martedì 5 febbraio 2008

I CONTATTI CON SEGNALAZIONI NEL MESE DI GENNAIO 2008 SONO STATI IN TUTTO 43.298
COSÌ DISTRIBUITI:



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Other
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Nigeria
Pakistan
Yemen
Iran
Latvia
Myanmar
Malta
Israel
Croatia (Hrvatska)
Andorra
Albania
Cote D'Ivoire (Ivory Coast)
Dominican Republic
Total



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848
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l'Unità 4.2.08
Bertinotti: «Se me lo chiedono farò il candidato premier»
Diliberto non si fa pregare. Ma il vero problema c’è tra Rifondazione e Sinistra democratica


APPENA DUE GIORNI FA, l’ipotesi che la leadership della Cosa rossa fosse affidata a Fausto Bertinotti, rischiava di compromettere il difficile equilibrio tra i
quattro partiti a sinistra del Pd. Non erano piaciute a molti, e soprattutto al leader di Sd Fabio Mussi, le fughe di notizie sul ticket Bertinotti-Francescato e neppure le indiscrezioni sulla presenza dei simboletti dei quattro partiti, compresa la falce e martello, dentro il simbolo dell’Arcobaleno. E così il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, era corso ai ripari: «Il confronto è aperto, le indiscrezioni sono infondate». Venerdì l’aria era quella di piena impasse. Ieri il presidente della Camera, ospite di Lucia Annunziata su Raitre, ha rotto gli indugi e si è candidato apertamente a guidare la Sinistra unita alle elezioni. «Se la Sinistra arcobaleno mi chiedesse unanimemente di essere, per i 40 giorni della campagna elettorale, il candidato alla presidenza del Consiglio, naturalmente una candidatura simbolica visto che le nostre forze non ci consentono di puntare a quella carica, per poi rientrare nei ranghi come semplice parlamentare, lo prenderei seriamente in considerazione». E tuttavia, ha precisato Bertinotti, «mi basterebbe un no per non farlo». E alla domanda se si presenterebbe in «ticket» con una donna, risponde: «Tutti i ticket dovrebbero prevedere un uomo e una donna». Un incarico a tempo dunque, o «di scopo», come si dice in questi giorni. Perché poi, una volta passate le elezioni, Bertinotti assicura che «per me, nel futuro, non ci saranno incarichi di direzione politica: non sarò segretario di Rifondazione Comunista, nè segretario o presidente della Cosa Rossa. Farò il semplice parlamentare, perché la passione politica resta. Ma credo che l’Italia abbia bisogno di un ricambio generazionale».
Subito arriva l’adesione di Oliviero Diliberto. Il sì del Pdci a Bertinotti candidato premier della Cosa rossa, sottolinea, non è una novità, e non va interpretata come una scelta tattica imposta dalla crisi di governo: «Già alle europee del 2004, auspicai una unità delle sinistre guidata da Fausto Bertinotti», dice Diliberto. «Noi glielo chiediamo ufficialmente. Bertinotti è l’uomo giusto per unire tutte le sensibilità della sinistra». In serata giunge un giudizio positivo dal numero due del Pd. Dario Franceschini osserva che «Rifondazione è arrivata alla nostra stessa conclusione: quando le coalizioni non si costruiscono su un programma condiviso non funzionano».
Nessun commento ufficiale dalle fila di Sinistra democratica, che oggi riunisce il direttivo nazionale e affronterà anche questa questione. Ma all’Unità il vicepresidente della Camera Carlo Leoni spiega che «è presto per parlare di nomi di candidati premier. Primo perché ancora non ci arrendiamo all’idea che il Pd corra da solo. E secondo perché la Sinistra arcobaleno deve cominciare la discussione partendo dai programmi; i nomi arriveranno solo alla fine, ma è sbagliato partire da qui». Dai Verdi arriva il commento di Paolo Cento: «La disponibilità di Fausto Bertinotti a candidarsi come premier alla guida della Sinistra Arcobaleno è di certo importante: va apprezzata e valorizzata». E tuttavia «va perseguita e ricercata, stante l’attuale legge elettorale, l’alleanza con il Pd». In ogni caso, conclude Cento, «spero ci sia al più presto un incontro collegiale della Sinistra Arcobaleno per dare tutti insieme una valutazione positiva della disponibilità offerta dal Presidente della Camera». a.c.

Repubblica 5.2.08
I professori anti Papa si radunano alla Sapienza
Un appello «per la laicità» firmato da quasi 1.500 docenti
di Edoardo Sassi


La tavola rotonda.Domani all'università romana un incontro tra gli studenti dei collettivi e almeno uno dei 67 scienziati di Fisica

Il testo Da Vattimo a Bobbio solidali con i 67: anche noi cattivi maestri

Con un documento docenti, ricercatori e dottorandi da tutti gli atenei italiani rivendicano il «diritto al dissenso»

Il rettore Guarini sceglie di tacere Ma la settimana scorsa in una nota aveva definito legittima la libertà di critica dei colleghi

ROMA — Docenti, ricercatori, dottorandi. In tutto 1.479 (fino a ieri). Sono i firmatari di un documento a sostegno delle posizioni espresse dai 67 professori della Sapienza che scrissero la famosa lettera al rettore in cui giudicavano inopportuno l'intervento di Benedetto XVI all'inaugurazione dell'anno accademico.
Parole d'ordine: «laicità» e «diritto al dissenso». Con in dote 1.479 nuove firme raccolte fino a ieri tra docenti, ricercatori e dottorandi di tutti gli atenei italiani. Molti i firmatari celebri: dalla grecista Eva Cantarella al «premio Strega» Alessandro Barbero (storico medievale oltre che narratore), dal filosofo Gianni Vattimo al matematico autore di bestseller Pierluigi Odifreddi, da Luigi Bobbio (figlio di Norberto) fino alla storico Nicola Tranfaglia, dal sociologo Luciano Gallino al giurista Ugo Rescigno. A diciannove giorni di distanza dai clamori suscitati per la mancata visita di Benedetto XVI all'università La Sapienza, ecco che si ricompatta (e cresce) il fronte contrario all'intervento del Pontefice per l'inaugurazione di un anno accademico, inizialmente previsto per il 17 gennaio scorso.
«Anche noi cattivi maestri. Appello di solidarietà con colleghi (e studenti) della Sapienza di Roma», si legge in testa al documento di cui primi firmatari sono i docenti Angelo d'Orsi (Storia del pensiero politico) e Lucia Delogu (Diritto privato), entrambi dell'università di Torino. E d'Orsi domani alle 11 interverrà nell'aula Calasso della facoltà di Giurisprudenza della Sapienza per una tavola rotonda intitolata «Diritto al dissenso! », promossa da «Sinistra critica » e alla quale partecipano anche le due anime della protesta anti-Ratzinger di inizio gennaio: gli studenti dei collettivi (il loro portavoce Giorgio Sestili modera l'incontro) e almeno uno dei 67 scienziati di Fisica firmatari dell'ormai celebre lettera al rettore Renato Guarini, Carlo Cosmelli, che in merito all'appellativo «cattivi maestri», affibbiato dal rettore ai docenti della protesta, disse subito: «Spero che il rettore ritiri questa espressione. Forse non ricorda l'uso che se ne faceva negli anni di piombo».
Ed è proprio intorno a questo slogan che ancora oggi si stanno raccogliendo gli oltre mille e quattrocento docenti di università e istituti di eccellenza, firmatari del nuovo documento: «I sottoscritti — si legge nell'appello — esprimono la più ferma e convinta solidarietà ai colleghi sottoposti a un linciaggio morale, intellettuale e persino politico senza precedenti ». «Noi firmatari — prosegue il testo — affermiamo che ci saremmo comportati come i 67 in nome della libertà della ricerca e della scienza. Se essi sono cattivi maestri, ebbene lo siamo anche noi». Sul tema e sull'opportunità di quell'espressione ieri non è voluto tornare il rettore Guarini, che in una nota del primo febbraio ha già fatto una parziale marcia indietro, sostenendo che «era legittimo il diritto di critica da parte dei docenti, così come di alcuni gruppi di studenti». Una lettera del rettore giunta in concomitanza con un documento in cui 41 professori di Matematica gli chiedevano dare solidarietà ai 67 docenti, e all'indomani di un'altra mozione in difesa della laicità approvata con 233 voti dal consiglio di facoltà di Ingegneria, dove si chiedeva a Guarini di «esprimere pubblicamente » solidarietà ai 67 «per le ignobili accuse di intolleranza» ricevute «per la semplice espressione delle loro opinioni ». Polemizza a distanza Franco Cardini, professore di storia medioevale a Firenze: «Ancora firme dopo la pessima figura fatta? E' evidente che un personaggio come il Papa che visita l'Università non ha nulla a che vedere con la possibilità di inficiare la libertà scientifica».

l’Unità 5.1.08
La Chiesa che vorremmo
di Carlo Bernardini


Sono sempre molto meravigliato dalla mancanza di reciprocità nei rapporti «diplomatici» con la chiesa cattolica. Se è ben vero che la religione cattolica è un «sistema di credenze» che coinvolge una parte della popolazione mondiale e non solo italiana, è anche vero che, occupandosi di regole del comportamento può anche interferire con la nozione di legittimità delle azioni individuali in una comunità non necessariamente credente. Mi si dice, però, che il Vaticano è uno stato estero, ma, a proposito di rapporti, non ho mai trovato niente di più preciso del cavouriano motto «Libera chiesa in libero stato», in verità un po’ troppo vago e inefficace. Ora, parto dall’idea che una massa non marginale di personale ecclesiastico (il clero) di nazionalità italiana goda di finanziamenti che gravano sul pubblico bilancio per svolgere attività per così dire «professionali» in ambito religioso, in sedi sparse su tutto il territorio. Se di cittadini italiani si tratta, vorrei che un bravo giurista rispondesse a queste domande: 1) è concepibile che questi «impiegati» siano tenuti, per svolgere il loro mestiere, al celibato che, secondo il loro codice linguistico, dovrebbe invece essere considerato «contro natura»? Se di libera scelta si tratta, come può accadere che, in caso di rapporti con altro individuo, «perdano il posto»? 2) come mai, se si accetta la funzione educativa spirituale di questo personale, non accade quasi mai (se si eccettuano occasioni celebrative come cerimonie mediaticamente visibili in cui condannare la delinquenza palese) che i sacerdoti si esprimano a favore di doveri civici, come il dovere di pagare le tasse o contro il conflitto di interessi o, più generalmente, per la legalità dei comportamenti sociali? 3) come mai, se praticano comportamenti contro natura imposti da obblighi non previsti in leggi italiane («castità»), si oppongono poi alla legalizzazione delle coppie di fatto etero ed omosessuali? 4) perché, come corrispettivo in prestazioni del finanziamento statale e dell’esenzione fiscale (Ici), hanno soprattutto la licenza di insegnare catechismi a minori anche nelle scuole pubbliche e non sono invece destinati a sole opere di utilità sociale, come quelle di assistenza nelle quali oggi è molto più frequente vedere impegnati volontari laici? 5) Come mai, pur condannando pubblicamente gente comune non rispettosa dei dogmi, non condannano mai notabili politici immorali dai però quali dipendono o possono dipendere le elargizioni a favore della chiesa?
Insomma, c’è qualcosa di fortemente squilibrato nell’attenzione che siamo costretti a prestare alle obiezioni della chiesa sulle nostre leggi (la 194, la fecondazione assistita, le staminali, gli anticoncezionali, l’eutanasia, ecc.) mentre alla chiesa tutto è concesso (e Ratzinger non fa che minacciare) fino alla limitazione dei diritti e delle libertà di alcuni individui, pure italiani, che in essa prestano servizio. Non sarebbe il caso di sottoporre a referendum un concordato costituzionalmente accettabile, più democratico e rispettoso dei diritti elementari di tutti, religiosi inclusi? Non sarebbe più utile impiegare preti, frati e suore in servizi sociali che gratificherebbero il loro spirito assai più di quanto non faccia la banale osservanza rituale? So bene che la chiesa non può tollerare che gli esseri umani scelgano liberamente ciò che assicurerebbe loro la serenità e la felicità; e considera simili circostanze come oggetto di dottrina e verifica di obbedienza. Ma chi non crede avrà il diritto di opinare che c’è qualcosa di dogmaticamente mostruoso in queste imposizioni. È difficile pensare che, 2000 anni fa, un Messia così attento alla sofferenza degli umili volesse un apparato di potere piuttosto che l’altruismo e il benessere come «sentimenti diffusi e condivisi»; ma è difficile anche pensare che, in tempi più vicini a noi, Don Sturzo o De Gasperi avrebbero accettato ingerenze così pesanti delle gerarchie ecclesiastiche, come queste che stiamo subendo oggi, e che vengono avallate da politici apparentemente di ben altra tradizione e cultura.


Repubblica 5.2.08
Tensione A Barcellona rissa a messa: «Basta ingerenze»
Spagna, rottura finale tra governo e Chiesa: «Niente come prima»
«Potremmo tagliare i fondi ai vescovi»
di Elisabetta Rosaspina


Il premier José Zapatero a Granada: «In democrazia il potere è solo dei cittadini»

La Santa Sede approva il documento della Conferenza Episcopale che dà indicazioni di voto per le elezioni di marzo

MADRID — Le secolari pareti di pietra di Santa Maria del Mar, «la basilica del popolo» di Barcellona, non avevano ancora visto e sentito un fedele interrompere l'omelia, impadronirsi del pulpito ed esortare i vescovi a «non immischiarsi in questioni di Stato». Ma domenica scorsa è accaduto, tra l'indignazione dei parrocchiani, che hanno cacciato l'irriverente golpista, cercando di allontanare dalle navate il diavolo tentatore della politica.
Lodevole, ma inutile fatica: in Spagna, la prova di forza tra il governo socialista uscente, il suo leader e candidato alla riconferma, José Luis Rodriguez Zapatero, e i vertici della Conferenza episcopale sembra destinata ad accompagnare i residui trentatré giorni di campagna elettorale. E forse a prolungarsi oltre, se è davvero fondata la minacciosa sensazione del segretario del partito, José Blanco, per cui «nulla potrà tornare come prima nei rapporti con la gerarchia ecclesiastica».
Dal 30 dicembre, da quando piazza Colon, a Madrid, si riempì di centinaia di migliaia di manifestanti a favore della famiglia tradizionale, benedetti da una quarantina di arcivescovi spagnoli, le frizioni tra il partito di governo e una parte dei prelati sono quotidiane. L'incontro, venerdì scorso, tra l'ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Francisco Vazquez, e l'arcivescovo Fernando Filoni, della Segretaria di Stato in Vaticano, è stato «sereno», secondo il diplomatico, incaricato di manifestare «il malessere» del governo spagnolo per gli attacchi dei vescovi alle sue leggi (il matrimonio omosessuale, il divorzio express, le adozioni consentite a coppie gay) e alle sue strategie politiche (per esempio nei confronti dell'Eta). Ma il colloquio non ha scongiurato nuove scaramucce.
Domenica il vice presidente della Conferenza Episcopale, cardinale Antonio Cañizares, aveva ribadito che «la Chiesa non starà zitta, anche se questo le attira giudizi falsi e ingiusti » e «nonostante i poteri di questo mondo che vorrebbero ridurla al silenzio». Da Granada, quasi in contemporanea, Zapatero aveva alluso ai vescovi dichiarando che «in democrazia il potere appartiene soltanto ai cittadini». Ieri è stata aggiunta altra legna al fuoco: «Nulla potrà tornare come prima — ha insistito José Blanco in un'intervista tv — dopo l'atteggiamento tanto bellicoso di parte della gerarchia ecclesiastica, che si sta trasformando nello strumento di propaganda delle tesi più conservatrici della destra ». Blanco ha ventilato la possibilità di rivedere gli accordi sui finanziamenti pubblici alla chiesa. Poche ore dopo, da Roma, è giunto l'imprimatur al documento con cui la Conferenza Episcopale spagnola, la settimana scorsa, aveva invitato i cattolici a votare per partiti «che non trattassero come interlocutori politici le organizzazioni terroristiche e che difendessero i valori della famiglia ». Partiti minori alleati del governo, come Izquierda Unida, incitano allo scontro totale: «Denunciare il Concordato e farla finita con i privilegi della Chiesa cattolica».

Repubblica 5.2.08
Sinistra, pressing su Veltroni "Sbagliato andare soli al voto"
Sd e verdi invitano la Cosa Rossa ad apparentarsi con il Pd
di G.D.M.


Diliberto: "Qualcuno sta lavorando per rompere" I radicali pronti all´alleanza con i democratici: "Ma c´è il veto di Binetti e teodem"

ROMA - Adesso comincia il pressing sul Partito democratico e su Walter Veltroni. L´annuncio di una corsa in solitudine ha messo al riparo il Pd dalla disperata caccia a alleanze purchessia. Rispetto al vecchio schema, ora il sindaco di Roma è al centro di tutto il mondo di centrosinistra che si dibatte tra soglie di sbarramento irraggiungibili e difficoltà di coabitazione nei propri contenitori. Sinistra democratica, la forza di Fabio Mussi, ha creato ieri una frattura dentro la Cosa rossa con un documento che invita Rifondazione, Pdci e Verdi a chiedere subito un incontro con Veltroni per apparentarsi in una coalizione con il Partito democratico. La linea di Sd (che apre anche ai socialisti) sconfessa decisioni che sembravano già assunte, con Fausto Bertinotti pronto a fare il candidato premier della sinistra radicale. «Ma noi vogliamo vincere, questo è il senso della nostra proposta», dice Marco Fumagalli di Sd. La mossa però potrebbe nascondere anche divisioni interne al partito di Mussi. C´è una fetta consistente di Sd che nasce veltroniana e ora è attirata dalle sirene del sindaco. «Qualcuno di noi è molto tentato dal Pd», ammettono i dirigenti di Sd.
All´appello di Mussi risponde subito Oliviero Diliberto. Il suo niet è chiarissimo: «Lo dico con fraternità ai compagni. Non vorrei che qualcuno stesse lavorando per rompere e dare la colpa ad altri della rottura». Ma anche i Verdi vogliono un´alleanza con il Partito democratico e oggi la Cosa rossa si riunisce per decidere come muoversi. Veltroni invece sta fermo e tiene il punto. Aspetta nuovi sondaggi, quando le Camere saranno ufficialmente sciolte. Ma anche ieri, al vertice del Pd riunito al loft, ha insistito sull´idea di «andare da soli». È la sua posizione, non condivisa da tutti gli altri leader. La situazione però può cambiare ed è soprattutto al Senato che il Pd guarda per verificare la convenienza di fare delle alleanze rinunciando alla "purezza" del simbolo unico. Naturalmente, l´accordo va trovato su un programma chiaro che poi sarà quello orientato da Piazza Sant´Anastasia. I radicali sono pronti a "sposarsi" con il Pd, lo ha ribadito ieri Emma Bonino. «Ma la verità è che su di noi esiste un veto della Binetti e dei teodem», spiega sconsolata il ministro delle politiche europee. I socialisti riuniscono oggi nella sede dello Sdi quello che loro stessi chiamano "comitato di crisi". I protagonisti della diaspora socialista Enrico Boselli, Roberto Villetti, Bobo Craxi, Gianni De Michelis e Gavino Angius cercheranno di capire quale strada prendere. Boselli annuncia: «I socialisti ci saranno con il loro simbolo». Villetti va oltre e spiega che anche il Ps può andare da solo: «Con Boselli candidato premier puntiamo al 4 per cento. E toglieremo parecchi voti a Veltroni». Craxi fa la faccia feroce: «Con l´autonomia il Pd si scordi di superare il 30 per cento». I socialisti, in realtà, attendono un segnale dal loft. «Walter dovrebbe applicare il principio dell´autoesclusione - spiega Villetti -. Lui presenti il suo programma a tutti: a noi a Bertinotti, ai radicali. Chi non lo condivide non partecipa alla coalizione e va da solo». Insomma, i potenziali alleati consegnano il boccino al sindaco di Roma. Ora tocca al Pd decidere.

l’Unità 5.1.08
«La tutela della vita è già nella 194»
Intervista a Livia Turco
di Anna Tarquini


Aborto. «194, definire quando il feto ha vita autonoma»
Turco: aborto, nessuno chiede di fissare il termine della 22ª settimana
Ma servono indicazioni per gli operatori, la scienza è progredita

«PERCHÉ SCANDALIZZARSI? Dopo trent’anni di applicazione la legge 194 deve essere applicata nella sua parte più progressista, cioè nella tutela della donna e nella difesa della vita». Livia Turco ha appena finito di partecipare a un convegno di donne
immigrate, quelle che da qualche anno in Italia alzano la percentuale degli aborti. Era uno dei problemi che il governo aveva cercato di affrontare con un progetto il centro nazionale per la salute dei migranti. Non è impazzita e non sta rompendo un tabù. «Nessuno ha mai pensato di fissare un termine come quello della 22ª settimana - dice - . Nessuno vuole dare linee guida o decidere quando un feto deve essere considerato vitale. Ma in trent’anni la scienza è cambiata, ha fatto progressi». Da dove è cominciata la polemica? Mesi fa il ministro della Salute ha chiesto a una commissione di affrontare il tema dei pre-prematuri e di quale fosse il confine tra accanimento terapeutico e obbligo del medico a rianimare un feto. Nei primi giorni di gennaio sempre il ministro ha chiesto al Consiglio superiore di Sanità di pronunciarsi sulla vita autonoma del feto. Quando cominciava? Quando scattava un obbligo di cura? La richiesta prendeva spunto proprio da una particolare tutela del feto già prevista nella legge 194. Dalla 194 ai nuovi parti pre-termine che la scienza medica ormai avanzata sa o può far sopravvivere. Non il contrario. Ma la politica ha preso la palla al balzo ed è arrivata la lettera dei medici di 4 università romane.
Allora ministro trent’anni dopo la scienza ci dice che è bene rivedere la 194?
«Sono stati gli operatori, nell’ottica della piena applicazione della 194, a pormi due questioni: la prima è che lo sviluppo delle tecnologie consente di accertare in modo molto anticipato la presenza di malformazioni e dall’altra l’abbassamento dell’età gestazionale e quindi la presenza di parti molto pre-termine. Per quanto riguarda la 194 il problema che è emerso è quello di dare piena applicazione agli articoli 6 e 7 della legge. L’articolo 6 dice che l’interruzione volontaria di gravidanza dopo il 90° giorno può essere effettuata solo in caso di grave pericolo per la vita della donna, l’articolo 7 dice che di fronte alla vita autonoma del feto l’aborto è consentito solo e soltanto quando c’è un serio pericolo per la vita della donna e il medico che procura questo intervento è tenuto a salvaguardare la vita del feto. La domanda che si pone è: è possibile definire - oggi, dopo trent’anni dalla legge - una soglia, una indicazione su quando e che cosa è vita autonoma del feto? Questo è uno dei quesiti che ho posto al Consiglio superiore di Sanità».
Quindi dobbiamo fissare dei limiti che ora non ci sono?
«Io credo che possa essere utile che una sede autorevole, indipendente, scientifica quale è il Consiglio superiore di Sanità a partire dall’esperienza clinica e dalle evidenze scientifiche, dopo trent’anni di applicazione della legge, penso che sia utile e dia forza alla legge definire - se possibile - quando c’è la vita autonoma del feto. Non si tratta di un limite. Si tratta di indicare un punto di riferimento che varrà per gli operatori come punto di riferimento non vincolante. Vorrei poi dire che c’è un aspetto su cui la legge è chiarissima e non ha bisogno di linee guida. È l’articolo 7 quando dice che l’aborto non può essere praticato a fronte della vita autonoma del feto. C’è un solo unico ed esclusivo caso in cui l’aborto a fronte della vita autonoma del feto può essere praticato, quando sussiste un serio pericolo per la vota della donna. E in questo caso il medico è tenuto a rianimare la vita del feto. La legge è chiara e dimostra tutta la sua saggezza e la capacità di costruire un equilibrio di valori».
Il comitato di bioetica però è contrario a fissare dei limiti. Dice che è immorale.
«Io penso che sia il momento dell’assunzione di responsabilità e non del protagonismo di un organismo sull’altro».
E ai medici cattolici che dicono “Da domani rianimeremo tutti gli aborti alla 22esima settimana”?
«Lo facciano. È quello che prevede la legge 194 che lascia anche questa libertà di coscienza. Però dico anche: la legge 194 è una legge rigorosa e restrittiva. L’aborto terapeutico è una rarissima eccezione. Non esiste il caso, il conflitto tra la madre e il potenziale nascituro non esiste. Quando c’è vita autonoma del feto non si può praticare un aborto. Non vorrei che coloro che vogliono salvare la vita diano un interpretazione ancora più lassista della 194 per poi imporre dei vincoli, o inventarsi dei conflitti».

Repubblica 5.2.08
Prematuri, all'estero niente rianimazione prima di 24 settimane
La Turco alle donne: difendete la legge 194
di Paola Coppola


Sgreccia: doveroso salvare i feti vivi Bonino: la politica non segua agende dettate da altri

ROMA - C´è accordo a livello internazionale sulle cure da prestare a un neonato estremamente prematuro. Quando praticare quelle compassionevoli e quando la rianimazione. «Linee guida e raccomandazioni adottate all´estero sono sostanzialmente simili a quelle italiane, perché sono l´espressione dei dati a disposizione della comunità scientifica», chiarisce Gianpaolo Donzelli, che è tra i firmatari della Carta di Firenze del 2005 e ha appena pubblicato con Maria Serenella Pignotti uno studio comparativo sulle cure ai super-prematuri sulla rivista Pediatrics. Donzelli, direttore della clinica di medicina neonatale al Meyer di Firenze, si dice stupito della presa di posizione dei ginecologi romani che hanno sottoscritto un documento in cui sostengono che i feti vitali vanno sempre rianimati a prescindere dall´età gestazionale. «Anche all´estero al di sotto della 24esima settimana non si pratica la rianimazione se non in casi ritenuti del tutto eccezionali e si agisce tenuto conto del parere dei genitori» aggiunge precisando però che «gli Stati Uniti prediligono un approccio caso per caso, mentre l´Olanda esclude del tutto la rianimazione alla 22esima e 23esima settimana».
Oltre alla legge 194, gli altri puntelli normativi nel nostro Paese sono la Carta di Firenze e il decalogo del pool di esperti del ministero della Salute reso pubblico lo scorso 22 gennaio e ora trasmesso per un parere al Consiglio superiore di Sanità. Su scala nazionale manca invece uno studio che fotografi la sopravvivenza di un bambino estremamente prematuro, ma i dati disponibili dicono chiaramente che a 22 settimane questa è praticamente da escludere. Lo studio Action condotto da Marina Cuttini dell´ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma su quattro regioni italiane indica che su 121 gravidanze terminate spontaneamente dopo 22 settimane, nel 99% dei casi i bambini erano morti alla nascita. Destinati a morire anche i nati vitali come mostrano indagini condotte in Gran Bretagna, Francia, Belgio e Norvegia, sia che si prestino le cure compassionevoli sia che si pratichi la rianimazione ed è per questo che al di sotto della 24esima settimana - come suggerito dalla Carta di Roma - potrebbe configurarsi un accanimento terapeutico.
Quanto al caso estremo dell´aborto terapeutico che abbia come esito un feto vitale, per scongiurare questa possibilità la Lombardia si è dotata di un protocollo che vieta questi interventi dopo la 22esima settimana. «In Francia, in Olanda e nella maggior parte dei paesi occidentali si abortisce ben oltre la 22esima, ma si usa una tecnica che riduce le sofferenze del feto e della madre: si inietta il cloruro di potassio. È un procedimento che fa venir meno quei problemi legati a un eventuale accanimento terapeutico neonatale non richiesto dalla donna ma imposto anche se inutile, dalla legge 194 che tuttavia resta saggia e lungimirante», dice Giovanni Monni, presidente dell´Aogoi, l´associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani.
Intanto continua la polemica politica intorno al documento e alla legge 194. Il ministro della Salute Livia Turco lancia un appello: «È necessario che voi donne, italiane e straniere che vivete in Italia, prendiate la parola. Inventatevi qualcosa per parlare sul diritto alla vita, sulla maternità, per difendere la 194 e dire cosa significa l´esperienza della maternità». La senatrice teodem Paola Binetti auspica che la prossima legislatura «si impegni a mettere in primo piano le politiche di prevenzione già contenute nella 194» e cambi «il modo di applicare la legge». Monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia accademia della vita, si schiera con i ginecologi romani: «Quando nasce, o per parto prematuro o per un´interruzione di gravidanza, un feto che mostra segni di capacità di vivere, è doveroso assisterlo». Gli risponde, in polemica col Vaticano, il ministro Emma Bonino: «La politica deve fare il proprio lavoro senza rincorrere agende dettate da altri».

Repubblica 5.2.08
I medici sacerdoti ai confini della vita
di Adriano Prosperi


«Nell´ora della nostra morte»: la preghiera antica dei cristiani si chiude ancora con queste parole. In quell´ora di tutti, una persona era chiamata al capezzale del morente: il prete. A lui spettava confortare la famiglia sbigottita e assistere le persone nel momento del trapasso. Oggi un´altra figura lo ha sostituito: il medico. Ma la sua non è più – salvo eccezioni sempre possibili – la presenza sollecita e soccorrevole del medico di famiglia, amico e depositario dei segreti e della fiducia delle persone al pari del (e per lo più insieme al) prete della parrocchia.
Egli è l´emissario impersonale di una macchina della salute che si impadronisce del morente e lo porta nella struttura sanitaria che potrà forse prolungargli provvisoriamente la vita ma dove comunque un giorno dovrà morire. L´esperienza di cui era depositario il prete, testimone di tutte le morti, gli serviva per portare speranza: quella di un´altra vita, certo, perché il suo compito di «onesto mercante del Cielo» (così lo definì un generale dei Gesuiti nel ´600) era pur sempre fissato dalla Chiesa nel dovere di guadagnare un´anima al Paradiso. Ma intanto quell´assoluzione da ogni peccato che la religione riservava ai morenti aveva il potere di alleggerire l´angoscia estrema. E per i non credenti che resistevano all´ultimo tentativo di convertirli restava il conforto recato comunque al morente dalla persona amica, capace di ascoltare e di restare vicino nel momento estremo.
Il mondo cambia velocemente. Tutto questo appartiene a un passato che è diventato improvvisamente remotissimo. Oggi quella preghiera deve essere cambiata: l´assistenza religiosa si è trasferita all´altro capo dell´esistenza. Bisognerà dire: «Nell´ora della nostra nascita». È qui che si è spostato il fronte della guerra per salvare non più le anime ma le vite terrene. E i medici, che nella nostra tradizione cattolica hanno imparato presto a nascondere o a cancellare del tutto l´abito dello scienziato positivista, scettico e irridente verso la fede, sono mobilitati anche qui al posto delle presenze sacerdotali. Spossessati della morte, lo saremo adesso anche della nascita? così pare. E ci prende un sentimento di nostalgia per l´antica religione dei parroci di campagna che benedicevano le nascite e assistevano alle morti come fatto di natura, da vivere dove si viveva normalmente, nel proprio letto, accanto alle persone amate e alle cose d´ogni giorno. È difficile adattarsi a questa nuova religione predicata da teologi «laici» e da consorzi medici attraverso gli schermi televisivi: una religione che ha i suoi rappresentanti non più nei parroci ma nei medici. Sono questi gli specialisti che decidono della nascita e della morte.
Ma vorremmo sommessamente osservare una cosa che forse non tutti hanno notato: quello che la Chiesa chiede ai medici di fare essi lo stanno già facendo da tempo. La novità, se c´è, è la proposta di una alleanza tendente a colorare religiosamente l´obbligo che l´intera società contemporanea, i suoi poteri politici e i suoi più corposi interessi economici hanno delegato alla corporazione dei medici: farci nascere a ogni costo e farci vivere il più a lungo possibile, allontanare la morte o almeno nasconderla come un rifiuto imbarazzante. E questo compito i medici lo stanno svolgendo con risultati sotto gli occhi di tutti. Un solo esempio: la durata media della vita si è allungata. Non importa molto se la vita più lunga che ci regalano qualche volta la vorremmo ridare indietro. Si leggano le testimonianze raccolte dalla dottoressa inglese Iona Heath in un piccolo libro delicato e amaro di cui ha parlato su questo giornale Umberto Galimberti e forse altri ancora parleranno: un libro che prova a insegnare ai medici quel che dovrebbero fare per riprendere un ruolo antico e prezioso, per imparare insomma che il loro mestiere non è far vivere a ogni costo ma rispettare i viventi e aiutarli a chiudere la loro esistenza in modo umano.
Bisognerà comunque rassegnarsi. Non è il primo esperimento che si fa di un controllo del potere sulla nuda vita. Non molto tempo fa –più o meno tre secoli – medici e giudici controllavano le gravidanze di donne sole (vedove, prostitute, mogli di emigranti) per prevenire il rischio di aborti procurati o di infanticidi: allora si trattava di salvare l´anima delle creature perché rischiavano di morire senza battesimo e dunque di andare all´Inferno o al massimo a quell´inferno mitigato che era il Limbo. E per salvare quelle anime fu praticato – con la benedizione delle autorità ecclesiastiche e di alcune autorità politiche – il cesareo su donna vivente: si apriva chirurgicamente il ventre delle gestanti quando il parto minacciava di finire male, per estrarne il feto e battezzarlo, seppellendolo poi insieme alla madre. Inutilmente le donne gridavano la loro disperazione quando vedevano avanzarsi il chirurgo insieme al prete. La vita eterna dell´anima umana era un bene incomparabilmente superiore a quello della loro esistenza. Già allora, dunque, i medici avevano invaso con delega ecclesiastica il momento della nascita: ma si trattava della salvezza eterna dell´anima. Intanto nel segreto delle famiglie la pratica degli aborti e degli infanticidi continuava senza soste: uno studio di uno storico inglese, Gregory Hanlon, sulla demografia seicentesca di un paese dell´Italia centrale – Torrita di Siena – ha dimostrato che la percentuale dei maschi battezzati alla metà del ´600 era più che doppia rispetto a quella delle femmine. Lo squilibrio tra maschi e femmine aveva dimensioni che oggi si trovano solo in Cina o in India.
Vogliamo tornare a quel mondo? Anche se volessimo – e non lo vogliamo – sappiamo bene che non è possibile. E l´argine legale eretto a fatica contro l´aborto clandestino avrà dei difetti ma ha avuto anche in Italia il merito di ridurre quella che era la vera e propria «sindrome cinese» del controllo nascosto delle nascite. Però è lecito almeno sperare in un´alleanza di tipo diverso tra una religione che ha imparato a rispettare la vita terrena e le coscienze individuali e una scienza medica che sta invece provando l´ebbrezza faustiana di un patto col diavolo. Perché che altro è quello che si fa nei suoi santuari se non garantire vita più lunga, corpo più giovane, capelli fluenti e rinnovati piaceri amorosi a chi vi entra con le rughe, calvo e con istinti cancellati dalla vecchiaia? Cose del genere nella Chiesa di un tempo erano condannate con asprezza e potevano portare sul rogo. Ma non ci scandalizziamo dell´attuale benevola tolleranza; e comunque non è certo alla Chiesa che vogliamo dare consigli. Invece a questi medici vorremmo ricordare che non sono loro i padroni della vita e della morte. Ne sono, nei casi migliori e se ci riescono, i servitori: in scienza e coscienza.

l’Unità 5.1.08
Onore e razzismo: «Blocco studentesco» marcia sulla scuola
Dopo le liste arriva anche la rivista: l’organizzazione di estrema destra avanza. Nel silenzio delle istituzioni
di Marina Boscaino


ESISTE un giornalino che dice molto dei tempi bui che stiamo vivendo. Si chiama «Blocco studentesco», sottotitolo «L’avvento dei giovani al potere contro lo spirito parlamentare, burocratico, accademico». Logo permutato da un gruppo di estrema
destra irlandese, la cui mitologia fa parte del confuso e violento immaginario collettivo dei numerosi aderenti a questo movimento. La copertina: una curiosa commistione di foto tra il viso del tifoso laziale ucciso recentemente dalla polizia; Luigi Ciavardini, portato via dalle forze dell’ordine, accusato di essere uno dei responsabili della strage di Bologna e condannato a 30 anni di carcere; una parata ordinatissima di incappucciati minacciosi e incombenti. Sotto una scritta gialla, maiuscola: GIUSTIZIA! Sfogliarne le pagine è un’apnea in un mondo surreale, dove l’uso e l’abuso di parole che ricordano un passato mai troppo lontano attacca alla gola: onore, italianità, giovinezza, Acca Larentia si intrecciano a simboli e slogan di indubbia collocazione. La pubblicazione gira tranquillamente nelle scuole di Roma e d’Italia: sì, proprio nella scuola, il luogo preposto per sua stessa definizione alla cultura della legalità democratica. Indicando, evidentemente, che la sottovalutazione e la banalizzazione di chi individua nella generazione degli adolescenti di oggi mancanza di interesse e di curiosità - non proponendo alternative culturalmente ed eticamente valide - riesce perfettamente nel compito di alimentare mitologie, atteggiamenti, azioni da emergenza democratica.
Nel sostanziale disinteresse di tutti è avvenuto che lo scorso novembre «Blocco Studentesco» - il movimento della cui rivista sto parlando - abbia avuto nelle elezioni della Consulta Provinciale romana degli Studenti (organo di rappresentanza provinciale) - il 23% delle preferenze totali, tre membri del Consiglio di Presidenza, tra cui il vicepresidente. Dietro, a colpi di finanziamenti estremamente consistenti, Fiamma Tricolore; e la benevola benedizione di politici di destra, che curano con particolare dedizione questo laboratorio della destra radicale, che a Roma ha quintuplicato i consensi, ma che è capillarmente diffuso. Nella tranquilla indifferenza di una società e di un mondo politico che spesso hanno fatto dell’infrazione alla legge - anche quando si tratti della Costituzione - la normalità; dove l’anomalia è rappresentata invece dalla denuncia dell’arbitrio, della violenza, dell’attacco pretestuoso alla diversità - tutte -, dell’omofobia. È un problema che riguarda principalmente la scuola; ma che investe a tutto campo in primo luogo la colpevole svogliatezza di politici e politicanti che continuano a chiudere gli occhi davanti a un allarme ormai troppo evidente per essere ignorato.
Ma torniamo a «Blocco Studentesco»: responsabile dell’organizzazione è Maurizio Boccacci, che si è autodefinito «soldato fascista senza compromessi», ex leader del movimento politico sciolto per istigazione all’odio razziale, organizzatore di manifestazioni di solidarietà per Priebke. Il programma di Blocco Studentesco dimostra chiaramente - e pericolosamente - un mutamento delle pratiche comunicative e di cooptazione dell’estrema destra, che passa attraverso una sorta di «ricostruzione dell’immaginario», come sostiene Roberto Iovino, coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti. Uno schizofrenico rimando a parole d’ordine di impronta squadrista, di giovinezza al potere, la riproposizione del famoso mens sana in corpore sano, con la proposta del 150% in più delle ore di educazione fisica; d’altro canto la facile presa dell’idea di chiudere tutte le scuole private, l’istituzione di un testo unico, contro le menzogne degli «editori rossi». Infine un ribellismo seducente e ammiccante, che trova in Bart, il figlio maggiore dei Simpson, il proprio simbolo. Un forte consenso nelle scuole del centro della Capitale; un impatto - propiziato dai finanziamenti e dal supporto di Fiamma Tricolore - con i territori, soprattutto i più deprivati, delle estreme periferie urbane, dove si organizzano attività ricreative a basso costo e si coltivano adepti.
L’8 febbraio «Blocco Studentesco» organizza una manifestazione nelle vie di Roma per commemorare i caduti delle foibe che confluirà in una giornata al Brancaccio dedicata all’argomento. La manifestazione, come in ogni paese democratico, sarà scortata dalle forze dell’ordine; paradossalmente, però, le forze dell’ordine si faranno garanti della tutela e della libertà di manifestare di chi fa della violazione della Costituzione uno dei propri cavalli di battaglia. I morti sono morti e sono tutti degni di rispetto. Ma forse, quel «bilancino della memoria» con il quale ci siamo negli ultimi anni esercitati in nome di un concetto presunto di politicamente corretto, in nome di quel bipartisan che ha consentito tante anomalie - tra cui l’omologazione delle foibe ad Auschwitz, di Salò alla Resistenza - ha consentito troppi pericolosi paradossi; la svalutazione della nostra Costituzione ha fatto sì che i giusti e gli ingiusti risultassero equivalenti. Non è tollerabile, non è ammissibile. Ancora una volta alla scuola è affidato un compito gravoso. Resistere e contrapporsi alla voglia di nulla che sembra colpire i giovani di oggi. La colpa è di molti di noi, che hanno assistito alla degenerazione del fenomeno senza allarmarsi, senza fare nulla. Perché, lo sappiamo, quando quel chi e quel cosa sono fatti realmente di cura, di relazione educativa, di competenza e autorevolezza culturale, il maestro riesce a sconfiggere persino l’inerzia di una generazione priva di punti di riferimento. Diventando egli stesso punto di riferimento; e trasferendo, insieme alla coscienza critica e alle competenze di cittadinanza, automaticamente gli anticorpi per sfuggire alle lusinghe di una mitologia che illude di protagonismo, ma che altera pericolosamente il senso della democrazia e della legalità. La vigilanza attraverso gli strumenti che l’insegnante ha a disposizione è possibile. Si tratta di una scelta, politica e civile. Basta volerlo.

l’Unità 5.1.08
Il cinema? La libertà di raccontare i sogni
di Giuseppe Montesano


Dice il grande Alfred: per me il cinema è essenzialmente emozione e il montaggio è la sua componente principale

Dimensione onirica e manifestazione visiva dell’interiore: questo è il lavoro dell’autore di «Otello» e «Macbeth»

L’ossessione delle immagini e un elogio dell’imperfezione creativa sono le costanti delle opere del regista francese

ORSON WELLES, le confessioni di Hitchcock, il regista inglese intervistato da Truffaut e Godard raccontato da Godard: ora che la settima musa agonizza tra tecnicismi e chiacchiericcio, abbondano i buoni libri su questa arte

Nella sala buia e mentre sbattono le palpebre per il repentino passaggio dal buio alla luce accecante dello schermo, qualche citazione dalla voce di un uomo grasso che faceva il regista ma si rifiutava di guardare attraverso l’obiettivo della macchina da presa, perché diceva che lui vedeva tutto nella sua testa come un musicista sente le note senza bisogno di suonarle: «Non mi concedo molte libertà, per quanto riguarda il contenuto; me le concedo solo quando si passa al trattamento. Direi che sono come un pittore astratto. Infatti, il mio pittore preferito è Klee… Utilizzo termini musicali quando dirigo. Di solito dico: “Non fate un primissimo piano enorme in quel punto, perché è come se entrassero degli ottoni a volume troppo alto, e le note rumorose vanno usate solo se è strettamente necessario”. Il cinema è l’orchestrazione delle inquadrature… Il colore dovrebbe assomigliare alla voce che parte smorzata e alla fine arriva all’urlo… Non bisogna portare avanti la trama in maniera tanto forzata da diventare, come dico io, “logici”, il che è davvero noioso, e riempire un vuoto proprio nel momento in cui uno se lo aspetta… Per me il cinema è essenzialmente emozione. E sono i pezzi di pellicola uniti assieme a costruire un’idea che suscita un’emozione nella testa dello spettatore: non attraverso le parole, ma attraverso le immagini. E il montaggio è la sua componente principale. Tutta la creazione di un film non è che montaggio allo stato puro…». Chi parla così è Alfred Hitchcock in Io confesso, un libro di interviste che riesce ad aggiungere ancora qualche tassello al puzzle del sempre misterioso maestro del Club dei 39 e di Uccelli, e che costituisce un importante corollario all’imperdibile Il Cinema secondo Hitchcock: il grande libro-intervista di Truffaut che è stato ristampato dal Saggiatore in una magnifica edizione illustrata che restituisce sia il ritratto ambiguo e postmoderno in anticipo sui tempi del maestro inglese, sia la forza di ibridazione del dialogo che si aprì tra Hitchcock e la Nouvelle Vague dei Godard e Truffaut. Ora che il cinema agonizza tra tecnicismi e chiacchiericcio, abbondano i buoni libri sul cinema: ironia hegeliana o hitchcockiana? La Phaidon Press pubblica in inglese un libro su Orson Welles che vale assolutamente la pena leggere, avventurandosi nello straordinario corredo di immagini e nel testo di Francois Thomas e Jean-Pierre Berthomé. Letto e visto dopo le confessioni di Hitchcock, Orson Welles at work sembra esserne un commentario: si guarda la foto dell’enorme porta di The Trial, o il paesaggio di Xanadu per Citizen Kane, e ci si trova di fronte alla materializzazione della massima hitchcockiana del cinema come luogo in cui la logica non può soffocare l’emozione: il luogo dell’altra logica, il luogo che è il territorio di libertà onirica esplorato dai primi film muti fino a Eyes wide shut, un regno in cui l’impressione di realtà dell’immagine sgretolare il realismo mentecatto che non parla mai della realtà, ma solo di ciò che dovremmo pensare della realtà: non solo film sui sogni, spesso falliti, ma film che entrano nella contraddizione apparente tra la realtà e la sua ombra incosciente.
In Orson Welles at work si vedono le foto di scena e i fotogrammi dei film di Welles, si vedono le pagine del Macbeth furiosamente annotate, e si pensa a come si sia tradotta la letteratura nel cinema di Welles: perché il Macbeth e l’Otello di Welles sono più Shakespeare del novantacinque per cento delle rappresentazioni teatrali? In Shakespeare la parola è centrale: quindi la riuscita di un film da Shakespeare contraddirebbe del tutto le idee di Hitchcock sul cinema fatto non di parole ma di immagini. Ma in Welles accade quel che Hitchcock predica: il racconto si svolge come in una sorta di scena onirica, di affioramento della fisicità inconscia a cui attinge il linguaggio verbale, una manifestazione visiva dell’interiore che non può essere detto dalla parola ma solo dall’immagine corporea. Il cinema di Welles non descrive, come non descrive la grande letteratura: fa agire e agisce. Questa azione è provocata dal montaggio, che è la scelta dei frammenti significativi che si vogliono caricare di emotività, e da quella scucitura che si apre nelle volute e nei panneggi barocchi di Welles e evita il soffocamento provocato dalla logica troppo sequenziale respinta dall’autore di Uccelli. Ma questo sistema che risale in letteratura forse a Dostoevskij e alle sue scene febbrilmente oniriche e irreali nell’eccesso di fisicità e realtà, riesce a raggiungere tutto il suo potere solo se lo spettatore è chiamato a riempire i vuoti e le fratture che il taglio del montaggio lascia in un film come sua parte essenziale.
Ma se questo è vero, allora quasi tutto il cinema contemporaneo, in cui lo spettatore assiste a un prodotto predigerito e privo di tagli-ferite sarebbe condannato, come sospetta il Godard che parla in Due o tre cose che so di me: un libro di scritti e interviste curato e assemblato da Orazio Leogrande in maniera intelligente a partire dai volumi di Godard par Godard. Il libro di Godard è tutto da leggere per il suo sommuovere di continuo le regole del gioco, e per la freschezza sorprendente dell’uomo che ne viene fuori: Godard brillante enfant maudit che rifiuta i premi negli States; Godard che riconosce di essere diventato con gli anni forse più abile ma anche più pauroso: e insinua che la paura è l’origine dell’autocensura e della cattiva arte; Godard che non si lascia ingannare, come i merlotti contemporanei, dalle presunte virtù della televisione; Godard che, simile a Hitchcock in questo, pospone decisamente le riprese al montaggio e rivela il gioco del collage del suo cinema; Godard che non smette di cercare e criticare se stesso; Godard che si dichiara «figlio» di Rossellini, e quindi di un cinema mentale e anti-tecnicistico. Dalla sua voce vien fuori un’idea di cinema come bricolage intellettuale, e un elogio dell’imperfezione creativa: il cinema è una geometria dissestata e arricchita dall’imprevisto che è dato dall’esistenza dei materiali concreti, attori o oggetti o luci che siano. È per questo che le trovate artigianali di Hitchcock inventate imbattendosi negli ostacoli, combaciano con la sua idea di film che si scrive nella testa; è per questo che le imprese incompiute e frammentarie di Welles sono l’inseparabile altra faccia del suo virtuosismo manieristico; è per questo che in Godard il caso e la necessità tendono a incontrarsi. E infine Godard torna all’ossessione che compare fastosa e funerea in Orson Welles at work come in Io confesso e in Il cinema secondo Hitchcock: l’ossessione dell’immagine, quell’immagine che non ha niente a che fare con le ombre sulle pareti della Caverna televisore-cellulare-internet con cui si acceca la mente dei servi della società dello spettacolo. L’immagine veritiera del cinema è una promessa utopica, e Godard lo afferma stupendamente: «Lo ha detto san Paolo: verrà l’immagine nel tempo della resurrezione… L’immagine di un fratello morto può giungere solo dopo che si è vissuto il lutto, solo nel momento in cui la sua immagine non è più un’immagine di dolore… Solo a quel punto vediamo l’immagine, che è il testo del vero romanziere così come: Longtemps, je me suis couché de bonne heure…» Quella resurrezione è la promessa del cinema, o di tutta l’arte? Quanto il cinema, più ancora di arte e letteratura, abbia tradito e tradisca la sua promessa, è sotto gli occhi di tutti: ma sotto gli occhi di tutti sono anche i Godard, Welles, Hitchcock e tutti i grandi. Hanno lavorato con quello che l’epoca gli ha dato, hanno fatto quello che hanno potuto, e hanno resistito. Negli ipermercati si trovano telecamere digitali a pochi euro, e il mondo è qui, sempre aperto per chi sa vederlo: chi vuole inventare il cinema è avvertito…

Confessioni e conversazioni
I libri di cui parliamo in questa pagina...
Io confesso. Conversazioni sul cinema allo stato puro di Alfred Hitchcock a cura di Sidney Gottlieb, traduzione di Riccardo Bnà, minimum fax, pag.320, euro 15,00
Orson Welles at work di Jean-Pierre Berthomé, François Thomas Phaidon Press, pag. 320, 433 illustrazioni col e b/n, euro 69,95
Due o tre cose che so di me di Jean-Luc Godard a cura di Orazio Leogrande, traduzione di Orazio Leogrande e Andreina Lombardi Bom, prefazione Enrico Grezzi minimum fax, pag. 320, euro 14,50
E altri titoli recenti
Azione! Come i grandi registi dirigono gli attori Cona cura di Paolo Bertetto minimum fax, pag. 354, euro 16,00
Marx Brothers di Douglas Keesev Taschen, pag. 192 pages, euro 7,99

Corriere della Sera Roma 5.2.08
Casa del Cinema: Incontro con Bellocchio, i suoi film in versione speciale


Il regista Marco Bellocchio presenta il cofanetto dvd prodotto dall'Istituto Luce e distribuito da General Video «I capolavori di Marco Bellocchio». Quattro film, due documentari, extra (interviste a Nicola Piovani, Massimo Fagioli, Maya Sansa e al cineasta stesso, i provini dei suoi attori). Per la prima volta un autore italiano presenta un'antologia di cui ha curato in prima persona i contenuti speciali. L'incontro sarà preceduto, alle ore 15, dalla proiezione di «La condanna» (1990), con Vittorio Mezzogiorno. Casa del Cinema, tel. 06.423601

l’Unità 5.1.08
Un carteggio del 1674 tra il filosofo e un avvocato appassionato di cose filosofiche sull’esistenza degli «spettri»
«I fantasmi? Offesa all’intelligenza di Dio», parola di Spinoza
di Bruno Gravagnuolo


Nel giugno del 1673 Baruch Spinoza, già notissimo filosofo in Olanda e bersaglio di polemiche, si reca Utrecht per far visita al principe di Condè che aveva conquistato la città. L’incontro mai avvenuto, per gli impegni del principe, fu sostituito da un altro incontro, casuale. Fra il filosofo e un avvocato della Corte d’Olanda. Tale Hugo Boxel, curioso di cose filosofiche e desideroso di conoscere l’opinione di Spinoza sull’esistenza degli spettri. Così, dal settembre del 1674 inizia un carteggio fra i due su quel tema: esistono o no i fantasmi?
Oggi, traendole dall’edizione Von Gebhardt delle Opere di Spinoza, un piccolo e «ponderoso» libretto del Melangolo rispolvera tutta la questione: Lettere sugli spiriti con testo latino a fronte (a cura di Francesco Chiossone, pp. 91, Euro 9). Ed è stata una bellissima idea. Non solo per il carattere di «incunabolo» prezioso della storia, che mostra come si possa fare editoria di massa in chiave filologica e antiquaria, con rigore ed eleganza. Ma per altri tre motivi. Il libro infatti è un piccolo squarcio su quell’Europa, ancora a mezzo tra superstizione e Lumi: solo nel 1670 in Olanda ebbero fine i processi di stregoneria. E inoltre è un piccolo breviario di come si conducevano le dispute filosofiche, nel «quotidiano» e tra persone colte. E nel latino che era (ancora) l’inglese dei dotti di allora. Infine c’è nel carteggio un assaggio del metodo e della filosofia di Spinoza, che scende in campo contro il senso comune e il fanatismo. Tra parentesi, Spinoza dovrebbe ritornare come un tempo il messale dei laici. Per la sua purezza etica, per l’ironia, per l’onestà scevra da fanatismi. Che lo indussero a fare «l’occhialaio» e a rifiutare la cattedra ad Heidelberg, per non sottostare a diktat politici, malgrado le influenti protezioni di cui godeva. E che lo portarono a diventare la bestia nera dei fanatici di tutta Europa. A cominciare da quelli che tentarono di pugnalarlo ad Amsterdam, evento di cui Baruch serbò la memoria, tenendo con sè il mantello «pugnalato» che lo salvò.
«Piccolo» biasimo, poiché nessuno è perfetto: fu troppo violento con le credenze teologiche degli ebrei, che lo espulsero dalla Sinagoga. E il suo Trattato teologico-politico, splendido peraltro, alimentò senza volerlo molti pregiudizi antigiudaici, che finirono per confluire nel grande mare antisemita d’Occidente. Ciò detto però la sua predicazione di ebreo della diaspora ebbe un potente influsso liberatorio sulla cultura europea. E malgrado tutto è intrisa di succhi cabalistici, di averroismo e «maimonidismo». In una sintesi multiculturale che fu un vero ponte tra le civiltà. Motivo di più per celebrarlo in tempi di fondamentalismo e guerre di civiltà.
Quanto agli spettri, ecco di che si tratta. Hugo Boxel chiede: non pensate che esistano? Visto che tanti autori li «certificano», e che in fondo inesauribile è la creatività di Dio? E visto che esistono corpi senza anima, perché non ipotizzare anime senza corpi? Spinoza risponde: tutte frottole! L’autorità degli antichi non prova nulla. E poi l’anima, così come la vista e l’udito, «ineriscono» ai corpi. Sono accidenti, che senza sostrato deperiscono. Caro Boxel, lasci perdere gli spettri: sono manifestazioni di desideri e sogni degli umani. Non c’è bisogno di ipotizzarli. Controreplica: caro Spinoza acutissimo, così voi ponete il mondo «a caso». Poiché negate l’infinita volontà di Dio. Negate il possibile, stante che la nostra conoscenza è solo ipotetica, sicché non può escludere nulla. Ma al congetturalismo popperiano, o meglio alla Feyerabend, di Boxel, Spinoza assesta il colpo decisivo. Ovvero: no, siete voi che ponete il mondo a caso. Perché se esso se fosse stato creato solo per volontà, allora poteva essere anche non creato. Sicché il mondo sarebbe solo un capriccio. Un capriccio assurdo come i vostri «spettri», che mascherano ben altro: ignoranza, paura, violenza.

l’Unità 5.1.08
Lutti. Fu studioso del cattolicesimo e poeta
Addio a Ranchetti traduttore di Freud


È morto l’altro ieri Michele Ranchetti, intellettuale poliedrico ed eclettico. Traduttore, docente di storia, pittore e poeta, Ranchetti nacque a Milano nel 1925 ma si trasferì a Firenze nel 1967. Qui diventò professore ordinario di Storia della Chiesa all’Università degli studi di Firenze dal 1973 al 1998.
Ranchetti è stato studioso del cattolicesimo e della Chiesa; traduttore di Wittengstein, Freud, Celan e Rilke, ha lavorato per Feltrinelli, Boringhieri e Adelphi. La sua prima raccolta di poesie dal titolo La mente musicale risale al 1988, la seconda, Verbala, vinse il Viareggio-Repaci 2001, nella sezione poesia.
«Ranchetti è stato un grande intellettuale, figura eclettica e di spessore non comune - dice il sindaco di Firenze Leonardo Domenici in un messaggio alla famiglia -. I suoi studi e i commenti sul cattolicesimo e la Chiesa, le sue traduzioni di Wittengstein e Heidegger, le sue raccolte di poesie lasciano un grande patrimonio al mondo della cultura fiorentina e nazionale, nel segno di una curiosità intellettuale e di una libertà di pensiero ormai sempre più rare da incontrare». Severino Siccardi, direttore della rivista Testimonianze e consigliere regionale della Toscana, ricorda che «la sua attenzione e la sua vicinanza ad alcune figure di “frontiera” della tormentata relazione tra fede, storia e società nel nostro tempo, costituiscono un’eredità culturale preziosa, su cui tornare a concentrarsi e a meditare».

Repubblica 27.7.05
IL PERSONAGGIO
Il lancio della candidatura nella libreria dello psicanalista Fagioli tra gli applausi di militanti e fan
Fausto abbraccia il Guru e s'affida alla Provvidenza rossa
Per il leader del Prc una grande cornice mediatica: il rituale di applausi, grida festose e foto scattate con i telefonini
Adorato dalle signore dei salotti
Dice di lui Suni Agnelli: "Si ama la politica e si finisce per innamorarsi di Bertinotti"

di Filippo Ceccarelli


Dio li fa e poi li accoppia. Anche applicato a non credenti, o a persone «in ricerca», come potrebbero essere l´onorevole Fausto Bertinotti e il professor Massimo Fagioli, il vecchio proverbio non solo conferma la propria inesorabile certezza, ma si preoccupa pure di gestire l´accoppiamento, lo rende visibile, gli dà una cornice mediatica, gli monta attorno un rituale fatto di applausi, grida festose e foto scattate con i telefonini tanto dai rifondatori quanto dalla gran massa dei «fagiolini», come ormai da un quarto di secolo vengono chiamati nella sinistra romana i seguaci di Fagioli.
Con il che si va ad allestire la scena, usciti sgocciolanti come sommergibilisti dalla libreria-sauna "Amore e Psiche", sotto lo schioppo del sole, il Leader e lo Psicoterapeuta si abbracciano. Una, due volte, per la comodità dei fotografi. I vigili urbani hanno addirittura chiuso la strada. Bertinotti è pelato e indossa un abito chiaro, Fagioli ha una chioma fluente, autorevole, ma è vestito più sciolto, una camicia azzurra e occhiali da sole un po´ cattivi.
Le lingue lunghe della politica dicono che c´è lui, già guru di Marco Bellocchio, dietro la svolta neo-esistenzialista e non violenta di Bertinotti, e la riprova starebbe nel fatto che per lanciare - con accaldata scomodità, invero - la sua candidatura alle primarie, abbia scelto proprio quella libreria che Fagioli, cui i fans attribuiscono un genio quasi leonardesco, ha addirittura progettato e realizzato con archi e scale in legno chiaro, piuttosto elegante.
Fagioli, infatti, è un guru, un classico guru. Giovane e luminosa promessa della psicanalisi freudiana, già negli anni sessanta ne scosse le fondamenta guadagnandosi la disagevole, ma esaltante fama di eretico, che in seguito estese anche al marxismo. Fu scacciato dalla Spi e malvisto dall´ortodossia comunista, ma dalla sua aveva esperienza, fascino e carisma. Fece ricerca per conto suo, alla metà degli anni settanta ebbe un successo travolgente tra i giovani di sinistra, molti in via di disperato disincanto, che lo inseguivano in cliniche psichiatriche, università e conventi occupati, a migliaia, per farsi interpretare i sogni.
Era l´Analisi Collettiva, o psicoterapia di folla (gratuita, comunque), in pratica l´evoluzione dell´assemblea in senso introspettivo. I «fagiolini», imploranti, alzavano la mano e il Maestro sceglieva a quale domanda dare corso. Per dire il successo di quelle atmosfere, a un certo punto venne fuori pure una radio «fagiolina», con conferenze e telefonate in diretta. Arrivò la gloria, naturalmente, ma anche una stagione di polemiche. Ai tempi de «Il diavolo in corpo» Bellocchio fu duramente contestato dal produttore perché si portava Fagioli sempre sul set, come regista del regista, lasciandogli mettere bocca anche sul montaggio.
Vera, falsa o enfatizzata che fosse, la venerazione di parecchi pazienti, pure ribattezzata «massimo-dipendenza», finì per alimentare attorno a Fagioli e ai suoi fans una qualche sulfurea nomea di setta. Ma di tutto, com´è noto, i guru possono preoccuparsi, meno che di quella. Così, nel tempo, il Maestro ha continuato a scrivere sceneggiature per Bellocchio, come pure ha seguitato adoratissimo a guarire, a insegnare, a editare pubblicazioni, a disegnare mobili e ispirare architetti; si è pure fatto celebrare in un paio di convegni, uno dei quali divenuto autocentrico documentario; quindi ha girato un film tutto suo, «Il cielo della luna», per il quale ha scelto le musiche e recitato la parte di un barbone, per quanto muto, lasciando il ruolo dei protagonisti a due «fagiolini». E infine - qui viene il bello - Massimo Fagioli ha incontrato Bertinotti.
Il bello sta nella fantastica circostanza che anche Bertinotti è un po´ un guru. Certo: rispetto allo psicanalista se lo può permettere di meno, con sei correnti, tre solo trotzkiste, nel suo partito. C´è però da dire che «il Grande Fausto», come l´ha chiamato Liberazione il giorno del suo compleanno, è un santone a suo modo poliedrico, un seduttore adattabile, un poetico cacciatore di anime che sa sempre cogliere il momento.
Così, più che con gli impervi trotzkisti, vale la pena di vederlo all´opera nella sua intensa vita mondana: cortese, elegante, telegenico, pacato, con tanto di erre moscia e civettuola bustina portaocchiali. Come tale invitatissimo «prezzemolino», insieme con la simpatica moglie signora Lella, record di presenze a Porta a porta, premio Oscar del Riformista: «Si ama la politica - ha detto di recente Suni Agnelli - e si finisce per innamorarsi per Bertinotti».
Le signore, specie quelle dei salotti-spettacolo di una Roma al tempo stesso prestigiosa e sgangheratissima, vanno pazze per lui: e lui lo sa. E non c´è niente di male, non è reato frequentarle, tantomeno è peccato ritrovarsi con i reduci del Grande Fratello. E´ solo un po´ buffo, o surreale, o straniante, come in un film di Bunuel, veder così spesso Bertinotti in foto al fianco di Donna Assunta Almirante, o a Maria Pia Dell´Utri, sorridente con Valeriona Marini, Cecchi Gori, Romiti, Sgarbi e Marione D´Urso; oppure intervistato sulla fede da don Santino Spartià, comunque assiduo a casa Suspisio, immancabile a villa «La Furibonda» di Marisela Federici. E insomma tutto bene, ci mancherebbe altro, però il giorno dopo è curioso sentirlo parlare del «popolo», parola desueta, parola potente. Chissà se il popolo si divertirebbe pure lui a «La Furibonda» o a «La Città del Gusto».
Ad "Amore e Psiche", intanto, lo Psicologo è rimasto nobilmente in platea a fare sì-sì con la testa non appena il Politico dava segno di aver assorbito un linguaggio che si nutre ormai di «felicità», «premonizione», «desiderio», «promessa», «liberazione», «attesa». A un dato momento, deposti i vecchi attrezzi lessicali vetero-marxisti, Bertinotti ha pure invocato la «Provvidenza rossa». Fuori, dietro le vetrine, la gran massa degli adepti animava la strada con sorrisi e applausi. Dopo l´abbraccio, c´è il tempo per un´ultima domanda, con la speranza che non suoni troppo indisponente: «Scusi, Fagioli, ma chi è più guru: lei o Bertinotti?». E il Maestro, senza fare una piega: «E´ più guru Bertinotti». Ma forse, per una risposta più articolata, potrebbe non bastare un seminario.

Repubblica 4.2.08
I firmatari: non vogliamo intervenire sui feti abortiti. I neonatologi: al di sotto della 24esima settimana è solo accanimento
Medici spaccati sulla Carta di Roma "Non forzate i limiti della natura"
di Paola Coppola


"Rianimare un prematuro estremo significa procurargli danni elevatissimi"
"Assurdo pensare di procedere senza il parere dei genitori: sono loro a soffrire di più"

ROMA - È polemica sulle cure da prestare a un neonato estremamente prematuro ma vitale. Il documento dei neonatologi delle cliniche universitarie romane - che suggerisce «di trattarlo come qualsiasi persona in condizione di rischio e assisterlo adeguatamente» indipendentemente dall´età gestazionale - divide i medici. Applicare la rianimazione a un neonato al di sotto della 24esima settimana, accusa il front dei contrari, potrebbe configurare un accanimento terapeutico.
«Il limite per la vita umana e la qualità della vita umana da assumere attualmente come riferimento è la 24esima settimana di gestazione. Prima, la potenzialità di risposta positiva del paziente risulta nella quasi totalità delle volte inefficace», chiarisce Gianpaolo Donzelli, il direttore della Clinica di medicina neonatale dell´ospedale Meyer che è tra i firmatari della Carta di Firenze. Donzelli precisa anche che il medico «non può procedere senza l´alleanza e il rapporto dei genitori su cui ricadono sofferenza e dolore», come due giorni fa ha anche ipotizzato Domenico Arduini, uno dei firmatari del documento. Un altro firmatario, Mario De Curtis, ordinario di neonatologia alla Sapienza di Roma, intervenendo al Tg1 precisa che il documento non prende in considerazione la rianimazione dei feti abortiti ma dà conto del miglioramento della prognosi dei neonati estremamente pretermine e rivendica «un approccio non basato su un criterio statistico, come la percentuale di sopravvivenza o disabilità, ma individualizzato». Per il chirurgo e senatore Ignazio Marino «partendo dalle conoscenze scientifiche è necessario aprire una riflessione sull´età gestazionale e l´assistenza ai neonati estremamente prematuri che oggi hanno possibilità di vita impensabili fino a pochi decenni fa».
Mette in guardia contro l´adozione di un «vitalismo estremo» suggerita dalla "Carta di Roma" il ginecologo ed esponente radicale Silvio Viale, che ha condotto a Torino la sperimentazione sulla Ru486: «Sarebbe dannoso per le conseguenze sul neonato, la famiglia e la società». Il rischio, avverte il ginecologo, è che «di fronte a patologie materne e fetali si affretti la decisione di abortire per evitare di giungere ad un´epoca in cui un medico potrebbe decidere di rianimare ad ogni costo».
Oggi dopo la 22esima settimana esiste l´ipotesi che il feto sia vitale, ovvero abbia una capacità autonoma di respirare, tuttavia se sopravvive potrebbe riportare gravi deficit. Così per Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina fetale) la rianimazione sarebbe «un esercizio di forza contro il disegno naturale che si conclude con l´inganno dei genitori». «Rianimare un prematuro estremo significa voler vincere a tutti i costi sulla natura», chiarisce. «A quell´età il sistema nervoso centrale del feto non è formato, così come i polmoni, e chi riesce a sopravvivere riporta danni neurologici serissimi». Per quanto riguarda la decisione di rianimare contro il parere della madre, per il ginecologo «significa ingannare i genitori i quali avranno tutti i diritti di rivalersi civilmente per i danni conseguenti a una vita miserevole alla quale le manipolazioni e gli esercizi di accanimento terapeutico li avranno condannati a vivere».
«Il documento esprime la posizione di pochi» afferma Giovanni Monni, primario di ginecologia dell´ospedale di Cagliari e presidente dell´Aogoi, l´associazione che raccoglie oltre 5000 ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani. E ribadisce: «La maggioranza approva quanto previsto dal decalogo stilato dal pool di esperti istituito dal ministro Turco che rispetta la legge 194».

il Riformista 5.2.08
Veltroni si vede sempre più solo al voto
di Stefano Cappellini


«Se tornassi indietro dalla decisione di correre da solo il centrodestra mi massacrerebbe e il nostro elettorato perderebbe l'unico vero stimolo per tornare convintamente al voto». Così Walter Veltroni ieri a chi gli chiedeva conto di una scelta - quella del Pd di correre in solitaria alle elezioni, ormai imminenti dopo il fallimento del tentativo Marini - che è largamente condivisa nel partito, ma che nessuno (Veltroni compreso) ha ancora deciso come tradurre concretamente. «A fronte di uno schieramento di 12-13 di partiti nel centrodestra, il Pd si presenterà sulla base della propria identità e del proprio programma», ha ribadito pubblicamente il futuro candidato premier al termine dell'incontro con Marini.
Si fa presto a dire «da soli». Ma soli-soli? Soli con pochi partiti satellite apparentati? E siamo proprio sicuri, argomentano leader come Massimo D'Alema, che si debba escludere in partenza qualsiasi forma, se non di alleanza, almeno di collaborazione "tecnica" con la sinistra radicale? La questione è da oggi in cima all'agenda del segretario. Il quale si è convinto non solo che la soluzione autarchica sia giusta e "vincente" - perlomeno nel senso di garantire un exploit di lista - ma che l'optimum è rafforzare il concetto di autosufficienza del Pd presentando sulla scheda elettorale solo il tricolore democrat per Veltroni premier a fronte dell'elenco di liste per Berlusconi. Resta il problema, sancita la separazione consensuale con la Cosa rossa, di come non disperdere i consensi di quelle forze disponibili a sottoscrivere il programma, quali Italia dei valori e Partito socialista.
L'ultima volta che si sono visti, pochi giorni fa, Veltroni ed Enrico Boselli hanno chiuso un pre-accordo per apparentare i rispettivi partiti. Ma il leader del Pd ci ha ripensato e ha già rilanciato l'alternativa a Boselli: «Venite nelle nostre liste». L'interessato ci rifletterà, ma continua a preferire l'opzione separata. Che però, agli occhi di Veltroni, spalanca il rischio più temuto: una campagna schizofrenica. Nel caso in questione, Pd e Ps uniti di giorno sull'economia e divisi la sera, a battibeccare di laicità e diritti civili con effetti devastanti sulla strategia veltroniana. Per questo ai Radicali, nonostante le dichiarazioni di ieri del sindaco di Roma siano ancora interlocutorie, è stata già chiusa la porta. «Se nel 2006 abbiamo pareggiato è anche per colpa dei voti che la Rosa nel pugno ci ha fatto perdere al centro», ha sempre sostenuto Francesco Rutelli. E quasi tutti i maggiorenti del Pd la pensano come lui.
D'altra parte, l'idea di trasformare le liste del Pd in una grande tenda politica non convince tutti. D'Alema, per esempio, la considera «irricevibile». «Sarebbe un pasticcio», teme il ministro degli Esteri. Al loft si prenderà una decisione definitiva sulla base di dati e simulazioni più attendibili di quelli attuali. Spiega Giorgio Tonini: «Dobbiamo valutare bene il rapporto costi-benefici, capire se il traino che ci viene dal presentarci in assoluta solitudine è in grado di compensare e superare la sommatoria con poche altre liste. L'orientamento attuale, comunque, è privilegiare la nettezza delle scelte». Per questo Tonini chiude la strada a ogni ipotesi di riaprire, anche solo in sede tecnica, accordi con la Cosa rossa. «Un simile scenario - dice - annullerebbe del tutto l'impatto mediatico e politico della nostra campagna».
In area prodiana, naturalmente, questo ragionamento fa storcere molte bocche. Romano Prodi, al cui governo dimissionario spetta oggi il compito di indire una data per il referendum (in attesa che lo scioglimento delle Camere, previsto per domani, rimandi automaticamente la consultazione), non può accettare una campagna elettorale in cui il Pd maramaldeggi sui resti dell'Unione. E Veltroni, che vuole Prodi in lista ed è intenzionato a evitare ogni motivo di scontro col premier, deve muoversi sul filo: da un lato magnificare la superiorità della navigazione solitaria sulla formula unionista, dall'altra non dimenticare di rivendicare i successi ottenuti dal governo-ammucchiata.

il Riformista 5.2.08
Segrate. gli interessi in ballo avvicinano l'accordo tra forza italia e pd
La grande coalizione si fa strada all'ombra della Mondadori
di Giacomo Properzj


Milano. Ancora una volta sembrerebbe che la città di Segrate, direttamente confinante con Milano nella zona est e praticamente indistinguibile dalla capitale lombarda, ancora una volta dicevo sembrerebbe conquistare una notorietà politica nazionale perché sarebbe la prima città, almeno in Lombardia, dove si potrebbe registrare la nascita di un governo Forza Italia-Partito democratico. L'imminenza delle elezioni ha rallentato l'operazione che probabilmente sarà rinviata a dopo il voto ma che non manca di destare interesse nel mondo politico milanese ed oltre.
Il sindaco Adriano Alessandrini di Forza Italia è considerato da tutti una brava persona ma ha vinto le elezioni con il sostegno di "cespugli" piuttosto incontrollabili, alcuni facenti capo direttamente a operatori dell'edilizia, altri politicamente incongruenti, tutti costantemente impegnati a chiedergli posti, prebende, assessorati e ogni altra beneficenza. L'opposizione d'altronde non era meno "incespugliata" e alcuni consiglieri si distinguono da anni per la loro violenza verbale direttamente proporzionale all'inefficacia amministrativa.
Due questioni, però, importanti e inevitabili si propongono in tempi stretti all'amministrazione segratese: una è la Brebemi, cioè la nuova autostrada che congiungerà Brescia con Milano per la quale non è ancora finanziata la nuova tangenziale e quindi, appena terminata, finirà in mezzo alle case di Segrate come quei fiumi sudafricani che si perdono nel deserto. Il secondo problema è quello di dove costruire il nuovo outlet, forse il più grande d'Europa, sul quale si puntano molti interessi (pare che il più accreditato costruttore possa essere il simpatico ex giocatore dell'Atalanta commendatore Percassi, nuova star dell'edilizia lombarda). La cosa più logica parrebbe l'area dell'ex dogana (base d'asta della Fintecna società appartenente al Ministero delle Finanze 140 milioni di euro) ma non tutti i "cespugli" sono d'accordo. Insomma, per il povero sindaco Alessandrini i problemi, nell'interesse della cittadinanza, non sono risolvibili se non con una maggioranza più o meno coesa e larga che gli permetta di non subire il ricatto quotidiano dei singoli consiglieri. È d'accordo anche l'assessore all'urbanistica Angelo Zanoli, già presidente del La Spezia Calcio e discendente politico dell'ex sindaco Turri, esponente, un tempo, dei socialisti riformisti e ora ancora attivo in Forza Italia. Pare invece che uno dei consiglieri missini più collegato con la Federazione di Milano sia perplesso così come l'ex sindaco democristiano Gianfranco Rosa che, sebbene invecchiato, è riuscito ancora a farsi rieleggere. Come sempre, nelle piccole città, fatti personali si assommano con fatti politici ma la cascata di macchine e di milioni che sta per sommergere Segrate dovrà trovare, di necessità virtù, una sua sistemazione politica.

il Riformista 5.2.08
Mussi prova a mettere qualche paletto. Ma la Cosa rossa si prepara a correre sola
di Alessandro De Angelis


Rifondazione tiene il punto. I Verdi assecondano il gioco. E pure Diliberto dovrebbe cedere sul capitolo falce e martello. Alla vigilia dell'incontro di oggi tra i segretari dei partiti per mettere a punto la road map elettorale della Cosa rossa la sinistra-sinistra fa di necessità virtù e si prepara alla corsa solitaria. Ma è dentro il movimento di Mussi che si registra qualche malcontento. Che comunque non sembra proprio preannunciare nessun cambio di rotta verso il Pd.
Nella direzione di ieri, il leader di Sd non ha messo in discussione il progetto di costruzione di una sinistra «unitaria e plurale», ma qualche paletto ha provato a fissarlo. Con la conseguenza che oggi quella dei segretari della Cosa rossa potrebbe non essere ancora la riunione decisiva per chiudere l'accordo. Il ragionamento fatto dalle parti di Sd suona più o meno in questi termini: l'Unione è finita, ma questo non significa che non ci sia la necessità, sia elettorale che politica, di un «nuovo centrosinistra». È quindi opportuno, prima di intraprendere la corsa solitaria, tentare un patto programmatico col Pd. I mussiani sottolineano come elemento di novità il fatto che Veltroni starebbe passando dalla formula dell'autosufficienza a quella dell'autonomia di programma. Quindi, dicono, deve essere il Pd a dirci di no, non noi a sottrarci. Afferma Titti Di Salvo: «Prima viene la politica, poi la questione della premiership . Come Sinistra arcobaleno dobbiamo porre al Pd l'esigenza di un nuovo centrosinistra».
La sensazione è che dietro la questione del «nuovo centrosinistra col Pd», formula usata ieri da tutto lo stato maggiore mussiano, e ribadita in un documento finale, si giochi una partita tutta interna alla Cosa rossa. Se l'assetto elettorale dovesse essere quello che ha preso forma in questi giorni, Mussi dall'operazione arcobaleno incasserebbe assai poco: sia il ticket Bertinotti-Francescato sia l'ipotesi di un simbolo che riproducesse, sotto quello unitario, le sigle dei quattro partiti fondatori sarebbero, se non proprio un fallimento, certo un colpo molto duro per un movimento nato con propositi più ambiziosi. E allora Mussi oggi proverà ad alzare la posta, ma senza far saltare il tavolo. Nonostante il pressing veltroniano su parte di Sd, Mussi però non sembra intenzionato a costruire un satellite del Pd, né da solo né con una lista insieme ai socialisti di Angius e Boselli: una delle tante ipotesi che in questi giorni circola come gradita al sindaco di Roma. E però, forte del corteggiamento democrat , Mussi vuole rilanciare sull'altro tavolo chiedendo a tutta la Cosa rossa di dialogare con Veltroni. E nel tentativo di parlare a nuora (nel senso di Walter) perché suocera (nel senso di Fausto) intenda, Mussi proverà a ottenere due risultati: far saltare il ticket e sostituirlo con una «squadra», e presentare la Cosa rossa come «una novità politica». Così nuova da impedire che, sotto l'arcobaleno, ci siano i simboletti. Su questo, dovrebbe essere tranquillo, visto che non li vuole neanche Bertinotti. E pure le resistenze dei comunisti doc non sembrano insormontabili: «Vediamo, stiamo discutendo di tutto» dice (possibilista) il capogruppo del Pdci Sgobio.
E Rifondazione? Per ora sta a guardare il prender forma di uno scenario a lungo voluto. Con Bertinotti in campo, lo schema è quello delle due sinistre: da un lato il Pd di Veltroni con qualche partito satellite, dall'altro Rifondazione con i suoi satelliti. L'unico che potrebbe farlo saltare, in teoria, è Veltroni, chiedendo un confronto programmatico. Ma la cosa appare assai difficile. E il Prc già scalda i motori per la campagna elettorale. Dice il capogruppo al Senato Russo Spena: «Veltroni continua a ribadire la sua volontà di andare da solo con un programma autonomo. Io non vedo margine alcuno per un confronto». E taglia corto sul resto: «Noi stiamo qui a parlare di ticket quando dovremmo già avere i manifesti in tipografia».

l'Unità lettere 5.2.08
L’aborto, la solitudine e la mia solidarietà

Cara Unità,
voglio esprimere la mia solidarietà a tutte quelle donne e ai loro compagni che si sono trovati nella situazione dolorosa di ricorrere ad un aborto terapeutico. Posso intuire quali sofferenze hanno provato perché avere un bambino è indubbiamente una bella cosa e rinunciarci induce solo dolore, dolore ancora più intenso se per alcuni mesi si è assaporata l’idea di questa gioia. Ma qualcuno di fronte a queste sofferenze fa finta di niente e pensa al dolore del feto (sic!). Di fronte alle posizioni dissociate del clero e ora anche di noti ginecologi ci sono donne che hanno il coraggio di prendere su se stesse il peso e la responsabilità di una decisione così lacerante. Chi nella sua vita non ha avuto e non ha il coraggio di concepire e crescere figli, sprecando miliardi di spermatozoi o centinaia di ovuli, vuole adesso intervenire con «accanimento» su un feto che non ha possibilità di sopravvivenza o possibilità di una vita che possa ritenersi «umana». L’unico scopo è torturare ulteriormente quella donna «impenitente» mostrandole la «colpa» di aver scelto con tutte le sue forze che la vita umana sia ben distinta da quella vegetale ed animale. Dicono di amare la vita ma sadicamente vogliono indurre ulteriori sofferenze a quelle donne che liberamente e nel loro diritto operano scelte diverse dalla loro ipocrita morale. Questa dissociazione è ciò che più fa male e, purtroppo, la dissociazione è una malattia contagiosa!
Isabella Faraoni

Liberazione lettere 5.2.08
Legge 194. Perversa strumentalizzazione
Caro Piero, con la trovata del furto dei feti torna sulla scena la dittatura argentina. In nome della difesa dei valori cristiani, alcuni medici si prendono il lusso di considerare le donne degli oppositori politici ai quali sottrarre il feto per consegnarlo a una ideologia più affidabile. Non importa a quale prezzo, rianimato anche per poche ore o costretto a una breve vita impossibile, l'importante è assecondare le teorie dei vescovi: anche mezz'ora di vita impossibile serve a dimostrare che l'aborto è un omicidio e che quindi le donne sono assassine. Con questo presupposto si può poi passare allo smantellamento di tutte quelle leggi, come la 194, frutto della civiltà e della libertà della sovranità popolare. L'uso strumentale e politico dei feti per imporre la sovranità delle gerarchia cattolica sulla libertà del popolo è un crimine perverso degno di una dittatura argentina.
Roberto Martina via e-mail

Rosso di Sera 5.2.08
Un contributo al superamento delle divisioni
di Piero Di Siena


Un coordinamento permanente di associazioni e organizzazioni locali per dare vita a un movimento per la costruzione della Sinistra, l'Arcobaleno, una campagna di adesione al nuovo soggetto politico che si terrà in tutta l'Italia tra fine febbraio e inizia di marzo, un impulso alla costruzione delle Case della Sinistra su tutto il territorio nazionale: sono questi gli obiettivi dell'assemblea convocata il 10 febbraio al Cinema Farnese a Roma. Una scelta che, nel pieno di una crisi politica senza precedenti nella storia recente della Repubblica e dopo il fallimento dell'esperienza di governo dell'Unione che lascerà il segno su tutti coloro che ne sono stati protagonisti, vuole reagire in positivo ai ritardi e alle incertezze che sono seguite all'Assemblea della sinistra e degli ecologisti dell'8 e 9 dicembre e dare un contributo al superamento delle divisioni che rendono travagliato il parto persino di una lista comune alle future elezioni.
Naturalmente, è necessario che questa lista si faccia e presto. Tutti sanno che affrontare in comune la prossima difficilissima campagna elettorale è condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per dare vita al nuovo soggetto, unito e plurale, della sinistra italiana. Ma è anche facilmente comprensibile che il suo destino non può essere affidato solo all'esito delle elezioni. Perciò è necessario che, contemporaneamente allo sviluppo della campagna elettorale, il nuovo partito della sinistra in qualche modo inizi a vivere attraverso un processo di costruzione dal basso, rimettendo nelle mani di tanti uomini e tante donne della sinistra quel compito che i gruppi dirigenti degli attuali partiti non hanno, finora, saputo compiere fino in fondo.
Il 10 febbraio avrà inizio quindi un'impresa politica che non ignora il carattere cruciale di questo appuntamento elettorale ma guarda già oltre, nella consapevolezza che qualunque sia il suo esito (mi piacerebbe che nel Pd fosse sconfitta la linea di Veltroni e si potesse costruire un centrosinistra rinnovato rispetto all'esperienza dell'Unione e veramente competitivo con la destra) la sinistra italiana si troverà di fronte a una fase fondativa della Repubblica, oltre i confini del sistema politico degli ultimi quindici anni, nella quale sarà costretta a ripensare al suo ruolo e alla sua funzione nazionale. Si troverà anche a dover affrontare le tanti ragioni di malessere che si sono accumulate nella società italiana, a dare una risposta alla "fatica di vivere" che affligge tanti strati della popolazione, a cominciare dalle intollerabili condizioni di reddito e dalla precarietà del lavoro.
Il nuovo soggetto, che abbiamo deciso di chiamare la Sinistra, l'Arcobaleno, avrà un futuro se saprà dare una risposta a tutto ciò. Dal 10 febbraio esso riprende in un certo senso il suo cammino. Le associazioni, che finora si erano come affidate ai partiti per portare a compimento questa impresa, ora stabiliscono autonomamente tappe e ruolino di marcia.
Se lo sapranno fare senza troppi calcoli e prudenze daranno un contributo che sarà prezioso per tutti.

Rosso di Sera 5.2.08
La sfida è partita, basta con indugi e incertezze
di Carlo Patrignani


Dal 10 febbraio parte la campagna di "tesseramento" alla Cosa Rossa. Vogliono sfidare la pigrizia dei quattro partiti della sinistra e lanciano una campagna di adesione al nuovo soggetto politico per realizzare un sogno: recuperare il divorzio tra la politica e la vita delle persone attraverso i sentimenti, gli affetti, le relazioni tra le persone

Così il presidente della Commissione Cultura della Camera e leader di Uniti a Sinistra Pietro Folena ha illustrato in una conferenza stampa l'obiettivo della assemblea del 10 febbraio prossimo decisa da una settantina tra associazioni, reti e movimenti di base per incalzare, stimolare, sollecitare l'avvio del nuovo soggetto politico della Sinistra-Arcobaleno. Insieme al presidente della Commissione Cultura della Camera, l'altro promotore dell'iniziativa del 10, il senatore Piero Di Siena e quindi il senatore di rifondazione comunista Salvatore Bonadonna.
"Bisogna far presto - ha spiegato Folena - nella costruzione del nuovo soggetto politico e per farlo bene ci vogliamo aprire al rapporto diretto e non mediato con il vasto popolo della sinistra, con gli uomini e donne che credono ancora alla necessità di una sinistra autonoma, unita, plurale e noi pensiamo che questa sinistra abbia ancora grandi capacità di attrazione". Ma è importante in questo quadro - ha aggiunto Folena - recuperare "il divorzio tra la politica e la vita; se per altri questo divorzio può essere compensato dal Vaticano, dalla Confindustria, dagli Usa, per la sinistra questo divorzio è la condanna al fallimento".
Obiettivo del neonato "Movimento politico per la Sinistra Arcobaleno" è aprire un percorso che riguarda anche la formazione delle liste elettorali e l'imminente campagna elettorale insieme ai quattro partiti della sinistra: rifondazione, Verdi, Sd e Pdci.
Siccome la sinistra non può non dare il suo contributo alla riapertura di ripresa democratica nel nostro Paese, gli esponenti delle associazioni, dei comitati, network e reti, hanno deciso di farsi "parte attiva della costruzione di un nuovo soggetto unitario e plurale della sinistra", si dice nel unitario 'Fare presto' rivolto ai quattro partiti impegnati nella costruzione della 'Sinistra-Arcobaleno' e finalizzato a dar vita ad "un Movimento politico per la Sinistra Arcobaleno". Il movimento sarà presentato domenica prossima e lancerà la campagna di tesseramento al nuovo soggetto politico, campagna di adesione che culminerà nel primo week end di marzo con la messa in campo di iniziative pubbliche in diverse città italiane e la promozione di una consultazione popolare autogestita su punti programmatici.
"Non sarà quella del 10 febbraio una iniziativa una tantum ma l'avvio di una fase di innovazione democratica - ha precisato Folena - di rottura degli schemi tradizionali della Politica: la fine della legislatura impone alla sinistra di avere coraggio, di buttare il cuore oltre l'ostacolo". E anche per recuperare "quel certo ritardo - ha riconosciuto Folena - nella costruzione del nuovo soggetto politico unitario e plurale", bisogna "ripartire e dalla società civile conquistando tutti gli spazi possibili".
Una sfida aperta dunque ai quattro partiti della sinistra a fare presto: basta con indugi ed incertezze. "La costruzione di una lista unitaria dei quattro partiti - ha aggiunto il senatore Di Siena - è una priorità da cui non si può prescindere: ad essa va fatta seguire attraverso la collaborazione dei partiti, l'individuazione di candidati espressione delle realtà territoriali". Insomma, i candidati alle elezioni politiche, ma anche alle amministrative, dovranno essere scelti - secondo gli esponenti delle 70 associazioni - con la collaborazione, consultazione ed il coinvolgimento delle realtà territoriali.
"E' giusto e corretto che nella formazione delle liste per le elezioni politiche ed amministrative, si dia un'attenzione forte e reale alle indicazioni che possono venire dalla gente, dal popolo della sinistra", ha rimarcato Bonadonna. Forse per i tempi molto stretti non sarà possibile fare delle primarie "ma si può, anzi si deve sentire - ha osservato ancora Bonadonna - cosa dicono le realtà territoriali, le associazioni, i movimenti: bisogna che si renda pratica, che si pratichi la Politica riformata, quella Politica diversa di cui molto si parla".
Coerenza tra dire e fare, tra teorizzazione e prassi concreta dunque. "Vanno benissimo tutte le sollecitazioni, gli stimoli, le iniziative finalizzate al nuovo soggetto politico - ha osservato ancora Bonadonna - ma bisogna poi cominciare a praticare il nuovo modo di far politica".

il manifesto 5.2.08
Ginecologi. Sotto il vento di capo Vaticano
di Carlo Flamigni


I ginecologici romani - ma sarebbe più giusto dire «una parte dei ginecologi romani» - hanno firmato un documento, che con rara tempestività è stato reso noto proprio in concomitanza con l'ennesima giornata cattolica in favore della vita, documento nel quale stabiliscono alcuni principi di grande rilevanza per il nostro povero paese: il primo di questi principi riguarda la rianimazione dei feti che, deve essere tentata in qualsiasi epoca di gravidanza e quale che sia il peso del neonato. Il secondo principio (che ho dovuto rileggere più volte, non riuscendo a credere che si potesse arrivare a tanto) afferma che la rianimazione deve essere eseguita anche se la madre è contraria. Questa dichiarazione si inserisce in un dibattito molto acceso che i cattolici, medici e non medici, hanno ritenuto di dovere aprire e che riguarda le interruzione delle gravidanze dopo il 90° giorno di gestazione, che secondo i nemici della legge 194 dovrebbero essere eseguite non più tardi della 23ma settimana e per le quali dovrebbe essere comunque prevista la rianimazione dei feti nati vivi (di miracoli, per ora, non si parla).
La prima obiezione è che le rianimazioni dei feti nati prematuramente devono essere fatte solo dopo aver valutato attentamente ogni singolo caso: inutile, ad esempio, farla alla 22ma settimana quando non c'è speranza concreta di sopravvivenza; molto discutibile alla 23ma quando inizia qualche pallida chance, ma con rischi di gravi handicap spaventosi; non vedo molto senso nel tentare di rianimare un feto anencefalico, privo di cervello, o affetto da agenesia renale.
La seconda obiezione la muovo alla scelta di dar fiato alle trombe dopo aver approvato un documento assolutamente inutile, almeno per la sua parte predominante. La legge 194 chiarisce già senza ombra di dubbio le stesse identiche cose e le dice anche un po' meglio: «Quando l'interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna l'intervento può essere praticato anche al di fuori delle procedure previste.... Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 ( cioè quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna) e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto».
In queste circostanze non si può chiedere di interrompere una gravidanza perché il feto è portatore di una malformazione o perché la donna ha un problema psicologico, valgono solo le minacce più gravi per la sua salute fisica, quelle che mettono a rischio la sua vita, cioè si configura uno stato di necessità. E' logico che in una circostanza come questa la prima persona a implorare che si faccia di tutto per salvare il bambino sarà sua madre, così come è logico che il medico cercherà di dilazionare l'intervento in modo da offrire al feto le migliori possibilità di sopravvivenza. Stando così le cose, mi permetto di definire questa parte del documento in questione pura aria fritta.
Purtroppo è la seconda parte del documento a meritare le critiche più severe. Per i ginecologi romani, la madre, i genitori, coloro che persino il senso comune più trito ci fanno considerare come i protagonisti veri di queste drammatiche vicende, non debbono essere neppure ascoltati, debbono restare fuori dalla stanza nella quale si prendono le decisioni che riguardano il loro bambino. Il documento assume a questo proposito toni di ipocrisia molto sgradevoli, perché allude ai tentativi obbligatori di rianimazione come a passaggi necessari per prendere tempo, per chiarirsi le idee, per poter portare al padre e alla madre un elaborato più verosimile e consentire loro scelte più razionali. In realtà, chiunque abbia un minimo di esperienza ospedaliera sa bene che gran parte di queste tragedie sono annunciate, perché riguardano donne portatrici di malattie croniche, di malformazioni uterine, di problemi clinici la cui conclusione prevalente è proprio quella del parto prematuro.
Vorrei che i ginecologi romani ragionassero su alcune semplici cose: sbattere fuori dall'uscio i genitori non è solo crudele e immorale, è anche stupido. La maggior parte delle terapie che vengono attuate dai rianimatori di questi feti sono sperimentali, anche perché non è possibile considerare un feto nato alla 24ma settimana come un ometto piccolo piccolo, per il quale valgono le stesse regole applicabili agli adulti. Immagino che tutti sappiano che le cure sperimentali debbono essere accettate dopo un consenso informato particolarmente scrupoloso e spero che nessuno pensi che possa essere lo stesso feto ad accettarle. Dunque sono i genitori i protagonisti di queste decisioni, e sono gli stessi genitori a dover dire la loro opinione sull'opportunità di rifiutare le cure, visto che è la nostra Costituzione a stabilire insieme il diritto di ogni cittadino a essere curato e a rifiutare le cure che gli vengono proposte.
In genere l'aria fritta è priva di effetti collaterali, ma questa volta qualche preoccupazione me la procura. Accade infatti che il primo intervento utile quando si voglia migliorare la prognosi di un feto che ha cessato di crescere in utero e che dà segni evidenti di sofferenza, è quello di intervenire con un taglio cesareo. Mi chiedo cosa potrà mai accadere se la madre rifiuterà di sottoporsi all'intervento e mi chiedo in che termini il cesareo le sarà proposto. Mi chiedo che senso abbia imporre a una famiglia un nuovo figlio portatore di gravissimi handicap, una pianta che esige attenzioni e cure come se fosse un essere umano ma che di umano ha ben poco. Mi chiedo se la contrapposizione tra il principio della sacralità della vita e l'attenzione alla qualità della vita non sia giunto a una fine traumatica e non abbia vinto fraudolentemente il primo.
Molti colleghi mi hanno chiesto di interpretare le ragioni di questa iniziativa dei ginecologi romani. Ho risposto che non può essere un caso che si tratti di medici universitari romani: le Università romane hanno sempre guardato con attenzione alla direzione del vento, e non è un caso che il vento spiri oggi, con forza, da capo Vaticano.