giovedì 28 febbraio 2008

Cara compagna, caro compagno,

Cara amica, caro amico,


Abbiamo scelto di essere di parte


Il percorso che abbiamo avviato con La Sinistra L’Arcobaleno risponde a un bisogno diffuso, in Italia e in Europa, in cui grandi disuguaglianze sociali si accompagnano a interrogativi di fondo sul futuro individuale e collettivo di tutti noi.

Oggi sono in gioco, non solo le conquiste sociali dei lavoratori, delle donne, del movimento pacifista ed ecologista, nati dalla vittoria sul nazifascismo, ma anche il diritto al lavoro e all’auto-organizzazione per la difesa dei propri diritti.

I bassi salari, la diffusione della precarietà, l’incertezza della vita, la crisi della coesione sociale si propongono come conseguenze della ristrutturazione capitalistica mondiale.

Alla precarietà, non solo come disagio sociale, ma come condizione culturale ed esistenziale, si sommano le paure e le insicurezze dettate dalle inquietudini legate all’ambiente e al clima.

Il rischio al quale si trovano di fronte il nostro paese e l’Europa, se non si inverte la tendenza in atto, è quello di sacrificare una intera generazione, costringendola a pagare tutti i costi di una crisi profonda, nelle sue fondamenta sociali e politiche.

Inoltre, la subordinazione del sistema politico agli interessi dei mercati finanziari e dei poteri economici capitalisti, la concentrazione dei poteri, la personalizzazione della politica rimettono in discussione l’organizzazione tradizionale della società civile.

Lo stesso percorso del PD e del tentativo in atto di imporre un sistema bi-partitico, perseguito con grande determinazione dai due soggetti interessati – PD e PDL – ci parlano esattamente di questo.

Della scelta di considerare la libera impresa come un vero e proprio paradigma, un modello da seguire, per l’intera organizzazione dell’economia e della società.

In questa direzione vanno letti la rimessa in discussione dell’articolo 18, i falsi discorsi sulla meritocrazia, il rilancio di vecchie soluzioni e delle grandi opere, sotto le vesti "dell’ambientalismo del fare", per affrontare problemi come i rifiuti o l’energia. La presunta neutralità di questo paradigma tende così a sostituirsi alla politica o ad asservirla ai propri fini. La politica rischia così di essere condannata all’inutilità.

Per queste ragioni, la Sinistra, l’Arcobaleno non vuole essere sono un cartello elettorale, ma ha l’ambizione progettuale di rispondere al bisogno di politica come rappresentanza sociale in quanto tale, e allo stesso tempo come spazio pubblico nel quale ritessere rapporti e relazioni umane, in un mondo che tende a relegarci sempre più alle solitudini e alle paure, di chi non riesce più ad immaginarsi proiettato nel futuro.

E’ per questo che c’è bisogno di tutti. Ed è importante che ognuno porti con sé la propria storia, la propria umanità, la propria condizione sociale e professionale, per contribuire a individuare nuove strategie, nuove pratiche, superando anche quelle diffidenze o resistenze, o anche legittime preoccupazioni di essere chiamati a mettere da parte i propri simboli, per riconoscersi in una nuova impresa collettiva.

Non chiediamo deleghe, ma partecipazione e protagonismo, a ognuna e ognuno partendo da sé, nei luoghi di lavoro, di studio, dalle proprie condizioni di vita.

La Sinistra e L’Arcobaleno sarà importante non solo per decidere quanti compagne e compagni siederanno in parlamento, ma per far vivere un progetto politico culturale in una società in cui: i migranti e le loro storie siano considerati un valore, le donne siano davvero libere di scegliere di avere o non avere un figlio, il lavoro operaio sia socialmente riconosciuto, lo Stato sia effettivamente laico e perciò non "detti legge", ma riconosca strumenti e opportunità a ognuno e ognuna per decidere i propri affetti, la sessualità, modalità di vita.

Ti chiediamo di darci una mano, di fare quello che è nelle tue possibilità per costruire la Sinistra del domani.

Domenica 2 marzo alle ore 10 cominciamo intanto ad incontrarci a Roma, all’Ambra Jovinelli via Guglielmo Pepe, 41.

Ti aspetto. Un grande abbraccio,

Fausto Bertinotti
Repubblica 28.2.08
Bertinotti scatena l'offensiva rossa e la tregua con Walter va in soffitta
Busta paga detassata e laicità nel programma alla Zapatero
di Umberto Rosso


Salvi: padroni e lavoratori uguali per il Pd? Ma un partito così con la sinistra ha chiuso

ROMA - «Libera scelta o diritti all´inferno?». La battaglia degli slogan, come questo a doppio senso in nome della laicità, per la Sinistra comincia ufficialmente oggi, con la presentazione della campagna di comunicazione. Il programma invece c´è da ieri, 14 punti messi a punto dai segretari sotto la supervisione di Fausto Bertinotti. Cavallo di battaglia, la nuova scala mobile per difendersi dal caro vita perché se no, come spiega il candidato premier della Cosa rossa, «restano solo chiacchiere» tutte le buone intenzioni sulla difesa dei salari. Inoltre, detassare «tutta la retribuzione» e non solo gli straordinari. Per le liste bisognerà aspettare almeno fino a domani, quando il parlamentino del Prc ratifica i candidati spettanti al partito, e spera nel colpaccio di qualche grosso nome "indipendente". La Sinistra Arcobaleno, ventre a terra, è lanciata a recuperare il ritardo con cui è entrata in partita (per il complicato fidanzamento fra i quattro partiti). E sposta l´asse della campagna: basta con il fair play, il Pd entra nel mirino della sinistra. «Il vero programma innovativo è questo qui - annuncia Oliviero Diliberto - e non certo quello di Veltroni, castrazione chimica compresa». Se il segretario del Pd copia, «malamente», Blair e Schroeder, il decalogo rosso-verde è spruzzato di zapaterismo. Come spiega Pecoraro Scanio, almeno tre idee-forza sono già realtà nella Spagna socialista: la stabilizzazione dei precari dopo i 36 mesi di contratti a termine, l´investimento sul solare e non sul nucleare («solare per tutti» vuole il leader verde), il riconoscimento delle coppie di fatto. Si sprecano le ironie su Veltroni che candida Colaninno e l´operaio della Thyssen, «per Walter ormai - pungola Cesare Salvi, per molti anni nei Ds - padroni e lavoratori sono uguali, ma il partito che ignora questa differenza con la sinistra ha chiuso». Bertinotti per le parole della Finocchiaro (l´invito a non votare i piccoli partiti) aspetta una smentita da Veltroni. E sul sito che debutta oggi, una sezione speciale dal titolo "Mai Pd".
Tocca a Franco Giordano riassumere i punti principali del programma. Fra i quali: salario sociale per i disoccupati, superamento della legge 30, rafforzare l´articolo 18, tassazione delle rendite, testamento biologico, difesa della 194 e nuova legge sulla fecondazione, niente sfratti se non da casa a casa, riduzione parlamentari e abolizione della Gasparri. Da finanziare con quali risorse? «Con gli stessi soldi - risponde sarcastico Salvi - con cui Veltroni vuole realizzare il programma del Pd. Chiedete a Enrico Morando, se le risorse le hanno trovate loro, noi faremo altrettanto». E nei manifesti che inviteranno alla «scelta di parte», sarà ancora il Pd l´avversario (sia pure non citato) da battere, ormai «senza pudori» spostato al centro. «Aumentare i salari o aumentare la precarietà?». «Energia pulita o affari sporchi?».

Repubblica 28.2.08
La mostra innominabile
di Umberto Galimberti


Il Museo tridentino di scienze naturali ha inaugurato una «mostra dell´innominabile» che ha per tema la cacca, che peraltro è già stata nobilitata da numerose espressioni artistiche a partire da Piero Manzoni che la metteva in scatola. Questo elemento, che rappresenta il sogno di ogni anoressica, di ogni donna che vuol tenersi in forma, che già occupa una discreta fetta di pubblicità per «regolare l´organismo», nell´immaginario collettivo nomina quanto di più spregevole possa esistere nel mondo e, nell´uso del linguaggio serve per denotare stati depressivi (mi sento una merda) per insultare il prossimo, per un giudizio universale sullo stato delle cose nel mondo, soprattutto nell´espressione francese «merde». Ma quando una parola oscilla tra il massimamente auspicabile (chiedetelo agli stitici) e il massimamente deprecabile, allora nasconde un mistero imprenscindibile, un arcano indecifrabile che, svelato, potrebbe segnalarci quanta materialità abbiamo rimosso dall´immagine che abbiamo costruito di noi, a partire dall´atto di nascita, a proposito del quale Sant´Agostino ci ricorda che «inter urinam et fecies nascimur». Non è allora il caso di materializzare un po´ il nostro nobilissimo spirito e i suoi valori, e tener conto che forse le condizioni materiali sono il vero motore della vita e forse della storia, senza per questo doverci meritare l´accusa di «bieco materialismo»?

Repubblica 28.2.08
"Quel fisico non sa nulla"
L´incredibile campagna contro il presidente del CNR
Tante bugie senza pudore
di Emilio Carnevali


Su "MicroMega" la violenta polemica dell´on. Carlucci nei confronti di Maiani, scienziato di fama, "indegno" del nuovo incarico perché ha firmato la lettera sul Papa alla Sapienza
Il Nobel Sheldon L. Glashow ha scritto una lettera a Romano Prodi per ribattere le accuse
Una dichiarazione diffamatoria attribuita a David Lane, è stata da lui subito smentita

«Il merito ha trionfato sulla politica in Italia»: così la prestigiosa rivista americana Science aveva salutato la nomina del professor Luciano Maiani alla guida del Cnr, il più importante istituto di ricerca italiano. Maiani era stato nominato dal ministro dell´Università e della Ricerca Fabio Mussi attraverso una procedura innovativa, che aveva premesso - come ha osservato Nature - di «rompere con la famigerata lottizzazione politica». Ma le due riviste scientifiche si erano espresse prima che l´affaire Sapienza si abbattesse come un ciclone sull´università italiana e rischiasse di far saltare la nomina di uno dei più prestigiosi scienziati del nostro paese, "reo" di aver sottoscritto la lettera dei 67 "cattivi maestri" contro la partecipazione di papa Ratzinger all´inaugurazione dell´anno accademico.
A giudizio di molti politici italiani, infatti, le opinioni dell´eminente fisico Maiani sugli ospiti che la sua università sceglie di chiamare sono dirimenti nel valutare la sua candidatura alla guida di un ente di ricerca scientifica. «Maiani è un cattivo maestro. Lo ammetta ed eviti di assumere un incarico del quale non è degno», ha dichiarato lo scorso 29 gennaio l´esponente di An Maurizio Gasparri.
Maiani è uno dei maggiori fisici a livello internazionale. Il suo campo di ricerca si concentra in particolare sulla fisica dei quark e la descrizione delle interazioni fisiche fondamentali (insieme a Sheldon Lee Glashow, premio Nobel per la Fisica nel 1978, e John Iliopoulos ha formulato l´ipotesi dell´esistenza di un quarto tipo di quark - il quark charm - accanto ai tre originari, poi confermata nel 1974 negli esperimenti degli acceleratori lineari di Stanford e di Brookhaven). Il nome di Maiani compare al secondo posto per tutti gli anni Novanta nella classifica degli studi di fisica delle particelle più citati al mondo e attualmente si trova al sesto posto. Quattro le lauree honoris causa ricevute, che si sommano a molti altri riconoscimenti, fra i quali il premio Sakurai, conferito dall´American Physical Society.
Chi ha messo in discussione i titoli del professor Maiani per guidare il Cnr è stata l´onorevole Gabriella Carlucci. Eletta nel 2001 e confermata nel 2006 nelle file di Forza Italia, i "titoli" dell´onorevole Carlucci per prendere parte ai lavori della commissione Cultura della Camera restano tuttora ignoti. La biografia pubblicata sul suo blog - dopo un fitto elenco di conduzioni televisive, fra cui quelle di Azzurro, Festivalbar, Cantagiro, Cocco, Giallo, Luna di Miele, Piccolo Grande Amore e Buona Domenica - descrive così il suo ingresso in parlamento: «Al temine di una campagna elettorale molto dura Gabriella è divenuta Onorevole Carlucci, riscuotendo ben 33.887 consensi. Da quel momento il territorio del nord barese è definitivamente entrato nel cuore dell´Onorevole». Così ora contesta la nomina del professor Maiani al vertice del Cnr: «Uno dei criteri che dovrebbe stabilire l´idoneità della persone candidate a ricoprire incarichi scientifici è quello del numero delle pubblicazioni effettuate negli ultimi anni». A tale proposto, ha rilevato la Carlucci intervenendo in commissione alla Camera, «dal sito Google scholar risulta che il professor Maiani non ha avuto pubblicazioni dal 1994, il che, per un candidato chiamato a ricoprire la carica di presidente del Cnr, non appare certo una nota di merito». Chi scrive si permette di consigliare all´Onorevole - una volta digitato il nome «Maiani» nella finestra centrale del sito scholar. google. it - di cliccare sul riquadro «Recent Articles» in alto a sinistra. Senza questo passaggio, non è possibile consultare l´elenco di svariate pagine degli articoli degli ultimi anni del professor Maiani.
Per il resto anche alla Camera l´opposizione ha sostanzialmente martellato sull´ «episodio di grave intolleranza nei confronti della religione cattolica e del Papa» di cui si è macchiato il professore. La nomina è stata ratificata il 1º febbraio dal Consiglio dei ministri. Ma c´è chi non si è arreso, come ad esempio l´onorevole Gasparri. Uomo politico di solida cultura liberale distintosi nei "giorni caldi" della Sapienza per aver chiesto le dimissioni del ministro dell´Interno e il "licenziamento" dei 67 docenti firmatari della lettera al rettore, Gasparri ha annunciato: «Contesteremo nelle sedi amministrative e giudiziarie la nomina del professor Luciano Maiani alla guida del Cnr». Ma soprattutto non si è arresa l´onorevole Carlucci, che lo scorso 7 febbraio, attraverso il sito Puglialive, ha inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio Prodi, al ministro Mussi e al sottosegretario Modica nella quale si legge: «Luciano Maiani è stato definito fisico di alto profilo dotato di grandi capacità manageriali. Niente di più falso. Maiani nel 1969 ha avuto la fortuna di lavorare per un semestre ad Harvard con Sheldon Glashow (premio Nobel per la Fisica nel 1979) con il quale pubblicò l´unico suo lavoro degno di interesse. Lavoro che firmò, ma che chiaramente non capì, visto che nel 1974 lo rinnegò pubblicando un altro lavoro (nota bene: insieme a Cabibbo, Parisi e Petronzio) dove confusero particelle elementari di proprietà fisiche diverse». «Successivamente», ha aggiunto la parlamentare di Forza Italia, «Glashow addirittura si oppose a che Maiani ottenesse un posto di ruolo al Cern poiché manifestamente non aveva capito una teoria di cui era autore. Cosa, questa, estremamente ridicola». Secondo la Carlucci questa vicenda «creò un notevole danno di immagine alla Fisica italiana».
Ipotizzando che la Carlucci non capisca nulla di fisica delle particelle (ma naturalmente è solo un´ipotesi di lavoro, del tutto priva di fondamento reale) ci si potrebbe domandare da dove l´onorevole abbia preso le informazioni cui ha fatto riferimento. Il 5 febbraio il quotidiano Libero ha pubblicato un articolo intitolato «Gaffe sui quark e sul Papa. Ecco il nuovo capo del Cnr» e firmato da Tommaso Montesano, nel quale sono esposte sostanzialmente le stesse accuse poi rilanciate dalla Carlucci. A sua volta Montesano si è basato sui contenuti di un sito internet (maianierror. awardspace. com) attribuito a un professore americano, già stretto collaboratore del Nobel Carlo Rubbia, David Lane, il quale avrebbe fra l´altro dichiarato: «Solo l´Italia poteva pensare di nominare un simile, pessimo scienziato capo del maggiore ente di ricerca nazionale». Peccato che questo sito sia un autentico falso, una truffa costruita ad hoc per infangare il nome di Maiani, come lo stesso Lane ha confermato dopo aver provveduto a farlo oscurare. Le "argomentazioni" del falso sito, per altro, sono state riprese in modo praticamente identico nel sito di Valori e Libertà, associazione presieduta dalla parlamentare di Forza Italia Isabella Bertolini (e nel cui consiglio direttivo compare anche il nome di Gabriella Carlucci), a firma del professor Enzo Boschi, allievo tra i prediletti del professor Antonio Zichichi.
Pochi giorni dopo, il premio Nobel Sheldon L. Glashow, tirato in ballo dalla Carlucci per la collaborazione con Maiani, ha inviato al presidente del Consiglio Prodi una lettera nella quale definisce «completamente false» e «diffamatorie» le affermazioni della parlamentare di Forza Italia. Anche il professor John Iliopoulos (il terzo firmatario, con Maiani e Glashow, dell´articolo in cui si formula l´ipotesi del quark charm) ha ridicolizzato le tesi della Carlucci attraverso una lettera inviata al professor Caludio Corianò dell´Università di Lecce e diffusa da quest´ultimo «per sgombrare il terreno da equivoci e falsità storiche».
***
Postscriptum. Il 20 febbraio (ndr. mentre era già in stampa il volume di MicroMega da cui è tratto questo articolo), anziché arrossire, «la sventurata rispose». La on. Carlucci ha scritto a Glashow insistendo che le sue tesi provengono da fonti mai smentite (e la smentita di Cline? E quella di Iliopoulos, ribadita anche in una seconda lettera? E quella dello stesso Glashow sulle affermazioni attribuitegli?) e porgendogli "una semplice domanda": «Se Maiani e i suoi amici sono, come Lei dice, luminari stellari stimatissimi in tutto il mondo, perché non hanno mai vinto il premio Nobel? Eppure la Fisica della Particella italiana [sic] (e, in particolare, quella romana) è in percentuale e in valore assoluto fra le meglio finanziate al mondo. Sperò mi risponderà senza insultarmi. E non dica bugie: potrei sorprenderLa». La risposta di Glashow non si è fatta attenere. «Sono indignato giacché lei ha macchiato la mia reputazione con accuse false ed invidiose. E´ vero che parecchi ricercatori Italiani (incluso Maiani) sono meritevoli del Premio Nobel, ma ci sono molti più candidati che premi». «Ricordo - ha aggiunto Glashow - che famosi fisici luminari mondiali come Edward Witten, Stephen Hawking, Yoichiro Nambu non hanno vinto il Premio Nobel. Che questi fisici italiani abbiano vinto o meno il Premio Nobel o che la loro ricerca sia ben finanziata o meno, indipendentemente da questo, Essi hanno dato contributi eccezionali alla Fisica, almeno alla pari di quelli di qualunque altro paese europeo. L´Italia dovrebbe essere orgogliosa dell´eroismo di tanti suoi scienziati, invece di calunniarli».
Glashow un Nobel già lo ha vinto. Tuttavia crediamo ne meriti anche un altro: quello per la Pazienza. Magari ex equo con il professor Maiani, così accontentiamo anche la Carlucci.

Corriere della Sera 28.2.08
Figli e politica. Su «Avvenire»
La pazza idea delle scuole divise per tribù
di Gian Antonio Stella


Elogi a Stalin, Dostoevskij bandito La pazza idea delle «scuole su misura»
Testi «corretti», autori all'indice: le insidie della «libertà di educazione»

La linea polacca. I gemelli Lec e Jaroslaw Kaczynski quando erano presidente e premier volevano stralciare dai testi di scuola autori come Goethe, Kafka e Dostoevskij

La commissione per la Promozione della Virtù saudita è arrivata a suggerire il bando, tra le lettere latine, della «X»: somiglia a una croce. Un problema, se ci arrivassimo: come scrivi taxi, extra, xilografia, export o marxista?
E poi, come la insegni a un bambino, senza questa «X», la moltiplicazione «2 X 2»? La domanda è meno surreale di quanto appaia. E sorge davanti a una curiosa tesi lanciata da un editoriale di Avvenire. Secondo il quale lo Stato dovrebbe «garantire che i genitori di sinistra possano mandare i figli in scuole di sinistra, quelli liberali in scuole liberali, quelli cattolici in scuole di ispirazione cattolica». Principio che automaticamente dovrebbe essere esteso, salvo forzature costituzionali, ad islamici e buddisti, geovisti e «scientologisti », induisti e animisti e cultori del wudu.
Secondo Giacomo Samek Lodovici, infatti, è in ballo «un valore non negoziabile come la libertà di educazione ». E «poiché la trasmissione culturale dovrebbe essere trasmissione della verità, la scuola dovrebbe trasmettere principalmente (non esclusivamente) la verità. Cioè quelle tesi e quei valori che essa e i genitori che l'hanno scelta considerano vere». Un papà e una mamma sono di sinistra? Hanno diritto a una scuola di sinistra. Sono di destra? Scuola di destra.
Certo, c'è un problemino: «quale» sinistra? Quella bertinottiana o pecoraroscania, veltroniana o pannelliana, dilibertiana o turigliattiana? Mica facile, trovare la scuola giusta. E «quale» destra? Berlusconiana o finiana, buttiglionesca o mussoliniana, rotondiana o santanchesca? Quanta dose di simpatie trotzkiste può essere tollerabile per un bravo genitore post-diessino? Quanti fez e gagliardetti e busti del Capoccione possono essere accettati sopra l'armadio in classe da un bravo genitore liberale? E può essere davvero democratica una scuola non perfettamente aderente alle specifiche «verità » di Franco Giordano e Marco Ferrando, Salvatore Cannavò e Livio Maitan, Francesco Caruso e Luca Casarini? Immaginiamo già il primo incontro dei genitori-insegnanti: «Scusi, professore, ma lei non è in linea con la mia verità».
Certo, per venti, trenta o quaranta milioni di precari sarebbe un'occasione unica. Potrebbero smettere d'invocare sempre più allievi disabili, veri, semi-veri e smaccatamente falsi per allargare il numero degli insegnanti di sostegno, che in Sicilia sono arrivati ad essere quasi il 18% del corpo docente, per spartirsi ciascuno una fettina di questo nuovo mercato. La scuola personalizzata. Su misura. Taglia 42 o taglia 58 drop sei a seconda di ciò che scelgono i papà e le mamme. E arriverebbe a compimento il percorso di un Paese dov'è ormai impossibile trovare un accordo anche sulla condivisione del punto e virgola. E dove finalmente, rinunciato una volta per tutte all'idea di una storia comune, ognuno potrebbe raccontarsi la «sua».
Anzi, c'è chi dirà che non occorre neppure fare dei libri nuovi. Ci sono già. Siete genitori di sinistra? Ne «L'età contemporanea» di Ortoleva- Rivelli, i vostri figlioli possono leggere che la figura di Stalin «appariva rassicurante nella sua immensa autorità e nella sua salda permanenza al potere. Il timore da essa ispirato poteva quasi essere sentito positivamente, come il rispetto dovuto ad un'autorità dura ma giusta». Oppure, sul «Dizionario giuridico italiano- inglese» di Francesco De Franchis, che dopo il trionfo elettorale nel 2001 «il nuovo governo Berlusconi si presenta come una compagine all'altezza dei propositi, dal decreto salvaladri al condono edilizio, dal vecchio regime dei lavori pubblici alla virtuale abolizione del Secit: un free for all degno di Somoza». Per non parlare della differenza tra i lager nazisti e i gulag sovietici, spiegata negli «Elementi di Storia» di Camera- Fabietti, dove i primi furono la conseguenza «logica e necessaria» di un regime fondato «sulla sopraffazione e l'eliminazione delle "razze inferiori" », mentre l'«ignominia» dei secondi non va imputata al comunismo che «esprimeva l'esigenza di uguaglianza come premessa di libertà » ma al «tentativo utopico» di tradurre immediatamente «questo sacrosanto ideale» in atto o peggio ancora alla «conversione di Stalin al tradizionale imperialismo».
Quanto ai genitori di destra, stiano tranquilli anche loro. Basterà dare più spazio a manuali come «I nuovi sentieri della Storia» di Federica Bellesini. Dove la differenza tra destra e sinistra storica viene ricostruita così: «Gli uomini della Destra erano aristocratici e grandi proprietari terrieri. Essi facevano politica al solo scopo di servire lo Stato e non per elevarsi socialmente o arricchirsi» mentre quelli della Sinistra, «erano professionisti, imprenditori e avvocati disposti a fare carriera in qualunque modo, talvolta sacrificando perfino il bene della nazione ai propri interessi». Troppo soft? Si può allargare a tutta la penisola la scelta fatta dalla professoressa Angela Pellicciari del romano «Lucrezio Caro» che ai suoi liceali, con il «Manifesto» di Marx e il Concordato, ha fatto adottare «Le conversazioni segrete» di Adolf Hitler, con commossa prefazione del neonazista Franco Freda: «Dinanzi alle parole e ai detti memorabili dei Capi e dei Maestri i semplici devoti devono stare in raccoglimento e osservare il silenzio». E perché non recuperare i buoni vecchi sussidiari di una volta? Lì sì che i bambini imparavano la meccanica! «Il passo romano è un esempio di moto uniforme». E pure la poesia: «Tu levi la piccola mano / con viso di luce irradiato / Tu sei quel bambino italiano, / che il Duce a cavallo, ha incontrato... ». «E noi?», diranno i genitori leghisti. Ma certo, avanti le scuole padane. Con libri come «La storia della Lombardia a fumetti » distribuita dalla Regione. Dove c'era sì qualche sventurato strafalcione («Verso il 3000 dopo Cristo la civiltà camuna era piuttosto evoluta... ») ma in compenso i rampolli celtici potevano leggere una nuova ricostruzione del Risorgimento: «alcune manovre e piccoli intrighi, certi eroismi e strani trattati avevano portato la penisola italiana a essere un unico regno...» O manuali come «Noi veneti » che, voluto e finanziato dalla Regione guidata da Galan, non aveva una riga su pittori come Giorgione o Tintoretto, Tiziano o Canaletto né su musicisti come Vivaldi o Albinoni o scrittori come Pietro Bembo o Ruzante, ma regalava una poesia di Catullo tradotta dal latino in dialetto: «Cossa de mejo gh'è del riposarse / infin, dal peso e dal strassinamento... ».
E poi spazio, ovvio, alle scuole musulmane. Dove i genitori, in nome della «loro» verità potrebbero chiedere lo stesso sussidiario su cui studiò Magdi Allam («L'imperialismo internazionale ha conficcato il cancro dell'entità sionista nel cuore del mondo arabo per ostacolare la nascita della Nazione araba accomunata dall'unità del sangue, della lingua, della storia, della geografia, della religione e del destino») o i manuali dei ragazzini palestinesi dove, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, su 28 carte geografiche non ce n'è una con Israele e puoi trovare ammonimenti come questo: «I vostri nemici cercano la vita, voi cercate la morte ».
E poi ancora scuole cattoliche senza Darwin e i neo-darwiniani e magari, come sognava il ministro della cultura dei gemelli Kaczynski in Polonia, senza Kafka, Dostoevskij e Goethe. E poi ancora scuole luterane e scuole valdesi e scuole anglicane e scuole di ogni genere su misura della «verità» scelta dai genitori. Tra i quali avranno soddisfazione, si spera, anche i comunisti coreani che potranno finalmente allevare i figlioli nel culto dell'«Adorato Kim Jong-il», che nei libri di testo sale in cima al monte Yongnam e declama celeste: «Corea, ti farò brillare!»

Corriere della Sera 28.2.08
Pd, «strappo» con i gay Nessun nome in lista
Mancuso si candida con la Sinistra Arcobaleno
Chiuso definitivamente il rapporto con l'Arcigay
di Maria Teresa Meli


ROMA — Con i cattolici non gli è andata benissimo. Andrea Riccardi, il fondatore della comunità di Sant'Egidio, gli ha fatto i suoi auguri, ma ha declinato l'offerta di una candidatura. Perciò Walter Veltroni si è acconciato a minori pretese in quel mondo. Il Pd candida Andrea Sarubbi, conduttore di «A tua immagine», la trasmissione di Rai Uno in cui viene trasmesso l'Angelus del Papa, e il filosofo Mauro Ceruti.
Ma la pesca non certo eccellente nel mondo cattolico non ha risparmiato al leader del Partito democratico lo strappo con il mondo dei gay. Un strappo significativo, quello con gli omosessuali, visto il rapporto che da sempre ha legato i Ds all'Arcigay. Ebbene, il presidente di questa associazione, Aurelio Mancuso, che già in questi mesi aveva avuto modo di polemizzare con il comportamento del Pd nei confronti degli omosessuali, ha sbattuto definitivamente la porta in faccia al partito di Veltroni e ha deciso di candidarsi con la Sinistra Arcobaleno.
E ora? Il Pd, in grande imbarazzo per la polemica che è scoppiata con i cattolici dopo la decisione di candidare i radicali, tenta di fare finta di niente. Fa trapelare che su un sito gay Veltroni è il politico più amato da quel mondo, ma si guarda bene, almeno per ora, dal candidare un omosessuale dichiarato. Eppure c'è Paola Concia, che nei Ds ha vissuto la vita intera e che ha dato un grande contributo a quel partito e che è da sempre in prima linea nelle battaglie a favore dei diritti dei gay. Ma nel Pd dicono che, almeno per ora, non è prevista nessuna candidatura di una rappresentate o un rappresentante degli omosessuali. Insomma, allo stato delle cose, il Partito democratico preferisce soprassedere, onde non rinfocolare la polemica con la Chiesa e i teodem.
Ovvieranno a questa mancanza i radicali? Tenteranno loro di ricucire questo strappo? Al momento anche il Pr appare afono su quel fronte. Dopo aver cassato la candidatura di Viale, il medico «reo» di aver sperimentato anzitempo la pillola abortiva, Emma Bonino e compagni non sembrano avere intenzione di aprire un fronte polemico con quello schieramento — i teodem e gli ex ppi del Partito democratico — che sembra dare in questo momento dei grattacapi a Veltroni.
Del resto, l'ex sindaco di Roma, che ha confermato la candidatura del prefetto Achille Serra (il quale dovrebbe debuttare in Toscana perché in Campania il partito locale non lo vuole), deve recuperare i rapporti con il mondo cattolico, quindi la presenza o meno di rappresentanti dei gay nelle liste del Pd non sembra essere il primo dei suoi problemi. Anche perché l'ingresso dei radicali non ha portato troppa fortuna al Pd. Veltroni era convinto che Emma Bonino gli facesse guadagnare un punto in percentuale in più e per questa ragione si è battuto dentro il partito per l'accordo con i radicali che lasciava perplessi anche i dirigenti che provengono dai Ds. Ora, conti alla mano, parrebbe che quell'accordo — in meri termini elettorali, ovviamente — non sia stato un grande affare. Peggio, secondo le simulazioni di voto segretissime che sono sui tavoli dei big del centrodestra e del centrosinistra, la situazione per il Pd sembra più che critica.
Anche un sondaggio che dà ragione a Veltroni, che rivela, cioè, che effettivamente il distacco tra il Pd e Berlusconi è di poco più del 6 per cento lascia pochi dubbi. Alla Camera il Cavaliere sbanca, ottenendo il premio di maggioranza. Ma anche al Senato i numeri danno ragione al leader del Pdl. Nel suo insieme l'opposizione, Cosa rossa inclusa, ottiene 144 seggi a Palazzo Madama, ma la formazione di Berlusconi insieme alla Lega ne guadagna 162. E questo dopo l'accordo con i radicali, che lascia immutata la percentuale del Pd: 34 per cento.

l’Unità 28.2.08
Pillola Ru486. Dalla parte delle donne
di Luigi Manconi


Com’è noto - e peraltro, ampiamente documentato - le vie del Signore sono infinite: e anche quelle dell’intelligenza politica, quando c’è. Enzo Carra, parlamentare del Partito democratico, classificato come «teo-dem», ha rilasciato un’intervista a Repubblica, a proposito dell’introduzione in Italia della pillola RU486, addirittura esemplare. Esemplare, per una volta, non delle contraddizioni e fin delle lacerazioni che attraversano il Partito democratico a proposito del rapporto tra politica e laicità, ma della possibile e felice soluzione di uno di quei conflitti.
Si diceva: Carra è indicato come un "teo-dem" e, dunque, secondo la logora toponomastica delle appartenenze e degli schieramenti, dovrebbe essere un fiero avversario di un farmaco che - nella prosa truculenta e triviale, oltre che assai approssimativa di un Luca Volontè - corrisponderebbe all’«aborto fai da te». E, invece, Carra espone così la sua posizione: rifiuto morale dell’interruzione volontaria della gravidanza («Come cattolico sono contrario all’aborto»), sollecitudine nei confronti di chi ne è comunque vittima («l’aborto dispiace a tutti, in primo luogo alle donne»); e consapevolezza che si tratta di un disvalore anche per chi ne accetta l’inevitabilità in determinate circostanze («anche per quelli che hanno votato per la legge 194»); e, infine, apprezzamento per il compromesso realizzato («la RU486 sarà distribuita solo negli ospedali pubblici»). A motivare tale orientamento c’è una considerazione: «L’ideale sarebbe eliminare il flagello dell’aborto. Ma di fronte a questo dramma, perlomeno mi pare importante, però, che la donna che decide di abortire, o è costretta ad interrompere la gravidanza per motivi di salute o di scelta personale (…) non sia sottoposta a tecniche eccessivamente invasive». Credo di poter dire che dietro una simile affermazione - interamente condivisibile - non vi sia solo ragionevolezza: c’è di più. C’è, innanzitutto, un’opzione morale, condivisa da chi - non religioso - si accosta all’aborto con la medesima e inquieta sensibilità: ovvero la coscienza che limitare la sofferenza della donna corrisponda a una essenziale esigenza etica. E c’è dell’altro: c’è l’eco di quella sapienza cristiana che si manifesta non solo nella dottrina sociale, ma anche nei fondamenti morali e teologici della concezione del «male minore». È di straordinario interesse un documento, trascurato fino all’oblio, che risale al 18 novembre del 1974. Mi riferisco alla Dichiarazione «L’aborto procurato» della Sacra congregazione per la dottrina della fede: «L’aborto clandestino espone le donne, che vi ricorrono, ai più gravi pericoli non solo per la loro fecondità futura, ma anche, spesso, per la loro stessa vita. Pur continuando a considerare l’aborto come un male, il legislatore non può forse proporsi di limitarne i danni?» La risposta della Sacra congregazione è negativa: «È vero che la legge civile non può abbracciare tutto l’ambito della morale, o punire tutte le malefatte: nessuno pretende questo da essa. Spesso essa deve tollerare ciò che, in definitiva, è un male minore, per evitarne uno più grande. Bisogna, tuttavia, fare attenzione a ciò che può comportare un cambiamento di legislazione: molti prenderanno per un’autorizzazione quel che, forse, altro non è che una rinuncia a punire. E, nel caso presente, tale rinuncia sembra comportare che il legislatore non consideri più l’aborto come un crimine contro la vita umana, poiché l’omicidio resta sempre punito». Un «male minore». Dunque, la Sacra congregazione della fede sembra prendere in considerazione questa ipotesi: tuttavia (tamen, nel latino del testo originario) si paventano le conseguenze di una riforma legislativa. La de-penalizzazione (la «rinuncia a punire») può essere scambiata per «una autorizzazione» (in qualche modo, sembra dire la Sacra congregazione, un incentivo). Dunque, la rinuncia a punire sarebbe interpretata, questa è la preoccupazione?, non come un provvedimento atto a conseguire il male minore e ridurre il danno, ma come una sorta di derubricazione morale dell’interruzione di gravidanza, non più considerata «un crimine». Se ne deve dedurre che intervengano preoccupazioni psicologiche. Ovvero il rischio che nella sensibilità collettiva quello che è (per la morale cristiana e non solo per essa) un disvalore, possa ricevere una più ridotta riprovazione morale. Il rischio in qualche misura c’è, ma quel possibile effetto (ideologico e psicologico) della legalizzazione dell’aborto va contrastato con strumenti e argomenti congrui, non con misure penali. Il giudizio etico («l’aborto è immorale») viene indebolito dall’incremento delle interruzioni di gravidanza, non dalla loro regolarizzazione per via normativa (provvedimento che, come dimostrato, ha ottenuto l’effetto di dimezzare il numero delle stesse interruzioni). La legalizzazione non traduce un disvalore (per chi tale lo consideri) in valore, e nemmeno attenua la portata della sanzione morale nei confronti della pratica dell’aborto. Ritenere ciò è proprio di una concezione etica dello Stato e/o di una interpretazione del diritto penale quale mezzo di tutela giuridica della morale. È un’interpretazione che quello stesso documento dichiara di non apprezzare: «È vero che la legge civile non può abbracciare tutto l’ambito della morale, o punire tutte le malefatte: nessuno pretende questo da essa». È, quest’ultima un’affermazione dell’ex Sant’Uffizio del lontano novembre del 1974, che oggi scandalizzerebbe gran parte delle gerarchie ecclesiastiche e che ci dà la misura di quale arretramento culturale si sia registrato negli ultimi decenni. Quel lontano documento, tuttavia, può costituire una fonte d’orientamento per il cristiano impegnato nella sfera pubblica. (Così come la traduzione «secolare» della concezione del «male minore» in strategia della «riduzione del danno» rappresenta un quadro di riferimento per quanti operano nel campo delle dipendenze della devianza e dell’emarginazione sociale). Sul piano politico, la vicenda della pillola RU486 e quel documento di trent’anni fa segnala come sia possibile un incontro (dentro il Partito democratico, ma il discorso è ovviamente assai più ampio) tra opzioni morali pur diverse, o anche diverse, che vogliano affrontare l’avventura dello scambio e della reciproca contaminazione.
Post scriptum
Stefano Menichini, direttore di “Europa”, in un interessantissimo editoriale sul «riposizionamento strategico della sinistra italiana», sostiene che le «cosiddette questioni etiche» starebbero «in fondo a ogni interesse della nazione»; e che «neanche il 3 per cento di tutti gli italiani considera l’aborto un tema rilevante per sé, soprattutto ai fini della decisione elettorale». A leggere “Avvenire” e tanto più a dare uno sguardo alle decine di giornali diocesani, si deve ritenere che le cose non stiano così: e non certo perché, a imporle al dibattito pubblico, sarebbero Dino Boffo, direttore di “Avvenire”, e Giuliano Ferrara, direttore de “Il Foglio”. Se le questioni etiche sono già dentro la campagna elettorale, ciò accade perché esse attraversano, talvolta sotterraneamente ma sempre con forza, la sensibilità collettiva. A parere di chi scrive, è più saggio, non tacerle e affrontarle senza complessi di inferiorità.

l’Unità 28.2.08
Mozione con prime firmatarie Finocchiaro e Binetti
Rafforzare prevenzione, tutela della vita e libertà della donna
di Anna Tarquini


UNITE perché la legge sull’aborto sia pienamente applicata. Le senatrici del Pd laiche e cattoliche hanno voluto dare un segnale forte per superare polemiche e provocazioni da parte di chi, della legge 194, vorrebbe fare materia di scontro elettorale. È una mo-
zione unitaria firmata da diciotto donne, anche dalla teodem Paola Binetti che lo ha scritto insieme al capogruppo Pd Anna Finocchiaro, che si pone un obiettivo: rafforzare la prevenzione, la tutela della vita e insieme la libertà della donna di abortire nei limiti già ben definiti dalla normativa. Non affronta invece - ma volutamente - il tema della pillola abortiva perché le stesse senatrici hanno voluto rimandare a un approfondimento successivo.
La mozione presentata ieri dalla Finocchiaro impegnerà il prossimo governo a una revisione, nel senso di una migliore applicazione alla luce di 30 anni di esperienza, della legge sull’aborto. «In un dibattito che alimenta lo scontro - ha detto Finocchiaro - noi abbiamo trovato un punto di incontro. Questa mozione è la dimostrazione del genio politico delle donne. Mentre la discussione, spesso strumentale, su questi temi rischia di incancrenirsi e diventare infeconda, noi siamo capaci di ritrovare le ragioni profonde del diritto alla maternità, che spesso rischia di restare inespresso». E l'auspicio è che questa coalizione possa diventare bipartisan, votata anche dalle donne del Partito della libertà, come dice la senatrice Binetti. Tra i punti il potenziamento dei consultori, l’obbligo per ogni struttura ospedaliera di avere un medico non obiettore, potenziamento dei reparti di terapia intensiva per i neonati e anche la previsione di una relazione annuale sulle patologie fetali. Che è poi una risposta, quest’ultima, al polverone sollevato nei giorni scorsi da un documento delle università cattoliche romane che chiedevano di rianimare i feti super prematuri.
Quindici impegni per una applicazione piena della legge, soprattutto nella parte preventiva: sostegno alle maternità difficili, aumento dell'occupazione femminile, più servizi per le mamme e i bimbi, diffusione ed estensione dei congedi parentali, educazione sessuale e contraccezione. Ma soprattutto si chiederà di potenziare i consultori perché tra i compiti dei consultori c’è anche quello di contribuire a superare le cause che inducono una donna a interrompere la gravidanza. Solo che in Italia - dicono gli ultimi rilevamenti - i consultori sono 2063 e la loro distribuzione geografica, trent’anni dopo, non è ancora omogenea. Molti al Nord (sono 914), ancora rari al Centro (428) e al Sud (514). L’ultimo finanziamento per il potenziamento di queste strutture risale al 1996, 200 miliardi delle vecchie lire, dodici anni fa. Con il risultato che molti consultori, in questi anni, hanno chiuso.
A fronte della cultura della vita c’è poi però anche il diritto della donna ad abortire. E anche questa parte della legge è stata male applicata, e lo dicono questa volta gli ultimi dati della Società italiana di ginecologia e ostetricia. Il 60% circa (59,5%) dei ginecologi italiani attivi in strutture che effettuano l'interruzione volontaria di gravidanza è obiettore di coscienza. Con punte del 92,6% in Basilicata e dell'80,5% del Veneto. E percentuali più basse in Calabria (39,9%) e Valle d'Aosta (20%). La mozione chiede dunque di garantire anche questo, che ci siano medici non obiettori in ogni struttura.
L’iniziativa, ha commentato il ministro della Salute Livia Turco, è «la prova della grande convergenza sulla 194 all'interno del Pd». Ed un apprezzamento arriva anche dal ministro per le politiche giovanili Giovanna Melandri e da Barbara Pollastrini «è in coerenza con quanto contenuto nel programma del Partito Democratico e assume l'impegno pieno a difendere la 194, ad applicarla in tutte le sue parti, in nome del rispetto della responsabilità della donna, dei diritti del nascituro e della deontologia medica».

l’Unità 28.2.08
Maria Rosa e le altre. Storie di mogli ammazzate
di Valeria Viganò


Siamo in tante qui, centinaia. Esangui, camminiamo una accanto all’altra, senza peso, senza corpo. I nostri corpi sono rimasti sdraiati sul pavimento della cucina, o sul grigio dell’asfalto. Sono volati fuori da una finestra, galleggiano in rivoli fangosi. I nostri corpi sono stati uccisi. Qui, molto in alto, ci teniamo qualche volta per mano, quando osiamo guardare giù, al mondo che abbiamo lasciato. Da cadaveri. Pieni di sangue, e di lividi. Abbiamo tutte lo stesso destino, e anch’io, che di nome faccio Maria Rosa, non ci ho potuto fare niente. Chi se lo poteva immaginare, quando mi sono innamorata e poi sposata e poi ho messo al mondo due figli, che sarebbe finita così?

AVEVANO PROVATO TUTTE A GRIDARE IL LORO NO A sconosciuti, a mariti o fidanzati che non volevano diventare ex. Hanno pagato il loro rifiuto con la violenza e la morte. I loro corpi rimasti sul grigio dell’asfalto, sul pavimento della cucina, volati fuori dalla finestra. Ora, da lassù, guardano il mondo che hanno lasciato...
Eravamo una famiglia e come tutte le famiglie non eravamo una bella famiglia. Eppure non si scappa, la famiglia rimane il sogno da ragazze, ci ostiniamo a perseguirlo, lo otteniamo e lo difendiamo a ogni costo. Anch'io l'ho fatto. Mio marito, io, e i nostri due figli piccoli, nel nostro appartamento nel nostro paese, Caninaro, vicino a Gricignano D'Aversa, provincia di Caserta. Sembrava normale, sembrava vero. Mio marito Angelo è un imprenditore edile, ha la sua ditta, con il suo nome. Ha lavorato tanto nella zona, aveva tante responsabilità, gli operai da comandare. Non che lui non si sporcasse le mani, gli piaceva tirar su case, e tornava la sera coperto di polvere e cemento. Insomma non ce la cavavamo male. Quando sono rimasta incinta la prima, e anche la seconda volta, è stato un dono che Dio ci offriva, un dono per il futuro. Io ci ho creduto, nelle foto del matrimonio, sulla scalinata della nostra chiesa, accanto al parroco noi sorridiamo. E nelle foto dove teniamo in braccia i nostri piccoli neonati, sorridiamo. Angelo si era emozionato mentre partorivo, piangeva e rideva quando ha visto i bimbi in culla. Ma a ripensarci erano stati gli unici momenti in cui mi ha sorriso accanto. Non so cosa gli sia successo, quando accade agli altri, che se ne leggono e sanno di litigi e contrasti che finiscono male, pare una cosa che non ci riguarda. Ci hanno scritto delle barzellette sul marito che ubriaco picchia la moglie. Credevo non mi riguardasse, no, non a me. Eravamo una famiglia per bene, noi.
La prima volta Angelo non mi ha colpito, né con un pugno né con uno schiaffo, e io non sono caduta per terra. Mentre sparecchiavo in cucina, una domenica sera, abbiamo cominciato a discutere, perché proprio d'accordo non siamo mai andati. E io ho provato a dirgli quello che pensavo. I suoi occhi si sono improvvisamente infiammati, mi ha tirato per i capelli, le parole sono uscite pesanti, puttana, troia, mi fai schifo, devi strisciare ai miei piedi, in ginocchio ti voglio, te la faccio pagare. Le sue urla le sentivano fino in fondo alla strada. Io mi vergognavo, lo imploravo di tacere, per i bambini, per i nostri vicini. Che poi in un paese così piccolo, le voci si spargono in fretta e non te ne liberi più. Angelo non ha alzato le mani, mi ha solo stretto le braccia, così forte che il giorno dopo erano viola e non le potevo muovere. Quella volta i bambini dormivano, la volta dopo anche, non si sono nemmeno accorti delle sedie sbattute, dei piatti rotti, del crack del mio polso che lui mi aveva piegato e rotto. Ma la terza volta ho visto la testa di nostro figlio spuntare dalla porta della cucina. E mi sono spaventata per lui. Ci guardava con occhi assonnati e tristi, suo padre, rosso in volto, furibondo che gridava parolacce sputando, sua madre schiacciata nell'angolo accanto al frigorifero cercava di ripararsi il viso ma non poteva evitare i colpi di mestolo sulla testa. Non è un bello spettacolo, per nessuno. Il mestolo mi aveva squarciato la cute, il sangue colava tra i capelli spettinati, mi scendeva lungo il collo, che lo sentivo caldo, con quel sapore di ferro.
Quando mio padre l'ha saputo, ci sono voluti due zii e un cugino per fermarlo sulla soglia di casa nostra. Angelo gli urlava vieni qui che ti faccio vedere chi comanda, mio padre gli urlava sopra in dialetto, ti spacco quella faccia di cazzo. Poi, quando si era calmato mi aveva abbracciato e accompagnato in ospedale. Io non volevo lasciare i miei figli soli con Angelo. Mia madre, santa donna, che forse qualche pugno da mio padre l'ha ricevuto anche lei, ne ha preso uno da una parte e uno dall'altra e li ha trascinati via che piangevano e strillavano.
La vergogna mi paralizzava quanto le botte, la vergogna era più forte dei lividi. Non mi faceva respirare, non mi faceva reagire, e mi rintanavo in bagno quando il tremolio del mento mi diceva, stai per scoppiare. Mio marito non l'ho mai denunciato, come hanno fatto tante di quelle che sono qui, con addosso gli occhi del rimpianto, dell'errore fatale. E nel cuore spezzato la lontananza dai figli che crescono senza più madri.
Angelo non era cattivo, ma perdeva il controllo, si accecava della sua stessa rabbia e ogni tanto mi rifilava un paio di calci. Così, quando è partito per un appalto edilizio a Venezia, i miei bambini ed io abbiamo vissuto momenti felici, caldi di intimità e dolcezza. I piccoli venivano nel mio letto e giocavano tra le lenzuola, leggevo loro delle fiabe, raccontavo le storie dei nonni, li stringevo a me, baciavo i loro capelli, e annusavo l'odore di talco della loro pelle. Non sono mai stata tanto felice, era una felicità assoluta. Era quando dimenticavo che mio marito sarebbe tornato e tutto sarebbe ricominciato, gli insulti e le botte. Mi telefonava da Venezia la sera, chiedeva dei bambini, mai di me. Ma sapevo che mi controllava, che aveva parlato con degli amici suoi pronti a riferirgli cosa facevo, quando, come. Anche se più in là del paese non andavo e tutt' al più veniva a trovarmi qualche amica, la signora Esposito del piano di sotto cucinava delle torte e poi me le portava.
Il giorno che Angelo è tornato a casa da Venezia non si è nemmeno tolto il giubbotto, i bambini erano a scuola, e mi ha tempestato di domande, cosa hai fatto, chi hai visto, adesso cambia la musica. E giù un pugno tremendo che mi ha stordito e mi ha fatto sanguinare l'orecchio. Allora mio padre, che aveva lavorato nella Polizia Penitenziaria e conosceva la pochezza della giustizia, ha preso il coltello dell'arrosto, ha aspettato che Angelo uscisse in strada, forse per proteggere i bambini, e ha ficcato la lama nella pancia di mio marito. È uscito tanto di quel sangue, era tutto rosso. e io sono svenuta. Mio padre è finito in carcere, lui che raggiunta la pensione dopo quarant'anni non ci voleva mettere più piede. Nel parlatoio i suoi colleghi lo proteggevano e durante il colloquio ci lasciavano soli. Lo dovevo uccidere, mi ha bisbigliato mio padre, lo dovevo sventrare come un porco. Ma vedrai la lezione gli servirà, eccome se gli servirà, non mi importa di essere ritornato dentro una cella, non mi importa niente. Se lo meritava quello stronzo, non lo dovevi sposare, ci ha fregato a tutti.
Io uscivo dal carcere e entravo in ospedale. Angelo era lì disteso, il bendaggio gli fasciava l'addome, gli avevano dato venticinque punti di sutura, dentro e fuori. Non mi parlava più, grugniva maledizioni, gridava alle infermiere. Se avesse potuto, ci scommetto, avrebbe preso a calci anche loro.
Per me non c'era più speranza, sangue chiama sangue. Eppure, quando è guarito, non ce l'ho fatta a non riprenderlo in casa. Ai bambini era mancato, loro lo amavano, era il loro padre. Indegno, violento, ma era come se facessero finta di niente, e anche se dentro avevano paura, quando lui li portava alla partita della Casertana, teneva per mano il più grande e sulle spalle il più piccolo. E loro ridevano insieme, affamati di un gesto d'amore. Sembrava che i venticinque punti di sutura fossero dimenticati. Angelo aveva ripreso lentamente a stare nei cantieri, ad andare al bar, a tornare tardi. Non mi ha più picchiata però, e per un attimo ho creduto che finalmente si sarebbe arreso stanco delle sue stesse ire, stanco e ferito. Io continuavo la mia vita, accompagnavo i bambini all'asilo e alla scuola, facevo la spesa, pulivo, preparavo da mangiare e li riandavo a prendere all'una, quando uscivano schiamazzando e correndo verso di me. Per fortuna, per fortuna, quella mattina piovosa ero in anticipo. Altrimenti i miei figli avrebbero visto tutto con i loro occhi, e niente di ciò che potevano vedere si sarebbe mai più cancellato dalla loro mente.
È successo che, mentre stavo arrivando al cancello aperto della scuola, pronta ad accogliere sotto l'ombrello i miei cari bambini, e li cercavo con lo sguardo tra una folla di ragazzini vocianti, ho sentito dei passi affrettati e conosciuti alle spalle, un respiro affannato familiare che mi investiva come il vento. Ho capito ma non volevo credere.
Intorno a me le macchine erano in doppia fila, la pioggia era fine e silenziosa, perché quando i passi si sono fermati è sceso un silenzio, un silenzio che non si può neanche immaginare, dell'altro mondo. Lo stesso silenzio che avvolge me e tutte le altre, qui, dove stiamo adesso. Il silenzio delle morte. Non mi sono voltata, ma non ho fatto in tempo a raggiungere le altre mamme in attesa davanti alla scuola. Uno potente schiocco nell'aria e la mia gamba si è piegata, un altro schiocco assordante e il braccio ha ceduto e l'ombrello è caduto. Non ho fatto in tempo a girarmi e vedere Angelo con la pistola puntata contro di me, Angelo non aveva mai avuto una pistola. Ho solo sentito il petto bruciarmi, il sangue andare dovunque, mi aveva sparato nella schiena e i miei polmoni non hanno più respirato. Mentre mi schiantavo sul marciapiede come un sacco di patate, ho dato un ultimo sguardo al cancello. Ho fatto in tempo a sentire la campanella, ho pianto per i miei figli che avrebbero trovato la loro madre riversa in una pozza scura, e visto il loro padre scappare con la nostra Toyota bianca. Poi proprio non ce l'ho fatta più, ho provato a resistere mentre tutti intorno urlavano, ma in un attimo me ne sono andata.
Qui, dove mi trovo adesso, siamo spaventosamente tante. Ognuna ha accanto la sua morte. Proiettili per me, proiettili per molte. Ma la maggior parte di questi resti umani e pallidi ha incontrato coltelli, martelli, mani feroci al collo, stupri. Tutte avevano un marito, un fidanzato, un ragazzo, che non volevano diventare ex mariti, ex fidanzati ex ragazzi. Tutte avevano provato a gridare no agli sconosciuti, a chi conoscevano troppo bene. Tutte hanno pagato, pagato amaramente il loro no. Quassù, proprio dove siamo insieme, l'unica cosa che ci resta è la solitudine della nostra fine, ma forse, calpestate ogni giorno, aggredite ogni giorno, umiliate ogni giorno per ogni giorno dell'anno, eravamo più sole in vita.

l’Unità 28.2.08
Bonnefoy nel corpo infinito del Louvre
di Yves Bonnefoy


IL POETA FRANCESE narra in un racconto poetico «a quadri» una visita al museo parigino: dallo stupore per la sua grandezza al perdersi nel guazzabuglio dei capolavori: la Nike di Samotracia, la Gioconda, i visitatori, le luci, le ombre

Il Museo
Avrei voluto entrare da bambino in un luogo così.
Non perché io sapessi e neppure presentissi le opere che sono esposte al Louvre o negli altri musei del mondo.
Ma è che lo spirito di un bambino è ossessionato da immagini ancora incompiute benché intense. Non sono le parole che hanno valore per lui, sono le immagini che vi intravede oltre. Di immagini non ne incontra mai che non lo turbino, lo spaventino, oppure che non lo attirino, che non lo seducano. E vorrà andare là dove - gli si dice - vi sono immagini, come oltre se stesso.
Salendo le grandi scale contro corrente a queste ombre che vengono giù per i gradini.
E andando su come sarebbe stato bello per lui sedersi vicino alle ginocchia di una grande Isis sorridente, che gli avrebbe aperto un libro di segni e di figure, tutto a colori, con le pagine innumeri di ciò che è.
Dunque è stata splendida, al Louvre, questa intuizione: collocare in cima alle scale d’accesso la Vittoria di Samotracia, e le sue ali spiegate al di sopra del mondo.
In piedi sulla prua di una nave conquistata, saccheggiata. Ma è parimenti la giovane madre dalla veste leggera e aderente al corpo. La dolcezza in persona, la pace.
Sulla spalla il fermaglio si è aperto, la stoffa è gonfiata dal vento. Il grande segreto già quasi detto.

La Grecia, 1
Mallarmé ha scritto che la Venere di Milo è la bellezza completa, unica, immutabile, ma senza ancor coscienza di sé. Lei sorride - ci dice - «eternamente serena» poiché l’umanità di cui si fa immagine nello specchio del bel marmo levigato, non è stata «morsicata al cuore» dal cristianesimo, che fu la grande chimera.
Ma è possibile parlare di incoscienza davanti a un’opera di questo genere? Ciò che questo scultore dalla suprema attenzione fece, fu di verificare che la forma - del viso o del torso, forma della spalla, forma dei ventri, talora gravidi - può liberarsi dai corpi senza incontrare ostacolo nella materia, mentre i vuoti seguono ai pieni, alla superficie di una vita così fedelmente imitata, con una modulazione tanto perfetta e infinita quanto agevole. Fidia, Prassitele, Scopa hanno riflettuto, e hanno concluso: l’essere sensibile, anche se offuscato dal caso, anche se privato - nei nostri sguardi - della sua ricchezza a causa della cecità smaniosa e frettolosa del desiderio, può essere un luogo di risoluzione, di armonia. Essi pensano che per accedere al nostro culmine basterebbe contemplare la forma che alberga in noi come si fa con quei cieli notturni d’estate quando le nuvole svaporano da ogni sguardo.

La Gioconda
Questo quadro è il più famoso dei quadri, ma è anche il massimo enigma. Infatti ecco un artista che ha sognato, grazie alla sua scienza finalmente veritiera, di rappresentare in maniera perfetta, senza niente che turbi l’illusione, la giovane donna che ha accettato di sedersi davanti a lui per tutto il tempo necessario, le mani a riposo, lo sguardo pieno di attenzione al suo gesto, a questo strano lavoro di cui lei intuisce soltanto l’intensità silenziosa. Leonardo da Vinci voleva liberare la natura da ogni pregiudizio, da ogni mito che ne ha velato la figura. Ma noi, cosa vediamo su questo viso dai colori leggermente crinati?
Solo questo strano sguardo, che ci dice come la figura dove compare sia anche lei solo un velo; che ci fa capire come questi occhi, questa bocca, e queste due mani incrociate, e queste montagne in lontananza, e questo cielo, non siano che dipinti sulla notte di un sottile sorriso che viene da altrove, quale prova di un altro mondo.
Ecco dunque la pittura! Più si va avanti con l’illusione, più il simulacro parla di assenza. Più è precisa l’apparenza, e più profondamente si rivela il velame nelle sue pieghe che appena si muovono.

Salone quadrato
Delacroix, Manet, Cézanne, Van Gogh, Matisse con Picasso, Giacometti, quanti altri, sono passati, hanno indugiato in questa sala.
E anche Baudelaire, e Apollinaire. E ancora questi giovani d’oggi, che tengono in mano foglietti sui quali il pensiero di ieri è disconosciuto, insultato; ma è perché quel quadro o quella statua dell’altro ieri o del fondo dei secoli permangono come assoluti, e non si smette di amarli.
Quanti appuntamenti! È da uno di questi, con Tiziano, o Giorgione, che è nata la pittura moderna, nel 1863, con Manet.
È da un altro, di Giacometti con la Madonna in maestà, circondata da angeli di Cimabue, che si è formato L’oggetto invisibile.
Questo Tiziano che noi tutti amiamo, il Concerto campestre: Poussin avrebbe accettato un appuntamento davanti a lui con Cézanne giovane per una conversazione che l’entusiasta debuttante, irruente, maldestro, avrebbe, lì per lì, giudicata deludente.
Dopo di ciò, chiaritisi al giorno d’oggi i loro malintesi, li immaginiamo sotto un pergolato ai bordi dello Stige, mentre bevono in eterno un po’ di vino rosso scuro che reca loro un’ancella.

Essere al Louvre
Essere al Louvre, sapere che là ci sono tante di quelle sale che non si visiteranno né oggi né mai. E più lontano ancora, al termine di percorsi nascosti, questi depositi, uffici dei conservatori o dei fotografi, queste scale di cemento con tubi verso le sale macchine, questi armadi per scope o sacchi di gesso, queste cripte, questi sotterranei ora a contatto con la terra grezza informe, senza coscienza di sé, cieca ai nostri progetti, ai nostri sogni.
Perché si è voluto un secolo dopo l’altro questo luogo che ci stupisce e a volte ci spaventa, proprio quando noi cerchiamo di confidare il nostro desiderio di essere e di verità a pensieri benigni come quelli che ci promettono gli occhi attenti del Castiglione di Raffaello, o il corpo infinito della Venere di Correggio? Vado nel museo, ho l’impressione di scendere dentro le immagini, più giù del pensiero che ha loro assicurato la vita, anche più giù, in assoluto, del pensiero stesso. Credo di toccare nel guazzabuglio dei capolavori la stessa materia nera, impenetrata, che urta al di sotto del museo contro le acque del grande fiume.

Per favore...
Per favore, dove si va per la Morte della Vergine di Caravaggio, dove per il San Sebastiano di Mantegna, dove per l’Astronomo di Vermeer, la Battaglia di San Romano? Dove per Botticelli, da che corridoio si arriva a Georges de La Tour?
Per favore, lei saprebbe da che parte si deve andare per questo dipinto? Sì, dove le fiamme si agitano nella cornice, con ovunque del fumo sin nella sala attigua e l’inebriante odore dell’erba che brucia?

Il centro dov’è?
Il centro del Louvre, dov’è? Questo rettangolo dove i lati sono ovunque e le diagonali non si incrociano da nessuna parte, non nasconde comunque un punto dove si condensa il suo infinito, forse in un quadro o in un aspetto di un quadro?
Si può pensare così, e cercare. Si possono fare ipotesi, per il piacere di formularne altre.
Per un attimo mi dico che il centro metafisico del Louvre è il carro del sole come l’ha dipinto Delacroix: infatti il dio delle arti vi sta eretto a combattere i fantasmi vuoti di senso, emanazioni del caos, con questo fulmine di cui è baleno la bellezza delle opere.
Il dio frena i suoi destrieri ma al contempo li sprona. Sembra che gli sia necessario essere scosso da discordanti forze se vuol lanciare con precisione i suoi dardi contro l’abisso.

Tra poco si chiude
Tra poco chiudono, sarò chiamato in avanti, guidato, spinto, la folla mi si pigerà intorno, il rumore diverrà più intenso, la galleria grande, le sale innumerevoli, i corridoi, tutto ciò sarà come un fiume dentro di me.
E queste rive che scivoleranno sempre più veloci, il tempo oramai sta toccando la sua fine in questo crepuscolo ove si spengono i rossori delle immagini. Tiziano, Rubens, Poussin, Delacroix, riflessi nell’acqua dell’altro grande fiume. E sopra di loro queste stelle che saranno per sempre solo il polverio del loro semplice numero.

Liberazione 28.2.08
La corsa per entrare a far parte della "casta"
di Rina Gagliardi


In queste giornate nelle quali ci si occupa soprattutto, se non esclusivamente, di liste elettorali, mi sono domandata più volte: perchè? Perché questo desiderio diffuso (chiamiamolo così) di diventare parlamentari, di essere candidati e candidate, di essere comunque proposti per un posto alla Camera o al Senato? Parlo della sinistra, s'intende, cioè del cosmo che un po' , da una trentina d'anni e più, penso di conoscere. E mi è venuto in mente un particolare abbastanza noto (ma rimosso) della vita politica di Enrico Berlinguer: nel '68 e nel '72 l'allora già di fatto leader o dirigente di primissimo piano del Pci votò per ben due volte contro la propria elezione a deputato, la prima volta con successo, la seconda dovendo cedere alla decisione di spedirlo, ad ogni buon conto, a Montecitorio. Oggi un simile comportamento appare fuori dal mondo - già lo era, in parte, nei primi anni '70, quando ancora la pratica del Pci privilegiava nettamente il ruolo dirigente nel Partito su quello o quelli istituzionali, ed, anzi, diventare deputato equivaleva ad una sorta di "premio di pensionamento". Oggi, a sinistra, desiderano diventare parlamentari quasi tutti coloro che occupano un ruolo dirigente e gran parte di coloro che fanno attivamente politica - quelli che non l'hanno mai fatto come quelli che l'hanno fatto a lungo, i giovani come i "vecchi", gli inesperti perché vogliono fare questa esperienza come gli "esperti" che vogliono continuarla. Continuo a chiedermi perché. Perché in una fase storica di crisi della politica e di non grande credito delle istituzioni c'è una tale "corsa" a entrare a far parte della così detta "casta"? La risposta non può essere nè univoca nè moralistica, e ci rinvia, come è logico, alla politica, al fare politica oggi, al nostro rapporto con la crisi della suddetta politica. Intanto, ho trovato cinque ragioni, tra di loro spesso intrecciate, che forse ci possono aiutare a capire. Le elenco in ordine crescente (secondo me) di importanza.
La prima è anche la più ovvia e banale: i privilegi materiali a cui il mestiere, pur precario, di parlamentare, dà diritto. Se ne parla molto poco, a sinistra, con imbarazzo, talora con finto pudore e non poche ipocrisie - da sempre, a sinistra, il rapporto con il denaro è un tabu che non si ha il coraggio di rompere. E' innegabile che questa motivazione, magari inconfessata, magari perfino inconsapevole (specie nei maschi, specie nei molti di noi che hanno alle spalle una vita abbastanza miserabile) sia reale. E tuttavia sarebbe fuorviante concluderne che si desidera diventare onorevoli "per i soldi": non è così, non è questa la pulsione principale, almeno per la gran parte.
La seconda ragione risiede nel privilegio oggi più immediatamente connesso al ruolo di parlamentare: la visibilità, potremmo dire. O meglio: la conquista dell'accesso, di cui anni fa ci parlava Jeremy Rifkin. Accesso mediatico, naturalmente: un parlamentare accede - può accedere - alla Tv, ai giornali, al sistema dell'informazione, là dove un non parlamentare, ancorché dirigente politico di grado elevato (un segretario cittadino o regionale), è generalmente tagliato fuori. Appunto, non accede - "non esiste", rischia l'invisibilità. Nella società mediatica, questa è la legge - perversa - che si è affermata. Dalle piccolo emittenti locali fino a "Porta a Porta" , l'accesso è garantito, almeno come chance, soltanto se si è "dentro" , se si è interni a determinate caste o corporazioni: oltre agli eletti, appunto, I giornalisti, gli economisti di scuola liberale, gli "esperti" di qualche cosa (criminologia, costume, psicologia, eccetera).
La terza ragione: la conquista di uno status che resta, a dispetto di tutto, invidiabile. Un onorevole è comunque "qualcuno": agli occhi di sua moglie (se maschio, come in genere è), nella considerazione dei parenti e dei vicini, nel prestigio sociale generale. Anche se si tratta di un "peone", privo di notorietà nazionale, anche se non riesce a determinare nessuna decisione (ma un emendamento di successo può sempre utilmente scappargli!), anche se non conta nulla nelle gerarchie autentiche del potere (ma vai poi a capire quali esse siano effettivamente), quando torna nella sua città o gira nel suo quartiere questa percezione di status è forte, soggettivamente e oggettivamente. Riscatta dall'anonimato della vita, da mille fatiche mai seriamente ripagate, talora, perfino, da una virtù che è stata fino ad allora soltanto premio a se stessa. Offre vero e propri momenti di ebbrezza dolce. Insomma, se non dà senso alla vita, aiuta a trovarlo - almeno per una stagione.
Quarto: il sistema di relazioni nel quale ogni parlamentare viene immesso e di cui può usufruire, più o meno intelligentemente. Nel fare politica, come è noto, le relazioni sono fondamentali - lo sono davvero, specie quando si perseguono obiettivi buoni, "nobili", e si ha bisogno come il pane di alleanze, convergenze, sostegni. E' vero che il Palazzo è lontano dalla società reale, un mondo "a sé" malato di autoreferenzialismo. Ma è anche ricco di opportunità e di occasioni, oltre che fonte di notizie - e sede di un "sapere" specifico, anzi di saperi acquisibili solo per pratica diretta, compresenza, appartenenza.
Quinta e ultima ragione: il potere. Uso questa parola con prudenza, giacché, come ho scritto qualche riga fa, deputati e senatori (e Parlamento) di potere effettivo ne hanno ben poco. Eppure - parlo sempre della sinistra - questa è una verità parziale, che vale in riferimento alle gerarchie della politica o dell'establishment , non rispetto alla società reale. Mille parlamentari saranno pur troppi, come si dice nel dibattito corrente - e non valgono molto in confronto al centinaio dei loro omologhi della capitale dell'Impero, i senatori Usa. Ma costituiscono una élite " che può fare infinitamente di più di quello che è consentito alla "common people". Un gruppo ristretto "che può" determinare scelte che hanno conseguenze sulla vita di tutti, là dove i più non possono nulla.
***
Se queste considerazioni hanno un fondamento, forse è più chiaro il meccanismo che spinge molti compagni (e compagne) verso la carriera di parlamentare: perchè ormai, anche a sinistra, anche e soprattutto nei partiti di sinistra, la coincidenza tra il far politica "a tempo pieno" e i ruoli istituzionali si è fatta stringente. Quel che si è drammaticamente rotto, nel corso di questi decenni di crisi, è l'idea (l'ideale, se volete) della comunità politica: il Partito (ma anche l'associazione o il movimento) non solo come "alterità", rispetto all'esistente sociale e politico, ma come mescolanza paritaria di idee e vissuti, bisogni e competenze, ruoli e pratiche. Il partito di sinistra o comunista o ecologista come sede di un'altra politica, dove non tutti sono eguali, ma tutti hanno eguale dignità, perché il fondamento della dignità non sta nei singoli, nelle loro "carriere" o nei loro "successi", ma nella forza dell'insieme - nella politic ache si inventa e si pratica. Se non ci fosse stato questo fondamento, come avrebbe potuto il Pci diventare quell "paese nel paese" di cui tanto si è parlato? Se non lo ritroviamo, come facciamo ad evitare che l'unico riconoscimento possibile, per tanti militanti, sia quello di perseguire la strada dell'elezione? Ma allora il problema che abbiamo di fronte è proprio quello di ricostruire - o di provare a ricostruire - una dignità piena della politica e degli strumenti di cui questa politica può dotarsi: dove un dirigente o una dirigente diventano tali , e sono riconosciuti tali, anche se non si candidano alle elezioni, non fanno un comunicato al giorno, non rilasciano un'intervista a settimana, non improvvisano proposte spettacolari o convegni ad hoc una volta al mese. Un problema gigantesco, certo. Forse una missione impossibile. Ma bisognerà pure cominciare a discuterne - a provarci. Anche in Rifondazione, dove la "fatica delle liste" si è rivelata più improba del solito. Ma dove, intanto, andrebbe apprezzata una novità: per la prima volta nella storia di questi anni, i criteri di selezione delle candidature sono stati presentati alla discussione in termini chiari e trasparenti, senza infingimenti o ipocrisie, e senza tacere dei costi dolorosi che essi in parte comportano. Non è detto che quei criteri siano "assolutamente giusti", o perfetti. Ma l'atto di onestà politica, anzi di incipiente risanamento politico, è innegabile - e inverte una pratica "antica". Forse, se si vuole fare una nuova sinistra (o una sinistra nuova), si può cominciare anche da queste "piccole cose".

Liberazione 28.2.08
Un medico non può rifiutarsi di applicare una legge
Aborto, cancelliamo l'obiezione di coscienza
di Lidia Menapace


Gridavamo: "Aborto libero per non morire - contraccezione per non abortire". Com'è evidente il fine era ed è: "non abortire!". Fine che la legge, avendo come titolo "per la tutela della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza", interpreta precisamente. La tutela della maternità deriva dal fatto che essa stessa è un diritto, a cui lo stato deve sovvenire avendone il reciproco dovere, mentre l'interruzione di gravidanza è una facoltà giuridicamente esigibile dalle donne che decidono di avvalersene. Perché gridavamo "aborto libero?". Non perché condividessimo la legge proposta dai radicali (che fu battuta nel referendum da loro successivamente avanzato, cioè che abortire fosse sempre possibile privatamente, sicché le donne ricche o colte avrebbero potuto fare aborti regolati dal mercato, mentre quelle povere o meno colte, oggi le immigrate che non sono a loro agio nella nostra società avrebbero potuto, senza più commettere un reato, abortire comunque).
Insomma il contenuto della legge radicale era privatizzazione e depenalizzazione. E posso capire che la convivenza di due ipotesi come Binetti e Bonino strida abbastanza nello stesso partito, sia pure accogliente. Noi dicevamo "libero" nel senso di autodeterminato, perché la situazione nella quale si trovavano le donne era di assoluta necessità: sottoposte alla "natura" e alla prepotenza maschile, una condizione di abiezione etica, di persone che si trovavano nella "non possibilità" di decidere di se stesse, fino ad essere esposte alla morte o alla sterilità per aborti male eseguiti. Una piattezza etica da cui l'aborto autodeterminato ti faceva uscire: diventavi responsabile e non potevi più dire quello che mi sono sentita dire tante volte: "mio marito mi ha fatto fare solo quattro figli, mio marito sta attento (cioè pratica il coito interrotto), mio marito mi lascia abortire!". Dicevamo "contraccezione" e non contraccettivi per rispetto delle donne cattoliche, che presero parte in gran numero alla lunga, difficile, appassionante lotta e che erano contrarie ai contraccettivi chimici, fisici e comunque farmacologici, e favorevoli solo a quelli "naturali" come l'Ogino Knaus e Billings, ammessi dalla Chiesa.
La legge riprendeva tutto ciò equilibratamente, e per questo superò i due referendum abrogativi, proposti rispettivamente dai Radicali e dal Movimento per la vita, lasciando alcuni punti non soddisfacenti: che la donna dovesse passare una discussione nel consultorio o dal suo medico, alcuni pensavano che dovevano essere "dissuasori", perché queste norme vedevano comunque le donne come cittadine di serie "B".
Da modificare anche riguardo i casi delle minorenni, obbligate al consenso dei genitori o di un magistrato tutore, rendendo così più difficile l'iter della decisione. Si pensi che, nell'ordinamento italiano, una minorenne che ha abortito diventa "emancipata", cioè ha diritto di ricorrere alla 194 per un eventuale secondo aborto! Ma soprattutto, l'obiezione di coscienza dei medici venne interpretata come una facoltà da riconoscere ai medici già in servizio quando la legge fu approvata e che si trovavano in una situazione inesistente al momento in cui avevano cominciato la loro carriera.
Poiché il diritto della donna di avvalersi della 194, quando ne ricorressero gli estremi è indiscutibile, evidentemente si forma un conflitto tra la volontà del medico e il diritto della donna. Comunque lo Stato deve garantire il diritto della donna di avvalersi della legge. Ma quasi tutte noi pensavamo, e pensiamo, che il medico non può fare obiezione di coscienza quando entra in una struttura pubblica e viene richiesto di eseguire un aborto. Infatti un magistrato che sia obiettore di coscienza alla pena di morte in uno Stato in cui la pena di morte è prevista dalla legge non può fare obiezione, anzi non può fare il magistrato, perché la sorte degli imputati non può dipendere dal fatto che capitino in questo o in quel tribunale. Analogamente un medico che entri in servizio quando la 194 c'è non può obiettare, o almeno non può obiettare la struttura medico-ospedaliera, perché questo stabilirebbe una iniquità e una impossibile e insostenibile ineguaglianza tra le donne che hanno diritto a ricorrere alla legge. Per questo è assolutamente vero che la prima e principale - forse l'unica - modifica di cui la legge ha bisogno è di intervenire per regolamentare l'obiezione di coscienza dei medici che nel conflitto con il diritto della donna non può prevalere.

Liberazione 28.2.08
Prima di parlare i politici farebbero bene ad informarsi
La castrazione chimica non salva i bambini, anzi...
di Sabina Morandi


Bisogna dire che "castrazione chimica" suona proprio bene: una patina di modernità (la chimica) per rendere digeribile un approccio medioevale e liberare le pulsioni forcaiole. Funziona bene negli spot elettorali perché promette facili soluzioni e consente di rimuovere due o tre cosette sugli abusi infantili che è meglio tacere: per esempio il fatto che spesso vengono commessi all'interno della famiglia e che la maggior parte dei pedofili sono stati a loro volta abusati. Senza contare l'imbarazzo, tutto italiano, nel trattare l'annoso problema dei reati commessi dai membri del clero che invece è stato discusso sui media internazionali per tutto il 2007, quando cioè è stato reso noto che negli Stati Uniti e in Canada oltre 4.000 sacerdoti sono stati accusati di abuso di minori.
Prima di seppellire un po' troppo affrettatamente più d'un secolo di psicoanalisi, forse sarebbe il caso che i candidati chiedessero qualche delucidazione agli esperti. Intanto la pedofilia non è solo un crimine, è un disturbo del comportamento sessuale - lo dice l'Organizzazione mondiale della sanità basandosi sul manuale dei disturbi psichiatrici, senza escludere che il reato vada perseguito e punito, ma prevedendo un trattamento psicoterapico. Il problema è che i reati di pedofilia sono estremamente diffusi (secondo il Moige il 30% delle donne e il 15% degli uomini hanno subito abusi infantili) e non sempre prevedono il contatto fisico, come l'esibizionismo, la riproduzione di materiale pedo-pornografico e via dicendo.
Freud scoprì che i traumi infantili lasciano ferite durature e, negli adulti con una storia di abusi, possono provocare una molteplicità di patologie a carico della sfera emotiva, relazionale, sociale e comportamentale. L'intuizione di Freud è stata in seguito confermata quando alcuni studi hanno dimostrato che una rilevante percentuale dei condannati per pedofilia a sua volta ha subito abusi durante l'infanzia. Non tutti quelli che hanno subito abusi da piccoli diventano pedofili, ma quasi tutti i pedofili hanno subito abusi infantili.
Questo fatto determina due elementi molto rilevanti per il legislatore: da un lato evidenzia la gravità del danno subito dal bambino (e quindi della colpa del reo), dall'altro lascia intuire la difficoltà di stabilire la capacità di intendere e di volere del reo in quanto potrebbe essere affetto da turbe psichiche, o raptus improvvisi, a causa delle violenze pregresse subite nell'infanzia. La complessità del problema emerge chiaramente in ambito clinico a fronte delle difficoltà nelle quali si vengono a trovare i professionisti (psichiatri, psicoanalisti e psicologi) che trattano le persone affette da pedofilia. Da questo punto di vista la castrazione chimica sembrerebbe una soluzione perfetta per difendere la società - cioè i bambini - dai carnefici-vittime attualmente in circolazione. Solo che non funziona.
Dal punto di vista farmacologico non c'è alcuna evidenza scientifica circa l'efficacia di simili trattamenti. Silvio Garattini si dice «scettico» ma, precisa, «sarebbe opportuno che fosse avviata una sperimentazione in tal senso». Il più autorevole farmacologo italiano ci dice insomma che il farmaco anti-Orco ancora non è stato inventato, ma prima che i fautori della castrazione chirurgica (magari senza anestesia?) festeggino, va ricordato che stiamo parlando di disturbi della sfera sessuale che con le normali pratiche hanno poco a che fare. Graziano Guerra, presidente dell'associazione S.O.S. Infanzia di Vicenza, ricorda che non è infrequente che gli autori degli abusi sui bambini siano impotenti, cosa che non impedisce loro di compiere violenza. Per quanto riguarda il pedofilo, scrive Guerra «Non ci si deve fermare al concetto di violenza comunemente inteso perché questo può abusare di un bambino anche senza l'uso dell'organo sessuale. Appartengono alla cronaca e alle testimonianze episodi di abusi sui minori in cui l'abusante si "compiaceva" anche solo di guardare, di far compiere ad altri gli abusi, di fotografare, oppure di usare violenza con corpi estranei e oggetti». Insomma la castrazione chimica obbligatoria - fra l'altro difficilmente ammissibile nel nostro ordinamento giudiziario - rischierebbe di rendere il pedofilo ancora più violento. Ma Guerra sottolinea anche che quella volontaria potrebbe ottenere l'effetto opposto se viene posta come condizione per uno sconto di pena. Insomma, non solo non è sicuro che i farmaci funzionino - e in ogni caso il trattamento andrebbe ripetuto per tutta la vita - ma non è affatto detto nemmeno che una volta indotta chimicamente l'impotenza scompaiano le pulsioni violente, anzi.
Cosa fare? Indubbiamente la soluzione di un problema così complesso non rientra nel formato delle comunicazioni elettorali, nemmeno di quelle dei partiti maggiori. Perché si tratta di isolare i pedofili (la certezza della pena) e di curarli sottoponendoli a trattamenti psicoterapici che sono lunghi per definizione, ma bisogna anche riuscire a impedire che i bambini abusati diventino a loro volta carnefici individuando il trauma e cominciando a curarlo prima possibile. Sarebbe saggio tenere fuori problemi così delicati dalle impellenze elettorali e ricordare, come scrive Guerra, che «Gli unici tentativi di contenimento del fenomeno oggi disponibili sono la conoscenza e la prevenzione», per le quali sarebbe necessario pompare un po' di fondi in un sistema sanitario fatiscente e riesumare la vecchia idea di una psicoterapia accessibile a tutte le tasche che è alla base dei Centri di igiene mentale. Parallelamente - ed è la scelta di quei paesi che la pedofilia vogliono combatterla sul serio - si può pensare di introdurre nelle scuole delle figure professionali che affianchino i maestri nel compito di individuare precocemente i bambini abusati ed eventualmente intervenire. Psicoterapeuti, non poliziotti, perché la questione è delicata e complessa e richiede un'apposita formazione.



Liberazione 28.2.08
Pubblichiamo la sintesi dei 14 punti del programma elettorale de la Sinistra l'Arcobaleno, presentato ieri a Roma.


Dignità e diritti nel lavoro: la sicurezza
Durata massima del lavoro giornaliero in 8 ore e in due ore la durata massima degli straordinari; l'immediata approvazione dei decreti attuativi del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro

Dignità e diritti nel lavoro: lotta alla precarietà
Superare la legge 30; rafforzare la tutela dell'art. 18; cancellare dall'ordinamento le forme di lavoro co.co.co, co.co.pro e le false partite Iva.

Dignità e diritti nel lavoro
Salari, fisco e redistribuzione del reddito; salario orario minimo per garantire una retribuzione mensile netta di almeno 1000 euro; recupero automatico annuale dell'inflazione reale; elevare le detrazioni fiscali; diminuire il prelievo fiscale per i redditi più bassi; aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie al 20%.

Laicità
Lo spazio di libertà per tutti.Riconoscimento pubblico delle unioni civili; testamento biologico

Libertà e autodeterminazione femminile
La legge 194 sia applicata; introducendo in via definitiva la pillola Ru486; una nuova legge sulla fecondazione assistita; norma che persegua tutte le forme di discriminazione.

La pace, il disarmo; le spese per gli armamenti.
Riconversione dell'industria bellica applicando la legge 185; la messa al bando delle armi nucleari.

Proteggere il pianeta: un patto per il clima
Rifiuta il nucleare; entro il 2020 si superi il 20% dell'energia prodotta da fonti rinnovabili e che le emissioni siano ridotte del 20%; ripubblicizzazione dei servizi idrici; legge quadro sul governo del suolo; inasprimento delle pene.

Le "Grandi Opere"
Investimenti per miglorare i servizi di trasporto per i pendolari e la mobilità nelle città a energia pulita. Nei prossimi 5 anni 1000 treni per i pendolari.

Il diritto alla salute e le politiche sociali
Superare definitivamente i ticket e le liste di attesa; le cure odontoiatriche; legge sulla non autosufficienza finanziando un fondo nazionale per almeno 1,5 miliardi di euro; rete dei servizi per le bambine e i bambini.

La casa è un diritto, non una merce
Non ci possano essere sfratti se non da casa a casa; un piano nazionale per l'edilizia sociale a cui destinare 1,5 miliardi di euro; modificare la legge 431/98, abolendo il canale libero; ricontrattazione dei mutui.

Convivenza, inclusione, cittadinanza
L'abolizione della legge Bossi-Fini; voto alle elezioni amministrative; chiusura dei Cpt; legge sulla cittadinanza.

Istruzione, formazione, università, e ricerca
La laicità della scuola pubblica; generalizzazione della scuola dell'infanzia; l'estensione del tempo pieno; obbligo scolastico a 18 anni; aumentare l'investimento pubblico; reclutamento di 3000 giovani ricercatori l'anno; estendere il diritto allo studio.

Tagliare i privilegi, difendere la democrazia
La riduzione del numero di parlamentari e dei consiglieri regionali; legge che sottragga ai partiti le nomine, nella Sanità come negli altri settori pubblici.

Una informazione libera, pluralista, democratica
Abrogazione della "legge Gasparri"; approvazione di una vera legge di sistema; approvare una vera legge sul conflitto di interessi.

il manifesto 28.3.08
«Serve una protesta contro il black out dei Tg». Scontro in vigilanza sulla «par condicio»
La Sinistra «oscurata»: In piazza contro la Rai
di M. Ba.


«Così non si può andare avanti. Io quasi quasi passo alle vie legali». Franco Giordano, il segretario di Rifondazione ormai minaccia tra il serio e il faceto i giornalisti della Rai. Al tavolo dei quattro partiti della Sinistra arcobaleno si discute sì di programma ma soprattutto di una campagna elettorale che lo stesso Fausto Bertinotti (su Rainews24) non esita a definire «malata e drogata», «viziata da una legge elettorale sbagliata che in teoria permette a un partito del 20 per cento di ottenere il 55 per cento dei parlamentari, un premio di maggioranza che non si conosce in nessun paese del mondo».
L'appello al «voto utile» per Veltroni o Berlusconi sta creando autonomamente e per scelta mediatica condivisa un bipartitismo di fatto. Una rappresentazione che complica non poco la rotta già non tranquillissima della Sinistra arcobaleno. Tanto che è allo studio in queste ore un'iniziativa senza precedenti per la sinistra cosiddetta «radicale» come una manifestazione di protesta a viale Mazzini.
«Non sarà un'iniziativa con il bavaglio tipo Pannella e nemmeno un girotondo un po' rancoroso, sarà una manifestazione forte, di massa, colorata, da tenere davanti alla sede della Rai», spiega sibillino chi sta studiando la questione per il Prc. Lo stesso Bertinotti avrebbe dato il suo via libera alla protesta, anche se ancora si dovrà discutere del come e del quando organizzarla. Del pericolo black out mediatico invece si lamentano un po' tutti: «L'appiattimento delle televisioni è un patto scellerato tra Veltroni e Berlusconi per cancellare la presenza della sinistra - attacca il segretario del Pdci Oliviero Diliberto - l'unico voto utile, a questo punto, è impedire che i due si sposino, perché sono già fidanzati».
Con chi osserva che secondo il Centro di ascolto tv dei radicali Fausto Bertinotti è comunque in testa nelle presenze video di questi giorni, gli uffici stampa della Sinistra arcobaleno si inferociscono. «E' pura propaganda. Bertinotti è sempre stato molto presente nei talk show ma il problema sono gli organi di informazione puri, spesso i Tg e i Gr della Rai raccontano le nostre iniziative in un pastone politico dopo quelle di Storace. Mentre un sospiro di Berlusconi o Veltroni apre regolarmente tutti i notiziari».
Sullo sfondo ma non tanto lo scontro in commissione di vigilanza sulle regole della «par condicio» per la seconda fase della campagna elettorale, dopo la presentazione delle liste. Ieri ennesima fumata nera sui faccia a faccia. Bertinotti e Veltroni si sono già dichiarati disponibili a farli. Ma in tutto i candidati premier sono 10 e per fare tutti i confronti «non ci sono abbastanza giorni, dovrebbero spostare le elezioni», commenta sarcastica Giuliana Del Bufalo, direttrice dei servizi parlamentari Rai. Sul tavolo proposte diversissime tra loro. Pd, Udc e Sinistra arcobaleno chiedono in vario modo la presenza di confronti diretti tra i leader. Il Pd insiste per una rappresentazione mediatica proporzionale alla forza dei gruppi parlamentari. L'Udc chiede confronti tra partiti che si presentano al voto di almeno un quarto degli elettori e del territorio nazionale. La Sinistra invece vorrebbe il sorteggio per tre aspiranti premier a serata. No a tutto per An e Forza Italia, che si oppongono con ogni mezzo all'obbligo dei faccia a faccia per legge. Altro tema di scontro non secondario, la previsione che sia il presidente del consiglio uscente, cioè Romano Prodi, a fare l'ultima conferenza stampa prima del voto come fece Berlusconi. Il Pd è contrario a una visione evidentemente «imbarazzante» per gli elettori e sta provando ad assicurare al Professore la prima conferenza stampa in modo da riservare l'ultima a Veltroni, candidato premier dal gruppo parlamentare più ampio.
Schermaglie destinate ad infuocarsi oggi. La commissione di vigilanza è convocata per stamattina alle 10 e proseguirà i suoi lavori a oltranza.

mercoledì 27 febbraio 2008

IL NUOVO NUMERO DI MICROMEGA NELLE EDICOLE DA VENERDI 29 CONTIENE:

Il papa oscurantista. Contro le donne, contro la scienza” è l'inequivocabile titolo del quaderno speciale di MicroMega, che sarà in edicola da venerdì 29 febbraio. Il volume è composto da due parti. La prima risponde con puntualità scientifica e con indignata moralità alla crociata oscurantista che vuole criminalizzare la libertà delle donne e portare diritti civili e laicità indietro di mezzo secolo. Il volume è aperto dall'appello lanciato lo scorso 14 febbraio da 13 autorevolissime donne (Simona Argentieri, Natalia Aspesi, Adriana Cavarero, Cristina Comencini, Isabella Ferrari, Sabina Guzzanti Margherita Hack, Fiorella Mannoia, Dacia Maraini, Valeria Parrella, Lidia Ravera, Rossana Rossanda ed Elisabetta Visalberghi) e che on-line (www.firmiamo.it/liberadonna) ha già ottenuto oltre 40 mila firme. Una delle proposte dell'appello – l'abolizione dell'obiezione di coscienza sull'aborto - è ripresa da un articolo di Carlo Flamigni, che propone che i reparti di ginecologia non assumano più medici obiettori. Il neonatologo del Meyer di Firenze, Gianpaolo Donzelli, spiega perché le cure intensive sui nati molto prematuri siano nella stragrande maggioranza dei casi accanimento terapeutico. E poi interventi di don Enzo Mazzi (che condanna il ritorno del sacro come fonte primaria di violenza), Carlo Alberto Redi (che descrive i paradossi di una Chiesa che “difende la vita” solo a parole), Bruno Brambati (che spiega perché una riproduzione libera e responsabile non c'entra niente con l'eugenetica), Valeria Parrella (che, sulla scorta di un'esperienza diretta, riflette sulle recenti polemiche sulla rianimazione dei nati ultraprematuri).
La seconda parte del volume riporta tutti, ma proprio tutti, i materiali del noto caso Ratzinger/Sapienza: una cinquantina di editoriali e commenti delle principali testate, le lettere che hanno dato il via alle polemiche, i discorsi del papa, di Veltroni e di Mussi per l'inaugurazione dell'anno accademico. Il tutto inquadrato in una dettagliatissima cronologia dei fatti e con un commento inedito di Luca e Francesco Cavalli Sforza, che sottolineano la piena legittimità della protesta dei 67 professori di fisica.

guarda la copertina su www.micromega.net

SOMMARIO

LETTERA APERTA
Simona Argentieri / Natalia Aspesi / Adriana Cavarero / Cristina Comencini / Isabella Ferrari / Sabina Guzzanti Margherita Hack / Fiorella Mannoia / Dacia Maraini / Valeria Parrella / Lidia Ravera / Rossana Rossanda / Elisabetta Visalberghi
Liberadonna

ICEBERG 1
sacre libertà

Carlo Flamigni
Contro le donne, ovvero la crociata del terzo millennio

Margherita Hack
Ingerenze e condiscendenze

Carlo Alberto Redi
La Chiesa contro la vita

don Enzo Mazzi
Horror fondamentalista

ICEBERG 2
liberadonna

Gianpaolo Donzelli
Accanimenti bigotti

Valeria Parrella
Chi gioca a dadi sui corpi delle donne

Cinzia Sciuto
Sulla propria pelle

Bruno Brambati
L’eugenetica non c’entra

Marilisa D’Amico
Persone, diritti, embrioni

Eduard Verhagen
È uccidere o prendersi cura?

Roberta De Monticelli
Ecco perché non firmo

LAICAMENTE

Felice Mill Colorni
Logiche conseguenze

Carlo Flamigni
Aborto, basta obiezione (in appendice: Paolo Flores d’Arcais Aborto, aboliamo l’obiezione per i medici)

ICEBERG 3
verità di fatto

Luca e Francesco Cavalli Sforza
Un papa senza Sapienza

a cura di Emilio Carnevali
I fatti

Francesco Raparelli
Gli studenti del dissenso

Emilio Carnevali
Il caso Maiani

SCRIPTA MANENT
Marcello Cini / Pierluigi Battista/ Alberto Asor Rosa / Ernesto Galli Della Loggia / Giancarlo Ruocco / Giulio Anselmi / Antonio Zichichi / Dario Fo / Adriano Sofri Massimo Cacciari / Paolo Flores d’Arcais Bruno Bertolini / Giorgio Napolitano / mons. Rino Fisichella / Rocco Buttiglione Rosy Bindi / Fabio Mussi / Carlo Bernardini / Paolo Franchi / don Enzo Mazzi / Gianfranco Pasquino / Giovanni Sabatucci Ezio Mauro / Carlo Azeglio Ciampi / Gian Enrico Rusconi / Riccardo Di Segni Franco Piperno / Carlo Cardia / Daniele Garrone / Giorgio Parisi / Giovanni Maria Vian / card. Camillo Ruini Marcello Pera / Joaquín Navarro-Valls/ card. Carlo Caffarra / Roberta De Monticelli Giuliano Ferrara / Pietro Greco /Sergio Givone / David Bidussa / Barbara Spinelli / Massimo Boldi / Gianni Vattimo / Eugenio Scalfari / card. Angelo Bagnasco / Benedetto XVI / Francesco De Martini / Pietro Ingrao / Stefano Rodotà / Walter Tocci / Guido Barbujani / Arturo Romer / Redazione di Confronti / Pietro Stefani
L’affaire Sapienza: commenti (e menzogne)

MEMORIA
Walter Veltroni / Fabio Mussi / Benedetto XVI
I discorsi della Sapienza

SCHERZO

Ennio Cavalli
Dio e la casa sull’albero

Carlo Cornaglia
In versi
Liberazione 27.2.08
Bertinotti: «Da Veltroni, ecumenismo e indeterminatezza».
Sinistra Arcobaleno: 7 punti per smascherare la "truffa" Pd
di Angela Mauro


«Ecumenismo» contro una decisa collocazione di parte: a sinistra. «Indeterminatezza» contro una scelta precisa: essere «benefattori di futuro per far continuare la storia della sinistra in Italia». Fausto Bertinotti non abbandona i toni pacati, ma di sicuro alza il tiro contro il Pd di Walter Veltroni in una campagna elettorale che continua a risultare ostica per la Sinistra Arcobaleno. Ieri mattina alla Camera un vertice tra il candidato premier e rappresentanti dei partiti ha "riordinato" le idee sul programma, che verrà messo a punto in via definitiva oggi in un incontro tra Bertinotti e le segreterie di Prc, Sd, Verdi e Pdci. Sette gli assi tematici: precarietà e salari; espansione del welfare; laicità e diritti civili; ambiente, territorio e mobilità; Europa, spese militari, pace e cooperazione; conoscenza, scuola, istruzione, ricerca; costi e privilegi della politica. Obiettivo: smascherare la "truffa" Pd. Perchè la bandiera della precarietà, scoperta di recente da Veltroni, è semplice fumo negli occhi degli elettori: non c'è nulla di più dei mille euro mensili per i precari annunciati dal leader. Il programma della Sinistra Arcobaleno vuole «fare molto di più», contrattacca Bertinotti, perchè «si può». Dunque, se la domanda è "precarietà", la risposta è "salario sociale". Che vuol dire: un minimo di mille euro al mese non solo per chi è precario, ma anche per i disoccupati. Proprio sul salario sociale, però, non mancano le resistenze interne. Questa volta, il fronte critico si concentra in Sd, non convinta che stabilire una retribuzione fissa anche per chi non lavora sia una buona idea di avanzamento sociale.
Il vertice di ieri però è servito anche per ricalibrare il format comunicativo della campagna elettorale. «Maggiore incisività», è stato l'appello comune al candidato premier. «E' in atto una campagna di annientamento e i toni gentili ora non pagano». Osservazione condivisa da tutti, anche dallo stesso Bertinotti. E' presumibile che, man mano che ci si avvicina il voto, i toni della campagna si alzeranno (già le affermazioni della Finocchiaro sul «voto utile» per il Pd e Pdl hanno segnato una consistente impennata). Ma è altrettanto condivisa l'idea di non arrivare a un punto dello scontro tale da determinare reciproche "accuse di tradimento", sempre dietro l'angolo a sinistra.
Approccio assolutamente «non tuttologico», viene sottolineato dai tecnici della Sinistra Arcobaleno al lavoro sul programma. «Vogliamo presentare proposte che rendano concretamente possibile l'abrogazione della legge 30», dice Walter De Cesaris, rappresentante di Rifondazione al tavolo sul programma. Andare nel dettaglio, è il dictat. E così il primo capitolo non si esaurisce al salario sociale, ma propone anche l'introduzione di un orario massimo di lavoro giornaliero. Oggi, infatti, è liberalizzato e certo non si può dire che i turni estenuanti di lavoro non esercitino una qualche influenza nell'incidenza delle morti bianche. Ancora: aumenti salariali non legati alla produttività, l'esatto contrario di quanto propone il Pd. Tradotto, vuol dire fermare la tendenza all'uso selvaggio degli straordinari e aumentare invece il salario in busta paga (con la detassazione degli aumenti) per liberare tempo dal lavoro. Inoltre: introdurre un meccanismo che vincoli salari e pensioni al costo della vita. Non si tratta proprio di un ritorno alla "scala mobile", ma di una "indicizzazione annuale" che permetta l'adeguamento delle buste paga all'inflazione. Va da sè poi la proposta di trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi (già motivo di contesa nel governo Prodi al tempo della firma del protocollo sul welfare). Veltroni, invece, viene fatto notare a sinistra, «candida Colaninno, contrario all'assunzione dopo i 36 mesi». Diritti civili: nel programma il sì a testamento biologico e riconoscimento delle coppie di fatto indipendentemente dall'orientamento sessuale (probabile new entry nelle liste della Sinistra Arcobaleno, il presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso). Il segretario del Prc Franco Giordano denuncia i "non detto" del Pd: «Dice come noi che vanno riconosciute le unioni di fatto? Oppure che la legge 40, una legge medievale, va modificata? Vorrei capire se sui grandi temi si possono fare delle scelte laiche in totale libertà». E, a proposito dello stesso tema, in riferimento alle polemiche scatenate dalle critiche di Famiglia cristiana al Pd dopo l'accordo con i Radicali, lo stesso Bertinotti ammette: «Di fronte alla propensione crescente della Chiesa, in particolare in Italia, a occuparsi della politica, è difficile non parlare di ingerenza. C'è una inversione di tendenza della Chiesa rispetto al Concilio Vaticano II e questo non è bene per il Paese e neanche per la fede». Quanto alla politica estera: ritiro delle missioni a guida Nato, come quella in Afghanistan, da sostituire con interventi coordinati dall'Onu. Ambiente: innanzitutto la tutela del territorio e della salute dei cittadini, non un sì indistinto a termovalorizzatori e grandi opere. E sul tema c'è anche un intento personale di Bertinotti. Per la campagna elettorale, il candidato premier viaggerà prevalentemente in auto: «Ma pianterò degli alberi per compensare l'inquinamento che produrrà il mio viaggiare. Così - dice a Primo Piano del Tg3 - vedrò di contenere il danno...».
Il programma verrà presentato domenica mattina in una kermesse elettorale della Sinistra Arcobaleno al Teatro romano dell'Ambra Jovinelli. Domani, alla Città del Gusto, verrà presentata la campagna elettorale. Con la consapevolezza che l'assedio del Pd («Una vera e propria guerra di sterminio», dice Jacopo Venier del Pdci) si rompe anche esigendo pari trattamento da parte dei mass media. «Vogliamo rompere il meccanismo di censura dell'informazione - denuncia Alfonso Pecoraro Scanio - è inaccettabile che anche il servizio pubblico stia in questo momento facendo la campagna elettorale solo a qualche partito».
Non sono tempi vocati all'allegria. Bertinotti non ostenta quello che non si può ostentare. «C'è poco da ridere», riconosce intervistato da Repubblica Tv. Questa campagna elettorale non è gioiosa, nulla in confronto a quella del 2005 per le primarie, che «era una sorta di liberazione, aveva a che fare con il "candidiamoci contro il governo Berlusconi", c'era una reattività carica di speranze e iniziative. Poi la maggioranza votò Prodi, forse in nome del realismo, noi oggi stiamo pagando quel realismo: allora era un tempo della speranza, oggi è tempo della delusione». Tuttavia, «la lezione di allora va recuperata, restituendo la parola ai giovani. Dobbiamo dare voce ai mille fiori che possono nascere nella società civile. Io direi a quei giovani: Sinistra arcobaleno è una novità, provate a buttarvi dentro e a restituirci un pò di allegria».
Se la campagna è difficile, il dopo-voto è lontano. Un'alleanza con Veltroni? «Mai dire mai...», dice Bertinotti. Ma oggi c'è «una differenza strategica e punti di dissenso rilevanti». Insomma, «ci giochiamo la partita». Il resto si vedrà. Di sicuro, «non si può imprigionare la sinistra al governo. Se ci sono le condizioni per realizzare alcune riforme si sta al governo, se non ci sono si sta all'opposizione».


l’Unità 27.2.08
"Il Pd è ambiguo, il voto utile è per noi"
La sfida di Bertinotti: no al duopolio. La falce e martello? È nel mio cuore
di Annalisa Cuzzocrea

L’ingerenza della Chiesa è un fatto: ingenerose le critiche di Famiglia Cristiana
A rendere più aspra la contesa col Pd è il fatto che la competizione sembra ridotta a due

Roma - Non ci sta a sentirsi dire che quello per la sinistra arcobaleno non è un voto utile. Non vuole subire il "duopolio ossessivo e violento" di Pd e Pdl. Non gli piace sentirsi chiedere perché, invece di candidarsi, non ha ceduto il passo a qualcuno più giovane di lui. Fausto Bertinotti – giacca di tweed e sciarpona blu a proteggere la gola - risponde accalorato alle centinaia di domande che arrivano dagli ascoltatori di Repubblica Tv. "L´ingerenza della Chiesa è un fatto", dice sulle accuse di Famiglia Cristiana al Pd. Ma a Walter Veltroni, non risparmia stoccate: "Il Partito democratico è debole perché indefinito. E non può avere la botte piena e la moglie ubriaca: ha deciso di correre da solo, se perde non dicano che è colpa nostra".
Presidente Bertinotti, cosa pensa della querelle tra Famiglia Cristiana e Walter Veltroni?
«E´ difficile non parlare di ingerenza. Siamo stati abituati a una grande stagione della Chiesa cattolica, quella conciliare, che aveva portato le gerarchie a occuparsi del mondo più che della provincia italiana. Ora assistiamo a un´inversione di tendenza. Su questo terreno trovo incerta la posizione del partito democratico e ingenerosa la critica di Famiglia Cristiana».
Sulla laicità voi puntate molto, l´accordo tra Pd e radicali vi ha messo in difficoltà?
«No anzi. Tutti gli accordi del partito democratico rivelano la sua debolezza. Lo dico chiaramente: il Pd ha un punto di forza nella sua capacità di attrazione, nel suo essere un elemento di unione e di novità. Ma il suo punto debole è proprio l´indeterminatezza dei contenuti e il tentativo di tenere insieme quello che insieme non sta».
I suoi rapporti con Veltroni fino a qualche settimana fa erano migliori, vi sentivate ogni giorno. Ora i toni sono cambiati. Perché?
«Nei confronti del Pd non abbiamo scelto la strada dell´invettiva, ma della competizione. In campagna elettorale il confronto è più acceso, perchè c´è una convergenza nel contrasto a Berlusconi, ma ci sono due idee diverse della società italiana. A rendere un po´ aspra questa contesa è la pressione violenta di un duopolio ossessivo, per cui sembra che la competizione, che in realtà è tra tanti, sia ridotta a due».
Molti si chiedono se votare Sinistra arcobaleno significhi favorire – di fatto – il centrodestra.
«Questa storia del voto utile è decisiva. Ma voglio essere chiaro: noi andiamo alla competizione elettorale in un sistema che non abbiamo voluto. La scelta di andare da soli l´ha fatta il Partito democratico, e il Partito democratico non può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non può dire "vado da solo" per poi scaricare sulla sinistra l´eventuale responsabilità della sconfitta. Così davvero si uccide la politica. Noi non avremmo fatto un accordo come Unione ma il terreno era diverso, c´erano due forze: il Pd e la Sinistra Arcobaleno. Si poteva aprire un relazione, loro non hanno voluto».
Sarebbe stato più facile con la falce e il martello, o con una candidatura più giovane come quella di Niki Vendola?
«Il simbolo della falce e martello sta nel mio cuore e nella mia storia, ma non sento la sua mancanza come una privazione. Dobbiamo dare avvio a una nuova storia, mescolare a quella del movimento operaio il pacifismo, l´ecologismo, il femminismo, la pace. Sulla mia candidatura ho già detto: una candidatura di servizio è molto diversa dall´incarico di direzione di un partito. Questo non toglie che Niki Vendola sia una personalità di primo ordine per la sinistra italiana dal punto di vista culturale, politico e di governo».
Bisogna andar via dall´Afghanistan, o no?
«Penso che bisognerà trovare una strategia politica di uscita dall´Afghanistan. L´idea che uno entri con una missione militare e questa missione continui senza che ci sia un obiettivo politico dichiarato a me sembra, in qualsiasi parte del mondo, insensata».

l’Unità 27.2.08
Sinistra arcobaleno: via da Kabul, tassare le rendite, no nucleare
Quasi pronto il programma per «rompere il duopolio Pdl-Pd». Bertinotti lo presenta domenica a Roma
di Simone Collini

Il candidato premier vuole colpire il «punto debole» del Pd: «L’indeterminatezza dei contenuti»

«PUNTANO ad annientarci, non è più il tempo dei toni istituzionali». I vertici di Rifondazione comunista, Pdci, Verdi e Sinistra democratica lo hanno detto a
Fausto Bertinotti, nel corso dell’incontro svolto nello studio del presidente della Camera. Al candidato premier della Sinistra arcobaleno gli esponenti dei quattro partiti hanno chiesto maggiore incisività e determinazione per rompere il duopolio Pd-Pdl e portare alla luce le falle della strategia veltroniana. Bertinotti ha chiarito che non è intenzionato ad allontanarsi più di tanto dai «toni composti» utilizzati finora, ma anche che la battaglia sarà d’ora in poi tutta all’attacco. «Con Veltroni ci giochiamo la partita», è la sfida lanciata. Che però, per il presidente della Camera, deve rimanere «pulita sul terreno programmatico», nonostante «l’inquinamento» della campagna elettorale dato dal «duopolio ossessivo» delle forze maggiori. Un inquinamento che per Bertinotti ha raggiunto l’apice quando Anna Finocchiaro ha invitato a votare per uno dei partiti maggiori: «Deve essere molto disorientata se invita a votare anche Berlusconi», sostiene il candidato premier della Sinistra.
Ma è soprattutto passando per il confronto tra i programmi che Bertinotti vuole colpire il «punto debole del Pd», e cioè «l’indeterminatezza dei contenuti». Ma prima di tutto deve esserci, appunto, il programma. Per questo era stato convocato l’incontro a Montecitorio tra il candidato premier e gli esponenti dei quattro partiti fondatori della Sinistra arcobaleno. Le ultime limature dovranno essere apportate oggi, quando si riuniranno di nuovo Bertinotti e le segreterie di Prc, Pdci, Verdi e Sd. Ma in sostanza il programma, che il presidente della Camera definisce orgogliosamente «di parte e senza nessuna propensione ecumenica», è quello uscito dal vertice di ieri.
Una trentina di pagine in cui si propone la riduzione del prelievo fiscale ai lavoratori dipendenti, il superamento della legge 30, l’armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie, la difesa della 194 e una legge per il riconoscimento delle coppie di fatto, il ritiro dei militari dall’Afghanistan, il via libera a un piano per la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico e il rifiuto del nucleare. Nel testo verrà anche posta la questione delle basi Nato in Italia e si proporrà inoltre un’indicizzazione dei salari che porti alla riduzione del divario tra l’inflazione programmata e quella reale.
A partire da sabato il programma verrà presentato e anche sottoposto al giudizio degli elettori in una serie di iniziative, mentre sarà lo stesso Bertinotti, domenica mattina, a illustrarlo al teatro Ambra Jovinelli di Roma (una promessa che aveva fatto a quanti erano rimasti fuori dal Piccolo Eliseo, l’altra settimana). Domani, alla Città del gusto, verrà invece presentata la campagna di comunicazione, che avrà al centro slogan come «Una scelta di parte» e «Si può fare di più».
Bertinotti dovrà però affrontare ora, insieme a Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio e Mussi, la questione delle candidature. Soprattutto, dovrà essere sciolto il nodo dei candidati indipendenti da inserire nelle liste. Sembra perdere quota l’ipotesi che compaia lo storico Paul Ginsborg, mentre tra i nomi quasi certi si fanno quelli del presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso, del giuslavorista Piergiovanni Alleva, padre della proposta di legge per superare la legge 30 e del magistrato pioniere della difesa dell’ambiente Gianfranco Amendola.

l’Unità 27.2.08
Diliberto: «Si faccia la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro»


ROMA «La legislatura si chiuda con un provvedimento a favore dei lavoratori. Il Consiglio dei Ministri si riunisca e vari il testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro». Lo chiede in una nota il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto.
«La legge 123 - ricorda Diliberto - è stata approvata lo scorso agosto 2007. Se non si procedesse in tempi brevissimi ad attuare i decreti legislativi, la legge delega scadrebbe il 24 maggio e bisognerebbe a quel punto ricominciare tutto l’iter dall’inizio.
Faccio, quindi, appello affinché si giunga all’approvazione dell’insieme della legge sulla Sicurezza sul Lavoro, dando risposte e certezze ai lavoratori esposti quotidianamente a rischio infortuni. Prodi riunisca il Consiglio dei Ministri e faccia un regalo ai lavoratori varando i decreti legislativi necessari all’entrata in vigore della legge», conclude.
Intanto viene alla luce del sole lo scontro nel Pdci fra le posizioni della segreteria guidata da Oliviero Diliberto e quelle di un altro esponente di peso del partito come l’eurodeputato Marco Rizzo.
Iacopo Venier attacca Rizzo sul settimanale del partito, la Rinascita della sinistra, in edicola domani: «Caro Marco, non sono d’accordo», scrive Venier, che giudica «violenta ed ingenerosa» la tesi, sostenuta da Rizzo in un precedente articolo, secondo la quale la lista della Sinistra arcobaleno rappresenterebbe il definitivo prevalere delle ragioni della svolta della Bolognina sui comunisti.
g.v.

l’Unità 27.2.08
Cari cattolici, basta crociate
di Carlo Flamigni


C’è un mio collega che da qualche tempo mi guarda con occhi che mi sembrano pieni di astio, mia moglie pensi ciò che vuole, ma è così. Qualsiasi cosa io dica che riguarda le interruzioni di gravidanza, lui dopo un po’ arriva e so che fa domande, sono certo che mi vuol cogliere in fallo. Io lo conosco, è un baggiano incompetente, un ipocrita, pensa che se riesce a trovarmi in fallo chissà che vantaggi ne trarrà, con l’aria che tira, con questo Papa che dice certe cose, nessuno più che ci difenda... È un ipocrita, pieno di paure, pessimo chirurgo, prima o poi lo prendo io in fallo, vediamo come se la cava con una bella denuncia per incapacità... E poi ci sono gli inquilini del terzo, prima tutti gentili, venite a cena da noi...
Adesso, dopo la polemica sui giornali, anche loro mi evitano, chi li sente più... E con mio figlio... Dieci anni, un innocente, gli faccio fare anche l’ora di religione, non voglio che si senta diverso... E ieri è venuto a casa che piangeva, tuo padre è un ateo, gli ha detto, proprio lui, il figlio di quelli del terzo piano, lui diceva che era il suo migliore amico, voleva andare in campeggio con lui... Adesso gli insegno io come si reagisce a chi ti vuol offendere proprio negli affetti, nelle cose più care, anche se in realtà non è colpa sua, è chiaro, certe cose le sente... Un calcio proprio lì, bello e forte, vediamo cosa dice la maestra, voglio proprio vedere...
Spero che sia chiaro che sono tutte favole, non ho figli di dieci anni da più di trent’anni, non ho colleghi che mi guardano di sbieco, anche perché non ho più colleghi. Ma questa è l’aria che comincia a tirare, quella che sento andando in giro a parlare di aborto in tante città. La gente, molta gente è arrabbiata, donne e uomini che non capiscono, si interrogano e si chiedono dove siano finiti i diritti, tanti di loro per questi diritti hanno lottato, e adesso... La gente, molta gente è arrabbiata e, bisogna avere il coraggio di dirlo, ce l’ha con i cattolici, proprio non riesce a fare distinzioni. Non è una questione che riguarda solo le donne, anche se è sulla loro pelle che si gioca questa brutta partita, perché la posta è una faccenda delicata, una di quelle per le quali si è andati sulle barricate, roba di democrazia, di libertà, di conflitti dolorosi tra diritti, di princìpi, ultimi o non ultimi, dite voi, anche di valori, se proprio si vuole spaccare il Paese. E allora mi rivolgo ai cattolici, a quelli che hanno ancora voglia di ragionare con la loro testa, e a loro chiedo perché. Perché questa crociata. Perché questi attacchi così violenti e malevoli che, è solo un esempio che faccio, intendono cambiare una legge che, per almeno metà degli italiani (ragiono per difetto, come si può capire se ricordate i risultati del referendum), ha risolto un drammatico problema sociale? Perché creare una tensione così alta come non l’avevo mai, mai nella mia vita, avvertita, tra laici e cattolici, credenti e non credenti? C’è qualcuno così folle da pensare che questo paese ha bisogno di una guerra di religione? C’è qualcuno che può garantire che un conflitto su questi temi si fermerà a livelli ragionevoli? C’è qualcuno che ritiene che mettere i medici uno contro l’altro, a lavorare da nemici fianco a fianco nello stesso ospedale, sia privo di conseguenze, per loro, per la gente che a loro si affida, per tutti? C’è qualcuno incapace di intuire dove si finisce quando ci si batte sui valori, una guerra senza mediazioni possibili, i miei buoni e i tuoi cattivi, non c’è alternativa possibile?
Io non so come è andata all’Ordine dei Medici, se tutto si è svolto secondo le regole o no. Ammettiamo che le regole non siano state rispettate, è possibile. Ad esempio, uno potrebbe dire, non c’è traccia, nel documento, della voce dei medici cattolici, quelli che la 194 la vorrebbero abolire, quelli che pensano che le indagini genetiche pre-impiantatorie servono solo a consentire scelte eugenetiche. Giusto. Forse che, allora, nei documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica c’è traccia delle opinioni dei laici? I documenti del CNB vengono messi ai voti, pensate, si vota per decidere che la vostra morale è migliore della nostra, che la vita personale comincia con l’attivazione dell’oocita e chi ritiene che non sia così sbaglia, la sua opinione deve essere ignorata, i suoi valori sono inferiori, non parliamo dei suoi principi morali: tutto ciò sulla base di una falsa democrazia, visto che i membri del CNB non sono stati eletti ma solo scelti da dio solo sa chi. Ma ho altre domande in testa: ad esempio, qualcuno crede veramente che la maggioranza dei medici - intendo di quei medici che interrompono le gravidanze in ossequio alla legge 194 e al principio secondo il quale si interrompe una gravidanza quando è a rischio la salute della donna - sia composta di mascalzoni e di assassini?
Sinceramente dai cattolici mi aspettavo di più, più correttezza, più trasparenza, persino più cortesia. Esistono, giuro che esistono, le avete usate anche voi, un tempo. Perché siete tanto cambiati? Fingete di non sapere che la pillola del giorno dopo non inibisce l’impianto dell’embrione, ci sono ricerche recenti e bellissime del «Karolinska Institutet» di Stoccolma a provarlo. Fingete di ignorare che la legge 194 rispetta i feti vitali - ci mancherebbe altro - per i quali è prevista l’interruzione di gravidanza solo in condizioni di necessità, una concessione che esisteva anche con le leggi fasciste. Dove è finita la compassione che è necessario, obbligatorio avere per le donne che scelgono di abortire, povere criste dilaniate dalla paura di vedersi sconvolgere la vita da un imbecille incapace di controllare il proprio orgasmo e per le quali siete stati capaci solo di trovare un nuovo insulto, la sindrome del boia, bella roba...
Pensate veramente che la legge possa essere migliorata? Può darsi. Ebbene, ci sono certo tra voi persone sagge disposte a discutere senza urlare e senza offendere, che parlino. Cerchiamo un linguaggio semplice e onesto, che ci accomuni, evitiamo gli isterismi di chi che si fa bello inventandosi la letteratura medica, c’è spazio, c’è spazio per una mediazione, c’è ancora spazio. Proviamo a chiedere all’Avvenire e all’Unità di pubblicare, ogni domenica, la stessa pagina, costruita in comune, sui temi eticamente sensibili e approviamo un codice di comportamento che esiga una moratoria (?) sugli insulti e le accuse becere. Ma non è vero che la pillola abortiva è «uccisiva» (vedete, uso persino il vostro linguaggio!). E non è vero che l’interruzione di gravidanza viene utilizzata a scopo anticoncezionale, a meno che voi non riteniate che due aborti nella vita di una donna abbiano questo significato. E non fate parlare gli incompetenti. Un alto prelato che dichiara pubblicamente che non si può affermare che la legge funziona, perché se è vero che sono diminuiti gli aborti è anche vero che sono diminuite le nascite, passa inosservato solo in questo patologico clima di sottomissione, solo una persona che non sa come nascono i bambini ignora che i calcoli si fanno sul numero di rapporti sessuali che per quanto so - ma sono stato molto indaffarato in questi ultimi tempi e può darsi che la vita sessuale degli italiani si sia improvvisamente scolorita senza che io me ne sia accorto - gli alti prelati stentano a monitorare. È vero invece che la legge viene applicata male perché un numero inverosimile di medici (troppi, è evidentemente, almeno in molti casi, una scelta sleale) ha optato per l’obiezione di coscienza e questo vuol dire attese più lunghe, interventi a maggior rischio, due Italie ancora una volta diverse, il nord e il sud. La legge 194 protegge la salute delle donne, spero che su questo punto non esistano dissensi: è possibile che un medico si faccia assumere in un ospedale dichiarando che sì, la salute delle donne lui la vuole proteggere, ma solo fino a lì, non un passo oltre? Possibile che debba scegliere per forza una specialità per la quale non sembra proprio tagliato? Posso capire la necessità di consentire l’obiezione a quei medici che la legge ha sorpreso dentro agli ospedali, non potevano sapere che sarebbero state chieste loro attività che consideravano moralmente illecite, ma oggi? E comunque, perché mai non c’è traccia di un solo obiettore che abbia deciso di impegnarsi, per pareggiare i conti, sulla promozione della cultura che riguarda il controllo delle nascite, o sull’educazione sessuale, insomma su uno dei tanti argomenti che per noi fanno parte della prevenzione delle gravidanze indesiderate e dell’aborto?
Lo so, abbiamo, noi e voi, un concetto molto diverso di cosa significa esattamente prevenire l’aborto. Per me, e per molti come me, significa controllo della fertilità, maggiore cultura, giustizia sociale, migliori possibilità di lavoro, più rispetto per la dignità delle donne, uomini più consapevoli e più responsabili , cose così, sapete, siamo dei poveri laici. Per voi vuol dire dissuasione, pietà, aiuto alle donne bisognose nel momento del bisogno maggiore (e dopo?)... Pietà a parte (scusateci, non vorremmo proprio sentirne parlare) non potremmo unificare queste diverse interpretazioni? È stato fatto, più di una volta.

l’Unità 27.2.08
Donne socialiste, un secolo per tutte le donne
di Valeria Fedeli


Cento anni fa a Stoccarda fu fondata l’Internazionale delle donne socialiste
Cento anni fa, a Chicago, 129 operaie in sciopero morirono per un incendio nella fabbrica, le cui porte erano state chiuse per ritorsione dal datore di lavoro

Valeria Fedeli è segretaria generale della Filtea-Cgil. Questo è l’intervento che terrà oggi alla sede dell’Onu, a New York, durante la celebrazione del centenario dell’Internazionale delle donne socialiste

Cento anni fa, dando alla differenza di genere una dimensione politica formalmente riconoscibile, un gruppo di donne fondava a Stoccarda l’Internazionale delle donne socialiste. Due anni dopo, da quella Internazionale nasce la proposta di una giornata mondiale della donna, l’8 marzo. E ancora, cento anni fa, a Chicago, 129 operaie tessili in sciopero per il miglioramento delle condizioni disumane di lavoro, morirono arse vive per un incendio scoppiato nella fabbrica, le cui porte erano state chiuse - per ritorsione - dal datore di lavoro. Sempre cento anni fa, 15.000 operaie , soprattutto tessili, sfilando per le vie di New York, lanciavano lo slogan «per il pane e per le rose», che ha riecheggiato per un secolo nelle lotte delle donne: qualità delle condizioni di lavoro e di vita, diciamo oggi. Allora, fu la sindacalista Emma Goldman, che seguì le vicende delle operaie tessili di Chicago, a scrivere: «ogni classe oppressa ha ottenuto la sua liberazione innanzitutto grazie alle sue forze». Ecco, io credo che ogni donna libera debba sentirsi riconoscente e in debito particolare verso quelle donne, quelle operaie tessili, quelle donne dell’internazionale socialista che hanno contribuito con la giornata internazionale della donna, - almeno una volta l’anno - almeno una volta l’anno, contribuire a ricordare e fare il punto sui passi avanti compiuti, e di prospettare cosa ancora non si è realizzato per la libertà e l’uguaglianza, tra donne e uomini nelle nostre società. Anche per questo, è importante la scelta di ricordare oggi 27 febbraio 2008 a New York, nella sede delle Nazioni Unite, quegli avvenimenti così carichi di significati per la storia dell’emancipazione e della libertà delle donne, in particolare dei diritti delle donne nel mondo del lavoro. Nel mondo, come in Italia, dobbiamo ancora lottare per ottenere questi risultati. Per affrontare le sfide che il nuovo secolo della globalizzazione e dei mercati aperti, pone ai diritti e alle libertà delle donne. Molte ragioni, quindi, vengono dalla storia e parlano al futuro in questo centenario dell’8 marzo! Ragioni e politiche, che hanno sempre caratterizzato l’azione unitaria del sindacato tessile italiano. Cultura e politiche sindacali contro le discriminazioni per l’innovazione e il cambiamento, per la libertà, l’uguaglianza, la coesione sociale. Una qualità della proposta sindacale che ha fortemente contribuito alla scelta di indire la grande manifestazione unitaria, di Cgil Cisl Uil, che si terrà a Roma l’8 marzo prossimo, per dire in modo chiaro che il rilancio, la crescita dell’Italia - come per ogni altro Paese e Continente - passa attraverso - prioritariamente - all’aumento significativo dell’occupazione femminile, di politiche economiche e fiscali che siano a sostegno delle donne al lavoro e nel lavoro; per creare le condizioni concrete, della condivisione dei ruoli di cura, delle carriere nelle imprese, e della valorizzazione del merito e delle competenze delle donne.
Per rilanciare e far discutere di sviluppo, lavoro, libertà, autodeterminazione, pari opportunità delle donne quale condizioni per il benessere sociale di tutti. Una ricorrenza dell’8 marzo che deve essere ripresa in mano dalle donne del mondo del lavoro, dei lavori femminili, e sottratta alla stucchevole commercializzazione della Festa. L’8 marzo deve tornare ad essere una straordinaria festa laica del lavoro, della dignità, della libertà e della responsabilità delle donne e poter essere presa a modello per tutti perché diventino la libertà, la responsabilità e la dignità di donne e uomini. Le donne vogliono essere protagoniste nel mondo del lavoro, perché è a partire dal lavoro che si ha autonomia e libertà.
L’Italia è al penultimo posto, tra i Paesi europei, per tasso di occupazione femminile, ecco perché è davvero una priorità di tutte le forze sociali, politiche e istituzionali, affrontare questa imbarazzante situazione. S’impone un cambio di passo nelle politiche a favore delle donne. Un otto marzo per affermare una strategia forte. Che chiama in causa ogni decisore politico e sociale, proprio per la complessità e la trasversalità delle azioni che occorre intraprendere. Si tratta di un profondo rinnovamento e cambiamento che deve promuovere e favorire queste priorità. Realizzare questo cambiamento, questa innovazione, questo cambio di passo in Italia non è facile. Servono scelte della politica e delle Istituzioni, ma anche delle imprese. Noi, come sindacato, siamo pronti a promuovere e ad agire per sostenere questa sfida, siamo, come nella nostra migliore tradizione riformista sindacale, interessanti al cambiamento, all’innovazione perché sappiamo che sono la condizione per creare il contesto favorevole al lavoro e alla vita delle donne, dell’insieme della società.
Credo fermamente che le donne, in questa decisiva stagione del nostro tempo, possano, a partire dalle tante cose che le uniscono, rinnovare il significato moderno della lotta di cento anni fa: «per il pane e per le rose», nel lavoro, nella vita, per tutte le persone.

l’Unità 27.2.08
Stragi. Verità al tartufo sul «Corsera»
di Bruno Gravagnuolo

Ancora su Arbe e Giado «Nessun altro luogo, includendo l’isola di Arbe nel Quarnaro, fu teatro di stragi italiane numericamente più rilevanti». Così scriveva sul Corsera settimane fa Dario Fertilio, nel recensire il libro di Eric Salerno sugli internamenti degli ebrei libici in Libia (Uccideteli tutti). Rettificammo, in due riprese, ricordando che le stragi italiane nei campi «slavi» di Arbe, Gonars, Visco, Monigo, Renicci furono molto ma molto più cospicue rispetto ai 500 morti di stenti a Giado (e si potrebbero ricordare altri lager in Libia e Cirenaica ai tempi di Graziani). Sabato scorso Fertilio controreplica: ma quelli erano ebrei e Giado sta «nel progetto di sterminio complessivo degli ebrei». E poi così «l’attento Gravagnuolo» rischia di «giustificare gli eccidi jugoslavi», con il riferimento ai precedenti «crimini italiani». Ringraziamo per «l’attento», senza poter contraccambiare però. Perché Fertilio è disattento assai, e gioca da distratto. Infatti ad Arbe e altrove le stragi italiane furono «numericamente» più rilevanti di Giado, l’esatto contrario di quanto scrisse Fertilio. E poi la novità di Giado è una mezza novità: è arcinoto che a modo suo anche l’Italia fascista fu nell’Olocausto, con le sue leggi e i suoi lager di transito (a parte San Sabba). Quanto agli slavi, Mussolini diceva: «500mila barbari slavi non valgono 50mila italiani». E quanto ai crimini titini, abbiamo scritto più e più volte che ricordavano la ferocia nazista. E anche nell’articolo ultimo, che Fertilio cita (male), parlammo di «collera etnica che divenne pulizia politica preventiva». Dunque, qui e altrove, ribadimmo sempre: pulizia etno-politica yugo-comunista. Debolmente contrastata dal Pci. E nondimeno altresì, ricordammo e ricordiamo gli «antecedenti»: l’oppressione italiana in Yugoslavia. E i massacri, e le bonifiche e i «rinsanguamenti» in terre mistilingui. Nessuna giustificazione, nessuna rimozione. Perchè Fertilio trucca le carte in tavola e ci «tartufa», ingannando i suoi lettori? Perché lo abbiamo «pizzicato»? Suvvia, capita nelle migliori famiglie. Sia più sportivo un’altra volta...

l’Unità 27.2.08
No all’anoressia e anche alle modelle bambine
di Gianluca Lo Vetro

RISPONDONO all’appello della ministro Melandri le giornaliste, mentre la direttrice di Vogue nega che la moda utilizzi ragazze anoressiche e rilancia: «Il vero problema è l’uso delle ragazzine»

Parigi. «Qui si confondono i problemi - puntualizza, ferma, Franca Sozzani -. La moda non propone e tanto meno utilizza modelle anoressiche». Il super direttore di Vogue, testata-portabandiera della «taglia zero», entra nel dibattito delle bellezze scarne e invita a fare ordine. Ieri il ministro Ministro Govanna Melandri dalle pagine del nostro quotidiano ha lanciato un appello, affinchè «le riviste patinate rifiutino qualsiasi immagine con ragazze sottopeso». Esattamente come fecero il Corriere della Sera e il magazine Elle France, quando cassarono la campagna choc di Oliviero Toscani con Isabelle Caro, afflitta da devastante anoressia. Certo quella era una provocazione «alla Toscani» proprio per richiamare le attenzioni pubbliche sul problema con un pugno allo stomaco. «In ogni caso si trattava di una magrezza patologica ­ incalza Franca Sozzani. Al contrario, le modelle dei servizi e delle pubblicità, sono tutte sanissime. E mangiano. Sono filiformi perché, non hanno più di 15 anni. La loro linea è sottile in quanto adolescenziale, perchè questa è la tendenza generale. Del resto, per dichiarare a una signora che sta bene, non le si dice “sembri una ragazzina”?» Già: di questi tempi ossessivamente palestrati e liftati, la massima ambizione sembra dimostrare meno anni possibili. E gli stilisti rilanciano, proponendo modelli sempre più acerbi, quasi ai confini con l’infanzia. Al punto da spostare la questione su altri fronti, più vicini alla tutela dei minori coinvolti in passerella e nei set fotografici.
A questa corsa a ritroso che brucia anche le età della donna, proprio ieri alle sfilate di Parigi si sono opposti gli stilisti Viktor & Rolf. I due creatori hanno organizzato una sfilata-manifestazione contro i tempi sempre più anticipati dell’intero sistema, mandando in passerella modelle truccate con vistosi «no» sugli occhi.
Ma cosa può sortire una simile provocazione da passerella? «Per realizzare l’appello del ministro Melandri ­ risponde Paola Cacianti, inviata di cultura del Tg1 che segue anche le sfilate ­ si dovrebbero riunire intorno a un tavolo di lavoro tutti gli autori/attori dei servizi di moda. A partire dai fotografi. Spesso, sono proprio loro a imporre certe bellezze: canoni ai quali le modelle si devono adeguare per poter lavorare. E come si può intervenire sulle scelte di un mago dell’obiettivo? Poi ci sono gli stilisti e i direttori dei giornali di settore e le stesse redattrici. Tutti concordi che l’eleganza passi dalla linea sottilissima. Come se il corpo non dovesse quasi partecipare al grande sogno della moda».
Peraltro, questo dato non è una novità, in un settore che non a caso vive e si nutre nella dimensione dell’onirico. «Basta dare un occhiata all’ultima retrospettiva del fotografo Richard Avedon ­ osserva Anna Piaggi, guru del giornalismo di stile ­. Tutte le ragazze hanno sempre avuto un fisico ramoscello. Negli anni ’60 ho lavorato con la mitica Twiggy che lanciò la minigonna di Mary Quant. Ebbene, aveva la taglia 34, (anche di piede): la stessa degli abiti degli stilisti a disposizione negli show room per i servizi fotografici».
Insomma, pare molto complesso organizzare una «concertazione» di creativi così radicali, alla quale peraltro dovrebbero partecipare anche gli amministratori della pubblicità: voce che nel settore muove capitali senza eguali. E che ruolo ha inoltre al televisione nella diffusione di queste magrezze che, pur non essendo patologiche, possono alimentare diete scorrette? In fin dei conti il piccolo schermo è il mezzo che entra il tutte le case, a differenza dei giornali patinati. E in certi format rosa si stigmatizza addirittura con apposite rubriche, l’aumento di peso dei personaggi pubblici. Come se fosse una colpa.
«Per quanto concerne il Tg, - risponde Paola Cacianti ­ il problema non si pone. A differenza dei magazine non abbiamo pubblicità con immagini imposte da altri. I messaggi della moda sono selezionati dal senso critico dei giornalisti che non a caso danno sempre ampio spazio al fenomeno delle taglie conformate. Fra l’altro i nostri servizi sono molto focalizzati sui particolari degli abiti e degli accessori. Quindi, è quasi impossibile che passino messaggi a sostegno della taglia zero. Ma c’è di più. Per contro proprio la tv riversa nelle case un’esplosione di maggiorate. La dimostrazione che agli uomini piacciono femmine ben diverse dalle magrissime della moda. Ma anche l’amara conferma che, sottile o abbondante, il corpo della donna rischia ancora e troppe volte di essere uno strumento al servizio di qualcuno o qualcosa altro».

l’Unità 27.2.08
Via libera alla pillola Ru486
Entro 90 giorni è previsto l’ok alla commercializzazione della Ru486. Solo in ospedale
di Anna Tarquini

Primo via libera per la commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru486. La commissione tecnico-scientifica (Cts) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il proprio parere favorevole alla richiesta di autorizzazione al commercio, attraverso la procedura di mutuo riconoscimento (che coinvolge anche altri Paesi europei), per la RU486. Si tratta del primo passo sulla strada che potrebbe rendere la RU486 disponibile in Italia, come farmaco utilizzabile esclusivamente in ospedale, e dunque classificato in fascia H.

È UN PRIMO PASSO, ma ci sono voluti più di 17 anni, i primi quindici passati in colloqui, inutili, con il Vaticano e un cardinale che si chiamava Ratzinger. Etienne Baulieu, il padre della pillola Ru486, alla fine ha avuto ragione. Ieri è arrivato il primo via li-
bera anche in Italia per la commercializzazione del farmaco che fa abortire senza intervento chirurgico. La commissione tecnico-scientifica dell'Agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, ha ha concluso la procedura europea di estensione dell’autorizzazione alla vendita a quattro paesi rimasti ultimi a farne richiesta: e cioè Italia, Portogallo, Ungheria e Lituania. Da questo momento l’iter per l’entrata in commercio del farmaco è di 90 giorni. E la sua utilizzazione dovrà essere coerente e compatibile con la 194, ossia dovrà essere assunta solo in ospedale.
La notizia arriva a poco più di una settimana dall’avviso di chiusura indagini per violazione della 194 a Silvio Viale e altri tre medici torinesi accusati di non aver rispettato la legge nella sperimentazione della pillola abortiva. Inchiesta partita con la denuncia di Storace allora ministro della Sanità che cercava di fermare la sperimentazione e che ora si sta avviando verso il processo. Ieri il ginecologo torinese ha esultato: «Oggi è un grande giorno per le donne italiane. La Ru486 permetterà anche ai medici italiani di partecipare alle ricerche in altri campi della medicina. Che fosse un farmaco - ha poi concluso - era chiaro e da oggi siamo più vicini all'Europa». Ma l’ok dei tecnici dell’Aifa arriva per noi in pieno vento di polemiche, oltre che in piena campagna elettorale, e proprio ieri Radio Vaticana aveva intervistato il vicepresidente dei medici cattolici italiani Franco Balzaretti per dire che è un farmaco pericoloso, con rischi di mortalità elevati. «Sulla Ru486 - aveva detto Balzaretti - c'è molta confusione, perché viene propagandata come una sorta di aborto fai da te. Invece può avere dei gravi effetti collaterali ed anche una certa mortalità, in quanto favorisce infezioni ed emorragie». Rischi evidentemente ben calcolati se arriviamo buon ultimi nella sua utilizzazione. Attualmente la pillola RU486 è già commercializzata in Francia, Austria, Belgio, Germania, Danimarca, Grecia, Spagna, Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera e anche negli Stati Uniti, in Australia e in Cina.
La domanda era stata avanzata a fine novembre dalla Exelgyn, la ditta farmaceutica francese produttrice del farmaco. Ma la battaglia è stata lunga. Anche perché all’inizio la stessa casa produttrice non era affatto interessata a chiedere la registrazione del farmaco anche nel nostro Paese per una presenza, diciamo, ingombrante. Quella del Vaticano. Non eravamo considerato un mercato attraente, diciamo. Lo raccontava Etienne Baulieu a un convegno di medici nel 2005: «Quindici anni fa cominciai a parlare della pillola col Vaticano, con l'allora cardinal Ratzinger. E i contatti sono andati avanti, ma il dialogo non ha fatto passi in avanti perché dalla Santa Sede ci è sempre stato detto che la vita va salvaguardata fin dal primo istante. Noi abbiamo cercato di far capire che questo era un modo per far soffrire meno le donne...». Poi la Exelgyn ha chiesto la registrazione del farmaco anche in Italia. Mentre a Torino come a Pontedera la pillola veniva sperimentata in ospedale acquistando il farmaco in Francia. Adesso si dovrà negoziare il prezzo e soprattutto le condizioni di utilizzo del medicinale. La procedura poi si concluderà definitivamente, secondo le norme internazionali, dopo un parere del comitato tecnico scientifico, seguito dalla ratifica da parte del consiglio di amministrazione dell'Aifa e con la pubblicazione del provvedimento di registrazione in Gazzetta Ufficiale.

Repubblica 27.2.08
Silvio Viale ha sperimentato la Ru486 a Torino
"Un grande giorno per le donne ma abbiamo 20 anni di ritardo"
di Sara Strippoli

TORINO - - Silvio Viale, l´Aifa dà il suo primo via libera alla pillola Ru 486. Un epilogo atteso. Ritiene che la battaglia sia stata troppo lunga?
«Un grande giorno per le donne. Arriviamo però con 20 anni di ritardo rispetto alla Francia, 8 rispetto agli Stati Uniti. E dopo sette anni di battaglie in Italia».
Crede che la battaglia sia finita?
«Per il momento diciamo che il bluff è stato svelato. Di tutti quelli che parlavano di "pesticida umano" o "diserbante chimico" o ripetevano il ritornello dell´aborto a domicilio e dell´aborto facile. Si comincerà ad applicare la Ru486 per gli aborti nell´ambito della 194 e finalmente si potranno condurre le sperimentazioni di questo farmaco anche in altri campi della medicina, come in oncologia».
Per questa battaglia lei è stato indagato dalla Procura di Torino perché le donne lasciavano l´ospedale durante la sperimentazione che si è svolta al Sant´Anna. Adesso che la pillola arriverà, si tornerà a parlare di "ricovero sì, ricovero no"?
«Basta leggere il testo della 194 nella sua interezza. Si parla sempre di intervento ed eventuale ricovero. Non c´è l´obbligo del ricovero ma si dice solo che le azioni finalizzate ad interrompere la gravidanza si devono svolgere in ospedale o nelle strutture autorizzate. Sta al medico decidere quando la donna può andare a casa. Il ricovero coatto non è previsto in nessun Paese europeo».
Non prevede che la querelle su questo punto riprenderà?
«Mi aspetto che gli oppositori della Ru486 scatenino una guerriglia a tutto campo, ma l´importante è cominciare sulla base di protocolli comuni. La Ru 486 implica una nuova organizzazione perché dopo l´assunzione delle pastiglie non sarà più possibile invocare l´obiezione di coscienza, trattandosi di semplice assistenza. Sarà possibile coinvolgere di più i consultori come già prevede la 194».
Quelli contrari alla Ru sostengono che ci sono effetti collaterali e complicazioni per la salute della donna. Come la pensa?
«La Food and drug administration, l´agenzia farmacologica americana e L´Emea, quella europea, nel 2007 hanno confermato la sicurezza del farmaco. L´Oms, l´organizzazione mondiale della sanità sostiene la stessa tesi. Io che l´ho usata non temo la prova del 9».
La battaglia per la Ru486 con lo sberleffo a Storace le costerà la candidatura in Parlamento nei Radicali?
«Non posso pensare che dipenda da questo».

Repubblica 27.2.08
Blitz all'alba, retata di ultrà "Alleanza con la destra estrema"
Roma, dagli scontri a villa Ada alla guerriglia per Sandri
di Massimo Lugli

Quindici arresti di Ros e Digos: supporter di Roma e Lazio "uniti dall´odio"
Tra i fermati alcuni militanti di Forza nuova. Uno degli indagati sfugge alla cattura

ROMA - Innamorati della violenza. Scontri allo stadio, agguati in punta di lama, tafferugli, aggressioni agli stranieri e perfino una spedizione, mai scattata, per partecipare alla guerriglia urbana contro i rifiuti nel napoletano. Un mix esplosivo di tifo estremo e ideologia di estrema destra che si riassume nel "credo dell´ultras": «Alfiere di una bandiera che è inesauribile fonte di ribellione».
Sono sedici le ordinanze di custodia cautelare firmate dal Gip Guglielmo Muntoni ed eseguite ieri mattina all´alba dai carabinieri del Ros e del Reparto operativo e dagli agenti della Digos. Un mix variegato delle frange più violente dei supporters biancocelesti e giallorossi, accomunati dallo stesso, inesauribile, odio per le divise, i romeni, i ragazzi di sinistra. Ultrà del gruppo romanista "Bisl" (acronimo di "Basta Infami Solo Lame") fianco a fianco coi laziali di "In basso a destra" e militanti di "Forza Nuova". Nelle 91 pagine di ordinanza di custodia, sollecitata dai pm Franco Ionta e Pietro Saviotti, il riassunto di tutti gli episodi più violenti degli ultimi mesi a Roma: l´assalto al parco di Villa Ada, il 29 giugno 2007, durante un concerto del gruppo musicale "Banda Bassotti" con spettatori feriti, agenti confusi e fuggi fuggi della folla terrorizzata; la guerriglia urbana che trasformò intere zone della capitale in un inferno di fuoco, sassaiole e fumogeni la sera dell´11 novembre 2007 dopo la morte del DJ Gabriele Sandri, ucciso dalla pallottola di un agente nell´area di servizio Badia del Pino (in manette è finito anche Marco Turchetti, 20 anni, che era al volante della Renault su cui morì "Gabbo"); la trasferta "armata" a Bergamo per Lazio-Atalanta, il 22 settembre, con spranghe, coltelli e machete e che per miracolo non finì in un bagno di sangue; l´incendio di una baracca abitata da nomadi romeni il 9 ottobre scorso; l´occupazione di "Forza Nuova" di un deposito dell´Atac dal 3 al 5 ottobre; i tondini di ferro e i venti coltelli da cucina trovati in una siepe prima di Roma-Real Madrid; accoltellamenti e pestaggi ai tifosi "nemici", minacce a funzionari delle società sportive e a giornalisti e tanto altro ancora. Secondo un rapporto del colonnello Mario Parente, vicecomandante dei Ros, il gruppo aveva «il preciso progetto di affermare il predominio territoriale della zona di piazza Vescovio, comprensiva del parco di Villa Ada, da parte della destra oltranzista». L´aggravante del terrorismo, che era stata respinta dal tribunale del riesame, è stata contestata nuovamente agli accusati degli scontri di novembre.
In carcere sono finiti: Andrea Attilia, 22 anni, detto "Il Bulgaro", Francesco Ceci, 32 anni, "er Nano", Emanuele Conti, di 22, Fabrizio Ferrari, di 23, "er Talpa", Fabrizio Frioni, di 25 "Fabrizietto", Pierluigi Mattei, 33 anni, Matteo Nozzetti, di 25 "Vampiro", Alessandro Petrella, 28 anni, Daniele Pinti, 22 anni "Danielone", Fabio Pompili, 28 anni "Fabione", Roberto Sabuzi, 41 anni, "Il Capitano", Marco Turchetti, 20 anni, "Ovo", Alessio Abballe, 32 anni, Gianluca Colasanti, 23 anni, Furio Natali, 42 anni. Latitante Francesco Massa, 39 anni "er ditta". Obbligo di firma per Federico G. 35 anni, Gianluca T., di 27, Martino F., di 26, Ennio Maria D.F. di 22. Gli altri indagati sono una trentina.

Repubblica 27.2.08
Nelle intercettazioni, durate otto mesi, i progetti eversivi e le strategie d´assalto dei gruppi ultrà
Odio, razzismo e culto della violenza "Voglio sparare in faccia agli sbirri"
di Carlo Bonini

Le indagini iniziate dopo l´assalto ad un concerto in un parco romano
I nomi di battaglia, da "Vampiro" a "lo Sciacallo" e "er Cinese"
Nel mirino nemici vecchi e nuovi: zingari, agenti, "zecche" dei centri sociali

ROMA - Se alla violenza togli un progetto che non hai o non hai mai avuto, resta solo l´odio. Un odio liquido. "Er Talpa" e "Fabbrizzietto", "er Nano" e "Vampiro", "Ovo" e "er Bulgaro", "er Capitano" e "Danielone", "er Ditta", "lo Sciacallo" e "er Cinese" odiavano sette giorni la settimana. Non solo la domenica, quando si ritrovavano in curva o in trasferta con qualche lama, qualche mazza o qualche ascia. Odiavano le "guardie infami", «quegli zingari dei romeni», «i napoletani», «le "zecche" dei centri sociali», «i pennivendoli che si s´azzardeno l´aspettamo sotto le redazioni», il vicino di casa che si era permesso di guardare un cane ringhioso portato a pisciare senza guinzaglio. «Fomentavano i "pischelli"», ragazzini raccattati allo stadio per essere spinti come una mandria al pascolo davanti a un deposito dell´Atac da occupare, sul ciglio di una discarica in cui "fare a pizze" con gli sbirri tra cumuli di "monnezza" o ai lugubri anniversari di una Destra neo-nazista (Forza Nuova) di cui indossavano la maschera, replicavano le parole d´ordine, frequentavano i luoghi: piazza Vescovio, "il Presidio" (nel parco di Villa Ada), il pub "Excalibur". E, alla fine, avevano deciso di sporcare di sangue anche le domeniche di festa del rugby.
Per otto mesi (dal giugno del 2007 alla scorsa settimana), tirando con pazienza e metodo il filo di un´aggressione consumata nel parco di villa Ada, il pubblico ministero Pietro Saviotti, la sezione anticrimine del Ros dei carabinieri, la Digos, sono rimasti affacciati su un abisso di collera di cui hanno registrato ogni voce, ogni smottamento, ogni esplosione. L´11 novembre, giorno in cui Gabriele Sandri, "Gabbo", veniva ucciso sull´Autosole, hanno ascoltato gli amici del dj che lo piangevano di fronte alle telecamere, gridando la propria innocenza, pianificarne la vendetta in una notte in cui «Roma brucerà». Ne hanno rubato le voci eccitate durante l´assalto alle caserme.
"I romeni? Je famo strippà er culo"
In principio furono i romeni. Il 30 ottobre 2007, Giovanna Reggiani viene massacrata a Tor di Quinto alle spalle di una baraccopoli. Il suo assassino è un clandestino arrivato da Bucarest. Il 2 novembre, a Torre Gaia, quattro romeni vengono bastonati a sangue nel parcheggio di un centro commerciale da una prima spedizione punitiva. "Er Vampiro" (Alessandro Petrella) ne è ammirato ed eccitato. Ne parla al telefono con Alessio Abballe - «Qualcuno comincia ad accenne le micce» - e con "Er Talpa" (Fabrizio Ferrari): «A ragà, non è che se stamo a parlà. Vedemose e annamo ad assaltà un centro sociale o annamo a pijà i napoletani sull´autostrada o pijamo du´ rumeni (...) Dovemo fa´ na cosa da fa´ strippare il culo e far pensare chi ti governa dall´alto: che è successo? (...) Bisogna creà un focolaio de persone che nun c´entrano un cazzo con la politica e lo stadio. Ragà, questa è una cosa dei cittadini, una cosa sociale, d´appartenenza de una città e de un Paese. Qui, destra e sinistra e ultras da stadio nun c´entrano un cazzo». Chi lo ascolta non sa esattamente dove "er Vampiro" abbia intenzione di colpire. Forse dietro casa sua, nel campo nomadi di via Walter Procaccino, dove già una volta ha tirato una molotov. Sa soltanto che sono cominciate le ricognizioni, che l´assalto sarà in pieno giorno, che "er Vampiro" ne parla in questi termini a Matteo Nozzetti: «Se succede na cosa come a Torre Gaia, nun c´hai più un cazzo de risonanza. Perché sai il mondo come gira. Dopo due settimane te fanno un trafiletto ed è già finita. Famo quarcosa de serio. Pe na volta nella nostra vita deve uscì la perfezione. Je devi mette pepe ar culo. Che quelli pensano: cazzo, ma se questi hanno fatto una cosa del genere, me se presentano sotto al Parlamento e me danno la caccia».
In macchina con "Gabbo"
Dei romeni non se ne fa nulla. Domenica 11 novembre 2007, Gabriele Sandri, "Gabbo", viene ucciso da un colpo di pistola esploso sull´A1 da un agente della stradale che risucchia ogni goccia di odio disponibile, convogliandola altrove. Sulla macchina in cui viaggia Sandri ci sono "Ovo" (Marco Turchetti), "Maverick" (Francesco Giacca), "er Messicano" (Federico Negri), "Simone" (Simone Putzulu), il pantheon di "In Basso a destra" e degli "Irriducibili", le sigle che ospitano i mazzieri della curva nord laziale. Ad Arezzo, Turchetti "Ovo" - un tipo che in questura hanno già fermato una volta su un furgone carico di martelli, coltelli e spranghe - piange l´amico morto e mobilita la risposta. "Er Nano" (Francesco Ceci) sale su una macchina per raggiungere Arezzo, ma intanto dà disposizioni a chi resta. "Er Nano" è un leader riconosciuto e temuto. E´ pappa e ciccia con Fabrizio Ferrari, "er Talpa", romanista dei "Bisl" (basta Infami solo lame"), un tipo che l´ultima coltellata l´ha data il 18 febbraio, prima di Roma-Real Madrid. "Er Nano" dà ordini a uno come Fabrizio Toffolo (capo storico degli "Irriducibili" che alterna il suo tempo tra galera e domiciliari) e, neppure due mesi prima, se l´è promessa al telefono con un tale "Carlo", ultras napoletano, convenendo che «alla prossima, i machete dei laziali» si incroceranno con «le mannaie dei napoletani». "Er Nano" parla col "Bulgaro" (Andrea Attilia), che di Gabbo è amico fraterno, perché senta i romanisti. Perché si mobilitino "er Vampiro" e "quel matto di Pierluigi", Pierluigi Mattei, capobastone laziale di "In Basso a destra". Il "Vampiro" ha problemi. Gli è morta la nonna nella notte, ma mentre in casa si piange, lui si aggiusta per la serata: «Vojo brucià tutto. Stasera vojo brucià tutto». Pierluigi Mattei impazzisce. Alla madre che lo chiama mentre sta andando allo stadio, grida: «A Ma´, lasciame perde... Che devo fa, eh? Sarebbe da sparaje in faccia alle guardie. Che te credi che non m´andrebbe de ammazzalla na guardia? C´hanno paura degli scontri sti coniji delle guardie. Devono avè paura». Alla fidanzata, racconta che ha brandito un coltello tra gli occhi a un autista dell´Atac che rompeva e come ha conciato il vicino, che ha incontrato mentre portava a pisciare il cane: «Jo detto: A brutta faccia de cazzo. Che c´hai da guardà? Lo vedi sto guinzajo? Te lo metto ar collo e t´ammazzo. Nun me devi rompe li cojoni. Quando passo abbassa lo sguardo». Con la fidanzata si vanta di aver commesso due omicidi (polizia e carabinieri non sono ancora riusciti a verificare se millanti o meno): «De rumeni n´ho mandati due al creatore e ne ho feriti gravemente altri due. Perciò, se vengono da me trovano la morte». E quando la fidanzata gli chiede cosa farebbe lui a due rumeni se li vedesse fare a lei quel che lei gli ha visto fare ad un´estranea (palpeggiarla), dice: «Io c´avevo la macchinetta che dà le scosse. Ma quelle merde della polizia me l´hanno tolta. Perciò ne ammazzerei dieci».
Sporchiamo il rugby
Com´è andata la notte dell´11 novembre è noto. Ma avevano deciso che all´odio non dovesse rimanere estranea la festa del rugby. Già il 13 ottobre del 2007, "Er Nano" si informa sull´arrivo dei tifosi del Livorno Rugby, impegnati in una partita con la "Futura Park". «Mo´ fomento un po´ de gente. Famme sapè l´orario». Poi, il 10 febbraio scorso, allo stadio Flaminio, si gioca Italia-Inghilterra, partita del sei Nazioni. Fuori dallo stadio, la polizia ferma Simone De Castro, cugino di Gabriele Sandri. E´ un diffidato. Non può avvicinarsi a nessun impianto sportivo del Paese. E si accompagna a un altro diffidato, Ruggero Isca. Vengono alle mani con la Polizia e il gruppo che è con loro se la squaglia. "Er Talpa" annuncia a Isca la vendetta per i conigli: «Hanno toccato mio fratello. Stavolta li ammazzo. Li faccio inginocchiare, Ruggiero».

Repubblica 27.2.08
È reato fare gli scongiuri toccandosi i genitali. La Cassazione: "Offende la decenza pubblica"

ROMA - Non è mai stato sintomo di raffinatezza, anzi, è un gesto universalmente catalogato come quelli da non fare in pubblico. Ma in molti non avrebbero mai sospettato che toccarsi gli attributi è un illecito penale. Sì, grattarsi i genitali in pubblico è reato. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Corte di Cassazione, ritenendo il gesto «un atto contrario al decoro e alla decenza pubblica». E niente scherzi: vale anche «se il fine del gesto è apotropaico», cioè scaramantico, insomma anche se si tratta di uno scongiuro.
Ne sa qualcosa un operaio quarantaduenne di Como che si è visto condannare a 200 euro di multa e ad altri mille da destinarsi alla cassa ammende. Il comasco, un po´ come fanno istintivamente molti uomini, si diede una pubblica grattata. «Probabilmente finalizzata alla sistemazione della tuta indossata», ha cercato di giustificare l´avvocato difensore. Niente da fare. La "grattatina" è stata bocciata dai Supremi giudici, che l´hanno equiparata a un atto contrario al decoro pubblico.
Nel motivare la sentenza gli "ermellini" spiegano: «Il palpeggiamento dei genitali alla presenza di terze persone è manifestazione di mancanza di costumanza e di educazione in quel complesso concetto di regole comportamentali etico-sociali». In tale concetto di maleducazione, spiegano i giudici da Piazza Cavour, va compresa pure la cosiddetta toccata scaramantica.

Repubblica 27.2.08
G8, la requisitoria del pm
"Bolzaneto inumano giovani trattati come nell'Irlanda anni ‘70"


GENOVA - Nella caserma di Bolzaneto furono inflitti alle persone fermate «almeno quattro» delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte Europea sui diritti dell´uomo chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli anni Settanta, configurano «trattamenti inumani e degradanti». Lo ha rilevato in aula il pm Patrizia Petruzziello che insieme al collega Vittorio Ranieri Miniati sostiene l´accusa nel processo per le violenze nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001 a Genova. Sui comportamenti vessatori subiti dagli arrestati costretti a stare in piedi per ore, picchiati, presi in giro, privati di cibo e acqua, il pm nella sua requisitoria ha citato la convenzione Onu che vieta sia la tortura sia il trattamento inumano, crudele o degradante. Si tratta di una norma contro la tortura che, ha spiegato il magistrato, l´Italia ha ratificato nel 1989 ma non ha ancora tradotto in una legge penale.

Repubblica 27.2.08
Se il Prozac non serve a nulla
di Enrico Franceschini

Addio Prozac & C. Gli scienziati: "Farmaci inutili"
La ricerca di una università inglese: "Per guarire dalla depressione non c´è bisogno di ricorrere a trattamenti chimici"

Londra. Il prozac non servirebbe a niente, avendo lo stesso effetto di un placebo, ossia di una pillolina che contiene soltanto zucchero: questo afferma un ampio studio condotto in Gran Bretagna da ricercatori dell´università di Hull. Nel Regno Unito la notizia ha avuto l´effetto di una bomba, finendo in prima pagina su tre dei più importanti quotidiani, il Guardian, il Times e l´Independent. "Il Prozac", titola uno prendendo ad esempio uno dei più noti farmaci antidepressivi, "usato da 40 milioni di persone, non funziona".

Sono soprannominate "le pillole della felicità", o perlomeno un antidoto contro l´infelicità: i medicinali prescritti da medici di tutto il mondo a decine di milioni di pazienti che soffrono di depressione. Eppure non servono a niente, avendo lo stesso effetto di un placebo, ossia di una pillolina che contiene soltanto zucchero: questo afferma un ampio studio condotto in Gran Bretagna da ricercatori dell´università di Hull. Nel Regno Unito la notizia ha avuto l´effetto di una bomba, finendo in prima pagina su tre dei più importanti quotidiani, il Guardian, il Times e l´Independent. "Il Prozac", titola uno prendendo ad esempio uno dei più noti farmaci antidepressivi, "usato da 40 milioni di persone, non funziona". Ma le aziende farmaceutiche che dalla vendita di questi prodotti hanno guadagnato miliardi di euro (l´introduzione del Prozac negli Usa risale al 1988), contestano i risultati del rapporto, difendendo il valore curativo dei loro medicinali.
«La differenza tra il miglioramento dei pazienti che prendono un placebo e quelli che assumono antidepressivi non è significativa», afferma nel rapporto il professor Irving Kirsch, direttore del dipartimento di psicologia della Hull University. «Ciò significa che le persone che soffrono di depressione possono migliorare senza bisogno di ricorrere a trattamenti chimici». Kirsch appartiene a un gruppo di specialisti che hanno osservato i risultati di 47 studi in materia, sia noti che inediti, compiuti da studiosi americani e britannici sugli effetti degli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina (Isrs), ovvero sugli effetti dei farmaci più diffusi contro la depressione: la fluoxetina (Prozac), la venlafaxina (Efexor) e la paroxetina (Seroxat). I risultati dell´indagine, pubblicati dalla rivista PloS Medicine, parlano chiaro: tali farmaci non sono più efficaci dei placebo in tutti i casi leggeri di depressione e nella maggior parte dei casi gravi. Nella ristretta categoria dei casi più gravi, sembra che i pazienti sottoposti agli antidepressivi abbiano tratto benefici rispetto a chi prende il placebo, ma non tanto perché gli antidepressivi funzionano, quanto perché probabilmente l´effetto psicologico del placebo ha smesso di agire.
«Pare perciò che non vi siano forti giustificazioni a prescrivere trattamenti antidepressivi, a meno che i trattamenti alternativi non abbiano portato alcun risultato», è la conclusione del professor Kirsch. Ribatte la Eli Lilly, casa produttrice del Prozac: «Estensivi test medici e scientifici hanno dimostrato l´efficacia della fluoxetina come antidepressivo». Le fa eco un portavoce della GlaxoSmithKline, che produce lo Seroxat: «Questa analisi ha studiato solo una parte dei dati disponibili e le sue conclusioni sono in contrasto con l´esperienza clinica». Il Guardian predice tuttavia che il rapporto avrà un impatto sulla prescrizione degli antidepressivi.

Repubblica 27.2.08
Giovanbattista Cassano, psichiatra: "Molto dipende dal paziente"
"Non è vero che sono inefficaci funzionano come la psicoterapia"
di Mario Reggio

«Non c´è dubbio che farmaci come il Prozac ed il Serofax abbiano proprietà antidepressive, ma possono provocare effetti collaterali come impotenza, cefalee, nausee o disturbi intestinali. Molto dipende dalle condizioni fisiche del paziente, dall´intensità e durata della terapia. Esamineremo questa ricerca inglese e terremo sotto controllo gli sviluppi». Così il professor Giovan Battista Cassano, direttore della scuola di specializzazione in psichiatria dell´università di Pisa, commenta lo studio dell´università di Hull.
Considera lo studio attendibile?
«La rivista scientifica che l´ha pubblicata non è al top delle classifiche. Comunque bisogna stare molto attenti perché quando scade il brevetto di un farmaco il prezzo crolla e la politica sanitaria spinge perché vengano prescritti gli "equivalenti" per risparmiare. E ci può essere qualcuno interessato a sminuire l´efficacia di quelli generici».
Per la depressione esiste solo il farmaco?
«È innegabile che siano efficaci trattamenti alternativi e quello farmacologico. La mia équipe ha condotto uno studio dal 2002 al 2008 su 366 pazienti affetti da depressione non grave. Una parte è stata trattata con psicoterapia breve ed interpersonale, un´altra con i farmaci. I risultati sono stati in entrambi i casi soddisfacenti. I trattamenti psicoterapeutici hanno un´efficacia dell´80 per cento dopo 9 mesi e del 55 dopo tre».

l’Unità 27.2.08
Simone de Beauvoir, lo scandalo continua
di Liliana Rampello

RIEDIZIONI Torna il libreria un testo-monumento che scatenò un uragano per aver parlato di libertà d’aborto: Il secondo sesso. In Italia fu pubblicato per la prima volta nel 1961 dalla casa editrice il Saggiatore che oggi lo ripropone

Suscitò le ire dei cattolici e dei marxisti e nel 1956 un editto vaticano lo mise all’indice
Il volume è anche un viaggio fra tante esperienze vissute che parlano diritte al cervello e al cuore femminili

«Considerare il feto come un essere umano è un atteggiamento metafisico» affermava Simone de Beauvoir nel 1974, due anni dopo aver accettato la presidenza dell’associazione femminista francese «Choisir», che lottava per la depenalizzazione dell’aborto, ed essersi autodenunciata al processo di Bobigny fra le 343 salopes, donnacce, che dichiaravano pubblicamente di aver abortito. Anche l’Italia ha visto negli anni migliaia di donne in piazza per la 194, per ottenerla e per difenderla, anche in Italia c’erano donne che non avrebbero voluto una legge, ma piuttosto la depenalizzazione di un reato, con accesso gratuito alle strutture pubbliche di assistenza.
Di nuovo, dopo più di trent’anni? Sembra di ricominciare, ma le cose non tornano mai identiche e oggi l’attacco alla libertà femminile in tutti i suoi aspetti è invasivo, invadente, prepotente. Viene da istituzioni e uomini ormai privi di vera autorità ma grondanti autoritarismo, incapaci di stare al livello di molte parole femminili sensate e pensate, scritte e dette, che molti fanno finta di non conoscere o fraintendono malignamente. Mi sembra di assistere a un misero spettacolo: il grande animale morente, il patriarcato, che dà gli ultimi colpi di coda, violenti e incontrollati. Alcune lo avevano detto anni fa (1996), in un foglio intitolato Sottosopra, il patriarcato è finito, ricordando anche che la donna, secondo Kristeva, «non ha di che ridere quando crolla l’ordine simbolico».
Parto di qui per parlare di un testo importante, Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, che ritorna in libreria nel centenario della nascita della sua autrice e per i cinquant’anni della casa editrice, il Saggiatore, che lo ha fatto conoscere in Italia e lo propone ancora oggi, giustamente, fra i suoi classici. Per questa occasione una nuova introduzione è stata affidata a Julia Kristeva, che in Francia presiede alle celebrazioni in onore dell’autrice, e a me è stata affidata la postfazione, che ho scelto di scrivere come un racconto della ricezione italiana del testo, lasciando parlare le molte protagoniste della nostra storia politica, per capire quanto, come, e se la de Beauvoir avesse inciso nella loro formazione personale e nella loro militanza, in partiti o gruppi. Mi hanno aiutata in molte, con ricordi e riflessioni, e le voglio nominare tutte per dare un’idea della grande maglia di scambi che si possono così leggere come in un palinsensto: Luciana Castellina, Carla Mosca, Miriam Mafai, Marisa Rodano, Margherita Repetto, Rossana Rossanda, Paola Gaiotti de Biase, Luciana Viviani, Letizia Paolozzi, Letizia Bianchi, Daniela Pellegrini, Lia Cigarini, Luisa Boccia, Laura Lepetit, Luisa Muraro, Marisa Forcina, Franca Fossati, Carla Pasquinelli, Mariella Gramaglia, Federica Giardini (ricordo infine, con grande affetto, la disponibilità di Giglia Tedesco, mancata proprio nei giorni in cui scrivevo). Queste voci «vive» mi hanno permesso poi di inserire nell’intarsio altre pensatrici, altri testi, i molti elementi di una discussione appassionante che arriva all’oggi, da Luce Irigaray a Judith Butler.
L’elenco non è inutile, mancano gli uomini, e non a caso o per scelta aprioristica. Fin dal momento della sua uscita in Francia, nel 1949, il libro ha fatto scandalo mentre raggiungeva vere e proprie vette di vendita, e la reazione maschile non si era fatta aspettare, per lo più espressa in ingiurie e sarcasmi di tutti i tipi, virago, nevrotica, repressa, frigida, ninfomane, lesbica, priapica, e per di più misogina. Il libro suscitava le ire dei cattolici e dei marxisti o, quando andava bene, se ne sottolineava la secondarietà dell’autrice rispetto al suo compagno, Sartre. I tre capitoli, «La madre», «Iniziazione sessuale», «La lesbica», pubblicati in anteprima su Les Temps Modernes, avevano scatenato un uragano. Sarebbero bastate le prime 15 pagine dedicate alla madre, a scatenarlo, visto che lì sono condensati i pensieri in difesa della libertà dell’aborto, si nega l’esistenza stessa dell’istinto materno, si considera alienante la funzione materna. In Italia Arnoldo Mondadori compra subito i diritti del libro, ma non lo pubblica... Nel 1956 un editto vaticano lo mette all’indice (intervento persino più comprensibile della misera censura sulla scena di un film), il clima culturale non è favorevole e sarà Alberto Mondadori, una volta fondata nel 1958 la sua casa editrice, il Saggiatore, a pubblicarlo nel 1961, nella collana «Cultura», di fianco a Levi-Strauss e a De Martino, consacrandolo fra i libri di studio. Dopo di che, praticamente, silenzio stampa, dunque avevo ben poco materiale serio per far parlare gli uomini, a parlare mi è sembrato piuttosto il loro silenzio, la loro indifferenza. Né mi pareva interessante seguire le discussioni disciplinari che man mano ovviamente hanno coinvolto gli studi accademici. Ben più importante infatti è un altro dato, ovvero che Il secondo sesso, nonostante la vastità dell’impianto e la sua problematicità filosofica, abbia sempre incontrato un pubblico di donne comuni che lo hanno letto con passione, lo hanno usato per capire e capirsi, se ne sono servite nelle loro lotte private e pubbliche. In questo sicuramente gioca tutta la seconda parte del libro, vero e proprio viaggio tra le esperienze vissute dalle donne, raccontate con limpida e impietosa precisione in una lingua che si piega sulle piccole verità per dire finalmente chi è la donna, per sottrarla a un destino biologico che la inchioda e le nega l’accesso alla storia - la frase più celebre e conosciuta, la più discussa, è «donna non si nasce, lo si diventa» - una lingua che parla diretta al cervello e al cuore femminili. Ovunque nel mondo, a milioni, le donne leggeranno questo testo che si fa capire anche da quelle che non si destreggiano con abilità fra questioni filosofiche quali immanenza e trascendenza. C’è una verità dell’autrice, che si sente a pelle, ovvero che per scrivere questo libro, lei, la grande intellettuale solitaria, ha dovuto chiedersi cosa significa dire: «io sono una donna», e questo, semplicemente questo, «l’andare scoprendo le sue idee man mano», apre il suo libro alla lettura di qualsiasi mente. E alla discussione di quante, negli anni a seguire, prendendo coscienza di sé, a lei si sono riferite, con lei consentendo o mettendola radicalmente in discussione. Per un decennio persino mettendola in soffitta. Eppure Simone de Beauvoir ricompare sempre e sempre con una sua specifica vitalità, in ragione di almeno due mosse, il richiamo continuo ad assumersi la responsabilità del proprio destino e del mondo comune, e la coraggiosa libertà con cui ha spaziato tra tutti i saperi per riattraversarli, decostruirli diremmo oggi, e raccontarli alla luce di uno sguardo differente. Affrontare il suo lavoro diventa allora questione di nuove possibili interpretazioni di un libro-monumento del pensiero del Novecento, di farlo reagire di fronte all’irruzione del pensiero della differenza, di metterlo in tensione radicale con l’idea di parità e uguaglianza, di marcarne i limiti, di metterne in luce le contraddizioni, non dimenticando mai che «la separazione dei sessi non è fondata su alcuna natura, su alcuna essenza», come lei ci ha insegnato. Celebrarla o liquidarla? si chiedeva Maria Serena Palieri sull’Unità dell’8 gennaio, sfogliando per noi i giornali italiani nel giorno del centenario. Poche pagine, voli in superficie, a guardar bene. Una forte tentazione alla liquidazione di una pensatrice e di un testo che evidentemente può ancora fare scandalo. E pensare che anni fa Rosi Braidotti con gioia aveva affermato in proposito che «la transizione dal blasfemo al banale dà la misura del progresso compiuto», e la stessa Simone, molto prima, nella Forza delle cose, aveva rilevato non solo che la verità al suo libro l’avevano conferita le donne, ma che era merito loro se non scandalizzava più. Forse non è così vero, forse è meglio leggere o rileggere Il secondo sesso per capire quanto è davvero scandaloso che qualcuno ancora pensi di poter parlare al posto di una donna.

Corriere della Sera 27.2.08
Cambio al Riformista: Polito torna alla direzione

ROMA (s. riz.) — Sarà uno dei pochi ex senatori che non avranno diritto al vitalizio. Per Antonio Polito, come per gli altri parlamentari eletti nel 2006 per la prima volta, la legislatura non è durata abbastanza per riscattare la pensione. Ma a differenza di altri suoi colleghi, in Parlamento non tornerà. Buon per lui che in questi due anni abbia continuato a versare i contributi all'istituto di previdenza del giornalisti. Categoria nella quale Polito forse rientrerà a pieno titolo: di nuovo alla guida del Riformista, giornale oggi diretto dall'ex editorialista del Corriere Paolo Franchi. Archiviata l'ipotesi di acquisire l'Unità, la famiglia Angelucci sta accarezzando l'idea di rilanciare il quotidiano del quale il senatore eletto nel 2006 con la Margherita è stato fondatore. L'investimento previsto dal piano editoriale che circola da qualche giorno è massiccio, considerando che i re delle cliniche, editori dello stesso Riformista ma anche di Libero, erano pronti a mettere 20 milioni sul piatto per comprare il quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Il progetto prevede la trasformazione del Riformista, giornale ora dedicato soprattutto alle analisi e alle riflessioni dell'area, appunto, «riformista», in un quotidiano d'informazione a 30 pagine full color. Nuovamente affidato, in questa versione, al suo fondatore Polito. Resta una domanda: quale potrebbe essere in tale prospettiva il ruolo di Emanuele Macaluso, tenendo conto che il Movimento per le ragioni del socialismo garantisce al Riformista i contributi pubblici (2 milioni 582 mila euro nel 2005)?

Corriere della Sera 27.2.08
Tendenze A due mesi dalla visita del Papa, una ricerca svela: la Chiesa cattolica rischia l'estinzione
Americani in fuga E gli evangelici sorpassano i cattolici
Un cittadino su quattro cambia fede almeno una volta nella vita
di Alessandra Farkas

L'America delle religioni
Con 60 milioni di fedeli, circa il 25% su una popolazione di 300 milioni di abitanti, il cattolicesimo resta la seconda confessione degli Usa, dopo il protestantesimo, che si attesta al 51% e registra un calo rispetto agli anni 70. A seguire le comunità di mormoni, ebrei, musulmani, altri: il gruppo che ha guadagnato più «convertiti» è quello degli americani che non si identificano con alcuna religione
Le megachiese evangeliche che sposano fede e showbiz abbracciano il 26% degli americani. I cattolici sono al 24 23 settembre 2001: l'ammiraglio Robert Natter con i rappresentanti delle maggiori religioni negli Usa durante la preghiera per l'America, allo Yankee Stadium di New York: pochi giorni prima, l'attacco alle Torri gemelle

NEW YORK — Se non ci fossero gli immigrati dal Centro e Sud America, il cattolicesimo americano rischierebbe l'estinzione. A meno di due mesi dalla visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti, uno studio condotto dal prestigioso Pew Forum on Religion and Public Life sulla base di 35.000 interviste ad americani adulti rivela come, nel corso dell'ultima generazione, la Chiesa cattolica è quella che ha subito il maggior numero di perdite di qualsiasi altra confessione.
L'esodo degli americani dalla fede della loro infanzia, si scopre, è un fenomeno sempre più diffuso. Secondo il Pew Forum il 28% degli americani in età adulta hanno cambiato religione almeno una volta nel corso della loro vita. Una percentuale che sale addirittura al 44% se si considerano i passaggi da una denominazione protestante all'altra. Il gruppo che ha guadagnato più fedeli è, a sorpresa, quello di chi non si identifica con alcuna religione: il 16% del totale, contro il 5-8% degli anni Ottanta.
Ma a pagare maggiormente lo scotto nel melting pot ormai sempre più nomade, interrazziale ed inquieto che è l'America di oggi è soprattutto la Chiesa di Roma, passata dal 31,4% al 23,9%, con un tasso di abbandono del 7,5%. Mentre quasi un americano su tre è stato allevato nella fede cattolica, meno di uno su quattro continua a professarsi tale. «Ciò significa che il 10% degli americani sono ex cattolici», teorizza lo studio. Le perdite sono però compensate dal continuo arrivo di immigrati dal Sud e Centro America, in stragrande maggioranza cattolici. Grazie a loro il cattolicesimo continua ad essere la seconda religione (con 60 milioni di fedeli, circa il 25% degli abitanti) dopo quella protestante (51%), in calo rispetto agli anni Settanta, quando rappresentava circa i due terzi del totale.
Ebrei e musulmani restano una minoranza con, rispettivamente, 1,7% e 0,7%. Il gregge che il Papa si appresta ad incontrare durante la sua trasferta a Washington e New York è sempre più ispanico: circa la metà di tutti i cattolici americani sotto i 30 anni sono latinos. E poiché gli adulti nati cattolici che restano devoti alla Chiesa di Roma sono solo il 68% (contro l'80% di protestanti e il 76% di ebrei), uno dei suoi compiti più pressanti sarà frenare la defezione dei fedeli Usa. Amareggiati dallo scandalo dei preti pedofili e insofferenti di fronte al celibato dei sacerdoti e alle posizioni cattoliche più conservatrici in tema di sessualità e riproduzione rispetto a luterani, metodisti ed episcopali. Ma dalle rilevazioni di Pew anche questi ultimi appaiono in crisi. Le chiese protestanti tradizionali, che nel 1957 raccoglievano circa il 66% dei fedeli, adesso attirano solo il 18% degli americani. A beneficiarne sono le megachiese evangeliche che sposano fede e showbiz e oggi abbracciano il 26,3% della popolazione americana adulta. «L'economia della religione americana è come Wall Street, molto dinamica e molto competitiva», spiega Luis Lugo, direttore del Pew Forum. «Tutti perdono, tutti guadagnano e proprio come in Borsa, nessuno può riposare sugli allori. Chi oggi perde numeri significativi», assicura, «è costretto a darsi da fare se vuole rimanere rilevante».

Corriere della Sera 27.2.08
Nazismo: disabili sterminati
La coscienza tranquilla di un medico assassino
di Antonio Carioti

A volte la crudeltà ha un volto soave. Per esempio quello di un anziano colto, sereno e cordiale, appassionato di musica, ottimo conversatore. Un uomo di cui viene spontaneo dire che «è invecchiato bene». Ma che cela nel suo passato crimini spaventosi. Avere una persona del genere come lontano parente, conoscerlo e imparare ad apprezzarlo, poi scoprirne il volto sinistro: è l'esperienza toccata in sorte all'alsaziana Mireille Horsinga-Renno, che la racconta con tono inorridito e dolente nel libro Una ragionevole strage (Lindau).
L'eccidio riguarda i disabili eliminati in massa, sotto il Terzo Reich, da medici votati alla purificazione della razza. Uno di loro era Georg Renno, che agiva nel castello di Hartheim, in Austria, presso Mauthausen. Qui vennero sterminati oltre 18 mila portatori di handicap, colpevoli solo di essere stati penalizzati da madre natura. E un aspetto impressionante della vicenda è l'assoluta mancanza di rimorsi del protagonista, che sostiene di aver liberato le sue vittime dalle loro sofferenze. D'altronde la coscienza umana è capace delle più stupefacenti contorsioni e i percorsi individuali possono a volte sbalordire. Basti pensare che tra i massimi responsabili del programma T4 per l'eliminazione dei disabili c'era Karl Brandt, medico personale di Adolf Hitler, che da giovane voleva recarsi in Africa per assistere i malati insieme al filantropo Albert Schweitzer nell'ospedale di Lambaréné.
MIREILLE HORSINGA RENNO Una ragionevole strage LINDAU PP. 206, e 15

Corriere della Sera 27.2.08
Saggi La tesi nel libro della «femminilista» Vittoria Haziel
Le religioni non amano le donne
di Marisa Fumagalli

Un'idea per lo slogan del prossimo 8 marzo? «Non da sola».
Fa a pugni, certo, con le anticaglie del femminismo separatista che non c'è più. Ben s'accorda, invece, con il nuovo «femminilismo », sostantivo coniato dalla scrittrice Vittoria Haziel. Sue, infatti, sono le tre parole-manifesto, contenute nell'ultima riga del saggio E dio negò la donna.
Sottotitolo: Come la legge dei padri perseguita da sempre l'universo femminile (Sperling & Kupfer, pp. 154, e 18). Il richiamo alla nuova battaglia di liberazione, che richiede lo sforzo comune dei due sessi, è la missione dichiarata del libro. Che, tuttavia, pone al centro il j'accuse, esplicito e testimoniato da storie vere a tinte forti, contro le violenze di ieri e di oggi, inflitte alle donne di tutto il mondo, nel nome delle tre grandi religioni monoteiste. Ebraismo, cristianesimo, islamismo. Excursus storico, corredato da riflessioni personali e annotazioni che rimandano ad altre analisi, impresse con il tratto deciso di una matita rossoblù. Nel mirino, dunque, ci sono le religioni dei padri. Mai «aggiornate», nonostante tutto. L'autrice, citando testi sacri, encicliche papali, discorsi, dimostra la sua tesi: il razzismo divino consumato ai danni delle donne.
Il fondamentalismo religioso (e non solo quello islamico di cui si parla molto, di questi tempi), che fa rima con maschilismo, umilia e colpisce tutto il genere femminile. Si può ancora sperare, allora? Si può. Il filo rosso che lega il variegato «documentario » (la Haziel è anche regista e sceneggiatrice), percorso da fughe nel sogno, ravvivato da sorprendenti artifici linguistici (si veda la sostituzione della parola dio con io, in alcune frasi), rivela un fine ambizioso: unire ciò che apparentemente è diviso e contrapposto. È questa, infatti, la missione dei «pontefici» (coloro che costruiscono ponti), a cominciare da lei: pacificare i due sessi, attraverso una nuova alleanza che offra dignità piena all'uomo e alla donna. «Non da sola », quindi. Gli uomini nuovi ci sono, basta trovarli, discutere e confrontarsi. In appendice al saggio, ecco l'elenco di gruppi maschili e misti, sparsi sul territorio nazionale e «accomunati dall'obiettivo di cambiare una Storia logora e sterile».
La «femminilista» Vittoria Haziel ha deciso anche di lanciare il nuovo fiore della «ricorrenza »: l'8 marzo, niente mimose. Al loro posto, tanti non-ti-scordar- di-me, simbolo di quel ponte d'amore tra femminile e maschile. Con la proposta di un'iniziativa forte: l'istituzione della «Giornata della memoria» (delle donne) «per ricordare il genocidio e la violenza che nella storia e nel mondo fanno ogni giorno milioni di vittime, più di qualsiasi olocausto».

Corriere della Sera 27.2.08
Il segreto di famiglia del filosofo Hadot
di Nuccio Ordine


Rivelazioni A ottantasei anni l'intellettuale francese svela le ragioni che da giovane lo spinsero a scegliere una carriera da laico
«Nostra madre ci voleva preti: mio fratello si finse morto e sparì, anch'io la delusi per amore di una donna»

«Una filosofia che non si traduce in maniera di vivere diventa un astratto edificio concettuale privo di qualsiasi rapporto con la vita e con l'esperienza umana». Pierre Hadot, uno dei più grandi esperti di filosofia antica, riprende con vigore e passione un tema che l'ha accompagnato nel corso della sua lunga carriera di studioso. A quasi ottantasei anni — coronati da un successo internazionale, da numerosi premi e dal suo insegnamento al Collège de France — Hadot non rinuncia a considerare inseparabili il discorso filosofico e la vita: «Nella filosofia antica si percepisce con chiarezza il fatto che il vero filosofo non è solo colui che parla ma anche colui che agisce. Il discorso filosofico (che si tiene nelle scuole attraverso l'insegnamento) e la vita filosofica (la maniera che maestro e discepolo hanno di comportarsi come cittadini nella loro comunità) costituiscono due poli che debbono interferire tra loro. Quando ciò non avviene è facile capire le critiche di chi sostiene che purtroppo "noi abbiamo professori di filosofia e non filosofi" (Henry David Thoreau) o di chi dice che spesso "la filosofia non si trova nelle classi dove si insegna filosofia" (Charles Péguy)».
Nella bella casa di Limours — al centro della periferia sud di Parigi, dove abitano diversi professori universitari — Pierre Hadot mi accoglie sorridente in un grande studio invaso dai libri. Sulla scrivania campeggiano le bozze del suo prossimo saggio che uscirà in aprile presso il prestigioso editore Albin Michel. Il titolo è un inno alla vita: Non dimenticare di vivere. Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali.
E subito dopo un fugace accenno alla necessità di mettere in luce una tradizione lontana dal famoso
memento mori (ricordati che si muore), lo studioso non nasconde il desiderio di raccontare il suo primo incontro con la filosofia: «Nella mia biografia mia madre ha giocato un ruolo importante. Aveva deciso lei stessa il destino dei miei due fratelli maggiori e il mio: i suoi tre figli dovevano essere preti. Così la mia formazione iniziale, dall'età di dieci anni, avvenne nei seminari di Reims, secondo le regole di un'educazione religiosa. Ma leggevo anche, per interesse personale, autori che poi hanno condizionato il mio pensiero: Montaigne, Bergson, Heidegger e, naturalmente, l'esistenzialismo di Sartre e Camus».
Lentamente, il giovane Hadot percepisce il suo distacco da un mondo chiuso che non permetteva nessun contatto concreto con la realtà esteriore. «Due circostanze, una ideologica e l'altra privata, mi costrinsero a prendere coscienza del mio allontanamento dalla Chiesa. Da una parte, la pubblicazione dell'enciclica
Humani Generis, nel 1950, che prendeva posizione contro l'evoluzionismo dello scienziato-teologo Teilhard de Chardin (e ci sarebbe tanto da dire anche oggi sulle interferenze delle gerarchie ecclesiastiche in questioni relative alla ricerca scientifica!). Dall'altra, una storia d'amore, iniziata nel 1949, che mi legava a colei che sarebbe poi diventata la mia prima moglie. Non me la sentivo più di rinnegare le mie convinzioni legate alla libertà della ricerca filosofica e di costruire una doppia vita, come molti dei miei confratelli facevano, giustificando le loro scelte con il motto luterano
Pecca fortiter et crede fortius, come se il credere con forza potesse cancellare ogni peccato».
Ma dove trovare il coraggio per abbandonare definitivamente la Chiesa? E, soprattutto, quali conseguenze avrebbe avuto questa scelta nei rapporti con la madre? Hadot decide di raccontare per la prima volta, con la discrezione che ogni intimo segreto richiede, una circostanza che finora aveva preferito nascondere. «La forza mi venne dall'esperienza di mio fratello, il secondo, che aveva dieci anni più di me. Per liberarsi dalla Chiesa e per non deludere mia madre, simulò una morte per annegamento. Un po' di tempo dopo, mi venne a trovare la sua compagna e mi disse che mio fratello era vivo e che avrebbe voluto rivedermi. Nessuno seppe la verità, tranne io. Quel gesto estremo in nome della vita mi convinse che anch'io non avevo alternative. Scrissi a mia madre e abbracciai il mio nuovo percorso di studioso».
Per designare l'attività filosofica Hadot, pensando alla filosofia antica e anche ad autori come Foucault o Wittgenstein, usa volentieri la nozione di «esercizio spirituale»: «Io credo che, in un ambito filosofico, l'"esercizio spirituale" possa considerarsi come una pratica volontaria, tutta personale, destinata a provocare una profonda trasformazione dell'individuo, una profonda metamorfosi del sé. Per alcuni filosofi antichi, questa pratica potrebbe essere messa in relazione con il prepararsi ad affrontare le difficoltà della vita: la malattia, la povertà, la mancanza del necessario, la variazione improvvisa della fortuna impongono un esercizio interiore che ci aiuta nella quotidianità e, nello stesso tempo, ci insegna a ragionare e a interiorizzare il sapere. Sulla scia di Paul Rabbov, ho mostrato che gli esercizi spirituali cristiani erano un'eredità della filosofia antica».
Uno dei compiti principali della filosofia per Hadot non è tanto quello di costruire «discorsi nuovi» o «edifici concettuali fine se stessi»: «La filosofia — ci dice — deve soprattutto insegnarci ad andare al di là di noi stessi, a superare il perimetro limitato del nostro io, e a farci prendere coscienza del nostro appartenere alla grande comunità degli esseri umani. Solo così pensiero e azione possono aiutarci a cercare il bene comune, rinunciando a inseguire i piccoli egoismi e le miserie legate al nostro particulare». Questa coscienza permette di vedere con occhi diversi la realtà nella quale siamo immersi. «Si tratta di cercare una vita più razionale che ci consenta di aprirci agli altri e di sentirci parte integrante dell'immensità del mondo. Un processo che non prevede un punto di arrivo. Siamo di fronte a una sfida infinita che, pur non producendo sempre risultati di alto livello, ci aiuta comunque a misurarci con i grandi misteri dell'esistenza».
Ma prima di salutarci, Hadot ci tiene a ricordare che per poter assolvere a questa funzione di «formazione », la filosofia non può essere al servizio del mercato e del profitto. «La morale stoica insegna che il culto del profitto distrugge lentamente l'umanità. La vita filosofica impone invece che ogni uomo sia leale, sia trasparente, sia disinteressato. Socrate era un filosofo non perché insegnava filosofia. Lo era perché la sua maniera di vivere, e poi di morire, hanno testimoniato cosa fosse per lui la vera filosofia». Parole che dovrebbero far riflettere, in una «civiltà» in cui si perde sempre più l'idea di bene comune.

Repubblica Roma 27.2.08
Musica e memorie il ritorno a Valle Giulia dei protagonisti del '68
Nella ricorrenza della battaglia tra studenti e polizia, quelli che allora c'erano tornano nella facoltà di Architettura. Per raccontarla. Tra feste e danze
di Francesca Giuliani


Michele Placido quel giorno era malato, e per un puro caso non si trovò al centro di una delle battaglie più famose della storia di Roma, quella di Valle Giulia. Ma se anche fosse stato in ottima forma, non l´avremmo riconosciuto oggi nelle foto in bianco e nero tra i Ferrara i Mieli, i Fuksas perché in quei giorni che precedettero il maggio più famoso del Novecento, l´attore e regista portava la divisa di poliziotto, ed era appena arrivato dalla provincia di Foggia. Era insomma dall´altra parte della barricata. Ed è questa la storia che racconterà, insieme ai suoi ricordi del clima di quell´anno, dal palco dell´Aula magna della facoltà di Architettura sabato pomeriggio, prima di leggere la poesia famosa di Pasolini e magari accennare anche al film che sta preparando, dedicato proprio al Sessantotto e intitolato, pare, "Cari compagni", con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca ed Elio Germano. Quello con Placido rischia di essere uno dei momenti più emozionanti delle iniziative dedicate dalla Facoltà di Architettura della Sapienza alla rievocazione dell´anno della grande contestazione.
«Tra il monumento al Sessantotto e la sua denigrazione, abbiamo scelto un´altra strada», dice Stefano Catucci, docente di Estetica che, insieme a Giorgio Muratore, Stefania Tuzi e Donatella Scatena, ha lavorato con un gruppo di studenti alle manifestazioni di questi giorni, che proseguiranno fino a metà marzo. Il titolo che le tiene insieme è "68-08. L´immaginazione al futuro" ed ha ricevuto l´aiuto della Regione e della Provincia.
Per la giornata di venerdì l´ospite atteso è (alle 11.30) Paolo Pietrangeli, il cantautore che a Valle Giulia dedicò una delle sue canzoni più famose («Il primo marzo sì me lo rammento/saremo stati 1500/ e caricava già la polizia/ma gli studenti la cacciavan via»). A seguire dalle 15 la diretta di Fahrenheit di Radio Tre con Marino Sinibaldi. Ma è il primo marzo la giornata fatidica in cui il quarantennale ricorre. Sarà un pomeriggio di musica con il trio di Piero Brega, Ambrogio Sparagna, i Têtes de bois, i Circle Games e una delegazione degli Stormy Six gruppo che all´epoca furoreggiava.
Ma le celebrazioni di un episodio che a quanto pare inorgoglisce molto anche gli studenti di oggi, hanno coinvolto moltissime persone depositarie delle memorie di quei giorni. È nata così una mostra fotografica e documentaria che apre nelle aule della Facoltà sempre sabato pomeriggio. "Quelli di Valle Giulia" è il titolo che poi coincide anche con quel che segue: tutte le persone conosciute e non che parteciparono a quei giorni sono state invitate in aula magna, dalle sei di sera, prima di un lungo dj set "vintage". E sono tanti i nomi noti. Paolo Portoghesi, Franco Purini, Marco Bellocchio, Massimiliano Fuksas, Giovanni Berlinguer, Sandro Portelli, Morando Morandini, Giulia Rodano... Microfono aperto ai ricordi, insieme come allora.

La Stampa 27.2.08
Maurizio Pollini
Ragazzi, siate realisti vi serve un'utopia
Il grande musicista racconta il suo '68: "Il genio è rivoluzionario"
intervista di Sandro Cappelletto


In ogni genio deve esserci una componente rivoluzionaria. In Beethoven è evidentissima, come conseguenza dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese e delle speranze straordinarie che esistevano in quel tempo. Di un profondo senso della gioia».
Quanto entusiasmo in queste parole, quanta luce negli occhi; in tutta evidenza, mentre ne parla, il maestro sente dentro di sé la potenza, l'intatta emozione che quella musica gli procura. Speranza e gioia. E adesso? Siamo nel salotto d'ingresso della casa di Maurizio e Marilisa Pollini al centro di Milano, seduti accanto a una scatola di cioccolatini che dimagrisce in fretta. Alla domanda segue uno dei lunghi, vivi silenzi di Pollini, mentre l'idea che si sta formando cerca ancora le parole più adatte.
Quarant'anni dopo il 1968, come fa, come può, un ragazzo che abbia i vent'anni che lei aveva allora, a conservare dentro di sè, a sentire vivi questi sentimenti?
«Oggi i giovani dovrebbero essere molto più informati sulle vicende del recente passato del nostro paese. Esercitare la memoria, capire per poi eventualmente opporsi».
Opporsi a che cosa?
«All'omologazione. Alla conviilZIon che non sia possibile un' organizzazic ne economica diversa da quella in Cl stiamo vivendo. Alla vittoria definit va del culto del denaro e dell'apparer te efficienza capitalista. Alla perdit della fantasia, dell'utopia e dunqu anche della speranza; ma nella stori non vi è nulla di definitivo ed è prerc gativa dei giovani immaginare il carr biamento».
Quale il debito maggiore verso quegli anni?
«La necessità che si avvertiva c pensare in modo autonomo. Di no prendere le certezze dei genitori come verità sicure una volta per tutte, di elaborare una visione autonoma del mondo. Un'attitudine molto legata alle esperienze artistiche di allora. Pur con tutti i riflussi che si sono susseguiti, questo cambio di mentalità è rimasto radicato nella società».
Aveva un suo idolo?
«Bertrand Russell, una figura oggi quasi dimenticata. Ci ha insegnato l libertà del pensiero, in una concezione democratica della società che lo metteva in collisione con l'ideologia marxista. Ha creato il Tribunale Russell contro i crimini di guerra dell'imperialismo americano. Poi, abbiamo purtroppo scoperto l'esistenza di molte altre realtà che avevano questo carattere oppressivo».
Quando è finito, in Italia, lo spirito del '68?
«Con il delitto Moro, nel 1978. Enrico Berlinguer aveva visto giusto con la sua ipotesi del compromesso storico come unica forma di governo possibile in Italia. Un progetto ucciso dallo morte di Moro».
Nel campo della creazione musicale quali sono stati gli esiti più notevoli? «Sono stati molti i compositori italiani, penso naturalmente a Luigi Nono e Luciano Berio, che hanno portato avanti uno straordinario rinnovamento del linguaggio, con libertà rispetto agli scherni accademici, con una mentalità più aperta. Hanno cominciato, come all'estero Boulez e Stockhausen, a creare opere prima impensabili. E il rinnovamento artistico, come sempre succede, ha preceduto quello politico».
I Concerti per lavoratori e studenti, l'urgenza di un pubblico nuovo, diverso. Finitotutto?
«Settembre Musica, a Torino, prosegue una politica più aperta verso il pubblico. Indubbiamente quelle esperienze alla Scala, con Paolo Grassi, Claudio Abbado, il coinvolgimento dei consigli di fabbrica, tanti lavoratori che scoprivano il "grande" teatro, hanno prodotto qualcosa di nuovo, che non poteva però proseguire senza un'adeguata evoluzione. Il rinnovamento poteva essere maggiore».
Milano, 12 dicembre 1969, strage di Piazza Fontana. Era qui?
«Sono corso in Piazza del Duomo, la reazione democratica della folla, la quantità e la determinazione di tutte quelle persone mi hanno fatto sentire che non ci sarebbe stata una svolta autoritaria. Però abbiamo rischiato un colpo di stato fascista, per allineare l'Italia alle dittature dei colonelli greci, di Franco in Spagna, di Salazar in Portogallo».
Questa è la sua città da sempre. Ma non è più quella.
«Milano è cambiata da quando il Partito Socialista ha finito di avere la sua influenza in città, travolto da Mani Pulite. Un'iniziativa ottima, intendiamoci, ma che nei fatti ha creato un vuoto politico riempito da figure e modalità opposte».
Nel '68 il nemico erano il padrone e la sua fabbrica, l'imperialismo, la cultura borghese. Oggi?
«lI vuoto di memoria. Se il livello di vita in Europa continua a essere molto più disteso che in altre parti del mondo, molto è dovuto alle conquiste sociali del dopoguerra, fino agli anni Ottanta. Non c'è abbastanza coscienza di quanto la nostra vita democratica deve allo stato sociale, di quale pericolo rappresenti la precarietà».
È metà pomerigggio, sono passate due ore, il maestro ha voglia di tornare allo studio, di riprendere a suonare: la sua disciplina, da sempre. Accompagna l'ospite alla porta, chiede di rileggere l'intervista «perché queste sono cose importanti». Poi, sulla soglia, prima del congedo: «Sa qual è il vero rischio? Il PIL sarà sempre più alto, ma noi saremo tutti morti!».

il Riformista 27.2.08
Linke. Ma la Germania si butta a sinistra?


Dopo le elezioni ad Amburgo è innegabile che in Germania siamo testimoni di una cesura nel sistema politico, che ha un solo precedente: gli anni 80, quando i Verdi entrarono in campo. Oramai il sistema partitico consiste di cinque forze: Cristiano-democratici (Cdu/Csu), Social-democratici (Spd), Liberali (Fdp), Verdi e appunto La sinistra (Die Linke). Quest'ultima oramai è rappresentata in 10 Länder su 16, di cui 6 all'est e 4 all'ovest. E supera, per numero di deputati sia i Liberali che i Verdi. La conseguenza è tanto semplice quanto grave: le vecchie maggioranze non funzionano più e la Germania si trova di fronte ad una triplice sfida: rischio dell'ingovernabilità, pericolo di stagnazione permanente con le alleanze Cdu/Spd, svolta verso nuove costellazioni politiche.
Gli elettori evidentemente non si fanno scoraggiare dal fatto che su alcune liste si trovano dei comunisti ortodossi. Anche se la stragrande maggioranza dei tedeschi non condivide le posizioni politiche della Linke, il 63%, secondo un recente sondaggio, chiede una normalizzazione del rapporto con questa realtà. Sono risultati notevoli in una Germania tradizionalmente contraria a partiti più a sinistra della Spd.
Quali sono i motivi di questo nuovo atteggiamento? Innanzitutto molti, anche tra coloro che non votano Die Linke, vedono minacciata l'economia di mercato sociale, caratteristica del modello tedesco. E i vari recenti scandali nel mondo economico (frode fiscale con evasione verso il Liechtenstein, corruzione presso Volkswagen, Siemens ecc.) indubbiamente rafforzano la percezione di uno stato squilibrato dal punto di vista sociale guidato da una élite corrotta. Già la politica di Schroeder (la cosiddetta Agenda 2010), centrata sul liberismo economico con sgravi fiscali per le imprese (l'Irpeg è stata ridotta dal 45 al 15%) e per i redditi più alti ha allargato la forbice tra fasce deboli e fasce alte: i redditi dei lavoratori dipendenti nel periodo 1991-2006 sono scesi del 1,5% e il consumo privato tra il 2002 e il 2006 era il più basso dal 1990.
La richiesta di «giustizia sociale» è al secondo posto delle priorità indicate dagli elettori. Die Linke, dunque, non sarà un fenomeno transitorio perché siamo di fronte ad una serie di problemi seri e non risolvibili in poco tempo. Die Linke non è un semplice fenomeno di protesta o di antipolitica. Si tratta anzi di un fattore di mobilitazione politica perché è l'unica forza che riesce a far votare cittadini che non lo avevano mai fatto. Le aspettative di un serbatoio elettorale in grado di superare il 10% sono decisamente fuorvianti, ma un elettorato abbastanza stabile tra il 6 e l'8% sembra garantito.
La Spd ne trae le conseguenze perché senza Die Linke in brevi tempi non sarà in grado di formare maggioranze vincenti. Anche Kurt Beck sembra ormai essersi rassegnato a questa scomoda realtà. Il suo annuncio pochi giorni prima delle elezioni di Amburgo, in cui diceva di prender in considerazione un governo di minoranza in Assia con appoggio esterno da parte della Linke, gli è costato molti meno voti di quanto non temesse. Per questo la Spd lunedì scorso ha cambiato strategia: le sedi regionali ora sono libere di decidere se collaborare con Die Linke laddove non ci sono altre possibilità.

Il Sole 24 ore 27.2.08
In Francia è legge il carcere a vita per i disturbi mentali


E’ stato pubblicato ieri dal Journal Officiel (la Gazzetta Ufficiale francese) il testo della legge che prevede l’invio nei centri di ritenzione di alcuni criminali affetti da disturbi mentali anche al termine della loro pena. Il provvedimento, che ha scatenato polemiche tra i giuristi – vedasi il Sole 24 Ore del 24 febbraio – nella stessa magistratura e a livello politico, non sarà però retroattivo, come avrebbe desiderato il Presidente Sarkozy, dopo la censura della Corte Costituzionale sulla retroattività. Una situazione alla quale difficilmente, nonostante l’incarico conferitole dal Capo dello Stato, la Corte Costituzionale potrà trovare un rimedio, visto l’orientamento espresso dal presidente di quest’ultima, Vincent Lamanda, che ha accettato l’incarico di Sarkozy di una riflessione sulla criminalità recidiva escludendo, però ,di voler aggirare la decisione della Corte Costituzionale.
Il testo, composto di 18 articoli, rappresenta un cambiamento culturale nell’ordinamento giuridico francese poiché fa valere il concetto di prevenzione rispetto a quello di rieducazione. La legge si applica ai criminali ritenuti più pericolosi e affetti da comprovati disturbi mentali che abbiano commesso reati per i quali sono stati condannati dai 15 anni in su. Chi rientra in questa categoria può essere trasferito, dopo il parere di una commissione e se tale richiesta è stata formulata nel corso del processo, dal carcere dove ha scontato la pena ad un centro di ritenzione di sicurezza. Il rilevo dei Saggi rende di fatto applicabile il provvedimento non prima di 15 anni, mentre Sarkozy, per il quale “non si tiene mai abbastanza in conto l’importanza delle vittime” avrebbe voluto una sua immediata applicazione. Criticata dalla sinistra, la legge viene invece approvata dall’80% dei francesi, secondo un sondaggio condotto da Opinion Way per Le Figaro: il 65% degli intervistati è favorevole alla retroattività.

il manifesto 27.2.08
Su salari, lavoro e precarietà Veltroni e l'Arcobaleno hanno gli stessi titoli ma proposte diverse
Pd e Sinistra, programmi opposti
di M. Ba.


Sorpresa. Anche se la notte è nera i gatti non sono tutti uguali. O meglio, anche se i programmi del Pd e della Sinistra arcobaleno affrontano gli stessi problemi - salari più bassi d'Europa, precarietà diffusa, calo della competitività, enorme trasferimento della ricchezza dal lavoro alle rendite - le ricette e le soluzioni che propongono non potrebbero essere più diverse. Stesse domande, risposte opposte.
E' molto diverso, per esempio, promettere mille euro lordi al mese a ogni precario che lavora (Veltroni) o dire che questi mille euro al mese devono andare a un precario tra un lavoro e l'altro sotto forma di salario sociale (come scrivono Maurizio Zipponi e Francesca Ruocco di Rifondazione oggi a pagina 2). La seconda proposta trascina di per sé in alto anche il salario minimo e garantisce un reddito quando non si lavora.
Ieri è stato analizzato il programma del Pd (vedi il manifesto del 26 a pagina 4). Oggi proviamo a mettere a confronto, per quanto possibile, le proposte circolate in questi giorni a sinistra. Anche se il programma arcobaleno sarà definito soltanto oggi in un «verticione» di tutte le segreterie dei quattro partiti convocato alla Sala delle mappe geografiche alla camera le linee guida sono più o meno le stesse degli stati generali di dicembre.
Il metodo. Il programma della Sinistra vuole essere un work in progress. Sarà discusso in assemblee e iniziative pubbliche in tutta Italia sabato e domenica prossima. E' un metodo se non partecipato comunque aperto, nell'intenzione, al confronto di associazioni, sindacati (è stato chiesto un incontro a Cgil, Cisl e Uil) e movimenti.
Salario sociale e salario minimo garantito. Lo stipendio minimo di mille euro promesso dal Pd si può fare nei settori dove non c'è la contrattazione. Ma la Sinistra vuole fare... di più, con una proposta classicamente socialdemocratica come il salario sociale. E' un'idea già sperimentata in Campania e che in Europa a livello nazionale manca solo nel nostro paese e in Grecia. Un salario garantito dallo stato nei momenti in cui non si lavora. Bella idea, ma come finanziarla? Con le multe alle imprese che non rispettano le norme sul lavoro e con la tassazione delle rendite a livello europeo.
Rendite. La Sinistra ripropone la proposta dell'Unione prodiana: diminuzione delle tasse sugli interessi bancari dal 27% al 20% e aumento del prelievo su cedole, dividendi e plusvalenze finanziarie dal 12,5% al 20%, la media europea.
Se otto ore vi sembrano poche. Altra proposta «shock» è il ritorno a un orario di lavoro giornaliero massimo di 8 ore più 2 di straordinario. E' il ritorno all'era pre-Berlusconi, prima che il centrodestra, recependo la normativa europea, abolisse il vincolo all'orario di lavoro. Il Pd invece vuole legare (in sintonia con la Confindustria e una parte del sindacato) i salari alla produttività defiscalizzando gli straordinari. Ma straordinari più convenienti (a carico dello stato) non incentivano ad assumere.
La temutissima scala mobile. Bertinotti ha proposto il recupero annuale dell'inflazione reale, ormai lontanissima da quella programmata dal governo su cui si basano i contratti.E' l'unico punto su cui Sd è tiepida, molto attenta alla sintonia con la Cgil: «C'è una discussione aperta», ammette Titti Di Salvo alla vigilia del «verticione». Sd preferirebbe puntare invece su un aumento nella contrattazione, il controllo delle tariffe e dei prezzi e una fiscalità più equa.
Meno tasse ma non per tutti. Se Veltroni propone dal 2009 un taglio dell'Irpef graduale su tutte le aliquote, la Sinistra propone da subito il passaggio dell'aliquota minima dal 23% al 20%. Oltre alla restituzione del sospiratissimo fiscal drag.
«Faremo proposte concrete per il paese, con le relative coperture e tutti i dettagli, non è un elenco di cose che sarebbe bello avere», spiega Titti Di Salvo. Anche Sd, come tutta la Sinistra, sfida il Pd a emanare dopo la trimestrale di cassa un decreto legge per destinare il «tesoretto» all'aumento delle buste paga dei lavoratori come previsto dalla finanziaria.
Sarà pur vero che Veltroni si sveglia ogni giorno con l'incubo della precarietà. Forse è perché ha candidato come capolista in Lombardia un dirigente di quella Confindustria che nel protocollo sul welfare non ha voluto nemmeno il tetto ai tre anni di precariato. Forse sono i misteri del «ma anche».

il manifesto 27.2.08
Il pugno duro del mite Walter
Dopo De Sena, ora candida l'ex prefetto ed ex Forza Italia Serra. Il Pd e la sicurezza, il programma scritto con le forze dell'ordine
di Daniela Preziosi


Nelle liste del partitone spunta il secondo poliziotto dall'aria bonacciona - il terzo se si conta Antonio Di Pietro - che dovrà guadagnarsi la fiducia dell'elettore democratico. Dopo l'ex vice capo della polizia Luigi De Sena, che correrà come capolista del Pd in Calabria, ieri è arrivato l'annuncio della candidatura di Achille Serra, già parlamentare forzista, già prefetto di Roma e fino a oggi commissario Anticorruzione. Probabilmente si presenterà in Campania. Del resto due giorni fa, al varo del programma del Pd, Serra era intervenuto 'a sorpresa' e aveva dato la sua benedizione al capitolo sicurezza: «Volete estendere il 'patto per la sicurezza' a tutti i capoluoghi di provincia? Benissimo, è proprio quello che penso sia da fare. Del resto il patto per la sicurezza ce lo siamo inventati noi, qui nella capitale», aveva detto con orgoglio l'ex prefetto all'ex sindaco. Lasciando presumere un bel concerto fra i due, forse anche un suo zampino in quel capitolo .
Così il mite Veltroni - che poi tanto mite non dev'essere, ha ragione Massimo D'Alema - rispolvera la sua passionaccia 'securitaria', per dirla alla maniera della Sinistra. Che lo vuole fiero ispiratore del pacchetto sicurezza, quel provvedimento che ha messo quasi in crisi il governo Prodi, prima di essere rovinosamente ritirato. Del resto i cittadini «si sentono più insicuri», dice il programma del Pd. E' una percezione, non un dato oggettivo basato sulle statistiche, che infatti tendono a dire che oggi i cittadini sono più sicuri degli anni addietro. E «far sentire sicuri i cittadini» è uno degli obiettivi del nuovo partito («Abbiamo solamente bisogno di rassicurare gli italiani», ha detto Veltroni davanti ai tremila della costituente). Ecco a cosa servono i poliziotti-candidati, e soprattutto al sud, «quasi un commissariamento», dice il rifondarolo Francesco Caruso.
Veltroni parla alla pancia del paese. E non teme di rincorrere le pulsioni della destra, neanche le più brutte, inconfessabili. Come la castrazione chimica per i pedofili, cosa che il candidato Pd ha fatto nella stessa giornata di ieri, durante la presentazione di un disegno di legge contro chi abusa di minori. Un testo assai più equilibrato, nella presentazione che ne ha fatto la sottosegretaria Marcella Lucidi. Basato su pene certe e più severe, prevenzione e introduzione del reato di adescamento. Norme in parte messe in discussione dalla Sinistra, che ha contestato il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minore a carico di un «soggetto pericoloso»: e come si fa a definire una persona pericolosa, se non ha già commesso reati?, si chiede Maria Luisa Boccia, femminista e senatrice Prc: «Basterà lo sguardo? Una faccia cattiva?».
Ma durante la conferenza stampa il mite Walter è andato parecchio oltre, arrivando appunto fino a non escludere la castrazione chimica. «Se la scienza trovasse forme per disincentivare atti di violenza, non vedo perché non ricorrervi», ha detto. Parole pesanti, difficile sostenere che gli siano sfuggite. Visto che la settimana scorsa affermazioni dello stesso tipo, questa volta più congruamente emesse dal leader di An Gianfranco Fini, hanno suscitato un vespaio. E visto che la castrazione chimica è un grande classico leghista. «Quando cinque anni fa la proposi fui crocefisso e indicato come il più sadico dei sadici», gongola oggi Roberto Calderoli.
A Veltroni non sfugge che gli scienziati siano concordi nel considerarla una misura inefficace, visto che l'uso di farmaci che bloccano l'ormone sessuale maschile non esclude che il soggetto così 'trattato' possa portare nuova violenza con altri mezzi. Né sfugge che il Comitato nazionale di bioetica, già nel 2003, aveva detto no «a trattamenti sanitari obbligatori nei pedofili» ribadendo «il principio dell'intangibilità del corpo umano anche per i condannati».

il manifesto 27.2.08
Laici «ma anche» cattolici, Veltroni mette in riga i Radicali
Il leader del Pd ricuce lo strappo tra teodem e il partito di Emma Bonino. Che accetta di mettere da parte i temi etici e scarica il ginecologo Silvio Viale
di Eleonora Martini


Per dimostrare che anche senza promettersi amore eterno e scambiarsi fedi nuziali «laici e cattolici possono convivere» all'interno del Pd, Walter Veltroni si è trasformato ieri da sensale. Al mattino ha incontrato l'intera famiglia teodem raccolta per l'occasione, e al pomeriggio ha aperto le porte del loft di piazza Sant'Anastasia agli ospiti Radicali. Né agli uni né agli altri deve essere stato necessario ripetere il pensiero espresso a inizio giornata durante la trasmissione radiofonica Radio anch'io: «Questa idea che i laici e i cattolici non possono convivere e che persone che hanno opinioni diverse su temi delicati debbano ognuno farsi un suo partito, è un'idea che ci porta ad un assetto non da Paese moderno - ha detto Veltroni ai microfoni della Rai - Saremmo gli unici con un partito laico e uno cattolico. In tutti i Paesi europei, occidentali, coesistono persone che hanno sensibilità religiose e etiche diverse al'interno di un principio indiscutibile: la laicità dello Stato».
In realtà ai Radicali qualcosa deve aver detto e ripetuto, il leader del Pd. Per esempio che se lui è tanto amato dal mondo cattolico, come rivela qualche sondaggio, è perché ci tiene molto ai «temi come la famiglia, la povertà, la qualità della vita, che sono temi che stanno nel programma». E infatti al termine del meeting a cui hanno partecipato anche Dario Franceschini e Goffredo Bettini, la ministra radicale Emma Bonino ha puntualizzato due o tre cose fondamentali per un buon proseguimento della campagna elettorale. Primo, che la priorità dei Radicali sta «nella preoccupazione dei cittadini per l'attuale situazione economica» e che il loro impegno quindi andrà ai problemi economici, «quelli che interessano i cittadini». Tradotto: per il momento lasciamo da parte i cosiddetti temi etici e il dibattito sulla laicità delle istituzioni. Secondo, che «non ci sono mai stati orientamenti da parte» radicale a candidare il ginecologo Silvio Viale, considerato dai teodem uno degli esponenti di punta del tanto odiato "laicismo d'attacco". Terzo, che l'intesa col Pd va avanti «a tappe ultraravvicinate» e che non c'è «nessuna polemica aperta né con Paola Binetti né con altri».
Nell'ora di incontro con i teodem Binetti, Baio, Bobba e Carra, invece Veltroni è stato molto rassicurante: «Ci ha assicurato - racconta Binetti - che sarà lui il garante del programma e dei valori cattolici in esso contemplati». «Non abbiamo parlato di candidature», giura la senatrice. Né delle new entry cattoliche (unico nome certo è quello di Mauro Ceruti al senato, uno degli artefici del Manifesto dei valori), né del suo caso personale: Binetti stessa non è sicura di vedersi ricandidare al senato anziché alla camera. Il problema al momento è un altro: «L'ingresso dei Radicali - spiega la teodem - ha creato una certa ansia nell'elettorato cattolico» che quindi potrebbe migrare verso altri lidi. Assume perciò una particolare importanza l'assemblea che si terrà oggi a Roma di tutte le associazioni e gli esponenti cattolici del Pd. Alla quale non sarà presente Rosi Bindi (che ieri ha dato manforte a Veltroni nell'innalzare ponti tra Radicali e cattolici): «Non sono stata invitata a parlare e a spiegarmi», ha detto un po' piccata. Ma durante l'incontro promosso dal Circolo Aldo Moro, e curato da Fioroni e Franceschini, l'unico politico che prenderà la parola è Veltroni. «Lui è l'unico che vogliamo che parli - racconta Binetti - ma gli abbiamo chiesto di essere particolarmente chiaro ed esplicito sui temi che stanno a cuore all'elettorato cattolico: politiche fiscali in favore della famiglia, aborto, testamento biologico». Una particolare richiesta è venuta dalla senatrice Baio: un forte «no all'abbandono terapeutico» dei malati terminali.