Sinistra, niente falce e martello nel simbolo. Bertinotti: no i socialisti
Oggi la presentazione, Diliberto cede. Presto la scelta sul ticket con la Borsellino. Lunedì la bozza del programma
Francescato e le altre donne spingono per una rappresentanza «rosa» del 50%nelle liste
La Sinistra arcobaleno presenterà ufficialmente il simbolo per la corsa alle elezioni politiche questa mattina, a Roma. Dalla riunione dei propri leader, ieri, è però già chiaro che il simbolo con cui Prc, Verdi, Pdci e Sd concorreranno alle prossime consultazioni sarà fondamentalmente quello emerso dagli Stati generali dell’8 e 9 dicembre scorsi.
Su campo bianco, i sette colori dell’iride e la scritta «La Sinistra - L’Arcobaleno» in formato più grande rispetto all’emblema varato in dicembre. Niente simboli dei partiti costituenti: niente Sole che Ride, e, anche, niente falce e martello. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci che si era battuto per il riconoscimento dei singoli simboli di partito, alla fine ha votato con gli altri leader.
Di certo, ad oggi, la costituente socialista di Boselli e Angius, ai quali ieri mattina erano stati costruiti sulla riva sinistra ponti dagli esponenti di Sd Massimo Villone e Francesco Barra, non sarò parte del progetto. «Rispetto molto la scelta dei socialisti ma c’è una differenza programmatica rilevante - stoppa subito il candidato premier della Sinistra Fausto Bertinotti - Nel momento in cui le elezioni politiche vengono combattute, da questo punto di vista giustamente, su un terreno programmatico c’è una sfida a presentare programmi compatti e omogenei». Boselli, dal canto suo, ribadisce, che non era nell’orizzonte politico un accordo con la Sinistra Arcobaleno. Resta, per i socialisti, la terza via, non facile: correranno da soli con il proprio simbolo e la propria lista. Restando alla Sinistra Arcobaleno, rimane ancora nell’orizzonte delle possibilità il ticket tra l’attuale Presidente della Camera e Rita Borsellino. Sul versante della rappresentanza di genere, su richiesta di Grazia Francescato e di diverse esponenti della coalizione, è già in agenda un incontro con Bertinotti. Sulle liste è già stato disposto un tavolo tecnico dedicato. Ne fanno parte gli esponenti di Rifondazione Ciccio Ferrare e Walter De Cesaris, i Comunisti italiani Pino Sgobio e Fabio Galante, i Verdi Angelo Bonelli e Marco Lion, gli esponenti di Sd Titti Di Salvo e Marco Fumagalli.
Per adesso si studiano i criteri per la formazione delle liste. Bertinotti, salvo sorprese, non potrà essere candidato in tutte le circoscrizioni come inizialmente previsto. La bozza del programma (un documento snello di 15-20 punti) sarà presentata lunedì.
Repubblica 13.2.08
Oggi il logo della Sinistra arcobaleno. "Quell´antico emblema è nel nostro cuore ma nel XXI secolo serve altro"
Bertinotti congeda falce e martello "Prodi timido su salari e pensioni"
"Mi chiedete chi voglio che vinca tra Veltroni e Berlusconi? Innanzitutto preferisco che perda il Cavaliere"
di Umberto Rosso
ROMA - Domanda: meglio che vinca Berlusconi o Veltroni? Risposta, di Fausto Bertinotti: «Mettiamola così: preferirei che a perdere fosse Berlusconi». Tremonti lo incalza, quindi meglio che non vinca Veltroni? «Qui mi fermo, ho detto, come parlavano i capi indiani...». Ma, e lo aveva già spiegato all´inizio, «il vero voto utile è per la sinistra». Scende il campo il candidato premier della Cosa rossa. Il simbolo c´è, i quattro segretari (fra le sofferenze e le proteste di Oliviero Diliberto) l´hanno licenziato nel pomeriggio. Sinistra-Arcobaleno, senza falce e martello. L´ha spuntata (con caratteri leggermente più grandi) il logo che aveva debuttato agli stati generali dei quattro partiti. Non ci sarà nel "cerchietto" neanche il nome di Fausto Bertinotti. Ma, anche se non "dentro" il marchio elettorale, il presidente della Camera è ormai ufficialmente in campo come candidato premier della sinistra. Il debutto ieri sera, ospite di "Ballarò" insieme a Tremonti, Franceschini, Pezzotta, e le prime parole sono state appunto per sottolineare la rinuncia alla falce e martello, «che fa parte dei simboli importanti, pesanti, che continueremo a portarci nel cuore ma noi vogliamo costruire la sinistra del XXI secolo». Da soli, sinistra unita, perché l´alleanza con i riformisti del Pd «non è possibile, anche se in questi anni abbiamo tentato di tutto, comprese le acrobazie elettorali come la desistenza». Lista unica e unico gruppo in futuro alle Camere, annuncia Bertinotti, «ci sarà un gruppo parlamentare espressione di questa lista», e prevede già da subito delle «pre-iscrizioni» al nuovo soggetto (nei giorni scorsi è partita un´iniziativa in questo senso lanciata dalle associazioni vicine a Pietro Folena). Rivolte a movimenti e organizzazioni esterne. «Uso con cautela il termine partito perchè penso che oggi ci sia bisogno di una riforma profonda della politica e che questo soggetto unitario e plurale non debba essere fatto soltanto dalle quattro forze politiche che oggi lo compongono ma di altre voci, di tantissime associazioni, organizzazioni, movimenti, singole persone».
Polemico, il presidente della Camera, su alcune scelte del governo. La riforma delle pensioni, «c´era bisogno dei morti per capire che alcuni lavoratori devono andare in pensione prima?», e la gestione del tesoretto. «Siamo andati perfino sotto il 2 per cento che ci chiedeva l´Europa nel rapporto fra deficit e Pil. Mi chiedo: invece di arrivare all´1,3, non si potevano aumentare salari e stipendi?». Anche il Pd nel mirino del presidente della Camera, sia pure sempre con toni soft e con il riconoscimento della necessità di una complessiva riorganizzazione del sistema politico. «Ma sotto il cielo ci sono molte più cose che quelle che si possono immaginare, per cui voler imprigionare tutto in un sistema bipartitico sarebbe un´operazione disastrosa». Così come - anticipando quello che sarà un leit motiv della sua campagna elettorale - Bertinotti ha contestato a Franceschini una marcia indietro del Pd sui temi del diritti civili. «I grandi partiti in realtà al loro interno si comportano come coalizioni. Il Pd sulle unioni di fatto e sull´aborto sta con la Binetti o con il riconoscimento di questi diritti, previsti nel programma del governo Prodi? E sul contratto dei metalmeccanici, con la Fiom o la Federmeccanica?». Risposta del numero due del Pd: «La 194 deve restare così com´è, orribile usare questi temi per la campagna elettorale. E le coppie di fatto vanno regolamentate anche se non equiparate ad una famiglia».
Toni distesi sfida leale. Già nel pomeriggio, a domanda, del resto Bertinotti rispondeva di non poter escludere in via di principio la possibilità «che un elettore di sinistra possa votare Pd». Una battuta appena che però non è piaciuta per niente al ministro verde Pecoraro Scanio. «Bertinotti è troppo signore per attaccare frontalmente il Pd. E´ il presidente della Camera ma anche il nostro candidato premier. Come dovrebbe votare un elettore di sinistra che vuole meno precarietà, per il Pd che offre la candidatura a Montezemolo o per noi che vogliamo abrogare la legge 30?».
l’Unità 13.2.08
Blitz per interrogare la donna che abortisce
Napoli: una chiamata al 113 fa scattare gli agenti in ospedale. «194 rispettata». Turco: caccia alle streghe
di Anna Tarquini
IMMAGINATEVI la scena: sette poliziotti che irrompono in una corsia d’ospedale liberi di entrare nella stanza dove una donna ha appena finito di partorire un feto morto per aborto terapeutico alla ventunesima settimana (cioè perché gravemente malforma-
to). La interrogano, le mettono sotto il naso quel corpicino domandando «È suo figlio?», poi si rivolgono alla vicina di letto: «Lei cosa sa? O parla con noi o lo farà in tribunale», infine sequestrano insieme cartella clinica e «aborto» e formulano un capo d’imputazione: feticidio, articolo 578 del codice penale. È l’effetto Ferrara, l’effetto della moratoria sull’aborto, della lettera-denuncia dei medici che diceva «il feto abortito deve essere rianimato» e del clima che si sta creando in campagna elettorale intorno alle questioni etiche. Ma è anche la storia, vera, accaduta lunedì pomeriggio a una donna di 39 anni ricoverata all’ospedale Federico II di Napoli. E non ha precedenti. Tanto che il ministro della salute Turco dice: «È una caccia alle streghe».
Tutto inizia, e questo forse è l’aspetto più grave della vicenda perché rappresenta bene il clima, tutto nasce dicevamo da una telefonata al 113 mentre la donna stava abortendo. Qualcuno che dall’altro capo del filo avvisava la polizia: «Correte, in quell’ospedale si sta eseguendo un aborto illegale, si sta praticando un infanticidio». Non sappiamo se il denunciante sia rimasto anonimo, ma sappiamo dalla questura di Napoli che subito dopo la telefonata al 113 arrivata nel tardo pomeriggio è stato avvisato il magistrato e due pattuglie sono state inviate al Policlinico. Poi è arrivata la denuncia dell’Udi. S.S., la donna, era stata appena portata in sala operatoria per un raschiamento dopo aver espulso il feto come si fa in questi casi, cioè per parto indotto. Primo figlio, desiderato. Ma quando S.S. lo scorso 31 gennaio è andata a ritirare i risultati dell’amniocentesi: l’analisi diceva sindrome di Klinefelter. Un cromosoma in più, 6 neonati affetti ogni mille nati vivi. Il quadro clinico dice: insufficiente virilizzazione, testicoli piccoli, sterilità, elevata statura, ritardo mentale, difficoltà verbali. S.S non se l’è sentita. E così, nel rispetto e nei limiti della legge 194 come affermano gli stessi medici, è ricorsa all’aborto terapeutico. «Il feto presentava un’alterazione cromosomica - spiega ora il professor Nappi direttore di Ostetricia - . Se la gravidanza fosse stata portata a termine ci sarebbe stato il 40% di possibilità di un deficit mentale. La donna ha presentato un certificato psichiatrico della stessa struttura universitaria sul rischio di grave danno alla salute psichica, che ha autorizzato l’intervento».
Nei limiti della 194. Ma la procura di Napoli ha aperto un’inchiesta e soprattutto la polizia ha fatto irruzione in un reparto. «Capisco che gli agenti fossero lì per fare il proprio lavoro - spiega il dottor Leone, il medico che ha in cura la donna - , ma in un momento tanto delicato e doloroso per una donna era necessario avere un po’ più di riguardo per la mia paziente. Era appena uscita dalla sala parto per un aborto». Parla S.S.: «Mi è stato chiesto se per abortire avevo pagato ed ho spiegato che non era stato così. I risultati dell’amniocentesi avevano accertato che il feto soffriva di un’anomalia cromosomica. Ero alla ventesima settimana, inizio della ventunesima». Dal punto di vista della legge - spiega Silvio Viale, ginecologo all’Ospedale S.Anna di Torino ed esponente Radicale - non vi è stata alcuna violazione e la procedura è stata applicata correttamente. «Per il cosiddetto aborto terapeutico è previsto l’utilizzo di farmaci, le prostaglandine, che hanno la funzione di indurre il travaglio. Se tali farmaci non hanno l’effetto previsto dopo la somministrazione di cinque candelette la procedura prevede un periodo di sospensione del trattamento, trascorso il quale si comincia un nuovo ciclo. Proprio ciò che hanno fatto i medici in questo caso. Questione diversa è invece quella relativa alla malformazione da cui era affetto il feto abortito, ovvero la sindrome di Klinefelter. Secondo alcuni - spiega detto Viale - non si tratterebbe di una malformazione tanto grave da meritare un aborto terapeutico. Tuttavia la 194 non prevede la possibilità di aborto oltre i 90 giorni per la malformazione del feto, ma solo per gli eventuali, gravi effetti psicologici che tale situazione può avere sulla madre». Ed è quello che è successo come spiega ancora il dottore Leone: «Nonostante 5 candelette di prostaglandina venerdì non c’è stata alcuna espulsione del feto. Abbiamo ripreso la stimolazione lunedì mattina, ed alle 12 il feto era già morto. La paziente è scesa in sala parto verso le 18 e quando è risalita intorno alle 20 ha trovato gli agenti ad aspettarla».
l’Unità 13.2.08
Biblioteche, il sapere si ferma al tornello
di Tobia Zevi
DAL NORD AL SUD, quelle italiane sono ricche di libri eppure non reggono il confronto con l’Europa. I loro problemi? Iniziano all’ingresso, con uno sbarramento...Poi ci sono i disservizi: l’orario, la prenotazione e un tetto per le richieste
Nell’era del business dei beni culturali, rischiamo di dimenticarcene uno: il libro. Le biblioteche italiane sono generalmente trascurate, pur essendo spesso assai ricche. Quali sono i loro problemi? «Basta entrare per percepire la differenza con quelle estere» spiega Matteo Motolese, associato di Storia della Lingua italiana alla Sapienza, che in pochi anni le ha frequentate da studente e poi come dottorando e ricercatore. «All’ingresso ti accoglie uno sbarramento, per esempio un tornello. Negli altri paesi, invece, l’accesso all’edificio è libero, mentre ci si accredita nelle sale di lettura». Potremmo disquisire sul rapporto tra testo e pubblico in una società protestante e in una cattolica, ma restiamo sul concreto: «La biblioteca deve essere uno strumento di condivisione del sapere» prosegue il professore «e l’architettura può agevolare l’incremento dei lettori. Non è solo un luogo di lavoro per studiosi, ma anche occasione di promozione culturale. Penso alla Public library di Seattle: una sezione per i bambini, un’ altra per l’analfabetismo, un’area centrale a forma di cuore, che rappresenta il fulcro dell’edificio». Da noi sembrerebbe un’eresia. «Dobbiamo unire la capacità di conservare a quella di coinvolgere, come facemmo 20 anni fa con i musei. La Biblioteca nazionale centrale di Roma ha cominciato questo percorso».
E proprio da questo gigante, con pregi e difetti, bisogna partire. Sette milioni di volumi tra cui quasi 120 mila autografi e una media di 50 mila acquisizioni ogni anno; 350 mila visitatori accompagnati da 315 dipendenti di ruolo; circa 28 chilometri di scaffalature, che moltiplicate per dieci piani fanno più o meno la distanza tra Roma e Napoli. Perché qui arriva tutto, in virtù della legge sul «deposito legale» riformata nel 2004: secondo questa norma ogni nuova pubblicazione deve essere inviata alle due Biblioteche nazionali centrali (Roma, appunto, e la gemella Firenze) e ad alcuni enti locali, sia che si tratti di un testo di valore sia che si tratti di un opuscolo qualunque. E quindi numeri da capogiro. «Ma gli utenti, giustamente, cercano l’informazione ed il servizio collegato (fotografie, fotocopie). Naturalmente in tempi brevi e ad un prezzo basso. Un po’ come quando, da militare di leva, chiedevo «una bevanda fresca, abbondante e che costi poco». E mi guadagnavo un gavettone.... L’ormai ex-soldato è Osvaldo Avallone, direttore della Biblioteca nazionale di Roma: «Abbiamo fatto grandissimi passi in avanti negli ultimi anni, nonostante i finanziamenti, tra 2001 e 2006, siano passati da 3,2 milioni di euro a circa 2,2. Ogni biblioteca ha i suoi problemi, che di solito sono strutturali, ed anche noi abbiamo i nostri».
La Biblioteca fu istituita al Collegio romano nel 1876 per volontà del ministro Ruggero Bonghi, essenzialmente composta dalla Biblioteca maior dei Gesuiti e dai fondi delle altre congregazioni religiose soppresse; l’operazione frettolosa fu gravida di conseguenze nel tempo, come dimostrarono numerose commissioni d’inchiesta. Rispetto all’altra biblioteca centrale, quella di Firenze (ospitata in un palazzo del 1936), l’edificio costruito nel 1975 al Castro Pretorio è assai più funzionale: «La dicotomia tra Roma e Firenze potrebbe essere risolta sul modello della Deutsche Bibliothek, tre sedi ma un’ unica amministrazione» ci spiegano dall’Associazione italiana biblioteche (AIB), «anche perché esistono differenze sostanziali: a Firenze viene circa un terzo del pubblico romano, ma più qualificato. Inoltre il nuovo regolamento ministeriale di fine 2007 consente a questi due enti un’ autonomia speciale anche dal punto di vista finanziario, con l’introduzione di meccanismi di fund-raising per migliorare i servizi». La Biblioteca di Roma è oggi un luogo gradevole, talvolta aperto ad eventi come la celebre Notte bianca, con in più una buona tavola calda. Anche se permangono disservizi ingiustificabili: il tetto di tre richieste contemporanee; i pomeriggi senza distribuzione; un orario estivo (il periodo degli studiosi stranieri) da terzo mondo; l’assenza di bibliografia internazionale; l’impossibilità di prenotare i libri sul web. «Si dovrebbe ripartire dal wireless» afferma deciso il professor Motolese «perché la rete oggi rappresenta l’accesso ai testi. Un modo di condividere un patrimonio ad un livello alto, superando la cultura dei congressi». Con le poche risorse a disposizione qui si sono fatti miracoli: «C’è il deficit di spazio. Ma un’altra grande questione è quella del personale» conclude Avallone «sono qui da cinque anni e sono al quarto contratto. Non c’è, in questo settore, un’ attenzione alle risorse umane. I dirigenti non sono tutelati alla scadenza del vincolo, e potrebbero non essere ricollocati. Per non parlare di tutte gli atipici - servizio civile, volontari, stagisti - senza i quali non potremmo andare avanti e che, senza garanzie, non possono fidelizzarsi, pur essendo spesso motivati e preparati».
Un problema, questo del lavoro precario tra i bibliotecari, che da qualche anno ha trovato in rete la sua valvola di sfogo: www.biblioatipici.it racconta di storie professionali fondate sull’incertezza, acuite dalla sensazione di essere diversi («sono un atipico tra gli atipici»). Un tema di grande attualità perché in questo campo l’ultimo concorso nazionale per funzionari risale al 1983 e i posti a tempo indeterminato - già nell’ordine delle poche decine - diminuiscono di anno in anno. Per non parlare di una ricerca del 2003 della Regione Sardegna (peraltro tra le più virtuose), citata dal Rapporto sulle biblioteche italiane dell’Aib 2005-2006, che attestava i lavoratori atipici al 180,9% rispetto ai bibliotecari di ruolo. Quasi il doppio.
«In Italia il patrimonio librario è ricco e la preparazione degli addetti è cresciuta negli ultimi anni, ma nel complesso risulta difficile essere ottimisti...» spiega Paolo Traniello, ordinario di Bibliografia e Biblioteconomia a Roma 3 ed autore per il Mulino del libro Storia delle biblioteche in Italia dall’Unità ad oggi. «Ci sono servizi che funzionano ma anche un deficit in termini di qualità di gestione e di fondi. Bisogna considerare che il sistema bibliotecario è assai variegato: vi sono le biblioteche pubbliche statali (circa 40), tra cui quelle dei ministeri, dei tribunali e di alcuni monumenti nazionali (per esempio Montecassino); poi tutte le locali, previste dall’articolo 117 che attribuisce alle Regioni la responsabilità in materia. E poi tutte quelle ecclesiastiche e dei monasteri...». Negli anni l’importanza delle biblioteche nell’Europa a 25 non sembra essere calata: sono circa 138 milioni gli europei - dati sempre Rapporto AIB - che le frequentano e ogni europeo vi si reca in media 7 volte all’anno, quasi 8 nell’Europa a 15. Vanno assai più forte le istituzioni locali ed universitarie (anche grazie all’enorme aumento degli studenti), mentre le biblioteche nazionali, oggetto di investimenti straordinari (per i nuovi edifici di Parigi, Londra e Francoforte), mostrano segnali di sofferenza. «Negli ultimi anni - ci dice ancora il professor Traniello - si sono sviluppati, a livello locale, soprattutto comunale, molti poli d’eccellenza con servizi di ottima qualità. Si pensi alla “Berio” di Genova, alla “Sala Borsa” di Bologna, alla “S. Giorgio” di Pistoia, ma anche, per esempio, a Vimercate, che nei primi anni Novanta ha avuto finanziamenti per sette miliardi e mezzo di lire. Un fermento che manca a livello di amministrazione centrale. E che purtroppo non tocca il Mezzogiorno, con l’eccezione significativa della Sardegna».
Un capitolo a parte merita la digitalizzazione, che ha compiuto straordinari progressi: l’indice OPAC mette in rete la maggioranza delle biblioteche italiane (www.opac.sbn.it), e sono già partiti i grandi progetti per rendere scaricabili cinquecentine (Edit16) e manoscritti. Il tutto nel quadro della Biblioteca Digitale Italiana, varata nel 2000 dal Ministero dei per i Beni Culturali e coordinata dalla Direzione dei Beni librari. Una mole gigantesca di lavoro ed una vera rivoluzione potenziale, con il dubbio amletico se debbano essere informatizzati solamente gli indici o tutto il testo, come Google sta già facendo. «Il valore storico e civile di una biblioteca nella comunità non è sostituibile da una biblioteca digitale, che è una prospettiva positiva e realistica, ma non esclusiva» chiosa ancora Traniello. E sono in molti tra gli addetti ai lavori che, un po’ per difendere il posto un po’ per affetto verso la carta stampata, ripetono: «Una biblioteca è una biblioteca anche in presenza delle nuove tecnologie».
Corriere della Sera 13.2.08
Il «giuramento» di Pannella «Chiederò un impegno su giustizia e riforme economiche»
«Con Walter non farò il laicista»
di Andrea Garibaldi
ROMA — «Abbiamo conquistato un incontro con Veltroni — dice Marco Pannella — Finora avevamo solo letto sui giornali i rifiuti del Pd nei confronti dei radicali...».
L'incontro è per questa mattina, ore 9 e 30, al loft del Pd, piazza Sant'Anastasia. Come pensano i radicali di convincere Veltroni a fare coalizione con loro? «Diremo: mettiamo al centro del programma due temi. La giustizia e le riforme economiche e strutturali richieste da Bankitalia, dalla Ue, dal Fondo monetario internazionale e dall'Osce, riforme come quelle sollecitate dagli economisti Ichino e Boeri». Quindi, nessuna pregiudiziale laicista? «Non chiediamo giuramenti laicisti. Non possiamo pretendere che Veltroni e Rutelli si mettano a fare i laici. Anche se...». Anche se? «Fuori dall'incontro del loft, noto che la Binetti si è dichiarata totalmente d'accordo con Berlusconi e Ferrara, sull'aborto».
Pannella, Bonino, Cappato e Bernardini diranno altre cose a Veltroni per convincerlo. Per esempio, che una coalizione permetterebbe di «non rassegnarsi a perdere». Secondo Pannella, «la destra si presenta gravata da condizionamenti vari, in base ai quali Berlusconi, fino all'ultimo momento, aprirà o chiuderà porte. Noi invece possiamo davvero unire le forze riformatrici e creare una valida alternativa politica non agibile fino ad oggi».
Spiega Pannella che «il mondo comunista conservatore» non fa più parte della possibile coalizione e lo stesso vale per Mastella: «Ci si può quindi presentare con prestigio e autorevolezza per mettere mano alle riforme sociali ed economiche che tutto il mondo ci chiede. Dare finalmente il via a un rinnovamento libero dalle precedenti pesantezze, con una coalizione omogenea, di sicuro più forte della gestione monarchica di un partito».
Se nell'incontro di questa mattina Veltroni proponesse ai radicali di entrare nelle liste Pd, senza simbolo né nome? La risposta è di Emma Bonino: «La nostra proposta è chiara. Se loro ne faranno altre, staremo a sentire».
Liberazione 13.2.08
Franco Giordano: «Lavoro, moralità, laicità. Questa la sfida»
Dal forum di Rifondazione, intervento a tutto campo del segretario:
«Il nuovo progetto politico non può essere un mero cartello elettorale»
di Castalda Musacchio
«Ci sono cose che appaiono e sono incomprensibili. E' legge dello Stato l'utilizzo delle risorse dell'extragettito solo ed esclusivamente a favore del lavoro dipendente. Sinora si è costantemente sottostimata la crescita e così sono risultati non spesi svariati milioni di euro. Le risorse ci sono, è un dovere morale detassare il lavoro dipendente e intervenire su retribuzioni e pensioni. Chi deve vivere con mille euro al mese non può aspettare ancora. Il Governo proponga immediatamente in Parlamento questo provvedimento. Vogliamo vedere in faccia coloro che si opporranno a questa elementare e sacrosanta norma di redistribuzione sociale». E' così che, mentre il calo delle tasse e l'aumento dei salari scalda la campagna elettorale, e si accende la nuova polemica sul "Tesoretto" che Franco Giordano, il segretario di Rifondazione, puntualizza quali sono i nuovi temi della battaglia politica che la Sinistra - l'Arcobaleno dovrà affrontare. E, tra una replica a Padoa Schioppa, e le risposte, tante, fornite sul forum a disposizione di tutti del sito di Rifondazione (www.rifondazione.it) non manca occasione per fissare su un timone preciso quale è la rotta che la nuova Sinistra è decisa ad inseguire: non solo redistribuzione del reddito ma diritti. Diritti civili, sociali, individuali che continuano ad essere negati ai più. E ancora lavoro, lotta alla precarietà, difesa dell'ambiente inteso come un no netto al nucleare e sì fermo alle energie rinnovabili, e ancora laicità. In uno slogan: riscoperta di «una moralità pubblica che deve tornare ad essere questione centrale nel paese».
E così le risposte ai tanti che affollano il forum toccano i temi al centro del dibattito che vede ben delineati gli schieramenti che si oppongono. Da una parte il Pd e il Pdl, dall'altra l'altra Sinistra, quel nuovo progetto che, sottolinea Giordano, «non può essere un mero cartello elettorale, ma deve, al contrario, coinvolgere, far partecipare e decidere anche i tanti, forse i più, che sono fuori dalle quattro formazioni politiche». Un progetto su cui Rifondazione comunista ha puntato, anzi lo ha inserito «al centro della sua scelta strategica» e - sottolinea Giordano - «anche congressuale». Ed è a questo proposito che - spiega ancora il segretario Prc - «raccogliamo l'appello di diverse associazioni ad aprire immediatamente nel paese una fase costituente in cui soggetti politici organizzati, associazioni, realtà di movimento, esperienze di conflitto sociale, singoli individui decidono di aderire direttamente al soggetto unitario e cominciano sin d'ora a dargli corpo». Il percorso non è solo avviato ma si va corposamente costruendo. E si esprime con chiarezza. Nei contenuti soprattutto. A partire da quel tema della democrazia di genere che - sottolinea ancora Giordano - «è assolutamente fondativo». A tal proposito la Sinistra - auspica il segretario Prc - «proporrà liste che abbiano l'alternanza uomo/donna e la certezza che questa alternanza possa trovare uno sbocco nella rappresentanza». Del resto Rifondazione già due anni fa risultò essere la forza che portò in parlamento il 40% di donne, «in assoluto la forza che ne ha portate di gran lunga di più. Oggi si tratterebbe di fare uno sforzo, tutti insieme, per un 10% in più». Dalla questione di genere al riconoscimento di quei diritti che sono negati il passo è breve. «Tanto più forte sarà la Sinistra», aggiunge, «tanto più avremo un'influenza parlamentare sulla materia dei diritti civili». Piena sintonia dunque con il movimento Lgbtq, «sintonia su ciascuna delle proposte avanzate». «Il nostro - puntualizza Giordano - da questo punto di vista resta un paese del tutto incivile. Abbiamo dovuto fare mediazioni pur di ottenere un qualche risultato, ma le contraddizioni interne al Pd hanno reso impossibile tutto. Oggi è bene che l'identità della Sinistra faccia emergere in tutta la sua forza il tema della laicità». E proprio la laicità sarà il perno intorno a cui si muoverà la Sinistra-l'Arcobaleno. Laicità che coinvolge il rispetto di tutti e, soprattutto, di tutte. «Non c'è ombra di dubbio infatti: siamo contrari a qualsiasi ipotesi di moratoria per l'aborto, l'autodeterminazione delle donne è principio non derogabile su una materia delicata come questa». E proprio su questo tema «il Pd è inaffidabile». Toccherà alla nuova Sinistra «contrastare ogni tentativo di mediazione al ribasso su leggi importanti a partire dalla 194». Laicità dunque ma anche moralità «che deve tornare ad essere questione centrale nel paese». Così come la riduzione dei costi e dei privilegi della politica che resta un'altra delle battaglie su cui la Sinistra è decisa ad incidere. «Abbiamo depositato per primi - ricorda - un testo di legge che prevede, per tutti i lavori pubblici, un minimo ed un massimo senza grandi sperequazioni. Ma in Italia - aggiunge il segretario di Rifondazione - esiste una questione morale che è fatta di degrado della politica, di commistione con il malaffare di plurincarichi. Credo sia altresì utile - sottolinea - valorizzare le risorse pubbliche e ridurre consulenze e Cda». Moralità dunque, laicità, lavoro, diritti: sono questi i temi su cui la nuova Sinistra si appresta a lanciare la sua sfida. «E - conclude - dopo la scelta del simbolo non si può che accelerare per la costruzione del nuovo».
Liberazione 13.2.08
Non esiste il reato di feticidio, casomai esiste l'infanticidio
di Laura Eduati
Non esiste il reato di feticidio, casomai esiste l'infanticidio. Nel codice penale italiano viene definita così la soppressione di un bambino appena nato con parto naturale.
Ma il feticidio no, è un'invenzione degli agenti che hanno fatto irruzione nella sala di interruzione di gravidanza del Policlinico Ferdinando II di Napoli. Seminando lo sgomento tra i medici e le donne impegnate a difendere la 194.
«Un fatto di enorme gravità» commenta a caldo l'avvocata femminista milanese Maria Grazia Campari. «A mia memoria non è mai successo qualcosa del genere negli ultimi 30 anni. E sicuramente è colpa di un clima anti-abortista pompato dal Papa e dalla moratoria di Ferrara che purtroppo trova simpatizzanti a destra e a manca».
L'Udi, l'Unione delle donne in Italia che ha denunciato l'episodio, ha deciso di scendere in piazza giovedì a Napoli per protestare. «Manifestare non è più sufficiente» continua, amara, Campari. «I movimenti femminili sono stati carenti negli aspetti giuridici, ora è tempo di ricorrere ai tribunali». Per denunciare cosa? «Beh, ad esempio quegli ospedali che non garantiscono l'interruzione di gravidanza perché tutti i medici sono obiettori, come accade in Lombardia».
Tempi duri, prosegue la ginecologa Mirella Parachini del S. Filippo Neri di Roma. Dal semplice dibattito sui giornali, dice, si è passati alle vie di fatto. Parachini è membro dell'associazione Luca Coscioni, da sempre in prima linea per la difesa del diritto all'aborto: «L'articolo 9 della legge è completamente disatteso: quando un ospedale non può garantire l'aborto è obbligato a cercare una struttura dove sia possibile fare l'intervento. Ma questo non succede».
La 194 garantisce l'aborto terapeutico (oltre il novantesimo giorno) quando la gravidanza comporta seri rischi alla salute della donna o in caso di gravi malformazioni del feto con conseguente pericolo per la salute fisica e psichica della gestante. La legge, approvata nel 1978, non precisa i limiti per l'aborto terapeutico che oggi sono fissati convenzionalmente attorno alla 22-23ma settimana; e impone che nel caso il feto sia provvisto di vita autonoma, il medico deve fare in modo di salvaguardarne l'esistenza.
Il dibattito di queste settimane, come quello scaturito in seguito al documento dei quattro ginecologi romani che ordina la rianimazione dei feti anche contro la volontà della madre, sta tutto qui. E tra l'altro sono soltanto lo 0,7% gli aborti oltre la ventesima settimana, cioè gli interventi che in via eccezionale potrebbero fare abortire feti vivi. «Due di quei quattro ginecologi romani lavorano in strutture ospedaliere universitarie dove manca il reparto di ostetricia» denuncia Parachini, «e dunque perché fanno la morale a persone che hanno le mani in pasta tutti i giorni?».
Il tempo delle parole, sembra di capire, è finito. Campari propone azioni giuridiche, la ginecologa del San Filippo Neri controbatte: «Sì, dovremmo diventare più aggressive. Ma ricordiamo che le donne che scelgono di abortire soffrono e non hanno voglia di lottare. In questo senso allora serve il movimento, ma chi lotta da 30 anni accusa stanchezza mentre le nuove generazioni sembrano non percepire il pericolo».
Un ginecologo che pratica un aborto non può commettere il reato di infanticidio, semmai può violare la 194 nel caso non dia le cure necessarie ad un feto dotato di vita autonoma o pratica l'aborto terapeutico senza giustificazione medica (da uno a quattro anni di carcere). Lo stabilisce la legge.
Un compromesso che tiene conto della possibilità di autodeterminazione della donna e vieta il cosiddetto aborto selvaggio. La magistratura, confermano gli esperti consultati da Liberazione , ha certo il diritto di verificare se esistono i presupposti per l'aborto terapeutico, se è vero che la malformazione del feto provoca gravi disagi psichici alla donna che desidera abortire. Ma non sfugge la crescente criminalizzazione delle donne, dipinte come assassine di bambini indifesi da un fronte ultracattolico, quando invece è una legge dello Stato che garantisce l'intervento.
«Soltanto la donna può gestire il proprio corpo» sbotta l'avvocata Teresa Manente di Differenza donna, associazione in difesa delle vittime della violenza domestica. Stupefatta, Manente cerca di trovare le parole giuste per esprimere la rabbia: «C'è la voglia di far riesplodere la cultura patriarcale, l'uomo vuole gestire il potere naturale delle donne, quello di procreare».
«Questo è solo l'inizio» dice una giudice milanese che preferisce rimanere anonima.
Liberazione 13.2.08
Marramao evoca Benjamin
la politica è azione nell'attimo
di Giacomo Marramao
Nel suo ultimo libro "La passione del presente" lo studioso ridà alla filosofia il compito di analizzare il proprio tempo. E riprende il pensiero del filosofo tedesco per il quale la potenza rivoluzionaria del messianico è tale quando è colta nella sua specificità
Pubblichiamo stralci dell'ultimo libro di Giacomo Marramao "La passione del presente" (Bollati Boringhieri, pp. 291, euro 10,00).
Nessun autore come Walter Benjamin è riuscito a esprimere la segreta cifra messianica che percorre, come una fenditura verticale, la struttura antagonistica della nostra modernità-mondo. E' questa decisiva circostanza a fare delle tesi «sul concetto di storia» un testo letteralmente estremo: a un tempo testamentario e testimoniale. Un testo che pare rivolto direttamente a noi: a noi tutti, collettivamente intesi, ma anche a ciascuno di noi, a chiunque sia in grado di coglierne la straordinaria tensione interna.
La chiave di lettura delle tesi Über den Begriff der Geschichte , che intendo qui prospettare, è espressa in forma deliberatamente provocatoria da un ossimoro: messianismo senza attesa . Sintagma letteralmente para-dossale : in contrasto con la doxa , con ogni common sense o opinione corrente circa i caratteri tradizionalmente attribuiti al «messianico». Come può darsi, in senso proprio, messianismo senza «orizzonte di aspettativa»: a prescindere, appunto, dalla dimensione dell'attesa messianica? E il venir meno dell'attesa non costituisce, allora, ragion sufficiente del dissolvimento della tensione messianica in quanto tale? Si trova qui racchiusa - è mia ferma convinzione - la cifra segreta di un testo a un tempo translucido ed enigmatico, che può ricevere un senso compiuto solo ricomponendo la costellazione multipolare dei suoi referenti concettuali e simbolici: reinterpretando, cioè, la radicalità del suo nucleo teologico-politico nella forma di un messianismo non semplicemente secolarizzato (come accade alle filosofie della storia stigmatizzate criticamente da Karl Löwith), ma - insieme - postsecolare e postreligioso. In breve: il tratto paradossale del messaggio benjaminiano di «redenzione» consiste nel suo simultaneo collocarsi al di là del profilo ancipite, del volto di Giano, del Futurismus occidentale, simboleggiato per un verso dalla promessa di salvezza delle religioni monoteistiche, per l'altro dalla Fortschrittsgläubigkeit della moderna filosofia della storia. Cercherò, dunque, di dimostrare come la singolare figura di un messianismo-senza-attesa si leghi in Benjamin alla proposta di un «Begriff der Geschichte» non dopo la fine della Storia, bensì dopo la fine della fede nella Storia.
Fine dei tempi e tempo della fine
La chiave esplicativa ci è fornita da quella che - nell'importante versione dattiloscritta rinvenuta da Giorgio Agamben - si trova numerata come tesi XVIII. Si tratta di una tesi cruciale, la cui traiettoria prospetta una declinazione del messianismo esattamente nella direzione che abbiamo prima messo in evidenza. Afferma Benjamin nell'incipit della tesi: «Nell'idea della società senza classi, Marx ha secolarizzato l'idea del tempo messianico». E subito dopo aggiunge: «Ed era giusto così». La degenerazione avviene più tardi, nel momento in cui la veduta ideologica affermatasi nel movimento operaio socialdemocratico opera una sorta di sublimazione della Vorstellung in Ideal . «La sciagura sopravviene per il fatto che la socialdemocrazia elevò a "ideale" questa idea». Il piano inclinato verso la disattivazione della carica politico-messianica ha luogo, pertanto, con la dottrina neokantiana del «compito infinito» (divenuta la Schulphilosophie , la «scolastica», del Partito socialdemocratico - precisa Benjamin - con intellettuali e dirigenti come Robert Schmidt, August Stadler, Paul Natorp e Karl Vorländer). Ma, una volta definito il fine della società senza classi come un movimento asintotico orientato da uno schema ideale, «il tempo omogeneo e vuoto si trasformò, per così dire, in un'anticamera nella quale si poteva attendere, con maggiore o minore tranquillità, l'ingresso della situazione rivoluzionaria». Il carattere passivo dell'attesa non è, allora, una prerogativa del messianico, ma piuttosto di un concetto trascendentale e indifferenziato del tempo storico, incapace di cogliere la costellazione insieme singolare e «vertebrata» del presente. E infatti, proseguendo nella lettura della stessa tesi, troviamo il tema dell'«attimo» ( Augenblick ). E' ormai acclarato, grazie ai risultati dell'esegesi benjaminiana degli ultimi anni, che la categoria di Augenblick svolge, nel corpo delle tesi, una funzione nettamente distinta da quella di Jetztzeit : dell'«adesso» o del «tempo-ora». Perché, dunque, in questo cruciale passaggio della tesi, si parla di Augenblick e non di Jetztzeit : di attimo e non di tempo dell'adesso? A questa domanda non vi è, a mio avviso, che una sola plausibile risposta: perché soltanto se noi agiamo per affrettare l'avvento, l'azione rivoluzionaria può essere definita un'azione propriamente messianica. Ma - qui sta il punto decisivo - ogni monade del tempo storico è suscettibile, se adeguatamente afferrata nel concetto, di essere trasformata in messianische Endzeit : in messianico tempo-della-fine. Ma andiamo, allora, direttamente al testo: «In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chance rivoluzionaria - essa richiede soltanto di essere intesa come una chance specifica, ossia come chance di una soluzione del tutto nuova, prescritta da un compito del tutto nuovo. Per il pensatore rivoluzionario la peculiare chance rivoluzionaria trae conferma da una data situazione politica. Ma per lui non trae minor conferma dal potere delle chiavi che un attimo possiede su di una ben determinata stanza del passato, fino ad allora chiusa. L'ingresso in questa stanza coincide del tutto con l'azione politica; ed è ciò per cui essa, per quanto distruttiva possa essere, si dà a riconoscere come un'azione messianica».
L'attimo del pericolo
Reinterpretato alla luce di questo cruciale passaggio delle tesi, il messianico benjaminiano acquista un senso nuovo e più intenso. Più precisamente: esso si colloca al punto di incrocio tra «attimo» ( Augenblick ) e «passato» ( Vergangenheit ) - fuori di ogni simbolica infuturante dell'attesa. Ogni istante reca in sé la dynamis , la potenza o virtualità del messianico: a condizione che esso venga concepito - begriffen : ossia, alla lettera, «colto, afferrato» - nella sua singolare, irripetibile, specificità. E solo quando l'azione politica si fa riconoscere come azione messianica, la Jetztzeit si converte in Augenblick . Ma vi è di più. Le costellazioni del tempo-ora si convertono nell'attimo non in virtù di una tensione utopica verso il futuro, ma per il fatto che il «ricordo» ( Erinnerung ) del passato degli oppressi - com'è detto nella tesi VI - «balena in un attimo di pericolo». E' nell'immagine del passato, dunque, e non in una qualche «progettazione» del futuro, che si trova depositata la chiave della conversione reciproca di messianismo e materialismo storico: «Per il materialismo storico
l'importante è trattenere un'immagine del passato [ Bild der Vergangenheit ] nel modo in cui si impone imprevista nell'attimo del pericolo». E' in quell'imprevisto e imprevedibile «balenare» che deve entrare in campo l'azione rivoluzionaria. Ed è precisamente in quell'attimo che ci troviamo nel tempo propriamente messianico. Ma se messianico non è in senso proprio il tempo dell'attesa, esso non è neppure la mera Jetztzeit . La densità monadica del Nunc , dell'Ora, dell'Adesso, è piuttosto l'oggetto dell'interprete: dello storico capace di cogliere la costellazione determinata del presente nella Darstellung . Il tempo messianico è invece tempo dell'azione: poiché solo nell'azione si diviene soggetti rivoluzionari, soggetti in grado di operare una conversione del politico nel messianico.
il Riformista 13.2.08
L'Arcobaleno, anomalia positiva
La leadership di Bertinotti non dovrebbe preoccupare
di Federico Coen
La crisi del governo Prodi, per il modo in cui è avvenuta e per gli sviluppi politici che ne sono seguiti, non fa che aggravare l'anomalia italiana rispetto all'Europa. Prima di tutto, la coalizione del cosiddetto Ulivo è andata in crisi non per il fallimento di alcuni dei suoi impegni programmatici ma per il capriccio di un personaggio come Mastella al quale era stata incautamente assegnata la funzione di ministro della Giustizia e che di questa sua carica si è servito a lungo per bloccare le inchieste giudiziarie nelle quali era personalmente coinvolto, anziché darsi carico dell'inefficienza e della paralisi ben nota del nostro sistema giudiziario.
In secondo luogo, nonostante i meritori tentativi contrari compiuti dal presidente Napolitano, saremo costretti a eleggere il 13 aprile il nuovo Parlamento sulla base di una legge elettorale che tutti i partiti di destra e di sinistra considerano pessima, senza tuttavia impegnarsi a radicalmente modificarla. Una contraddizione che non ha riscontro in nessuna delle altre elezioni politiche che si svolgono in Europa, e che avrà inevitabilmente le sue ripercussioni sul futuro Parlamento nazionale.
L'anomalia italiana si riproduce nel modo in cui i partiti politici si vanno preparando al voto di aprile. Sul lato sinistro, la novità predicata da Walter Veltroni con il suo Partito democratico appare niente altro che un ritorno al passato: a un passato remoto come quello che nell'Assemblea Costituente unì i comunisti e i democristiani nel voto sul famigerato articolo 7 della Costituzione che costituzionalizzò i Patti Lateranensi; a un passato prossimo come quello che ancora una volta è destinato a mantenere la sinistra italiana fuori dello schieramento socialista europeo. Non è un caso se la Costituente Socialista di Enrico Boselli è stata tenuta fuori dal partito di Veltroni e di Rutelli, ed è costretta a raccogliere un gruppetto di socialisti craxiani senza nessuna prospettiva.
Tuttavia, di fronte a queste anomalie negative, c'è finalmente un'anomalia positiva, con la nascita della cosiddetta Sinistra Arcobaleno, in cui la sinistra del vecchio partito dei Ds, ormai sepolto, si unisce alla ex sinistra massimalista di Rifondazione in un progetto innovativo.
A tale proposito, la leadership di Fausto Bertinotti non dovrebbe suscitare preoccupazioni, dal momento che il personaggio - come ha notato Giovanni Pieraccini nell'articolo pubblicato sul Riformista il 29 gennaio scorso - si è liberato ormai da un pezzo del massimalismo operista di stampo marxista che coltivava in passato. Resta naturalmente da chiarire quali saranno in concreto le principali opzioni programmatiche della Sinistra Arcobaleno. In politica estera, la scelta principale dovrà consistere ovviamente nell'adesione al Pse a cui Veltroni e i suoi seguaci margheritini sono nettamente contrari.
Non meno importante sarà la tutela della laicità dello Stato contro l'invadenza della Chiesa cattolica che si avvale dei Patti Lateranensi per mantenere immensi privilegi fiscali che non hanno riscontro nel resto d'Europa, e che negli ultimi tempi ha sferrato pesanti attacchi contro la legislazione italiana in materia di aborto e di divorzio.
Non meno importante sarà un programma finalizzato a sanare due piaghe che colpiscono la vita quotidiana degli italiani: la paralisi della giustizia penale e civile e la crisi dell'assistenza sanitaria che ha il suo epicentro nelle regioni meridionali.
E ancora l'opzione ambientalista assunta dalla Sinistra Arcobaleno dovrà tradursi in un programma specifico per porre fine alla manomissione dell'ambiente naturale che colpisce gran parte dell'agricoltura italiana. Ed è forse superfluo ricordare a chi se ne occupa da sempre la condizione di precarietà in cui vive tanta parte dei lavoratori dipendenti; una condizione che ha il suo riflesso nella moltiplicazione in Italia più che altrove delle cosiddette "morti bianche".
A mio avviso, non si tratta di stipulare specifici accordi programmatici con i veltroniani o con altri eventuali soggetti di sinistra. Si tratta piuttosto di coinvolgere nel sostegno ai programmi della Sinistra Arcobaleno le tante organizzazioni che già istituzionalmente se ne danno carico: dai sindacati di tutte le Confederazioni alle numerose associazioni dei consumatori, alla Lega Ambiente, ai Medici Senza Frontiere, e così via. E si tratta soprattutto di coinvolgere tutte queste organizzazioni nella scelta dei candidati alle elezioni di primavera, superando la tradizionale tendenza dei partiti storici a imporre dall'alto le proprie scelte elettorali. Così davvero l'Italia potrà cambiare!
il Riformista 13.2.08
La fermezza del Psoe
Caro direttore, mercoledì scorso il suo giornale apriva con un bellissimo commento sul tifo e l'invidia suscitati, nei nostri cuori teocratizzati, dalla fermezza del Psoe spagnolo in tema di laicità dello Stato. Ora a questa verità si aggiunge la notizia che possiamo invidiare gli spagnoli in genere, dal momento che la loro voglia di libertà è tale da suggerire persino al Partito popolare di Rajoy di tenere la Chiesa fuori dalla campagna elettorale e di affermare che le leggi in tema di diritti civili firmate da Zapatero non verrebbero toccate in caso di avvicendamento al governo. Da noi? Giusto il contrario. E mentre qui manca pochissimo che nei programmi elettorali bipartisan venga inserito il concorso in omicidio per le donne che abortiscono spontaneamente, chiediamo ai cugini spagnoli se non hanno per caso un posticino in Galizia, chessò a Santiago de Compostela, per ospitare un'enclave vaticana e lenire almeno parzialmente la nostra invidia?
Paolo Izzo