domenica 21 ottobre 2007

l'Unità 21.10.07
«Siamo tutti un programma» In piazza sinistra senza ministri
Gli organizzatori: «Siamo un milione»
di Rachele Gonnelli
Un milione in piazza: pochi slogan, bandiere rosse e piazza San Giovanni piena fino all'orlo. Ha sfilato a Roma il popolo che resta comunista. Senza ministri, con defezioni dei Verdi e della Sinistra democratica. Giordano ammonisce: «Prodi ascolti questo popolo». Il premier ribatte: «L'ho sempre ascoltato». E la sinistra dell'Unione esulta: «Una grande prova per la Cosa Rossa».
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l'Unità 21.10.07
Una grande piazza, non contro Prodi


A Roma corteo della sinistra radicale: «La vera emergenza è il precariato»
Il premier: ascolto quel popolo, non getto la spugna. Veltroni: massima attenzione
Un grande corteo ha attraversato ieri le strade di Roma. Formalmente era indetto dalla sinistra radicale (Prc, Pdci, Fiom) contro il Protocollo sul welfare, siglato dal governo e dalle parti sociali e approvato a stragrande maggioranza dai lavoratori. Ma sia gli organizzatori, sia gli stessi slogan del corteo, hanno evitato di contrapporsi nettamente al governo. «Non è una manifestazione contro il governo, Prodi vada avanti», ha detto il segretario di Rifondazione, Franco Giordano. E Pietro Ingrao, tra i firmatari del manifesto del corteo ha ribadito: «Non è contro Prodi, ma serve un cambiamento». Alla fine, sul palco gli organizzatori hanno annunciato: «Siamo un milione».
Romano Prodi ha spiegato di aver «ascoltato sempre quel popolo». E replicando a Berlusconi e ai suoi annunci di «crisi imminente», ha aggiunto: «Il governo non traballa, certe analisi non hanno alcun rapporto con la realtà. Io non getto la spugna».

l'Unità 21.10.07
Una giornata particolare
di Furio Colombo


Sembra impossibile ma ciascuno purtroppo - anche senza volerlo - sta facendo la sua parte così come gli era stata assegnata dal capo-comico Berlusconi. Prima di offrire una mia lista di personaggi e interpreti della commedia triste mi preme una precisazione: non sto dando giudizi, non ne ho alcun diritto. Non mi riferisco in alcun modo alle intenzioni personali. A volte nobili, a volte meno (se non altro perché non chiare) dei vari protagonisti. Non giudico le persone, mi limito a contestare la coincidenza quasi perfetta di una serie di iniziative politiche. Osservando la scena si nota (per parte mia con stupore o dolore o allarme) che alcuni pezzi del centrosinistra, che è stato annunciato dai quattro milioni di votanti volontari nelle primarie per Prodi, sostenuto da diciannove milioni di elettori nelle ultime elezioni politiche, da cinque milioni di lavoratori nel referendum su impiego, pensioni, previdenza, dai tre milioni e mezzo che hanno partecipato alle primarie del Partito Democratico, alcuni pezzi del centrosinistra vanno a collocarsi - indipendentemente da ciò che pensano di fare - esattamente dove il copione di Berlusconi li aspettava, fuori dal loro schieramento in posizione vistosa e simbolica di protesta. Si possono avere le intenzioni più miti quando si riunisce una folla per marciare come forma di ammonimento a un governo. Ma il simbolo chiave resta il dissenso. Naturale che Berlusconi osservi le mosse e dica: siamo quasi pronti.
La mattina del frizzante sabato 20 ottobre si apre con una netta dichiarazione di Giorgio Cremaschi, il Segretario Fiom, dunque sinistra pura. Dice «questo governo non è meglio di Berlusconi, nessuna differenza. Anzi, è peggio».
Caratteristica della frase è una clamorosa ambivalenza. Sembra incoraggiare la diffusa opposizione a sinistra nei confronti della legge Biagi, che era solo un tassello del progetto Berlusconi di accodarsi alla destra del mondo per liquidare l’intralcio del lavoro e le pretese dei lavoratori. Invece porta un clamoroso tributo a Berlusconi. Dichiararlo uguale o migliore di Prodi vuol dire sdoganarlo in pubblico, vuol dire liquidare illegalità e conflitto di interessi, ricchezza immensa, oscura e manovre anche più oscure - perché su scala internazionale - di quella ricchezza. Vuol dire proclamare, mentre è alla testa del gruppo di operai più agguerrito, che è Prodi che si deve combattere, non Berlusconi. Poteva l’uomo di Arcore aspettarsi di più? Cinque anni di contrasto appassionato e civile contro il berlusconismo - contrasto che era già stato tante volte disapprovato, come ricorderete, dalla sinistra moderata, ora è svilito e ridicolizzato dalla sinistra più militante.
Intanto Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, che quando era in questo giornale (dopo essere stato un bravo e innovatore condirettore) diceva spesso a Padellaro e a me di non esagerare nei titoli contro Berlusconi (ricordate il famoso incubo della “demonizzazione” e la ricorrente domanda: «ma cosa farete dopo, senza Berlusconi?» problema, che - come vedete - non si pone) finalmente ha trovato un nemico. Si chiama Prodi, e lui allegramente lo sfotte in una spensierata conversazione su Il Riformista (20 ottobre). Dice di averlo trovato «cupo, triste» e di avergli dato appuntamento per la manifestazione anti-legge Biagi «alle tre, davanti a Feltrinelli, vedessi mai». Dunque apprendiamo che finalmente «Prodi è cupo e triste» dunque sulla porta e si può cominciare a scherzare pubblicamente su di lui. Un punto segnato, ma da chi? Di nuovo siamo in perfetta coincidenza con il copione Berlusconi e non c’è bisogno di fare il processo alle intenzioni (che sono certo le migliori del mondo del lavoro) per notare che, di nuovo, l’uomo di Arcore, l’uomo dello stalliere mafioso Mangano, degli associati Previti e Dell’Utri, del clamoroso licenziamento in tronco di giornalisti e comici, l’uomo del controllo assoluto dei media non poteva desiderare di più. Lui ha scritto le parti in commedia di gente che spinge troppo a sinistra e finisce per rompere. Qui invece, gli compaiono Cremaschi con rabbia e Sansonetti ringiovanito e festoso per dire: «ok, Prodi, basta così. Adesso ci pensiamo noi». Non è esattamente il copione ma dubito che Berlusconi sarà deluso di questa variazione.
Infatti, ci pensano come? Osserviamo bene la scena. Ma, prima cosa, devo spiegare ai lettori perché ho scritto, poche righe più sopra “legge Biagi”. So benissimo che non si chiama così, che è la legge 30 sul precariato. So che a chiamarla “legge Biagi” era stato lo scherzo macabro di Maroni (l’autore della legge) e di Berlusconi, del suo sottosegretario Sacconi e di Berlusconi che con quella legge speravano di mettersi in coda alle destre del mondo che ne avevano abbastanza del costo del lavoro, qualunque costo che non siano la delocalizzazione in Romania o gli acquisti del già fatto in Cina al prezzo di centesimi invece che di euro o di dollari. Ricordiamo tutti che la strada è stata aperta, nel mondo industriale avanzato, da Ronald Reagan quando, pochi giorni dopo il suo insediamento, ha risolto una vertenza licenziando senza liquidazione tutti i controllori di volo d’America, e assumendo, subito e da solo, una nuova generazione di bravi e sottomessi lavoratori senza diritti. Questo, come tanti esperti ci dicono, a cominciare dal moderatissimo ex ministro del Lavoro Tiziano Treu, non era il disegno di Biagi. Marco Biagi (che intanto era minacciato, aveva chiesto più volte la scorta, era stato giudicato un rompiballe dal ministro dell’Interno Scajola, che avrebbe dovuto proteggerlo) aveva disegnato solo la prima arcata di un ponte. Ma il suo ponte, la sua visione, erano ben più vasti. C’era bisogno di garanzie, contrappesi, sostegni per non fare entrare l’Italia nell’era di Reagan descritta così accuratamente da Michael Moore con la frase: «Diritti? Nessuno».
Dunque Marco Biagi, che non aveva alcuna protezione, ucciso come D’Antona, mentre il suo lavoro era tutt’altro che finito, perché i criminali, oltre che criminali, sono anche stupidi e ciechi.
Berlusconi e Maroni hanno colto la palla al balzo. Invece di commettere l’errore pesante e volgare commesso contro Olga D’Antona («si tratta di un regolamento di conti interno alle sinistre») si sono impossessati di un disegno non finito, non rivisto, carte e appunti di un lungo e complesso lavoro in corso, lo hanno trasformato in legge per la parte che gli interessava e gli hanno dato il nome del giurista assassinato.
Berlusconi, come in ogni altra circostanza aveva il solito scopo: spaccare l’Italia come prerequisito della sua concezione di governo.
E allora, ecco qua, ancora una volta ci è riuscito in pieno. Una parte della coalizione di sinistra se ne va per le piazze. Nel più mite dei casi dicono: ci si può fidare di questo governo? E anche chi non lo dichiara suggerisce il motto di Cremaschi « né con Berlusconi, né con Prodi ». Poiché Berlusconi, con tutta la sua ricchezza, la sua televisione e la sua generosa campagna acquisti è una presenza immanente, è il protagonista autofinanziato della vita italiana (e, a giudicare dalle frequenti e misteriose vacanze con Putin, non solo italiane) la frase vuol dire «con Berlusconi», non perché questa sia l’intenzione ma perché, se gli sgombrate il campo, questo ricco signore avrà la vita ancora più facile.
Quanto alla spaccatura - progetto chiave di Berlusconi - eccola, la manifestazione in piazza (invece che il lavoro dentro il governo e in Parlamento) ha suggerito di raccogliere la palla al balzo sul versante della presunta offesa al professore ucciso senza scorta.
E così, persone in perenne trasferta e ansiose di fare la cosa giusta nella politica, un assortimento di tipi che costituiscono la scorta fissa di Berlusconi e persino protagonisti insospettabili della politica pulita, come Pannella, si riuniscono per dire bene di quella colonna spezzata a cui viene attribuito ancora e ancora il nome di Marco Biagi, come se non fossero esistiti da un lato Milton Friedman, che ha aperto la strada al regime del lavoro selvaggio (basta verificare le condizioni, le garanzie, i sostegni del lavoro retribuito in America, ormai stabilmente privo di pensioni e assicurazioni mediche) e dall’altro Joseph Stiglitz, Amartya Sen, Paul Krugman, grandi dell’economia che si contrappongono a Friedman per descrivere il danno che il capitalismo fa a se stesso quando svilisce o sottomette il lavoro. L’idea di fondo è di intimidire ciò che resta del centrosinistra, minacciando di accostare alle Brigate Rosse chi difende il lavoro. O di farlo apparire, nel più mite dei casi, un ottuso conservatore, nemico della libertà. Che è, guarda caso, libertà di licenziare.
Tanta vitalità berlusconiana, e tanta e precisa coincidenza con i ruoli auspicati dallo stratega di Forza Italia (che altrimenti porterebbe a casa ben poco, con la Brambilla) dà una scossa alla impaziente flottiglia ancorata sulla destra del porto del centrosinistra (bombardato da Grillo, da Cremaschi, eletto a rappresentante esclusivo della Casta, mentre i cassieri della Casa delle Libertà si divertono a gridare Casta allo schieramento di Prodi quando non stanno insultando i senatori a vita). E ormai non puoi dire quale bandiera isseranno, e quando, i nuovi corsari del gruppo Dini. O dove imprimeranno il loro segno i due Zorro Mansione e Bordon, e a quali vedove e orfani e contadini oppressi stanno per portare soccorso.
A quanto pare l’importante è disarcionare al più presto l’unico vero male d’Italia, il Don Chisciotte Prodi e il suo Sancho Panza Padoa-Schioppa.
Dopo essere scampato alla “demonizzazione”, che in tanti ci hanno così vivamente sconsigliato, come se fosse non solo impolitico ma anche immorale dire tutto il conflitto di interessi di Berlusconi e la vera natura dei suoi interessi e legami e alleati, ora Berlusconi evita anche l’altro pericolo di cui ci hanno parlato tanto: il berlusconismo senza Berlusconi. Niente paura, Berlusconi è vivo e lotta insieme a molti, un po’ di qua e un po’ di là. Non è un lieto fine. Ma è tutto vero oppure ho fatto un brutto sogno?
colombo_f@posta.senato.it

l'Unità 21.10.07
L’equilibrio vestito di Rosso
di Vincenzo Vasile


Le avete ascoltate le interviste tv durante il corteo di ieri? Non si erano mai contati tanti simpatizzanti e sponsor di destra per la sinistra radicale. Piazza San Giovanni, presentata come l’epicentro del terremoto che potrebbe abbattere Prodi, ha profondamente deluso, invece, le aspettative di chi scommette sulle fibrillazioni del governo. Tranne la ineffabile «precaria» che ha issato lo slogan masochista «ridateci Berlusconi», il senso politico della manifestazione è stato minuziosamente recintato da gran parte dei dirigenti delle forze che hanno promosso l’evento: non una manifestazione contro il governo, né tanto meno una spallata.
Piuttosto, la rappresentazione di temi obiettivi e valori che provengono dalla piattaforma programmatica della coalizione di centrosinistra. Una spinta potente certo, ma non per fare cadere il governo: Prodi vada avanti.
Si potrà discutere all’infinito se abbia pesato su questo esito realistico lo sfogo giornalistico dello stesso presidente del Consiglio sui pericoli immanenti di rendersi strumento del “complottone”; o su quanto abbia inciso la levata di ingegno di un padre nobile della caratura di Pietro Ingrao, che alla vigilia della manifestazione ha evocato - invece delle modifiche del protocollo del Welfare, che porrebbero questa sinistra in rotta di collisione con il sindacato e con la maggioranza di coloro che hanno risposto alla consultazione - temi alti e questioni grandi come «la fine della guerra in Iraq e le rivendicazioni di libertà e di riscatto dei lavoratori».
In ogni caso si è trattato certamente di una profonda e meritoria correzione in extremis dei toni e delle velleità che stavano dietro alle prime intenzioni dei promotori, angustiati da un’irrimediabile vocazione minoritaria, e ancora caoticamente coinvolti nelle traversie della futuribile Cosa Rossa; e si è trattato di una tardiva presa d’atto del risultato del referendum nei posti di lavoro, e fors’anche di un effetto indotto dal successo delle primarie del Partito democratico.
Naturalmente una gestazione così confusa e contraddittoria ha avuto i suoi effetti negativi: per genericità e spirito ultra-identitario sembrava, per la verità, la manifestazione di una forza di opposizione; e invece almeno quattro ministri hanno legami più o meno profondi con questa piazza; e non è un caso che essi abbiano avuto qualche difficoltà a motivare la loro assenza e insieme la loro solidarietà. Romano Prodi tira, dunque, un sospiro di sollievo, promette di “ascoltare”, anzi di continuare ad ascoltare, “quel popolo”. Ma non è affatto detto che il premier possa superare con uno sforzo soggettivo, con uno scatto di reni volontaristico i vincoli finanziari e politici che finora hanno impedito risposte più soddisfacenti. E per paradosso tanta gente in corteo forse diventa parallelamente anche un problema - da interpretare, da rappresentare, da dirigere - per chi finora può essersi illuso di svolgere il proprio ruolo di ala sinistra della coalizione, limitandosi ad attizzare ai margini del campo di gioco il fuoco sotto il crogiolo dei delusi e degli insoddisfatti.

l'Unità 21.10.07
Non è stato un corteo contro. I precari con i loro genitori, ma anche quelli della Val Di Susa e di Vicenza
Un lungo fiume di richieste concrete
di Marcella Ciarnelli


Non è stato un corteo contro. Tutt’altro. Centinaia di migliaia di persone, un milione per chi ci stava dentro, hanno invaso pacificamente le strade di Roma come un lungo fiume tranquillo ed hanno trasformato Piazza San Giovanni in un lago rosso di bandiere tese dal vento forte di tramontana.
Chi sperava nel conflitto, chi non aspettava altro per poter dire che dalle rivendicazioni di lavoratori, pensionati, ma, soprattutto, precari di ogni età e provenienza era arrivata la spallata al governo Prodi, si è trovato davanti a gente responsabile. Che ha molto da chiedere ad un esecutivo che fin qui non è riuscito a dare risposte complessive alle esigenze di chi un lavoro ce l’ha (e vorrebbe tenerselo) ed a quelle di chi un lavoro lo vorrebbe (ma non riesce a trovarne uno che duri più di qualche mese). Ma che ha anche capito che non è certo mandando a casa in modo traumatico questo governo che si trova la soluzione. «Rispetto del programma» chiedeva uno degli striscioni più evidenti mescolato, certo, a quelli frutto di un’arguzia e un’ironia che neanche le difficoltà e la precarietà riescono a soffocare. «Il governo ha fatto bene la sua parte nel mettere in ordine i conti pubblici. Ma questa era soltanto la metà del programma elettorale, l’altra metà parlava di risarcimento sociale e stop all’insicurezza, a cominciare dal mondo del lavoro» ricorda Nichi Vendola, il governatore della Puglia che si è fatto tutto il corteo, un po’ defilato, come tutti gli altri politici, per non prestare il fianco alla strumentalizzazione del messaggio di una coalizione che manifesta contro se stessa. Ed è stato salutato con grande affetto dai partecipanti. Molti ci credono che toccherà a lui guidare la “Cosa rossa”.
Il popolo della sinistra è sceso in piazza. Ha preso navi speciali, treni, pullman. Ha fatto lunghi tragitti. Nella maggior parte dei casi si è pagato il viaggio di tasca propria, magari chiedendo ospitalità ad un parente, o è arrivato da tutti i quartieri di Roma a rinforzare in modo del tutto imprevedibile le più rosee previsioni della vigilia sulla partecipazione.
Il popolo della sinistra ha risposto all’appello. C’erano i precari ma anche i loro genitori che, per aiutare i figli, si ritrovano anch’essi a dover vivere una imprevedibile precarietà. C’erano i lavoratori di grandi aziende che davanti a sé hanno la fine di un contratto e quelli ormai prossimi alla pensione. C’erano le donne che lottano per non essere discriminate ma anche contro la violenza. I bambini nelle carrozzine con il tettuccio alzato a proteggerli dal freddo improvviso. Cani al guinzaglio, anche loro con un look di lotta. Gli striscioni della Val di Susa contro la Tav e quelli di Vicenza contro l’ampliamento della base militare. C’era anche il cartello estremo e solitario di una precaria che inneggiava al ritorno di Berlusconi «così la sinistra ricomincia a pensare». Anziani in un lento incedere. Pronti al ballo ed al coro i più giovani. Hanno sfilato per ore gli operai. Al fianco dei rappresentanti di quella piccola borghesia che solo fino a poco tempo fa credeva di essere indenne dai problemi della quotidianità. Ed ora si trova a fare i conti con la difficoltà di scavallare la quarta settimana del mese coniugando le troppe rinunce e le legittime curiosità. I nuovi poveri.
Un popolo colorato. Un po’ arrabbiato. Molto disponibile al dibattito. Un popolo che ci ha tenuto a mostrare la sua faccia vera. Fatta di storie che, sarebbe bello, potessero tutte a lieto fine. Settecentomila. Un milione. Di più, di meno. Non importa. Non è una questione di numeri. C’è piuttosto da interrogarsi sul perché in questa Italia in cui l’antipolitica la farebbe da padrona, secondo la lettura di parte di alcuni, arrivi sempre una risposta confortante ogni volta che c’è un invito ad esprimersi. E se fosse stato possibile sarebbe stato bello fare un censimento della costanza nella partecipazione di tanti che ieri hanno riempito le vie di Roma. Si sarebbe potuto scoprire così che qualcuno aveva partecipato anche alle primarie del Partito democratico. E non per confusione mentale. Ma per confermare che la voglia di esserci, di contare nelle scelte c’è tutta. Fa parte del Dna di una coalizione, al di là delle differenze che, se puntate ad un obiettivo comune, non sono motivo di contrapposizione ma una ricchezza. Gli italiani che sono scesi in piazza questo hanno dimostrato di averlo ben chiaro.

l'Unità 21.10.07
Piazza rossa contro il precariato
Giordano: «Il corteo non è contro il governo, ma Prodi ci ascolti». Mussi: ora la sinistra si unisca
di Simone Collini


LA PIAZZA ROSSA c’è, si fa vedere e si fa sentire. Chiede rispetto per il programma con cui l’Unione ha vinto le elezioni. E quindi soprattutto lotta al precariato. Ma anche leggi sull’immigrazione più umane, niente militari italiani a combattere in giro per il mondo,
tutela dei salari e delle pensioni, difesa della scuola pubblica, un progresso rispettoso dell’ambiente.
«Siamo un milione», esultano gli organizzatori della manifestazione dal palco affogato in una piazza San Giovanni piena di bandiere di Rifondazione comunista e del Pdci mischiate insieme, di bandiere della Cgil e della Fiom che non dovevano esserci e che ci sono, di slogan e cartelli che non nascondono l’insoddisfazione per quanto fatto finora da questo governo. «Queste sono le nostre primarie», dice raggiante il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano, quasi incredulo di fronte a una partecipazione che, al di là della cifra data dai promotori, è sicuramente molto ampia e superiore alle più rosee previsioni: «Questo è il nostro popolo che si mette in moto, che chiede al governo di raccogliere richieste che sono le stesse del programma con cui abbiamo vinto le elezioni. Se Prodi si mette in sintonia con questo popolo può cancellare tutti i meschini giochi di palazzo». Il primo messaggio che parte dai manifestanti, dice il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto, è indirizzato al governo: «Tenga conto di questa straordinaria piazza per migliorare le condizioni su welfare, precariato e sulle pensioni». Il secondo messaggio è rivolto al Partito democratico: «Non possono pensare di fare tutto da soli perché di sinistra siamo tanti».
Il leader del Prc e quello del Pdci, unici nell’Unione che hanno aderito all’appello lanciato questa estate da “Liberazione”, “manifesto” e “Carta”, arrivano al corteo insieme a Pietro Ingrao, accolto con un’ovazione quando sale sul palco di San Giovanni (dopo di lui prendono la parola soltanto gli “invisibili”, precari e studenti) per pronunciare poche evocative parole: «È una grande giornata di speranza per la lotta dei lavoratori e vi saluto con uno slogan antico: la lotta continua».
E la lotta dovrà continuare perché intenzione della sinistra radicale è dare battaglia in Parlamento sulla Finanziaria e sul protocollo sul welfare. È proprio contro l’accordo siglato a luglio da governo e sindacati che si vedono lungo il corteo che attraversa il centro di Roma i cartelli e gli striscioni più duri. «No a un protocollo che avalla precariato, instabilità, incertezze». «Vogliamo un progetto di vita, non una vita a progetto». «Su pensioni e precari siamo sempre più incazzati». «Sinistra o destra precari si resta». Giordano e Diliberto insistono nel dire che la manifestazione di questo scontento è di «stimolo» a Prodi, non contro di lui e per una crisi. Per non creare fibrillazioni si è deciso di non far partecipare i ministri. Si vedono dei sottosegretari, ma a nessuno nell’Unione viene in mente di polemizzare per questo. Mischiata tra la folla c’è anche Lella Bertinotti, venuta «non in rappresentanza del presidente della Camera: chi lo dice - risponde a chi la avvicina - non mi conosce».
Fausto Bertinotti segue il corteo guardando le immagini in tv, ed è una «grande soddisfazione» quella che esprime a fine giornata. Anche Walter Veltroni segue a distanza, e parla di «importante fatto democratico» che merita «la massima attenzione». In piazza si vedono anche alcuni esponenti di Sinistra democratica, che così come i Verdi non ha aderito. Una scelta che Diliberto definisce «un errore». Fabio Mussi non replica, ma è con parole di apprezzamento che parla della manifestazione, «grande, bella, forte politicamente»: «Chiede che si alzi la battaglia contro il lavoro precario, che il governo si muova con più rispetto per il suo programma, che la sinistra si unisca. Ora». È la stessa cosa che dicono Diliberto e Giordano. Nichi Vendola, dato in pole position per la leadership, dice che questa manifestazione è «un bellissimo mattino» per la “Cosa rossa”.
Il lavoro da fare sarà tanto. Per non perdere tempo, a dicembre verranno convocati gli stati generali della sinistra allargati, oltre che a Rifondazione, Pdci, Verdi e Sd, a tutte le associazioni e i movimenti che ieri erano in piazza.

l'Unità 21.10.07
«La Cgil c’è, questa è la gente del sindacato...»
I «disobbedienti» hanno sfidato il diktat sulle bandiere. Da Cremaschi le parole più dure contro il governo
di Felicia Masocco


QUADRATO ROSSO Il logo della Cgil avrebbe dovuto disertare la piazza e invece si è visto. Come si sono viste le bandiere di molti pezzi di Cgil, edili, funzione pubblica, comunicazioni, trasporti, atipici, scuola, pensionati, commercio. Ma soprattutto della Fiom, i metalmeccanici, e delle due aree di sinistra del sindacato, «Lavoro e società» e «Rete 28 aprile». La presenza ha il sapore della sfida al divieto di dirigenti di Corso d’Italia di sfilare con le insegne Cgil, rivolto tuttavia alle sole strutture come impone lo statuto quando la confederazione non aderisce. Ma a sentire i «disobbedienti» il messaggio è un altro: «La Cgil c’è ed è plurale» «e meno male che c’è perché queste sono le sue battaglie e questa è la sua gente». Anche questa.
Confusi nella folla i leader del dissenso sindacale (Cremaschi a parte) cercano di far passare un messaggio positivo. In sintonia con i leader della sinistra politica che ripetono che il corteo non è contro il governo. Nonostante qualche striscione e qualche slogan che prende di mira il protocollo del 23 luglio firmato tanto dal governo che dalla Cgil, il sindacato di Guglielmo Epifani che un cartello vorrebbe «in vendita» causa nascita del Partito democratico. Poca cosa, comunque, rispetto alla stragrande maggioranza che «in positivo» chiede a Prodi non di andare a casa, ma di spostarsi «un po’ più a sinistra». A reclamarlo sono - senza sigle di appartenenza - i vigili del fuoco di Roma, i precari del Campidoglio e quelli del comune di Milano, i ricercatori di Reggio Emilia, gli esternalizzati Vodafone, i licenziati Barilla e, striscione dopo striscione, decine di altre realtà tutte precarie.
«La manifestazione ha accolto il disagio che c’è attorno al problema della precarietà», è il commento di Gianni Rinaldini. Il segretario della Fiom non è convinto che la presenza, visibile, di tanti militanti Cgil preconizzi una rottura all’interno della confederazione. «Non succederà nulla - risponde - sarei preoccupato del contrario, il dissenso ci deve essere perché fa parte della democrazia e se non fosse così allora mi preoccuperei». «Credo che quella circolare sia stata un infortunio», conclude. A onor del vero i dirigenti dei metalmeccanici qualche sforzo per stare nelle regole lo hanno fatto: molte tute blu hanno lasciato a casa le bandiere e hanno indossato una maglietta con la scritta «Io metalmeccanico e tu...», una frase che riprende lo slogan della manifestazione del 23 marzo 2002 (i tre milioni al Circo Massimo) ma allude anche alla specificità della categoria, l’unica in cui il No al protocollo sul welfare ha prevalso sul Si.
In tanti hanno invece indossato la pettorina gialla di «Lavoro e società, cambiare rotta», l’area programmatica che all’ultimo congresso Cgil è confluita nella maggioranza, salvo distinguersi in alcune occasioni, compresa questa. «No al lavoro precario», «No al lavoro nero», hanno scritto. «I simboli non hanno il copyright», taglia corto il coordinatore Nicola Nicolosi. Le bandiere, aggiunge, «sono state portate individualmente dai lavoratori e dagli iscritti». Si è visto anche un adesivo «Io Cgil», e si torna al Circo Massimo.
Se ne discuterà domani e martedì al direttivo della confederazione. E quantunque tutti escludano una resa dei conti, non c’è dubbio che Epifani debba ricomporre i «pezzi» e occuparsi della variabile indipendente Giorgio Cremaschi. Da lui e dalla sua componente, «Rete 28 aprile», sono arrivate le parole più dure. «No al protocollo, no al precariato, no a Confindustria», hanno scritto sugli striscioni e giù slogan contro scalini e scaloni. «In questa manifestazione ci sono pezzi importanti di Cgil, se ne deve tenere conto - afferma Cremaschi -. È una manifestazione di popolo, della sinistra e della Cgil che dice basta alla politica economica del governo Prodi, inadeguata, insufficiente e sbagliata. Questo governo ha fatto tanto per Confindustria e nulla per i lavoratori». Quanto ai vessilli «sono per dire che la Cgil è anche nostra, le bandiere sono del popolo e non delle segreterie».
Sulle bandiere in Corso d’Italia minimizzano. La responsabile dell’Organizzazione Carla Cantone ricorda che si tratta di regole vecchie di dieci anni, «il logo non può essere usato come fosse un circo Barnum. È comunque una discussione sopravvalutata. Verificheremo come abbiamo sempre fatto», afferma, «come quando c’è qualcuno che se ne frega dei regolamenti». Del resto in Cgil la dialettica non è una novità. «In cima ai nostri pensieri non ci sono certo gli stendardi - conclude Cantone -. C’è l’accordo e la preoccupazione che in Parlamento la destra lo possa peggiorare».

Repubblica on line 21.10.07
Esultano gli organizzatori della manifestazione contro il welfare e il precariato
Giordano: "Prodi ascolti questo popolo". Ingrao dà la linea: "Non siamo qui contro il governo"
Bandiere rosse e unità a sinistra, un milione in piazza per i diritti
Immigrati, precari, donne, studenti, il film del corteo. Ferrero: "Giornata splendida, il premier più forte"
Diliberto: "Non è più rinviabile il partito unico a sinistra". Vendola: "Io leader? L'ultima delle questioni"
di Claudia Fusani
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Le foto qui

Repubblica 21.10.07
Welfare, successo della manifestazione organizzata dalla sinistra. Blitz dei precari al convegno sulla legge Biagi
"Un milione, non contro Prodi"
di Umberto Rosso


ROMA - Quando Pietro Ingrao, dal palco di San Giovanni, al canto di Bandiera Rossa incita emozionato il popolo dei precari, «è una grande giornata di speranza e la lotta continua», la coda del corteo ha appena lasciato piazza della Repubblica trascinata a tempo di rap. Siamo un milione, annunciano gli organizzatori. Più, molto di più di quanto avessero osato sperare i direttori di Liberazione, Manifesto e Carta, ma soprattutto Giordano e Diliberto che sulla manifestazione si giocavano tutto. Tantissimi, giovani e pensionati, metalmeccanici e migranti, lavavetri e gay, donne in nero e uomini-casalinghi, mille e mille storie di lavoro spezzato e part time, e quindi un corteo anche duro e arrabbiato, ma alla fine gli slogan contro Prodi e il suo governo arrivano solo da piccole frange (quelli del Carc o di Action). Cobas assenti. No-Tav e No Dal Molin pochi. Il messaggio perciò che il segretario di Rifondazione spedisce al premier è tutto qui: «Vai avanti, non sfiliamo contro di te. Ma ascolta questo popolo». La riposta del professore arriva a strettissimo giro, sul palcoscenico di San Giovanni stanno ancora suonando i Tete de Bois e la gente balla, il premier garantisce «il popolo l´ho sempre ascoltato, ringrazio Giordano per la raccomandazione ma non ce n´era bisogno».
Niente ministri, si vedono alcuni sottosegretari, fra gli altri la Sentinelli (viceministro agli Esteri), Gianni (Attività produttive), la Rinaldi (Lavoro). Così, mentre il centrodestra attacca e intravede nel corteo la spallata finale, per la sinistra radicale invece «il governo esce stimolato, si appoggi su di noi, porti fino in fondo il programma - dice il segretario del Pdci - perché siamo tanti, e molto di più dei centristi». C´è qualche eccezione. Giorgio Cremaschi, leader Fiom, «questa gente è venuta qui contro il governo, pure se gli organizzatori provano a dimostrare il contrario». Tanti simboli del sindacato dei metalmeccanici, con il segretario Rinaldini in prima fila che regge lo striscione «Siamo tutti un programma», e tante bandiere della Cgil a sfidare la scomunica, «forse Epifani ha sbagliato i suoi conti», sorride Giovanni Russo Spena, capogruppo dei senatori del Prc. Sindacato bersaglio di un mega -striscione, «Cgil vendesi, Cento anni di storia svenduti al Pd».
«Noi non abbiamo governo amici, basta con i sacrifici» gridano i lavoratori delle Poste di Milano. Sotto tiro anche l´ex segretario della Cgil Sergio Cofferati, in questo caso come sindaco: «Bologna libera», invocano i militanti del Prc che vivono sotto le due Torri. Ma dopo il «left pride», la giornata dell´orgoglio della sinistra, si riapre anche un canale di comunicazione con il Pd - rapporti gelidi finora - con Walter Veltroni che saluta la manifestazione come un «grande fatto democratico» e si dice sicuro che «le differenze, che ci sono, non impediranno di rafforzare la collaborazione».
«Queste sono le nostre primarie per il soggetto unitario», annuncia Giordano. Anche chi ha scelto di non sfilare, Sd e Verdi, ora accelerano. «Manifestazione bella, grande e forte», commenta Mussi, e molti dei suoi (compresi cinque senatori) erano a San Giovanni. Anche Pecoraro applaude, pure se lui la Cosa la vuole arcobaleno. E il prossimo passo, con la costituente della Sinistra, sarà l´addio alla falce e martello.

Repubblica 21.10.07
Dalle note di Rossini alla luna di Ingrao
di Antonello Caporale


Quattro ore in marcia, come al solito. Con i fischietti, i berretti, le bandiere rosse. Come al solito. Di più, sicuramente di nuovo, le decine di migliaia di braccia conserte, le bocche cucite, il passo lento e fiero di facce mai viste prima, gli ultimi ingressi nella Cosa che si chiama per adesso rossa.

Al corteo di Roma molta rabbia repressa di precari e operai. Ovazione per l´anziano leader
La marcia del popolo di sinistra e Ingrao disse: "Sì, vogliamo la luna"
Tra rassegnazione e bocche cucite: "Questo premier è meglio di niente"

Nessun comizio: il palco è per Ascanio Celestini, narratore di sogni
Il popolo è unito, i capi no. Giordano è un chilometro distante dai passi di Diliberto

Il partito della sinistra che verrà. Facce silenziose, composte. Prudenti, anche un pizzico rassegnate. «Io sono qui», dice Marcello. Sono qui, manifesto ma non urlo contro Prodi, «che è meglio di niente».
Il milione o forse meno che ha riempito il solito sabato romano, oggi gelato dalla tramontana, marcia con la paura di scaraventare in strada anche il governo, far chiudere baracca e dichiarare fallita la ditta. Non se lo possono permettere, e lo sanno. «Vogliamo un altro mondo, non la luna». Come le promesse di quei bimbi discoli: «Mamma, ci divertiremo senza rompere nulla».
Poco chiasso e buona musica. Poco e niente Bella ciao, c´è la Gazzaladra di Rossini. Poco apparato ma molto sindacato. Migliaia gli iscritti alla Cgil, malgrado Epifani avesse vietato le bandiere, e tutti col gagliardetto del disubbidiente: «Io Cgil». Nessun ministro, qualche sottosegretario sì però. Alfonso Gianni, vice di Bersani al ministero dello Sviluppo economico: «Noi difendiamo il governo, forse siamo gli unici, senza rinunciare ad esprimere il nostro spirito critico. Se vogliono mandarci all´opposizione possono farlo. Decidono i centristi, non noi. Vorrà dire che eserciteremo da lì la nostra critica».
Solo all´icona della sinistra, Pietro Ingrao, limpida voce nonostante l´età e la stanchezza delle gambe, è permesso di chiedere l´impossibile: «Sì, vogliamo la luna. Saluto tutti con un antico slogan: la lotta continua». L´abbracciano, lo circondano, lo baciano. Siamo a Santa Maria Maggiore e sono appena le tre. Le foto, le mani, i pugni chiusi. E´ una ressa intorno al grande vecchio («un tipo che non ha mai lavorato in vita sua!», commenterà da uno studio televisivo Renato Brunetta, di Forza Italia). Ingrao è accompagnato dalla sorella Giulia, accudito da Franco Giordano, il segretario di Rifondazione comunista. Come al solito il popolo è unito, i capi no. Giordano è un chilometro e forse più distante dai passi di Oliviero Diliberto. Dovrebbero filare d´amore e d´accordo. E´ da queste parti, si è qui, anche Lella Bertinotti, la moglie di Fausto: «Chi pensa che sia venuta in rappresentanza del presidente della Camera non mi conosce».
C´è gente nuova in marcia, e si vede. Prudente e l´abbiamo detto, anche rosa dal dubbio: meglio questo governo o l´opposizione? Si sta andando in piazza San Giovanni a far festa o si corre dritti alle urne? Marciano in otto, in quattro tengono issato lo striscione: «E´ un governo di merda, ma è il nostro». L´unico che abbiano, purtroppo per loro. Buono per i fotografi. Ma è tutta così la manifestazione?
No che non è sempre così. Il tronco del serpentone è di un rosso vivo e antico, il mugugno sale, una donna sandwich provoca: «Era meglio il governo Berlusconi». Foto, foto. I precari, quanti precari, «non ne possiamo più». Giulia, il solito call center: «Non ce la faccio e non lo capiscono quelli là». I dipendenti del comune di Roma tenuti a stecchetto da contratti a tempo determinato, e poi gli edili di Cagliari, e le operaie cottimiste di Prato, i tessili, i disoccupati organizzati di Napoli. «Ho tre figli da mantenere con ottocento euro». Ottocento, ottocento, ottocento. Tutti con gli stessi soldi in tasca, la stessa paura, la casa che non c´è o il mutuo che non si riesce a pagare i figli che non si fanno. «Ragazzo bamboccione cerca ragazza», ha scritto Dario su un foglio bianco. Le centraliniste esibiscono il cartello vendesi, quello per gli appartamenti mandati sul mercato della libera contrattazione. Ridono, fanno simpatia, cantano le hit parade degli anni ottanta. Altrove ci sono molte bandiere, ma anche molto silenzio. Più del solito. Come al solito ci sono i comunisti rivoluzionari: duri ma composti. Educati: un euro, lo prende il giornale? Spuntano gli interisti leninisti, e sono una simpatica new entry. La raffigurazione pittorica della sinistra radicale si ferma al barboncino con la bandana del Che. Viva il compagno cane.
Le barbe sembrano meno di un tempo, i giovani più di un tempo. Meno incazzati ma più depressi. Fanno baccano quelli del circolo Mario Mieli, l´universo transgender romano, con i palloncini colorati e i fianchi che si muovono al ritmo di un motivetto di Heather Parisi: televisione di vent´anni fa.
La luce del giorno si fa fioca, siamo quasi giunti a piazza San Giovanni. In coda al corteo c´è Nichi Vendola. E´ Nichi, ciao Nichi. Una foto, due tre, «papà premi il bottone sennò non esce niente». Bertinotti lo vorrebbe leader, lui forse ci starebbe pure ma è ancora presto per parlarne, e parlarne così tanto tempo prima non porta affatto bene. Fatti fotografare e sorridi, gli dice Mario, pompiere in tenuta di protesta. «Guadagniamo pochissimo». Gli immigrati senza diritti («Anche Maradona è stato immigrato»), i precari senza tempo: «noi flessibili, i politici inflessibili», e Prodi non ci sente: «Romano, Vaffanculo!».
Il palco è qui. Nessun politico sale, nessun comizio è previsto. Il palco è per Ascanio Celestini, narratore di sogni. Bravissimo. Chi vuole ascolta, chi no riparte. I bus aspettano «dove l´altra volta Michè».

Repubblica 21.10.07
Il presidente della Camera davanti alla tv: grande soddisfazione
Lella Bertinotti in corteo "Rappresento me stessa"
"Io il Pci l'ho lasciato nel 1987, avevo capito dove si stava andando a parare"
di g.c.


ROMA - Lui, il presidente della Camera, il corteo l´ha seguito attraverso le dirette tv. Lei, la "compagna" Lella gliel´ha raccontato parte in diretta telefonandogli, e nei particolari poi, una volta giunta a casa. Fausto Bertinotti ha commentato con una nota breve mentre ancora sfila il "popolo rosso" e Pietro Ingrao ha appena parlato, esprimendo «grande soddisfazione» per la riuscita. E si è complimentato con il segretario di Rifondazione, Franco Giordano che l´aveva del resto chiamato subito per comunicargli: «Fausto, la manifestazione è riuscita al di là di ogni previsione». Lella Bertinotti si è immersa nel corteo - tailleur, collana rossa e due amiche - però è stata parca di dichiarazioni: «Ho salutato centinaia di compagni».
Soddisfatta? Certo, annuisce sorridendo. Contenta? Contentissima. Manco a farlo apposta mentre arriva, quasi in contemporanea con Ingrao, la "Contrabanda" napoletana di Luciano Russo intona "Bella ciao" . L´euforia lievita e coinvolge la first lady della sinistra: «Se pensate che sono qui per conto di Fausto, non mi conoscete. Sono una persona libera e sono qui a rappresentare unicamente me stessa». Con i suoi si era confidata: questo governo deve fare politiche di sinistra. È una militante di lungo corso Gabriella Fagno, la moglie del lider maximo. Ha camminato sempre «insieme» al marito, non «un passo indietro». Talvolta, ha ricordato anche di recente, l´ha preceduto nelle scelte politiche. Fausto era socialista, lei del Psiup e finirono entrambi nel Pci, ma Lella prima di lui. Alla vigilia del congresso del partito nel 2005, quello che la segnato la svolta del Prc, aveva ricordato: «Io il Pci l´ho lasciato nel 1987, avevo capito dove si stava andando a parare».
Accompagnando il marito a Lisbona aveva confermato la scelta annunciata: «In piazza io ci vado, l´ho deciso ma non mi metto sotto i riflettori». Ai quali del resto è abituata, ad esempio venerdì sera a quelli della serata mondana della Festa del cinema. Quando Bertinotti era segretario del Prc, di manifestazioni non ne ha mancata una. E adesso che a causa della carica istituzionale, il consorte non partecipa alle kermesse della sinistra, lei certo non rinuncia.

Repubblica 21.10.07
In molti non seguono l'indicazione di Epifani sulla partecipazione al corteo. Il vertice del sindacato: ci sarà un chiarimento nel direttivo
Tante bandiere Cgil. E la Cosa Rossa resta in salita
di Giovanna Casadio


ROMA - Sventolano le bandiere della Cgil Campania, Calabria, Lombardia. C´è lo striscione Cgil-Piacenza. Ce ne sono decine e decine di bandiere rosse del sindacato, nonostante la diffida di Epifani ad usarle. Sfilano i militanti del sindacato portando in bellavista l´adesivo "Io Cgil". Spezzoni di disobbedienti? «L´area di sinistra ha sfidato le regole, non è un problema di merito ma di correttezza», fa sapere a pochi minuti dall´avvio del corteo Carla Cantone, segretario confederale. La cosa non finisce qui, insomma. «Anche di questo», delle bandiere in piazza nonostante il divieto - avverte in una nota - si parlerà nel direttivo di domani e di martedì. Giornate che si annunciano roventi di polemiche, benché sia Giorgio Cremaschi che Gianni Rinaldini, i leader della Fiom in testa al corteo, mostrino di non darvi importanza.
Liquidatorio Cremaschi. «Lo so che le bandiere della Cgil sono tante ma è normale perché le bandiere sono del popolo non della segreteria». Rassicurante Rinaldini: non per questo ci sarà una spaccatura nel sindacato, «non succederà nulla, sarei preoccupato del contrario, il dissenso ci deve essere perché fa parte della democrazia e se non fosse così allora mi preoccuperei». E comunque per Rinaldini due cose sono chiare dopo la mobilitazione del "popolo rosso", che cioè la circolare sul divieto delle bandiere è stata «un infortunio» per la Cgil e che c´è più che mai bisogno di un soggetto unitario della sinistra. La "Cosa rossa" appunto, il cui percorso tuttavia resta in salita.
La Sinistra democratica di Mussi e i Verdi di Pecoraro Scanio al corteo non hanno aderito. Ma questa manifestazione - afferma Franco Giordano il segretario di Rifondazione che nell´euforia balla sulle note di "Bella ciao" e non è disposto a «piccole polemiche» - sono «le primarie della sinistra unita». Il percorso unitario va quindi accelerato, come ammette lo stesso Fabio Mussi. «La manifestazione è grande, bella, forte politicamente, chiede che si alzi la battaglia contro il lavoro precario, che il governo si muova con più rispetto per il suo programma, che la sinistra si unisca - riconosce il ministro, "transfuga" ds - Ora sentiamo la responsabilità di raccogliere questa voce». Non accenna a pentimenti per avere rifiutato l´adesione ufficiale, benché molti dei "suoi" in piazza ci fossero lo stesso. Non gliele manda a dire invece Oliviero Diliberto, il segretario del Pdci: «Vedendo questa manifestazione Sd e Verdi avranno capito di avere commesso un errore perché ci sono qui molti dei loro militanti». Nei prossimi giorni, la sinistra radicale si riunisce per fare il punto. Giordano garantisce che entro l´anno «Rifondazione darà vita alla Costituente per un soggetto unitario, ci sarà una Sinistra in questo paese». È forte di un successo insperato: un corteo di massa e non contro il governo. Sul tavolo dell´unità a sinistra tanto lui che Diliberto potranno trattare da posizioni di forza su tutto, dal simbolo della "Cosa rossa" alla leadership. Pecoraro dal canto suo, fa i complimenti agli organizzatori. «Mi emozionano tante bandiere rosse di Prc, Pdci e Cgil», indica il colpo d´occhio il leader dei comunisti italiani insistendo su quelle del sindacato. Gli fa eco Manuela Palermi, capogruppo Pdci al Senato: «Spero che Epifani abbia un soprassalto e si renda conto del disastro combinato».

Repubblica Roma 21.10.07
Mercoledì in Regione Prc, Sd, Pdci e Verdi si riuniscono in una federazione
"Cosa rossa", dal corteo al gruppo unico


L´affollatissimo corteo che ha sfilato ieri in centro storico gli ha dato una bella spinta, certo, ma la decisione era presa da tempo e la data già fissata alla vigilia della manifestazione sul welfare: nascerà mercoledì prossimo alla Pisana il primo gruppo federato della Cosa rossa. Ad annunciarlo, mentre la marcia procede spedita verso piazza San Giovanni, l´assessore regionale al Bilancio di Rifondazione, Luigi Nieri, e la collega alla Cultura di Sd, Giulia Rodano. «Ci riuniremo e daremo vita all´unione della sinistra insieme a Verdi e Pdci», spiegano i due esponenti dell´ala radicale. In risposta, anche, al gruppo unico del Pd ormai costituito, potrà contare su 11 consiglieri e 5 assessori del Lazio: oltre a Nieri e Rodano, Mario Michelangeli (Pdci), Alessandra Tibaldi (Prc), Filiberto Zaratti (Verdi). Ma senza coltivare voglie di rivincita, né di contrapposizione col Pd, anzi: «Saremo un soggetto alleato e dialogante: l´unità della sinistra serve a rafforzare, a dare maggiore credibilità, a tutta l´Unione», precisa Rodano. «Nessuno», taglia corto Nieri, «ha mai pensato che si possa andare divisi al voto di primavera».
(giovanna vitale)

Corriere on line 21.10.07
Welfare, la sinistra fa il pieno
«Un milione in piazza a Roma»
Grande adesione alla manifestazione contro il precariato. Giordano (Prc): «Prodi vada avanti». Sfila anche lady Bertinotti. Ovazione per Ingrao
qui

Corriere della Sera 21.10.07
A Roma la manifestazione di Prc e Pdci contro il precariato.
Sinistra radicale, un milione di no


ROMA — Un milione di persone in piazza a Roma per il corteo indetto dalla sinistra radicale contro il precariato. C'era anche Ingrao. Prodi: non lascio. Napolitano: Bankitalia ha ragione. Sinistra in corteo: un milione, avanti Prodi
Prc e Pdci a Roma: il premier ci ascolti e sarà più forte. Bandiere Cgil nonostante il no di Epifani

Un mare di bandiere rosse, un colpo d'occhio stile anni Settanta. Un corteo diverso da quelli multicolori dei movimenti di questi ultimi anni. Tantissimi, «siamo un milione», dirà alla fine il segretario di Rifondazione Franco Giordano. E il senso della manifestazione contro il lavoro precario lo riassumerà alla fine Piero Ingrao, 93 anni, leader storico della sinistra: «Non è una manifestazione contro Prodi e nemmeno Veltroni — ha detto —, però i due sono moderati, e tale massa di popolo vuole un cambiamento profondo. Quindi credo che quanto più si rafforzerà questo movimento, tanto più Prodi potrà fare qualcosa di buono».
Tante le bandiere di Rifondazione e dei Comunisti italiani, ieri al corteo sul Welfare. Ma anche bandiere della Cgil, quelle che Guglielmo Epifani non voleva in piazza, forte di un referendum che a larghissima maggioranza ha approvato l'accordo sul welfare sottoscritto dai sindacati. Molti, a partire dal segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, avevano anche un adesivo al petto con su scritto «Io Cgil».
Il rosso domina.
Un corteo quasi totalmente monocromo.
Ma la cosiddetta sinistra radicale ha tante anime, e ieri erano presenti tutte: movimenti, associazioni, pacifisti, no tav, no Mose, no War, no Dal Molin, immigrati, precari di decine di aziende — da Alitalia a Vodafone —, singoli cittadini, movimenti gay, gruppi ambientalisti. Ed è il no al lavoro precario, tema del corteo, il principale collante che tiene uniti i manifestanti. Due i cartelli, tra i tanti, che possono riassumere anime comunque significative dei variegati umori della piazza: uno è quello di Eliana, 38 anni, di Venezia: «Voglio che torni Berlusconi, così il popolo di sinistra ricomincia a pensare». «È una provocazione — dirà poi —, ma ho votato Rifondazione e vorrei mi dicessero che cosa ci stanno a fare al governo». L'altro è di Carla, precaria di Cava dei Tirreni: «Questo è un governo di merda, ma è il nostro governo».
Un milione di partecipanti è una cifra forse esagerata, ma è vero che dopo le 18, quando piazza San Giovanni era già strapiena, carri e militanti partiti alle 14.30 da piazza della Repubblica stavano ancora sfilando lungo il tracciato. «Le nostre primarie », commenta un entusiasta Franco Giordano, segretario del Prc. «Prodi vada avanti — aggiunge — raccogliendo le richieste di questa piazza perché sono le promesse che abbiamo fatto durante le elezioni». «Prodi — gli fa eco Oliviero Diliberto — dovrebbe essere molto contento di una piazza così affollata che lo sostiene. Io sono comunista ma non sono mica scemo, non sono contro il mio governo ».
Non tutta la piazza però sostiene il governo. Malpancismi, critiche e slogan si fanno sentire, dal grado minimo dell'«ora applichiamo il programma » al grado massimo di quelle sillabe scandite più volte: «Governo Prodi, governo di imbroglioni. Stesso programma di Ber-lu-sco-ni».
Da più parti si invoca un nuovo soggetto unitario della sinistra, che però non interessa ai Carc. C'erano anche loro: esponenti del Partito dei comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, l'ala più estrema in marcia: «Ammazzano le donne, molestano i bambini. Governo Prodi governo di assassini» è uno degli urlati. Ma ce n'è per tutti, anche contro Bertinotti e per la «libertà del compagno Giuseppe Maj», loro fondatore e arrestato per terrorismo. E ce n'è anche per Umberto Bossi, che in alcuni slogan gridati da extracomunitari viene definito «assassino». Il Senatùr replica: «Io assassino? La mia legge era una cosa seria».

Corriere della Sera 21.10.07
Bertinotti e il corteo: questo governo ha ancora una diga
Bertinotti e il governo: c'è ancora una diga Ma se cade, Rifondazione vuole il voto
di Maria Teresa Meli


ROMA — Franco Giordano la spiega così: «Prodi dovrebbe ascoltarci e fidarsi di noi perché siamo i più leali con lui nella coalizione. Siamo noi, è questa gente, questi giovani in piazza che lo salveranno dai giochetti di palazzo di chi vuole farlo cadere».
Dunque, ancora una volta Rifondazione propone un patto al premier in bilico. Il ministro del Welfare Paolo Ferrero è esplicito: «Ci sono forze centriste che potrebbero stare a destra o a sinistra senza troppi patemi d'animo, mentre questa gente che è in piazza no, perciò stimola il governo, per farlo andare avanti rispettando il programma».
E infatti quella di ieri non era una manifestazione contro Prodi. Anzi si sentivano più slogan contro il Partito democratico e il suo leader: «Veltroni, Veltroni sei come Berlusconi ». Il Pd, che Giordano non ha mai nascosto di ritenere «destabilizzante» per il governo.
Il presidente della Camera Fausto Bertinotti (assente, per ovvi motivi, al corteo, ma pubblicamente plaudente) è convinto che vi sia «ancora una diga» contro il pericolo che Prodi cada. Ma all'ex segretario di Rifondazione non sfugge comunque la difficoltà in cui si muove la maggioranza: «Certo — ripete spesso a collaboratori e compagni di partito — poi nessuno è in grado di dire come finirà. È come quando uno ha un vestito logoro: può lacerarsi all'improvviso ». E nessuno, a dire il vero, ha capito come andrà a finire, anche se tutti temono la settimana della Finanziaria. È chiaro che Rifondazione preferirebbe mantenere l'attuale assetto, ma comunque nemmeno il Prc è disposto a farsi crocifiggere sull'altare del prodismo. Per questa ragione mentre da una parte spera che il governo non cada, dall'altra Rifondazione si prepara comunque all'eventualità di una campagna elettorale, perché di altri governi che non siano di centrosinistra i vertici del partito non vogliono sentir parlare. Niente esecutivi tecnici o istituzionali, al massimo un esecutivo guidato da Piero Fassino e magari allargato all'Udc. Ma siccome queste sono solo ipotesi, il Prc studia le mosse della possibile campagna elettorale. Ed è questo il motivo del moltiplicarsi delle esternazioni di Bertinotti nell'ultimo periodo, come della decisione di accelerare sulla Cosa rossa. Mercoledì Giordano, Mussi, Diliberto e Pecoraro Scanio hanno in programma un incontro riservato per decidere le tappe: a dicembre gli stati generali, poi i gruppi parlamentari unici e la federazione.
In tutti i palazzi della politica, comunque, ci si interroga sul futuro. Il presidente del Senato Franco Marini non nasconde le sue preoccupazioni e spiega ai colleghi dell'Ulivo: «Sappiamo bene che se l'opposizione avesse voluto mandare sotto il governo in questi mesi avrebbe potuto farlo molto più spesso, quasi un giorno sì e uno no. Finora non lo ha fatto, perché Berlusconi non era pronto, ma ora? Perciò la maggioranza stia attenta a quel che fa sulla Finanziaria: il fatto che siano stati presentati tutti quegli emendamenti proprio dal centrosinistra mi è sembrato strano».
Sospetti, paure e interrogativi. Rifondazione punta gli occhi sul Pd. Su Veltroni che anche ieri non ha mancato di rimarcare le «differenze» con la sinistra. Ma poi è lo stesso sindaco di Roma a dire che bisogna «collaborare per non far cadere il Paese in una fase d'instabilità». Eppure gli uomini più vicini a Veltroni, nel chiuso delle riunioni, fanno altri ragionamenti. «Probabilmente a questo punto a Walter converrebbe andare direttamente alle elezioni. E non è detto che non ci si arrivi, visto che sia lui che Berlusconi le vogliono », è il ragionamento di Goffredo Bettini. «Mi sembra veramente complicato che si possa evitare il voto anticipato », è la riflessione del sindaco di Torino Sergio Chiamparino. E il senatore Giorgio Tonini è convinto che che se non si riescono a fare le riforme allora è meglio andare alle urne.
Chi sostiene ancora il premier e spera che possa andare avanti chiede però un cambiamento del governo, perché proseguire in queste condizioni diventa ogni giorno più difficile. Allora meglio un Prodi bis: è l'idea del leader dello Sdi Enrico Boselli.

il manifesto 21.10.07
Il messaggio che non si può cancellare
di Gabriele Polo


C'era bisogno di una scossa. E la scossa c'è stata. C'era bisogno di dire a tutti che le precarietà sono la malattia della nostra epoca, ma che le si possono combattere perché non sono un fenomeno naturale. Ed è stato detto da centinaia di migliaia di persone. C'era bisogno di ricordare al governo che la sua maggioranza è stata eletta per dare un segno di discontinuità rispetto all'era Berlusconi e che di questa discontinuità abbiamo visto poche e flebili tracce. Ed è stato ricordato dalle comuni parole di tante e tanti. C'era soprattutto bisogno di ritrovarsi insieme - anche per quelli che non c'erano - per poter riprendere un discorso comune, oltre le frammentazioni prodotte dalla violenza liberista e assecondato dalle «timidezze» della politica. Anche quella di sinistra. E, c'era bisogno che tre piccoli giornali, tra cui questo, insieme a un minuscolo gruppo di individui che nulla rappresentano se non le proprie idee, indicessero un grande momento di incontro, che altrimenti non ci sarebbe stato. Ennesima dimostrazione, quest'ultima, dello stato della rappresentanza, della necessità di ricostruirla su basi completamente nuove, ridando un senso e una pratica alla parola democrazia, vilipesa quand'è vuotamente inflazionata.
Le tantissime persone scese in piazza ieri a Roma - molte delle quali si sono sobbarcate un faticoso viaggio - non avevano alcun interesse egoisticamente materiale da rivendicare, ma mille concreti bisogni da praticare. Bisogna ringraziarle e rispettarle per questo, perché lanciano una richiesta di partecipazione che l'attuale sinistra non potrà eludere, pena la sua scomparsa. Non è un confuso insieme di proteste o domande corporative, è la rivelazione di condizioni materiali ed esistenziali che si possono precisamente elencare componendo la realtà concreta della parte più bistrattata e rimossa del paese. Non è una generica richiesta di «unità» delegata a ristretti gruppi dirigenti, è la promessa di un impegno diretto che ha bisogno di luoghi e modalità precise di partecipazione.
Se volessimo sintetizzare tutto questo con uno schema oggi in voga, potremmo dire che le nostre primarie le abbiamo iniziate ieri in piazza san Giovanni. Non per innalzare agli altari un leader - cosa che non vorremmo mai veder fare a sinistra - ma per abbattere gli steccati della frammentazione sociale e quelli ancor più ristretti delle appartenenze politiche. Un impegno consapevole - persino un po' preoccupato, per la gravità dei tempi in cui cade - che solo dei gattini ciechi potevano non vedere nella folla di ieri, piena di giovani. Certo, poi c'è il quadro politico, le fragilità di un governo in agonia, l'incubo della destra incombente. Ma - permetteteci di bestemmiare - tutto questo non può immobilizzare, altrimenti la destra tornerà al potere senza che a sinistra ci sia più niente.
Nel quadro grigio di questi mesi, l'unico segnale di ottimismo è venuto ieri da una piazza. Sappiamo che non si può manifestare ogni giorno, ma da ieri sappiamo anche che lo spirito e la pratica del 20 ottobre dovranno essere quelle di ogni nostro futuro giorno.

il manifesto 21.10.07
Un fiume in piena in cerca di sinistra
di Loris Campetti


Un'unità tra diversi. In piazza tutte le precarietà e i primi fragili spezzoni di un programma
da scrivere in fretta. Un milione di persone che non si accontenta di delegare la politica ai leader Mi si nota di più se ci sono
o se non ci sono? Noi non siamo bamboccioni. Abbiamo chiesto un segnale, è arrivato

Roma La sinistra c'è ancora. Ne ha prese tante negli ultimi mesi ma resiste e ieri ha messo le basi per iniziare una nuova storia. La sinistra sociale, innanzitutto, che non ha chiuso bottega dopo esser riuscita a mandare a casa Berlusconi, ha risposto in massa all'appello a battere un colpo lanciato dal manifesto, Liberazione e Carta insieme a un drappello di promotori. Battere un colpo che tutto il paese potesse ascoltare, a partire dalle forze che governano il paese in un modo che proprio non convince. Tutti hanno paura del ritorno di Berlusconi, ma hanno anche paura che Berlusconi non sia mai tornato a casa del tutto.
Battere un colpo contro la precarietà del lavoro, dei diritti, della vita stessa di milioni di persone a cui è stato ipotecato il futuro da una cultura dominante che mette il Pil sopra ogni cosa, sopra gli uomini e le donne. Il mercato che regola tutto non riesce a regolare il cervello di quelle centinaia di migliaia di manifestanti (un milione per gli organizzatori) che ieri hanno invaso Roma. Tutta gente che sul Pantheon non mette le solite figurine (a parte quelle del manifesto che sono andate a ruba) ma contenuti «pesanti». Tanto per intenderci, pensano che la solidarietà sia un valore e invece la competizione selvaggia no. Hanno una pretesa: la nuova sinistra che nascerà non dovrà parlare a nome loro, sono loro gli embrioni, i soggetti portanti di questa nuova sinistra, gente stufa di delegare a qualcuno la soluzione dei suoi problemi. Lo pensano con determinazione e lo dicono con ironia come il gruppo dietro lo striscione dei giovani di Sinistra democratica che s'interroga: «Mi si nota di più se ci sono o se non ci sono?».
A Roma sono arrivati con ogni mezzo: pullman, treni, una nave, tante macchine private. Pochi sono arrivati in aereo, il reddito medio in piazza San Giovanni abbassa il Pil medio nazionale. Essere precari vuol dire avere meno di mille euro al mese, come ripetono le lavoratrici precarie della Vodafone in via di terziarizzazione, ognuna con il cartello al collo «vendesi». Altri hanno scritto sulla maglietta «Io metalmeccanico, e tu?». I tanti tu che poi diventeranno un noi composito, colorato e unito, dicono di sé «vigili del fuoco», «ferrovieri» che trascinano una locomotiva di cartone e uno striscione che recita «No precari sui binari». Sono i contadini di «Altragricoltura», sono i «Mobasta precari» del «Movimento di base assistenti di volo stagionali Alitalia» che ritmano «noi non siamo bamboccioni». Sono «Disoccupati» di Scampia più rumorosi delle bande che accompagnano il corteo. Anzi, i cortei: uno ufficiale al centro, tappezzato da una marea di bandiera rosse di Rifondazione innanzitutto, ma anche del Pdci, della Fiom, della Cgil, del Sindacato dei Lavoratori, persino dei «Radicali di sinistra». Ma anche No-Tav, No Dal Molin, Glbt. Bandiere arcobaleno, non moltissime ma ci sono. E che dire degli occupanti di case o dei senza casa? E dei contadini e pastori sardi che occupano il municipio di Decimoputzu perché gli hanno messo in vendita le aziende, colpevoli di non riuscire a pagare un mutuo decuplicato? Loro scrivono in un cartellone «Banchieri usurai». Tanti i sardi, delle aziende in crisi di Macomer, Ottana, Siniscola. E i siciliani, tantissimi come i calabresi. Il sud impazza e riempie di suoni il corteo disordinato.
Poi ci sono gli altri due cortei che procedono in altrettanti percorsi spontaneamente anarchici al lato, davanti, dietro o nella strada accanto al corteo ufficiale con in testa i promotori e la coda chissà dov'era rimasta. E' il popolo di sinistra, la sinistra sociale senza bandiere regolari e con tanti cartelli irregolari e autoprodotti come usa adesso. Seri come quello che dice «Siamo tutti rom» indossato da una ragazza, a cui un ironico e dispettoso metalmeccanico di Bergamo, tentando un romanesco improbabile, risponde «Ce sarai». La ragazza sta per dargli uno schiaffo, poi capisce lo scherzo e l'abbraccia. Alcuni cartelloni sono meno seri, come quello che alza una giovane precaria: «Buon lavoro Veltrusconi». E gli studenti? Tanti, allegri e «incazzati», i più numerosi sono i fiorentini. Migranti, poi. Gli immarcescibili kurdi fuggiti dalla Turchia per disperazione, africani operai, precari, disoccupati; asiatici, est-europei (un bel cartello alzato da un polacco «Siamo tutti lavavetri»). Migranti che di strada per arrivare qui da noi in cerca di un futuro ne hanno fatta tanta, certo più degli «Interisti leninisti» arrivati da Ravenna.
«Siamo tutti un programma» ma guai a dimenticare le donne «Fuori programma». O le donne in nero che hanno un chiodo fisso: «Fuori la guerra dalla storia». C'è chi scambia figurine dell'Album di famiglia del manifesto persino sul palco, come Giuliano (Giuliani): «Idea geniale, mi ritrovo a settant'anni ad appiccicare, me ne mancano dieci. Ma voi come al solito non siete dotati come commercianti, ho pochissimi doppioni, dovete farvi furbi». C'è chi porta in corteo piantine di marjuana e chi tra tanti no dice anche un «Sì alle energie rinnovabili», lo stesso pensano quelli con le pettorine «No al carbone». Altri pensano invece ai «diritti animali». Non basterebbe l'intero giornale per citare tutti, non ce ne voglia chi è rimasto fuori, ci terremo in contatto.
I giovani, dicevamo. E i meno giovani, a partire da un grande padre riconosciuto da tutta la piazza come Pietro Ingrao che regala parole di speranza al «popolo di pace», e non demorde: «La lotta continua». I tanti striscioni che chiedono «Sinistra unita» impongono un salto di qualità. Come dice Marco Revelli, «la quantità enorme di persone in piazza dimostra che si è capita la posta in gioco: era in gioco l'esistenza di una sinistra in Italia. Perché una sinistra serve, diversa da quella che c'è stata finora. Che nulla ha a che fare con la logica del marketing politico dei giorni scorsi». E adesso che facciamo? «Noi che abbiamo promosso questa manifestazione, che abbiamo chiesto di battere un colpo e il colpo è stato battuto, abbiamo una responsabilità enorme», ammette Revelli.
Insomma, dopo il 20 ottobre viene il 21, non possiamo defilarci. Teniamoci in contatto.

il manifesto 21.10.07
«La Cgil siamo noi» Sfida al sindacato
Migliaia di bandiere, striscioni e pettorine svuotano il «divieto» proclamato dal dipartimento organizzazione.
di Francesco Piccioni


Si fanno vedere le aree Lavoro Società
e Rete 28 Aprile. In piazza anche tanta Fiom. E la disobbedienza vince

Roma. Chi non è venuto ha perso un treno. Ma ha tempo (poco) per recuperare. Chi si è messo contro, invece, ha probabilmente perso il polso del paese, di questa gente che lavora ogni giorno o ha lavorato una vita.
Il «divieto» fatto circolare dal Dipartimento organizzazione della Cgil non ha avuto alcun effetto. Centinaia di bandiere del sindacato storico della sinistra spuntavano a ogni angolo del corteo. L'area programmatica Lavoro Società ha scelto di farsi vedere davvero, mettendo in campo un camion, qualche migliaio di pettorine gialle «contro il lavoro nero e precario» e l'orgoglio di una componente rilevante della stessa maggioranza che regge la confederazione. Ma non sembra che l'ala «democratica» della segreteria sia stata resa più ragionevole dalla forza dei numeri. La segretaria confederale Carla Cantone ha parlato poi di «sfida alle regole», minacciando che «anche di questo si discuterà al direttivo che comincia lunedì».
Le persone che fanno vivere il sindacato e che ieri erano in piazza sono decisamente più mature, attente al merito e non sopportano diktat. Abbiamo avvicinato un ragazzo che reggeva la bandiera con la scritta «Cgil Campania», 25 anni, operaio alla Fiat di Pomigliano d'Arco. Alla domanda finto-scherzosa sul «divieto» ha risposto con la serietà di un veterano: «Io mi alzo ogni mattina alle tre per andare a lavorare. Sono io la Cgil. Credo che Epifani abbia preso un abbaglio; e che stiamo, anche con questa manifestazione, salvando la Cgil da una deriva pericolosa».
Pomigliano è una fabbrica «giovane», età media 28 anni. Qui il «no» alla consultazione ha preso il 90%. «Sì, siamo quasi tutti giovani, ma uno su due è precario e si lotta per la sopravvivenza». Che poi vuol dire una cosa semplice: «Chi ha un contratto fisso sa che chi gli sta a fianco probabilmente non ci sarà tra tre mesi; e quindi non gli può chiedere che faccia la tua stessa quantità di lavoro. E quindi noi 'garantiti' lavoriamo di più, ma loro non sanno mai se il contratto a tempo gli sarà rinnovato oppure no».
I ferrovieri hanno molta esperienza e hanno portato una piccola locomotiva finta che manda un fumo infernale, davanti allo striscione «No precari sui binari». Sembra assurdo, ma ci sono «apprendisti» che portano il treno da soli, senza neppure un macchinista esperto al loro fianco. Il guadagno per le Fs è tutto economico: «Un apprendista costa il 30% in meno di salario e il 90% in meno di contributi». Sulla situazione politica hanno le idee chiare: «Tutte le mediazioni politiche su lavoro e welfare erano state fatte con il programma dell'Unione, quello era il punto di equilibrio per tutti; non se ne possono fare altre, cedere ancora».
Un gruppetto di giovani operai della Watsila di Trieste la vedono «male, malissimo. Ormai ci sentiamo anche un po' presi per il culo dalla nostra stessa confederazione». Al centro della critica sta il protocollo sul welfare, venduto come «un passo avanti per i giovani». Ma a loro non risulta proprio. Anzi, vi vedono «un attacco alla contrattazione nazionale, oltre che il solito gioco di tentare di mettere giovani contro vecchi». Sentono di «lavorare per sopravvivere» e pensano che la prima difesa sia «aumentare il potere d'acquisto, i salari».
Due ragazze di Lecce con la pettorina gialla sono invece studentesse a Roma. «Non ci sta bene niente, l'università ha pochi soldi per le borse di studio e noi finiamo dentro il lavoro nero; facciamo le cameriere nei pub e nei ristoranti, dove capita». Qualche striscione anche per la Rete28Aprile, l'area programmatica di Giorgio Cremaschi. Qui stiamo tra quadri sindacali esperti, ancora con lo sguardo sui risultati del «referendum» e sui conti che a loro non tornano. Ma che ricordano «il voto delle grandi fabbriche del nord», che è «la base per costruire una svolta sindacale, ma anche politica a sinistra».
Si galleggia avanti e indietro in un corteo «indisciplinato», con la gente che sorpassa la «testa» aggirandola dai marciapiedi o tagliando direttamente per vie traverse. Gianni Rinaldini, segretario generale della «ribelle» Fiom, sorride e non vuole aggiungere nulla a quello che si vede e sente. «Stai a sentire chi lavora, oggi, mi sembra abbiano molto da dire».
Un ragazzo con la bandiera della Filcams Cgil se ne va in cerca dei suoi. «Siamo venuti da Trento in duecento. Mi pare che ci sia un risveglio di coscienza, che è più importante del motivo per cui ci siamo mossi. Stiamo smettendo di pensare che qualcuno ci regali qualcosa; bisogna smettere di piangersi addosso, perché nessuno ti aiuta. Se hai qualcosa da pretendere, ti devi muovere in prima persona».
La bandiera Cgil Como attira lo sguardo. «Non sopportiamo padroni in ditta, figuriamoci nel sindacato. E poi Epifani non è il padrone della Cgil. Sono 37 anni che faccio il sindacato, l'abbiamo fatto diventare grande noi. E nessuno ci aveva mai chiesto di non portare le nostre bandiere con noi». E insieme agli altri ci tiene a far sapere che sono la rsu dell'Spt (i trasporti pubblici). Poco più indietro sventolano le scritte «funzione pubblica», con quadri che ironizzano sull'«esercizio provvisorio» (se il governo va in crisi) come un modo «di non darci nemmeno quei 101 euro del contratto». Non manca la scuola, e un docente che ci chiede quanti siamo. «Trecentomila, secondo la questura», rispondo. Sorride. «Secondo la regola aurea fissata per lo sbarco dei 1.000 a Marsala - quando la questura di Roma stabilì che erano solo 330 - possiamo anche dire di essere un milione». Ah, la storia... Se non la sai, ti sembra sempre tutto «nuovo».
Un delegato di Melfi sta seduto sotto il palco. Ragiona con pacatezza, senza slogan. Ma «quando fai una riforma sociale così importante (il protocollo, ndr) bisogna tener conto del parere dei lavoratori; e quelli che producono la ricchezza hanno detto chiaramente come la pensano». A Melfi il «no» ha avuto l'80%, anche se la Fiom ha solo il 20. E poi «è riduttivo parlare di 'aumento della vita media'; per chi sta alla catena non è aumentata per niente». E basta accontentare le imprese, che «vogliono sempre più produttività, aumentando i ritmi». A Melfi «su 5.000 lavoratori ancora giovani, sono più di 1.000 quelli che hanno riportato fin qui limitazioni fisiche». Grazie al Tmc2, il sistema messo sotto inchiesta da Guariniello («in quel processo la Fiat è andata al patteggiamento, che è un'ammissione di colpevolezza»).
Ed è lui a tracciare un po' il quadro di come vengono viste le «alte sfere» della politica (sindacato compreso) dai lavoratori ieri in piazza. «La Cgil sta cercando di sostenere il governo fin quasi all'estremo. Ma anche se si arrivasse a fine mandato - Mastella permettendo - i lavoratori non voterebbero più quei partiti; e noi resteremmo anche senza quella forza di avanzamento, il sindacato, che ci ha permesso di fare la storia di questo paese». Dopo il corteo di ieri, però, c'è forse qualche margine di risposta in più.

il manifesto 21.10.07
Giurano: da domani uniti
di Daniela Preziosi


Niente ministri, ma tanti politici in piazza. Giordano: Prodi ascolti il popolo. Il professore: vi ho sempre ascoltato.
Veltroni ammette: siamo diversi, ma dobbiamo collaborare

Roma Alle due e mezza, a via Cavour lo striscione d'apertura «Siamo tutti un programma» straborda gente. Si tira, sta per esplodere. L'organizzazione non riesce a fare il cordone. «Ma che cazz, compagni, ma non si parte?». Stazione Termini, e dietro piazza della Repubblica, e dietro via Nazionale, e dietro ancora, tutto spinge verso la testa del corteo. Ma non si parte, si aspetta. Si aspetta Pietro Ingrao. Il padre nobile della sinistra entra nel corteo a piccoli passi, scortato dai rifondatori Rina Gagliardi, Franco Russo e Ciccio Ferrara. Le telecamere dirottano su di lui, i compagni gli si stringono intorno tendendo le mani. Ma non va bene, troppa ressa, pochi metri più avanti uscirà dal corteo per raggiungere il palco di Piazza San Giovanni, questa volta accompagnato da Gabriele Polo, Gigi Sullo e Piero Sansonetti, i direttori dei tre giornali che hanno promosso la manifestazione. Da lì - ma ormai sono le cinque e mezza, la coda del corteo è appena partita da piazza della Repubblica - l'anziano leader, commosso e commovente, dirà poche parole di saluto: la giornata è «una speranza per i lavoratori italiani». E: «auguri a voi, ai lavoratori e agli uomini di pace. La lotta continua». La piazza esplode in un applauso di gratitudine.
E' Ingrao quello che le telecamere cercano di più. Poi anche Nichi Vendola, il presidente della Puglia che si è lanciato nella riffa delle primarie della «cosa rossa» e che ora fa due passi indietro «Io leader? è l'ultima delle questioni». Tutti gli chiedono, molti lo cercano, gli dicono avanti, ma è gente comune, non sono dirigenti del suo partito, che - parola del segretario Franco Giordano - non hanno ancora discusso di leader.
Nella manifestazione i politici ci sono, ci sono gli stati maggiori - anche quelli minori - di Rifondazione e Pdci. Ci sono i cinque parlamentari della Sinistra democratica che hanno deciso di essere in piazza (Alba Sasso, Massimo Brutti, Giorgio Mele, Piero Di Siena e Silvana Pisa) insieme a tanti delle federazioni locali di Sd. Per richiesta dei promotori non ci sono i ministri della sinistra, però ci sono i sottosegretari e i viceministri del Prc. Ma tutti se ne stanno tranquilli fra gli striscioni, camminano per lo più sciolti, in un corteo in cui non sono loro i protagonisti. Protagonista è il popolo della sinistra che ha avuto uno scatto d'orgoglio e ha invaso le strade di Roma, le bandiere sono tante, ma in realtà è una sola moltitudine poco intruppata che butta là qualche slogan, ma in fondo la pensa come dice il cartello della piccola rifondarola napoletana: «E' un governo di merda, ma è il mio governo».Pietro Folena, ex Ds ora Prc, si fa il corteo in bicicletta. Antonello Falomi, stessa provenienza stesso approdo, se ne va in giro con una telecamerina. Vladimir Luxuria passeggia solitaria, Franca Rame si sistema dietro lo striscione d'apertura. Claudio Fava, Giulietto Chiesa, Roberto Musacchio portano lo striscione degli europarlamentari. Elettra Deiana, dallo spezzone delle donne «fuori programma», spiega che la sinistra deve sperimentare forme nuove della politica. Interrogati e interrogate, tutti dicono una sola cosa: da domani si fa l'unità a sinistra. Aldo Tortorella, altro leader storico della sinistra, uno dei firmatari dell'appello che ha lanciato il corteo, è visibilmente soddisfatto: «Questa deve essere la prima manifestazione di una sinistra rinnovata», dice, «ora bisogna convocare subito gli stati generali e la costituente, per cominciare a unire quello che c'è. Da questa piazza possiamo vedere che sono già molte le cose che ci uniscono. Ma ora dobbiamo lavorare sui principi, le idealità».
Ora tocca ai segretari di partito darsi una mossa. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, lo sa. «Questa manifestazione può essere la premessa per costruire una cosa più grande», dice. Quanto al governo, non ha da temere da questa piazza: «Sono comunista ma non sono scemo, non faccio una manifestazione contro me stesso». Ora la sinistra sarà più forte in parlamento e chiederà al governo di rispettare il programma. «Su un punto in particolare: la lotta alla precarietà».
Ma è Giordano a prendersi la responsabilità di indicare delle scadenze: «Posso garantire che Rifondazione darà vita entro l'anno a una costituente per un soggetto unitario. Queste intanto», scherza, «sono le nostre primarie». Poi il governo: «Chiediamo ora a Prodi di ascoltare le richieste di questo popolo. Questa manifestazione è contro la precarietà, Romano Prodi ascolti questa voce». Prodi gli risponderà da Reggio Emilia. «L'ho sempre ascoltato». E' un sostegno da sinistra, quello che gli offre questa piazza. Prodi lo capisce al punto da avere finalmente la voglia di smentire le frasi catastrofiche che da due giorni gli vengono attribuite circa l'imminente caduta del suo governo. E così anche Walter Veltroni prende finalmente atto che questa manifestazione è «un importante fatto democratico». Con cui fare i conti: «Le distinzioni che esistono, e che è giusto non nascondere, non impediranno di rafforzare la collaborazione tra tutte le forze della maggioranza e la stessa azione di governo anche per evitare di far cadere il paese in una fase di instabilità». Da domani, quindi, c'è un governo più stabile? Di sicuro da domani c'è tutta una sinistra da unire. Presenti e assenti. Perché anche Fabio Mussi e Alfonso Pecoraro Scanio sentono la voce di questa piazza. Anche se non ci sono, e sono rappresentati da qualche rispettivo coraggioso. Ma prendono atto di una manifestazione, dice Mussi, «grande, bella e fortemente partecipata». Ora, conclude, «sentiamo la responsabilità di contribuire a raccogliere questa voce».

il manifesto 21.10.07
Modello Walter
di Alessandro Robecchi


Facciamo un'Italia nuova. Come dice VW. Giusto, ma come? Mi permetto di avanzare qualche modello di riferimento a cui ispirarsi.
Modello Yupik - Con un paio di decreti legge ben assestati, il governo di centro sinistra introduce le regole valide per la pesca alla foca nell'Alaska centrale: ogni pescatore avrà contratti di tre mesi rinnovabili all'infinito finché è in grado di pescare. Il lavoratori non più produttivi vengono triturati e usati come mangime per i salmoni. Secondo gli economisti liberisti di sinistra, il modello è praticabile pur con qualche correzione.
Modello Vaticano - Questa piccola nazione ha risolto brillantemente i suoi problemi di welfare: i dipendenti glieli paga un altro stato e ha fortissimi sconti sulle tasse. Un modello entusiasmante secondo molti osservatori, secondo cui questo modello sociale non è "né di destra né di sinistra", ma maledettamente astuto.
Modello Naniki - Questa piccola popolazione di agricoltori del Borneo ha risolto per sempre il passaggio dal lavoro precario al lavoro stabile. Il lavoratore precario diventa lavoratore a tempo indeterminato con una toccante cerimonia durante la quale gli vengono strappati i due alluci.
Secondo le confederazioni sindacali, il modello Naniki non è così negativo, e propongono di aprire un tavolo per trattare sulla base di un alluce e mezzo.
Modello Danese - Nel giro di cinque anni diventiamo tutti biondi e siamo tutti licenziabili in ogni momento. In cambio, paghiamo tasse altissime e abbiamo un vero welfare che ci protegge. Confindustria e sinistra riformista sono perfettamente d'accordo solo sulla prima parte.
Modello Lanao - Nelle località agricole interne alla provincia di Lanao, nelle Filippine, si sono usati per anni immigrati a basso costo e schiavi per abbassare il potere contrattuale dei lavoratori locali. E' un buon modello, dicono gli economisti liberisti, ma non è nuovo, lo usiamo pure qui da almeno un decennio.

Liberazione 21.10.07
La presenza al corteo del leader storico
Pietro Ingrao: «La lotta continua»
di Rina Gagliardi


Stare insieme a Pietro Ingrao, in una manifestazione epocale come quella che ieri ha invaso Roma, è un'emozione continua. Il leader storico della sinistra - 93 anni il prossimo marzo - ha voluto a tutti i costi - "spasmodicamente", come raccontava sua sorella Giulia - partecipare al corteo. E il corteo lo ha ripagato con una manifestazione di affetto, di calore, di rispetto, di autentica gratitudine, che è davvero difficile da raccontare. Quel grido ritmato dalla folla come uno slogan, «Pie-tro! Pie-tro!», quelle cento mani che si levano per toccarlo o sfiorargli un lembo del giaccone, quelle mille bocche gli gridano «Grazie», e ripetono «Grazie per tutto quello che hai fatto per noi», raccontano di un'epopea popolare capace di riconoscersi, e di esaltarsi, nel suo simbolo vivente più forte. Non è solo l'omaggio ad un grande dirigente del movimento operaio, con quasi settant'anni di storia alle spalle, e nemmeno l'ennesimo tributo al "leaderismo" così imperante. E' un'altra cosa. E' lo scatto di quella famosa "connessione sentimentale" tra un capo e il suo popolo, senza il quale la politica si inaridisce, si rinsecchisce, si disumanizza. E' la "assicurazione", sì, che siamo dalla parte giusta e che ce la possiamo fare.
All'inizio, quando arriva a piazza Santa Maria Maggiore e incomincia a muoversi tra la folla, con passo lento e anche un po' incerto, Ingrao corre quasi il rischio di rimanere soffocato - è un assalto, anche di giornalisti e cronisti. Lui si accorge al primo sguardo che questo è un corteo eccezionale, per dimensioni, entusiasmo, passione - e sorride, con quel suo sorriso speciale da ragazzo. E non si sottrae né ai saluti né ai commenti - «Perché è qui?» «Per la pace, per i diritti di chi lavora, per i giovani. Per le ragioni della sinistra». «Ma non teme che il governo Prodi si indebolisca, dopo una giornata così?» «Ma no, questa non è una manifestazione contro il governo. Prodi e Veltroni io li rispetto, anche se sono diversi da me - sono un po' moderati. Io spero, invece, che il governo ascolti questa piazza, questa grande massa di persone che chiede, in fondo, solo di andare avanti».
Con lucidità e freschezza, il vecchio leader risponde a tutti, Tv, Tg, Agenzie, Radio, giornali - ogni tanto sussurra «quanti siamo?» e abbraccia qualche vecchio militante, qualche amico, che è venuto a trovarlo nella caffetteria di via Cavour in cui ci siamo, temporaneamente, rifugiati. Quando ne usciamo, tra corridoi umani che si aprono e richiudono con molta fatica, è una sequenza interminabile di battimani - intanto, sulla soglia del bar, si è fatto largo un giovane operaio, che ha per mano il figlio piccolo, che piange a dirotto per la commozione, ma "doveva", a tutti i costi, dire a Pietro che lo ringrazia per il senso che ha dato alla sua vita e alle sue speranze. «Vedi, Pietro, quanto ti vogliono bene?» Pietro, gli occhi lucidi ce li ha anche lui, e come. Ma già sta "ruminando" nella sua testa gli effetti di questa incredibile giornata - le lezioni da trarne, le cose da fare.
Arriviamo a piazza San Giovanni in anticipo, per prendere un po' di fiato (e un po' di ristoro) in uno dei tendoni bianchi dietro il palco. Man mano, mentre comincia a soffiare la tramontana e Giulia estrae sciarpa e basco dalla sua borsa, quasi come conigli da un cilindro, arrivano un po' tutti a salutare Pietro - Giuliana Sgrena, Gianni Rinaldini, Gigi Sullo, poi Piero Sansonetti e Gabriele Polo, militanti gloriosi del Prc come Luciano Iacovino, col suo impermeabile bianco, compagni del Manifesto e di Liberazione . E il nostro leggendario Francesco Ferrara, per tutti Ciccio. Dal palco, da grande oratore consumato qual è, Pietro lancia, anzi rilancia una sola e ben nota parola d'ordine: «La lotta continua!». Un altro momento speciale, un altro batticuore collettivo, anzi corale.
Torniamo a casa, Pietro, ora, è un po' stanco. Ma non smette di "ruminare". Gli chiedo che cosa lo ha colpito di più nella manifestazione - «le donne», mi risponde a sorpresa «c'era una straordinaria e diffusa partecipazione delle donne». E poi lo ha reso particolarmente felice la collaborazione che, per tutta la fase preparatoria, si è tenuta tra Liberazione e Manifesto , due giornali a lui molto cari e in genere così poco comunicanti - «non sarebbe l'ora» bofonchia ad una curva «di fare un passo in avanti anche qui, su un terreno così decisivo come l'informazione?». Il tema vero, per Pietro, è in realtà proprio la prospettiva. «E ora?» «Come facciamo ad andare avanti e a non deludere queste centinaia di miglia di persone, di compagni, di lavoratori? Come evitiamo che se ne smarrisca l'effetto magico? Come utilizziamo, a sinistra, questa giornata?». Mentre scende dalla macchina per salire in casa, Pietro parla quasi a se stesso - e nel salutarmi quasi si raccomanda di non perdere di vista questo suo assillo, questo suo "E' ora?". Che ci volete fare. Il vizio del pensiero, del pensiero politico in grande, non lo abbandona in nessun istante. Insieme all'amore - al calore - per l'umanità che ti trasmette, in un'epoca in cui la politica è diventata quasi tutta cinica e cattiva. Non sarà per questo che la gente lo ama?

Liberazione 21.10.07
Le anime della sinistra
di Piero Sansonetti


Il popolo della sinistra c'è, è grande, è molto più intelligente di tutti quelli che lo criticano e lo disprezzano. Ci avevano detto: ma come fate a fare una manifestazione che non è a favore del governo e non è contro il governo? Ci avevano detto: siete dei burocrati visionari, la manifestazione è impossibile. Invece noi eravamo un milione e la manifestazione è stata non solo possibile, ma è stata una delle più grandi manifestazioni di piazza degli ultimi anni. Perché? Perché i nostri critici non avevano capito che esiste un popolo della sinistra, che pensa, che vuole fare politica, che non ci sta a farsi chiudere in una logica da plebiscito, o da sondaggio: sei per Prodi o contro? Vuoi Veltroni o Letta? E' un popolo molto complesso, largo, con sensibilità e idee diverse, operaio, intellettuale e femminista, pacifista e ambientalista, gay e antimafioso e tante altre cose ancora. Cosa lo unifica? La critica al potere, la critica a una società tutta costruita sulle gerarchie: il comando del mercato, dell'impresa, il comando del maschio, il comando del "bianco ariano".
Ieri questa sinistra ha saputo unirsi perché ha capito che se tutte le sue anime restano divise, se non si alleano, se non si mischiano, allora vincono i moderati, allora Berlusconi ha buon gioco, allora tutto si trasforma in un apparato di potere e sparisce la speranza della trasformazione.
La politica italiana non potrà non tenere conto di questa grandiosa giornata di piazza, di massa. Una cosa, da oggi, è chiarissima: la sinistra non è una forza "complementare", che si aggiunge alle forze centriste per svolgere un ruolo di sostegno, subalterno, nella battaglia contro Berlusconi. La sinistra non è un battaglione in più, chiamato a sostenere un pezzo di borghesia che fa la lotta contro la borghesia berlusconiana. La sinistra, invece, è fortemente, chiaramente e assolutamente autonoma. E rappresenta in questo paese il punto di vista di chi crede che la battaglia politica sia da combattere sul terreno della precarietà e dei diritti di tutti.
Adesso il governo Prodi deve scegliere. Vuole preoccuparsi di Dini o di noi? Se sceglie noi può vincere, altrimenti è perduto.
E anche noi dobbiamo scegliere. Questo popolo chiede alla sinistra politica tre cose: radicalità, cioè rigore sulle scelte. Novità, cioè capacità di misurarsi con schemi nuovi, nuove culture, nuovi problemi. E unità, cioè superamento di divisioni vecchie e sciocche. Non deludiamolo questo popolo. Non deludiamo piazza San Giovanni.

sabato 20 ottobre 2007

l’Unità 20.10.07
Mezza Cosa rossa in piazza, senza ministri
Alla manifestazione Rifondazione e Pdci. E Liberazione dice: ci giochiamo tutto
di Simone Collini


AVANTI POP, per dirla col titolo dell’esibizione che faranno i Têtes de Bois. Centinaia di pullman, una decina di treni speciali e una nave dalla Sardegna, accolta all’alba a Civitavecchia da Franco Giordano. Rifondazione comunista e Pdci sono convinti che oggi piazza San Giovanni sarà riempita. «Ci giochiamo tutto», si leggeva ieri sulla prima pagina di “Liberazione”, che insieme a “manifesto” e “Carta” ha lanciato la proposta della manifestazione. E i comunisti al governo un fallimento non se lo possono permettere, soprattutto all’apertura di un autunno che si preannuncia decisamente caldo. Benché arrivi alla prova della piazza dimezzata (Sinistra democratica e Verdi non parteciperanno al corteo) la sinistra radicale vuol far sentire tutto il suo peso all’interno dell’Unione (e però l’esito di questa giornata non sarà irrilevante nella partita, tutta interna alla “Cosa rossa”, con Fabio Mussi e Alfonso Pecoraro Scanio). «La manifestazione ha lo scopo di produrre un’accelerazione sul programma di governo», spiega il capogruppo del Prc alla Camera Gennaro Migliore. «Più saremo e più faremo valere le nostre richieste, che il governo non potrà ignorare», è il messaggio lanciato dal presidente dei deputati Pdci Pino Sgobio.
Gli organizzatori ribadiscono che non si tratta di un appuntamento contro l’esecutivo, ma il rischio che dal corteo si alzino slogan non proprio teneri nei confronti di Prodi è alto. Anche perché il giorno della vigilia c’è chi lo annuncia apertamente, come fa Francesco Caruso, che annuncia un pezzo di corteo con «uno striscione d’apertura molto chiaro: “Contro il governo della precarietà, casa e reddito per tutti”». Ma non è solo l’indipendente Prc a lanciare un messaggio all’esecutivo. Se Prodi incontrando i promotori della manifestazione aveva detto che c’è un complotto in corso e che quindi bisogna stare attenti a come ci si muove, il responsabile lavoro di Rifondazione Maurizio Zipponi fa capire che la minaccia della crisi da sola non basta per impedire alla sinistra dell’Unione per dare battaglia su welfare e Finanziaria: «Con questa manifestazione parte una nuova fase, una piattaforma sociale che vale sia al governo, sia all’opposizione».
Fausto Bertinotti osserva la situazione dall’osservatorio di presidente della Camera e richiama alla prudenza su un unico punto, giudicando inopportuna la presenza dei ministri in piazza, perché «sarebbe una sgrammaticatura» e perché ognuno deve fare «il suo mestiere». Però si dice convinto che il governo «dovrebbe essere interessato ad avere un interlocutore critico che si proponga di scuotere un contesto sociale dominato dai poteri forti», perché in questo modo «può intercettare i consensi che derivano da un’azione del genere».
Ministri in piazza comunque non ci saranno. Il comitato promotore lo ha chiesto esplicitamente: «Per mettere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica il merito dei problemi che noi solleviamo e non gli instabili equilibri politici, chiediamo ai ministri di non partecipare per lasciare visibilità e protagonismo alle migliaia di persone che riempiranno le strade di Roma». Ma all’unico ministro che avrebbe potuto partecipare al corteo, Paolo Ferrero, già non sfuggiva che una sua presenza sarebbe stata controproducente. Non a caso il ministro della Solidarietà sociale ha fatto sapere anzitempo che non sarà nel corteo: «Non voglio contribuire a oscurare l’evento con la mia presenza». Ci saranno invece Pietro Ingrao e Nichi Vendola, dato in pole position come futuro leader della sinistra unificata, per il quale la manifestazione sarà «il vero antidoto all’antipolitica, alla crescita della sfiducia e alla separatezza feroce tra il palazzo e la cosiddetta gente».
Ma c’è un altro rischio, per una manifestazione che è «contro tutte le precarietà», è cioè che spuntino slogan contro l’accordo sul welfare siglato a luglio da governo e sindacati. Guglielmo Epifani, che nei giorni scorsi aveva espresso perplessità su un’iniziativa come questa all’indomani del referendum tra lavoratori e pensionati, ieri ha incontrato alcuni esponenti del comitato promotore. Il segretario della Cgil, al quale è stato assicurato che il corteo non sarà contro il sindacato, ha augurato una buona riuscita della manifestazione ma è anche tornato a spiegare che bandiere della Cgil non possono essere esposte a iniziative a cui si è deciso di non aderire e ha inoltre difeso il protocollo sul welfare perché, ha spiegato, introduce elementi innovativi e migliorativi sia sul sistema pensionistico che sul mercato del lavoro.

Repubblica 20.10.07
Welfare, la sinistra in piazza "E i ministri oggi stiano a casa"
I promotori: corteo di "invisibili" per incalzare Prodi
Giordano all'alba accoglie i manifestanti in arrivo con le navi dalla Sardegna
di Alberto Custodero


ROMA - Nessun ministro, oggi, alla manifestazione contro la precarietà e per i diritti civili: Paolo Ferrero, Prc, e Alessandro Bianchi, Pdci, hanno confermato che non ci saranno accogliendo un appello degli stessi organizzatori («stiano a casa, lascino spazio a chi protesta»). La loro assenza è anche per evitare polemiche con il governo. I segretari di Rifondazione e dei Comunisti italiani invece ci saranno, ma non avranno la parola, neppure per un breve saluto dal palco di piazza San Giovanni. I promotori vogliono dare voce agli «invisibili». E cioè quelli «per conto dei quali tutti parlano, ma che mai hanno occasione di farsi sentire, come precari, rom, migranti, sfrattati, gay e studenti». Franco Giordano (e forse anche Oliviero Diliberto), sarà presente, stamattina alle 7, a Civitavecchia, all´arrivo di una nave carica di manifestanti dalla Sardegna. Ad accogliere questi ultimi anche i comitati No Coke che si battono contro il progetto di conversione a carbone della centrale Torre Valdaliga. Oltre alla nave dalla Sardegna, confluiranno a Roma 11 treni speciali, e 600 pullman: da 150 a 300 mila i partecipanti previsti, appuntamento, alle 15, a piazza della Repubblica. Ad aprire il corteo seguito dalle dirette di Rainews, SkyTg24 e La7 - dietro lo striscione-titolo della manifestazione «siamo tutti un programma» - ci sarà l´ex leader del Pci Pietro Ingrao, 92 anni, ora militante di Rifondazione comunista, che è tra i 15 promotori. In ordine non proprio rigoroso seguiranno gli operai delle fabbriche in crisi, migranti, rom, Glbtq - il movimento gay e lesbiche - con un piccolo "Pride" dei diritti civili. Poi il mondo del lavoro con «metalmeccanici contro la precarietà» e spezzoni sindacali, da Lavoro&Società della Cgil, al sindacato di base Sdl, dalla Fiom (senza bandiere e simboli), alle Rsu. Ci saranno alcuni europarlamentari: Claudio Fava e Roberto Musacchio con uno striscione unico, «in Europa a sinistra per la pace, l´ambiente, il lavoro, i diritti». Sarà presente anche la comunità musulmana di Aversa. Con una partenza a parte in polemica con «i programmi della sinistra che non ci considerano», le femministe che si daranno appuntamento in piazza Esquilino con pentole, strumenti musicali e lo striscione «siamo le fuori programma». Fra le provocazioni, quella degli studenti in lotta con lo scuolabus per portare in giro per le scuole italiane governo e ministri. Ci saranno anche gli antiproibizionisti della million marjuana march, movimenti della casa, network dei diritti globali, action, con i disoccupati organizzati di Napoli che fanno riferimento al deputato no-global Francesco Caruso. Alle 17,30, arrivo in piazza San Giovanni. E inizio di uno spettacolo. Dopo l´appello dei promotori, le testimonianze alternate a spettacoli. Parleranno una studentessa e Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay, poi la musica di Enzo Avitabile e dei Bottari, di Tete de Bois. Quindi Ascanio Celestini introdurrà la testimonianza di un precario Vodafone, e Ulderico Pesce (il cantore della lotta di Scanzano Jonico contro le scorie nucleari) presenterà Antonio Ferrentino, leader dei No-Tav della Val di Susa, l´artista del «teatrocanzone» Andrea Rivera darà la parola alla giornalista Giuiana Sgrena. Chiuderà la manifestazione la band Bisca Zulu, alla quale seguirà l´intervento di un operaio del Nuorese.

Repubblica 20.10.07
Appuntamento alle 14.30 in piazza della Repubblica
Corteo sul precariato bus deviati e varchi aperti
Stop ai tornelli metro ma obbligo di biglietto Dalle 18.30 fermata San Giovanni chiusa
di Gabriele Isman


Oggi pomeriggio dalle 14 la manifestazione nazionale contro la precarietà nel mondo del lavoro indetta da "Il Manifesto" e da "Liberazione", e appoggiata dai Pdci e Rifondazione Comunista contro l´accordo raggiunto tra governo e parti sociali sul welfare.
L´appuntamento è alle 14.30 a piazza della Repubblica; i manifestanti sfileranno poi per viale Luigi Einaudi, via Cavour, piazza dell´Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, viale Manzoni, via Emanuele Filiberto fino a piazza di Porta San Giovanni dove si concluderà il corteo con comizi dal palco.
L´Atac ha predisposto un piano per mobilità: deviate, quindi, le linee di bus C3, 3, 5, 14, H, 16, 36, 40 e 60 Express, 64, 70, 71,75, 81, 84, 85, 87, 105, 170, 175, 218, 360, 571, 590, 649, 650, 665, 673, 714, 810, 910, e le turistiche 110 Open e Archeobus. Inoltre, la Prefettura ha disposto che già dalle 11.30 di domani mattina i varchi elettronici delle stazioni della metropolitana di Anagnina, Termini, Tiburtina e Piramide restino aperti, ma chi viaggerà dovrà comunque avere con sé un biglietto timbrato e valido per poter salire sui treni e non rischiare la multa. In occasione del deflusso, invece, dalle 18.30, la stazione San Giovanni del metrò A resterà chiusa, mentre resteranno aperti i varchi elettronici nelle stazioni di Manzoni e Re di Roma, e anche in questo caso, obbligo di biglietto timbrato e valido per ogni viaggiatore.
"Come sempre in queste occasioni - spiega Carlo Buttarelli, comandante del I gruppo dei vigili urbani - attueremo chiusure al traffico veicolare nel passaggio del corteo, poi, passati i manifestanti, riapriremo le strade. Saranno 130 gli agenti di polizia municipale impegnati per la manifestazione che si concluderà a piazza di Porta San Giovanni intorno alle 22".

Repubblica 20.10.07
L'esperimento di un imprenditore: un mese con il salario dei suoi dipendenti. "Mille euro? Impossibile"
"Con la paga di un operaio non si vive"


FANO - Un «padrone» decide di vivere almeno un mese con lo stipendio da operaio ma dopo 20 giorni si arrende. «Non è possibile. Ho fatto sacrifici ma dopo nemmeno 3 settimane mi sono trovato senza un soldo in tasca. E mi ero dato anche la mancia: i miei 20 operai in media guadagnano 970 euro al mese, io me ne sono dati 1.000. Non c´è stato nulla da fare, ho dovuto arrendermi. Il momento più duro? Quando le mie due figlie, 15 e 16 anni, mi hanno chiesto i soldi per una pizza. Ho detto no e ho pensato agli operai che debbono dire no ai loro figli non perché fanno un esperimento ma perché, con meno di 1000 euro, in Italia non è possibile vivere con dignità. E allora ho aumentato gli stipendi di 200 euro al mese».
Enzo Rossi, 42 anni, è un pastaio. Produce i maccheroncini Campofilone, «sottilissimi fili di pasta all´uovo». «Mi sono sempre chiesto come si potesse vivere con la busta paga da operaio. Ho parlato con moglie e figlie, ho detto che per un mese le cose sarebbero cambiate. Dopo pochi giorni mi sono sentito male, come quando fai un´immersione in mare e capisci che sta finendo l´ossigeno delle bombole. Senza soldi, vai in paranoia. Stai attento a tutto, al caffè al bar, al costo dell´insalata. Devo dire che c´è stato anche qualche aspetto positivo. Ho smesso di fumare, perché 8 euro al giorno, per 40 sigarette, non li avevo più. E anche le figlie hanno capito come vivono le loro amiche. Hanno accettato una paghetta più bassa ed hanno eliminato qualche vizio. I venti giorni mi hanno fatto capire che non è giusto lavorare per un´azienda come la mia, piccola ma redditizia, e portare a casa così pochi soldi». Sembrano lontani i tempi in cui «i pastai» venivano presi in giro in una canzone perché offrivano una cena agli operai e poi facevano la trattenuta in busta. «Le cene con gli operai le faccio, almeno 4 all´anno. E faccio anche un regalo a Natale, con un prosciutto, una lonza… Ma questo non risolve nulla, se non si aumentano i salari. Il tesoretto del governo deve essere speso lì, mettendo in detrazione fiscale i soldi investiti negli aumenti salariali. Ho visto anche dei manifesti, in giro. "Prendi ai ricchi per dare ai poveri". Giustissimo. Ma si faccia davvero, dando agli operai la possibilità di vivere meglio. Mio padre diceva sempre: un imprenditore innamorato solo dei soldi non è un grande imprenditore. Ma so bene che il problema dei salari non può essere risolto in una piccola azienda come la mia. In tutta Italia gli operai prendono meno degli operai tedeschi, francesi, inglesi. E 12 mesi all´anno provano l´umiliazione di non avere i soldi per la pizza dei figli».
(j.m.)

Repubblica 20.10.07
Terroristi. Se qualcuno li guarda con simpatia
Intervista con Domenico Starnone


Intervista/ Domenico Starnone ha scritto un romanzo per indagare un fenomeno trascurato Non furono pochi, prima del caso Moro, coloro che solidarizzarono con i brigatisti
"Il sentimento di vicinanza alle ragioni degli attentatori pur nell´orrore è rimasto vivo fino al caso Moro, che ci mostrò l´insensatezza della violenza"
"Se temo le accuse di giustificazionismo? Sì, ma mi pareva necessario scriverne. Non a caso ho scelto una struttura aperta"

ROMA. Solo la letteratura può attraversare terreni così vischiosi senza perdersi. Forse anche per questo Domenico Starnone affida al suo nuovo romanzo (Prima esecuzione, Feltrinelli, pagg. 142, euro 12), alla sua forma incompiuta e volutamente "disordinata", un tema tra i più complicati della recente storia italiana, un argomento tabù, seppellito in questo trentennio da una rimozione diffusa e quasi blindata. È quella zona opaca e poco confessata di contiguità con le ragioni dei terroristi, un gorgo fangoso che inghiottì negli anni Settanta parte della generazione di Starnone. Un grumo di sentimenti contraddittori che fa dire al personaggio ultrasessantenne di Domenico Stasi, il professore-alter ego dell´autore incaricato da un´ex allieva terrorista d´una esecuzione omicida: «Ma io mi ero già ritratto nei primi anni Settanta. Mi repellevano la gambizzazione, il rapimento, l´assassinio politico: un obbrobrio stupido. Immaginavo le schegge delle ossa, gli organi vitali lacerati e provavo come una vertigine che mi scagliava lo stomaco in gola. Tuttavia una parte segreta di me non riusciva a non sentire affinità con gli uccisori piuttosto che con la vittima, con i sequestratori piuttosto che con i sequestrati. Cancellavo parole di condanna dal mio vocabolario, evitavo etichette correnti. Stavo attento, anche tra me e me, a non dire mai assassini, criminali, aguzzini, terroristi, sentivo che non erano riducibili a quei vocaboli». Repulsione e condivisione. Disgusto e attrazione. Orrore per il sangue e l´efferatezza, e tuttavia quasi un moto di "gratitudine" per i brigatisti "chirurghi metafisici in lotta con il tumore". Emozioni inconfessabili, cuore di tenebra di quella generazione, che forse in Starnone hanno trovato uno dei pochi narratori italiani disponibili a dargli corpo.
Ma non teme lo scrittore l´accusa d´aver scritto un romanzo giustificazionista? Un libro non dalla parte dei terroristi, ma comprensivo delle loro ragioni? «Certo che lo temo, ma mi pareva necessario scriverne. Il romanzo tende a misurarsi con momenti del passato e del presente in cui la violenza è apparsa ad alcuni urgente e necessaria. In sostanza, ho tentato di fare i conti con l´azione armata che si scatena dalle buone ragioni. E se qualcuno mi darà del fiancheggiatore, vorrà dire che non ha capito niente». Nel silenzio della sua casa interrotto solo dal frusciare dei morbidi gatti, Starnone soppesa le parole. Il terreno è scivoloso, e se i congegni del romanzo tendono a calibrare, la conversazione è a rischio di sbavature. Non è certo un caso che la stessa struttura narrativa di Prima esecuzione sia incompiuta, il lettore messo dinanzi a esiti differenti: il professor Stasi che spara contro il nemico, il professor Stasi che rabbonito si rimette la pistola in tasca. Un meccanismo complesso, che mescola il piano del racconto con le riflessioni dell´autore su quel che sta scrivendo, letteratura e metaletteratura, come se al centro della narrazione ci fosse l´abbozzo ancora informe della prima stesura d´un romanzo. «Ci sono temi che per essere sviscerati non possono essere piegati alla narrazione tradizionale. La forma aperta di questo romanzo, recuperata anche in polemica con chi ha messo il Novecento letterario in soffitta, mi permette di raccontare cose che altrimenti non sarei riuscito a dire».
Domenico Stasi, il protagonista del racconto, è un po´ come Starnone, uomo mite, di buone letture, sensibile come insegnante e come persona, costantemente indignato ma non privo di saccente benevolenza verso il prossimo. Lo racchiude la frase che introduce la sua storia: «Ero invecchiato facendo non quel che mi andava di fare ma quello che mi sembrava coerente con il sentimento che avevo di me». Conosce ogni dettaglio sulle condizioni di vita in America Latina, in Africa e in Asia. Studia la storia del pianeta per nutrirsi di ribellione. Con la sua abitudine mentale alle letture estreme - tutto e subito - è destinato a fare i conti nella fase declinante della vita. A un certo punto viene messo dinanzi alla possibilità di dare uno sbocco efferato a questa sua inclinazione. Stasi è tentato dal crimine, se ne sente invaso. Da sempre aspirante alla santità, scopre improvviso dentro di sé il guizzo del rettile. «Sì, il professore sa che il mondo in cui viviamo è profondamente ingiusto. Per questo si sente più vicino alle ragioni di chi uccide, pur provandone disgusto, che alle ragioni delle vittime. Avrei potuto scegliere come protagonista un terrorista, invece ho scelto un uomo innocente, che si sente spinto a fare i conti con un sentimento che ha attraversato trent´anni fa la mia generazione, e che ancora oggi potrebbe contagiare i ribelli. Un sentimento di vicinanza nei confronti di chi allora si macchiava di crimini orrendi, ma muovendo da ragioni che sentivamo nostre». Siamo ancora ai "compagni che sbagliano"? «No, è una riflessione su quei momenti pericolosissimi nei quali gli schemi interpretativi di cui facciamo uso ci pare portino - nostro malgrado - a scelte di violenza. Quanto più la politica è insufficiente, e incapace di mediazione, tanto più alto è il rischio di ribellione armata. Il senso del mio romanzo forse è proprio qui: non certo fiancheggiamento al terrorismo, ma appello a una politica che non sia gestione dell´ordinario ma capacità di incidere radicalmente sulle ingiustizie, sulle diseguaglianze, sulla corruzione, sulla illegalità. Solo lo sradicamento di ciò che fa marcire il paese può mettere fine a tentazioni di azione violenta».
Viene da chiedere a Starnone-Stasi come il «sentimento di vicinanza con le ragioni dei terroristi» - comune negli anni Settanta a parte della generazione che oggi ha tra i cinquanta e i sessant´anni - abbia potuto sciaguratamente resistere dinanzi ai corpi di persone inermi, elette in modo dissennato a simbolo d´un sistema sbagliato, quando essi stessi ne erano vittime o si adoperavano per modificarlo. «Sì, fu una condivisione distorta e sciagurata, che però ha segnato molti dei miei coetanei. Ebbe una durata precisa. Tutto si spezza con l´uccisione di Moro, che mette di fronte alla insensatezza della violenza, in termini umani e politici. Il vero atto eversivo sarebbe stato lasciar libero Moro, così come l´ha immaginato Piergiorgio Bellocchio nel suo film».
Sentimenti controversi, quelli dichiarati da Starnone, che per diversi decenni sono rimasti sotterranei. «È prevalsa la rimozione o la liquidazione attraverso una lettura semplicistica e demonizzante anche da parte di quegli stessi che pure per un certo periodo fiancheggiarono la violenza. E intanto il mondo è rimasto così com´era». Altro personaggio-chiave è quello di Luciano, vecchio amico di Stasi, compagno di lotta e avventure sentimentali, che però si ravvede per tempo, rientra nei ranghi, si mette a lavorare con i socialisti, ottiene incarichi di eccellenza, è un ammiratore del ministro Tremonti e per un certo periodo ha fatto parte del suo staff. In realtà, riflette Stasi, Luciano non è mai stato un combattente per la redenzione dell´umanità. «Quale redenzione. Aveva senza merito una sua aura: strappava via ai meno dotati le poche cose che avevano». Uno dei tanti cinici dal pensar brillante che poi sono andati a occupare le stanze del potere. È un Luciano lustro, imbolsito, naturalmente arricchito a dare lezioni a Stasi di sano pragmatismo: basta con i sogni giovanili, siamo stati solo dei casinari, la realtà è quella che è, bisogna essere ragionevoli. «La ragionevolezza», commenta Starnone, «è il far finta di non vedere l´orrore che c´è nel mondo. Ci sono i ricchi e i poveri? Ma certo, lo sappiamo, che scoperta è? Sappiamo benissimo che le cose vanno in questo modo, ma bisogna essere ragionevoli. Sono convinto che nella "ragionevolezza" - ossia nel non vedere - sia nascosta la radice di tutti i mali».
È un romanzo al fondo disperato, Prima esecuzione. «Chi ha fatto sufficiente esperienza del mondo», dice l´autore, «s´accorge che le cose mutano così lentamente che non basta una vita a percepirle. Il mondo, alla fine dell´esistenza, appare più terribile di prima». Il paese evocato in queste pagine è una comunità che non ha niente in comune, solo competizione diseguale, mercato, divergenza, frattura, odio e voglia di sangue sotto la glassa delle buone maniere. Starnone non ignora i rischi di fraintendimento cui l´espone il suo romanzo. «Ci sarà qualcuno che tirerà fuori la frasetta ad effetto, omettendo la calibratura nella pagina successiva. Ma contro le letture strumentali poco posso farci». Stasi non è stato un cattivo maestro. Da lui discendono la terrorista, ma anche il poliziotto. È l´ex allievo commissario che lo mette dinanzi alla sua infiammata radicalità: «Se le cose le sa, perché continua a volere il paradiso in terra?». «Non lo voglio io, è una necessità». «Ma una soluzione intermedia no, professore? Un mondo equilibrato, con un´insalata mista di paradiso e inferno, lei si accontenterebbe?». Stasi sembra quasi arrendersi, ma la storia poi va da un´altra parte.

Repubblica 20.10.07
Solo da pochi anni la neuroscienza studia gli effetti terapeutici derivanti dal suono
Quando la musica aiuta a guarire
di Umberto Veronesi


Nelle popolazioni primitive i canti, legati alla danza, erano strumenti di ipnosi collettiva
La musicoterapia è oggi un capitolo a sé nella scienza biomedica e vanta buoni risultati

Esiste un rapporto profondo e ancora misterioso che lega la musica alla spiritualità e al pensiero umano. Perché la musica ci può inquietare o al contrario darci pace, ci può istigare all´aggressività o predisporci all´amore? E in che modo la musica può avere effetti terapeutici e affiancarsi con successo alle terapie psichiatriche? Solo da pochi anni la scienza, in particolare la neuroscienza, si è dedicata alla comprensione dei fenomeni correlati al fare ed ascoltare musica, e proprio alle più recenti scoperte e alle ultime intuizioni è dedicato il convegno di musicisti e scienziati "Musica, scienza, pensiero", organizzato dall´Associazione Musicale Lucchese e dalla Fondazione a Lucca nell´Auditorium di San Romano, per oggi.
Il punto di partenza dell´incontro è la scoperta che «la musica rende più intelligenti». Quella che era fino a ieri un´illazione (e la speranza segreta di molti artisti e compositori) sta trovando crescenti conferme da parte di vari studi scientifici, che dimostrano che l´insegnamento della musica nell´infanzia contribuisce significativamente allo sviluppo di alcune aree cerebrali e accresce le abilità cognitive-intellettuali, come la capacità di concentrazione e la velocità di elaborazione Non possiamo affermare che studiare musica è come studiare matematica; ma certamente i due meccanismi mentali, apparentemente così distanti se non opposti, hanno delle forti affinità.
Il legame musica-pensiero razionale non risulta inoltre solo nei bambini. E´ provato che se la musica non è intrusiva, ma è consapevolmente scelta e dunque risulta piacevole per l´ascoltatore adulto, può avere un effetto sulla vigilanza, l´umore e la motivazione a svolgere attività lavorative che richiedono grande attenzione. Del resto se esploriamo nella natura e nell´etnologia il rapporto musica-pensiero scopriamo relazioni antiche e profonde. Nel mondo animale la musica (se così definiamo l´ampia gamma di suoni che vanno dai semplici miagolii del gatto al sofisticato canto dell´usignolo) può avere funzioni comunicative precise: grido d´allarme, segnalazione di pericolo, canto di vittoria o richiamo sessuale. Nelle popolazioni primitive i canti, spesso uniti alle danze, erano strumenti quasi di ipnosi collettiva, che creavano una suggestione, tale da istigare alla violenza della caccia o del combattimento Non bisogna del resto tornare troppo indietro nel tempo e nella civiltà per trovare come le marce militari aiutassero i soldati a gettarsi con più coraggio nella battaglia.
Guardando alla storia, tuttavia, non c´è dubbio che il legame più forte fra musica e pensiero viene dalle religioni, la cui spinta mistica ha dato un impulso straordinario alla composizione musicale. Per l´uomo religioso, infatti, (anche se non per tutte le fedi) la musica facilita il rapporto con Dio, ed è il linguaggio privilegiato della preghiera collettiva. La musica di Bach, per esempio, è indissolubilmente legata a questa tensione dell´animo umano verso la trascendenza. Dall´anima alla psiche il passo è breve e ci introduce nel rapporto, nato molto più di recente, fra musica e psichiatria e musica e medicina.
La Musicoterapia è oggi un capitolo a sé nella scienza biomedica, e si caratterizza per le linee di ricerca, le pubblicazioni, le attese e risultati. Io non amo usare il termine di medicina «alternativa» che le viene comunemente attribuito. Non vedo infatti la musicoterapia come opzione alternativa alla medicina cosiddetta «tradizionale»; ma piuttosto come nuovo complemento, per arrivare, nella persona malata, là dove il farmaco o la tecnologia non ha strumenti adeguati per farlo. E´ indubbio, ad esempio, che la musica può avere un effetto benefico sul dolore psicologico che accompagna indissolubilmente quello fisico, e su quel senso di solitudine e incapacità di comunicare, che spesso affligge le persone malate gravemente, rendendo ancora più penosa la situazione che clinicamente deriva dalla loro malattia.
La musica offre al malato una possibilità diversa di percepire se stesso e di trasmettere le proprie sensazioni utilizzando un linguaggio diverso da quello usato «dal mondo dei sani». Per questo la Musicoterapia trova le sue prime applicazioni nelle malattie psicologiche, come l´autismo o la depressione. Anche l´autorevole British Medical Journal ha pubblicato un lavoro sulla musicoterapia come opzione per la riduzione dell´uso (e soprattutto dell´abuso) di psicofarmaci in particolare nei giovani. E´ noto inoltre il progetto europeo, a cui partecipa il nostro Paese, sulla applicazione della musicoterapia sui malati anziani e in particolare quelli colpiti da Alzheimer. La musica sta anche dimostrando di avere un ruolo di supporto alle terapie standard: alcuni studi hanno provato come l´ascolto di un brano musicale prima degli interventi chirurgici possa contribuire, ad esempio, a ridurre il fabbisogno di anestetici.
In conclusione tutto ci fa pensare che siamo vicini a quella che possiamo definire una «neurobiologia della musica», come dirà al convegno Luisa Lopez, dell´Unità di Neuropsichiatria Infantile dell´Università di Roma Tor Vergata. E´ lei a citare Carl E. Seashore dell´Università dello Iowa, che scrisse negli anni ´20 «tutto nella natura della musica che il musicista trasmette all´ascoltatore può essere misurato, registrato, ripetuto e controllato per scopi sperimentali. Esistono dunque approcci straordinariamente promettenti per lo studio scientifico dell´espressione musicale». Seashore si riferiva ai fonografi, che registravano frequenze e armoniche del suono per poi metterle in relazione con ciò che si sapeva dell´attività dei neuroni.
Grazie alla rivoluzione tecnologica di questi ultimi cinquant´anni, oggi lo studio della musica si può avvalere di metodi ben più sofisticati: l´analisi dei segnali bioelettrici, la neuropsicologia, la psicoacustica. Abbiamo dunque oggi degli strumenti sempre più potenti per esplorare un campo affascinante, ancora quasi inviolato. Per questo la mia Fondazione, nell´ambito del suo impegno per il progresso culturale delle scienze, ha deciso di creare un gruppo di lavoro dedicato a "Scienze e Musica" con l´obiettivo di creare per questo tema uno spazio ben definito nell´ambito della ricerca scientifica, e con la priorità di studiare i meccanismi neuroscientifici che creano nella nostra mente reazioni differenti in rapporto ai diversi stimoli musicali. Il convegno di Lucca è un primo passo in questa direzione.

Repubblica 20.10.07
James Watson ha perso anche un posto da rettore a New York
Il Nobel razzista ora chiede scusa


"Sono mortificato per quanto è accaduto, capisco le reazioni della gente, non so come ho potuto dire certe frasi che non hanno alcuna base scientifica"

LONDRA. Si può dire, col senno di poi, che non è stata un´uscita molto intelligente. Le dichiarazioni del 79enne genetista americano James Watson, scopritore del Dna e premio Nobel per la medicina, secondo cui i neri africani sono intellettualmente inferiori ai bianchi, hanno scatenato una serie di tali proteste da sconvolgere i piani e forse anche la vita dello scienziato. Il prestigioso centro studi di New York da lui diretto lo ha sospeso dal rettorato. Il suo tour di conferenze in Gran Bretagna è stato cancellato. Appena sbarcato nel Regno Unito, Watson è rimontato su un aereo ed è ripartito per gli Usa. A nulla sono valse le scuse che ha offerto alla comunità scientifica e all´opinione pubblica mondiale, in un articolo pubblicato ieri mattina dal quotidiano britannico Indipendent. Da ieri, il professor James Watson è un premio Nobel messo all´indice. E non è detto che le conseguenze dell´incidente siano finite: un paese africano, il Senegal, propone che gli venga consegnato un «Nobel per il razzismo».
In un´intervista rilasciata al Sunday Times in coincidenza con il suo arrivo a Londra, dove doveva presentare la sua autobiografia, Evitate le persone noiose - Lezioni da una vita nella scienza, il genetista aveva affermato: «Tutte le nostre politiche sociali sono basate sul fatto che l´intelligenza degli africani sia uguale alla nostra, mentre tutti i test svolti indicano il contrario». E aveva aggiunto che, se esiste l´istintivo desiderio di considerare uguali tutti gli esseri umani, «chi deve trattare con dipendenti neri sa che ciò non è vero». Nell´articolo apparso ieri sull´Independent, lo scienziato si dice «mortificato» dall´effetto causato dalle sue parole. «Sono mortificato per ciò che è accaduto», afferma. «E ancora più grave è che non riesco a capire come ho potuto dire cose simili. Posso certamente comprendere perché la gente, leggendo quelle dichiarazioni, ha reagito come ha fatto. A chi ha capito dalle mie parole che l´Africa, come continente, è geneticamente inferiore, non posso che presentare le mie scuse senza riserve. Non è quello che volevo dire. E soprattutto non vi sono alcune basi scientifiche per sostenere tale tesi».
Cosa voleva dire, allora? Watson lo spiega nel resto dell´articolo, suggerendo che la selezione naturale darwiniana ha condotto a differenze nelle capacità di comportamento dell´uomo in differenti regioni geografiche del mondo. «Noi non comprendiamo ancora adeguatamente il modo in cui nel corso del tempo diverse zone ambientali della terra hanno selezionato dei geni che determinano le nostre capacità di fare cose differenti», scrive lo studioso. «Questa non è una discussione su superiorità o inferiorità, ma sul capire differenze, sul perché alcuni di noi sono grandi musicisti e altri grandi ingegneri. Il nostro desiderio è che vi sia un uguale potenziale intellettivo in tutta l´umanità. Può darsi che sia così. Ma non basta desiderarlo per dimostrarlo. Questa non è scienza. E interrogarsi nel merito non è razzismo». Lo scienziato conclude ipotizzando che non solo l´intelligenza, ma anche i comportamenti criminali, possono essere in qualche modo legati alla genetica: «Il pensiero che alcune persone siano innatamente maligne mi disturba. Ma il compito della scienza non è quello di farci sentire bene». Chiede scusa, insomma, ma non smentisce completamente.
Nell´articolo il professor Watson ammette di essere uno che non si tira indietro dalle controversie, e di essersi cacciato più volte nei guai a causa del suo carattere. In passato, ad esempio, sostenne che le donne dovrebbero abortire se sanno di avere in grembo un figlio omosessuale o che la bellezza potrebbe essere geneticamente prodotta in modo che «tutte le ragazze siano carine». Ma quelle affermazioni gli erano valse al massimo l´appellativo di «picchiatello». Stavolta gli è andata molto peggio. L´articolo di (parziale) ritrattazione non è servito a calmare la tempesta. Il Museo della Scienza di Londra, dove Watson doveva tenere la prima conferenza, è stato il primo ad annullarla.
A ruota tutti gli altri hanno preso la stessa decisione: Bristol, Cambridge, dove studenti neri ed ebrei si preparavano a bloccargli l´accesso al campus, Oxford, Newcastle, Edimburgo, dove doveva apparire a fianco del dottor Ian Wilmut, il «padre» di Dolly, la prima pecora clonata. Nessuno lo ha più voluto. L´editore inglese della sua autobiografia ha dovuto cancellare con imbarazzo tutti gli eventi in programma. Quindi è arrivata la sospensione dall´incarico di rettore del Cold Spring Harbor Laboratory, il centro di studi genetici di Long Island, vicino a New York, presso il quale Watson lavorava da trentacinque anni. «Il nostro centro non è coinvolto in alcun tipo di ricerche che possano formare la base per dichiarazioni come quelle rese dal professor Watson in Inghilterra», ha reso noto con sdegno Bruce Stillman, presidente del prestigioso istituto. Condanne analoghe sono giunte da parte di numerosi centri scientifici e scienziati, in America e in tutto il mondo. E così il decifratore del Dna si ritrova a essere un paria della propria comunità. Doveva aspettarselo: se è esecrabile per chiunque affermare che i neri sono una razza inferiore, per un premio Nobel lo è ancora di più. Elementare, Watson.

Corriere della Sera 20.10.07
Franco Giordano: «Giusto scendere in piazza, altrimenti la sinistra scompare»
intervista di Maria Teresa Meli


ROMA Dica la verità, Giordano, oggi li fate sfogare in piazza per poi votare la fiducia al governo sul Welfare.
«Macché: questo lo può pensare chi ragiona in termini politichesi.
Diciamo la verità: questo è il governo che in pochi mesi ha dato il massimo alle imprese, ora basta, bisogna riprendere a parlare di tassazione di rendite finanziarie e bisogna cambiare il protocollo sul Welfare».
Non temete un flop come la manifestazione anti Bush?
«No: perché questa manifestazione rappresenta un fatto politico chiaro. La sinistra chiede un salto di qualità a questo governo. E non solo sul Welfare anche sui diritti civili, sul tema della laicità che il Pd ha abbandonato. Vedrà che sarà una manifestazione piena di quei giovani che sono un po' mancati sia alle primarie che al referendum dei sindacati».
Intanto i verdi e la sinistra democratica non aderiscono alla manifestazione. La Cosa Rossa è già in frantumi?
«Non enfatizzerei questa vicenda. Subito dopo riprenderemo il cammino insieme».
Mussi però ha detto che questa manifestazione presta il fianco alla protesta contro il governo.
«Vorrei dire a Mussi che la sinistra o mobilita le masse o non esiste».
Lei prima ha parlato della laicità: il papa che tanto contestate su questo argomento ha parlato di precariato ed ecco che voi di sinistra vi siete subito accodati.
«Con questo papa ci sono tantissime differenze, ma ci può essere un terreno unitario perché la sua è una critica al capitalismo».
Giordano, si rende conto che Rifondazione con questa sua insistenza rischia di diventare l'alibi per far cadere il governo?
«Io non mi occupo degli intrighi di palazzo ma del malessere sociale che c'è nel paese. So che ci sono forze moderate della coalizione che ci vorrebbero fuori ma non per questo non possiamo affrontare questi temi altrimenti che sinistra saremmo?».
Magari una sinistra un po' più moderna...
«Guardi che in Italia la situazione è questa: c'è il Pd che non si occupa del mondo del lavoro, ci sono i sindacati che rappresentano i lavoratori in modo istituzionale e moderato, quindi ci vuole una sinistra come la nostra».
A proposito di precari, questo è un governo precario?
«Questo è un governo che dovrebbe rimanere in piedi ma dovrebbe farlo attuando il programma su cui invece è molto in ritardo».
Ma è vero che eleggerete anche un leader della Cosa rossa? Si è fatto per esempio il nome di Nichi Vendola.
«Noi rispettiamo l'esperienza delle primarie fatte da Veltroni, ma il nostro modello è un altro noi non decideremo sui leader, sulle persone ma sui programmi. Avvieremo un processo costituente a cui parteciperanno non solo le donne e gli uomini dei partiti della sinistra ma anche chi non è iscritto».

Liberazione 20.10.07
Il popolo di sinistra in piazza Esedra alle 15. Abbiamo deciso che l'aria deve cambiare...
Vènti d'ottobre
di Rina Gagliardi


La politica con la P maiuscola contro "questa" politica. La voglia di partecipare, con qualsiasi mezzo disponibile, per ritrovare un senso alla stessa democrazia. Forse è questo il messaggio che si può leggere nei fatti di queste ultime settimane - nelle fiumane di votanti al referendum sul Welfare, negli studenti che scendono in piazza, nei milioni alle primarie del Pd, perfino nella mobilitazione del "popolo di destra". Forse, senza certo pensare che la crisi della politica si sia dissolta come d'incanto, né che l'ondata antipolitica abbia esaurito i suoi effetti, si può dire che una parte ampia (e non omogenea) della società italiana sta esprimendo la voglia - la pratica - di un'inversione di tendenza. Ecco, questo 20 ottobre, finalmente arrivato, si colloca dentro uno scenario relativamente nuovo. Contraddittorio, certo, ma nient'affatto "statico". Sospeso, secondo la legge non scritta di questa fase storica, tra rischi tremendi e possibilità straordinarie. Ma dotato, ancora, di una chance vera. Insomma, ancora possiamo provarci, e non solo perché questa è la nostra vocazione, la nostra storia, la nostra autentica "second life".
Possiamo provarci per una ragione di fondo, che è poi quella che sta alla base dell'iniziativa di oggi e del meritorio, lungo lavoro di preparazione di questi mesi: il nostro Paese, l'Italia, non può fare a meno di una sinistra politica degna di questo nome. Sembra semplice, perfino troppo semplice a dirsi (un po' come il classico brechtiano sul comunismo), ma questa è l'elementare - e cruda - verità. Sullo sfondo di un mondo sempre più inquietante (con un Bush che parla di "terza guerra mondiale" e un Putin che esibisce con glaciale tranquillità i suoi colossali programmi di riarmo atomico), la sfida torna ad essere quella dell'esistenza della sinistra - non solo della legittimità "di principio", ma dell'esistenza, appunto, politica della sinistra, cioè capace di orientare grandi masse e di incidere nei processi decisionali, compresi quelli di un governo di coalizione. Questa è precisamente la ragione di fondo per la quale la manifestazione di oggi è stata così attaccata, messa in discussione, a tratti perfino oltraggiata (per ultimo, ci si è messo Cofferati che ha parlato, chissà perché, di un corteo "autolesionista"): non (soltanto) perché corre il rischio di "disturbare il manovratore", non (soltanto) perché dà comunque fastidio ogni pratica conflittuale, ancorché matura e pacifica, non (soltanto) perché sta tornando prepotentemente in auge la vetustissima idea di centralismo democratico (che ormai si applica o si pretende di applicare dalla Cgil all'Unione), ma perché vi si coglie, legittimamente, il segno possibile di un nuovo inizio.
Quello di una sinistra che non solo non si scioglie, ma tenta al contrario di "riannodarsi" - e avvia comunque, ora che la sinistra moderata non c'è più, un percorso di reidentificazione, di risposta concreta alla crisi che la attraversa e rischia di ridurla nell'angolo.
La partita che si gioca quest'oggi, dunque, è del massimo impegno. Non solo, e forse non tanto, per i risultati immediati, sulla Finanziaria o sul Welfare, che si possono ottenere - anche se è evidente che tanto più la mobilitazione sarà grande, intensa, ricca di idee e di popolo, tanto più la battaglia politica e istituzionale della sinistra ne guadagnerà in forza e in credibilità. Ma per la soggettività - e la volontà - che sarà in grado di opporre al disegno dell'establishment italiano ed europeo. Il quale ha deciso - non ci stanchiamo di ripeterlo - di distruggere, marginalizzare, sbattere "fuori" non, come si dice a parole, la sinistra massimalista, radicale, antagonista, ma la sinistra tout court, in tutte le sue versioni e sfumature. Si guardi a quel curioso "neonaturalismo" che avanza nel linguaggio e nella pratica: tutti i terreni più rilevanti della politica, quelli che dettano scelte e strategie, vengono declinati nella forma di nuove "leggi naturali", oggettive, non modificabili dall'intervento umano. La sicurezza, la crescita dell'economia, la centralità della famiglia, il lavoro, la stessa collocazione internazionale "non sono né di destra né di sinistra" - così viene ribadito ad ogni piè sospinto. Semplicemente, sono. Ovvero, sono variabili dipendenti della logica dell'impresa e del mercato e delle esigenze della competizione globale: alla politica, tutta, spetta ormai un compito meramente adattativi e gestionale - una teche amministrativa che varia, al massimo, a seconda dei cicli. In una prospettiva come questa, che punta a smantellare quel che resta del modello di civiltà europea e ad americanizzare compiutamente l'intera vita pubblica, non ci può essere spazio per nessuna sinistra, né radicale né riformista - infatti, negli Usa non c'è, e non per caso il sistema politico è stato costruito per impedire alla sinistra ogni chance di rappresentanza nelle assemblee elettive, non solo nei governi. In realtà, dentro e dietro le difficoltà del governo Prodi, stanno maturando precisamente intenti e intenzioni di questa portata. Se è vero che la "stella polare" dell'esecutivo, adesso, è tutto fuorché "il ricatto della sinistra", è vero anche che esso rimane un campo di battaglia possibile - una contraddizione non chiusa, oltre che un presidio (quasi) necessario di democrazia (pur minimale e pur via via degenerata). In questo senso, esso non è certo il governo di riferimento né dei grandi potentati economici né (va da sé) dei nuovi poteri politici, compreso il neonato Partito Democratico, che non può attendere il 2911, quasi altri quattro anni, nel frigorifero delle sue potenzialità. E in questo senso, i rischi di una prossima caduta sono alti, frenati soltanto dalla oscurità dei passaggi successivi e di una transizione che si annuncia ad ogni buon conto "al buio": perché vengono, appunto, da destra, da chi pesa e conta. Dall'Europa come da Bankitalia, da Confindustria come dal "Corriere della Sera"- la debolezza dei numeri parlamentari, che c'è e può operare in ogni momento, è davvero una variabile dipendente, ancorché non meccanica, di queste volontà ormai decise a finirla con l'anomalia di un governo che, per quanto deludente sia, per quanti sforzi faccia (tanti) di beneficare padronato e mercati finanziari, ha il torto di continuare a consentire alla sinistra una patente di legittimità politica.
Queste riflessioni non ci possono distrarre dalla questione principale: la sinistra che vogliamo (ri)costruire e che oggi potrebbe conoscere il suo battesimo vitale. La nostra risposta non può che essere quella di rimettere al centro la trasformazione : la dignità e i diritti del lavoro, la pace, la lotta alle disuguaglianze e alle discriminazioni, l'autonomia della soggettività femminile e femminista. Tutti noi viviamo queste ore con trepidazione e speranza - ma sarà certo una grande giornata. Come diceva Elizabeth Barrett Browning, a proposito delle rose, "una manifestazione è una manifestazione, una manifestazione, una manifestazione". Nulla di più. Ma dopo il 20 d'ottobre, c'è il 21…

Liberazione 20.10.07
Sinistra ora o sinistra addio
di Ritanna Armeni


Ora che c'è il partito democratico. Ora che è stato eletto il leader e che - sia pure non espressi né definiti da un congresso - sono evidenti impegni programmatici e cultura politica. Ora che - come ha scritto Piero Sansonetti - è evidente l'ambizione di "raggruppare intorno ad un'ipotesi centrista un'alleanza molto ampia di forze sociali, di gruppi di potere, di ceti intellettuali e politici che si pone l'obiettivo unico di governare l'Italia per molti anni garantendo il ruolo centrale dell'impresa e assicurando la centralità del mercato". Ora che tutto questo è chiaro, cosa si aspetta a costruire la sinistra? Che cosa si aspetta a costruire una forza politica nuova che metta al centro gli interessi dei lavoratori e delle classi subalterne, che si batta contro l'emarginazione prodotta dal mercato, contro il nuovo e più ambiguo potere dell'impresa? Una forza che non faccia del governo il suo obiettivo principale, ma abbia le capacità di rappresentare fuori e dentro il governo anche gli ultimi?
Anche i politologi più ostili alla sinistra dicono che oggi questo spazio c'è, che è ampio. Qualcuno lo teme. Qualcuno lo vede comunque come un fatto positivo per chiarire il quadro politico. E proprio per questo chi vuole rimanere a sinistra convinto che di questa ci sia ancora bisogno, non può non rimanere stupìto di fronte alla lentezza, i timori, i dubbi che oggi impediscono che la costruzione di una nuova forza di sinistra vada avanti con la convinzione e la speditezza necessari. E anche con quell'impegno che diventa anima, convinzione profonda, e che - se la parola non risultasse troppo grossa - definirei impegno etico.
Perché è certamente una responsabilità non da poco non far crescere la sinistra in Italia, non darle un volto e una identità riconoscibili.
Due giorni fa, sulla Stampa, Luca Ricolfi, opinionista riformista, ha scritto un articolo sulla nascita del partito democratico che vale la pena di riportare. Ricolfi ha detto che il nascente partito democratico ha operato in questi mesi una "rivoluzione di nascosto". Una rivoluzione perché "ha importato una incredibile quantità di parole d'ordine della destra" mettendo "in sordina una altrettanto incredibile quantità di parole d'ordine della sinistra". Ha importato - dice sempre l'opinionista - merito, severità, ordine e poi aumento dell'età pensionabile, meno tasse, privatizzazioni, dismissioni del patrimonio pubblico , tolleranza zero anche verso i presunti ultimi". E ha abbandonato i capisaldi della sinistra riformista tradizionale: laicità, fecondazione assistita, coppie di fatto, rafforzamento dello stato sociale, integrazione degli immigrati, questione salariale, allenaza coi sindacati. Tutto questo è stato fatto quasi di nascosto, su questioni parziali, senza dirlo esplicitamente, semplicemente cambiando di volta in volta idea.
Ecco, credo che ora, nel breve volgere di qualche mese, la "rivoluzione" non potrà più rimanere nascosta. Sarà chiara. L'identità centrista, il superamento della distinzione fra destra e sinistra, che è l'aspirazione culturale vera del partito democratico, sarà evidente nelle scelte politiche, nel rapporto con il governo, nella ricerca delle alleanze. La nuova cultura politica emergerà senza ambiguità nella preparazione del congresso costituente. E allora? Allora chi raccoglierà e darà nuova speranza e anche la possibilità concreta di cambiare le cose che non vanno, chi rappresenterà quelli che con quella cultura e con quelle scelte non sono d'accordo? Si potrà continuare a rimanere in un governo continuamente ricattato e oggi rafforzato nelle sue scelte moderate senza contare su una coesione ideale, su un'unità di intenti di "sinistra"? O non si corre il rischio, purtroppo molto concreto, di fare battaglie giuste, ma alla fine insignificanti di fronte alla montante marea centrista che chiede ordine, moderazione, mercato? Che ha intrapreso con decisione un cammino che prevede il superamento e la sconfitta della sinistra?
So bene che le forze della sinistra oggi nel governo e nella maggioranza si battono con coraggio per evitare che sullo stato sociale, sul salario, sulle pensioni, sulla precarietà passino le peggiori politiche liberalizzatrici. So bene che questa è una battaglia difficile nella quale si rischia l'isolamento, e qualche volta persino la stupida ironia e saccenteria di chi non vuole disturbi per il manovratore. So bene, inoltre, che riunificare forze, modificare identità, rinunciare ad alcune sicurezze è difficile. Ma ho anche l'impressione che ci troviamo in un momento della storia politica della sinistra in cui o si fa tutto questo o semplicemente ci si rassegna ad un ruolo residuale e si scompare.

Liberazione 20.10.07
Benvenuti tutti a Roma
di Franco Giordano


Benvenute e benvenuti a Roma.
Provo sinceramente un po' di emozione a rivolgermi per un benvenuto a tutti quanti voi che avete accolto l'appello del manifesto , Liberazione e Carta a manifestarsi oggi in piazza. Come noi di Rifondazione comunista. Oppure diversamente da noi. Ma tutti insieme, ciascuno per quel che è. Credo sia l'emozione di varcare una soglia che incammina in uno spazio aperto e vivido. E che può rafforzare un'efficacia della politica come progetto di cambiamento.Non dimentico, infatti, il motivo per cui siamo qui. Siamo qui perché abbiamo risposto a un appello che chiede un salto di qualità nell'azione della maggioranza e nel governo dell'Unione. Siamo qui perché crediamo che sia giusto e necessario. Siamo anche stati rimproverati tutti per questo. Come se non sia compito e fondamento stesso della politica dare rappresentanza, capacità di progetto e di intervento ai soggetti che si definiscono attraverso di essa. Come se la partecipazione al governo debba chiudere le porte scorrevoli del rapporto con la società.
Per questo sono felice di dare oggi il benvenuto al mondo del lavoro, che l'ordine neoliberista vuole spogliato di soggettività politica, ridotto a variabile dipendente del profitto, espulso da una rappresentanza generale. E benvenuto alle istanze di consolidamento e rinnovamento dei diritti e della sicurezza, di incremento dei salari e delle pensioni. Alla lotta contro la pandemia della precarietà, rispetto alla quale proprio in queste ore si è levato l'allarme del pontefice Josef Ratzinger e ci auguriamo che anche la dottrina sociale della chiesa possa aiutare a combattere. Al mondo della scuola e della cultura. Al corpo docente, che costituisce una risorsa straordinaria per la formazione cui va riconosciuto apprezzamento professionale e economico. Alle giovani generazioni, al loro bisogno di espressione e alla loro domanda di futuro, al desiderio e al diritto di poter intraprendere liberamente percorsi di studio e progetti di vita, affrancati dal giogo dell'oppressione familiare e dalle catene della riproduzione dei saperi che ancora incombono a predeterminare la loro vita. Ai migranti, giunti da lontano, in fuga dagli orrori della guerra e della fame, con quegli stessi desideri di libertà, che troppo spesso però rimangono costretti alla clandestinità, se non in catene. Ai gay, alle lesbiche, ai trans: al diritto ai diritti che le gerarchie di caste rigorosamente maschili assise dentro e fuori le istituzioni di questo paese continuano a interdire. Alle vertenze territoriali, alle associazioni, i movimenti, i gruppi, i comitati impegnati per la tutela ambientale, per la pace e il disarmo, per l'assistenza e la solidarietà.
Benvenuto a tutte e a tutti, dunque. A chi è solo e a chi è in compagnia. A chi è organizzato e a chi no. Perché oggi è una giornata speciale, che dischiude i battenti verso una prospettiva: quella di dare anima e corpo a una soggettività politica della sinistra in cui tutti, ciascuno per quello che è e insieme agli altri, siano benvenuti. Arrivederci a presto insieme, quindi. A chi c'è e anche a chi non c'è.

il manifesto 20.10.07
La lezione di Freud a confronto con la traduzione
Oggi, all'Aula Magna dell'Università di Reggio Emilia, un convegno dedicato alla lingua della psicoanalisi


Nata come talking cure la psicoanalisi si è posta problemi di traduzione fin dai suoi presupposti: l'interpretazione stessa dei sogni, il passaggio dalle immagini oniriche alla loro verbalizzazione e ancora la decifrazione dei lapsus, la risalita a quel che sta dietro un motto di spirito, e insomma tutto quanto pertiene al passaggio dall'universo simbolico a quello dei segni comporta quei problemi di traduzione che, oggi, saranno oggetto di una giornata di studio all'Aula Magna dell'Università di Reggio Emilia. Tra i paradossi che riguardano la storia della psicoanalisi c'è anche quello per cui mentre ancora non esiste un'edizione «critica» delle opere di Freud in lingua tedesca, ce ne sono di quasi integrali in francese, inglese, spagnolo, giapponese, italiano, ma nessuna delle edizioni disponibili è stata esente da critiche. Avrà di certo qualcosa di interessante da dire, al proposito, Michele Ranchetti, che a più riprese si è confrontato con il compito di restituire la lezione di Freud in una sua versione adeguata. Tra gli altri partecipanti, lo psicoanalista junghiano e filosofo Paulo Barone, la germanista Valentina Di Rosa, e lo psicoanalista Alberto Luchetti, grande traduttore delle opere di Laplanche e di diversi altri seguaci di Freud. A Reggio Emilia Luchetti ripercorrerà un po' di storia della traduzione, ricordando anche che esiste una corrente secondo la quale essa è «una modalità di scrittura specifica e irriducibile, il modo di esistenza attraverso il quale un'opera straniera arriva fino a noi»; mantenendo la sua «stranierità» - come dice Laplanche - mentre ci viene resa accessibile.
In questa prospettiva, la traduzione non si limita a trasmettere il senso dell'opera, ma concorre a alla costruzione dell'originale. Tra gli interventi previsti anche quello di Ferruccio Giacanelli e Stefano Mistura.