mercoledì 20 giugno 2007

Corriere della Sera 20.6.07
La fine dell'Occidente «Credere al divenire è la sua follia» di Emanuele Severino


Dal volume L'identità della follia, diamo in anteprima un estratto di un brano del secondo capitolo intitolato Precipitare nell'esser-altro. In esso è riportata la lezione tenuta da Severino a Ca' Foscari il 10 ottobre 2000
D opo il mito compare l'esigenza di porre la verità come condizione della felicità. Dopo i millenni del mito compare ciò che chiamiamo Occidente. Con la parola «Occidente » intendiamo qualcosa di pregnante, di determinato, non il significato corrente nella pubblicistica o nella stessa cultura contemporanea. Intendiamo ciò che cresce all'interno di un fondamentale atteggiamento di pensiero e quindi di azione; ciò che cresce all'interno di un fondamentale modo di pensare. Tale «fondamentalità» può essere indicata da due espressioni: l'identità (l'Occidente è volontà di identità) e il divenir-altro delle cose — quel divenire altro che abbiamo incontrato in Eraclito, dove, si dice che «son lo stesso le cose che hanno nomi opposti (giovane-vecchio, morto-vivo...) perché le une precipitando (così avevamo tradotto), sono le altre». Questo precipitare nelle altre è ciò che per la nostra cultura è diventato l'evidenza somma, ma con una accentuazione del senso iniziale del divenir-altro della quale dovremo parlare. Il mito è un percorso millenario che a un certo punto si «increspa ». Questa increspatura, in cui si dispiegano i millenni, è ciò che chiamiamo «Occidente». L'avvento dell'Occidente è costituito dalla crescita all'interno di due tratti essenziali: tautótes
(volontà di identità, abbiamo detto: ci ritorneremo) e il divenir-altro. Ma perché chiamare "volontà di identità" — ci si potrebbe chiedere — ciò che tutti noi riteniamo inevitabile, ossia che le cose siano se stesse? Certo, non ci siamo ancora intesi sul significato della parola «identità», e tuttavia una qualche cognizione su ciò che significhi «esser se stesso» l'abbiamo tutti. Perché dunque parlare di «volontà di identità »? Invito a tenere in sospeso questa domanda, che pone come oggetto di volontà ciò che dal punto di vista comune dell'Occidente invece è un'ovvietà, perché la risposta ci farà entrare al centro del discorso che proponiamo di sviluppare. Occidente — stiamo dicendo — è ciò che cresce all'interno di questa sintesi: le cose variano. Può variare una cosa se non diventa altro da ciò che essa è?... L'Occidente nasce all'interno della sintesi di ciò che abbiamo chiamato «volontà di identità» e di ciò che ora, in questa sintesi, chiamiamo «volontà di diventar altro», volontà che il divenire sia un divenir-altro. Ma di nuovo: perché «volontà»? L'identità è lì, le cose sono identiche; il divenir altro delle cose è lì — stiamo parlando di categorie la cui esemplificazione è totale. Loro alzano lo sguardo per guardarmi: è un divenir altro. Un piede che si muove, le galassie, il Big Bang originario...: divenir-altro. Non c'è variazione, produzione, trasformazione, metamorfosi che non sia un divenir altro. Già nel mito è presente il divenir altro. La parola «metamorfosi», che è piuttosto recente nella lingua greca, significa cambiar la forma ( metá-morphé):
l'umano che diventa animale o l'animale che diventa umano, come in molti racconti; o, per chi è cristiano, il vino che diventa sangue, il pane che diventa corpo di Cristo; ma, più semplicemente, è una metamorfosi anche il fatto che io prima tenessi in mano il pennarello e adesso l'abbia posato sulla cattedra. Stiamo procedendo in una direzione in cui dovrà apparire che quella che per i non credenti è un'evidente follia — il pane che diventa corpo di Cristo — è invece l'atteggiamento normale, l'attitudine fondamentale tanto per il senso comune che per la cultura e per la scienza. Ci avvicineremo al luogo in cui dovrà apparire che la follia di ciò che il linguaggio religioso chiama transustanziazione (ossia cambiamento della sostanza) è la stessa follia di ogni divenir altro: ogni divenire altro è l'impossibile. Ma per ora chiudiamo queste parentesi che servono a mostrare molto da lontano la strada che dobbiamo percorrere.

Severino. Quell'ossessione dell'identità di Armando Torno

Ad oggi le lezioni universitarie di Emanuele Severino non si conoscevano al di fuori delle aule. Quelle tenute alla Cattolica di Milano, sino al 1970, non sono mai state raccolte, ad eccezione di qualche introvabile dispensa degli anni '60. Quelle recenti, svolte all'Università Vita-Salute San Raffaele, non sono state pubblicate e nemmeno si aveva notizia delle altre, a Ca' Foscari di Venezia, sino al 2001. Questo dipende anche da come Severino tiene i corsi: fa riferimento ai suoi libri ma parla a braccio, lasciando poi libertà agli argomenti e spazio a eventuali repliche. Addirittura alla Cattolica ritirava dei fogli alla fine delle lezioni, rispondendo la volta successiva. E questo sia detto per un filosofo che ha diviso chiaramente la sua produzione: i testi teoretici sono pubblicati da Adelphi (qui, a settembre, uscirà Oltrepassare, che Severino considera il suo libro più importante), mentre quelli divulgativi escono da Rizzoli.
Ora ecco venire alla luce le registrazioni di una decina di corsi con le lezioni veneziane (merito è di Gianni Zennaro e Roberto Iannantuono). Quest'ultimo le ha sbobinate e trascritte. Sono testi a metà strada tra quelli divulgativi e quelli scientifici: con essi un pubblico di addetti ai lavori, ma anche di lettori interessati, ha a disposizione pagine con riflessioni sulla tematica cara a Severino, arricchita di approfondimenti ma anche di ulteriori spiegazioni. Giorgio Brianese, Giulio Goggi e Ines Testoni hanno curato con affetto e acume tali lezioni, completandole con riferimenti bibliografici e con rinvii alle opere dello stesso Severino. I termini greci sono stati traslitterati, in modo che anche un lettore non specialista possa entrare nel vivo del discorso. Il volume che esce oggi da Rizzoli si intitola L'identità della follia (pp. 378, e 19,50) e avvia la pubblicazione dei corsi veneziani, a cominciare dall'ultimo anno, il 2000-2001. Sono le prime 16 lezioni (altrettante sono previste il prossimo anno) e ognuna di esse si è svolta in due ore accademiche. Il titolo era greco: Tautótes, parola usata da Aristotele e che significa «identità». Questa parte si proponeva di «portare allo scoperto» una questione basilare: la critica appunto dell'identità, così come è intesa nel pensiero e nell'agire occidentale. Tali lezioni rappresentano un contributo alla individuazione della «essenziale follia» del senso che l'Occidente ha dell'identità (è più radicale di quella di Marx, che la vede nel capitalismo). Se volessimo tentarne un paragone, diremmo che è il significato autentico di ciò che in sede religiosa si chiama peccato originale.
La radicalità della follia, per Severino, è pensare che le cose possano diventare niente. La nostra follia è la convinzione nascosta, o «inconscia», che gli essenti — case, alberi, affetti, pensieri, situazioni, eventi — siano niente. Ma, contrariamente a quel che crediamo, sono eterni.

il Riformista 20.6.07
Quando si discute seriamente Sinistra, un «laboratorio» di idee


Per fortuna, a sinistra (sia dentro che fuori dal Pd), non si è perso il vizio di discutere. Lo hanno fatto - anche se per decretare, “da destra” (Veltroni) come “da sinistra” (Bertinotti) la sostanziale «morte» dell'utopia socialdemocratica - il sindaco di Roma e il presidente della Camera lo scorso lunedì mattina, al Campidoglio, stimolati dalla presentazione di una biografia sul leader socialdemocratico svedese Olof Palme. Biografia scritta da Aldo Garzia, ex giornalista del manifesto che oggi dirige la nuova rivista - voluta proprio dall'ex leader di Rifondazione - alternative per il socialismo.
Hanno discusso, e in modo approfondito, ieri mattina, alla sala refettorio della biblioteca della Camera dei deputati, chiamati a raccolta dal Centro per la riforma dello stato (Crs), di cultura politica della sinistra (o, meglio, «delle sinistre»), i leader dei Ds (Fassino), di Sinistra democratica (Mussi) e del Prc (Giordano), oltre a molti intellettuali e opinionisti d'area. Richiamati dall'autorevolezza e dalla lucidità di un pensatore tagliente (e provocatorio) come Mario Tronti. Il quale ha proposto - a «tutta» la sinistra - di costituire un vero e proprio «laboratorio di cultura politica». E ha molto fatto discutere i convenuti con un affondo critico sulla (a suo dire «malintesa») «idea di laicità» che oggi attraversa la sinistra medesima.
Naturalmente, le risposte alle provocazioni di Tronti dei suoi interlocutori politici, che hanno passato un'intera mattinata ad ascoltare e prendere, diligentemente, appunti, sono state molto diverse. Mussi ha insistito sulla necessità della ripresa di «un pensiero forte». Giordano sulla «dimensione della precarietà che oggi è, anche dal punto di vista antropologico, la forma del capitalismo». Fassino ha cercato di persuadere l'uditorio che «il rapporto tra riformismo e radicalità è quello di due dimensioni complementari, non antagoniste e che non si escludono». Al di là delle opinioni di ognuno, resta il punto: una volta tanto, la sinistra prova a discutere, non solo a litigare.

il Riformista 20.6.07
Cosa rossa. Parla il segretario del Prc
Giordano accelera e invita Mussi Intanto attacca le socialdemocrazie di Alessandro De Angelis


«L'idea che ci deve guidare è quella di una alternativa di società: io continuo a vedere l'orizzonte, per dirla col vecchio Marx, di una società di liberi e uguali». E ancora: «Non si può dire: o governi o stai con i movimenti. È lo schema americano per cui il governo è elitario e i movimenti non cambiano la politica». Il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano in una conversazione col Riformista è perentorio: «Io voglio trasformare la società». A pochi giorni dall'assemblea costituente della “sezione italiana” di Sinistra europea, il nuovo soggetto tenuto a battesimo da Fausto Bertinotti, ribadisce le sue parole d'ordine: «alternativa di società» e «socialismo del XXI secolo». E lancia a Mussi un appello a costruire la “Cosa rossa”: «Uniamoci senza scioglierci».
Ma partiamo dall'inizio. Il Prc ha scelto di andare “oltre” i suoi «muri» e i suoi tradizionali steccati e Giordano chiarisce qual è il nuovo obiettivo: «La costruzione di un soggetto politico con tutti quei partiti, movimenti, associazioni che sono critici rispetto al tempo presente e condividono un'impostazione politica basata sull'antiliberismo, sul pacifismo e sulla laicità». E precisa: «Non c'è sinistra senza un nuovo orizzonte di trasformazione della società italiana».
La mette in termini epocali Giordano, che analizza le difficoltà della politica e del governo Prodi in uno scenario più ampio: a fronte di una crisi del capitalismo e della politica su scala non solo italiana, la risposta non possono essere le socialdemocrazie, che boccia senza mezzi termini, da quella di Blair a quella di Zapatero: «Il modello socialdemocratico è in crisi. Le forme attuali della socialdemocrazia emendano il liberalismo e ne vengono travolte». Se l'opposizione alla destra la facessero solo i partiti socialisti per Giordano «ci sarebbe il rischio di estinzione della sinistra». Per non parlare dell'Italia, dove nel Pd il segretario di Rifondazione non solo non vede la gamba riformista dell'Unione, ma nemmeno «un oggetto con cui confrontarsi». Quindi non solo il riformismo europeo è in crisi e non solo in Italia non c'è neppure quello; ma per Giordano c'è dell'altro: con una punta di malizia rispetto alle cronache (vai alla voce: intercettazioni o scalate bancarie) bolla la sinistra come «priva di relazioni sociali» e legata a «un'idea di sostituzione rispetto al vecchio sistema di potere: banche, finanza, economia». E se le socialdemocrazie e tutti quelli che ad esse fanno riferimento si limitano ad addolcire l'esistente senza cambiarlo un gran che, il luogo dell'alternativa per il segretario di Rifondazione non può essere il Pse: «Non è un cantiere perché nei fatti avalla il neoliberismo e non affronta la crisi del riformismo». Suscitano interesse all'interno del Pse (vai alla voce: Mussi) solo «coloro che provano ad analizzare la crisi del riformismo».
Conclusione: il dialogo con Mussi può sfociare in «una soggettività nuova in Italia», con Boselli no. Il nodo si chiama sempre capitalismo, e il dibattito è sempre lo stesso: c'è chi lo critica in nome di un diverso ordine sociale e chi lo governa. Giordano lo critica e, rivolgendosi a Formica, spiega: «La sua idea di governo sta dentro il processo di modernizzazione che non è oggettiva ma è capitalistica, come quella di Craxi negli anni Ottanta». Al contrario, Rifondazione oggi e la “Cosa rossa” di domani «devono battersi per un'alternativa a quel modello». E a Boselli, secondo il quale «è meglio applicare le ricette di Rasmussen rispetto a quelle di Bertinotti», Giordano risponde. «è esattamente il contrario». In particolare la flexsecurity non è un modo per temperare la flessibilità, ma una sorta di sfruttamento doppio, «la presa d'atto che non c'è alternativa alla centralità dell'impresa: è la forza lavoro che deve adeguarsi e se non ce la fa interviene lo Stato a sottrarre gli oneri della tutela». E aggiunge: «Ne deriva che nessun diritto è per sempre e la precarietà non è una patologia ma la forma del processo produttivo». Praticamente, per il segretario di Rifondazione, una cura peggiore della malattia.
Ma se tra Giordano e Boselli le distanze sono incolmabili, con Mussi c'è un ponte, o forse già qualcosa di più: «C'è una totale convergenza nell'azione dei gruppi parlamentari sui temi economico-sociali, su quelli della previdenza, sulla visione dei diritti dei lavoratori». Giordano è più che ottimista sul lavoro comune con Sd e, viste le premesse, lancia un appello a Mussi: «Caro Fabio, usciamo dalle trincee e costruiamo insieme questo nuovo soggetto politico unitario, senza negare o sciogliere le identità di nessuno. Noi dalle nostre trincee siamo usciti».

Liberazione 20.6.07
L'intervento integrale di Bertinotti all'assemblea della SE
«Un soggetto plurale e unitario della sinistra è irrinviabile»
di Fausto Bertinotti


Vi parlo in una veste che sto per dismettere, quella di presidente del Partito della Sinistra Europea, e lo farò con rispetto per le istituzioni e per il mio ruolo istituzionale. Per questa ragione non parlerò del governo, delle sue azioni e di come dovrebbe rispondere alle grandi questioni sociali aperte né formulerò giudizi sulle forze politiche. Malgrado questi limiti di autocensura credo di potervi parlare di ciò che considero essenziale in questa fase politica in Europa. Vorrei trasmettere il senso drammatico del momento che stiamo vivendo e contemporaneamente di una necessità storica che credo sia una reale possibilità.
Siamo a un passaggio cruciale, acuto. Non c'è in questo nessuna drammatizzazione artificiale e anzi credo dobbiamo andare a fondo in questa percezione. Passaggio drammatico e acuto per chi? Per l'Europa in primo luogo. Il suo futuro come possibile potenza di pace e produttrice di un modello diverso di organizzazione dell'economia è a rischio, ma con essa è a rischio la civilizzazione che in Europa si è costruita con la grande irruzione delle masse popolari dopo la liberazione contro il nazifascismo. Ma all'interno di questo passaggio acuto per l'Europa c'è un passaggio ancor più acuto per la sinistra in Europa. Credo dobbiamo avere chiara la percezione che è a rischio la sua esistenza, il suo futuro.
Di quale sinistra stiamo parlando? Credo che si possa dire che oggi con l'eredità della storia, con la sinistra storica, la sinistra del movimento operaio, è a rischio una sinistra politica che voglia costruire "la politica" sui rapporti sociali, sulle condizioni sociali di vita, che voglia andare oltre la riduzione astratta e mistificante di tutte e tutti "al cittadino votante", per scoprire dentro questo esercizio in democrazia, la natura sociale delle persone, delle coalizioni sociali. La domanda all'ordine del giorno che non possiamo sfuggire è se esisterà un futuro per questa politica in Europa. Per una politica, cioè, che sia costruita sulla critica al capitalismo del nostro tempo e al patriarcato cioé alle strutture e alle culture che determinano l'oppressione dell'uomo e della donna contemporanee. Se casca questa possibilità casca con essa un'idea dell'Europa. L'Europa nel mondo e nelle organizzazioni sociali come portatrice di un autonomo progetto anche rispetto alla globalizzazione capitalistica. Un'idea di civiltà.
Ora perché corriamo questo rischio? Cosa è accaduto e cosa sta accadendo per cui questa sinistra, "la sinistra" è a rischio? Noi viviamo una crisi profonda della politica che segna profondi elementi di distacco di parti importanti delle masse popolari dalla politica. Una sorta di dura disaffezione. Un'impossibilità di investire le proprie emozioni, i propri convincimenti nella politica. E' l'esito di un quarto di secolo e dei processi dominanti in questo ultimo quarto di secolo.
In questa crisi della politica si è affacciato un nuovo soggetto politico, non solo economico-sociale come è sempre stato: l'impresa. L'impresa che nel mercato ha l'ambizione non solo di costituire il punto forte dell'organizzazione sociale, ma il paradigma della politica. Sta qui l'ambizione, di questo nuovo capitalismo, di cancellare il discrimine tra destra e sinistra pretendendo di imporre, invece, una presunta neutralità dietro la quale non c'è altro che l'egemonia dell'impresa e del mercato. Se Montezemolo muove la critica e la contestazione per ottenere la demolizione del rapporto del conflitto tra destra e sinistra non serve chiedere di quanti voti e portatori. Serve piuttosto cogliere il senso profondo della sfida.
E dentro questa crisi della politica c'è la crisi della sinistra: la crisi nella crisi. La sinistra era più esposta a questi processi, dopo vicende assai complesse che l'hanno caratterizzata per lunghi decenni, trasformazioni passive che ha subito. E proprio nella modernizzazione che si rivela la difficoltà. Il voto in Francia, ma anche in quello del Nord Italia ci dicono qual è il rischio e qual è l'esito che può intervenire nei processi politici se non combattiamo questo rischio: una sinistra maggioritaria nel voto, ma che dimentica non solo la tradizione comunista e socialista, ma anche quella socialdemocratica per un approdo liberal-sociale, dall'altra parte una sinistra d'alternativa frantumata, chiusa nella ricerca di piccole identità è ininfluente sulla politica e sulla società.
La destra vince perché è portatrice di un'idea forte di società. Una cattiva idea, ma un'idea. E per questo sfonda in un mondo caratterizzato dalle paure, dalle incertezze, dal rischio rispetto al futuro. Dà una risposta forte: cattiva, ma forte. La Francia vede nel voto confermare l'esistenza del discrimine fra destra e sinistra. Anche perché c'è una mobilitazione contro il pericolo Sarkozy e una parte importante della popolazione operaia che persino aveva votato anche Le Pen, ritorna a votare a sinistra per arginare questo pericolo. Ma siccome questa distinzione non affonda le sue radici nella società, cioè la sinistra non organizza la cultura della sinistra, la destra sfonda e vince.
Risulta così un panorama disperante, una sinistra senza classe che primeggia nel voto e nell'opinione e una sinistra di classe che non guadagna un consenso di massa, consegnando così tanta parte della popolazione alla sfiducia. E' il rischio che si aggira per l'Europa.
E io chiedo davvero che ci interroghiamo su questo rischio. Sulla impossibilità che finiamo così mentre tante domande si affacciano nella società, tante soggettività, tante criticità, tante esperienze nei movimenti. Eppure, questa criticità, questi conflitti, questi movimenti non bastano. Davanti a noi c'è il rischio di una americanizzazione della vita politica in Europa, dove anche i conflitti sono confinati nella marginalità perché la politica la fanno altri soggetti. Noi dobbiamo contrastare a fondo questo rischio.
La sinistra ce la può fare, come testimonia l'esperienza complessiva dell'America Latina, dove si assiste a una rinascita sulla base di un nuovo patto tra le politiche della sinistra e i popoli o con l'esperienza in Germania dove nasce un nuovo soggetto della sinistra che sarà protagonista del futuro del paese e dell'Europa. Possiamo farcela, ma non bastano i correttivi all'esistente, mentre addirittura risulterebbero fuorvianti le repliche identitarie. La possibilità di difenderti da questa onda alzando la bandiera e alzando la capacità di denuncia.
Bisogna delineare, io credo, con tutti coloro che vedono questo rischio, un'operazione politica grande e impegnativa. Si tratta di arginare l'onda della depoliticizzazione e riprendere il cammino dalla trasformazione della società e dell'Europa. Io credo questo sia il compito della Sinistra Europea e delle sinistre in tutti i paesi europei. Rendere ciò un obiettivo credibile oltre che giusto. E' una necessità e penso in Italia, per voi, anche un'occasione. Quando una parte delle forze riformiste fanno una scelta di ricollocazione nella società e costituiscono così una novità politica, tanto da configurare la possibilità di un nuovo rapporto fra tutte le forze della sinistra di alternativa.
Le sinistre non possono sfuggire a ciò che è all'ordine del giorno, come antidoto al rischio indicato, cioè la costruzione di una sinistra di alternativa capace di mobilitare grandi energie in questo paese. Gli elementi di partenza ci sono. Si sentono largamente condivisi in un vasto campo di popolo. Sono il rifiuto della guerra e del terrorismo, in primo luogo. E come avessero ragione i movimenti, il partito della pace, ce lo dicono le vicende di questi giorni. Quando la politica viene messa sotto scacco ormai c'è la tragedia. Guardiamo la vicenda palestinese che non è solo confinata alla tragedia di un popolo in un territorio. E ci dice che se viene meno la prospettiva politica, quella spirale guerra-terrorismo si abbatte su tutti in termini devastanti. E l'altro discrimine è quellocresciuto in tutti questi anni dal rifiuto delle politiche neoliberiste per costruire altri elementi di politica. Un processo dunque per costruire una risposta a grandi temi come quello della precarietà che corrodono il tessuto sociale. La costruzione di una politica di alternativa.
Ma per farlo è necessario costruire una massa critica capace di dare efficacia alle cose giuste, non basta aver ragione bisogna potersela prendere la ragione per poter cambiare il paese. E per prenderla ci vuole una forza che sia in grado di rimotivare una nuova prospettiva. E per costruirla ci vuole la necessità di cogliere il momento, l'attesa che si produce. Non tutti i momenti sono uguali, lo sappiamo bene. Se si suscita un'attesa come si sta suscitando in questo momento, allora si può organizzare un'emozione collettiva. Una forza nuova non la si fa soltanto con la ragione, la si fa anche con la passione, le emozioni e i sentimenti. Un grande poeta italiano, Giacomo Leopardi, scrisse: «Se la ragione, e solo se, la ragione diventa passione è possibile la conoscenza». Pensava così anche Gramsci. Ci ha insegnato così anche il movimento delle donne e il femminismo. Dovremmo averlo imparato.
Gli scogli ci sono, è evidente: un processo di costruzione dell'unità non è indolore. Il tema del rapporto con i movimenti, la questione del governo, devono essere affrontati, sono problemi reali, anche difficili. Ma voi avete accumulato saperi, esperienze per poterli affrontare. Per avere assunto - e io credo sia forse l'esperienza più importante di questa comunità - il rapporto con i movimenti come il terreno fondamentale del lavoro politico e della rifondazione. Cambiano i corsi dei movimenti e cambiano i corsi della politica, ma questo è un paradigma della politica del futuro.
Questa comunità ha costruito un rapporto anche con l'esperienza di governo come possibilità, come scelta, non come obbligo, ma come operazione politica da sperimentare e da verificare. Ora lo vediamo che questi sono grandi problemi, sono problemi non risolvibili una volta per tutte, ma credo che si risolvano meglio tanto e quanto più si è forti.Solo se un soggetto politico a sinistra risulterà forte, ampio, plurale, ci sarà la possibilità di connettere ai movimenti e ai conflitti la rappresentanza politica. E solo se rinasce nella politica, se risorge il tema della trasformazione della società questa connessione potrà diventare di lungo periodo.
Il tema che sta di fronte alle sinistre è nientemeno che il socialismo del XXI secolo. Tema difficile, impegnativo, ma a cui possono lavorare per la situazione in cui siamo, per la natura della globalizzazione e per le domande che crescono nella società, forze che vengono da storia comunista, socialista, democratico-radicale, di cattolicesimo sociale, nuove culture di movimento, avendo già incontrato tutte queste, le grandi culture del femminismo e dell'ecologismo critico.
Una nuova forza politica si costruisce, plurale, unitaria, grande se alla base c'è una cultura politica forte e una pratica politica riformata. La Sinistra Europea è una preziosa esperienza. Ci ha fatto incontrare forze politiche diverse in diversi paesi europei. Abbiamo imparato a non giudicare. Abbiamo imparato a poterci aspettare delle sorprese anche laddove non era prevedibile secondo la logica di un processo lineare. Chi, cinque anni fa, avrebbe pensato alla possibilità di una unificazione nella Die Linke in Germania, tra i comunisti della Pds che venivano dall'esperienza storica della Germania dell'Est, un sindacalismo radicale come quello della Wasg e uno dei leader più importanti della socialdemocrazia tedesca come Oskar Lafontaine. Come può accadere un fatto così? Accade perché si coglie l'opportunità di una congiuntura politica e in quel momento la pratichi e la realizzi.
Ora, questa cultura politica è alla portata dell'esperienza che voi state compiendo. E una pratica politica riformata è quella che può consentire di combattere l'imbarbarimento che avviene anche nella società. Preziosa esperienza quella della Sinistra Europea che ci ha insegnato che l'Europa non è politica estera. L'Europa è la politica, l'Europa è il campo in cui la Sinistra Europea cresce e vive oppure muore. L'Europa è ormai il terreno quotidiano dell'azione politica. Ed è il terreno su cui stiamo imparando che oggi Germania, Francia, Italia, il grande cuore dell'Europa continentale, hanno di fronte a sé gli stessi problemi.
Credo che noi possiamo affrontare questi temi investendo tutto il patrimonio accumulato e mettendolo in un campo aperto. L'obiettivo di un soggetto plurale e unitario della sinistra in Europa e in Italia è irrinviabile. I modi per l'unità sono conosciuti. Una vasta gamma di opportunità si aprono sempre nel processo unitario. E' inutile pensare di mettere il carro davanti ai buoi, bisogna cominciare. Per imparare a nuotare bisogna buttarsi in acqua, bisogna promuovere cioè un processo. Gli strumenti, le modalità sono conosciuti. Pensate al sindacato che li ha sperimentati: l'unità d'azione, la discussione sull'unità organica, grandi processi federativi come quello che ha reso grande l'Flm in un rapporto in cui si scombinavano l'unità di organizzazioni in cambiamento e la nascita di nuovi soggetti come i delegati. E non si dica che i delegati non ci sono: si possono costruire nel territorio forme partecipate autonome di vita democratica della nuova sinistra.
I tempi e i modi in certi periodi sono decisivi. Insisto sulla natura della sfida, quella di ridare una prospettiva al cambiamento, all'efficacia dell'azione collettiva e politica. Abbiamo tante domande, tante sollecitazioni critiche e tanta difficoltà a raccoglierle. La costruzione di una cultura politica per incidere nel senso comune delle popolazioni è un terreno importante quanto il movimento e il conflitto. Non meno.
Si riaffaccia di fronte alle sinistre in Europa, come tema ineludibile, il tema dell'egemonia, cioè della possibilità di cambiare in corsa le culture dominanti. Lo sappiamo, al fine la contesa sarà decisa dai rapporti sociali e in essa il lavoro torna già oggi ad acquisire un peso forte, un segno. Ma c'è il problema di come aprire uno spazio politico affinché queste domande, questi bisogni diventino organizzazione del cambiamento della società. Si tratta di aprire uno spazio politico perché possano riprendere fiducia per affermarsi. Non ce la farebbe la sinistra, neppure se facesse un buon sindacalismo di sinistra. Non ce la può fare la sinistra soltanto picchettando, come necessario e giusto, le rivendicazioni dei lavoratori e del sindacato. Non c'è nessun economicismo che possa fronteggiare la bisogna. Senza una cultura politica che incida sul senso comune le buone ragioni diventano impraticabili. E questo non te lo puoi permettere perché questo riapre un circuito di crisi della politica e di distacco dei lavoratori. Vincono i fontamentalismi a quel punto. Al rapporto destra-sinistra si sostituisce quello tra amico e nemico, e il nemico può essere chiunque, anche quello di cui avresti bisogno per cambiare la società. Il populismo divorerebbe le carni delle grandi popolazioni, come in parte sta già avvenendo, e la minaccia si farebbe in termini di un conflitto tra coloro che invece dovrebbero essere alleati.
La Sinistra Europea può essere l'occasione per cambiare tutto ciò. Un passo cifrato lo state facendo, altri e più decisi passi vanno fatti. Credo che dobbiamo anche cogliere la lezione della Sinistra Europea non come il termine di un cammino da consolidare, ma come l'apertura di una porta da spalancare verso la costruzione di una sinistra più ampia, plurale, forte in Europa e in Italia. Voi venite da un'esperienza che credo ci proponga una lezione buona che possiamo avere imparato insieme. Questa comunità si è aperta e ascoltata, anche nei momenti difficili, e ha ascoltato anche storie lontane che a qualcuno sembravano elementi folcloristici e invece abbiamo ascoltato e abbiamo imparato che nello zapatismo viveva un annuncio che poi sarebbe diventato forte nei grandi movimenti del mondo, nel movimento dei movimenti.
E abbiamo ascoltato con umiltà, quando l'esperienza e il movimento ce lo ponevano, padri di culture diverse come quelle della nonviolenza, che io continuo a pensare essere una delle chiavi di volta delle nuove sinistre in Europa. Come un'idea di critica del potere, di partecipazione, di rifiuto della delega e anche di correzione dei nostri linguaggi e delle nostre culture da cui andrebbero espunte in partenza gli elementi di offesa e di violenza.
La sinistra in Europa è a un passaggio stretto, anche drammatico, ma proprio l'ostacolo gli consente il salto perché glielo propone come un aut-aut. Penso che la Sinistra Europea debba aprirsi a un confronto con tutte le sinistre, con tutte, con tutti coloro che quale che sia il nostro giudizio si considerano di sinistra, senza muri, senza sbarramenti né a sinistra né nei confronti delle componenti moderate che stanno in questo campo perché anche nei confronti del partito della Sinistra Europa invece di avere un atteggiamento separato va condotto un atteggiamento di confronto ravvicinato e di sfida per chiederci insieme se esiste un destino comune delle sinistre per quanto tra loro diverse in Europa. E dentro questo confronto far crescere un processo unitario della sinistra di alternativa.
Nel cuore dell'Europa continentale Germania, Francia e Italia - lo ripeto - stanno allo stesso punto, uguale è il rischio di sradicamento della sinistra. Guardiamo il voto nel Nord Italia e non è il voto, come si dice, in una zona particolarmente ricca o nella locomotiva del paese, è il voto di un luogo strategico, come in altri luoghi strategici in Europa, dove la sinistra rischia di essere cancellata. E allora bisogna avere il coraggio di intraprendere l'impresa. Credo che non ci si debba chiedere prima come andrà a finire e neanche ci si debba chiedere prima come dovrà essere il disegno preciso di questa sinistra di alternativa. Sarà quello che ne faranno i partecipanti, la gente che deve essere messa democraticamente nella condizione di organizzare il suo futuro politico. I tempi non consentono rinvio. Il compito è difficile, molto difficile. Ma se vi posso fare un invito credo che le necessità siano due. E voi sapete benissimo quanto siano difficili da tenere insieme, ma penso che se si scegliesse tra le due ci si condannerebbe alla sconfitta. Le esigenze sono: primo, fare fatti politici nuovi a sinistra, visibili e significativi che incoraggino i popoli dispersi delle sinistre a dire riprendiamo insieme il cammino; secondo, proseguire insieme la ricerca per la rifondazione della cultura e della prassi per la trasformazione della società capitalista. Queste due esigenze possono essere tenute insieme. Voi che siete impegnati nel lavoro politico di ogni giorno, che è la vera fonte di insegnamento della politica, sapete certamente molto meglio di me cosa fare e come farlo. Vi invito soltanto a farlo, fatelo tutti insieme, uniti. Resi solidali nei gruppi dirigenti nel partito anche dalla difficoltà e dall'ambizione del compito che possono essere buoni consiglieri per realizzare nella fraternità e nella solidarietà quest'avventura comune.
Buona fortuna.

Liberazione 20.6.07
L'esponente di Sinistra democratica: «Ha fatto bene Bertinotti a mettere l'accento sul dramma che abbiamo di fronte. Solo insieme possiamo reggere l'urto»
Grandi: «Sfida epocale, essenziale l'unità a sinistra»
di Romina Velchi


«Mi ha convinto soprattutto la sequenza logica». Alfiero Grandi, esponente di Sinistra democratica e sottosegretario all'Economia, è stato tra i primi a commentare le parole di Bertinotti all'assemblea della Sinistra europea. E se gli chiedi cosa lo ha convinto di più di quel discorso, ti risponde, appunto, così: «La sequenza logica».

Cioè?
Intanto Bertinotti è stato esplicito descrivendo la Se non come un punto di arrivo (nemmeno di partenza, sarebbe un'inutile scortesia), ma di passaggio verso qualcosa di più e di meglio. Di veramente nuovo. E questo qualcosa non deriva da un atteggiamento difensivo. Bensì dalla convinzione che la sinistra deve continuare ad esistere e deve avere un ruolo, ma non in termini conservativi. Ciò che Bertinotti ha descritto, con un'immagine suggestiva, come la sinistra e il socialismo del XXI (tra i quali vi è un legame molto stretto). Mi sembra un ragionamento che merita di essere valorizzato.

Fare qualcosa di nuovo e non qualcosa di vecchio. Vecchio è ciò che stanno facendo con il Pd?
Io provengo dai Ds, ho vissuto tutti i tormenti e la fatica del passaggio al Pd. Ormai ho l'impressione che ci sia poco da fare. La maggioranza diessina ha scelto quella strada, la linea non cambierà. Mi sarei aspettato che le ambiguità, le difficoltà, le incongruenze evidenti stoppassero il processo, facessero tornare i dirigenti sui loro passi. Invece, forse perché sentono il rombo della valanga che arriva, addirittura hanno accelerato, vanno più veloci verso la confluenza moderata in un indistinto che non so cosa sarà. Vi hanno legato i loro stessi destini: per questo faranno le primarie il 14 ottobre, a prescindere da ogni ragionevolezza. Perciò il vuoto è già cominciato ed è un vuoto più grande di quello che noi possiamo metterci dentro per riempirlo. Sd non può farvi fronte da sola e lo stesso vale per le altre forze: per quanto importanti sono inadeguate ad affrontare la sfida epocale che abbiamo di fronte. Siamo di fronte ad un dramma: il baratro tra quello che c'è da fare e quello che siamo in grado di fare noi. E' un merito di Bertinotti aver messo l'accento su questo, persino in termini brutali. A questo aggiungo una mia chiave di lettura, che è quella dell'urgenza dei tempi.

Fare in fretta a fare il partito unico?
Diciamo fare in fretta verso un'identità che tenga insieme tutte le forze della sinistra, che così sarebbero in grado di reggere l'urto, di respingere l'onda. Fare presto e bene, naturalmente. Cioè pensare ad un percorso diverso, in cui sia al centro il merito delle questioni, la ragione per la quale si fa questa operazione, i pilastri fondamentali, che ora stanno crollando: lo sfruttamento e l'alienazione sul lavoro, i rapporti di forza tra mondo ricco e mondo povero, un "governo mondiale" affinché la guerra non sia più la risposta alle controversie, la possibilità di allargare davvero la partecipazione e non cercando scorciatoie con meccanismi istituzionali, come il referendum elettorale.

E quali sono questi valori fondanti?
Sono sia sul piano del metodo che su quello del merito. Nel primo caso penso al rapporto tra le cose che dici e quelle che fai (cioè la questione della credibilità, che poi ha a che fare con la disaffezione della gente nei confronti della politica); al rapporto tra fini e mezzi (superando anche le ambiguità di Gramsci); alla partecipazione (il cui allargamento non può che essere un bene, non solo per la sinistra); alla questione della rappresentanza (cioè del rapporto tra rappresentanti e rappresentati) e alla deriva della personalizzazione, che non siamo stati capaci di contrastare. Sul piano del merito penso alle questioni dell'ambiente e quindi alla qualità dello sviluppo, alla cultura del risparmio delle risorse; penso alle questioni del lavoro e di come dare una prospettiva a chi lavora che non sia solo alienazione; penso, infine, ai rapporti tra economia e società: dico no alla privatizzazione sociale, ma serve un nuovo patto, in cui ognuno dà il suo contributo (in termini fiscali) e riceve il riconoscimento ai diritti fondamentali (scuola, sanità ecc). Se la politica è in crisi come fa a dare le risposte a queste domande? E così ritorniamo al punto di partenza.

il manifesto 20.6.07
Sinistra, sostantivo singolare
Un laboratorio di cultura politica al Centro per la riforma dello Stato, per un codice comune fra riformisti e radicali contro la religione della quantità. La proposta di MarioTronti, le risposte di Fabio Mussi, Franco Giordano, Piero Fassino
di Ida Dominijanni


«La mia idea è che le due opzioni della sinistra, quella riformista e quella antagonista, pur nella diversità di programma, di comportamenti, di gestione, conservino e coltivino un terreno comune di critica culturale del modello sociale. Questo serve all'antagonismo per liberarsi dell'eterno pericolo dell'estremismo, serve al riformismo per liberarsi dell'eterno pericolo dell'opportunismo». Mario Tronti, presidente del Centro studi per la riforma dello Stato, sintetizza così la sua proposta di un laboratorio di cultura politica della sinistra che l'assemblea triennale del Centro è chiamata a discutere. Un laboratorio per «la» sinistra, al singolare, proprio quando la divisione fra sinistra radicale e sinistra moderata è ormai definitivamente sancita dalla decisione di dar vita al Pd e da una nuova aggregazione alla sua sinistra? Può sembrare bizzarro o quantomeno inattuale. Ma Tronti la spiega così: in un momento in cui «destra e sinistra hanno in comune gli aggettivi (destra liberale e sinistra liberale, destra democratica e sinistra democratica)», è il caso di «tornare ai sostantivi». A ricostruire il senso del termine sinistra, e di una «distinzione forte» fra sinistra e destra che si va appannando nel senso comune. Ricostruire non significa solo far dialogare quello che a sinistra c'è già. Significa «rimettere in gioco il modo di pensare», per invertire il «cambio di egemonia» che dalla fine dei 70 ha consegnato l'ordine del discorso «a uno spirito del capitalismo che si fa massa e si fa mondo».
Occorre dunque una «controffensiva culturale». Non facile: il compito di una «critica di civiltà» si scontra col fatto che di quest'ultima non si vedono segnali di crisi. Del contrattacco Tronti individua tuttavia cinque punti, che sono altrettante proposte per il laboratorio. Primo, l'analisi dell'antropologia politica delle società democratiche: l'individuo-massa spoliticizzato, homo oeconomicus e homo democraticus ancorato a una dimensione quantitativa (soldi, consumi, nonché voti) della vita. Secondo, la ricostruzione del rapporto fra «cultura degli intellettuali e cultura di popolo», contro il consumismo culturale che crea un'opinione pubblica manipolabile. Terzo, riscoprire la centralità del lavoro «dopo la classe». Quarto, reimpostare il rapporto fra il politico e il sacro, evitando di interpretare la laicità in termini antireligiosi.
E' tutt'altro che un programma estremista, o utopico: il punto, del resto, non è disegnare improbabili città future, ma - riformisticamente - riconquistare a una o più politiche di sinistra la capacità di condizionare il rapporto di forza fra economia e politica. Eppure è un programma che fa attrito col senso comune delle sinistre di oggi . Con la visione corrente della democrazia («'Tutto il potere ai Soviet' è stata un'utopia. Non vorrei che diventasse realtà 'tutto il potere ai gazebo'». Con l'illusione di un uso disinvolto del mercato («Il problema non è di mettersi con un pezzo di capitalismo o di finanza contro un altro. Questo era il potere dc»). Con il chiacchiericcio su politica e antipolitica («Se vogliamo riabilitare la politica, sciogliere il nodo fra l'economico e l'antipolitico, bisogna ridare autorevolezza alla politica, mentre rischiamo personalità autoritarie senza autorevolezza»). Punti di attrito effettivamente, sanamente «inattuali».
Ma forse è proprio per questa sua inattualità che la proposta del laboratorio Crs incontra, almeno a parole, solo favori e minime obiezioni. Fabio Mussi è convinto che per una qualche ricomposizione della sinistra il tempo stringe, ma che «senza risalita alle idee sarà una ricomposizione effimera», e le idee bisogna sottrarle alle agenzie politiche, economiche e massmediali che le producono «organizzandole in cattive ideologia di breve durata» a uso della manipolazione delle masse («di cui il gazebo è l'ultima forma manieristica»). Franco Giordano concorda sull'impianto e le intenzioni, ma non vuole che il lavoro di ricostruzione di una cultura politica «si sovrapponga» al confronto fra «le soggettività esistenti» nella galassia della sinistra. Piero Fassino ribadisce che riformismo e radicalità sono djue dimensioni che non si escludono, la prima essendo «capacità di coniugare l'utopia alla quotidianità del governo», accoglie «la miniera di suggestioni e provocazioni» di Tronti ma mette in guardia dalla nostalgia per una politica novecentesca che non può tornare. Alfredo Reichlin ascolta ma non parla, Nicola Tranfaglia si muove fra crisi della politica e crisi del sistema politico, Silvano Andriani raccoglie la palla della centralità del lavoro, Maria Luisa Boccia mette in guardia dal rischio, presente nella relazione di Tronti, che fra lavoro e diritti civili si ripresentino antiche gerarchie. Resta il problema segnalato da Carlo Freccero: che laddove il lavoro un tempo divideva per classi e appartenenze, oggi il consumo unifica ed è interclassista. E quello segnalato da Mario Dogliani, vicepresidente del Crs, della crisi di razionalità di cui la sinistra partecipa a fronte del fascino sui bisogni esercitato oggi da irrazionalismi e fondamentalismi.

il manifesto 20.6.07
«Liberazione vuole sciogliere Rifondazione?»
E' scontro tra i vertici del Prc e la direzione del giornale. Dalla segreteria critiche a Sansonetti («Disorienti i lettori»), che risponde: «Se non vi sta bene sfiduciatemi»
di Matteo Bartocci


«Se si scioglie Rifondazione mi piacerebbe discuterlo nel partito, non leggerlo sulla prima pagina del nostro giornale». E' più o meno questo quello che deve aver detto Franco Giordano ieri mattina alla lettura della prima pagina di Liberazione. Visto che il quotidiano di via del Policlinico, ancorché con il punto interrogativo, titolava a caratteri cubitali: «La Sinistra europea affronta il futuro. Ora si va oltre Rifondazione?».
Uno «scioglimento» che però non è nemmeno all'orizzonte e che dimostra una differenza «di linea» tra il partito e il suo quotidiano che per la segreteria supera il «diritto al dissenso» e va al di là della normale dialettica politica ed editoriale. Dopo due reportage su Cuba e il Venezuela ferocemente contestati da dirigenti, lettori e militanti, tra vertici e direzione i rapporti sono ormai al minimo.
Il direttore del giornale, Piero Sansonetti, ha ovviamente difeso la legittimità della sua linea editoriale e ai dirigenti perplessi avrebbe risposto di «sfiduciarlo» qualora giudicassero interrotto il rapporto di stima e di condivisione iniziato, dopo la sua lunga esperienza all'Unità, solo nel 2004.
Liberazione, circa 10mila copie in edicola, è finanziata dal partito con 2 milioni di euro all'anno oltre ai 3,7 erogati dallo stato a sostegno dei giornali politici.
In una lunga lettera inviata ieri al quotidiano, il responsabile organizzazione Francesco Ferrara mette i puntini sulle i e chiede al giornale se non di dare «l'orientamento» sulla linea del partito almeno di non «disorientare» iscritti, lettori e simpatizzanti. Nel suo intervento Ferrara esclude condizionamenti sul quotidiano ma ritiene «sbagliato quel titolo» perché può dare l'immagine di «un partito indeciso e che non sa cosa sarà del suo futuro». «Questo gruppo dirigente - continua invece Ferrara - ha una sua linea molto precisa (...), non abbiamo alcuna intenzione di sciogliere, superare o diluire Rifondazione comunista». L'esistenza del partito, secondo la segreteria, non preclude né il progetto della Sinistra europea appena lanciato né, tanto meno, l'unità a sinistra giudicata «irreversibile» dallo stesso Giordano nella sua relazione di sabato scorso.
La «fuga in avanti» del giornale è piovuta ai piani alti come un fulmine a ciel sereno. Anche perché soltanto otto giorni fa lo stesso Giordano aveva partecipato a un forum a tutto campo con i giornalisti pubblicato nell'edizione del 12 giugno ed escluso a chiare lettere lo scioglimento del partito nella sinistra unitaria che verrà. «Questa segreteria ha sempre difeso il giornale - si sfoga un dirigente di via del Policlinico - ma ormai sembra di assistere a una vera campagna di delegittimazione su ogni scelta che viene fatta».
Nessuno lo evoca anche per il rispetto dovuto alla sua carica, ma il convitato di pietra del dibattito che anima il gruppo dirigente di Rifondazione non può non essere Fausto Bertinotti. In una telefonata personale a Sansonetti, l'ex segretario avrebbe apprezzato gli interventi sull'America Latina tanto contestati ma non ha mai dichiarato, almeno in pubblico, che il futuro di Rifondazione è sciogliersi in un partito della sinistra senza aggettivi.
Una strada, questa, che però nel partito si fa strada anche tra dirigenti di peso come Alfonso Gianni, che fin dall'inizio è stato uno dei più convinti alfieri del «superamento» di Rifondazione in un «contenitore» più grande.
Dietro le quinte, e con tutte le difficoltà della prima partecipazione al governo di centrosinistra, iniziano le manovre sulla segreteria, con un partito post-bertinottiano polverizzato in miriadi di correnti tanto nelle minoranze storiche (Ernesto, Essere comunisti, Sinistra critica, etc.) quanto nel magma della maggioranza (da un lato gli storici «ex Dp» Ferrero e Russo Spena, dall'altro i «giovani» capitanati da Gennaro Migliore)

il manifesto 20.6.07
Emozioni. Come tenere insieme le ragioni e le passioni
La psicologia evoluzionistica impone oggi un ribaltamento prospettico allo studio della mente.
L'opinione prevalente è che al di là delle diversità culturali gli stati emotivi di base siano riconducibili a un piccolo numero di emozioni fondamentali inscritte nel nostro patrimonio genetico Il tentativo di espellere le emozioni dallo studio della mente ha dato l'illusione di potere studiare la ragione umana autonomamente da tutto il resto.

di Francesco Ferretti


A parte le orecchie a punta e le sopracciglia arcuate, a un primo sguardo un vulcaniano è davvero molto simile a noi. In effetti, la differenza tra umani e vulcaniani non sta nella morfologia corporea. A rendere Spock (l'ufficiale che, nella serie televisiva Star Treck, siede a fianco del capitano James T. Kirk alla guida dell'Enterprise) molto diverso dagli esseri umani è la natura dei suoi stati interni: la sua vita mentale è priva di emozioni. Come è noto agli appassionati del genere, i vulcaniani garantiscono la purezza logica dei propri pensieri dedicandosi alla soppressione delle emozioni. Un atteggiamento del genere non è soltanto il prodotto della fantascienza: il mito della purezza logica è antico e ancora molto radicato nella visione che il senso comune ha di cosa debba intendersi per razionalità. Una concezione del genere, tuttavia, non tiene alla prova dei fatti. Per quanto Spock si adoperi a preservare le sue capacità intellettive dal contagio con gli stati emotivi, la scienza della mente contemporanea evidenzia un fatto di segno opposto: Spock è un individuo che l'evoluzione non avrebbe mai potuto selezionare positivamente.
Nella prospettiva darwiniana
Nel libro Emozioni (Laterza, 2004) Dylan Evans sostiene che il mito della razionalità pura perpetua una visione antica (e negativa) della cultura occidentale: se a questa visione contrapponiamo una concezione positiva degli stati emotivi, appare evidente che «una creatura come Spock, priva di emozioni, sarebbe in realtà meno e non più intelligente di noi». Analizzare le emozioni nel quadro più generale della prospettiva darwiniana comporta un approccio radicalmente diverso allo studio del mentale. I tempi sembrano maturi per farlo: il crescente interesse della scienza cognitiva per i fondamenti evoluzionistici porta di nuovo alla ribalta il ruolo delle emozioni nella riflessione sulla mente.
La scienza cognitiva nascente (negli anni Cinquanta del secolo scorso) facendo propri alcuni assunti del razionalismo classico aveva concentrato la riflessione sui processi alti di pensiero: linguaggio e ragionamento, in primo luogo. Agli studiosi del tempo, ovviamente, non sfuggiva l'importanza delle emozioni nella vita mentale degli individui. La loro idea era però che lo studio delle pulsioni e degli stati d'animo dovesse riguardare un campo autonomo d'indagine: principalmente perché credevano che le capacità intellettuali fossero del tutto indipendenti dalle emozioni.
La mente nel freezer
Forte della metafora del calcolatore (molto in voga in quel periodo) il risultato dell'ortodossia cognitivista è stato quello di «mettere la mente nel freezer», per mutuare una felice espressione usata da Joseph LeDoux nel libro Il cervello emotivo (Baldini e Castoldi, 1999).
Il tentativo di espellere le emozioni dallo studio della mente ha dato l'illusione di potere studiare la ragione umana in autonomia da tutto il resto. Un errore fatale, se è vero, come sottolinea LeDoux, che «una mente senza emozioni non è affatto una mente, è solo un'anima di ghiaccio: una creatura fredda, inerte, priva di desideri, di paure, di affanni, di dolori e di piaceri».
Come tenere insieme ragioni e passioni? Con L'errore di Cartesio (Adelphi, 1995), Antonio Damasio ha aperto una vera e propria breccia intellettuale su questo argomento. A mostrare come il ragionamento non sia interpretabile soltanto nei termini di un processo di calcolo formale e astratto è il fatto che la soluzione dei problemi in cui si imbattono gli umani è sempre collocata nel quadro più ampio della presa di decisioni. Come sottolinea Damasio, in effetti, si può «affermare che lo scopo del ragionare è decidere, e che l'essenza del decidere è scegliere una possibile risposta, cioè un'azione non verbale, una parola, una frase ... tra le molte disponibili al momento e in rapporto con una situazione data».
Quando si guarda alle capacità intellettive degli umani nel contesto più generale della prese di decisioni, la neuroscienza ci offre risultati estremamente interessanti su cui riflettere. Damasio racconta il caso di Elliot, un uomo colpito da un meningioma che, dopo l'asportazione del tumore, presentava danni alle cortecce prefrontali (in particolare il settore centromediano). Due deficit cognitivi caratterizzavano il comportamento di Elliot: di fronte a immagini visive di disastri o episodi cruenti, era in grado di interpretare la scena raffigurata ma non provava alcuna reazione emotiva; di fronte a scelte alternative, non era in grado di prendere una decisione. Nell'interpretare tali deficit, Damasio ipotizzò che le incapacità di Elliot di prendere decisioni dipendessero da una carenza di esperienze emotive. Per verificare questa ipotesi i comportamenti di Elliot vennero passati al vaglio sperimentale. I risultati confermarono l'ipotesi di Damasio. Di fronte alla necessità di scegliere, Elliot rimaneva paralizzato: se gli si chiedeva di fissare un appuntamento tra due giorni alternativi, egli dava inizio a un processo infinito di calcolo dei pro e dei contro delle opzioni possibili, senza riuscire a risolvere il problema. Risultati come questo mettono in discussione la concezione del ragionamento come un calcolo formale, ovvero l'idea di una ragione «alta» intesa come un sistema di inferenze che opera al riparo da qualsiasi tipo di contaminazione emotiva.
Per quanto possa apparire controintuitivo, il caso di Elliot rappresenta una prova empirica del fatto che una mente razionale pura possa essere realmente efficace: paradossalmente, in effetti, la prospettiva che interpreta il ragionamento nei termini di una logica astratta descrive il modo in cui ragionano i pazienti colpiti da lesioni prefrontali, non il modo in cui operano i soggetti normali. Dire questo, ovviamente, non significa sostenere che il ragionamento astratto sia del tutto incompatibile con la scelta razionale: si può pensare a tale scelta come all'esito di un calcolo in cui sono prese in considerazione tutte le conseguenze di ogni possibile mossa; in tal caso però, come sostiene Damasio, «procuratevi un bel po' di carta e un temperamatite robusto e non aspettatevi che gli altri abbiano la pazienza di seguirvi fino a che sarete giunti alla fine».
Quando non si ha carta, matita e un buon temperamatite (e, cosa più importante, un sacco di tempo a disposizione) è a sistemi di altro tipo che dobbiamo affidarci per scegliere la risposta più appropriata a una determinata situazione. Quello dell'appropriatezza al contesto è il punto veramente decisivo della questione: è a questo proposito che le scelte razionali chiamano in causa i processi di valutazione in cui le emozioni giocano un ruolo fondamentale. Gli aspetti valutativi sono stati ampiamente analizzati dalla scienza cognitiva. In almeno due modi (fortemente contrastanti). Il primo, tipico dell'ortodossia cognitivista, è quello che fa riferimento a una concezione top-down delle emozioni. Secondo tale concezione, gli stati emotivi devono essere analizzati in riferimento a ciò che li accomuna al pensare in generale. Orientamenti del genere, tuttavia - come sottolinea Joseph LeDoux - «hanno dato troppo peso al contributo dei processi cognitivi, cancellando così la differenza tra emozione e cognizione». Esaltando gli aspetti coscienti (e in larga parte linguistici) alla base dell'interpretazione del ruolo valutativo delle emozioni, le concezioni top-down hanno perso di vista le proprietà che caratterizzano l'esperienza emotiva in senso proprio. Considerate in questo modo, in effetti, le emozioni vengono «fagocitate dal mostro cognitivo»: diluite nel pensiero perdono le proprietà e le funzioni che le caratterizzano nello specifico.
La psicologia evoluzionistica impone oggi un capovolgimento di prospettiva allo studio del mentale: di contro agli approcci top-down si apre la strada a una costruzione dal basso (bottom-up) dei processi cognitivi. In tale capovolgimento di prospettiva le emozioni vengono ad assumere un ruolo centrale. Più precisamente, in una prospettiva di questo tipo è il ruolo valutativo delle emozioni ad assumere un nuovo rilievo: inserite nel quadro della relazione di base tra organismo e ambiente, le emozioni rappresentano il meccanismo di classificazione di cose ed eventi come «buoni» o «cattivi» ai fini della sopravvivenza. Gli aspetti valutativi delle emozioni vengono così ad essere ripensati nel quadro più generale della teoria dell'adattamento. In una prospettiva di questo tipo la pretesa distinzione tra una ragione alta e i livelli bassi del piano pulsionale non ha più alcuna ragione di esistere: la prospettiva bottom-up, imposta dalla visione evoluzionistica allo studio delle emozioni, elimina ogni residuo dualistico di una mente distinta dal cervello e, più precisamente, distinta dalla corporeità. Con un ulteriore risultato importante da sottolineare.
Il cambiamento di prospettiva imposto dalla psicologia evoluzionistica allo studio delle emozioni comporta la messa al bando di una concezione - fortemente radicata anche nel senso comune - fondata su una interpretazione dualistica dei fenomeni mentali. Si tratta del «costruttivismo sociale»: un'idea che considera gli stati emotivi legati esclusivamente al contesto sociale e culturale in cui gli individui sono immersi. Questa ipotesi interpretativa, che trova in Margaret Mead un punto di riferimento, deve essere oggi sostanzialmente riveduta. Non per negare che esistano aspetti delle emozioni dovuti al contesto sociale e culturale, ovviamente: casi del genere esistono e devono essere considerati parte integrante di una teoria generale delle emozioni. Ciò che oggi, invece, non è più sostenibile è l'idea delle emozioni come entità esclusivamente istituzionali e non anche come fenomeni fortemente legati alle determinanti biologiche degli individui. Per quanto i costruttivisti sociali possano portare lunghi elenchi di casi in cui le emozioni variano al variare delle culture, l'opinione oggi prevalente è che al di là delle differenze culturali gli stati emotivi di base siano riconducibili a un piccolo numero di emozioni fondamentali inscritte nel patrimonio genetico degli umani.
La diversità sta nell'espressione Gli esperimenti sulle espressioni facciali di americani e giapponesi fatti da Paul Ekman negli anni Sessanta del secolo scorso rappresentano una pietra miliare della psicologia delle emozioni. Nella situazione sperimentale i soggetti erano ripresi - a loro insaputa - mentre guardavano un film da soli o in compagnia di uno sperimentatore con camice bianco e aria autorevole. I risultati furono sorprendenti: quando il soggetto guardava il film senza la presenza dello sperimentatore, le emozioni espresse durante il film erano molto somiglianti tra i due gruppi. Alla presenza del ricercatore in camice bianco, tuttavia, la situazione cambiava notevolmente: i giapponesi sembravano molto più contenuti e meno sorridenti di quanto non apparissero gli americani. Il fatto decisivo dell'esperimento è che l'analisi al rallentatore rivelò che le espressioni più contenute dei giapponesi si sovrapponevano a brevi movimenti facciali in cui trapelavano quelle che, secondo Ekman, erano le emozioni di base presenti in tutti gli individui (gioia, sofferenza, rabbia, paura, sorpresa, disgusto sono emozioni universali e innate).
In altre parole, anche i giapponesi provavano le stesse emozioni fondamentali degli americani: la diversità era nel controllo della loro espressione. La morale da trarre da questo esperimento è che le diversità culturali possono (devono) essere comprese all'interno di uno sfondo più ampio di comunanze.
Non siamo angeli disincarnati
Le emozioni rappresentano un proficuo terreno di analisi per lo studio delle capacità universali degli esseri umani. Dal punto di vista degli stati emotivi, in effetti, gli umani sono tra loro molto più simili di quanto non lo siano per le credenze e gli stati cognitivi. Il carattere universale delle pulsioni primarie dipende dallo straordinario ruolo adattativo giocato dalle emozioni nella storia evolutiva della nostra specie. L'atteggiamento evoluzionistico che caratterizza la parte più avanzata della scienza cognitiva contemporanea ci aiuta a comprendere il primato logico oltre che temporale dell'emozione sulla cognizione. Questo risultato dovrebbe metterci al sicuro da ogni pretesa di considerare la razionalità pura di Spock un buon modello per l'indagine della storia filogenetica della nostra specie. La ragione senza emozioni è affare degli angeli disincarnati non delle donne e degli uomini in carne e ossa: un risultato di notevole interesse per la riflessione sul posto da assegnare agli umani nella natura.

Per un sentiero di lettura
Da Darwin a Paul Griffiths
Il punto da cui partire per saperne di più è il testo di Charles Darwin, «L'espressione delle emozioni» (Bollati-Boringhieri, 1999) corredato dalla corposa introduzione di Paul Ekman. Sempre di Ekman si veda «Darwin and Facial Expression: A Century of Research in Review» (Malor Books, 2006). Sulla psicologia evoluzionistica: Adenzato e Meini (a cura di), «Psicologia evoluzionistica», Bollati, 2006; Tartabini, «Psicologia evoluzionistica», McGraw-Hill, 2003. Per la storia delle emozioni, molto utile è il libro di K. Oatley, «Breve storia delle emozioni», Il Mulino, 2007. Sugli aspetti cognitivi delle emozioni, si veda «Psicologia ed emozioni», di K. Oatley, (Il Mulino, 1997).Di Antonio Damasio oltre al libro citato consigliamo (entrambi di Adelphi), «Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello» (2003) ed «Emozione e coscienza» (2000). Per lo studio del ruolo delle emozioni nell'argomentazione retorica si veda Francesca Piazza, «Linguaggio, persuasione e verità» (Carocci, 2004). Probabilmente il libro più bello sui fondamenti filosofici delle emozioni è il testo di Paul Griffiths, «What Emotions Really Are» (University of Chicago Press, 1997).

il manifesto 20.6.07
Il monoteismo, l'invenzione di un mito
«Il profeta Giuseppe. Monoteismo e storia nel Corano», un saggio dello studioso di Islam Massimo Campanini per la casa editrice Morcelliana
di Augusto Illuminati


Un criterio empirico approssimativo per valutare uno studioso di Islam è vedere cosa ne pensa Magdi Allam. Se lo loda possiamo tranquillamente ignorarlo; se lo critica possiamo prenderlo attentamente in esame per una valutazione più ravvicinata. E' questo sicuramente il caso di Massimo Campanini, coinvolto nelle solite esternazioni dell'esimio vice-direttore del «Corriere della Sera», ma che è ben noto per i suoi studi approfonditi sulla storia della filosofia politica islamica classica e moderna. In questo agile volumetto (Il profeta Giuseppe. Monoteismo e storia nel Corano, Morcelliana, pp. 122, euro 12) affronta un tema piuttosto particolare, la sûra coranica dedicata al profeta Giuseppe, una delle figure bibliche che più hanno impressionato Maometto e che sono state oggetto assai precoce di interpretazione allegorica.
Nella prima parte del saggio Campanini illustra come la storia biblica di Giuseppe, venduto come schiavo dai fratelli e poi salito grazie alle sue doti di interprete dei sogni a massimo dignitario in Egitto, abbia il fine di magnificare il destino storico di Israele e la sua vocazione a dominare le terre fra il Nilo e l'Eufrate; in questo processo Dio prende consapevolezza di se stesso, Yhwh si fidanza con Israele così che questo diventa il popolo eletto e Dio si afferma come unico. Si tratta probabilmente di un mito costruito a posteriori, sulla base del folklore popolare mediorientale, per conferire continuità alla tormentata storia dello Yahwismo, cioè della lenta affermazione del monoteismo a partire dalla contrapposizione fra un dio tribale di Israele e una pluralità di dei del contesto circostante, processo che si conclude solo con il ritorno dall'esilio babilonese (VI secolo a.C.), che aveva rafforzato l'identità nazional-religiosa del popolo ebraico.
Sull'adozione del monoteismo influì certamente l'esperimento del faraone Akhenaton, che nel XIV secolo a.C. aveva imposto, per ragioni teologico-politiche, un culto solare unico del dio Aton, radicalizzando e spiritualizzando tendenze precedenti. Il Faraone diede in moglie a Giuseppe proprio la figlia di un sacerdote del dio solare Ra, precedente immediato di Aton! Sembra che le difficoltà incontrate dagli ebrei in Egitto (vi erano pervenuti probabilmente mescolati agli Hyksos) siano connesse alla persecuzione che agli «eretici» monoteisti furono inflitte dai Ramessidi, successori di Akhenaton. Segue l'interpretazione della sûra 12, Yûsuf, del Corano, che viene tradotta integralmente con i principali commenti di al-Tabarî, al-Zamakhsarî e dei due Jalâl, nonché le annotazioni dello stesso Campanini. Qui la storia di Giuseppe è ovviamente scissa completamente dal destino del popolo ebraico e viene intesa come magnificazione dell'onnipotenza e unicità di Dio. L'unità tematica e linguistica del testo, che instaura un fecondo circolo ermeneutico con l'interprete (secondo l'approccio antidogmatico di Hasan Hanafi), pone in luce alcuni tratti originali della figura di Giuseppe: innanzi tutto, a differenza del testo biblico, egli ha qualità e poteri profetici, è disvelatore e propagandista della Verità, infine è simbolo della virtù che si oppone alle tentazioni.
La lettura della mancata seduzione e successiva calunnia di Zulaykhâ, moglie del dignitario Potifar, va molto al di là di un episodio familiare all'iconografia barocca, anche per l'aggiunta di una scena in cui le amiche di Zulaykhâ si feriscono le mani al vedere la bellezza dell'uomo di cui sanno perfettamente l'innocenza. Il mistico persiano Jâmî, nel suo poema Yûsuf e Zulaykhâ interpreta tale scena come effetto della contemplazione della bellezza divina e le donne come mistici teopatici che si perdono nell'estasi sacra.
A sorprendente conclusione del poema la tenacia seduttiva di Zulaykhâ, purificata dall'amore divino, e la castità di Yûsuf, cara a Dio ma non obbligatoria, trionfano in un tardivo matrimonio. In complesso, mentre nel Giudaismo Dio cresce nella storia e prende coscienza di sé attraverso l'Israele storico, nell'Islam Dio è Egli stesso storia e la vicenda di Giuseppe non suggella ma taglia in due la storia, la apre al futuro.

martedì 19 giugno 2007

l'Unità 19.6.07
La «Cosa rossa» unita c’è già
I partiti della sinistra «radicale» sono già d’accordo: su pensioni, alta velocità, base Usa di Vicenza
di Eduardo Di Blasi


Sono in sintonia le risposte dei capigruppo dei quattro partiti che si richiamano al comunismo, al socialismo, all’ambientalismo


UN’UNITÀ DI AZIONE ancora non esiste, un partito unico è di là da venire, semmai verrà. Eppure la galassia di quella che viene definita «sinistra radicale» ha iniziato da tempo a muoversi coerentemente: Prc, Pdci, Verdi e Sinistra Democratica sanno che sul
Dpef si giocano, forse anche più di altri, una parte delle proprie ambizioni politiche. Così come sanno che il legame costruito con elettori e movimenti può e deve essere rinsaldato, attraverso una politica «di sinistra» e anche visibile.
Marcando o meno la propria connotazione ideologica, i capigruppo dei 4 partiti politici spiegano all’Unità come intendano comportarsi su tre questioni concrete che l’esecutivo si troverà a discutere nei prossimi mesi: le pensioni, l’alta velocità ferroviaria Torino-Lione e la base americana di Vicenza. Le risposte, in larga parte, coincidono.
Sul tema delle pensioni, spiega il capogruppo di Rifondazione al Senato Giovanni Russo Spena, il suo partito ha chiesto «l’abbattimento dello scalone, agendo solamente sugli incentivi e non sui disincentivi, l’aumento intorno agli 80-90 euro per le pensioni basse, non solamente le minime». E di affrontate «il problema dei giovani: i buchi contributivi vanno coperti di modo che si possa arrivare a una pensione che superi i 700 euro mensili». Nella difesa delle pensioni di anzianità i quattro gruppi si muovono assieme, o quasi. Se Manuela Palermi, del Pdci, ritiene che «il fondo dei lavoratori dipendenti dell’Inps è in attivo e non si capisce per quale ragione per pagare il fondo dei dirigenti che fa acqua da tutte le parti dobbiamo penalizzare i lavoratori dipendenti», Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, pensa che si debba lavorare sugli ammortizzatori sociali, dando «una risposta a quei giovani precari a cui hanno tolto il futuro». Dove trovare i soldi per la copertura? Cesare Salvi, che tra poco darà alle stampe con il collega Villone un secondo libro sui costi della politica, non ha dubbi: «Tagliando alla politica. Abbiamo presentato un progetto a Padoa Schioppa. Aspettiamo risposte». Tutti d’accordo anche sul nuovo corso inaugurato in Val di Susa. «Il metodo - spiega Bonelli - potrà essere applicato a tutte le grandi opere». Infine Vicenza. Ferma restando l’indignazione per aver appreso dall’ambasciatore Spogli la data di inizio lavori, Prc, Verdi, Pdci e Sd presenteranno a Palazzo Madama un’interrogazione urgente a Prodi e D’Alema. Ma non solo. Russo Spena ricorda come nel programma dell’Unione sia prevista una «conferenza nazionale sulle servitù militari». Senza di questa (che il senatore ritiene si possa organizzare entro l’autunno), a Vicenza «non possono» iniziare i lavori. «Siamo disposti anche a impegnare i gruppi parlamentari in azioni di disobbedienza civile nonviolenta».

Liberazione 19.6.07
L'assembla costituente, domenica, ha varato la nuova associazione politica (S.E.). L'intervento del Presidente Fausto Bertinotti riapre la discussione sulle prospettive. Come si costruisce un nuovo soggetto di sinistra? Quando? In che forme? Con che idee? Con chi?
Sinistra europea affronta il futuro Ora si va oltre Rifondazione?
di Angela Mauro


Sinistra europea in Italia
Il Prc lancia la sua sfida per un futuro di alternativa
Concluso domenica il congresso fondativo al Palafiera con associazioni, reti, movimenti
Attesa per l'intervento di Bertinotti. E il dibattito prosegue su: lavoro, Medio Oriente, femminismo

«Per imparare a nuotare bisogna buttarsi in acqua». Basta con gli indugi e le reticenze. Fausto Bertinotti arriva all'assemblea che dà alla luce la sezione italiana della Sinistra Europea carico di quanto ha vissuto il giorno prima a Berlino: la nascita della Die Linke, fusione tra la Pds (forte soprattutto a est) e la sinistra socialdemocratica della Wasg (Lafontaine). Il presidente della Sinistra Europea (incarico che lascerà al prossimo congresso a ottobre) la porta ad esempio: è la dimostrazione di come si può «cogliere un'opportunità da una congiuntura politica». E allora: la crisi della politica c'è anche in Italia, la sinistra è «a rischio», si abbia dunque il coraggio di «iniziare» per lavorare ad una «forza nuova senza muri nè sbarramenti». Bertinotti benedice la sezione italiana della Sinistra Europea, «preziosa esperienza dalla quale abbiamo imparato a non giudicare», ma ora deve essere una «porta» che guardi nella prospettiva del «socialismo del XXI secolo» e vada oltre. Anche oltre Rifondazione? Il ragionamento di Bertinotti non mostra timori in questo senso. E la questione diventa argomento di dibattito, nella stessa assemblea della Sinistra Europea e nelle interviste che Liberazione pubblica oggi.
Partiamo dal discorso di Bertinotti. Nel rispetto del suo ruolo istituzionale, il presidente della Camera non parla «nè di governo, nè di partiti». Ma dello stato della sinistra dice molto, comprese le indicazioni sulla prospettiva futura. In Italia e in Europa «è a rischio l'esistenza e il futuro della sinistra», spiega, parlando della «crisi della politica», del «distacco delle masse dalla politica», della «disaffezione, esito dei processi dominanti da un quarto di secolo», vale a dire il capitalismo con la sua pretesa di «cancellare il discrimine tra destra e sinistra per imporre una presunta neutralità dietro la quale c'è il dominio dell'impresa e del mercato». Bertinotti cita Montezemolo («Non è importante sapere di quanti voti è portatore, serve piuttosto cogliere il senso profondo della sua sfida»), parla della crisi della sinistra nel «voto in Francia e in quello del nord Italia», racconta di una sinistra impegnata nella «ricerca di una piccola identità e di una destra forte di una idea di società, cattiva ma forte». Il primo invito: «Interroghiamoci su questo rischio». Si può guardare all'America Latina, con il suo «nuovo patto tra sinistra e popoli». Ma il punto vero è che «per farcela, non bastano i correttivi all'esistente o le logiche identitarie: va delineata una operazione politica grande e alternativa per arginare l'onda della depoliticizzazione».
«Non bastano la criticità, i conflitti, i movimenti perchè c'è il rischio di una americanizzazione della politica in Europa», dice Bertinotti, e a quel punto «i conflitti sono confinati nella marginalità perchè la politica la fanno altri soggetti».
Fine dell'analisi del "dramma", inizio della parte "costruens". Gli elementi di partenza ci sono, continua Bertinotti, primi tra tutti «il rifiuto della guerra e del terrorismo». Adesso più che mai però è «necessario costruire massa critica, cultura politica» perchè «non basta aver ragione: ci vuole una forza in grado di rimotivare una prospettiva, una forza nuova che non si fa solo con la ragione, ma anche con la passione e con i sentimenti». Il presidente della Sinistra Europea cita Leopardi: «Se la ragione diventa passione è possibile la conoscenza» e traccia un ponte immaginario con Gramsci e non solo: «La pensava così anche lui e il pensiero femminista». Insomma, «dovremmo aver imparato la lezione».
Bertinotti ammette che «un processo di costruzione dell'unità non è indolore» e che il tema del rapporto con i movimenti, la questione del governo («Scelta e non obbligo») sono «problemi reali e difficili che si risolvono se vengono affrontati». Ma, avverte, «solo se un soggetto politico a sinistra risulterà forte, ampio, plurale ci sarà la possibilità di riconnettersi ai movimenti e alla società».
Il presidente della Sinistra Europea è chiaro: «Il tema che ci sta di fronte è il socialismo del XXI secolo» e devono lavorarci insieme «comunisti, socialisti, cattolici, le nuove culture in movimento, avendo incontrato il femminismo e l'ecologismo critico». In quanto crogiuolo di realtà diverse, «la Sinistra Europea è una preziosa esperienza» dalla quale, continua Bertinotti, «abbiamo imparato a non giudicare». La Se «può essere una occasione per cambiare: dobbiamo cogliere la sua lezione, non come termine di un cammino, ma come porta da spalancare per la costruzione di una sinistra più ampia». L'affondo: «L'obiettivo di un soggetto plurale e unitario della sinistra in Europa e in Italia non è più rinviabile». C'è una «vasta gamma» di modi per farlo (Bertinotti cita anche il modello Flm, come uno degli esempi possibili), ma l'importante è agire. «La Sinistra Europea - spiega ancora - deve aprirsi al confronto con tutte le sinistre senza muri, nè sbarramenti nè a sinistra, nè nella cultura moderata, per chiedersi insieme se esista un destino comune delle sinistre per quanto diverse in Europa». Bando alle ciance: «Non dobbiamo chiederci prima come andrà a finire, non dobbiamo avere prima un disegno preciso», puntualizza Bertinotti. Il soggetto plurale e unitario della sinistra «sarà quello che ne faranno i partecipanti». L'altro invito, quello centrale: «I tempi non consentono un rinvio, il compito è difficile, ma vi invito a farlo in questa direzione». Perchè ci sono «due esigenze: primo, fare fatti politici nuovi a sinistra che siano visibili e significativi e che incoraggino il popolo di sinistra; secondo, proseguire nella ricerca per la rifondazione della cultura e della prassi per la trasformazione della società capitalistica». La conclusione e il commiato dall'assemblea: «Sapete come farlo, io vi invito soltanto a farlo. Fatelo tutti insieme, uniti. L'ambizione e la difficoltà del compito potranno essere buoni consiglieri per realizzare questa avventura comune». Applausi. Un nugolo di giornalisti, cameramen e compagni lo segue fino all'uscita. I lavori proseguono. Tocca al palestinese Ali Rashid , deputato del Prc, prendere la parola dal palco che, con un manifesto, annuncia la "Sinistra Europea in Italia". L'attenzione si sposta così su uno scenario decisamente più drammatico del nostro: «In Medio Oriente la situazione è triste e senza via d'uscita: 60 anni di conflitto sono tanti», dice Rashid richiamando le «ragioni della non violenza, perchè la violenza danneggia non solo chi la subisce ma anche chi ne fa uso». L'intervento del giornalista palestinese è un accorato appello: «Prego tutti di credere nel dialogo, nel confronto e nel rispetto reciproco anche quando sembrano non esserci le condizioni. Non dobbiamo abbandonare i palestinesi sotto un governo che ha dimostrato di non saper governare e una opposizione che non è democratica». La verità è che «i palestinesi non hanno fatto un passo indietro da quando è morto Arafat», aggiunge ricordando quanto detto prima di lui dalla deputata di Rifondazione Graziella Mascia .
L'assemblea al Palafiera però arriva all'intervento di Bertinotti attraverso le numerose relazioni dei rappresentanti delle realtà della Sinistra Europea in Italia (tra gli altri, Riccardo Petrella del Contratto mondiale per l'acqua, Danielle Mazzonis della Liberassociazione, Domenico Rizzuti della Sinistra Euromediterranea, Jacobo Torres De Leon della Fuerza bolivariana de Trabajadores), nonchè di politici di lungo corso. C'è Achille Occhetto che fa autocritica: «Nell'89 dovevamo uscire dalla crisi del comunismo da sinistra e non da destra, come dice Bertinotti per un socialismo di sinistra e non di destra». Il padre della svolta della Bolognina punta poi il dito contro i suoi ex compagni di partito, accennando al caso Unipol: «Se i partiti invece di stare al di sopra del mercato e dettare le regole fanno corpo con questo o quello in combutta con la destra, andiamo verso un'economia di tipo feudale». Adesso che è padre de "il Cantiere", realtà che tenta un dialogo tra diversi a sinistra, Occhetto invita a «superare gli errori del passato» e a «prendere in mano la bandiera dell'unificazione a sinistra: non si tratta di rifondare il Pci o il Psi, ma di rifondare la sinistra, non una sinistra radicale, ma una sinistra vera nel senso della tradizione del socialismo e democrazia». Più chiaro di così...
Il presidente dell'Ars (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra), Aldo Tortorella , scalda gli animi, tanto che la platea protesta quando il moderatore Sergio Bellucci batte sul microfono per segnalargli il tempo (massimo sette minuti per ogni intervento). Reduce storico del gruppo dirigente comunista, Tortorella bacchetta l'ultimo segretario del Pci, ricordando la «frettolosa liquidazione» del patrimonio culturale e storico del partito e ammonendo: «Stavolta non ci basterà ripetere le parole d'ordine della Rivoluzione francese», altra citazione un po'maligna di una delle "svolte" proclamate da Occhetto. Ma, evidentemente, l'intento non è quello di tornare a vecchi duelli, piuttosto di misurarsi con i nuovi orizzonti (diritti e/o mondo del lavoro) e indicare le priorità. Tortorella parte da Marx («Aveva ragione: il capitalismo è una storia incessante di modificazioni») e insiste sull'attenzione agli operai: «Votano Forza Italia e Lega. Non c'è un'adesione automatica degli sfruttati alle idee della sinistra, oggi più che mai». Al termine, è standing ovation. Anche Roberto Musacchio , europarlamentare del Prc-Se, vuole portare con sè, nel cammino a sinistra, quella parte del '900 che è «il lavoro e i movimenti operai». Altra frecciata ai Ds: «Qualcuno pensa che avere una banca amica serva a cambiare la società. Noi non parliamo di banche ma di lavoro». Il riferimento è alla battaglia, in corso al Parlamento Ue, contro la «flexsecurity, idea del lavoro subordinato all'impresa». E Giovanni Alleva , del centro diritti "Pietro Alò", autore di una proposta di legge contro la precarietà, «già firmata da più di cento parlamentari», esorta: «Dobbiamo andare avanti su questa strada. La sinistra si aggrega intorno alla tutela della dignità dei lavoratori».
Ci pensa Lea Melandri , femminista storica, a riportare l'attenzione sulle donne che, nella storia, anche a sinistra, «hanno dovuto adattarsi e spesso sono diventate un duplicato dei maschi». La critica: «Non vedo traccia del pensiero femminista, ho sentito solo dire: "conta molto il femminismo". Le donne non sono disposte ad essere la ciliegina sulla torta della Sinistra Europea». E' anche in questo senso che Elisabetta Piccolotti , coordinatrice nazionale dei Giovani Comunisti, insiste sulla «riforma della politica», condannando quei «meccanismi novecenteschi di chi pensava che un partito dovesse muoversi come un sol uomo, appunto: non una sola donna».
Le note dell'Internazionale accompagnano gli ultimi momenti di una giornata carica di aspettative per il futuro. Appuntamento all'8 luglio per la riunione del "parlamentino" della Sinistra Europea in Italia, ovvero l'assemblea (190 membri) votata dall'assise di domenica insieme al gruppo nazionale di coordinamento (circa 30 persone). Sono entrambi organismi transitori, in vita fino all'anno prossimo, quando si terrà il primo congresso della Sinistra Europea in Italia, assise alla quale parteciperanno anche i rappresentanti delle "reti orizzontali" (territoriali) che via via si formeranno, affiancandosi alle già esistenti reti "verticali" (nazionali).

Liberazione 19.6.07
Walter De Cesaris: il partito unico? Vedremo, lo decide chi ci partecipa
«Nessun funerale, il Prc serve al socialismo del XXI secolo»
di Romina Velchi


«Parlare di socialismo significa porre il problema di come riattualizzare il tema arduo della trasformazione sociale oggi. Con il che l'operazione diventa persino più radicale. E in questo percorso non solo la SE e il Prc non sono un ostacolo, ma anzi sono utili. Opportunistico piegare la prospettiva della SE alle convenienze del dibattito politico interno»

Andare oltre la Sinistra europea? Un'idea da «contestare in breccia». Walter De Cesaris, coordinatore della segreteria del Prc nonché instancabile animatore della SE, con un'espressione bertinottiana nega che questo sia stato il senso del discorso di Bertinotti. «Se piegassimo la prospettiva della SE alle convenienze dell'oggi, al dibattito politico tutto interno alla sinistra italiana, faremmo un'operazione opportunistica».

Che vuoi dire?
Dico che qualcuno pensa che SE sia superata perché adesso c'è la Sinistra democratica, nata nel nome del socialismo europeo. Ma questa è tattica, opportunismo. Come si fa a dare per già morta un'assemblea come quella di sabato e domenica così viva e partecipata? Sarebbe un grosso errore considerare SE come un ostacolo sul cammino verso il soggetto unitario e lo dimostra l'assemblea stessa, alla quale sono intervenuti movimenti, associazioni, singoli.

Ma da più parti il riferimento al socialismo del XXI secolo fatto da Bertinotti viene considerata un'apertura a Mussi.
E' una lettura rozza. Fatta apposta per confondere la scala e la dimensione del problema. Si confondono i piani, si scambiano le parole. Parlare di socialismo significa porre il problema di come riattualizzare il tema arduo della trasformazione sociale, della "rivoluzione" nel XXI secolo. Di come cambiare lo stato di cose presente. In questo senso l'opzione è persino più radicale. Altrimenti, che senso ha citare il socialismo? Anche quello sovietico era detto socialismo e dunque dovremmo dire che Bertinotti vuole l'Urss? Sottolineo che in Germania è Lafontaine che ha lasciato il Pse.

Quindi secondo te c'è ancora posto per il Prc?
Sono gli anni di esperienza maturata che lo dicono. Il processo della rifondazione comunista è utile per scalare il tema dell'alternativa di società nel XXI secolo. Certo non da solo, il Prc in questo non può essere autosufficiente. Non sciogliamo il partito non per orgoglio, ma perché è un processo da sviluppare, da continuare; ripeto: utile alla costruzione del socialismo del XXI secolo. Non lo impedisce, anzi è connesso ad esso. Si vuole fare il funerale al Prc, che invece si dimostra vivo e vegeto, sta con e dentro i movimenti. L'anomalia di Rifondazione non è superabile, è un soggetto politico che rifiuta la scorciatoia del governo opposto ai movimenti o dei movimenti autoreferenziali, identitari. Osservo che il gruppo dirigente del partito è ben determinato sulla strada del soggetto unitario, ma se qualcuno pensa ad altro venga al congresso (ormai siamo vicini) e presenti una sua mozione di superamento del Prc. Vediamo se i compagni sono d'accordo.

Insomma, niente partito unico.
E' come ha detto Bertinotti: le forme possono essere tante e comunque le decidono chi vi partecipa. Magari ci arriveremo domani o fra 5 anni. Non lo so, queste cose non si decidono a tavolino. Siamo d'accordo che dobbiamo muoverci in fretta per la costruzione dell'unità a sinistra, ma non dismettendo o annacquando noi stessi. Per altro nessuno ce lo chiede. Ci confronteremo con gli altri sulle questioni reali, concrete, e sui fondamenti culturali e politici. Bertinotti dice «fatelo». Noi lo stiamo già facendo.

Liberazione 19.6.07
Alfonso Gianni: le europee del 2009 terreno ideale per il partito unico
«Superare Rifondazione, più chiaro di così...»


«La nascita della Linke sarebbe stata impensabile cinque anni fa. Ora ci sono riusciti perché hanno saputo cogliere la marea montante. I tempi sono decisivi, di qui l'appello di Bertinotti: fatelo. Avrei voluto dirgli: già fatto. Invece siamo ancora fermi agli inizi. Non basta più essere d'accordo su questo e su quello. Bisogna saper essere egemoni»

«E' il discorso più chiaro che abbia fatto in vita sua». Non ha dubbi Alfonso Gianni, sottosegretario allo sviluppo economico e uno dei maggiori esponenti del Prc. L'intervento di Bertinotti domenica all'assemblea della Sinistra europea è chiaro nelle premesse, chiaro nell'analisi del momento politico, chiaro nello sbocco cui ambire.

Alfonso Gianni, dunque la SE è appena nata, ma bisogna già andare oltre?
Non c'è dubbio. Certo, Bertinotti ha premesso che, in quanto presidente della Camera, non avrebbe toccato i temi dell'immediatezza politica. Ma ha fatto un'analisi precisa delle condizioni della sinistra europea. E cioè che rischia non solo di non contare nulla ma proprio di sparire senza un vero rinnovamento. E il momento è adesso. La nascita della Linke sarebbe stata impensabile cinque anni fa, eppure adesso ci sono riusciti perché hanno saputo cogliere la marea montante, intercettare la domanda. I tempi, come ha detto Bertinotti, sono decisivi. Di qui l'appello: fatelo. Più chiaro di così. Avrei voluto dirgli: già fatto. Invece siamo ancora fermi agli inizi, anzi all'interpretazione. Eppure siamo ad un punto nel quale occorre dare più forza ai movimenti e contemporaneamente mettere in piedi un soggetto politico unitario, plurale nelle culture che lo animano. Non si può fare solo una delle due cose, non sarebbe sufficiente.

E che fine fa il Prc?
Io credo che il tema non sia più quello della rifondazione comunista, ma quello della rifondazione della sinistra (ovviamente è una mia formula). E' questo il tema del socialismo del XXI secolo. Perciò è ovvio che bisogna superare Rc. Essa è parte del progetto, che però la travalica. Non contro, non senza, ma oltre.

Il che significa partito unico? E quando?
Per me alla prima scadenza politica certa. Cioè le europee del 2009. Quell'appuntamento elettorale è il terreno ideale per sperimentare il partito unico perché si svolge con metodo proporzionale e non c'è il ricatto del voto utile. Nel frattempo ci possono essere passaggi ulteriori. Lo stesso Bertinotti ha detto che le forme organizzative possono essere centomila, «decidete voi come». Ha citato l'esperienza dell'Flm (pur osservando che non ci sono più i consigli di fabbrica), ma ha anche proposto strutture di base sul territorio che si richiamino all'unità. Il tutto rivolgendosi a quelle forze politiche e culturali che non si riconoscono nel Pd. Insomma, non basta la sindacalizzazione delle questioni; non basta dire siamo d'accordo su questo o su quello. Bisogna saper essere egemoni, essere in grado di parlare della società che vogliamo fare. Le assemblee parlamentari vanno bene; l'unità d'azione va bene; va bene dire no alla base di Vicenza e aumentare le pensioni minime. Ma questi sono piccoli passi, da soli non bastano. Dov'è la passione, la capacità di trascinare? Dove sono i grandi temi? Siamo capaci di rielaborare in termini nuovi qual è la discriminante tra destra e sinistra nel XXI secolo?
Ro. Ve.

Liberazione 19.6.07
Graziella Mascia: «Le forme si troveranno strada facendo»
«Un sinistra che deve imparare a reinventarsi»


Graziella Mascia è stata con Bertinotti a Berlino, al congresso della die Linke. L'ha ascoltato anche lì, prima dell'intervento di domenica al Palafiera di Roma.

Il discorso del Presidente della Camera è stato il tentativo di definire un'unità non astratta della sinistra , che sarebbe fine a se stessa, che nascerebbe sconfitta, perdente. Ma delineato la necessità di un'unità che parte da un'analisi severa, impietosa. Che parte dalla necessità della sinistra di reinventarsi, pena la sua scomparsa.

E come ti sono sembrati quei discorsi?
Davvero molto importanti. Un'analisi lucida dei problemi, dei rischi drammatici che abbiamo di fronte. Un'analisi lucida e un'indicazione esplicita: quando ha sollecitato, quando ha messo "fretta" nella costruzione di una nuova soggettività unitaria della sinistra. "Fretta" per superare titubanze, preoccupazioni. Che certo mi sembrano legittime ma possono diventare un rischio. Che potrebbero farci perdere un appuntamento importante.

Scusa la franchezza: ma le titubanze, le perplessità a cui alludi si trovano anche dentro le fila di Rifondazione?
Ti rispondo di no, se lo chiedi a me. Ma ti rispondo lo stesso di no se mi chiedi di "interpretare", diciamo così, le parole di Bertinotti. Credo che lui si rivolgesse a tutti. Con la sua autorevolezza credo che davvero volesse parlare all'intera sinistra.

Tanti osservatori hanno però notato il contrario. Hanno detto, e scritto, che forse i destinatari di quell'invito a "buttarsi in mare aperto" siano proprio dentro Rifondazione.
Mi sembra riduttivo, non è così. A me pare invece che la parte più importante del discorso del Presidente della Camera sia stato il tentativo di definire non un'unità astratta della sinistra. Che sarebbe fine a se stessa, che nascerebbe sconfitta, perdente. Lui, invece, ha delineato la necessità di un'unità che parte da un'analisi severa, impietosa. Che parte dalla necessità della sinistra di reinventarsi, pena la sua scomparsa.

Comunque sia, ha chiesto di acellerare il processo di costruzione di un nuovo soggetto.
Bertinotti non è entrato nel merito del "come" si costruisce questo nuovo rapporto a sinistra. Ha detto che le forme si troveranno strada facendo. Tutti insieme. E non si discuteranno a tavolino, ma nel vivo di un confronto, nel pieno di una nuova stagione di lotte. Lui, ti ripeto, ha insistito sui contenuti, ha compiuto un'analisi lucidissima dei rischi a cui la destra espone l'Europa. Dei rischi a cui va incontro la sinistra. Ha mandato un segnale, ci ha chiesto di mandarne altri. Un segnale perché tutti concorrano a disegnare questa nuova sinistra.

Ma insomma ha chiesto o no di cominciare, fin da ora, a superare la Sinistra europea?
Questo non è vero. Anzi, è un modo sbagliato di interpretare le parole di Bertinotti. Che non a caso le ha pronunciate proprio lì, al Palafiera. All'assemblea costituente della nuova formazione. Certo, lui - come tanti di noi - ha detto che quello cominciato ieri è l'avvio di un percorso che non deve essere "chiuso". E' solo un inizio. Ma è una forzatura - che non giova a nessuno - dire che abbia chiesto il superamento della Sinistra europea. Che è e resta il nostro riferimento internazionale. Ed è con questo bagaglio - politico, culturale, di innovazione - che andremo all'incontro, all'incontro unitario con le altre forze della sinistra. Anche quelle collocate diversamente da noi.
s.b.

Liberazione 19.6.07
M. Smeriglio: «La sinistra ha bisogno di passioni ed emozioni»
«Sì al processo unitario Senza chiedere abiure»
di Stefano Bocconetti


Credo che l'identità di una formazione non sia qualcosa di astratto ma qualcosa che si costruisce quotidianamente. E credo che sia arrivato il momento di smetterla con i luoghi comuni, con le denunce sul peso insopportabile delle identità. Ma insomma ci siamo accorti o no di quel che è avvenuto appena due settimane fa, all'ultima tornata di elezioni amministrative?

Massimiliano Smeriglio è il segretario della federazione romana del Prc. Che è una delle città dove la Sinistra europea è già in piedi da tempo, è un soggetto "politico" vero. Che fa vertenze, che discute, che organizza comunità.

Smeriglio, dal tuo angolo di visuale, come hai preso il discorso di Bertinotti?
Bene, positivamente. Molto positivamente. Anche se penso, scusami la franchezza, che pure altre persone, magari anche chi la pensa diversamente da me, possa dire lo stesso.

Che cosa ti ha convinto di più?
L'idea che un processo unitario vada avviato. E subito. Senza chiedere abiure a nessuno, ma anche senza subire divieti. E io sono convinto che in questo processo occorra portare dentro la cultura, la cultura politica innovativa di Rifondazione. Quella che abbiamo espresso negli ultimi dieci, quindici anni. Non mi pare poco.

Parli, insisti sulla cultura politica di Rifondazione. Molti però hanno detto che se si parte dalle identità, l'unità della sinistra non si farà mai.
E io, invece, la pensa diversamente. Credo che l'identità di una formazione non sia qualcosa di astratto ma qualcosa che si costruisce quotidianamente. E credo che sia arrivato il momento di smetterla con i luoghi comuni, con le denunce sul peso insopportabile delle identità. Ma insomma ci siamo accorti o no di quel che è avvenuto appena due settimane fa, all'ultima tornata di elezioni amministrative? Guardiamo a quello che è accaduto al Nord. Credo, insomma, sia giunto il momento di indagare meglio le ragioni di quella sconfitta. E allora scopriremo che la Lega ha vinto proprio perché è stata capace di dare un'identità al suo elettorato. Alla sua gente. E io credo che a quella della destra occorra controbattere un'altra identità. Una "nostra" densità culturale, io la chiamo così.

Tu sei stato fra i dirigenti che hanno più scritto e detto, anche su questo giornale, contro la tesi del partito della sinistra. Resti di quell'idea?
Sì. E infatti Bertinotti ha parlato di una ricerca da avviare sulle forme dell'unità. E poi ha fatto esplicitamente riferimento all'esperienza della Flm. Una formula che anch'io ho usato.

La cosa che ti è piaciuta di più del discorso del Presidente della Camera al Palafiera?
Sinceramente, l'impianto complessivo. Un discorso davvero importante. Se proprio devo indicare un passaggio, scelgo però quello molto, molto suggestivo, dove disegna una politica capace di organizzare le passioni, le emozioni. Che credo sia la cosa di cui la sinistra, di cui anche noi abbiamo più bisogno.

E la cosa che ti è piaciuta di meno?
Ti sembrerà strano ma mi è dipiaciuto solo un particolare...

Quale?
Che quando ha cominciato a parlare, non si è rivolto alla sala col tradizionale: "Compagne e compagni". Mi è dispiaciuto, mi è mancato.

il manifesto 19.6.07
Partito unico? Per ora meglio di no
Sinistra Dopo la due giorni di Roma emergono le prime indicazioni sul futuro
La segreteria del Prc: «Sì a liste unitarie per le elezioni europee». Ipotesi di federazione con Pdci e Verdi. E l'incognita di Sd
di Al. Bra.


Roma. Va fatto, e alla svelta. Su questo dubbi non ce ne sono. Sul come vada fatto, qualche distinguo invece c'è. La segreteria di Rifondazione comunista si interroga sull'invito di Fausto Bertinotti ad accelerare il processo di unificazione delle forze alla sinistra del Partito democratico. E si trova unanimamente concorde con il suo ex segretario che domenica, nel suo intervento all'assemblea costituente della sezione italiana della Sinistra europea, era stato chiarissimo: «Fatelo, e fatelo subito. Altrimenti si rischia di scomparire».
Ma qualche differenza sul modo in cui farlo emerge. Perché cancellare di colpo il partito potrebbe essere deleterio. All'interno di Rifondazione già non tutti vedono di buon occhio Sinistra europea. Le minoranze interne non hanno partecipato alla kermesse, vista come «una deriva socialdemocratica». La possibilità di uno scioglimento del partito in un soggetto più ampio di «sinistra senza aggettivi», una «cosa rossa» (anche se non si chiamerà così perché «porta sfortuna», assicura il segretario Franco Giordano) potrebbe essere più un freno al processo che uno sprone.
E infatti è il solo Alfonso Gianni, sottosegretario allo sviluppo economico, che apre tout court alla nascita di un nuovo partito unico: »Bertinotti è stato limpidissimo e chiarissimo e non temo smentite neppure da Fausto: il risultato è un nuovo soggetto politico, unico ma plurale nelle culture, un partito con un programma definito, un'immagine unica da sottoporre al voto degli elettori. Da fare entro il 2009».
Una posizione che sembra però isolata, quasi una «fuga in avanti» rispetto alla segreteria, che si attesta invece su posizioni un po' più prudenti rispetto al partito unico. Piuttosto si preferisce parlare di «confederazione e di unità d'azione».
Era chiaro che la nascita di Sinistra europea non era più, come nell'idea originaria, un punto d'arrivo per il Prc. Piuttosto, un «punto di partenza», o meglio un tassello intermedio: qualcosa in più di Rifondazione, molto meno di una sinistra unitaria. Che deve essere l'approdo finale. Gli interlocutori sono ben chiari: i Comunisti italiani, una parte dei Verdi, le associazioni presenti alla due giorni della fiera di Roma. Con l'incognita della Sinistra democratica, che insegue più i socialisti di Boselli che la «cosa rossa».
Ora tocca alla segreteria del Prc sciogliere i nodi sul come. Bertinotti, nel suo intervento, ha preferito «volare alto», indicando più l'orizzonte culturale entro il quale si deve muovere il nuovo soggetto che la fattiva via di realizzazione. E anche la sua chiusa non lascia dubbi sul fatto che l'impegno deve essere di altri e non suo: «Fatelo», non «facciamolo». Un «voi» dettato non solo dal rispetto al ruolo istituzionale che riveste, ma un vero e proprio passaggio del testimone: «Voi sapete meglio di me come farlo: fatelo. Buona fortuna».
Sembra semplice, ma non lo è: il percorso più facile sarebbe la costituzione di un soggetto unitario senza obiettivi di tempo precisi. Lo faremo, quando e come non si sa. Ma il rischio è una disaffezione di chi nel progetto ci crede, e che potrebbe allontanarsi se non dovesse vedere risultati concreti. Meglio darsi un obiettivo, in termini temporali: liste unitarie per le elezioni europee del 2009. Una posizione che sembra maggioritaria nella segreteria del Prc. Ma che ancora potrebbe non essere sufficiente: un obiettivo è un obiettivo, ma si può anche non raggiungere. Ecco perché il capogruppo al Senato Giovanni Russo preferirebbe parlare di impegno. Perché un impegno lo si deve rispettare.

il manifesto 19.6.07
Sinistra. Un laboratorio in comune. Al Crs


Ci saranno Fausto Bertinotti e Alfredo Reichlin, Franco Giordano e Nicola Latorre, Fabio Mussi e Enrico Gasbarra, Pietro Folena e Goffredo Bettini,Gavino Angius e Betty Leone. E' ancora possibile che nomi e percorsi diversi, per non dire divergenti, della complicata galassia della sinistra italiana, radicale e moderata, si incontrino in un laboratorio comune di cultura politica? E' la scommessa su cui punta il Centro studi per la riforma dello stato, nella sua assemblea triennale che si tiene questa mattina, introdotta da una relazione del presidente Mario Tronti, nella biblioteca della Camera di palazzo San Macuto.
A che serve un laboratorio comune di cultura politica, in un momento in cui tutto sembra separare le sorti del costituendo partito democratico da quelle della costituenda forza alla sua sinistra? Più che un generico invito al dialogo e al confronto, la proposta di Tronti è di creare le condizioni perché «le due opzioni della sinistra, quella riformista e quella antagonista, pur nella diversità dei comportamenti politico-pratici, di programma, di gestione, di scelte concrete quotidiane, conservino e coltivino un terreno comune di critica culturale del modello sociale. Questo - continua Tronti - serve all'antagonismo per liberarsi dell'eterno pericolo dell'estremismo, e serve al riformismo per liberarsi dell'eterno pericolo dell'opportunismo». Ma per fare questo c'è bisogno di produrre una cultura politica che a sinistra non c'è più, e di più, «di una rottura dentro i nostri stessi modi di pensare, dell'abbandono di abitudini mentali troppo ripetitive per essere produttive».
All'ordine del giorno, per Tronti, c'è la ridefinizione dei «punti di attacco di una controffensiva culturale» capace di ricollocare la sinistra sul terreno della lotta per quell'egemonia che da tre decenni è saldamente nelle mani del campo avverso, e che ha ridefinito il paesaggio antropologico e mentale, prima che sociale e politico, del presente: «non basta più una critica di società, ci vuole una critica di civiltà». Spoliticizzazione del cittadino democratico, ricostruzione del rapporto fra intellettuali e popolo contro il consumismo culturale televisivo, analisi di che cos'è diventato il lavoro «dopo la classe», declinazione «non antireligiosa» della laicità, centralità della geopolitica: questi i capitoli principali che Tronti proporrà al laboratorio e a chi vorrà crederci. A presiedere i lavori della giornata, il vicepresidente del Crs Mario Dogliani.