunciare a qualcosa di proprio. E so che se questa connessione non avviene, allora non nasce nessuna nuova teoria politica di sinistra, perché non esiste in natura la possibilità di una sinistra che non sia profondamente,convintamente femminista, e che non metta le domande del femminismo al centro della propria esistenza; né d'altra parte è immaginabile una sinistra che non conservi la questione del lavoro (e la questione operaia) come decisiva e centrale per il proprio pensiero e la propria azione.
La seconda questione è quella della nonviolenza e del potere. Rifondazione negli anni scorsi ha fatto uno sforzo eccezionale e importantissimo per ribaltare alcune sue caratteristiche strategiche e abbracciare la scelta della nonviolenza. Però io ho paura che si sia fermata troppo presto, in questo cammino. La scelta della non violenza è stata compiuta e motivata sulla base di una idea netta di critica del potere, che sostituiva l'ossessione novecentesca - che ha rovinato la sinistra - della presa del potere come imperativo categorico e palingenesi. Benissimo: proprio per questo l'idea della nonviolenza non può vivere, non può crescere, se non cresce - si articola, si consolida - una teoria di critica del potere. Come progettiamo un modello di società che non sia più gerarchica, che non sia più patriarcale, che non sia più padronale, che non sia più basata sulla sanzione, sul premio, sulla punizione, sul comando? In che modo - in quali forme concrete, comprensibili, efficienti - la solidarietà, il cordinamento, l'organizzazione, la relazione orizzontale, possono sostituire il comando economicista e maschile che ci ha guidato fino a qui? Quali possono essere le forme di governo non più gerarchiche e oppressive? Come cambia lo Stato, la rappresentanza, la decisione? Se non si risponde almeno ad alcune di queste domande, la teoria della nonviolenza o si dissolve o assume un significato moderato.
Io penso che Alternative possa darci un aiuto enorme, per avviare questo lavoro di ricerca (su questi e su moltissimi altri temi). E per quel che riguarda noi di Liberazione non ci limiteremo a fare il tifo, ma siamo a disposizione per accompagnare e sostenere questa impresa nelle forme e nei modi che troveremo insieme.