Senato, Berlusconi ha paura: «Non votate i minori...»
di Giuseppe Vittori
ECCO DI NUOVO il Berlusconi scatenato, quello che non ne vuole sapere di «toni bassi», quello che strepita contro una Rai in mano ai comunisti e teme di perdere al Senato. È nervoso il capo del Pdl, secondo molti osservatori. Aveva cominciato con la
querelle Porta a Porta: «Macché par condicio: è stato un atto violento di Veltroni». È il giudizio berlusconiano sull’annullamento della sua partecipazione al salotto di Vespa: «Il fatto che lui non voglia andare non significa che il leader dell’opposizione non possa andare lui. Lui non vuole rispondere ai giornalisti, chi è che scappa?». Per il Cavaliere si tratta di «una violenza inaccettabile e gli italiani devono sapere che ancora la Rai è in mano alla sinistra che la domina come e quando vuole». Poveretto: «Ho anche tutte le istituzioni contro: il Capo dello Stato lo hanno nominato loro, così come 11 membri della Corte Costituzionale. Ho una sola preoccupazione, un solo incubo: i brogli elettorali».
Per la verità, di incubi ce n’è anche un altro: il voto ai partiti minori, che al Senato potrebbero far vincere il Pd. «Bisogna spiegare a tutti coloro che sono del centrodestra come il voto, soprattutto al Senato, dato ai partiti minori può portare in qualche regione a una vittoria dell’altra parte». Subito si corregge, almeno parzialmente. Parla di «ipotesi non realistiche» come quelle relative a pareggi e grandi coalizioni. «Ho dei dati - ha spiegato - che mi dicono che in Senato ho una vasta maggioranza, si calcola sui 28-30 senatori». Così, mentre il Capo accusa la Rai e trema per il Senato, ed Emilio Fede, direttore del Tg4, attua una sua personalissima par condicio (per Veltroni e il Pd minuti al cronometro, ma alle due di notte), tiene banco il caso Porta a Porta, coinvolgendo tutti i livelli della Rai, dal presidente Petruccioli, al direttore generale Cappon. Petruccioli ha ricostruito, «fino alla pignoleria» - scrive, rispondendo a Mario Landolfi, della Vigilanza - la vicenda. «Qui si tratta di una seconda presenza di Berlusconi non equilibrata da altre presenze e, in particolare, da una seconda presenza di Veltroni». Il succo, insomma, è che «il comitato si è trovato di fronte ad una ipotesi di programmazione per le ultime 10 puntate di Porta a Porta in cui erano previste due presenze di Berlusconi e una di Veltroni, senza che ne venisse fornita alcuna giustificazione». Non è d’accordo, ovviamente, Bruno Vespa. Scrive in una lettera di non condividere che un’assenza volontaria ne determini un’altra: «Ho detto che avrei annullato la trasmissione solo dopo una lettera di Cappon. Questa lettera, molto cortese, ma anche assai esplicita, è arrivata più tardi. Non si può dunque attribuirmi in alcun modo la decisione finale».
Repubblica 28.3.08
Berlusconi lancia l'allarme "Al Senato si può perdere"
di Gianluca Luzi
Il Cavaliere: "A qualcuno piace l´Udc? Gli dia il voto ma solo alla Camera"
ROMA - Ne parla Veltroni, i sondaggi lo confermano e per la prima volta dall´inizio della campagna elettorale Berlusconi evoca esplicitamente il fantasma del pareggio. Anzi, va ancora più in là e in un forum elettorale all´agenzia di stampa Adnkronos ammette che al Senato può anche perdere. «Non mi esercito mai in ipotesi che considero irrealistiche», premette il leader del Pdl riferendosi alla Grande coalizione dopo il voto. «I dati in mio possesso - afferma Berlusconi - dicono che avremo una vasta maggioranza al Senato, di 28-30 senatori». Ma Berlusconi non sembra tanto sicuro che le cose andranno a finire proprio così, o perlomeno non con una vittoria che lo metterebbe in condizione di governare senza problemi. Perché c´è Storace che toglie voti da destra e soprattutto c´è Casini che può erodere il patrimonio di voti del Pdl. Per questo, martella Berlusconi, «dobbiamo spiegare agli elettori del centrodestra come il voto ai partiti minori, soprattutto al Senato, può portare a una vittoria dell´altra parte, è un regalo a Veltroni». Del resto, già ieri mattina incontrando la Confartigianato, Berlusconi aveva avvertito che «bisogna concentrare il voto e non disperderlo: un elettore di centrodestra deve votare il Pdl per consentirgli di ottenere una solida maggioranza. E se a qualcuno piace Casini perché l´è un bel fioeu, allora lo voti alla Camera ma non al Senato». Berlusconi cita l´ultimo sondaggio a sua disposizione che dà al Pdl un vantaggio di 8,6 punti sul Pd: «Noi con la Lega e l´Mpa siamo al 44,6 per cento, mentre il Pd con Di Pietro sta al 36 per cento». Ma l´ipotesi pareggio evidentemente è presente anche al vertice del Pdl tanto che Fini avverte perentorio: «Al Senato non si può disperdere neanche un voto». Casini naturalmente sul «voto utile» come lo intende Berlusconi è di parere opposto così come definisce «bufale che verranno smentite» quelle del voto disgiunto: Udc alla Camera e Pdl al Senato. «Gli elettori italiani non si facciano coinvolgere da una politica che è diventata molto poco seria, e votino per i loro ideali». E in caso di pareggio Casini esclude un accordo con il Pdl: «Non esiste proprio. Le alleanze si fanno prima del voto e non dopo». I sondaggi dicono che tira aria di pareggio. Anche per Veltroni è un´ipotesi realistica e in questo caso - sottolinea il leader del Pd - bisognerà fare le riforme che non sono state fatte prima dello scioglimento delle Camere. «Se alla fine di questa fiera c´è parità, voglio capire come si governa questo Paese. - fa notare Veltroni - Serve una fase costituente e può darsi che saremo costretti ad accelerare i tempi». L´Italia «ha bisogno di una fase costituente che porti a tutte quelle riforme di cui il Paese ha bisogno, soprattutto in un momento in cui la congiuntura economica internazionale è negativa e l´Italia sta attraversando una fase di difficoltà». Il pericolo, per Veltroni, è che il Paese «rischia di non trovare la chiave per accendere la macchina» quindi «serve una stagione riformista, di qualunque segno essa sia, basta che non restiamo nella gelatina o nella marmellata. Senza una stagione riformista rischiamo di entrare in una spirale molto negativa». E se c´è il pareggio? «Qualunque sia il risultato delle elezioni, per me lo scenario non cambia: chi vince anche di un solo voto governa, poi le riforme si fanno insieme».
Corriere della Sera 28.3.08
Il sondaggio In bilico Sardegna, Liguria, Abruzzo, Calabria e Lazio
Sfida Pdl-Pd, in cinque regioni la distanza è del 2%
A livello nazionale il divario è intorno al 6 per cento. Seggi al Senato, decisivo il risultato di Udc e Sinistra
A livello nazionale il divario è intorno al 6 per cento. Seggi al Senato, decisivo il risultato di Udc e Sinistra
Il quadro emerso da diverso tempo appare confermato: la coalizione di centrodestra rimane in vantaggio, con una differenza di circa 6 punti rispetto a quella avversaria. Ma quest'ultima sembra, di recente, secondo alcuni istituti, avere accorciato significativamente le distanze.
Occorre tuttavia sottolineare che questi dati si riferiscono alla competizione per la Camera, ove il computo del premio di maggioranza (oltre che della soglia di accesso del 4%) si effettua considerando l'elettorato nel suo insieme, come fanno, appunto i sondaggi. Diverso è il discorso per il Senato, ove il calcolo avviene a livello delle singole regioni. Anche qui si rileva oggi la prevalenza netta della coalizione di centrodestra, con circa 9 seggi oltre la maggioranza assoluta. Ma il dato può modificarsi anche sostanzialmente. Per almeno due ordini di fattori: a) la distanza ravvicinata tra le coalizioni in alcune regioni. In certi contesti, il risultato appare ragionevolmente scontato. Lombardia, Veneto e Sicilia andranno al Pdl (con Lega e MPA). In Emilia, Toscana e Umbria vincerà il Pd (con l'Idv). In altre regioni, l'esito parrebbe però in qualche misura più contrastato e in alcune (Liguria, Sardegna, Abruzzo, Calabria e Lazio) davvero molto incerto, dato che la distanza tra le due coalizioni risulta assai esigua e oscillante tra l'1-2%.
b) La «lotteria» dell'8%. Il secondo fattore comporta a un risultato imprevedibile in tutte (o quasi) le regioni. Si tratta di quella che D'Alimonte ha denominato in modo assai efficace la «lotteria» dell'8%. Nella gran parte delle regioni, infatti, le due principali forze concorrenti ai partiti maggiori, vale a dire l'Udc e la Sinistra l'Arcobaleno, risultano oggi toccare da vicino — ma non sempre superare — la soglia per accedere alla distribuzione dei posti in Senato. Il raggiungimento dell'8% in una o più regioni comporterebbe un maggior numero di partecipanti alla ripartizione dei seggi e quindi una parziale sottrazione di questi ultimi al Pd o al Pdl. Se, ad esempio, in una data regione debbono essere assegnati in tutto 10 seggi e 6 vanno alla coalizione vincente (Pd o Pdl), i restanti 4 andranno tutti al soccombente (Pd o Pdl) se nessun altro raggiunge l'8%. Andranno invece ripartiti anche con Udc e/o Sin. Arcobaleno se questi riescono a superare la soglia di ammissione. Tutto ciò può modificare, anche in modo sostanziale, gli equilibri e le maggioranze.
Nessuno quindi può dire se il responso delle urne confermerà il quadro oggi rilevato: la volta scorsa, nel 2006, le ultime due settimane videro, grazie alla capacità comunicativa di Berlusconi e agli errori di Prodi, una forte «rimonta» da parte del centrodestra.
Potrà Veltroni «rimontare» in modo analogo? Secondo alcuni, lo sta già facendo. L'ex sindaco di Roma ha dalla sua parte una forte popolarità personale: un recente sondaggio ha visto proprio Veltroni primo nella classifica nella fiducia espressa dagli elettori. Forse anche per questo, il quesito che richiede le previsioni degli stessi elettori sull'esito del voto, mostra, nelle ultime settimane, un accrescersi della quantità di indecisi sul risultato elettorale. Ma non è detto che il leader del Pd sappia o possa sfruttare appieno queste sue potenzialità. Tutto dipenderà da quella minoranza (10%) che deciderà all' ultimo minuto. E' verso costoro - che sceglieranno sulla base dei confronti televisivi e, spesso, dei consigli degli amici - che è diretta in realtà la campagna elettorale dei prossimi giorni.
l’Unità 28.3.08
La sfida degli indecisi: 8 milioni di voti in bilico
di Eduardo Di Blasi
Sondaggio Lorien su chi decide «d’impulso»: a far pendere la bilancia le performance dei leader
NELLA SCORSA tornata elettorale, le previsione fatte sulla platea dei cosiddetti «indecisi», circa 15 milioni di potenziali elettori che alla domanda fatidica dei son-
daggisti sulle intenzioni di voto non rispondono (e che poi andranno a votare in 6, 7, 8 milioni), furono tutte disattese. Nessun istituto di ricerca riuscì a cogliere la crescita di Silvio IV (al tempo candidato per la quarta volta di fila alla Presidenza del Consiglio) anche in questo bacino potenziale.
Oggi uno studio della Lorien Consulting di Antonio Valente, eseguito su un campione mobile di 2000 cittadini strutturati per sesso, età e provincia, ci informa che i due terzi di costoro hanno già quasi definito il proprio orientamento (e devono solo «non essere distratti ed essere rassicurati»), mentre all’altro terzo occorrono ancora elementi per fare una scelta, e voterà d’impulso (la categoria è definita «voto emozionale», o, per l’appunto «di impulso»).
Per raccogliere il voto di queste persone ci si affida alle «ultime promesse elettorali», alle «ultime performance dei partiti o dei loro candidati», al voto «per controdipendenza» (il famoso «votare contro»). In questa fetta ci sarà comunque qualcuno tra costoro che apporrà la propria preferenza a questo o quel partito per «impulso puro», vale a dire una volta dentro la cabina.
I comportamenti elettorali, anche quelli che appaiono come i più razionali, hanno sempre una componente emozionale. Ecco perché gli ultimi appelli al «voto disgiunto» (vale a dire a un voto che premi in alcune regioni i partiti più forti e in quelle dove questi perdono quelli di media stazza, in grado di togliere consenso al partito maggiore) possono fare breccia non solo tra l’elettorato più accorto politicamente (inteso come quello che mira alla vittoria della propria parte), ma anche in quello ancora indeciso. E qui farebbe comodo illustrare il «voto potenziale» espresso da quegli elettori «indecisi» che «sicuramente» o «probabilmente» andranno a votare. Il sondaggio della Lorien Consulting prende in esame anche questa categoria. E afferma, per cominciare, quale sia la «prima scelta».
Ha scelto in prima istanza di votare il Pdl il 35,4% del campione di indecisi. Mentre il 30,3% ha come prima opzione il Pd. Sempre in questa fetta di indecisi, il 18,2% premierebbe l’Idv, il 16,3% l’Udc, il 13,7% la Lega, il 13,4% la Sinistra Arcobaleno, l’8,1% la Desta e il 5,5% il Partito Socialista.
Tra chi ha espresso come prima opzione il Pdl, opterebbe anche per la Lega (29,3%), per la Destra di Storace (20,1%), per l’Udc di Casini (19,6%), e, in parte, anche per il Pd (10,7%).
Di contro, tra chi preferisce in prima battuta il Pd, non dispiacciono nemmeno l’Idv (42,9%), la Sinistra Arcobaleno (22,3%), il Partito Socialista (12,4%), e anche Udc (22,5%).
Tra chi pone come prima scelta Sa, il 52,8% darebbe anche il proprio voto al Pd, il 46,5% all’Idv, il 15,8% ai Socialisti, e, strano a pensarci, il 15,4% anche all’Udc (la possibilità di risposte multiple allarga la torta).
L’elettorato più difficile da conservare, in questa categoria di indecisi, sembra però proprio quello del partito di Casini. Tra gli elettori del centro moderato, infatti, il 43,8% voterebbe anche Berlusconi, il 42,2% darebbe la propria preferenza anche al Pd, il 25,3% all’IdV e il 17,7% alla Lega.
Tra le ultime note dell’analisi, la Sinistra è data stabile (intorno al 7%, «con segnali di saturazione del proprio bacino»), mentre la Destra di Storace, pur potendo pescare su un bacino elettorale ampio, non sembra sganciarsi da 2-3%.
l’Unità 28.3.08
Veltroni: «Se ci fosse il pareggio si acceleri la fase costituente»
di Bruno Miserendino
Veltroni chiude il tour in Sicilia: da mesi ci inseguono
Berlusconi? I leader europei hanno la mia età, non la sua
E SE FOSSE PAREGGIO? Rieccolo il tormentone. La Destra suona le trombe dicendo che il pareggio non ci sarà, ma l’ipotesi, stando ai sondaggi e alla bizzarria della legge elettorale, è sul tappeto più che mai. «Ci si chiede se ci sarà una maggioranza... ». Vel-
troni, sia chiaro, non vuole larghe intese, «chi ha un voto in più governa», ma riforme e governabilità bisogna assicurarle. «Una fase costituente» è indispensabile al paese, dice, e bisognerà pur chiedersi come si governa in una congiuntura così difficile, coi venti di recessione che vengono dagli Usa. Non è la prima volta che ne parla, ma stavolta l’accento batte sulla debolezza dell’Italia. Lo dice all’assemblea di Confagricoltura di Taormina, nella sala che ospiterà tra oggi e domani anche Casini e Berlusconi. Fa un discorso che non cerca applausi, spiega perché il paese rischia brutto se non si fronteggia la situazione e non si accelera sulle riforme.
Il presidente di Confagricoltura evoca l’assemblea costituente e Veltroni dice che quella no, non serve, però una fase costituente per le riforme, quella sì che ce n’è bisogno come il pane, comunque vadano le elezioni: «Può darsi - aggiunge - che saremo costretti ad accelerare i tempi perché se alla fine di questa fiera finirà come dicono i sondaggi con 3-4 voti di differenza, voglio capire come si governa questo paese». All’uscita dall’assemblea di Confagricoltura, vista la curiosità dei cronisti, getta acqua sul fuoco: «Non ho detto niente di nuovo». Come dire, non ci sono larghe intese alle viste, chi vince governa, poi, come ho sempre sostenuto, le riforme di sistema si fanno insieme.
Il problema, fa capire Veltroni, è che se si arrivasse a una situazione simile a quella che ha inguaiato Prodi, non si potrebbe tornare alle elezioni senza mettere mano alle riforme. E nel frattempo ci vorrebbe un governo in grado di fronteggiare l’emergenza economica che sta arrivando. È chiaro che se vincesse la Destra, in ogni caso quella del Pd sarebbe un’opposizione per le riforme, non distruttiva, che si farebbe carico del problema della governabilità. Non è un caso che il riferimento alla fase costituente Veltroni lo fa citando esempi stranieri: «Ci sono Paesi in cui la maggioranza ha pochi voti di scarto, ma c’è un fair play che consente stabilità. E senza stabilità il Paese va a gambe all’aria». Da noi, invece, «se c’è un’epidemia d’influenza rischia di cadere il governo... ». Ecco perché lui darebbe la guida di una Camera all’opposizione, al contrario di Berlusconi che ha già fatto marcia indietro sul punto.
Quello di Veltroni, dunque, è un discorso di metodo. «Noi puntiamo a vincere - dicono al Pd - e ci crediamo perché i sondaggi lo indicano», però bisogna fare i conti con questa legge elettorale. Il leader del Pd non fa sconti a chi non ha voluto le riforme. «La chiave della macchina Italia è sotto i piedi di chi l’ha schiacciata il giorno in cui ci disse no all’ipotesi di un governo per le riforme».
Al Paese, dice, servono «alcuni anni di terapia di innovazione». La situazione economica ricorda tanto la crisi del ’29 «e bisogna tenere alta la guardia». «Serve una stagione riformista, di qualunque segno essa sia...», afferma. Aggiunta, sorridendo: «Più di questo non posso dire, basta che non restiamo nella gelatina».
«Girare la testa verso il futuro», è il leit motiv di Veltroni. Un modo elegante e volutamente soft per dire che dall’altra parte c’è il vecchio. Insiste sull’età del candidato Berlusconi, che non nomina mai, spiegando che in nessun paese del mondo ci si candida per la quinta volta a premier. Spiega che in tutta Europa i leader che contano hanno la sua età, non quella di Berlusconi. E Tremonti si occuperà di economia e Bossi di riforme, proprio come 14 anni fa.«Su ogni cosa che facciamo, subito il giorno dopo, c’è un inseguimento». Come sulle pensioni.
A Messina, terza tappa dopo Siracusa (comizio sotto la pioggia) e Taormina, Veltroni trova un palasport gremito da migliaia di persone e dà la carica, dando appuntamento alla domenica dei gazebo. Al Palasport partono fischi contro Berlusconi e Tremonti ma lui stoppa: «Anche se loro non hanno rispetto per noi, io ce l’ho per loro... ». Anche a Catania teatro stracolmo. Il tour siciliano si conclude a tarda sera, con una videochat notturna in diretta. Veltroni ci crede ancora.
Repubblica 28.3.08
E ora l'operazione voto disgiunto tenta il Pd in più di una regione
di Goffredo De Marchis
ROMA - «Dovete andare bene, mi raccomando». Con un sorrisetto piuttosto chiaro, Pierluigi Bersani ha augurato al leader della Sinistra Arcobaleno Franco Giordano un buon risultato nella sua regione, l´Emilia Romagna. I due si sono incrociati in uno studio televisivo qualche giorno fa e hanno parlato del "voto inutile" che invece può diventare utilissimo, soprattutto per chi insegue. Utile per impedire la vittoria del Popolo delle libertà al Senato, per creare le condizioni di un sostanziale pareggio. Nelle regioni rosse (Toscana, Emilia, Umbria, Marche) lo schieramento di Fausto Bertinotti deve perciò assolutamente superare l´8 per cento necessario a strappare seggi al Senato. Tanto lì il Partito democratico ha già il premio di maggioranza in tasca, dunque bisogna concentrarsi sui voti di minoranza e fare in modo che il resto dei senatori eletti in quell´area vadano a tutti (anche all´Udc di Pier Ferdinando Casini) fuorché a Berlusconi, Fini e Bossi, cioè al Popolo delle libertà.
I sondaggi dicono che una buona affermazione dei centristi e della sinistra è davvero in grado di condizionare l´esito delle elezioni e disegnare una situazione di stallo al Senato. L´ipotesi è stata ripresa da Europa, l´ex quotidiano dalla Margherita che adesso vede l´utilità di un voto disgiunto: Partito democratico alla Camera, naturalmente, e un´eventuale preferenza a Casini o Bertinotti al Senato (ma più Casini di Bertinotti visti i rapporti della Margherita con Rifondazione nell´ultima legislatura). Sono voti sottratti a Veltroni, ma danneggerebbero Berlusconi come se li prendessero i democratici. Il segretario del Pd ha studiato i numeri e le tabelle. Per il momento punta ancora a costruire il consenso intorno al Pd. «È difficile il meccanismo del voto disgiunto...», evita di sbilanciarsi Veltroni.
Ma il "trucco" è possibile. «Se la Lega si fosse presentata da sola o con una lista Bossi in Lombardia e Veneto, il centrodestra avrebbe preso 7 senatori in più», spiega Roberto Calderoli, l´autore della legge che per la seconda volta potrebbe portare all´ingovernabilità di Palazzo Madama. «Ma ascoltate me che sono il massimo esperto di questa norma: il pareggio non ci sarà, vincerà il Pdl. Di 30, 15 o 9 senatori in più non importa. Ma vincerà». Perciò invita sia Veltroni sia il suo alleato Berlusconi «a non fare appelli per il voto disgiunto». Dice Calderoli: «Date alla gente la possibilità di scegliere con chiarezza». Certo, la tentazione rimane. Bertinotti e Casini sognano un ruolo decisivo a Palazzo Madama e quindi per la partita complessiva. Chi è in vantaggio teme il pareggio, chi insegue, come il Partito democratico, ci fa un pensierino. Il Partito democratico per esempio è destinato alla sconfitta in Veneto, ma in quella regione l´Udc oscilla intorno al 7 per cento, a un punto dalla fatidica soglia. Conviene a Veltroni appellarsi al voto disgiunto? Mica tanto. Se Casini resta sotto l´8 (e la Sinistra Arcobaleno in Veneto è molto lontana da quel risultato) i seggi di minoranza può conquistarli tutti Veltroni magari lasciandone uno a Di Pietro. Nel Lazio, che è in bilico, al Pd conviene giocarsela fino in fondo invece di augurare all´Udc il superamento del tetto. Ma in Campania, dove i democratici sembrano avviati alla sconfitta, la possibilità di far superare a Casini l´8 per cento permette di riaprire la partita. E in Puglia può accadere lo stesso. Poi, per paradosso, questo meccanismo consentirebbe in Campania di favorire l´elezione a Ciriaco De Mita che dell´Unione di centro è il capolista, ma questo è un aspetto secondario. Nel ´96 la lista Dini, allora nel centrosinistra, superò lo scoglio del 4 per cento grazie ai voti della Quercia, si disse. Oggi forse non è più così facile controllare i voti. Ma anche i trucchi legati alla legge elettorale fanno parte del gioco.
Corriere della sera 28.3.08
Verso il voto «Se vinco avrò tutte le istituzioni contro, anche il capo dello Stato»
Berlusconi: Senato a rischio E lancia il «voto disgiunto»
«Casini, un bel fioeu. Chi vuole lo scelga, ma solo alla Camera»
di Lorenzo Fuccaro
Affondo sul no di Veltroni a Vespa: violenza inaccettabile, la Rai è ancora in mano alla sinistra
ROMA — «Solo un matto si può prendere la responsabilità di governare di fronte alla situazione in cui la sinistra ha ridotto il Paese». Silvio Berlusconi si dà del folle, in senso metaforico, per avere accettato la nuova sfida. Ma il tono è aspro: «Se vincerò avrò tutte le istituzioni contro: il Capo dello Stato lo hanno nominato loro, il Csm è di là, le Procure di là, nella Corte costituzionale hanno la maggioranza e volevano pure nominare l'ex sindaco di Genova, Giuseppe Pericu ». Evoca poi il cosiddetto voto disgiunto per scongiurare un eventuale pareggio al Senato appellandosi agli elettori dell'Udc, benché in serata si corregga sostenendo che «avremo una vasta maggioranza di 28-30 senatori ». Quella del voto disgiunto resta, comunque, una novità rispetto al leitmotiv del voto utile usato finora, del voto cioè dato solo ai due grandi partiti. Dopo avere ricordato l'importanza che gli elettori del centrodestra diano la preferenza al Pdl per consentirgli di avere una maggioranza stabile, Berlusconi ammette: «Se a qualcuno piace Casini lo voti, magari perché è un bel fioeu... lo voti alla Camera ma non al Senato». Una battuta ironica che ricorda quella usata a suo tempo da Romano Prodi che definì Francesco Rutelli «un bello guaglione».
In ogni caso, il bersaglio di Berlusconi è il capo del Pd che, disertando una serata nel salotto tv di Bruno Vespa, «si sottrae al confronto per la disperazione, è un già visto che fece anche Prodi nel 2006».
Con questo scontro a distanza la campagna elettorale si infiamma. Parlando nel pomeriggio nella sede dell'AdnKronos, il Cavaliere cita un'ultima rilevazione, secondo la quale il Pdl con la Lega e il Mpa è al 44,6% mentre il Pd assieme all'Italia dei valori raggiunge il 36. Ed è questa la chiave per comprendere il gesto dell'ex sindaco di Roma. «La sinistra di Walter Veltroni e Bettini - argomenta l'ex premier irritato per il paragone con Jean-Marie Le Pen fatto per l'appunto da Bettini nell'intervista al Corriere di ieri, segno a suo dire del cambio di strategia nella comunicazione politica con il ritorno all'antiberlusconismo ha la consapevolezza che questi ormai sono i sondaggi e loro sono a un sentimento prossimo alla disperazione perché sono consapevoli dell'eredità che ci lasciano e di come siano ormai cadute tutte le promesse contenute nella fiction di Veltroni».
Davanti all'assemblea di Confartigianato, in mattinata, l'ex premier è molto più duro. La decisione di Veltroni di disertare
Porta a porta, tuona, non significa che debba fare altrettanto il leader dell'opposizione: «Questa è una violenza inaccettabile e gli italiani devono sapere che la Rai è ancora in mano alla sinistra che la domina come e quando vuole». Non solo: «La par condicio non c'entra nulla, c'entra un atto violento da parte di Veltroni che ha detto non voglio andare a rispondere ai giornalisti ». Certo, incalza sarcastico, «lo capisco, poverino. È stanco a salire su e giù dal pullman. Tutti i giorni va a mangiare a sbafo da una famiglia diversa. Capisco che sia stanco. Ma così la Rai si è messa al suo servizio».
l’Unità 28.3.08
Nuovo appello per Ingrid Betancourt: «Sta molto male»
di Marina Mastroluca
Ostaggio delle Farc dal 2003, avrebbe contratto l’epatite B e la leishmaniosi. «Cerchiamo di farle avere delle medicine»
«Le informazioni di cui noi disponiamo, è che si trova in uno stato di salute molto precario, le sue condizioni fisiche e la sua salute si sono deteriorate». Ingrid Betancourt sta male, a dirlo è l’Ombudsman colombiano Volmar Perez, confermando le notizie allarmate diffuse anche da un ex ostaggio, liberato di recente. La ex candidata alle presidenziali della Colombia, rapita nel febbraio del 2003 dalle Farc, sarebbe in pessime condizioni fisiche, affetta da epatite b e leishmaniosi, una malattia della pelle che se non curata può avere un esito fatale. Nei giorni scorsi il Diario de Huila aveva persino parlato della possibilità che fosse morta, dopo che dalla selva erano stati fatti arrivare alcuni cadaveri a San Vicente del Caguan. Ma questa ipotesi è stata smentita. Il governo colombiano smentisce anche le voci sulle precarie condizioni di salute di Ingrid. «Non diamo grande credibilità a queste voci - ha detto Luis Carlos Restrepo, Alto commissario per la pace -. Abbiamo cercato di entrare in contatto con le persone che riportano queste voci, ma non c’è niente di vero, niente di concreto».
L’ultima testimonianza fornita dalle Farc sulle condizioni di Betancourt risale allo scorso dicembre. Nelle immagini Ingrid appariva magrissima, con il volto scavato, pallida e con gli occhi spenti. Anche l’ex ostaggio Luis Eladio Perez ha confermato che la salute della donna è davvero fragile. «Abbiamo potuto verificare che Ingrid è stata curata in centri medici del dipartimento del Guaviare, fra i quali El Retorno», ha spiegato l’Ombudsman alla radio privata colombiana Caracol, spiegando che in base alle informazioni raccolte la situazione di Ingrid «non era molto lontana dalle immagini che conosciamo dei bambini della Somalia», quanto a magrezza e debolezza. Perez ha anche detto che si sta tentando di intervenire per aiutarla. «Cercheremo di farle giungere farmaci per la cura delle malattie tropicali», ha detto, sottolineando che «le Farc dovrebbero capire che è necessario, in base al diritto internazionale umanitario, permettere visite mediche».
Le affermazioni di Perez sono state prese con estrema prudenza dai familiari di Betancourt. Nelle ultime settimane si è parlato di un nuovo piano per la liberazione di Ingrid, dopo l’attacco colombiano su una postazione delle Farc, che ha provocato la morte di un alto dirigente dell’organizzazione e ha interrotto i contatti avviati dal presidente venezuelano Chavez.
Repubblica 28.3.08
G8, parla il superfunzionario Luperi "Diaz, pagina orribile per la polizia"
di Massimo Calandri
GENOVA - «La scuola Diaz è una delle pagine più brutte della storia della polizia. Una notte da dimenticare, una storia orribile. Come quella di Bolzaneto». Giovanni Luperi, 58 anni, attuale capo dell´Aisi, l´agenzia di informazioni e sicurezza interna ex Sisde, ricorda il blitz nell´istituto che durante il G8 ospitava i no-global. Per quella sciagurata irruzione - 93 persone picchiate e imprigionate con prove fasulle - è imputato di falso in atto pubblico, calunnia aggravata, arresto illegale e abuso d´ufficio. Insieme a lui, difeso dall´avvocato Carlo Di Bugno, sono accusati 28 tra funzionari ed agenti. Ieri mattina si è presentato in aula ed ha reso spontanee dichiarazioni. Senza contraddittorio, come gli consente il codice. Per la prima volta uno dei super-poliziotti coinvolti ha parlato pubblicamente dell´operazione del 21 luglio 2001. Si è detto «profondamente addolorato» per tutti quei ragazzi feriti nella scuola. «Sconcertato» per tutti gli arresti. Però ha preso le distanze dai colleghi, sostenendo di aver avuto un ruolo del tutto marginale e non operativo.
La procura invece mostra filmati e testimonianze: sostenendo che in quella "brutta pagina" lei abbia avuto un ruolo da protagonista.
«Io al vertice mi occupavo dei rapporti tra le polizie internazionali. Non di polizia giudiziaria. Quella notte ho accompagnato il prefetto Arnaldo La Barbera, appena arrivato a Genova. Per me il G8 era finito, stavo in disparte: quando è finito tutto mi hanno pure lasciato da solo, senz´auto».
Ero solo un osservatore, dice. Ma in un video la si vede con in mano il sacchetto delle due molotov, la regina delle prove fasulle, che un poliziotto aveva portato dentro l´istituto.
«Il peso di quel sacchetto me lo porto dietro da più di sette anni. Mi sono rimaste appiccicate alle mani, le bottiglie. Sono certo di averle poi consegnate ad una funzionaria che conoscevo. Non so chi me le abbia date. Davvero, non ricordo. Comunque, questo non è importante».
E cosa è importante?
«Domandatelo al vigliacco che ce le ha messe dentro. Io come potevo sapere che fosse tutto falso? Ad un certo punto un agente ha detto di aver ricevuto una coltellata da uno sconosciuto. Perché non avrei dovuto credergli?».
La versione degli imputati è la stessa. Nessuno ha picchiato, nessuno ha perquisito. Nessuno ha visto o fatto niente. Nessun responsabile, insomma. Non è che poi pagheranno solo un paio di agenti dalle mani pesanti?
«Lo ripeto, sono consapevole che sia stata scritta una brutta pagina nella storia della Polizia di Stato. Ma non l´ho scritta io. Io non ci volevo andare, in quella scuola».
Repubblica 28.3.08
La politica e le torture di Bolzaneto
di Stefano Rodotà
Quando a Bruxelles si scriveva la Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, qualcuno osservò che forse non era il caso di fare un riferimento esplicito alla tortura. La prima dichiarazione dei diritti del nuovo millennio, si diceva, doveva guardare al futuro, non attardarsi su anacronismi, certamente nobili, ma che l´Occidente civilizzato si era ormai lasciati alle spalle. Saggiamente si decise di resistere a questa tentazione, e così il divieto, già con forza ribadito dalla Convenzione dell´Onu del 1984, è stato mantenuto nell´articolo 4 della Carta: «Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a trattamenti inumani o degradanti». Si era alla fine del 2000. Di lì a poco sarebbero venuti Guantanamo e Abu Ghraib, le deportazioni verso compiacenti paesi torturatori, i suggerimenti del professor Dershowitz per una tortura "legalizzata" e il veto del presidente Bush contro una sia pur limitata legge antitortura. E Bolzaneto, Italia. L´Occidente ha dovuto di nuovo fare i conti con il suo lato più oscuro, rimosso non cancellato.
In Italia tutti sapevano, o comunque si era di fronte ad una vicenda per la quale davvero l´ignoranza non scusa. Voci diverse si erano levate, le testimonianze si moltiplicavano, ricordo tra le tante la narrazione di un noto giornalista sportivo che, con una straordinaria freddezza di cronista, riferiva lo stato in cui aveva ritrovato suo figlio. Ma i fatti della Diaz e di Bolzaneto venivano progressivamente respinti sullo sfondo, sopraffatti dalle violenze dei black block e dall´uccisione di Carlo Giuliani. Sembrava quasi che le violenze dei manifestanti e la reazione mortale d´un carabiniere appartenessero ad una normalità perversa, ma governata da una sorta d´invincibile fatalità; e descrivessero comunque qualcosa che può accadere quando pulsioni e paure si fanno troppo forti.
Bolzaneto no. Da lì si voleva distogliere lo sguardo. In quelle stanze s´era manifestata all´estremo la "degradazione dell´individuo" tante volte ritenuta inammissibile dalla Corte costituzionale. Ufficialità, perbenismo, cattiva coscienza rifiutavano di specchiarsi nella negazione dell´umano.
Proprio quella negazione è svelata dal tremendo catalogo compilato dai magistrati genovesi, e squadernato davanti all´opinione pubblica dall´iniziativa di questo giornale, dagli implacabili reportage di Giuseppe D´Avanzo. Il silenzio istituzionale è stato rotto, la stampa ha ritrovato la sua funzione di ombudsman diffuso, l´opinione pubblica non può più trincerarsi dietro il "non sapevo". E tuttavia la reazione già appare attutita, inadeguata. Non è venuta un´attenzione corale del sistema dell´informazione: rispetto della regola gelosa per cui non si riprendono le notizie lanciate dagli altri? Non è venuta un´attenzione vera e intensa dall´intero sistema politico: l´eterno gioco delle convenienze, l´eterna vocazione a minimizzare? Sta di fatto che, dopo i fuochi dei primi giorni, è tutto un troncare, sopire… Le norme non ci sono – si dice. Al massimo ci saranno stati comportamenti "devianti" di qualche sconsiderato. E ci si acquieta.
Ma i Paesi davvero civili, le democrazie non ancora perdute dietro riti televisivi insensati reagiscono quando scoprono i loro vuoti, le loro inadeguatezze. S´interrogano sulle ragioni, si mettono in discussione. Proprio il trovarsi nel cuore d´una campagna elettorale avrebbe dovuto favorire il parlar chiaro, gli impegni netti, la sfida alle proprie pigrizie. Perché non dire subito che la prima proposta di legge (o la seconda o la terza, non importa) sarebbe stata proprio quella volta a colmare la vergognosa lacuna dell´assenza di una norma sulla tortura, che rende inadempiente l´Italia non di fronte a un trattato tra i tanti, ma di fronte all´umanità intera? Perché, tra le varie iniziative e commissioni annunciate con fragore di trombe, non ne è stata inclusa una incaricata di preparare proprio quel testo? Perché tra gli impegni bipartisan su temi di grande e comune interesse, che dovrebbero vedere dopo le elezioni gli sforzi congiunti di maggioranza e opposizione, non compare la questione della tortura, l´impegno a rendere finalmente operante in Italia la Convenzione dell´Onu dopo un quarto di secolo di disattenzioni e di ritardi?
Non basta tornare sulla proposta di una commissione parlamentare d´inchiesta. Conosciamo, purtroppo, il degrado di questo strumento: non sono più i tempi della Commissione De Martino sul caso Sindona o della Commissione Anselmi sulla P2. E, comunque, si tratta di qualcosa di là da venire, che può assumere il sapore del rinvio. Mentre già oggi, pur con le lacune della legislazione penale, sono possibili impegni istituzionali e politici, vincolanti almeno per il futuro ministro dell´Interno: ricorso a tutti gli strumenti amministrativi disponibili per emarginare chi è stato protagonista di quelle vicende; pubblica condanna, senza troppi distinguo, nel momento stesso dell´assunzione dell´incarico. Una difesa della polizia in quanto tale può essere intesa come una promessa di copertura, la banalizzazione degli atti di violenza assomiglia ad una sorta di annuncio di una loro inevitabile ripetizione. Che cosa dire di fronte all´affermazione di un ex-ministro della Giustizia che, parlando di persone obbligate tra l´altro a stare in piedi per ore, si sente autorizzato a fare battute di pessimo gusto sui metalmeccanici che sono in questa condizione ogni giorno per otto ore? Ma l´irresponsabilità politica viene da lontano. Ricordo un sottosegretario alla Giustizia, poi transitato nelle schiere garantiste quando le inchieste giudiziarie cominciarono a riguardare il ceto politico, che venne alla Camera dei deputati a parlare di violenze carcerarie sostenendo che, avvertiti di un trasferimento, alcuni detenuti si erano «sporcati il viso con vernice rossa».
Giuliano Amato ha sottolineato che «si è strillato molto più per Guantanamo che non per Genova. Siamo più sensibili ai diritti umani nel mondo che al loro rispetto in casa nostra». Chiediamoci perché, allora. E la risposta va cercata proprio nell´eclissi sempre più totale della cultura dei diritti, sopraffatta da un´enfasi sproporzionata e strumentale sul bisogno di sicurezza. I diritti disturbano, possono essere sospesi, com´è appunto accaduto a Bolzaneto. La fabbrica della paura è divenuta parte integrante della fabbrica del consenso. Basta girare per il centro di Roma, dove si circola senza particolari problemi, invaso da manifesti davvero bipartisan che ossessivamente promettono sicurezza, e solo sicurezza. Quale enorme responsabilità assume in questo modo la politica, creando un clima che induce a ritenere giustificata qualsiasi reazione.
E non si insiste, come sarebbe doveroso, sul fatto che la magistratura, una volta di più, è stata l´unica istituzione capace di vera e civile reazione. Si colgono, anzi, atteggiamenti stizziti, dietro i quali non è difficile scorgere il disagio di chi avverte che l´inchiesta di Genova non rivela soltanto comportamenti inqualificabili, ma mette a nudo i limiti della politica. Si celebrano i giudici lontani, com´è giustamente accaduto quando la Corte Suprema degli Stati Uniti condannò le violazioni dei diritti a Guantanamo. Troppi dimenticano di dire che la vergogna di Genova può cominciare ad essere riscattata solo contrapponendo la civiltà giuridica e la lealtà istituzionale dei magistrati genovesi alla violenza contro l´umano e la legalità consumata a Bolzaneto.
Repubblica 28.3.08
Spagna, la cena del primo europeo
Ad Atapuerca i resti fossili d'un pasto, più di un milione di anni fa
di Elena Dusi
Su "Nature" l´annuncio della scoperta dei paleontologi spagnoli
ROMA - Un milione e duecentomila anni fa, in una grotta profonda venti metri a nord della Spagna, un gruppo di uomini mangiava uccelli e piccoli roditori seduto intorno al fuoco. C´era chi abbozzava un coltello battendo due pietre l´una contro l´altra e chi usava quelle armi primitive per spaccare le ossa lunghe della cacciagione e succhiarne il midollo. La statura di questi uomini non era molto diversa dall´attuale: un metro e settanta circa. E il cervello aveva una capienza ridotta di un terzo rispetto a oggi, anche se è noto che fra dimensioni e intelligenza non necessariamente il legame è diretto.
La mandibola che José Maria Bermudez de Castro e Eudald Carbonell tengono delicatamente fra le dita e osservano - in quella stessa grotta, ma un milione e duecentomila anni più tardi - appartiene al primo uomo vissuto in Europa. O almeno del più antico fra quelli che ci è dato incontrare. Mentre osservano i pochi centimetri del mento, una manciata di denti sparsi fra gli strati di calcare, i resti animali di cui i nostri antenati si erano cibati e i rudimentali coltelli che avevano costruito, i due ricercatori spagnoli rivedono davanti ai loro occhi la scena della "prima cena europea".
Al nostro antenato ritrovato nel sito di Atapuerca, nei pressi di Burgos, Nature ha dedicato ieri la sua copertina. E i paleontologi spagnoli, che da giugno del 2007 (data del ritrovamento) a oggi (fine delle analisi dei reperti e pubblicazione sulla rivista scientifica) avevano cercato di mantenere il segreto con i colleghi-rivali (italiani in primis), possono finalmente esultare. «Di fronte a noi abbiamo il più antico fossile umano d´Europa» dice Bermudez.
Atapuerca, più che un sito archeologico, è una miniera d´oro per antropologi. Su questa collina a mille metri di altezza, tiepida, ventilata e ricca di piccoli animali da cacciare, i nostri antenati dovevano trovarsi proprio bene. A duecento metri dalla grotta di "Sima del Elefante" (quella della "prima cena") nel 1994 era stato ritrovato il secondo uomo più antico d´Europa, che aveva "appena" 800mila anni d´età. E un chilometro più in là nel corso degli anni sono emersi 6mila resti fossili di Homo heidelbergensis, di poco più giovane. «La Sierra de Atapuerca è un complesso di siti straordinari, tanto che è inserito nella lista del patrimonio dell´umanità dell´Unesco» spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo dell´università La Sapienza a Roma. «Per conservarsi così a lungo, i resti umani devono prima fossilizzarsi, e poi un giorno diventare accessibili per i ricercatori. Davanti a questo colpo grosso degli spagnoli, noi italiani rispondiamo con l´uomo di Ceprano». Ritrovato nel 1994 nel Lazio, questo ominide di 800mila anni non raggiunge l´età degli spagnoli. «Ma è un cranio, non un frammento di mandibola. E quindi ci dà più informazioni sulle caratteristiche dell´umanità di quel periodo e sulla loro possibile evoluzione» spiega Manzi.
Le notizie sul primo europeo spagnolo, al di là delle ossa dei roditori e di un mustelide simile alla lontra consumati per cena, sono infatti ancora frammentarie. A titolo provvisorio, l´antenato di Sima del Elefante, è stato assegnato alla specie Homo antecessor, detto anche "uomo pioniere". Le dimensioni modeste della mandibola farebbero pensare a una donna di 20-30 anni. Ma unendo con un tratto continuo tutti i punti dove sono stati ritrovati ominidi di epoche simili, si riesce forse a ricostruire il percorso dei primi uomini dall´Africa (la culla dell´umanità, dove la nostra storia iniziò circa 4 milioni di anni fa) fino a quest´angolo estremo dell´Europa che gli antenati di Homo sapiens raggiunsero dopo essersi diffusi lungo il medio oriente, l´Italia, la Francia e infine la penisola iberica. In mezzo ci sono i resti dell´uomo di Dmanisi, in Georgia nel Caucaso. Hanno 1,7 milioni di anni e segnano il punto di passaggio del percorso dall´Africa fino all´ultima tappa della Sierra de Atapuerca.
Corriere della Sera 27.3.008
Dialoghi a colori sull’energia
Da Prometeo a Giordano Bruno, fra materia e pensiero
di Ariela Piattelli
Mentre l’Italia si confronta con l’Europa in materia di energie rinnovabili, a Palazzo Valentini due artisti “dialogano”, attraverso le loro opere, proprio sul tema dell’energia e sul rapporto tra arte e scienza. Roberta Pugno e Ján Hoffstädter, lei pittrice italiana, lui scultore slovacco (ex direttore dell’Accademia d’Arte di Bratislava), espongono per la mostra intitolata “Materia Energia Pensiero”. Un percorso che si snoda in tre sale diverse, ognuna di queste dedicata ad un tema. La prima è la “Sala della Materia”, allestita puntando sul gioco di luci e ombre.
Le opere esposte sono un elogio alla concretezza; e mentre Hoffstädter, con la scultura “Il cerchio piegato”, inizia il suo discorso sulla geometria e su come questa aderisca alla realtà, la Pugno ricerca la materia nei personaggi del mito e del passato: due omaggi a Giordano Bruno, “perché - spiega la pittrice – lui è stato il primo ad avere il coraggio di sostenere che la materia ha creato il cosmo”. L’artista, dunque, mette in mostra gli ingrandimenti delle xilografie del filosofo. Poi un ritratto in bassorilievo di Prometeo “anche lui esempio di coraggio - spiega la Pugno - . Ha scoperto il fuoco per regalarlo agli uomini”.
Così si passa alla “Sala dell’Energia”, dove i quadri e le sculture evocano l’energia a lavoro che trasforma le cose, ma anche quella umana che genera la vitalità.
Hoffstädter propone una scultura monumentale, fatta da due elementi, una colonna bianca e un tubo luminoso: è “X e Y”, che rappresenta la donna e l’uomo, due corpi irriducibilmente diversi che si attraggono, immortalati nella loro continua ricerca di comunicazione. E siccome soddisfatti i bisogni materiali bisogna pensare a quelli dell’animo, in questa sala trova spazio anche il “Cupido” della Pugno, un ritratto che evoca l’energia dei sentimenti.
Tra gli altri spunta anche il quadro della pittrice, intitolato “I Mulini”, un omaggio alle rinnovabili e alle energie del pianeta. Dal peso della materia si giunge, dunque, alla leggerezza del pensiero, e mentre la pittrice indaga con un trittico di quadri su come il pensiero si estende nel tempo, dal giorno alla notte (“perché di notte si continua a pensare” sottolinea la Pugno), Hoffstädter le risponde con la metafora della leggerezza richiamando Pegaso, il cavallo alato: una scultura fatta di bronzo e piume rappresenta due ali che si spiegano, raccontando così il desiderio di evasione.
Il Tempo 27.3.08
Palazzo Valentini
La mostra “Materia Energia Pensiero” è in corso a Palazzo Valentini. Si tratta di un incontro di arte e di scienza con la nuova Europa. L’esposizione sarà aperta fino al primo aprile. L’incontro tra arte e scienza sul tema attuale dell’energia ottenuta da fonti rinnovabili, che da dimensione locale si amplia al confronto con altri Paesi Europei, in questo caso con la Slovacchia, è il fulcro della manifestazione ideata da Antonio Di Micco, presidente di Alea – Azienda Latina Energia Ambiente e direttore della Federlazio di Latina, promossa e organizzata insieme a Rosa Cipollone, direttrice del Museo di Palazzo Altieri di Oriolo Romano e Miroslav Musil, direttore dell’Istituto Slovacco a Roma. Il confronto artistico e scientifico con la nuova Europa è vitale oggi più che mai per rafforzare la cooperazione internazionale in un Paese con cui si sta condividendo la fine delle barriere doganali, l’ingresso della moneta unica e una sempre più stretta collaborazione nel campo energetico. L’esposizione si preannuncia assai interessante e riuscirà a intrecciare l’arte con la scienza.
LA SINISTRA L’ARCOBALENO PER LA CULTURA
UNA LETTERA DI FAUSTO BERTINOTTI
Arte, cultura e creatività sono la ricchezza di una società che si rinnova e si trasforma.
Nelle storie e nelle opere degli artisti, nel lavoro di tante e tanti, operatori e tecnici dello spettacolo e della cultura, si raccontano esperienze individuali e mutamenti sociali, emerge la critica del reale e l’aspirazione al cambiamento, si costruiscono la memoria collettiva e l’immagine del futuro.
Oggi la creatività è la ricchezza non riconosciuta di un’economia che del lavoro cognitivo e intellettuale ha fatto un motore di sviluppo. Mai come ora la libera espressione della personalità sembra messa in dubbio dalla mercificazione degli stessi strumenti e delle condizioni che permettono la libera circolazione della conoscenza e della creatività.
La condizione di precarietà che caratterizza tutti gli operatori cognitivi impedisce il riconoscimento di un adeguato statuto sociale degli artisti e gli operatori culturali, ne svilisce la figure e riduce le loro competenze a ingranaggio del circuito di produzione e consumo.
“La sinistra, l’arcobaleno” vuole porsi all’altezza di questi problemi, per immaginare percorsi e proposte in grado di tutelare ciascuna storia creativa in tutti i passaggi, riconoscere lavoro e competenze, anche fuori e oltre la produzione di eventi, per tutelare quella zona grigia di precariato che rappresenta il moderno indotto dell’industria culturale. Vanno attivate nuove forme di reddito e welfare, in grado di intervenire sull’intermittenza di ciascuna espressione del lavoro culturale, per salvaguardare la qualità della vita.
In alternativa a un mercato che impone generi e gusti di consumo di massa e veicola un pensiero unico globalizzato, schiacciando le forme di libera creatività popolare e i patrimoni di sapere e competenza che germogliano ai margini del mainstream, vogliamo confrontarci con il tema dell’accesso libero e democratico al sapere e la cultura. Accesso libero a tecnologie, condivisione dei saperi e della creatività contro l’azione proprietaria, in favore di forme di copyleft e partecipazione; accesso economico a strutture, mezzi e competenze, attraverso cui esprimere liberamente le creatività. Il mondo dell’arte e della cultura hanno bisogno di strutture e risorse, finalizzate alla valorizzazione e l’espansione della creatività.
E’ nostra intenzione, in questa prospettiva, aprire un dialogo fecondo con il mondo della creatività e dei saperi, al fine di intraprendere la lotta per una maggiore estensione di opportunità, diritti e tutele che sappia intrecciare due punti di vista, sinergici e indispensabili: quello sulle condizioni che favoriscano la libera fruibilità, circolazione e realizzazione delle opere e degli eventi culturali e quello che contemporaneamente riconosca e tuteli le condizioni materiali di vita di chi vive ‘nel’ e ‘del’ mondo culturale, perché l’uno non vive senza l’altro.
Il dialogo, per quanto ci riguarda, è appena iniziato, e parte anche dal modo con cui abbiamo deciso di affrontare le questioni aperte, ponendoci in ascolto delle esigenze dei precari della cultura, mostrando nello stesso tempo che si può fare in un altro modo.
Per questo motivo vi invitiamo a partecipare a l’iniziativa pubblica che si svolgerà il 2 aprile 2008 alle ore 17.30 presso le “Officine Marconi” di Roma – spazio, recuperato alla socialità e alla cultura, che vive di partecipazione e libertà – e che vogliamo concludere in una grande festa (dalle 22,00 alle 2,00) con il Dj set degli Asian Dub Foundation.
Un’altra politica, più rispettosa e vicina alle esigenze dell’ambiente e della gente, può essere manifestata anche nelle piccole cose, come il palco fotovoltaico a bassissimo impatto ambientale con cui stiamo affrontando questa campagna elettorale, cominciando a praticare una nuova politica attenta alle reali esigenze del paese e di donne e uomini che ogni giorno vivono la propria quotidianità.
Vi aspettiamo.
Nelle storie e nelle opere degli artisti, nel lavoro di tante e tanti, operatori e tecnici dello spettacolo e della cultura, si raccontano esperienze individuali e mutamenti sociali, emerge la critica del reale e l’aspirazione al cambiamento, si costruiscono la memoria collettiva e l’immagine del futuro.
Oggi la creatività è la ricchezza non riconosciuta di un’economia che del lavoro cognitivo e intellettuale ha fatto un motore di sviluppo. Mai come ora la libera espressione della personalità sembra messa in dubbio dalla mercificazione degli stessi strumenti e delle condizioni che permettono la libera circolazione della conoscenza e della creatività.
La condizione di precarietà che caratterizza tutti gli operatori cognitivi impedisce il riconoscimento di un adeguato statuto sociale degli artisti e gli operatori culturali, ne svilisce la figure e riduce le loro competenze a ingranaggio del circuito di produzione e consumo.
“La sinistra, l’arcobaleno” vuole porsi all’altezza di questi problemi, per immaginare percorsi e proposte in grado di tutelare ciascuna storia creativa in tutti i passaggi, riconoscere lavoro e competenze, anche fuori e oltre la produzione di eventi, per tutelare quella zona grigia di precariato che rappresenta il moderno indotto dell’industria culturale. Vanno attivate nuove forme di reddito e welfare, in grado di intervenire sull’intermittenza di ciascuna espressione del lavoro culturale, per salvaguardare la qualità della vita.
In alternativa a un mercato che impone generi e gusti di consumo di massa e veicola un pensiero unico globalizzato, schiacciando le forme di libera creatività popolare e i patrimoni di sapere e competenza che germogliano ai margini del mainstream, vogliamo confrontarci con il tema dell’accesso libero e democratico al sapere e la cultura. Accesso libero a tecnologie, condivisione dei saperi e della creatività contro l’azione proprietaria, in favore di forme di copyleft e partecipazione; accesso economico a strutture, mezzi e competenze, attraverso cui esprimere liberamente le creatività. Il mondo dell’arte e della cultura hanno bisogno di strutture e risorse, finalizzate alla valorizzazione e l’espansione della creatività.
E’ nostra intenzione, in questa prospettiva, aprire un dialogo fecondo con il mondo della creatività e dei saperi, al fine di intraprendere la lotta per una maggiore estensione di opportunità, diritti e tutele che sappia intrecciare due punti di vista, sinergici e indispensabili: quello sulle condizioni che favoriscano la libera fruibilità, circolazione e realizzazione delle opere e degli eventi culturali e quello che contemporaneamente riconosca e tuteli le condizioni materiali di vita di chi vive ‘nel’ e ‘del’ mondo culturale, perché l’uno non vive senza l’altro.
Il dialogo, per quanto ci riguarda, è appena iniziato, e parte anche dal modo con cui abbiamo deciso di affrontare le questioni aperte, ponendoci in ascolto delle esigenze dei precari della cultura, mostrando nello stesso tempo che si può fare in un altro modo.
Per questo motivo vi invitiamo a partecipare a l’iniziativa pubblica che si svolgerà il 2 aprile 2008 alle ore 17.30 presso le “Officine Marconi” di Roma – spazio, recuperato alla socialità e alla cultura, che vive di partecipazione e libertà – e che vogliamo concludere in una grande festa (dalle 22,00 alle 2,00) con il Dj set degli Asian Dub Foundation.
Un’altra politica, più rispettosa e vicina alle esigenze dell’ambiente e della gente, può essere manifestata anche nelle piccole cose, come il palco fotovoltaico a bassissimo impatto ambientale con cui stiamo affrontando questa campagna elettorale, cominciando a praticare una nuova politica attenta alle reali esigenze del paese e di donne e uomini che ogni giorno vivono la propria quotidianità.
Vi aspettiamo.
Cordialmente,
Fausto Bertinotti
Roma 26 marzo 2008
Fausto Bertinotti
Roma 26 marzo 2008
PROGRAMMA
LA SINISTRA L’ARCOBALENO PER LA CULTURA
1. Investire sulla cultura
La Cultura, risorsa fondamentale per lo sviluppo del Paese, ha per noi un valore in sé, a prescindere dall’utile economico che può produrre.
Uno stato civile investe in cultura: per questo motivo, La Sinistra, l’Arcobaleno propone di portare gli investimenti nella cultura dall’attuale 0.26% circa, almeno all’1% del PIL.
In particolare proponiamo di:
- favorire e sostenere economicamente la produzione indipendente e quindi la pluralità dell’espressione e dell’offerta culturale;
- contrastare con normative antitrust i monopoli nei settori della musica, del cinema, dell’audiovisivo, dell’editoria e rivedere le norme sul diritto d’autore;
- ridurre l’IVA al 4% per tutti i prodotti e le attività culturali;
- prevedere interventi economici e prezzi ridotti per i giovani e le classi più disagiate per concerti, teatri, cinema, mostre, biblioteche, musei, archivi.
Riconoscere il lavoro creativo e artistico in tutte le sue fasi e quindi anche i periodi di elaborazione e creazione come periodi di lavoro e quindi retribuiti. Prevedere forme di retribuzione nei periodi di non lavoro che sono insiti in tali forme di attività. Prevedere ammortizzatori sociali, malattie del lavoro, gravidanza, pensioni. Garantire che il rispetto del contratto nazionale di lavoro è requisito per accedere a qualsiasi forma di finanziamento pubblico.
Proponiamo, inoltre, l’introduzione del reddito sociale per inoccupati, disoccupati ed occupati con contratto di lavoro precario:
- un reddito diretto, fino al raggiungimento di 8.500 euro lordi annui, con la relativa copertura contributiva;
- un reddito indiretto, per un valore di ulteriori 2.500 euro annui, che prevede l’accesso ad un pacchetto ampio di beni e servizi (sanità, trasporto pubblico regionale, agevolazioni sugli affitti e sui mutui per la prima casa, formazione professionale, ingresso gratuito a mostre, concerti, cinema, teatri e impianti sportivi, acquisizione gratuita di libri di testo e supporti audio video).
3. I beni culturali
E’ necessario affermare il valore pubblico del bene culturale in tutte le sue espressioni, finalizzato alla crescita politica, sociale, culturale e democratica dei cittadini. Proponiamo: una conferenza nazionale con il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori di interessi: Stato, Regioni, enti locali, associazionismo; di ridare un ruolo centrale alle Soprintendenze, sempre più emarginate nell’esercizio della tutela
4. Spazio alla cultura e alla socialità
Gli spazi dove viviamo sono importanti, quelli per fare musica, arte e cultura, autogestire il proprio tempo sono dei beni comuni che vogliamo vedere riconosciuti e garantiti.
Vogliamo l’assegnazione di tutti gli immobili di proprietà pubblica ai soggetti occupanti che presentino progetti di valore culturale e sociale.
Serve una riqualificazione delle ex-aree industriali con la ristrutturazione e l'assegnazione delle aree a soggetti associativi attivi per la promozione sociale e l'integrazione fra le culture. Prevedere che una quota degli immobili di proprietà del Ministero della Difesa, passati agli enti locali nella finanziaria 2007, sia destinata a progetti sociali e culturali.
5. Liberare la cultura
Noi proponiamo nuove forme al diritto d'autore e la rivisitazione delle normative attuali in senso libertario per sganciare una fetta consistente delle nuove produzioni culturali dai vincoli mercantili: gli autori che sono favorevoli devono poter aderire a nuove forme di tutele che lascino aperte le strade ad usi sociali dei contenuti come le Creative Commons.
Proponiamo di superare l'attuale sistema di norme sull'editoria che garantisce profitti alle grandi imprese e non incoraggia la sperimentazione di nuove forme, autonome e indipendenti, di comunicazione e informazione
6. Liberare il web
La divisione che attraversa la società della conoscenza è tra chi ha accesso all'informazione e chi ne è escluso. Abbattere queste divisioni è il primo necessario passo verso una democrazia digitale.
Gli informatici che si sono opposti alla brevettabilità dei linguaggi imposta dalla Microsoft, hanno sperimentato e prodotto l'uso condiviso e a volte gratuito, attraverso la logica Open Source.
Noi proponiamo di far migrare i sistemi informatici della Pubblica Amministrazione verso l'Open Source, garantendo un risparmio di oltre 3 miliardi di Euro l'anno, una più efficiente organizzazione e la rinascita di un'industria informatica nazionale.
Proponiamo una corsia privilegiata ai comuni per offrire ai cittadini connettività gratuita, attraverso hot spot nelle strade, nelle piazze e nei parchi della città e ai cittadini servizi gratuiti di accesso attraverso il Wi-Max per tutte le applicazioni a banda larga non a pagamento.
7. La RAI deve essere servizio pubblico
Lo spazio pubblico nella comunicazione non può essere ridotto: la Rai, come grande industria culturale del Paese non deve essere privatizzata ma rimanere pubblica e va ripensata interamente alla luce delle potenzialità delle tecnologie digitali, liberata dai vincoli asfissianti delle lottizzazioni che hanno umiliato e mortificato le professioni, svincolata dal condizionamento del modello commerciale, resa plurale nelle espressioni e nelle voci.
8. Normative antitrust e piano delle frequenze
L’applicazione delle normative antitrust europee ai soggetti privati è necessaria per allargare la capacità di concorrenza e pluralismo aziendale, a partire dal rispetto delle sentenze
Noi vogliamo il governo pubblico delle frequenze per le telecomunicazioni e la radiodiffusione. Serve una normativa che stabilisca un piano delle frequenze radiotelevisive, e che impedisca alla Rai di svendere un patrimonio inestimabile come quello rappresentato da RAI Way, la società degli impianti dell'alta frequenza e una società pubblica alla quale affidare il compito di garantire uno sviluppo omogeneo della rete sul territorio nazionale (eliminando il digital divide per l'accesso) a partire dalle reti dell'ex monopolista pubblico, per evitare il passaggio in mani straniere. E’ necessaria una normativa che incida sulla concentrazione della pubblicità, che oggi impone al nostro Paese la svendita di questa risorsa nel mercato della pubblicità mondiale.
9. Accesso libero alla formazione, ai saperi e alla cultura.
- Una carta di cittadinanza studentesca: attraverso convenzioni e progetti, deve essere garantito agli studenti l’accesso a manifestazioni culturali, teatri, cinema, rappresentazioni artistiche e musicali, come parte fondamentale di una formazione critica e libera. E che garantisca la gratuità dei mezzi di trasporto. Vanno garantiti finanziamenti per spazi autogestiti dagli studenti per l’orientamento, il sostegno scolastico e le attività creative, al fine di stimolarne il protagonismo attivo.
- materiali didattici consultabili e scaricabili gratuitamente nei siti delle università in formato copyleft per arginare i costi sociali delle spese di formazione;
- investimenti straordinari per il comodato d' uso gratuito dei libri di testo