mercoledì 27 febbraio 2008

IL NUOVO NUMERO DI MICROMEGA NELLE EDICOLE DA VENERDI 29 CONTIENE:

Il papa oscurantista. Contro le donne, contro la scienza” è l'inequivocabile titolo del quaderno speciale di MicroMega, che sarà in edicola da venerdì 29 febbraio. Il volume è composto da due parti. La prima risponde con puntualità scientifica e con indignata moralità alla crociata oscurantista che vuole criminalizzare la libertà delle donne e portare diritti civili e laicità indietro di mezzo secolo. Il volume è aperto dall'appello lanciato lo scorso 14 febbraio da 13 autorevolissime donne (Simona Argentieri, Natalia Aspesi, Adriana Cavarero, Cristina Comencini, Isabella Ferrari, Sabina Guzzanti Margherita Hack, Fiorella Mannoia, Dacia Maraini, Valeria Parrella, Lidia Ravera, Rossana Rossanda ed Elisabetta Visalberghi) e che on-line (www.firmiamo.it/liberadonna) ha già ottenuto oltre 40 mila firme. Una delle proposte dell'appello – l'abolizione dell'obiezione di coscienza sull'aborto - è ripresa da un articolo di Carlo Flamigni, che propone che i reparti di ginecologia non assumano più medici obiettori. Il neonatologo del Meyer di Firenze, Gianpaolo Donzelli, spiega perché le cure intensive sui nati molto prematuri siano nella stragrande maggioranza dei casi accanimento terapeutico. E poi interventi di don Enzo Mazzi (che condanna il ritorno del sacro come fonte primaria di violenza), Carlo Alberto Redi (che descrive i paradossi di una Chiesa che “difende la vita” solo a parole), Bruno Brambati (che spiega perché una riproduzione libera e responsabile non c'entra niente con l'eugenetica), Valeria Parrella (che, sulla scorta di un'esperienza diretta, riflette sulle recenti polemiche sulla rianimazione dei nati ultraprematuri).
La seconda parte del volume riporta tutti, ma proprio tutti, i materiali del noto caso Ratzinger/Sapienza: una cinquantina di editoriali e commenti delle principali testate, le lettere che hanno dato il via alle polemiche, i discorsi del papa, di Veltroni e di Mussi per l'inaugurazione dell'anno accademico. Il tutto inquadrato in una dettagliatissima cronologia dei fatti e con un commento inedito di Luca e Francesco Cavalli Sforza, che sottolineano la piena legittimità della protesta dei 67 professori di fisica.

guarda la copertina su www.micromega.net

SOMMARIO

LETTERA APERTA
Simona Argentieri / Natalia Aspesi / Adriana Cavarero / Cristina Comencini / Isabella Ferrari / Sabina Guzzanti Margherita Hack / Fiorella Mannoia / Dacia Maraini / Valeria Parrella / Lidia Ravera / Rossana Rossanda / Elisabetta Visalberghi
Liberadonna

ICEBERG 1
sacre libertà

Carlo Flamigni
Contro le donne, ovvero la crociata del terzo millennio

Margherita Hack
Ingerenze e condiscendenze

Carlo Alberto Redi
La Chiesa contro la vita

don Enzo Mazzi
Horror fondamentalista

ICEBERG 2
liberadonna

Gianpaolo Donzelli
Accanimenti bigotti

Valeria Parrella
Chi gioca a dadi sui corpi delle donne

Cinzia Sciuto
Sulla propria pelle

Bruno Brambati
L’eugenetica non c’entra

Marilisa D’Amico
Persone, diritti, embrioni

Eduard Verhagen
È uccidere o prendersi cura?

Roberta De Monticelli
Ecco perché non firmo

LAICAMENTE

Felice Mill Colorni
Logiche conseguenze

Carlo Flamigni
Aborto, basta obiezione (in appendice: Paolo Flores d’Arcais Aborto, aboliamo l’obiezione per i medici)

ICEBERG 3
verità di fatto

Luca e Francesco Cavalli Sforza
Un papa senza Sapienza

a cura di Emilio Carnevali
I fatti

Francesco Raparelli
Gli studenti del dissenso

Emilio Carnevali
Il caso Maiani

SCRIPTA MANENT
Marcello Cini / Pierluigi Battista/ Alberto Asor Rosa / Ernesto Galli Della Loggia / Giancarlo Ruocco / Giulio Anselmi / Antonio Zichichi / Dario Fo / Adriano Sofri Massimo Cacciari / Paolo Flores d’Arcais Bruno Bertolini / Giorgio Napolitano / mons. Rino Fisichella / Rocco Buttiglione Rosy Bindi / Fabio Mussi / Carlo Bernardini / Paolo Franchi / don Enzo Mazzi / Gianfranco Pasquino / Giovanni Sabatucci Ezio Mauro / Carlo Azeglio Ciampi / Gian Enrico Rusconi / Riccardo Di Segni Franco Piperno / Carlo Cardia / Daniele Garrone / Giorgio Parisi / Giovanni Maria Vian / card. Camillo Ruini Marcello Pera / Joaquín Navarro-Valls/ card. Carlo Caffarra / Roberta De Monticelli Giuliano Ferrara / Pietro Greco /Sergio Givone / David Bidussa / Barbara Spinelli / Massimo Boldi / Gianni Vattimo / Eugenio Scalfari / card. Angelo Bagnasco / Benedetto XVI / Francesco De Martini / Pietro Ingrao / Stefano Rodotà / Walter Tocci / Guido Barbujani / Arturo Romer / Redazione di Confronti / Pietro Stefani
L’affaire Sapienza: commenti (e menzogne)

MEMORIA
Walter Veltroni / Fabio Mussi / Benedetto XVI
I discorsi della Sapienza

SCHERZO

Ennio Cavalli
Dio e la casa sull’albero

Carlo Cornaglia
In versi
Liberazione 27.2.08
Bertinotti: «Da Veltroni, ecumenismo e indeterminatezza».
Sinistra Arcobaleno: 7 punti per smascherare la "truffa" Pd
di Angela Mauro


«Ecumenismo» contro una decisa collocazione di parte: a sinistra. «Indeterminatezza» contro una scelta precisa: essere «benefattori di futuro per far continuare la storia della sinistra in Italia». Fausto Bertinotti non abbandona i toni pacati, ma di sicuro alza il tiro contro il Pd di Walter Veltroni in una campagna elettorale che continua a risultare ostica per la Sinistra Arcobaleno. Ieri mattina alla Camera un vertice tra il candidato premier e rappresentanti dei partiti ha "riordinato" le idee sul programma, che verrà messo a punto in via definitiva oggi in un incontro tra Bertinotti e le segreterie di Prc, Sd, Verdi e Pdci. Sette gli assi tematici: precarietà e salari; espansione del welfare; laicità e diritti civili; ambiente, territorio e mobilità; Europa, spese militari, pace e cooperazione; conoscenza, scuola, istruzione, ricerca; costi e privilegi della politica. Obiettivo: smascherare la "truffa" Pd. Perchè la bandiera della precarietà, scoperta di recente da Veltroni, è semplice fumo negli occhi degli elettori: non c'è nulla di più dei mille euro mensili per i precari annunciati dal leader. Il programma della Sinistra Arcobaleno vuole «fare molto di più», contrattacca Bertinotti, perchè «si può». Dunque, se la domanda è "precarietà", la risposta è "salario sociale". Che vuol dire: un minimo di mille euro al mese non solo per chi è precario, ma anche per i disoccupati. Proprio sul salario sociale, però, non mancano le resistenze interne. Questa volta, il fronte critico si concentra in Sd, non convinta che stabilire una retribuzione fissa anche per chi non lavora sia una buona idea di avanzamento sociale.
Il vertice di ieri però è servito anche per ricalibrare il format comunicativo della campagna elettorale. «Maggiore incisività», è stato l'appello comune al candidato premier. «E' in atto una campagna di annientamento e i toni gentili ora non pagano». Osservazione condivisa da tutti, anche dallo stesso Bertinotti. E' presumibile che, man mano che ci si avvicina il voto, i toni della campagna si alzeranno (già le affermazioni della Finocchiaro sul «voto utile» per il Pd e Pdl hanno segnato una consistente impennata). Ma è altrettanto condivisa l'idea di non arrivare a un punto dello scontro tale da determinare reciproche "accuse di tradimento", sempre dietro l'angolo a sinistra.
Approccio assolutamente «non tuttologico», viene sottolineato dai tecnici della Sinistra Arcobaleno al lavoro sul programma. «Vogliamo presentare proposte che rendano concretamente possibile l'abrogazione della legge 30», dice Walter De Cesaris, rappresentante di Rifondazione al tavolo sul programma. Andare nel dettaglio, è il dictat. E così il primo capitolo non si esaurisce al salario sociale, ma propone anche l'introduzione di un orario massimo di lavoro giornaliero. Oggi, infatti, è liberalizzato e certo non si può dire che i turni estenuanti di lavoro non esercitino una qualche influenza nell'incidenza delle morti bianche. Ancora: aumenti salariali non legati alla produttività, l'esatto contrario di quanto propone il Pd. Tradotto, vuol dire fermare la tendenza all'uso selvaggio degli straordinari e aumentare invece il salario in busta paga (con la detassazione degli aumenti) per liberare tempo dal lavoro. Inoltre: introdurre un meccanismo che vincoli salari e pensioni al costo della vita. Non si tratta proprio di un ritorno alla "scala mobile", ma di una "indicizzazione annuale" che permetta l'adeguamento delle buste paga all'inflazione. Va da sè poi la proposta di trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi (già motivo di contesa nel governo Prodi al tempo della firma del protocollo sul welfare). Veltroni, invece, viene fatto notare a sinistra, «candida Colaninno, contrario all'assunzione dopo i 36 mesi». Diritti civili: nel programma il sì a testamento biologico e riconoscimento delle coppie di fatto indipendentemente dall'orientamento sessuale (probabile new entry nelle liste della Sinistra Arcobaleno, il presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso). Il segretario del Prc Franco Giordano denuncia i "non detto" del Pd: «Dice come noi che vanno riconosciute le unioni di fatto? Oppure che la legge 40, una legge medievale, va modificata? Vorrei capire se sui grandi temi si possono fare delle scelte laiche in totale libertà». E, a proposito dello stesso tema, in riferimento alle polemiche scatenate dalle critiche di Famiglia cristiana al Pd dopo l'accordo con i Radicali, lo stesso Bertinotti ammette: «Di fronte alla propensione crescente della Chiesa, in particolare in Italia, a occuparsi della politica, è difficile non parlare di ingerenza. C'è una inversione di tendenza della Chiesa rispetto al Concilio Vaticano II e questo non è bene per il Paese e neanche per la fede». Quanto alla politica estera: ritiro delle missioni a guida Nato, come quella in Afghanistan, da sostituire con interventi coordinati dall'Onu. Ambiente: innanzitutto la tutela del territorio e della salute dei cittadini, non un sì indistinto a termovalorizzatori e grandi opere. E sul tema c'è anche un intento personale di Bertinotti. Per la campagna elettorale, il candidato premier viaggerà prevalentemente in auto: «Ma pianterò degli alberi per compensare l'inquinamento che produrrà il mio viaggiare. Così - dice a Primo Piano del Tg3 - vedrò di contenere il danno...».
Il programma verrà presentato domenica mattina in una kermesse elettorale della Sinistra Arcobaleno al Teatro romano dell'Ambra Jovinelli. Domani, alla Città del Gusto, verrà presentata la campagna elettorale. Con la consapevolezza che l'assedio del Pd («Una vera e propria guerra di sterminio», dice Jacopo Venier del Pdci) si rompe anche esigendo pari trattamento da parte dei mass media. «Vogliamo rompere il meccanismo di censura dell'informazione - denuncia Alfonso Pecoraro Scanio - è inaccettabile che anche il servizio pubblico stia in questo momento facendo la campagna elettorale solo a qualche partito».
Non sono tempi vocati all'allegria. Bertinotti non ostenta quello che non si può ostentare. «C'è poco da ridere», riconosce intervistato da Repubblica Tv. Questa campagna elettorale non è gioiosa, nulla in confronto a quella del 2005 per le primarie, che «era una sorta di liberazione, aveva a che fare con il "candidiamoci contro il governo Berlusconi", c'era una reattività carica di speranze e iniziative. Poi la maggioranza votò Prodi, forse in nome del realismo, noi oggi stiamo pagando quel realismo: allora era un tempo della speranza, oggi è tempo della delusione». Tuttavia, «la lezione di allora va recuperata, restituendo la parola ai giovani. Dobbiamo dare voce ai mille fiori che possono nascere nella società civile. Io direi a quei giovani: Sinistra arcobaleno è una novità, provate a buttarvi dentro e a restituirci un pò di allegria».
Se la campagna è difficile, il dopo-voto è lontano. Un'alleanza con Veltroni? «Mai dire mai...», dice Bertinotti. Ma oggi c'è «una differenza strategica e punti di dissenso rilevanti». Insomma, «ci giochiamo la partita». Il resto si vedrà. Di sicuro, «non si può imprigionare la sinistra al governo. Se ci sono le condizioni per realizzare alcune riforme si sta al governo, se non ci sono si sta all'opposizione».


l’Unità 27.2.08
"Il Pd è ambiguo, il voto utile è per noi"
La sfida di Bertinotti: no al duopolio. La falce e martello? È nel mio cuore
di Annalisa Cuzzocrea

L’ingerenza della Chiesa è un fatto: ingenerose le critiche di Famiglia Cristiana
A rendere più aspra la contesa col Pd è il fatto che la competizione sembra ridotta a due

Roma - Non ci sta a sentirsi dire che quello per la sinistra arcobaleno non è un voto utile. Non vuole subire il "duopolio ossessivo e violento" di Pd e Pdl. Non gli piace sentirsi chiedere perché, invece di candidarsi, non ha ceduto il passo a qualcuno più giovane di lui. Fausto Bertinotti – giacca di tweed e sciarpona blu a proteggere la gola - risponde accalorato alle centinaia di domande che arrivano dagli ascoltatori di Repubblica Tv. "L´ingerenza della Chiesa è un fatto", dice sulle accuse di Famiglia Cristiana al Pd. Ma a Walter Veltroni, non risparmia stoccate: "Il Partito democratico è debole perché indefinito. E non può avere la botte piena e la moglie ubriaca: ha deciso di correre da solo, se perde non dicano che è colpa nostra".
Presidente Bertinotti, cosa pensa della querelle tra Famiglia Cristiana e Walter Veltroni?
«E´ difficile non parlare di ingerenza. Siamo stati abituati a una grande stagione della Chiesa cattolica, quella conciliare, che aveva portato le gerarchie a occuparsi del mondo più che della provincia italiana. Ora assistiamo a un´inversione di tendenza. Su questo terreno trovo incerta la posizione del partito democratico e ingenerosa la critica di Famiglia Cristiana».
Sulla laicità voi puntate molto, l´accordo tra Pd e radicali vi ha messo in difficoltà?
«No anzi. Tutti gli accordi del partito democratico rivelano la sua debolezza. Lo dico chiaramente: il Pd ha un punto di forza nella sua capacità di attrazione, nel suo essere un elemento di unione e di novità. Ma il suo punto debole è proprio l´indeterminatezza dei contenuti e il tentativo di tenere insieme quello che insieme non sta».
I suoi rapporti con Veltroni fino a qualche settimana fa erano migliori, vi sentivate ogni giorno. Ora i toni sono cambiati. Perché?
«Nei confronti del Pd non abbiamo scelto la strada dell´invettiva, ma della competizione. In campagna elettorale il confronto è più acceso, perchè c´è una convergenza nel contrasto a Berlusconi, ma ci sono due idee diverse della società italiana. A rendere un po´ aspra questa contesa è la pressione violenta di un duopolio ossessivo, per cui sembra che la competizione, che in realtà è tra tanti, sia ridotta a due».
Molti si chiedono se votare Sinistra arcobaleno significhi favorire – di fatto – il centrodestra.
«Questa storia del voto utile è decisiva. Ma voglio essere chiaro: noi andiamo alla competizione elettorale in un sistema che non abbiamo voluto. La scelta di andare da soli l´ha fatta il Partito democratico, e il Partito democratico non può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non può dire "vado da solo" per poi scaricare sulla sinistra l´eventuale responsabilità della sconfitta. Così davvero si uccide la politica. Noi non avremmo fatto un accordo come Unione ma il terreno era diverso, c´erano due forze: il Pd e la Sinistra Arcobaleno. Si poteva aprire un relazione, loro non hanno voluto».
Sarebbe stato più facile con la falce e il martello, o con una candidatura più giovane come quella di Niki Vendola?
«Il simbolo della falce e martello sta nel mio cuore e nella mia storia, ma non sento la sua mancanza come una privazione. Dobbiamo dare avvio a una nuova storia, mescolare a quella del movimento operaio il pacifismo, l´ecologismo, il femminismo, la pace. Sulla mia candidatura ho già detto: una candidatura di servizio è molto diversa dall´incarico di direzione di un partito. Questo non toglie che Niki Vendola sia una personalità di primo ordine per la sinistra italiana dal punto di vista culturale, politico e di governo».
Bisogna andar via dall´Afghanistan, o no?
«Penso che bisognerà trovare una strategia politica di uscita dall´Afghanistan. L´idea che uno entri con una missione militare e questa missione continui senza che ci sia un obiettivo politico dichiarato a me sembra, in qualsiasi parte del mondo, insensata».

l’Unità 27.2.08
Sinistra arcobaleno: via da Kabul, tassare le rendite, no nucleare
Quasi pronto il programma per «rompere il duopolio Pdl-Pd». Bertinotti lo presenta domenica a Roma
di Simone Collini

Il candidato premier vuole colpire il «punto debole» del Pd: «L’indeterminatezza dei contenuti»

«PUNTANO ad annientarci, non è più il tempo dei toni istituzionali». I vertici di Rifondazione comunista, Pdci, Verdi e Sinistra democratica lo hanno detto a
Fausto Bertinotti, nel corso dell’incontro svolto nello studio del presidente della Camera. Al candidato premier della Sinistra arcobaleno gli esponenti dei quattro partiti hanno chiesto maggiore incisività e determinazione per rompere il duopolio Pd-Pdl e portare alla luce le falle della strategia veltroniana. Bertinotti ha chiarito che non è intenzionato ad allontanarsi più di tanto dai «toni composti» utilizzati finora, ma anche che la battaglia sarà d’ora in poi tutta all’attacco. «Con Veltroni ci giochiamo la partita», è la sfida lanciata. Che però, per il presidente della Camera, deve rimanere «pulita sul terreno programmatico», nonostante «l’inquinamento» della campagna elettorale dato dal «duopolio ossessivo» delle forze maggiori. Un inquinamento che per Bertinotti ha raggiunto l’apice quando Anna Finocchiaro ha invitato a votare per uno dei partiti maggiori: «Deve essere molto disorientata se invita a votare anche Berlusconi», sostiene il candidato premier della Sinistra.
Ma è soprattutto passando per il confronto tra i programmi che Bertinotti vuole colpire il «punto debole del Pd», e cioè «l’indeterminatezza dei contenuti». Ma prima di tutto deve esserci, appunto, il programma. Per questo era stato convocato l’incontro a Montecitorio tra il candidato premier e gli esponenti dei quattro partiti fondatori della Sinistra arcobaleno. Le ultime limature dovranno essere apportate oggi, quando si riuniranno di nuovo Bertinotti e le segreterie di Prc, Pdci, Verdi e Sd. Ma in sostanza il programma, che il presidente della Camera definisce orgogliosamente «di parte e senza nessuna propensione ecumenica», è quello uscito dal vertice di ieri.
Una trentina di pagine in cui si propone la riduzione del prelievo fiscale ai lavoratori dipendenti, il superamento della legge 30, l’armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie, la difesa della 194 e una legge per il riconoscimento delle coppie di fatto, il ritiro dei militari dall’Afghanistan, il via libera a un piano per la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico e il rifiuto del nucleare. Nel testo verrà anche posta la questione delle basi Nato in Italia e si proporrà inoltre un’indicizzazione dei salari che porti alla riduzione del divario tra l’inflazione programmata e quella reale.
A partire da sabato il programma verrà presentato e anche sottoposto al giudizio degli elettori in una serie di iniziative, mentre sarà lo stesso Bertinotti, domenica mattina, a illustrarlo al teatro Ambra Jovinelli di Roma (una promessa che aveva fatto a quanti erano rimasti fuori dal Piccolo Eliseo, l’altra settimana). Domani, alla Città del gusto, verrà invece presentata la campagna di comunicazione, che avrà al centro slogan come «Una scelta di parte» e «Si può fare di più».
Bertinotti dovrà però affrontare ora, insieme a Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio e Mussi, la questione delle candidature. Soprattutto, dovrà essere sciolto il nodo dei candidati indipendenti da inserire nelle liste. Sembra perdere quota l’ipotesi che compaia lo storico Paul Ginsborg, mentre tra i nomi quasi certi si fanno quelli del presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso, del giuslavorista Piergiovanni Alleva, padre della proposta di legge per superare la legge 30 e del magistrato pioniere della difesa dell’ambiente Gianfranco Amendola.

l’Unità 27.2.08
Diliberto: «Si faccia la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro»


ROMA «La legislatura si chiuda con un provvedimento a favore dei lavoratori. Il Consiglio dei Ministri si riunisca e vari il testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro». Lo chiede in una nota il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto.
«La legge 123 - ricorda Diliberto - è stata approvata lo scorso agosto 2007. Se non si procedesse in tempi brevissimi ad attuare i decreti legislativi, la legge delega scadrebbe il 24 maggio e bisognerebbe a quel punto ricominciare tutto l’iter dall’inizio.
Faccio, quindi, appello affinché si giunga all’approvazione dell’insieme della legge sulla Sicurezza sul Lavoro, dando risposte e certezze ai lavoratori esposti quotidianamente a rischio infortuni. Prodi riunisca il Consiglio dei Ministri e faccia un regalo ai lavoratori varando i decreti legislativi necessari all’entrata in vigore della legge», conclude.
Intanto viene alla luce del sole lo scontro nel Pdci fra le posizioni della segreteria guidata da Oliviero Diliberto e quelle di un altro esponente di peso del partito come l’eurodeputato Marco Rizzo.
Iacopo Venier attacca Rizzo sul settimanale del partito, la Rinascita della sinistra, in edicola domani: «Caro Marco, non sono d’accordo», scrive Venier, che giudica «violenta ed ingenerosa» la tesi, sostenuta da Rizzo in un precedente articolo, secondo la quale la lista della Sinistra arcobaleno rappresenterebbe il definitivo prevalere delle ragioni della svolta della Bolognina sui comunisti.
g.v.

l’Unità 27.2.08
Cari cattolici, basta crociate
di Carlo Flamigni


C’è un mio collega che da qualche tempo mi guarda con occhi che mi sembrano pieni di astio, mia moglie pensi ciò che vuole, ma è così. Qualsiasi cosa io dica che riguarda le interruzioni di gravidanza, lui dopo un po’ arriva e so che fa domande, sono certo che mi vuol cogliere in fallo. Io lo conosco, è un baggiano incompetente, un ipocrita, pensa che se riesce a trovarmi in fallo chissà che vantaggi ne trarrà, con l’aria che tira, con questo Papa che dice certe cose, nessuno più che ci difenda... È un ipocrita, pieno di paure, pessimo chirurgo, prima o poi lo prendo io in fallo, vediamo come se la cava con una bella denuncia per incapacità... E poi ci sono gli inquilini del terzo, prima tutti gentili, venite a cena da noi...
Adesso, dopo la polemica sui giornali, anche loro mi evitano, chi li sente più... E con mio figlio... Dieci anni, un innocente, gli faccio fare anche l’ora di religione, non voglio che si senta diverso... E ieri è venuto a casa che piangeva, tuo padre è un ateo, gli ha detto, proprio lui, il figlio di quelli del terzo piano, lui diceva che era il suo migliore amico, voleva andare in campeggio con lui... Adesso gli insegno io come si reagisce a chi ti vuol offendere proprio negli affetti, nelle cose più care, anche se in realtà non è colpa sua, è chiaro, certe cose le sente... Un calcio proprio lì, bello e forte, vediamo cosa dice la maestra, voglio proprio vedere...
Spero che sia chiaro che sono tutte favole, non ho figli di dieci anni da più di trent’anni, non ho colleghi che mi guardano di sbieco, anche perché non ho più colleghi. Ma questa è l’aria che comincia a tirare, quella che sento andando in giro a parlare di aborto in tante città. La gente, molta gente è arrabbiata, donne e uomini che non capiscono, si interrogano e si chiedono dove siano finiti i diritti, tanti di loro per questi diritti hanno lottato, e adesso... La gente, molta gente è arrabbiata e, bisogna avere il coraggio di dirlo, ce l’ha con i cattolici, proprio non riesce a fare distinzioni. Non è una questione che riguarda solo le donne, anche se è sulla loro pelle che si gioca questa brutta partita, perché la posta è una faccenda delicata, una di quelle per le quali si è andati sulle barricate, roba di democrazia, di libertà, di conflitti dolorosi tra diritti, di princìpi, ultimi o non ultimi, dite voi, anche di valori, se proprio si vuole spaccare il Paese. E allora mi rivolgo ai cattolici, a quelli che hanno ancora voglia di ragionare con la loro testa, e a loro chiedo perché. Perché questa crociata. Perché questi attacchi così violenti e malevoli che, è solo un esempio che faccio, intendono cambiare una legge che, per almeno metà degli italiani (ragiono per difetto, come si può capire se ricordate i risultati del referendum), ha risolto un drammatico problema sociale? Perché creare una tensione così alta come non l’avevo mai, mai nella mia vita, avvertita, tra laici e cattolici, credenti e non credenti? C’è qualcuno così folle da pensare che questo paese ha bisogno di una guerra di religione? C’è qualcuno che può garantire che un conflitto su questi temi si fermerà a livelli ragionevoli? C’è qualcuno che ritiene che mettere i medici uno contro l’altro, a lavorare da nemici fianco a fianco nello stesso ospedale, sia privo di conseguenze, per loro, per la gente che a loro si affida, per tutti? C’è qualcuno incapace di intuire dove si finisce quando ci si batte sui valori, una guerra senza mediazioni possibili, i miei buoni e i tuoi cattivi, non c’è alternativa possibile?
Io non so come è andata all’Ordine dei Medici, se tutto si è svolto secondo le regole o no. Ammettiamo che le regole non siano state rispettate, è possibile. Ad esempio, uno potrebbe dire, non c’è traccia, nel documento, della voce dei medici cattolici, quelli che la 194 la vorrebbero abolire, quelli che pensano che le indagini genetiche pre-impiantatorie servono solo a consentire scelte eugenetiche. Giusto. Forse che, allora, nei documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica c’è traccia delle opinioni dei laici? I documenti del CNB vengono messi ai voti, pensate, si vota per decidere che la vostra morale è migliore della nostra, che la vita personale comincia con l’attivazione dell’oocita e chi ritiene che non sia così sbaglia, la sua opinione deve essere ignorata, i suoi valori sono inferiori, non parliamo dei suoi principi morali: tutto ciò sulla base di una falsa democrazia, visto che i membri del CNB non sono stati eletti ma solo scelti da dio solo sa chi. Ma ho altre domande in testa: ad esempio, qualcuno crede veramente che la maggioranza dei medici - intendo di quei medici che interrompono le gravidanze in ossequio alla legge 194 e al principio secondo il quale si interrompe una gravidanza quando è a rischio la salute della donna - sia composta di mascalzoni e di assassini?
Sinceramente dai cattolici mi aspettavo di più, più correttezza, più trasparenza, persino più cortesia. Esistono, giuro che esistono, le avete usate anche voi, un tempo. Perché siete tanto cambiati? Fingete di non sapere che la pillola del giorno dopo non inibisce l’impianto dell’embrione, ci sono ricerche recenti e bellissime del «Karolinska Institutet» di Stoccolma a provarlo. Fingete di ignorare che la legge 194 rispetta i feti vitali - ci mancherebbe altro - per i quali è prevista l’interruzione di gravidanza solo in condizioni di necessità, una concessione che esisteva anche con le leggi fasciste. Dove è finita la compassione che è necessario, obbligatorio avere per le donne che scelgono di abortire, povere criste dilaniate dalla paura di vedersi sconvolgere la vita da un imbecille incapace di controllare il proprio orgasmo e per le quali siete stati capaci solo di trovare un nuovo insulto, la sindrome del boia, bella roba...
Pensate veramente che la legge possa essere migliorata? Può darsi. Ebbene, ci sono certo tra voi persone sagge disposte a discutere senza urlare e senza offendere, che parlino. Cerchiamo un linguaggio semplice e onesto, che ci accomuni, evitiamo gli isterismi di chi che si fa bello inventandosi la letteratura medica, c’è spazio, c’è spazio per una mediazione, c’è ancora spazio. Proviamo a chiedere all’Avvenire e all’Unità di pubblicare, ogni domenica, la stessa pagina, costruita in comune, sui temi eticamente sensibili e approviamo un codice di comportamento che esiga una moratoria (?) sugli insulti e le accuse becere. Ma non è vero che la pillola abortiva è «uccisiva» (vedete, uso persino il vostro linguaggio!). E non è vero che l’interruzione di gravidanza viene utilizzata a scopo anticoncezionale, a meno che voi non riteniate che due aborti nella vita di una donna abbiano questo significato. E non fate parlare gli incompetenti. Un alto prelato che dichiara pubblicamente che non si può affermare che la legge funziona, perché se è vero che sono diminuiti gli aborti è anche vero che sono diminuite le nascite, passa inosservato solo in questo patologico clima di sottomissione, solo una persona che non sa come nascono i bambini ignora che i calcoli si fanno sul numero di rapporti sessuali che per quanto so - ma sono stato molto indaffarato in questi ultimi tempi e può darsi che la vita sessuale degli italiani si sia improvvisamente scolorita senza che io me ne sia accorto - gli alti prelati stentano a monitorare. È vero invece che la legge viene applicata male perché un numero inverosimile di medici (troppi, è evidentemente, almeno in molti casi, una scelta sleale) ha optato per l’obiezione di coscienza e questo vuol dire attese più lunghe, interventi a maggior rischio, due Italie ancora una volta diverse, il nord e il sud. La legge 194 protegge la salute delle donne, spero che su questo punto non esistano dissensi: è possibile che un medico si faccia assumere in un ospedale dichiarando che sì, la salute delle donne lui la vuole proteggere, ma solo fino a lì, non un passo oltre? Possibile che debba scegliere per forza una specialità per la quale non sembra proprio tagliato? Posso capire la necessità di consentire l’obiezione a quei medici che la legge ha sorpreso dentro agli ospedali, non potevano sapere che sarebbero state chieste loro attività che consideravano moralmente illecite, ma oggi? E comunque, perché mai non c’è traccia di un solo obiettore che abbia deciso di impegnarsi, per pareggiare i conti, sulla promozione della cultura che riguarda il controllo delle nascite, o sull’educazione sessuale, insomma su uno dei tanti argomenti che per noi fanno parte della prevenzione delle gravidanze indesiderate e dell’aborto?
Lo so, abbiamo, noi e voi, un concetto molto diverso di cosa significa esattamente prevenire l’aborto. Per me, e per molti come me, significa controllo della fertilità, maggiore cultura, giustizia sociale, migliori possibilità di lavoro, più rispetto per la dignità delle donne, uomini più consapevoli e più responsabili , cose così, sapete, siamo dei poveri laici. Per voi vuol dire dissuasione, pietà, aiuto alle donne bisognose nel momento del bisogno maggiore (e dopo?)... Pietà a parte (scusateci, non vorremmo proprio sentirne parlare) non potremmo unificare queste diverse interpretazioni? È stato fatto, più di una volta.

l’Unità 27.2.08
Donne socialiste, un secolo per tutte le donne
di Valeria Fedeli


Cento anni fa a Stoccarda fu fondata l’Internazionale delle donne socialiste
Cento anni fa, a Chicago, 129 operaie in sciopero morirono per un incendio nella fabbrica, le cui porte erano state chiuse per ritorsione dal datore di lavoro

Valeria Fedeli è segretaria generale della Filtea-Cgil. Questo è l’intervento che terrà oggi alla sede dell’Onu, a New York, durante la celebrazione del centenario dell’Internazionale delle donne socialiste

Cento anni fa, dando alla differenza di genere una dimensione politica formalmente riconoscibile, un gruppo di donne fondava a Stoccarda l’Internazionale delle donne socialiste. Due anni dopo, da quella Internazionale nasce la proposta di una giornata mondiale della donna, l’8 marzo. E ancora, cento anni fa, a Chicago, 129 operaie tessili in sciopero per il miglioramento delle condizioni disumane di lavoro, morirono arse vive per un incendio scoppiato nella fabbrica, le cui porte erano state chiuse - per ritorsione - dal datore di lavoro. Sempre cento anni fa, 15.000 operaie , soprattutto tessili, sfilando per le vie di New York, lanciavano lo slogan «per il pane e per le rose», che ha riecheggiato per un secolo nelle lotte delle donne: qualità delle condizioni di lavoro e di vita, diciamo oggi. Allora, fu la sindacalista Emma Goldman, che seguì le vicende delle operaie tessili di Chicago, a scrivere: «ogni classe oppressa ha ottenuto la sua liberazione innanzitutto grazie alle sue forze». Ecco, io credo che ogni donna libera debba sentirsi riconoscente e in debito particolare verso quelle donne, quelle operaie tessili, quelle donne dell’internazionale socialista che hanno contribuito con la giornata internazionale della donna, - almeno una volta l’anno - almeno una volta l’anno, contribuire a ricordare e fare il punto sui passi avanti compiuti, e di prospettare cosa ancora non si è realizzato per la libertà e l’uguaglianza, tra donne e uomini nelle nostre società. Anche per questo, è importante la scelta di ricordare oggi 27 febbraio 2008 a New York, nella sede delle Nazioni Unite, quegli avvenimenti così carichi di significati per la storia dell’emancipazione e della libertà delle donne, in particolare dei diritti delle donne nel mondo del lavoro. Nel mondo, come in Italia, dobbiamo ancora lottare per ottenere questi risultati. Per affrontare le sfide che il nuovo secolo della globalizzazione e dei mercati aperti, pone ai diritti e alle libertà delle donne. Molte ragioni, quindi, vengono dalla storia e parlano al futuro in questo centenario dell’8 marzo! Ragioni e politiche, che hanno sempre caratterizzato l’azione unitaria del sindacato tessile italiano. Cultura e politiche sindacali contro le discriminazioni per l’innovazione e il cambiamento, per la libertà, l’uguaglianza, la coesione sociale. Una qualità della proposta sindacale che ha fortemente contribuito alla scelta di indire la grande manifestazione unitaria, di Cgil Cisl Uil, che si terrà a Roma l’8 marzo prossimo, per dire in modo chiaro che il rilancio, la crescita dell’Italia - come per ogni altro Paese e Continente - passa attraverso - prioritariamente - all’aumento significativo dell’occupazione femminile, di politiche economiche e fiscali che siano a sostegno delle donne al lavoro e nel lavoro; per creare le condizioni concrete, della condivisione dei ruoli di cura, delle carriere nelle imprese, e della valorizzazione del merito e delle competenze delle donne.
Per rilanciare e far discutere di sviluppo, lavoro, libertà, autodeterminazione, pari opportunità delle donne quale condizioni per il benessere sociale di tutti. Una ricorrenza dell’8 marzo che deve essere ripresa in mano dalle donne del mondo del lavoro, dei lavori femminili, e sottratta alla stucchevole commercializzazione della Festa. L’8 marzo deve tornare ad essere una straordinaria festa laica del lavoro, della dignità, della libertà e della responsabilità delle donne e poter essere presa a modello per tutti perché diventino la libertà, la responsabilità e la dignità di donne e uomini. Le donne vogliono essere protagoniste nel mondo del lavoro, perché è a partire dal lavoro che si ha autonomia e libertà.
L’Italia è al penultimo posto, tra i Paesi europei, per tasso di occupazione femminile, ecco perché è davvero una priorità di tutte le forze sociali, politiche e istituzionali, affrontare questa imbarazzante situazione. S’impone un cambio di passo nelle politiche a favore delle donne. Un otto marzo per affermare una strategia forte. Che chiama in causa ogni decisore politico e sociale, proprio per la complessità e la trasversalità delle azioni che occorre intraprendere. Si tratta di un profondo rinnovamento e cambiamento che deve promuovere e favorire queste priorità. Realizzare questo cambiamento, questa innovazione, questo cambio di passo in Italia non è facile. Servono scelte della politica e delle Istituzioni, ma anche delle imprese. Noi, come sindacato, siamo pronti a promuovere e ad agire per sostenere questa sfida, siamo, come nella nostra migliore tradizione riformista sindacale, interessanti al cambiamento, all’innovazione perché sappiamo che sono la condizione per creare il contesto favorevole al lavoro e alla vita delle donne, dell’insieme della società.
Credo fermamente che le donne, in questa decisiva stagione del nostro tempo, possano, a partire dalle tante cose che le uniscono, rinnovare il significato moderno della lotta di cento anni fa: «per il pane e per le rose», nel lavoro, nella vita, per tutte le persone.

l’Unità 27.2.08
Stragi. Verità al tartufo sul «Corsera»
di Bruno Gravagnuolo

Ancora su Arbe e Giado «Nessun altro luogo, includendo l’isola di Arbe nel Quarnaro, fu teatro di stragi italiane numericamente più rilevanti». Così scriveva sul Corsera settimane fa Dario Fertilio, nel recensire il libro di Eric Salerno sugli internamenti degli ebrei libici in Libia (Uccideteli tutti). Rettificammo, in due riprese, ricordando che le stragi italiane nei campi «slavi» di Arbe, Gonars, Visco, Monigo, Renicci furono molto ma molto più cospicue rispetto ai 500 morti di stenti a Giado (e si potrebbero ricordare altri lager in Libia e Cirenaica ai tempi di Graziani). Sabato scorso Fertilio controreplica: ma quelli erano ebrei e Giado sta «nel progetto di sterminio complessivo degli ebrei». E poi così «l’attento Gravagnuolo» rischia di «giustificare gli eccidi jugoslavi», con il riferimento ai precedenti «crimini italiani». Ringraziamo per «l’attento», senza poter contraccambiare però. Perché Fertilio è disattento assai, e gioca da distratto. Infatti ad Arbe e altrove le stragi italiane furono «numericamente» più rilevanti di Giado, l’esatto contrario di quanto scrisse Fertilio. E poi la novità di Giado è una mezza novità: è arcinoto che a modo suo anche l’Italia fascista fu nell’Olocausto, con le sue leggi e i suoi lager di transito (a parte San Sabba). Quanto agli slavi, Mussolini diceva: «500mila barbari slavi non valgono 50mila italiani». E quanto ai crimini titini, abbiamo scritto più e più volte che ricordavano la ferocia nazista. E anche nell’articolo ultimo, che Fertilio cita (male), parlammo di «collera etnica che divenne pulizia politica preventiva». Dunque, qui e altrove, ribadimmo sempre: pulizia etno-politica yugo-comunista. Debolmente contrastata dal Pci. E nondimeno altresì, ricordammo e ricordiamo gli «antecedenti»: l’oppressione italiana in Yugoslavia. E i massacri, e le bonifiche e i «rinsanguamenti» in terre mistilingui. Nessuna giustificazione, nessuna rimozione. Perchè Fertilio trucca le carte in tavola e ci «tartufa», ingannando i suoi lettori? Perché lo abbiamo «pizzicato»? Suvvia, capita nelle migliori famiglie. Sia più sportivo un’altra volta...

l’Unità 27.2.08
No all’anoressia e anche alle modelle bambine
di Gianluca Lo Vetro

RISPONDONO all’appello della ministro Melandri le giornaliste, mentre la direttrice di Vogue nega che la moda utilizzi ragazze anoressiche e rilancia: «Il vero problema è l’uso delle ragazzine»

Parigi. «Qui si confondono i problemi - puntualizza, ferma, Franca Sozzani -. La moda non propone e tanto meno utilizza modelle anoressiche». Il super direttore di Vogue, testata-portabandiera della «taglia zero», entra nel dibattito delle bellezze scarne e invita a fare ordine. Ieri il ministro Ministro Govanna Melandri dalle pagine del nostro quotidiano ha lanciato un appello, affinchè «le riviste patinate rifiutino qualsiasi immagine con ragazze sottopeso». Esattamente come fecero il Corriere della Sera e il magazine Elle France, quando cassarono la campagna choc di Oliviero Toscani con Isabelle Caro, afflitta da devastante anoressia. Certo quella era una provocazione «alla Toscani» proprio per richiamare le attenzioni pubbliche sul problema con un pugno allo stomaco. «In ogni caso si trattava di una magrezza patologica ­ incalza Franca Sozzani. Al contrario, le modelle dei servizi e delle pubblicità, sono tutte sanissime. E mangiano. Sono filiformi perché, non hanno più di 15 anni. La loro linea è sottile in quanto adolescenziale, perchè questa è la tendenza generale. Del resto, per dichiarare a una signora che sta bene, non le si dice “sembri una ragazzina”?» Già: di questi tempi ossessivamente palestrati e liftati, la massima ambizione sembra dimostrare meno anni possibili. E gli stilisti rilanciano, proponendo modelli sempre più acerbi, quasi ai confini con l’infanzia. Al punto da spostare la questione su altri fronti, più vicini alla tutela dei minori coinvolti in passerella e nei set fotografici.
A questa corsa a ritroso che brucia anche le età della donna, proprio ieri alle sfilate di Parigi si sono opposti gli stilisti Viktor & Rolf. I due creatori hanno organizzato una sfilata-manifestazione contro i tempi sempre più anticipati dell’intero sistema, mandando in passerella modelle truccate con vistosi «no» sugli occhi.
Ma cosa può sortire una simile provocazione da passerella? «Per realizzare l’appello del ministro Melandri ­ risponde Paola Cacianti, inviata di cultura del Tg1 che segue anche le sfilate ­ si dovrebbero riunire intorno a un tavolo di lavoro tutti gli autori/attori dei servizi di moda. A partire dai fotografi. Spesso, sono proprio loro a imporre certe bellezze: canoni ai quali le modelle si devono adeguare per poter lavorare. E come si può intervenire sulle scelte di un mago dell’obiettivo? Poi ci sono gli stilisti e i direttori dei giornali di settore e le stesse redattrici. Tutti concordi che l’eleganza passi dalla linea sottilissima. Come se il corpo non dovesse quasi partecipare al grande sogno della moda».
Peraltro, questo dato non è una novità, in un settore che non a caso vive e si nutre nella dimensione dell’onirico. «Basta dare un occhiata all’ultima retrospettiva del fotografo Richard Avedon ­ osserva Anna Piaggi, guru del giornalismo di stile ­. Tutte le ragazze hanno sempre avuto un fisico ramoscello. Negli anni ’60 ho lavorato con la mitica Twiggy che lanciò la minigonna di Mary Quant. Ebbene, aveva la taglia 34, (anche di piede): la stessa degli abiti degli stilisti a disposizione negli show room per i servizi fotografici».
Insomma, pare molto complesso organizzare una «concertazione» di creativi così radicali, alla quale peraltro dovrebbero partecipare anche gli amministratori della pubblicità: voce che nel settore muove capitali senza eguali. E che ruolo ha inoltre al televisione nella diffusione di queste magrezze che, pur non essendo patologiche, possono alimentare diete scorrette? In fin dei conti il piccolo schermo è il mezzo che entra il tutte le case, a differenza dei giornali patinati. E in certi format rosa si stigmatizza addirittura con apposite rubriche, l’aumento di peso dei personaggi pubblici. Come se fosse una colpa.
«Per quanto concerne il Tg, - risponde Paola Cacianti ­ il problema non si pone. A differenza dei magazine non abbiamo pubblicità con immagini imposte da altri. I messaggi della moda sono selezionati dal senso critico dei giornalisti che non a caso danno sempre ampio spazio al fenomeno delle taglie conformate. Fra l’altro i nostri servizi sono molto focalizzati sui particolari degli abiti e degli accessori. Quindi, è quasi impossibile che passino messaggi a sostegno della taglia zero. Ma c’è di più. Per contro proprio la tv riversa nelle case un’esplosione di maggiorate. La dimostrazione che agli uomini piacciono femmine ben diverse dalle magrissime della moda. Ma anche l’amara conferma che, sottile o abbondante, il corpo della donna rischia ancora e troppe volte di essere uno strumento al servizio di qualcuno o qualcosa altro».

l’Unità 27.2.08
Via libera alla pillola Ru486
Entro 90 giorni è previsto l’ok alla commercializzazione della Ru486. Solo in ospedale
di Anna Tarquini

Primo via libera per la commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru486. La commissione tecnico-scientifica (Cts) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il proprio parere favorevole alla richiesta di autorizzazione al commercio, attraverso la procedura di mutuo riconoscimento (che coinvolge anche altri Paesi europei), per la RU486. Si tratta del primo passo sulla strada che potrebbe rendere la RU486 disponibile in Italia, come farmaco utilizzabile esclusivamente in ospedale, e dunque classificato in fascia H.

È UN PRIMO PASSO, ma ci sono voluti più di 17 anni, i primi quindici passati in colloqui, inutili, con il Vaticano e un cardinale che si chiamava Ratzinger. Etienne Baulieu, il padre della pillola Ru486, alla fine ha avuto ragione. Ieri è arrivato il primo via li-
bera anche in Italia per la commercializzazione del farmaco che fa abortire senza intervento chirurgico. La commissione tecnico-scientifica dell'Agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, ha ha concluso la procedura europea di estensione dell’autorizzazione alla vendita a quattro paesi rimasti ultimi a farne richiesta: e cioè Italia, Portogallo, Ungheria e Lituania. Da questo momento l’iter per l’entrata in commercio del farmaco è di 90 giorni. E la sua utilizzazione dovrà essere coerente e compatibile con la 194, ossia dovrà essere assunta solo in ospedale.
La notizia arriva a poco più di una settimana dall’avviso di chiusura indagini per violazione della 194 a Silvio Viale e altri tre medici torinesi accusati di non aver rispettato la legge nella sperimentazione della pillola abortiva. Inchiesta partita con la denuncia di Storace allora ministro della Sanità che cercava di fermare la sperimentazione e che ora si sta avviando verso il processo. Ieri il ginecologo torinese ha esultato: «Oggi è un grande giorno per le donne italiane. La Ru486 permetterà anche ai medici italiani di partecipare alle ricerche in altri campi della medicina. Che fosse un farmaco - ha poi concluso - era chiaro e da oggi siamo più vicini all'Europa». Ma l’ok dei tecnici dell’Aifa arriva per noi in pieno vento di polemiche, oltre che in piena campagna elettorale, e proprio ieri Radio Vaticana aveva intervistato il vicepresidente dei medici cattolici italiani Franco Balzaretti per dire che è un farmaco pericoloso, con rischi di mortalità elevati. «Sulla Ru486 - aveva detto Balzaretti - c'è molta confusione, perché viene propagandata come una sorta di aborto fai da te. Invece può avere dei gravi effetti collaterali ed anche una certa mortalità, in quanto favorisce infezioni ed emorragie». Rischi evidentemente ben calcolati se arriviamo buon ultimi nella sua utilizzazione. Attualmente la pillola RU486 è già commercializzata in Francia, Austria, Belgio, Germania, Danimarca, Grecia, Spagna, Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera e anche negli Stati Uniti, in Australia e in Cina.
La domanda era stata avanzata a fine novembre dalla Exelgyn, la ditta farmaceutica francese produttrice del farmaco. Ma la battaglia è stata lunga. Anche perché all’inizio la stessa casa produttrice non era affatto interessata a chiedere la registrazione del farmaco anche nel nostro Paese per una presenza, diciamo, ingombrante. Quella del Vaticano. Non eravamo considerato un mercato attraente, diciamo. Lo raccontava Etienne Baulieu a un convegno di medici nel 2005: «Quindici anni fa cominciai a parlare della pillola col Vaticano, con l'allora cardinal Ratzinger. E i contatti sono andati avanti, ma il dialogo non ha fatto passi in avanti perché dalla Santa Sede ci è sempre stato detto che la vita va salvaguardata fin dal primo istante. Noi abbiamo cercato di far capire che questo era un modo per far soffrire meno le donne...». Poi la Exelgyn ha chiesto la registrazione del farmaco anche in Italia. Mentre a Torino come a Pontedera la pillola veniva sperimentata in ospedale acquistando il farmaco in Francia. Adesso si dovrà negoziare il prezzo e soprattutto le condizioni di utilizzo del medicinale. La procedura poi si concluderà definitivamente, secondo le norme internazionali, dopo un parere del comitato tecnico scientifico, seguito dalla ratifica da parte del consiglio di amministrazione dell'Aifa e con la pubblicazione del provvedimento di registrazione in Gazzetta Ufficiale.

Repubblica 27.2.08
Silvio Viale ha sperimentato la Ru486 a Torino
"Un grande giorno per le donne ma abbiamo 20 anni di ritardo"
di Sara Strippoli

TORINO - - Silvio Viale, l´Aifa dà il suo primo via libera alla pillola Ru 486. Un epilogo atteso. Ritiene che la battaglia sia stata troppo lunga?
«Un grande giorno per le donne. Arriviamo però con 20 anni di ritardo rispetto alla Francia, 8 rispetto agli Stati Uniti. E dopo sette anni di battaglie in Italia».
Crede che la battaglia sia finita?
«Per il momento diciamo che il bluff è stato svelato. Di tutti quelli che parlavano di "pesticida umano" o "diserbante chimico" o ripetevano il ritornello dell´aborto a domicilio e dell´aborto facile. Si comincerà ad applicare la Ru486 per gli aborti nell´ambito della 194 e finalmente si potranno condurre le sperimentazioni di questo farmaco anche in altri campi della medicina, come in oncologia».
Per questa battaglia lei è stato indagato dalla Procura di Torino perché le donne lasciavano l´ospedale durante la sperimentazione che si è svolta al Sant´Anna. Adesso che la pillola arriverà, si tornerà a parlare di "ricovero sì, ricovero no"?
«Basta leggere il testo della 194 nella sua interezza. Si parla sempre di intervento ed eventuale ricovero. Non c´è l´obbligo del ricovero ma si dice solo che le azioni finalizzate ad interrompere la gravidanza si devono svolgere in ospedale o nelle strutture autorizzate. Sta al medico decidere quando la donna può andare a casa. Il ricovero coatto non è previsto in nessun Paese europeo».
Non prevede che la querelle su questo punto riprenderà?
«Mi aspetto che gli oppositori della Ru486 scatenino una guerriglia a tutto campo, ma l´importante è cominciare sulla base di protocolli comuni. La Ru 486 implica una nuova organizzazione perché dopo l´assunzione delle pastiglie non sarà più possibile invocare l´obiezione di coscienza, trattandosi di semplice assistenza. Sarà possibile coinvolgere di più i consultori come già prevede la 194».
Quelli contrari alla Ru sostengono che ci sono effetti collaterali e complicazioni per la salute della donna. Come la pensa?
«La Food and drug administration, l´agenzia farmacologica americana e L´Emea, quella europea, nel 2007 hanno confermato la sicurezza del farmaco. L´Oms, l´organizzazione mondiale della sanità sostiene la stessa tesi. Io che l´ho usata non temo la prova del 9».
La battaglia per la Ru486 con lo sberleffo a Storace le costerà la candidatura in Parlamento nei Radicali?
«Non posso pensare che dipenda da questo».

Repubblica 27.2.08
Blitz all'alba, retata di ultrà "Alleanza con la destra estrema"
Roma, dagli scontri a villa Ada alla guerriglia per Sandri
di Massimo Lugli

Quindici arresti di Ros e Digos: supporter di Roma e Lazio "uniti dall´odio"
Tra i fermati alcuni militanti di Forza nuova. Uno degli indagati sfugge alla cattura

ROMA - Innamorati della violenza. Scontri allo stadio, agguati in punta di lama, tafferugli, aggressioni agli stranieri e perfino una spedizione, mai scattata, per partecipare alla guerriglia urbana contro i rifiuti nel napoletano. Un mix esplosivo di tifo estremo e ideologia di estrema destra che si riassume nel "credo dell´ultras": «Alfiere di una bandiera che è inesauribile fonte di ribellione».
Sono sedici le ordinanze di custodia cautelare firmate dal Gip Guglielmo Muntoni ed eseguite ieri mattina all´alba dai carabinieri del Ros e del Reparto operativo e dagli agenti della Digos. Un mix variegato delle frange più violente dei supporters biancocelesti e giallorossi, accomunati dallo stesso, inesauribile, odio per le divise, i romeni, i ragazzi di sinistra. Ultrà del gruppo romanista "Bisl" (acronimo di "Basta Infami Solo Lame") fianco a fianco coi laziali di "In basso a destra" e militanti di "Forza Nuova". Nelle 91 pagine di ordinanza di custodia, sollecitata dai pm Franco Ionta e Pietro Saviotti, il riassunto di tutti gli episodi più violenti degli ultimi mesi a Roma: l´assalto al parco di Villa Ada, il 29 giugno 2007, durante un concerto del gruppo musicale "Banda Bassotti" con spettatori feriti, agenti confusi e fuggi fuggi della folla terrorizzata; la guerriglia urbana che trasformò intere zone della capitale in un inferno di fuoco, sassaiole e fumogeni la sera dell´11 novembre 2007 dopo la morte del DJ Gabriele Sandri, ucciso dalla pallottola di un agente nell´area di servizio Badia del Pino (in manette è finito anche Marco Turchetti, 20 anni, che era al volante della Renault su cui morì "Gabbo"); la trasferta "armata" a Bergamo per Lazio-Atalanta, il 22 settembre, con spranghe, coltelli e machete e che per miracolo non finì in un bagno di sangue; l´incendio di una baracca abitata da nomadi romeni il 9 ottobre scorso; l´occupazione di "Forza Nuova" di un deposito dell´Atac dal 3 al 5 ottobre; i tondini di ferro e i venti coltelli da cucina trovati in una siepe prima di Roma-Real Madrid; accoltellamenti e pestaggi ai tifosi "nemici", minacce a funzionari delle società sportive e a giornalisti e tanto altro ancora. Secondo un rapporto del colonnello Mario Parente, vicecomandante dei Ros, il gruppo aveva «il preciso progetto di affermare il predominio territoriale della zona di piazza Vescovio, comprensiva del parco di Villa Ada, da parte della destra oltranzista». L´aggravante del terrorismo, che era stata respinta dal tribunale del riesame, è stata contestata nuovamente agli accusati degli scontri di novembre.
In carcere sono finiti: Andrea Attilia, 22 anni, detto "Il Bulgaro", Francesco Ceci, 32 anni, "er Nano", Emanuele Conti, di 22, Fabrizio Ferrari, di 23, "er Talpa", Fabrizio Frioni, di 25 "Fabrizietto", Pierluigi Mattei, 33 anni, Matteo Nozzetti, di 25 "Vampiro", Alessandro Petrella, 28 anni, Daniele Pinti, 22 anni "Danielone", Fabio Pompili, 28 anni "Fabione", Roberto Sabuzi, 41 anni, "Il Capitano", Marco Turchetti, 20 anni, "Ovo", Alessio Abballe, 32 anni, Gianluca Colasanti, 23 anni, Furio Natali, 42 anni. Latitante Francesco Massa, 39 anni "er ditta". Obbligo di firma per Federico G. 35 anni, Gianluca T., di 27, Martino F., di 26, Ennio Maria D.F. di 22. Gli altri indagati sono una trentina.

Repubblica 27.2.08
Nelle intercettazioni, durate otto mesi, i progetti eversivi e le strategie d´assalto dei gruppi ultrà
Odio, razzismo e culto della violenza "Voglio sparare in faccia agli sbirri"
di Carlo Bonini

Le indagini iniziate dopo l´assalto ad un concerto in un parco romano
I nomi di battaglia, da "Vampiro" a "lo Sciacallo" e "er Cinese"
Nel mirino nemici vecchi e nuovi: zingari, agenti, "zecche" dei centri sociali

ROMA - Se alla violenza togli un progetto che non hai o non hai mai avuto, resta solo l´odio. Un odio liquido. "Er Talpa" e "Fabbrizzietto", "er Nano" e "Vampiro", "Ovo" e "er Bulgaro", "er Capitano" e "Danielone", "er Ditta", "lo Sciacallo" e "er Cinese" odiavano sette giorni la settimana. Non solo la domenica, quando si ritrovavano in curva o in trasferta con qualche lama, qualche mazza o qualche ascia. Odiavano le "guardie infami", «quegli zingari dei romeni», «i napoletani», «le "zecche" dei centri sociali», «i pennivendoli che si s´azzardeno l´aspettamo sotto le redazioni», il vicino di casa che si era permesso di guardare un cane ringhioso portato a pisciare senza guinzaglio. «Fomentavano i "pischelli"», ragazzini raccattati allo stadio per essere spinti come una mandria al pascolo davanti a un deposito dell´Atac da occupare, sul ciglio di una discarica in cui "fare a pizze" con gli sbirri tra cumuli di "monnezza" o ai lugubri anniversari di una Destra neo-nazista (Forza Nuova) di cui indossavano la maschera, replicavano le parole d´ordine, frequentavano i luoghi: piazza Vescovio, "il Presidio" (nel parco di Villa Ada), il pub "Excalibur". E, alla fine, avevano deciso di sporcare di sangue anche le domeniche di festa del rugby.
Per otto mesi (dal giugno del 2007 alla scorsa settimana), tirando con pazienza e metodo il filo di un´aggressione consumata nel parco di villa Ada, il pubblico ministero Pietro Saviotti, la sezione anticrimine del Ros dei carabinieri, la Digos, sono rimasti affacciati su un abisso di collera di cui hanno registrato ogni voce, ogni smottamento, ogni esplosione. L´11 novembre, giorno in cui Gabriele Sandri, "Gabbo", veniva ucciso sull´Autosole, hanno ascoltato gli amici del dj che lo piangevano di fronte alle telecamere, gridando la propria innocenza, pianificarne la vendetta in una notte in cui «Roma brucerà». Ne hanno rubato le voci eccitate durante l´assalto alle caserme.
"I romeni? Je famo strippà er culo"
In principio furono i romeni. Il 30 ottobre 2007, Giovanna Reggiani viene massacrata a Tor di Quinto alle spalle di una baraccopoli. Il suo assassino è un clandestino arrivato da Bucarest. Il 2 novembre, a Torre Gaia, quattro romeni vengono bastonati a sangue nel parcheggio di un centro commerciale da una prima spedizione punitiva. "Er Vampiro" (Alessandro Petrella) ne è ammirato ed eccitato. Ne parla al telefono con Alessio Abballe - «Qualcuno comincia ad accenne le micce» - e con "Er Talpa" (Fabrizio Ferrari): «A ragà, non è che se stamo a parlà. Vedemose e annamo ad assaltà un centro sociale o annamo a pijà i napoletani sull´autostrada o pijamo du´ rumeni (...) Dovemo fa´ na cosa da fa´ strippare il culo e far pensare chi ti governa dall´alto: che è successo? (...) Bisogna creà un focolaio de persone che nun c´entrano un cazzo con la politica e lo stadio. Ragà, questa è una cosa dei cittadini, una cosa sociale, d´appartenenza de una città e de un Paese. Qui, destra e sinistra e ultras da stadio nun c´entrano un cazzo». Chi lo ascolta non sa esattamente dove "er Vampiro" abbia intenzione di colpire. Forse dietro casa sua, nel campo nomadi di via Walter Procaccino, dove già una volta ha tirato una molotov. Sa soltanto che sono cominciate le ricognizioni, che l´assalto sarà in pieno giorno, che "er Vampiro" ne parla in questi termini a Matteo Nozzetti: «Se succede na cosa come a Torre Gaia, nun c´hai più un cazzo de risonanza. Perché sai il mondo come gira. Dopo due settimane te fanno un trafiletto ed è già finita. Famo quarcosa de serio. Pe na volta nella nostra vita deve uscì la perfezione. Je devi mette pepe ar culo. Che quelli pensano: cazzo, ma se questi hanno fatto una cosa del genere, me se presentano sotto al Parlamento e me danno la caccia».
In macchina con "Gabbo"
Dei romeni non se ne fa nulla. Domenica 11 novembre 2007, Gabriele Sandri, "Gabbo", viene ucciso da un colpo di pistola esploso sull´A1 da un agente della stradale che risucchia ogni goccia di odio disponibile, convogliandola altrove. Sulla macchina in cui viaggia Sandri ci sono "Ovo" (Marco Turchetti), "Maverick" (Francesco Giacca), "er Messicano" (Federico Negri), "Simone" (Simone Putzulu), il pantheon di "In Basso a destra" e degli "Irriducibili", le sigle che ospitano i mazzieri della curva nord laziale. Ad Arezzo, Turchetti "Ovo" - un tipo che in questura hanno già fermato una volta su un furgone carico di martelli, coltelli e spranghe - piange l´amico morto e mobilita la risposta. "Er Nano" (Francesco Ceci) sale su una macchina per raggiungere Arezzo, ma intanto dà disposizioni a chi resta. "Er Nano" è un leader riconosciuto e temuto. E´ pappa e ciccia con Fabrizio Ferrari, "er Talpa", romanista dei "Bisl" (basta Infami solo lame"), un tipo che l´ultima coltellata l´ha data il 18 febbraio, prima di Roma-Real Madrid. "Er Nano" dà ordini a uno come Fabrizio Toffolo (capo storico degli "Irriducibili" che alterna il suo tempo tra galera e domiciliari) e, neppure due mesi prima, se l´è promessa al telefono con un tale "Carlo", ultras napoletano, convenendo che «alla prossima, i machete dei laziali» si incroceranno con «le mannaie dei napoletani». "Er Nano" parla col "Bulgaro" (Andrea Attilia), che di Gabbo è amico fraterno, perché senta i romanisti. Perché si mobilitino "er Vampiro" e "quel matto di Pierluigi", Pierluigi Mattei, capobastone laziale di "In Basso a destra". Il "Vampiro" ha problemi. Gli è morta la nonna nella notte, ma mentre in casa si piange, lui si aggiusta per la serata: «Vojo brucià tutto. Stasera vojo brucià tutto». Pierluigi Mattei impazzisce. Alla madre che lo chiama mentre sta andando allo stadio, grida: «A Ma´, lasciame perde... Che devo fa, eh? Sarebbe da sparaje in faccia alle guardie. Che te credi che non m´andrebbe de ammazzalla na guardia? C´hanno paura degli scontri sti coniji delle guardie. Devono avè paura». Alla fidanzata, racconta che ha brandito un coltello tra gli occhi a un autista dell´Atac che rompeva e come ha conciato il vicino, che ha incontrato mentre portava a pisciare il cane: «Jo detto: A brutta faccia de cazzo. Che c´hai da guardà? Lo vedi sto guinzajo? Te lo metto ar collo e t´ammazzo. Nun me devi rompe li cojoni. Quando passo abbassa lo sguardo». Con la fidanzata si vanta di aver commesso due omicidi (polizia e carabinieri non sono ancora riusciti a verificare se millanti o meno): «De rumeni n´ho mandati due al creatore e ne ho feriti gravemente altri due. Perciò, se vengono da me trovano la morte». E quando la fidanzata gli chiede cosa farebbe lui a due rumeni se li vedesse fare a lei quel che lei gli ha visto fare ad un´estranea (palpeggiarla), dice: «Io c´avevo la macchinetta che dà le scosse. Ma quelle merde della polizia me l´hanno tolta. Perciò ne ammazzerei dieci».
Sporchiamo il rugby
Com´è andata la notte dell´11 novembre è noto. Ma avevano deciso che all´odio non dovesse rimanere estranea la festa del rugby. Già il 13 ottobre del 2007, "Er Nano" si informa sull´arrivo dei tifosi del Livorno Rugby, impegnati in una partita con la "Futura Park". «Mo´ fomento un po´ de gente. Famme sapè l´orario». Poi, il 10 febbraio scorso, allo stadio Flaminio, si gioca Italia-Inghilterra, partita del sei Nazioni. Fuori dallo stadio, la polizia ferma Simone De Castro, cugino di Gabriele Sandri. E´ un diffidato. Non può avvicinarsi a nessun impianto sportivo del Paese. E si accompagna a un altro diffidato, Ruggero Isca. Vengono alle mani con la Polizia e il gruppo che è con loro se la squaglia. "Er Talpa" annuncia a Isca la vendetta per i conigli: «Hanno toccato mio fratello. Stavolta li ammazzo. Li faccio inginocchiare, Ruggiero».

Repubblica 27.2.08
È reato fare gli scongiuri toccandosi i genitali. La Cassazione: "Offende la decenza pubblica"

ROMA - Non è mai stato sintomo di raffinatezza, anzi, è un gesto universalmente catalogato come quelli da non fare in pubblico. Ma in molti non avrebbero mai sospettato che toccarsi gli attributi è un illecito penale. Sì, grattarsi i genitali in pubblico è reato. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Corte di Cassazione, ritenendo il gesto «un atto contrario al decoro e alla decenza pubblica». E niente scherzi: vale anche «se il fine del gesto è apotropaico», cioè scaramantico, insomma anche se si tratta di uno scongiuro.
Ne sa qualcosa un operaio quarantaduenne di Como che si è visto condannare a 200 euro di multa e ad altri mille da destinarsi alla cassa ammende. Il comasco, un po´ come fanno istintivamente molti uomini, si diede una pubblica grattata. «Probabilmente finalizzata alla sistemazione della tuta indossata», ha cercato di giustificare l´avvocato difensore. Niente da fare. La "grattatina" è stata bocciata dai Supremi giudici, che l´hanno equiparata a un atto contrario al decoro pubblico.
Nel motivare la sentenza gli "ermellini" spiegano: «Il palpeggiamento dei genitali alla presenza di terze persone è manifestazione di mancanza di costumanza e di educazione in quel complesso concetto di regole comportamentali etico-sociali». In tale concetto di maleducazione, spiegano i giudici da Piazza Cavour, va compresa pure la cosiddetta toccata scaramantica.

Repubblica 27.2.08
G8, la requisitoria del pm
"Bolzaneto inumano giovani trattati come nell'Irlanda anni ‘70"


GENOVA - Nella caserma di Bolzaneto furono inflitti alle persone fermate «almeno quattro» delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte Europea sui diritti dell´uomo chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli anni Settanta, configurano «trattamenti inumani e degradanti». Lo ha rilevato in aula il pm Patrizia Petruzziello che insieme al collega Vittorio Ranieri Miniati sostiene l´accusa nel processo per le violenze nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001 a Genova. Sui comportamenti vessatori subiti dagli arrestati costretti a stare in piedi per ore, picchiati, presi in giro, privati di cibo e acqua, il pm nella sua requisitoria ha citato la convenzione Onu che vieta sia la tortura sia il trattamento inumano, crudele o degradante. Si tratta di una norma contro la tortura che, ha spiegato il magistrato, l´Italia ha ratificato nel 1989 ma non ha ancora tradotto in una legge penale.

Repubblica 27.2.08
Se il Prozac non serve a nulla
di Enrico Franceschini

Addio Prozac & C. Gli scienziati: "Farmaci inutili"
La ricerca di una università inglese: "Per guarire dalla depressione non c´è bisogno di ricorrere a trattamenti chimici"

Londra. Il prozac non servirebbe a niente, avendo lo stesso effetto di un placebo, ossia di una pillolina che contiene soltanto zucchero: questo afferma un ampio studio condotto in Gran Bretagna da ricercatori dell´università di Hull. Nel Regno Unito la notizia ha avuto l´effetto di una bomba, finendo in prima pagina su tre dei più importanti quotidiani, il Guardian, il Times e l´Independent. "Il Prozac", titola uno prendendo ad esempio uno dei più noti farmaci antidepressivi, "usato da 40 milioni di persone, non funziona".

Sono soprannominate "le pillole della felicità", o perlomeno un antidoto contro l´infelicità: i medicinali prescritti da medici di tutto il mondo a decine di milioni di pazienti che soffrono di depressione. Eppure non servono a niente, avendo lo stesso effetto di un placebo, ossia di una pillolina che contiene soltanto zucchero: questo afferma un ampio studio condotto in Gran Bretagna da ricercatori dell´università di Hull. Nel Regno Unito la notizia ha avuto l´effetto di una bomba, finendo in prima pagina su tre dei più importanti quotidiani, il Guardian, il Times e l´Independent. "Il Prozac", titola uno prendendo ad esempio uno dei più noti farmaci antidepressivi, "usato da 40 milioni di persone, non funziona". Ma le aziende farmaceutiche che dalla vendita di questi prodotti hanno guadagnato miliardi di euro (l´introduzione del Prozac negli Usa risale al 1988), contestano i risultati del rapporto, difendendo il valore curativo dei loro medicinali.
«La differenza tra il miglioramento dei pazienti che prendono un placebo e quelli che assumono antidepressivi non è significativa», afferma nel rapporto il professor Irving Kirsch, direttore del dipartimento di psicologia della Hull University. «Ciò significa che le persone che soffrono di depressione possono migliorare senza bisogno di ricorrere a trattamenti chimici». Kirsch appartiene a un gruppo di specialisti che hanno osservato i risultati di 47 studi in materia, sia noti che inediti, compiuti da studiosi americani e britannici sugli effetti degli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina (Isrs), ovvero sugli effetti dei farmaci più diffusi contro la depressione: la fluoxetina (Prozac), la venlafaxina (Efexor) e la paroxetina (Seroxat). I risultati dell´indagine, pubblicati dalla rivista PloS Medicine, parlano chiaro: tali farmaci non sono più efficaci dei placebo in tutti i casi leggeri di depressione e nella maggior parte dei casi gravi. Nella ristretta categoria dei casi più gravi, sembra che i pazienti sottoposti agli antidepressivi abbiano tratto benefici rispetto a chi prende il placebo, ma non tanto perché gli antidepressivi funzionano, quanto perché probabilmente l´effetto psicologico del placebo ha smesso di agire.
«Pare perciò che non vi siano forti giustificazioni a prescrivere trattamenti antidepressivi, a meno che i trattamenti alternativi non abbiano portato alcun risultato», è la conclusione del professor Kirsch. Ribatte la Eli Lilly, casa produttrice del Prozac: «Estensivi test medici e scientifici hanno dimostrato l´efficacia della fluoxetina come antidepressivo». Le fa eco un portavoce della GlaxoSmithKline, che produce lo Seroxat: «Questa analisi ha studiato solo una parte dei dati disponibili e le sue conclusioni sono in contrasto con l´esperienza clinica». Il Guardian predice tuttavia che il rapporto avrà un impatto sulla prescrizione degli antidepressivi.

Repubblica 27.2.08
Giovanbattista Cassano, psichiatra: "Molto dipende dal paziente"
"Non è vero che sono inefficaci funzionano come la psicoterapia"
di Mario Reggio

«Non c´è dubbio che farmaci come il Prozac ed il Serofax abbiano proprietà antidepressive, ma possono provocare effetti collaterali come impotenza, cefalee, nausee o disturbi intestinali. Molto dipende dalle condizioni fisiche del paziente, dall´intensità e durata della terapia. Esamineremo questa ricerca inglese e terremo sotto controllo gli sviluppi». Così il professor Giovan Battista Cassano, direttore della scuola di specializzazione in psichiatria dell´università di Pisa, commenta lo studio dell´università di Hull.
Considera lo studio attendibile?
«La rivista scientifica che l´ha pubblicata non è al top delle classifiche. Comunque bisogna stare molto attenti perché quando scade il brevetto di un farmaco il prezzo crolla e la politica sanitaria spinge perché vengano prescritti gli "equivalenti" per risparmiare. E ci può essere qualcuno interessato a sminuire l´efficacia di quelli generici».
Per la depressione esiste solo il farmaco?
«È innegabile che siano efficaci trattamenti alternativi e quello farmacologico. La mia équipe ha condotto uno studio dal 2002 al 2008 su 366 pazienti affetti da depressione non grave. Una parte è stata trattata con psicoterapia breve ed interpersonale, un´altra con i farmaci. I risultati sono stati in entrambi i casi soddisfacenti. I trattamenti psicoterapeutici hanno un´efficacia dell´80 per cento dopo 9 mesi e del 55 dopo tre».

l’Unità 27.2.08
Simone de Beauvoir, lo scandalo continua
di Liliana Rampello

RIEDIZIONI Torna il libreria un testo-monumento che scatenò un uragano per aver parlato di libertà d’aborto: Il secondo sesso. In Italia fu pubblicato per la prima volta nel 1961 dalla casa editrice il Saggiatore che oggi lo ripropone

Suscitò le ire dei cattolici e dei marxisti e nel 1956 un editto vaticano lo mise all’indice
Il volume è anche un viaggio fra tante esperienze vissute che parlano diritte al cervello e al cuore femminili

«Considerare il feto come un essere umano è un atteggiamento metafisico» affermava Simone de Beauvoir nel 1974, due anni dopo aver accettato la presidenza dell’associazione femminista francese «Choisir», che lottava per la depenalizzazione dell’aborto, ed essersi autodenunciata al processo di Bobigny fra le 343 salopes, donnacce, che dichiaravano pubblicamente di aver abortito. Anche l’Italia ha visto negli anni migliaia di donne in piazza per la 194, per ottenerla e per difenderla, anche in Italia c’erano donne che non avrebbero voluto una legge, ma piuttosto la depenalizzazione di un reato, con accesso gratuito alle strutture pubbliche di assistenza.
Di nuovo, dopo più di trent’anni? Sembra di ricominciare, ma le cose non tornano mai identiche e oggi l’attacco alla libertà femminile in tutti i suoi aspetti è invasivo, invadente, prepotente. Viene da istituzioni e uomini ormai privi di vera autorità ma grondanti autoritarismo, incapaci di stare al livello di molte parole femminili sensate e pensate, scritte e dette, che molti fanno finta di non conoscere o fraintendono malignamente. Mi sembra di assistere a un misero spettacolo: il grande animale morente, il patriarcato, che dà gli ultimi colpi di coda, violenti e incontrollati. Alcune lo avevano detto anni fa (1996), in un foglio intitolato Sottosopra, il patriarcato è finito, ricordando anche che la donna, secondo Kristeva, «non ha di che ridere quando crolla l’ordine simbolico».
Parto di qui per parlare di un testo importante, Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, che ritorna in libreria nel centenario della nascita della sua autrice e per i cinquant’anni della casa editrice, il Saggiatore, che lo ha fatto conoscere in Italia e lo propone ancora oggi, giustamente, fra i suoi classici. Per questa occasione una nuova introduzione è stata affidata a Julia Kristeva, che in Francia presiede alle celebrazioni in onore dell’autrice, e a me è stata affidata la postfazione, che ho scelto di scrivere come un racconto della ricezione italiana del testo, lasciando parlare le molte protagoniste della nostra storia politica, per capire quanto, come, e se la de Beauvoir avesse inciso nella loro formazione personale e nella loro militanza, in partiti o gruppi. Mi hanno aiutata in molte, con ricordi e riflessioni, e le voglio nominare tutte per dare un’idea della grande maglia di scambi che si possono così leggere come in un palinsensto: Luciana Castellina, Carla Mosca, Miriam Mafai, Marisa Rodano, Margherita Repetto, Rossana Rossanda, Paola Gaiotti de Biase, Luciana Viviani, Letizia Paolozzi, Letizia Bianchi, Daniela Pellegrini, Lia Cigarini, Luisa Boccia, Laura Lepetit, Luisa Muraro, Marisa Forcina, Franca Fossati, Carla Pasquinelli, Mariella Gramaglia, Federica Giardini (ricordo infine, con grande affetto, la disponibilità di Giglia Tedesco, mancata proprio nei giorni in cui scrivevo). Queste voci «vive» mi hanno permesso poi di inserire nell’intarsio altre pensatrici, altri testi, i molti elementi di una discussione appassionante che arriva all’oggi, da Luce Irigaray a Judith Butler.
L’elenco non è inutile, mancano gli uomini, e non a caso o per scelta aprioristica. Fin dal momento della sua uscita in Francia, nel 1949, il libro ha fatto scandalo mentre raggiungeva vere e proprie vette di vendita, e la reazione maschile non si era fatta aspettare, per lo più espressa in ingiurie e sarcasmi di tutti i tipi, virago, nevrotica, repressa, frigida, ninfomane, lesbica, priapica, e per di più misogina. Il libro suscitava le ire dei cattolici e dei marxisti o, quando andava bene, se ne sottolineava la secondarietà dell’autrice rispetto al suo compagno, Sartre. I tre capitoli, «La madre», «Iniziazione sessuale», «La lesbica», pubblicati in anteprima su Les Temps Modernes, avevano scatenato un uragano. Sarebbero bastate le prime 15 pagine dedicate alla madre, a scatenarlo, visto che lì sono condensati i pensieri in difesa della libertà dell’aborto, si nega l’esistenza stessa dell’istinto materno, si considera alienante la funzione materna. In Italia Arnoldo Mondadori compra subito i diritti del libro, ma non lo pubblica... Nel 1956 un editto vaticano lo mette all’indice (intervento persino più comprensibile della misera censura sulla scena di un film), il clima culturale non è favorevole e sarà Alberto Mondadori, una volta fondata nel 1958 la sua casa editrice, il Saggiatore, a pubblicarlo nel 1961, nella collana «Cultura», di fianco a Levi-Strauss e a De Martino, consacrandolo fra i libri di studio. Dopo di che, praticamente, silenzio stampa, dunque avevo ben poco materiale serio per far parlare gli uomini, a parlare mi è sembrato piuttosto il loro silenzio, la loro indifferenza. Né mi pareva interessante seguire le discussioni disciplinari che man mano ovviamente hanno coinvolto gli studi accademici. Ben più importante infatti è un altro dato, ovvero che Il secondo sesso, nonostante la vastità dell’impianto e la sua problematicità filosofica, abbia sempre incontrato un pubblico di donne comuni che lo hanno letto con passione, lo hanno usato per capire e capirsi, se ne sono servite nelle loro lotte private e pubbliche. In questo sicuramente gioca tutta la seconda parte del libro, vero e proprio viaggio tra le esperienze vissute dalle donne, raccontate con limpida e impietosa precisione in una lingua che si piega sulle piccole verità per dire finalmente chi è la donna, per sottrarla a un destino biologico che la inchioda e le nega l’accesso alla storia - la frase più celebre e conosciuta, la più discussa, è «donna non si nasce, lo si diventa» - una lingua che parla diretta al cervello e al cuore femminili. Ovunque nel mondo, a milioni, le donne leggeranno questo testo che si fa capire anche da quelle che non si destreggiano con abilità fra questioni filosofiche quali immanenza e trascendenza. C’è una verità dell’autrice, che si sente a pelle, ovvero che per scrivere questo libro, lei, la grande intellettuale solitaria, ha dovuto chiedersi cosa significa dire: «io sono una donna», e questo, semplicemente questo, «l’andare scoprendo le sue idee man mano», apre il suo libro alla lettura di qualsiasi mente. E alla discussione di quante, negli anni a seguire, prendendo coscienza di sé, a lei si sono riferite, con lei consentendo o mettendola radicalmente in discussione. Per un decennio persino mettendola in soffitta. Eppure Simone de Beauvoir ricompare sempre e sempre con una sua specifica vitalità, in ragione di almeno due mosse, il richiamo continuo ad assumersi la responsabilità del proprio destino e del mondo comune, e la coraggiosa libertà con cui ha spaziato tra tutti i saperi per riattraversarli, decostruirli diremmo oggi, e raccontarli alla luce di uno sguardo differente. Affrontare il suo lavoro diventa allora questione di nuove possibili interpretazioni di un libro-monumento del pensiero del Novecento, di farlo reagire di fronte all’irruzione del pensiero della differenza, di metterlo in tensione radicale con l’idea di parità e uguaglianza, di marcarne i limiti, di metterne in luce le contraddizioni, non dimenticando mai che «la separazione dei sessi non è fondata su alcuna natura, su alcuna essenza», come lei ci ha insegnato. Celebrarla o liquidarla? si chiedeva Maria Serena Palieri sull’Unità dell’8 gennaio, sfogliando per noi i giornali italiani nel giorno del centenario. Poche pagine, voli in superficie, a guardar bene. Una forte tentazione alla liquidazione di una pensatrice e di un testo che evidentemente può ancora fare scandalo. E pensare che anni fa Rosi Braidotti con gioia aveva affermato in proposito che «la transizione dal blasfemo al banale dà la misura del progresso compiuto», e la stessa Simone, molto prima, nella Forza delle cose, aveva rilevato non solo che la verità al suo libro l’avevano conferita le donne, ma che era merito loro se non scandalizzava più. Forse non è così vero, forse è meglio leggere o rileggere Il secondo sesso per capire quanto è davvero scandaloso che qualcuno ancora pensi di poter parlare al posto di una donna.

Corriere della Sera 27.2.08
Cambio al Riformista: Polito torna alla direzione

ROMA (s. riz.) — Sarà uno dei pochi ex senatori che non avranno diritto al vitalizio. Per Antonio Polito, come per gli altri parlamentari eletti nel 2006 per la prima volta, la legislatura non è durata abbastanza per riscattare la pensione. Ma a differenza di altri suoi colleghi, in Parlamento non tornerà. Buon per lui che in questi due anni abbia continuato a versare i contributi all'istituto di previdenza del giornalisti. Categoria nella quale Polito forse rientrerà a pieno titolo: di nuovo alla guida del Riformista, giornale oggi diretto dall'ex editorialista del Corriere Paolo Franchi. Archiviata l'ipotesi di acquisire l'Unità, la famiglia Angelucci sta accarezzando l'idea di rilanciare il quotidiano del quale il senatore eletto nel 2006 con la Margherita è stato fondatore. L'investimento previsto dal piano editoriale che circola da qualche giorno è massiccio, considerando che i re delle cliniche, editori dello stesso Riformista ma anche di Libero, erano pronti a mettere 20 milioni sul piatto per comprare il quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Il progetto prevede la trasformazione del Riformista, giornale ora dedicato soprattutto alle analisi e alle riflessioni dell'area, appunto, «riformista», in un quotidiano d'informazione a 30 pagine full color. Nuovamente affidato, in questa versione, al suo fondatore Polito. Resta una domanda: quale potrebbe essere in tale prospettiva il ruolo di Emanuele Macaluso, tenendo conto che il Movimento per le ragioni del socialismo garantisce al Riformista i contributi pubblici (2 milioni 582 mila euro nel 2005)?

Corriere della Sera 27.2.08
Tendenze A due mesi dalla visita del Papa, una ricerca svela: la Chiesa cattolica rischia l'estinzione
Americani in fuga E gli evangelici sorpassano i cattolici
Un cittadino su quattro cambia fede almeno una volta nella vita
di Alessandra Farkas

L'America delle religioni
Con 60 milioni di fedeli, circa il 25% su una popolazione di 300 milioni di abitanti, il cattolicesimo resta la seconda confessione degli Usa, dopo il protestantesimo, che si attesta al 51% e registra un calo rispetto agli anni 70. A seguire le comunità di mormoni, ebrei, musulmani, altri: il gruppo che ha guadagnato più «convertiti» è quello degli americani che non si identificano con alcuna religione
Le megachiese evangeliche che sposano fede e showbiz abbracciano il 26% degli americani. I cattolici sono al 24 23 settembre 2001: l'ammiraglio Robert Natter con i rappresentanti delle maggiori religioni negli Usa durante la preghiera per l'America, allo Yankee Stadium di New York: pochi giorni prima, l'attacco alle Torri gemelle

NEW YORK — Se non ci fossero gli immigrati dal Centro e Sud America, il cattolicesimo americano rischierebbe l'estinzione. A meno di due mesi dalla visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti, uno studio condotto dal prestigioso Pew Forum on Religion and Public Life sulla base di 35.000 interviste ad americani adulti rivela come, nel corso dell'ultima generazione, la Chiesa cattolica è quella che ha subito il maggior numero di perdite di qualsiasi altra confessione.
L'esodo degli americani dalla fede della loro infanzia, si scopre, è un fenomeno sempre più diffuso. Secondo il Pew Forum il 28% degli americani in età adulta hanno cambiato religione almeno una volta nel corso della loro vita. Una percentuale che sale addirittura al 44% se si considerano i passaggi da una denominazione protestante all'altra. Il gruppo che ha guadagnato più fedeli è, a sorpresa, quello di chi non si identifica con alcuna religione: il 16% del totale, contro il 5-8% degli anni Ottanta.
Ma a pagare maggiormente lo scotto nel melting pot ormai sempre più nomade, interrazziale ed inquieto che è l'America di oggi è soprattutto la Chiesa di Roma, passata dal 31,4% al 23,9%, con un tasso di abbandono del 7,5%. Mentre quasi un americano su tre è stato allevato nella fede cattolica, meno di uno su quattro continua a professarsi tale. «Ciò significa che il 10% degli americani sono ex cattolici», teorizza lo studio. Le perdite sono però compensate dal continuo arrivo di immigrati dal Sud e Centro America, in stragrande maggioranza cattolici. Grazie a loro il cattolicesimo continua ad essere la seconda religione (con 60 milioni di fedeli, circa il 25% degli abitanti) dopo quella protestante (51%), in calo rispetto agli anni Settanta, quando rappresentava circa i due terzi del totale.
Ebrei e musulmani restano una minoranza con, rispettivamente, 1,7% e 0,7%. Il gregge che il Papa si appresta ad incontrare durante la sua trasferta a Washington e New York è sempre più ispanico: circa la metà di tutti i cattolici americani sotto i 30 anni sono latinos. E poiché gli adulti nati cattolici che restano devoti alla Chiesa di Roma sono solo il 68% (contro l'80% di protestanti e il 76% di ebrei), uno dei suoi compiti più pressanti sarà frenare la defezione dei fedeli Usa. Amareggiati dallo scandalo dei preti pedofili e insofferenti di fronte al celibato dei sacerdoti e alle posizioni cattoliche più conservatrici in tema di sessualità e riproduzione rispetto a luterani, metodisti ed episcopali. Ma dalle rilevazioni di Pew anche questi ultimi appaiono in crisi. Le chiese protestanti tradizionali, che nel 1957 raccoglievano circa il 66% dei fedeli, adesso attirano solo il 18% degli americani. A beneficiarne sono le megachiese evangeliche che sposano fede e showbiz e oggi abbracciano il 26,3% della popolazione americana adulta. «L'economia della religione americana è come Wall Street, molto dinamica e molto competitiva», spiega Luis Lugo, direttore del Pew Forum. «Tutti perdono, tutti guadagnano e proprio come in Borsa, nessuno può riposare sugli allori. Chi oggi perde numeri significativi», assicura, «è costretto a darsi da fare se vuole rimanere rilevante».

Corriere della Sera 27.2.08
Nazismo: disabili sterminati
La coscienza tranquilla di un medico assassino
di Antonio Carioti

A volte la crudeltà ha un volto soave. Per esempio quello di un anziano colto, sereno e cordiale, appassionato di musica, ottimo conversatore. Un uomo di cui viene spontaneo dire che «è invecchiato bene». Ma che cela nel suo passato crimini spaventosi. Avere una persona del genere come lontano parente, conoscerlo e imparare ad apprezzarlo, poi scoprirne il volto sinistro: è l'esperienza toccata in sorte all'alsaziana Mireille Horsinga-Renno, che la racconta con tono inorridito e dolente nel libro Una ragionevole strage (Lindau).
L'eccidio riguarda i disabili eliminati in massa, sotto il Terzo Reich, da medici votati alla purificazione della razza. Uno di loro era Georg Renno, che agiva nel castello di Hartheim, in Austria, presso Mauthausen. Qui vennero sterminati oltre 18 mila portatori di handicap, colpevoli solo di essere stati penalizzati da madre natura. E un aspetto impressionante della vicenda è l'assoluta mancanza di rimorsi del protagonista, che sostiene di aver liberato le sue vittime dalle loro sofferenze. D'altronde la coscienza umana è capace delle più stupefacenti contorsioni e i percorsi individuali possono a volte sbalordire. Basti pensare che tra i massimi responsabili del programma T4 per l'eliminazione dei disabili c'era Karl Brandt, medico personale di Adolf Hitler, che da giovane voleva recarsi in Africa per assistere i malati insieme al filantropo Albert Schweitzer nell'ospedale di Lambaréné.
MIREILLE HORSINGA RENNO Una ragionevole strage LINDAU PP. 206, e 15

Corriere della Sera 27.2.08
Saggi La tesi nel libro della «femminilista» Vittoria Haziel
Le religioni non amano le donne
di Marisa Fumagalli

Un'idea per lo slogan del prossimo 8 marzo? «Non da sola».
Fa a pugni, certo, con le anticaglie del femminismo separatista che non c'è più. Ben s'accorda, invece, con il nuovo «femminilismo », sostantivo coniato dalla scrittrice Vittoria Haziel. Sue, infatti, sono le tre parole-manifesto, contenute nell'ultima riga del saggio E dio negò la donna.
Sottotitolo: Come la legge dei padri perseguita da sempre l'universo femminile (Sperling & Kupfer, pp. 154, e 18). Il richiamo alla nuova battaglia di liberazione, che richiede lo sforzo comune dei due sessi, è la missione dichiarata del libro. Che, tuttavia, pone al centro il j'accuse, esplicito e testimoniato da storie vere a tinte forti, contro le violenze di ieri e di oggi, inflitte alle donne di tutto il mondo, nel nome delle tre grandi religioni monoteiste. Ebraismo, cristianesimo, islamismo. Excursus storico, corredato da riflessioni personali e annotazioni che rimandano ad altre analisi, impresse con il tratto deciso di una matita rossoblù. Nel mirino, dunque, ci sono le religioni dei padri. Mai «aggiornate», nonostante tutto. L'autrice, citando testi sacri, encicliche papali, discorsi, dimostra la sua tesi: il razzismo divino consumato ai danni delle donne.
Il fondamentalismo religioso (e non solo quello islamico di cui si parla molto, di questi tempi), che fa rima con maschilismo, umilia e colpisce tutto il genere femminile. Si può ancora sperare, allora? Si può. Il filo rosso che lega il variegato «documentario » (la Haziel è anche regista e sceneggiatrice), percorso da fughe nel sogno, ravvivato da sorprendenti artifici linguistici (si veda la sostituzione della parola dio con io, in alcune frasi), rivela un fine ambizioso: unire ciò che apparentemente è diviso e contrapposto. È questa, infatti, la missione dei «pontefici» (coloro che costruiscono ponti), a cominciare da lei: pacificare i due sessi, attraverso una nuova alleanza che offra dignità piena all'uomo e alla donna. «Non da sola », quindi. Gli uomini nuovi ci sono, basta trovarli, discutere e confrontarsi. In appendice al saggio, ecco l'elenco di gruppi maschili e misti, sparsi sul territorio nazionale e «accomunati dall'obiettivo di cambiare una Storia logora e sterile».
La «femminilista» Vittoria Haziel ha deciso anche di lanciare il nuovo fiore della «ricorrenza »: l'8 marzo, niente mimose. Al loro posto, tanti non-ti-scordar- di-me, simbolo di quel ponte d'amore tra femminile e maschile. Con la proposta di un'iniziativa forte: l'istituzione della «Giornata della memoria» (delle donne) «per ricordare il genocidio e la violenza che nella storia e nel mondo fanno ogni giorno milioni di vittime, più di qualsiasi olocausto».

Corriere della Sera 27.2.08
Il segreto di famiglia del filosofo Hadot
di Nuccio Ordine


Rivelazioni A ottantasei anni l'intellettuale francese svela le ragioni che da giovane lo spinsero a scegliere una carriera da laico
«Nostra madre ci voleva preti: mio fratello si finse morto e sparì, anch'io la delusi per amore di una donna»

«Una filosofia che non si traduce in maniera di vivere diventa un astratto edificio concettuale privo di qualsiasi rapporto con la vita e con l'esperienza umana». Pierre Hadot, uno dei più grandi esperti di filosofia antica, riprende con vigore e passione un tema che l'ha accompagnato nel corso della sua lunga carriera di studioso. A quasi ottantasei anni — coronati da un successo internazionale, da numerosi premi e dal suo insegnamento al Collège de France — Hadot non rinuncia a considerare inseparabili il discorso filosofico e la vita: «Nella filosofia antica si percepisce con chiarezza il fatto che il vero filosofo non è solo colui che parla ma anche colui che agisce. Il discorso filosofico (che si tiene nelle scuole attraverso l'insegnamento) e la vita filosofica (la maniera che maestro e discepolo hanno di comportarsi come cittadini nella loro comunità) costituiscono due poli che debbono interferire tra loro. Quando ciò non avviene è facile capire le critiche di chi sostiene che purtroppo "noi abbiamo professori di filosofia e non filosofi" (Henry David Thoreau) o di chi dice che spesso "la filosofia non si trova nelle classi dove si insegna filosofia" (Charles Péguy)».
Nella bella casa di Limours — al centro della periferia sud di Parigi, dove abitano diversi professori universitari — Pierre Hadot mi accoglie sorridente in un grande studio invaso dai libri. Sulla scrivania campeggiano le bozze del suo prossimo saggio che uscirà in aprile presso il prestigioso editore Albin Michel. Il titolo è un inno alla vita: Non dimenticare di vivere. Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali.
E subito dopo un fugace accenno alla necessità di mettere in luce una tradizione lontana dal famoso
memento mori (ricordati che si muore), lo studioso non nasconde il desiderio di raccontare il suo primo incontro con la filosofia: «Nella mia biografia mia madre ha giocato un ruolo importante. Aveva deciso lei stessa il destino dei miei due fratelli maggiori e il mio: i suoi tre figli dovevano essere preti. Così la mia formazione iniziale, dall'età di dieci anni, avvenne nei seminari di Reims, secondo le regole di un'educazione religiosa. Ma leggevo anche, per interesse personale, autori che poi hanno condizionato il mio pensiero: Montaigne, Bergson, Heidegger e, naturalmente, l'esistenzialismo di Sartre e Camus».
Lentamente, il giovane Hadot percepisce il suo distacco da un mondo chiuso che non permetteva nessun contatto concreto con la realtà esteriore. «Due circostanze, una ideologica e l'altra privata, mi costrinsero a prendere coscienza del mio allontanamento dalla Chiesa. Da una parte, la pubblicazione dell'enciclica
Humani Generis, nel 1950, che prendeva posizione contro l'evoluzionismo dello scienziato-teologo Teilhard de Chardin (e ci sarebbe tanto da dire anche oggi sulle interferenze delle gerarchie ecclesiastiche in questioni relative alla ricerca scientifica!). Dall'altra, una storia d'amore, iniziata nel 1949, che mi legava a colei che sarebbe poi diventata la mia prima moglie. Non me la sentivo più di rinnegare le mie convinzioni legate alla libertà della ricerca filosofica e di costruire una doppia vita, come molti dei miei confratelli facevano, giustificando le loro scelte con il motto luterano
Pecca fortiter et crede fortius, come se il credere con forza potesse cancellare ogni peccato».
Ma dove trovare il coraggio per abbandonare definitivamente la Chiesa? E, soprattutto, quali conseguenze avrebbe avuto questa scelta nei rapporti con la madre? Hadot decide di raccontare per la prima volta, con la discrezione che ogni intimo segreto richiede, una circostanza che finora aveva preferito nascondere. «La forza mi venne dall'esperienza di mio fratello, il secondo, che aveva dieci anni più di me. Per liberarsi dalla Chiesa e per non deludere mia madre, simulò una morte per annegamento. Un po' di tempo dopo, mi venne a trovare la sua compagna e mi disse che mio fratello era vivo e che avrebbe voluto rivedermi. Nessuno seppe la verità, tranne io. Quel gesto estremo in nome della vita mi convinse che anch'io non avevo alternative. Scrissi a mia madre e abbracciai il mio nuovo percorso di studioso».
Per designare l'attività filosofica Hadot, pensando alla filosofia antica e anche ad autori come Foucault o Wittgenstein, usa volentieri la nozione di «esercizio spirituale»: «Io credo che, in un ambito filosofico, l'"esercizio spirituale" possa considerarsi come una pratica volontaria, tutta personale, destinata a provocare una profonda trasformazione dell'individuo, una profonda metamorfosi del sé. Per alcuni filosofi antichi, questa pratica potrebbe essere messa in relazione con il prepararsi ad affrontare le difficoltà della vita: la malattia, la povertà, la mancanza del necessario, la variazione improvvisa della fortuna impongono un esercizio interiore che ci aiuta nella quotidianità e, nello stesso tempo, ci insegna a ragionare e a interiorizzare il sapere. Sulla scia di Paul Rabbov, ho mostrato che gli esercizi spirituali cristiani erano un'eredità della filosofia antica».
Uno dei compiti principali della filosofia per Hadot non è tanto quello di costruire «discorsi nuovi» o «edifici concettuali fine se stessi»: «La filosofia — ci dice — deve soprattutto insegnarci ad andare al di là di noi stessi, a superare il perimetro limitato del nostro io, e a farci prendere coscienza del nostro appartenere alla grande comunità degli esseri umani. Solo così pensiero e azione possono aiutarci a cercare il bene comune, rinunciando a inseguire i piccoli egoismi e le miserie legate al nostro particulare». Questa coscienza permette di vedere con occhi diversi la realtà nella quale siamo immersi. «Si tratta di cercare una vita più razionale che ci consenta di aprirci agli altri e di sentirci parte integrante dell'immensità del mondo. Un processo che non prevede un punto di arrivo. Siamo di fronte a una sfida infinita che, pur non producendo sempre risultati di alto livello, ci aiuta comunque a misurarci con i grandi misteri dell'esistenza».
Ma prima di salutarci, Hadot ci tiene a ricordare che per poter assolvere a questa funzione di «formazione », la filosofia non può essere al servizio del mercato e del profitto. «La morale stoica insegna che il culto del profitto distrugge lentamente l'umanità. La vita filosofica impone invece che ogni uomo sia leale, sia trasparente, sia disinteressato. Socrate era un filosofo non perché insegnava filosofia. Lo era perché la sua maniera di vivere, e poi di morire, hanno testimoniato cosa fosse per lui la vera filosofia». Parole che dovrebbero far riflettere, in una «civiltà» in cui si perde sempre più l'idea di bene comune.

Repubblica Roma 27.2.08
Musica e memorie il ritorno a Valle Giulia dei protagonisti del '68
Nella ricorrenza della battaglia tra studenti e polizia, quelli che allora c'erano tornano nella facoltà di Architettura. Per raccontarla. Tra feste e danze
di Francesca Giuliani


Michele Placido quel giorno era malato, e per un puro caso non si trovò al centro di una delle battaglie più famose della storia di Roma, quella di Valle Giulia. Ma se anche fosse stato in ottima forma, non l´avremmo riconosciuto oggi nelle foto in bianco e nero tra i Ferrara i Mieli, i Fuksas perché in quei giorni che precedettero il maggio più famoso del Novecento, l´attore e regista portava la divisa di poliziotto, ed era appena arrivato dalla provincia di Foggia. Era insomma dall´altra parte della barricata. Ed è questa la storia che racconterà, insieme ai suoi ricordi del clima di quell´anno, dal palco dell´Aula magna della facoltà di Architettura sabato pomeriggio, prima di leggere la poesia famosa di Pasolini e magari accennare anche al film che sta preparando, dedicato proprio al Sessantotto e intitolato, pare, "Cari compagni", con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca ed Elio Germano. Quello con Placido rischia di essere uno dei momenti più emozionanti delle iniziative dedicate dalla Facoltà di Architettura della Sapienza alla rievocazione dell´anno della grande contestazione.
«Tra il monumento al Sessantotto e la sua denigrazione, abbiamo scelto un´altra strada», dice Stefano Catucci, docente di Estetica che, insieme a Giorgio Muratore, Stefania Tuzi e Donatella Scatena, ha lavorato con un gruppo di studenti alle manifestazioni di questi giorni, che proseguiranno fino a metà marzo. Il titolo che le tiene insieme è "68-08. L´immaginazione al futuro" ed ha ricevuto l´aiuto della Regione e della Provincia.
Per la giornata di venerdì l´ospite atteso è (alle 11.30) Paolo Pietrangeli, il cantautore che a Valle Giulia dedicò una delle sue canzoni più famose («Il primo marzo sì me lo rammento/saremo stati 1500/ e caricava già la polizia/ma gli studenti la cacciavan via»). A seguire dalle 15 la diretta di Fahrenheit di Radio Tre con Marino Sinibaldi. Ma è il primo marzo la giornata fatidica in cui il quarantennale ricorre. Sarà un pomeriggio di musica con il trio di Piero Brega, Ambrogio Sparagna, i Têtes de bois, i Circle Games e una delegazione degli Stormy Six gruppo che all´epoca furoreggiava.
Ma le celebrazioni di un episodio che a quanto pare inorgoglisce molto anche gli studenti di oggi, hanno coinvolto moltissime persone depositarie delle memorie di quei giorni. È nata così una mostra fotografica e documentaria che apre nelle aule della Facoltà sempre sabato pomeriggio. "Quelli di Valle Giulia" è il titolo che poi coincide anche con quel che segue: tutte le persone conosciute e non che parteciparono a quei giorni sono state invitate in aula magna, dalle sei di sera, prima di un lungo dj set "vintage". E sono tanti i nomi noti. Paolo Portoghesi, Franco Purini, Marco Bellocchio, Massimiliano Fuksas, Giovanni Berlinguer, Sandro Portelli, Morando Morandini, Giulia Rodano... Microfono aperto ai ricordi, insieme come allora.

La Stampa 27.2.08
Maurizio Pollini
Ragazzi, siate realisti vi serve un'utopia
Il grande musicista racconta il suo '68: "Il genio è rivoluzionario"
intervista di Sandro Cappelletto


In ogni genio deve esserci una componente rivoluzionaria. In Beethoven è evidentissima, come conseguenza dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese e delle speranze straordinarie che esistevano in quel tempo. Di un profondo senso della gioia».
Quanto entusiasmo in queste parole, quanta luce negli occhi; in tutta evidenza, mentre ne parla, il maestro sente dentro di sé la potenza, l'intatta emozione che quella musica gli procura. Speranza e gioia. E adesso? Siamo nel salotto d'ingresso della casa di Maurizio e Marilisa Pollini al centro di Milano, seduti accanto a una scatola di cioccolatini che dimagrisce in fretta. Alla domanda segue uno dei lunghi, vivi silenzi di Pollini, mentre l'idea che si sta formando cerca ancora le parole più adatte.
Quarant'anni dopo il 1968, come fa, come può, un ragazzo che abbia i vent'anni che lei aveva allora, a conservare dentro di sè, a sentire vivi questi sentimenti?
«Oggi i giovani dovrebbero essere molto più informati sulle vicende del recente passato del nostro paese. Esercitare la memoria, capire per poi eventualmente opporsi».
Opporsi a che cosa?
«All'omologazione. Alla conviilZIon che non sia possibile un' organizzazic ne economica diversa da quella in Cl stiamo vivendo. Alla vittoria definit va del culto del denaro e dell'apparer te efficienza capitalista. Alla perdit della fantasia, dell'utopia e dunqu anche della speranza; ma nella stori non vi è nulla di definitivo ed è prerc gativa dei giovani immaginare il carr biamento».
Quale il debito maggiore verso quegli anni?
«La necessità che si avvertiva c pensare in modo autonomo. Di no prendere le certezze dei genitori come verità sicure una volta per tutte, di elaborare una visione autonoma del mondo. Un'attitudine molto legata alle esperienze artistiche di allora. Pur con tutti i riflussi che si sono susseguiti, questo cambio di mentalità è rimasto radicato nella società».
Aveva un suo idolo?
«Bertrand Russell, una figura oggi quasi dimenticata. Ci ha insegnato l libertà del pensiero, in una concezione democratica della società che lo metteva in collisione con l'ideologia marxista. Ha creato il Tribunale Russell contro i crimini di guerra dell'imperialismo americano. Poi, abbiamo purtroppo scoperto l'esistenza di molte altre realtà che avevano questo carattere oppressivo».
Quando è finito, in Italia, lo spirito del '68?
«Con il delitto Moro, nel 1978. Enrico Berlinguer aveva visto giusto con la sua ipotesi del compromesso storico come unica forma di governo possibile in Italia. Un progetto ucciso dallo morte di Moro».
Nel campo della creazione musicale quali sono stati gli esiti più notevoli? «Sono stati molti i compositori italiani, penso naturalmente a Luigi Nono e Luciano Berio, che hanno portato avanti uno straordinario rinnovamento del linguaggio, con libertà rispetto agli scherni accademici, con una mentalità più aperta. Hanno cominciato, come all'estero Boulez e Stockhausen, a creare opere prima impensabili. E il rinnovamento artistico, come sempre succede, ha preceduto quello politico».
I Concerti per lavoratori e studenti, l'urgenza di un pubblico nuovo, diverso. Finitotutto?
«Settembre Musica, a Torino, prosegue una politica più aperta verso il pubblico. Indubbiamente quelle esperienze alla Scala, con Paolo Grassi, Claudio Abbado, il coinvolgimento dei consigli di fabbrica, tanti lavoratori che scoprivano il "grande" teatro, hanno prodotto qualcosa di nuovo, che non poteva però proseguire senza un'adeguata evoluzione. Il rinnovamento poteva essere maggiore».
Milano, 12 dicembre 1969, strage di Piazza Fontana. Era qui?
«Sono corso in Piazza del Duomo, la reazione democratica della folla, la quantità e la determinazione di tutte quelle persone mi hanno fatto sentire che non ci sarebbe stata una svolta autoritaria. Però abbiamo rischiato un colpo di stato fascista, per allineare l'Italia alle dittature dei colonelli greci, di Franco in Spagna, di Salazar in Portogallo».
Questa è la sua città da sempre. Ma non è più quella.
«Milano è cambiata da quando il Partito Socialista ha finito di avere la sua influenza in città, travolto da Mani Pulite. Un'iniziativa ottima, intendiamoci, ma che nei fatti ha creato un vuoto politico riempito da figure e modalità opposte».
Nel '68 il nemico erano il padrone e la sua fabbrica, l'imperialismo, la cultura borghese. Oggi?
«lI vuoto di memoria. Se il livello di vita in Europa continua a essere molto più disteso che in altre parti del mondo, molto è dovuto alle conquiste sociali del dopoguerra, fino agli anni Ottanta. Non c'è abbastanza coscienza di quanto la nostra vita democratica deve allo stato sociale, di quale pericolo rappresenti la precarietà».
È metà pomerigggio, sono passate due ore, il maestro ha voglia di tornare allo studio, di riprendere a suonare: la sua disciplina, da sempre. Accompagna l'ospite alla porta, chiede di rileggere l'intervista «perché queste sono cose importanti». Poi, sulla soglia, prima del congedo: «Sa qual è il vero rischio? Il PIL sarà sempre più alto, ma noi saremo tutti morti!».

il Riformista 27.2.08
Linke. Ma la Germania si butta a sinistra?


Dopo le elezioni ad Amburgo è innegabile che in Germania siamo testimoni di una cesura nel sistema politico, che ha un solo precedente: gli anni 80, quando i Verdi entrarono in campo. Oramai il sistema partitico consiste di cinque forze: Cristiano-democratici (Cdu/Csu), Social-democratici (Spd), Liberali (Fdp), Verdi e appunto La sinistra (Die Linke). Quest'ultima oramai è rappresentata in 10 Länder su 16, di cui 6 all'est e 4 all'ovest. E supera, per numero di deputati sia i Liberali che i Verdi. La conseguenza è tanto semplice quanto grave: le vecchie maggioranze non funzionano più e la Germania si trova di fronte ad una triplice sfida: rischio dell'ingovernabilità, pericolo di stagnazione permanente con le alleanze Cdu/Spd, svolta verso nuove costellazioni politiche.
Gli elettori evidentemente non si fanno scoraggiare dal fatto che su alcune liste si trovano dei comunisti ortodossi. Anche se la stragrande maggioranza dei tedeschi non condivide le posizioni politiche della Linke, il 63%, secondo un recente sondaggio, chiede una normalizzazione del rapporto con questa realtà. Sono risultati notevoli in una Germania tradizionalmente contraria a partiti più a sinistra della Spd.
Quali sono i motivi di questo nuovo atteggiamento? Innanzitutto molti, anche tra coloro che non votano Die Linke, vedono minacciata l'economia di mercato sociale, caratteristica del modello tedesco. E i vari recenti scandali nel mondo economico (frode fiscale con evasione verso il Liechtenstein, corruzione presso Volkswagen, Siemens ecc.) indubbiamente rafforzano la percezione di uno stato squilibrato dal punto di vista sociale guidato da una élite corrotta. Già la politica di Schroeder (la cosiddetta Agenda 2010), centrata sul liberismo economico con sgravi fiscali per le imprese (l'Irpeg è stata ridotta dal 45 al 15%) e per i redditi più alti ha allargato la forbice tra fasce deboli e fasce alte: i redditi dei lavoratori dipendenti nel periodo 1991-2006 sono scesi del 1,5% e il consumo privato tra il 2002 e il 2006 era il più basso dal 1990.
La richiesta di «giustizia sociale» è al secondo posto delle priorità indicate dagli elettori. Die Linke, dunque, non sarà un fenomeno transitorio perché siamo di fronte ad una serie di problemi seri e non risolvibili in poco tempo. Die Linke non è un semplice fenomeno di protesta o di antipolitica. Si tratta anzi di un fattore di mobilitazione politica perché è l'unica forza che riesce a far votare cittadini che non lo avevano mai fatto. Le aspettative di un serbatoio elettorale in grado di superare il 10% sono decisamente fuorvianti, ma un elettorato abbastanza stabile tra il 6 e l'8% sembra garantito.
La Spd ne trae le conseguenze perché senza Die Linke in brevi tempi non sarà in grado di formare maggioranze vincenti. Anche Kurt Beck sembra ormai essersi rassegnato a questa scomoda realtà. Il suo annuncio pochi giorni prima delle elezioni di Amburgo, in cui diceva di prender in considerazione un governo di minoranza in Assia con appoggio esterno da parte della Linke, gli è costato molti meno voti di quanto non temesse. Per questo la Spd lunedì scorso ha cambiato strategia: le sedi regionali ora sono libere di decidere se collaborare con Die Linke laddove non ci sono altre possibilità.

Il Sole 24 ore 27.2.08
In Francia è legge il carcere a vita per i disturbi mentali


E’ stato pubblicato ieri dal Journal Officiel (la Gazzetta Ufficiale francese) il testo della legge che prevede l’invio nei centri di ritenzione di alcuni criminali affetti da disturbi mentali anche al termine della loro pena. Il provvedimento, che ha scatenato polemiche tra i giuristi – vedasi il Sole 24 Ore del 24 febbraio – nella stessa magistratura e a livello politico, non sarà però retroattivo, come avrebbe desiderato il Presidente Sarkozy, dopo la censura della Corte Costituzionale sulla retroattività. Una situazione alla quale difficilmente, nonostante l’incarico conferitole dal Capo dello Stato, la Corte Costituzionale potrà trovare un rimedio, visto l’orientamento espresso dal presidente di quest’ultima, Vincent Lamanda, che ha accettato l’incarico di Sarkozy di una riflessione sulla criminalità recidiva escludendo, però ,di voler aggirare la decisione della Corte Costituzionale.
Il testo, composto di 18 articoli, rappresenta un cambiamento culturale nell’ordinamento giuridico francese poiché fa valere il concetto di prevenzione rispetto a quello di rieducazione. La legge si applica ai criminali ritenuti più pericolosi e affetti da comprovati disturbi mentali che abbiano commesso reati per i quali sono stati condannati dai 15 anni in su. Chi rientra in questa categoria può essere trasferito, dopo il parere di una commissione e se tale richiesta è stata formulata nel corso del processo, dal carcere dove ha scontato la pena ad un centro di ritenzione di sicurezza. Il rilevo dei Saggi rende di fatto applicabile il provvedimento non prima di 15 anni, mentre Sarkozy, per il quale “non si tiene mai abbastanza in conto l’importanza delle vittime” avrebbe voluto una sua immediata applicazione. Criticata dalla sinistra, la legge viene invece approvata dall’80% dei francesi, secondo un sondaggio condotto da Opinion Way per Le Figaro: il 65% degli intervistati è favorevole alla retroattività.

il manifesto 27.2.08
Su salari, lavoro e precarietà Veltroni e l'Arcobaleno hanno gli stessi titoli ma proposte diverse
Pd e Sinistra, programmi opposti
di M. Ba.


Sorpresa. Anche se la notte è nera i gatti non sono tutti uguali. O meglio, anche se i programmi del Pd e della Sinistra arcobaleno affrontano gli stessi problemi - salari più bassi d'Europa, precarietà diffusa, calo della competitività, enorme trasferimento della ricchezza dal lavoro alle rendite - le ricette e le soluzioni che propongono non potrebbero essere più diverse. Stesse domande, risposte opposte.
E' molto diverso, per esempio, promettere mille euro lordi al mese a ogni precario che lavora (Veltroni) o dire che questi mille euro al mese devono andare a un precario tra un lavoro e l'altro sotto forma di salario sociale (come scrivono Maurizio Zipponi e Francesca Ruocco di Rifondazione oggi a pagina 2). La seconda proposta trascina di per sé in alto anche il salario minimo e garantisce un reddito quando non si lavora.
Ieri è stato analizzato il programma del Pd (vedi il manifesto del 26 a pagina 4). Oggi proviamo a mettere a confronto, per quanto possibile, le proposte circolate in questi giorni a sinistra. Anche se il programma arcobaleno sarà definito soltanto oggi in un «verticione» di tutte le segreterie dei quattro partiti convocato alla Sala delle mappe geografiche alla camera le linee guida sono più o meno le stesse degli stati generali di dicembre.
Il metodo. Il programma della Sinistra vuole essere un work in progress. Sarà discusso in assemblee e iniziative pubbliche in tutta Italia sabato e domenica prossima. E' un metodo se non partecipato comunque aperto, nell'intenzione, al confronto di associazioni, sindacati (è stato chiesto un incontro a Cgil, Cisl e Uil) e movimenti.
Salario sociale e salario minimo garantito. Lo stipendio minimo di mille euro promesso dal Pd si può fare nei settori dove non c'è la contrattazione. Ma la Sinistra vuole fare... di più, con una proposta classicamente socialdemocratica come il salario sociale. E' un'idea già sperimentata in Campania e che in Europa a livello nazionale manca solo nel nostro paese e in Grecia. Un salario garantito dallo stato nei momenti in cui non si lavora. Bella idea, ma come finanziarla? Con le multe alle imprese che non rispettano le norme sul lavoro e con la tassazione delle rendite a livello europeo.
Rendite. La Sinistra ripropone la proposta dell'Unione prodiana: diminuzione delle tasse sugli interessi bancari dal 27% al 20% e aumento del prelievo su cedole, dividendi e plusvalenze finanziarie dal 12,5% al 20%, la media europea.
Se otto ore vi sembrano poche. Altra proposta «shock» è il ritorno a un orario di lavoro giornaliero massimo di 8 ore più 2 di straordinario. E' il ritorno all'era pre-Berlusconi, prima che il centrodestra, recependo la normativa europea, abolisse il vincolo all'orario di lavoro. Il Pd invece vuole legare (in sintonia con la Confindustria e una parte del sindacato) i salari alla produttività defiscalizzando gli straordinari. Ma straordinari più convenienti (a carico dello stato) non incentivano ad assumere.
La temutissima scala mobile. Bertinotti ha proposto il recupero annuale dell'inflazione reale, ormai lontanissima da quella programmata dal governo su cui si basano i contratti.E' l'unico punto su cui Sd è tiepida, molto attenta alla sintonia con la Cgil: «C'è una discussione aperta», ammette Titti Di Salvo alla vigilia del «verticione». Sd preferirebbe puntare invece su un aumento nella contrattazione, il controllo delle tariffe e dei prezzi e una fiscalità più equa.
Meno tasse ma non per tutti. Se Veltroni propone dal 2009 un taglio dell'Irpef graduale su tutte le aliquote, la Sinistra propone da subito il passaggio dell'aliquota minima dal 23% al 20%. Oltre alla restituzione del sospiratissimo fiscal drag.
«Faremo proposte concrete per il paese, con le relative coperture e tutti i dettagli, non è un elenco di cose che sarebbe bello avere», spiega Titti Di Salvo. Anche Sd, come tutta la Sinistra, sfida il Pd a emanare dopo la trimestrale di cassa un decreto legge per destinare il «tesoretto» all'aumento delle buste paga dei lavoratori come previsto dalla finanziaria.
Sarà pur vero che Veltroni si sveglia ogni giorno con l'incubo della precarietà. Forse è perché ha candidato come capolista in Lombardia un dirigente di quella Confindustria che nel protocollo sul welfare non ha voluto nemmeno il tetto ai tre anni di precariato. Forse sono i misteri del «ma anche».

il manifesto 27.2.08
Il pugno duro del mite Walter
Dopo De Sena, ora candida l'ex prefetto ed ex Forza Italia Serra. Il Pd e la sicurezza, il programma scritto con le forze dell'ordine
di Daniela Preziosi


Nelle liste del partitone spunta il secondo poliziotto dall'aria bonacciona - il terzo se si conta Antonio Di Pietro - che dovrà guadagnarsi la fiducia dell'elettore democratico. Dopo l'ex vice capo della polizia Luigi De Sena, che correrà come capolista del Pd in Calabria, ieri è arrivato l'annuncio della candidatura di Achille Serra, già parlamentare forzista, già prefetto di Roma e fino a oggi commissario Anticorruzione. Probabilmente si presenterà in Campania. Del resto due giorni fa, al varo del programma del Pd, Serra era intervenuto 'a sorpresa' e aveva dato la sua benedizione al capitolo sicurezza: «Volete estendere il 'patto per la sicurezza' a tutti i capoluoghi di provincia? Benissimo, è proprio quello che penso sia da fare. Del resto il patto per la sicurezza ce lo siamo inventati noi, qui nella capitale», aveva detto con orgoglio l'ex prefetto all'ex sindaco. Lasciando presumere un bel concerto fra i due, forse anche un suo zampino in quel capitolo .
Così il mite Veltroni - che poi tanto mite non dev'essere, ha ragione Massimo D'Alema - rispolvera la sua passionaccia 'securitaria', per dirla alla maniera della Sinistra. Che lo vuole fiero ispiratore del pacchetto sicurezza, quel provvedimento che ha messo quasi in crisi il governo Prodi, prima di essere rovinosamente ritirato. Del resto i cittadini «si sentono più insicuri», dice il programma del Pd. E' una percezione, non un dato oggettivo basato sulle statistiche, che infatti tendono a dire che oggi i cittadini sono più sicuri degli anni addietro. E «far sentire sicuri i cittadini» è uno degli obiettivi del nuovo partito («Abbiamo solamente bisogno di rassicurare gli italiani», ha detto Veltroni davanti ai tremila della costituente). Ecco a cosa servono i poliziotti-candidati, e soprattutto al sud, «quasi un commissariamento», dice il rifondarolo Francesco Caruso.
Veltroni parla alla pancia del paese. E non teme di rincorrere le pulsioni della destra, neanche le più brutte, inconfessabili. Come la castrazione chimica per i pedofili, cosa che il candidato Pd ha fatto nella stessa giornata di ieri, durante la presentazione di un disegno di legge contro chi abusa di minori. Un testo assai più equilibrato, nella presentazione che ne ha fatto la sottosegretaria Marcella Lucidi. Basato su pene certe e più severe, prevenzione e introduzione del reato di adescamento. Norme in parte messe in discussione dalla Sinistra, che ha contestato il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minore a carico di un «soggetto pericoloso»: e come si fa a definire una persona pericolosa, se non ha già commesso reati?, si chiede Maria Luisa Boccia, femminista e senatrice Prc: «Basterà lo sguardo? Una faccia cattiva?».
Ma durante la conferenza stampa il mite Walter è andato parecchio oltre, arrivando appunto fino a non escludere la castrazione chimica. «Se la scienza trovasse forme per disincentivare atti di violenza, non vedo perché non ricorrervi», ha detto. Parole pesanti, difficile sostenere che gli siano sfuggite. Visto che la settimana scorsa affermazioni dello stesso tipo, questa volta più congruamente emesse dal leader di An Gianfranco Fini, hanno suscitato un vespaio. E visto che la castrazione chimica è un grande classico leghista. «Quando cinque anni fa la proposi fui crocefisso e indicato come il più sadico dei sadici», gongola oggi Roberto Calderoli.
A Veltroni non sfugge che gli scienziati siano concordi nel considerarla una misura inefficace, visto che l'uso di farmaci che bloccano l'ormone sessuale maschile non esclude che il soggetto così 'trattato' possa portare nuova violenza con altri mezzi. Né sfugge che il Comitato nazionale di bioetica, già nel 2003, aveva detto no «a trattamenti sanitari obbligatori nei pedofili» ribadendo «il principio dell'intangibilità del corpo umano anche per i condannati».

il manifesto 27.2.08
Laici «ma anche» cattolici, Veltroni mette in riga i Radicali
Il leader del Pd ricuce lo strappo tra teodem e il partito di Emma Bonino. Che accetta di mettere da parte i temi etici e scarica il ginecologo Silvio Viale
di Eleonora Martini


Per dimostrare che anche senza promettersi amore eterno e scambiarsi fedi nuziali «laici e cattolici possono convivere» all'interno del Pd, Walter Veltroni si è trasformato ieri da sensale. Al mattino ha incontrato l'intera famiglia teodem raccolta per l'occasione, e al pomeriggio ha aperto le porte del loft di piazza Sant'Anastasia agli ospiti Radicali. Né agli uni né agli altri deve essere stato necessario ripetere il pensiero espresso a inizio giornata durante la trasmissione radiofonica Radio anch'io: «Questa idea che i laici e i cattolici non possono convivere e che persone che hanno opinioni diverse su temi delicati debbano ognuno farsi un suo partito, è un'idea che ci porta ad un assetto non da Paese moderno - ha detto Veltroni ai microfoni della Rai - Saremmo gli unici con un partito laico e uno cattolico. In tutti i Paesi europei, occidentali, coesistono persone che hanno sensibilità religiose e etiche diverse al'interno di un principio indiscutibile: la laicità dello Stato».
In realtà ai Radicali qualcosa deve aver detto e ripetuto, il leader del Pd. Per esempio che se lui è tanto amato dal mondo cattolico, come rivela qualche sondaggio, è perché ci tiene molto ai «temi come la famiglia, la povertà, la qualità della vita, che sono temi che stanno nel programma». E infatti al termine del meeting a cui hanno partecipato anche Dario Franceschini e Goffredo Bettini, la ministra radicale Emma Bonino ha puntualizzato due o tre cose fondamentali per un buon proseguimento della campagna elettorale. Primo, che la priorità dei Radicali sta «nella preoccupazione dei cittadini per l'attuale situazione economica» e che il loro impegno quindi andrà ai problemi economici, «quelli che interessano i cittadini». Tradotto: per il momento lasciamo da parte i cosiddetti temi etici e il dibattito sulla laicità delle istituzioni. Secondo, che «non ci sono mai stati orientamenti da parte» radicale a candidare il ginecologo Silvio Viale, considerato dai teodem uno degli esponenti di punta del tanto odiato "laicismo d'attacco". Terzo, che l'intesa col Pd va avanti «a tappe ultraravvicinate» e che non c'è «nessuna polemica aperta né con Paola Binetti né con altri».
Nell'ora di incontro con i teodem Binetti, Baio, Bobba e Carra, invece Veltroni è stato molto rassicurante: «Ci ha assicurato - racconta Binetti - che sarà lui il garante del programma e dei valori cattolici in esso contemplati». «Non abbiamo parlato di candidature», giura la senatrice. Né delle new entry cattoliche (unico nome certo è quello di Mauro Ceruti al senato, uno degli artefici del Manifesto dei valori), né del suo caso personale: Binetti stessa non è sicura di vedersi ricandidare al senato anziché alla camera. Il problema al momento è un altro: «L'ingresso dei Radicali - spiega la teodem - ha creato una certa ansia nell'elettorato cattolico» che quindi potrebbe migrare verso altri lidi. Assume perciò una particolare importanza l'assemblea che si terrà oggi a Roma di tutte le associazioni e gli esponenti cattolici del Pd. Alla quale non sarà presente Rosi Bindi (che ieri ha dato manforte a Veltroni nell'innalzare ponti tra Radicali e cattolici): «Non sono stata invitata a parlare e a spiegarmi», ha detto un po' piccata. Ma durante l'incontro promosso dal Circolo Aldo Moro, e curato da Fioroni e Franceschini, l'unico politico che prenderà la parola è Veltroni. «Lui è l'unico che vogliamo che parli - racconta Binetti - ma gli abbiamo chiesto di essere particolarmente chiaro ed esplicito sui temi che stanno a cuore all'elettorato cattolico: politiche fiscali in favore della famiglia, aborto, testamento biologico». Una particolare richiesta è venuta dalla senatrice Baio: un forte «no all'abbandono terapeutico» dei malati terminali.