È uno degli interpreti più promettenti della nuova generazione, protagonista per i registi più diversi da Paolo Virzì a Francesco Patierno e Paolo Franchi
Elio Germano: "Recitare non è una gara"
Non penso al mio lavoro come a una gara sportiva, invece vince la competizione, la ricerca del migliore del momento È assurdo
di MARIA PIA FUSCO
Se il talento di un attore si misura dalla varietà dei personaggi, Elio Germano è il più bravo della sua generazione. Romano di Monteverde, 28 anni, interprete di tanto teatro off e di oltre venti film, stupisce ogni volta per la capacità di cambiare fino all´irriconoscibilità, dal giocatore Baldini di "Il mattino ha l´oro in bocca" di Patierno al venditore invasato di "Tutta la vita davanti", al misterioso Luca di "Nessuna qualità agli eroi" di Paolo Franchi, il film di Venezia, dove il giudizio fu falsato dal giro di gossip sulla fugace apparizione di nudo, «un nudo necessario alla vicenda e tutt´altro che scandaloso», dice lui.
"Nessuna qualità agli eroi" è il film che più gli sta a cuore «perché è stata un´esperienza personale importante, Paolo ci ha chiesto di fare un percorso personale, vivere un´avventura emotiva anche a costo di mettersi in crisi. È un film, però è stato un concentrarsi su tematiche che riguardano il rapporto con i genitori, con l´autorità, soprattutto con noi stessi, perché è difficile liberarsi dell´autorità paterna, è un giudice impietoso che resta dentro di noi, non ci fa sentire mai all´altezza».
Vede il suo lavoro come una possibilità di scoperte nuove?
«Il bello di questo lavoro è stupirsi sempre, di se stessi e degli altri. L´attore è innamorato degli esseri umani in tutte le sfaccettature, positive e negative, anche esasperando come nel venditore di Virzì, quasi un cartone animato. Baldini è diverso, è vittima di una dipendenza, distaccato dalle emozioni, senza responsabilità, vive una vita non sua, ma con una leggerezza che è la sua via di salvezza. È degli anni Ottanta, allora si affermò la tendenza a non interrogarsi sul senso di quello che si fa, ma andare avanti, avere di più, comprare prodotti sempre nuovi».
Lei non è così.
«Cerco di non essere così, ma siamo tutti portati ad esserlo almeno in parte, se dovessimo essere rigorosi e fedeli alle nostre idee non dovremmo più lavorare ma scendere in piazza tutti i giorni o andare a mettere le bombe. Ho capito che non si può essere puri fino in fondo, bisogna solo cercare di essere sereni e felici».
Ci riesce?
«Ci provo, ce la metto tutta, anche per rendere sereni e felici gli altri. E ce la metto tutta per cercare di cambiare le cose. Domani potrei avere figli. Non so che padre sarò, ma mi fido di chi mi sta intorno, credo fortemente nella socialità, nella condivisione delle cose, un valore che si sta perdendo, tendiamo ad isolarci. Io ho avuto la fortuna di crescere per strada e quattro mesi all´anno a Duronia, nel Molise, il paese dei miei, tra ragazzi di ogni genere, anche cattivi, forse la mia è l´ultima generazione cresciuta così. Se avessi un figlio, non vorrei che crescesse solo con i genitori o davanti a un televisore».
Esiste solidarietà tra attori della sua generazione?
«Ci si ritrova tra chi ha la stessa passione per lo stesso mestiere, ma è una minoranza. Qualsiasi mestiere dovrebbe essere avvertito come qualcosa al servizio di una comunità, purtroppo la prospettiva è cambiata, il lavoro è visto come mezzo per la riuscita personale, i soldi, il successo. Per la mia categoria è meno pericoloso, mi fa più paura per lavori come i medici, gli insegnanti, chi ha tante responsabilità nei confronti della comunità».
Come reagisce al paragone tra lei e altri, per esempio Scamarcio?
«Lo trovo assurdo perché non penso al mio lavoro come a una gara sportiva, invece vince la competizione, la ricerca del migliore del momento. È assurdo, un attore si confronta sempre con il mistero della riuscita di un progetto, che non dipende solo da lui e soprattutto non è identificabile in termini numerici a meno che non si parli del successo al botteghino. In questo caso Scamarcio stravince. Abbiamo fatto un film insieme e se non ci fosse stato lui non avrebbe incassato così tanto. In termini qualitativi però il giudizio è soggettivo, un attore può piacere ad alcuni ed essere detestato da altri».
Ha amici tra gli attori?
«I miei amici sono quelli del mio paese e del quartiere, quelli con cui sono cresciuto. Loro sono la sicurezza per me che faccio un mestiere in cui l´unica certezza è l´insicurezza».
Lei è anche autore di racconti e musicista con il gruppo Le bestie rare.
«Per i racconti non ho più tempo, ma con il gruppo abbiamo appena finito un disco, Come un animale. Siamo in tre, facciamo un genere tra punk e stornello, più che l´hip hop americano che non ci riguarda. I titoli sono Precario, Signor padrone, Mondiali 90, cose anche molto forti. Per me è un modo di dire cose che non posso come attore. Abbiamo sempre venduto i dischi ai concerti, ora il dramma è che vorremmo un distributore ma chi è disposto vorrebbe lanciare il gruppo di Elio Germano. Non è giusto, Le bestie rare esistono da dieci anni, prima che io conoscessi un po´ di popolarità. Magari lancio un appello».
La Republica, lunedì 31 marzo 2008
L’antiberlusconismo è finito, parola di Silvio a Newsweek:
Il leader del Pd smentisce il settimanale americano "Newsweek"
per il quale solo un governo in comune salverebbe l'Italia
Veltroni: "Niente larghe intese
se perdo, resto segretario del Pd"
"Nessun inciucio, chi vince governa. Poi, insieme, le riforme"
Bonaiuti (Pdl): "Abbiamo la vittoria in mano, il resto è disinformazione"
- "Nessun inciucio, niente larghe intese, chi vince governa. Poi, le riforme istituzionali si fanno insieme". Acclamato dai suoi sostenitori, Walter Veltroni visita un gazebo, uno dei tanti allestiti in tutta Italia per il Democratic Day, e smentisce le affermazioni di Newsweek. Ovvero che per l'Italia l'unica speranza di "salvarsi" sarebbe un governo in comune Pdl-Pd. "Veltrusconi", titola il settimanale americano, che piazza in copertina un volto realizzato con le facce dei due candidati, entrambi intervistati.
Ma "chi vince, governa, niente intese né coalizioni" lo dice pure Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, aggiungendo: "Il Pdl è saldamente in testa a Camera e Senato, tutto il resto è disinformazione di sinistra". E se gli organizzatori del D-Day esultano perché "sono stati contattati 6 milioni di cittadini", un milione di romani invece riceverà presto un dossier con prefazione a firma di Silvio Berlusconi e rassegna dei "disastri" compiuti, a suo giudizio, da Veltroni e Rutelli come sindaci della capitale.
Veltroni: "Niente larghe intese. Partita più che mai aperta". Quello delle larghe intese, insiste il leader del Pd, "è un tema che non esiste". E se, una volta al governo, "le riforme istituzionali si fanno di concerto", questo è tutt'altro da un governo insieme. "Nessun inciucio. Non esiste alcuna grande coalizione". Quanto al risultato del voto, a Veltroni non manca la fiducia. "Una settimana fa avrei detto che la partita è aperta, adesso dico che è più che mai aperta. Sono assolutamente ottimista. Sono loro che parlano di pareggio". Sostiene, anzi, che il risultato al Senato non sarà in bilico e che il Pd possa vincere sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. "Nel Paese c'è la convinzione crescente che si possa veramente cambiare, nonostante una legge elettorale folle. Ci saranno sorprese".
"Se sconfitto non mi farò da parte". Veltroni promette: anche in caso di disfatta elettorale "continuerò ad assolvere l'impegno, preso con tre milioni e mezzo di persone, di fare un grande partito, finché non potrà essere superato da una scadenza analoga". Cioè finchè non ci saranno nuove primarie a eleggere un altro segretario.
"Serve leadership seria e responsabile". Veltroni ribadisce che non risponderà agli insulti o agli attacchi di Berlusconi su stalinismo, brogli e simili. Ma al Cavaliere spedisce più di una stoccata: "L'Italia ha bisogno di una leadership europea, responsabile e seria, gente che non faccia le corna nelle foto con i capi di Stato". Quanto ai suoi rapporti con Berlusconi, aggiunge (senza farne esplicitamente il nome): "Mi dà fastidio la doppiezza di certi uomini politici. Il mio principale avversario, durante la discussione sulle riforme, parlava di me come se fossi Giolitti. Ora che c'è la campagna elettorale dice quanto di peggio possibile. I miei sono giudizi politici, mai personali. Questa è quella parte trash della vita politica che io non frequento". Una critica pesante anche sulle parole del Cavaliere sulla Cei. "Diversamente dal mio principale avversario io rispetto quello che pensa la Cei e non mi permetterei mai di affermare che quello che pensa questo o quell'esponente della Cei è riferibile a mie posizioni. Si tratta di un fatto di elementare rispetto e rigore istituzionale".
"D-Day, un successo". Intanto il Pd ha richiamato in piazza il popolo delle primarie per dare "l'ultima spinta", come l'ha definita Veltroni, verso le elezioni. "Da molti anni in Italia non si vedeva una mobilitazione elettorale di tali proporzioni" commenta in serata Ermete Realacci, responsabile comunicazione del partito. Secondo i dati diffusi dal Pd, sono stati contattati più di 6 milioni di cittadini e "reclutati" un milione e duecentomila volontari pronti a impegnarsi nella fase finale della campagna elettorale.
Berlusconi contro Veltroni. "E' un affabulatore, ma il grande spettacolo che sta mettendo in scena è finito" dice il Cavaliere nell'intervista a Newsweek. "Gli italiani hanno capito che in Italia ci sono due sinistre. Che la sinistra significa 67 nuove tasse, una pressione fiscale più alta, frontiere aperte con un crollo della sicurezza, la tragedia dei rifiuti di Napoli e lo stop" ai cantieri "dei lavori pubblici. Questi sono i fatti della sinistra. Poi ci sono le belle parole e le promesse e quella è la sinistra di Veltroni".
"L'antiberlusconismo è finito". "La sinistra ha semplicemente imparato che usare questo approccio era un boomerang - ha detto Berlusconi a Newsweek. Gli italiani mi conoscono per quello che sono e per quello che ho fatto. Dopo cinque anni di governo Berlusconi sanno che non possono pensare a qualcuno più liberale di me. Guardando le televisioni e leggendo i giornali che sono di proprietà della mia famiglia, sanno che non c'è mai stato un attacco contro la sinistra. Vedono che sono l'editore più liberale. Io credo che gli attacchi radicali creino rifiuto; la sinistra ha capito che non è più conveniente continuare così".
Il Cavaliere e i "disastri" di Roma. E' un libro fotografico - 96 pagine - in cinque capitoli, dal titolo "C'era una volta il modello Roma di Rutelli e Veltroni. L'eredità della sinistra". Ed è Berlusconi a scrivere le quattro pagine dell'introduzione. "La sinistra ha costruito una città egoista", si legge, prima di un elenco dei "numeri del fallimento della sinistra" che dimostrerebbero "non il 'modello Roma' ma il 'disastro Roma'". A giorni il volume sarà spedito a un milione di romani.
La Repubblica, 31.03.2008
Il presidente della Federazione Internazionale appare in un video hard
Nudo, legato con le catene ad una panca, chiede pietà mentre viene picchiato
Video sadomaso per il boss della F1
Le torture del nazicomandante Mosley
Giochi pericolosi per Max Mosley. Il presidente della Federazione Internazionale dell'Automobile (Fia) appare in un video sadomaso di cinque ore: gioca a fare il comandante nazista che infligge torture ad alcune donne, vestite con tute a strisce bianche e nere che ricordano molto quelle usate dai detenuti ebrei nei campi di concentramento. Per News of the world è il colpo dell'anno. Mosley è sicuramente uno dei personaggi più potenti dello sport mondiale. E' molto difficile che dopo questa vicenda riesca a conservare la sua carica.
In alcuni estratti del filmato diffuso dal tabloid, Mosley, 67 anni, dà ordini in tedesco a due ragazze e conta le frustate inflitte mentre altre donne, vestite con uniformi che ricordano quelle dell'esercito nazista, osservano in silenzio. Prima di infierire sulle giovani, il numero uno della Fia, si sottopone allo stesso trattamento. Nudo, si fa ispezionare i genitali da una donna-kapò, esaminare i capelli (per vedere se ha i pidocchi), poi, legato con le catene alla panca della tortura, chiede pietà mentre la finta guardia gli frusta il sedere.
Al termine dell'orgia, racconta poi il 'News of the World', le cinque 'escort', festeggiano brindando, mentre Mosley si riveste e ricompone prima di lasciare soddisfatto l'appartamento.
Il boss della Fia è il quarto figlio di sir Oswald Mosley, fondatore del British Union of fascists, una formazione politica di estrema destra che negli anni Trenta fu alleata del partito di Benito Mussolini. Sir Mosley, morto nel 1980, fu anche amico personale di Adolf Hitler e Joseph Goebbels (nella cui casa si celebrarono le sue seconde nozze). Il 23 maggio del 1940 fu arrestato e condannato, insieme alla moglie Diana Mitford, a tre anni di carcere. Max nacque durante il periodo di reclusione della coppia.
67 anni, sposato e con due figli adulti, Mosley viene descritto dal 'News of the World' come un "pervertito sessuale sadomasochista". Sede dell'orgia nazista un lussuoso appartamento nel quartiere londinese di Chelsea, a pochi passi dall'abitazione dell'apparentemente integerrimo presidente della Fia, che in pubblico ha preso le distanze dalle ideologie naziste del padre. Recentemente ha fermamente condannato gli episodi di razzismo in Formula Uno contro il pilota di colore Hamilton.
Non è possibile fare previsioni sul futuro di Mosley, ma la sua permanenza al vertice della Formula 1 appare quantomeno in dubbio. Il presidente della Fa, tanto per fare un esempio, ha gestito tutta la vicenda della spy story Mclaren-Ferrari. Quale credibilità potrà avere adesso?
L'Unità 31.03.2008
Von Karajan, un führer sul podio
di Luca Del Fra
Nato in una famiglia di origini greche il giovane viene benedetto fin dall'età di 9 anni quando debutta nel 1917 come pianista al Mozarteum della natia Salisburgo: Bernhard Paumgarten lo ascolta eseguire la Fantasia K 397 di Mozart, gli fa i complimenti e senza mezzi termini gli spiega che mai sarà pianista, ma potrebbe diventare un direttore d'orchestra. Il fanciullino prodigio s'impegna, però si trasforma nel «Wunder Karajan», il miracolo Karajan, con le apparizioni al Festival di Salisburgo del 1929 e del 1934 e subito dopo quando arriva in Germania entra nelle simpatie dei gerarchi nazisti, e s'iscrive al partito diventando così ad Achen (Acquisgrana) il più giovane «Generalmusikdirector» del Reich. I trascorsi nazisti e l'essere il favorito di Hermann Göring di cui frequentava la cricca di gaudenti debosciati sono stati spesso rinfacciati a Karajan, che tuttavia ha più o meno ammesso i fatti, spiegando come la scelta era forzata al fine di lavorare e far carriera. Tuttavia alcuni biografi hanno precisato come Karajan s'iscrisse al partito nazista austriaco fin dal 1933 - prima di trasferirsi in Germania e ben prima dell'Anschluss (1939)-, senza rifiutare di aprire i suoi concerti con «Horst Wessell Lied», inno amatissimo dalle camice brune. Il giovane direttore viene trattato come un beniamino quando nel 1942 sposa Anita Güttermann, figlia di un magnate industriale, ma nipote di un ebreo, secondo la legislazione nazista una Vieterljüdin (un quarto ebrea) a cui, per decisione del partito, viene concessa la qualifica di quinta «Ariana onoraria del Reich». D'altra parte dopo il '42 Karajan cadrà in disgrazia presso i gerarchi di Berlino, e si rifugerà in Italia prima a Milano poi a Torino fino alla fine della guerra.
In ogni caso le avventure con la croce uncinata di Karajan possono essere una chiave per capire anche la sua ascesa e maturazione artistica avvenuta senza ombra di dubbio dopo la guerra, collegata a un culto della personalità e un autoritarismo a dir poco inquietanti. Dittatoriale con le orchestre, Karajan è stato un musicista di grandissima finezza interpretativa poiché riusciva a unire qualità all'apparenza contraddittorie. Curava i dettagli nelle prove con attenzione certosina, e le sue concertazioni delle opere di Giuseppe Verdi hanno aperto nuove prospettive sulla musica del bussetano. Al tempo stesso quando arrivava all'esecuzione dal vivo era un demiurgo in grado con il suo carisma di galvanizzare sia i musicisti che il pubblico. Se il pianissimo era un sussurro, il peso sonoro di un fortissimo di Karajan poteva anche atterrire, e l'orchestra, pur esaltata, non sfilacciava il suo suono in caciara, che oggi è la norma anche in un mezzo forte. La grande tradizione tedesca, di cui era certo erede, l'ha saputa rinnovare con idee spesso illuminanti: esemplari da questo punto di vista sono le sue esecuzioni di Anton Bruckner, Richard Strauss e soprattutto di Richard Wagner: la registrazione de L'anello del Nibelungo fu un salto epocale nell'interpretazione del ciclo che da massiccio e roboante si dischiuse a un'interpretazione musicale piena di delicate sfumature. Dalle magnifiche interpretazioni di questi compositori nasce l'idea, forse riduttiva, di un Karajan decadente. Ma il vitalismo che riusciva a imprimere alle esecuzioni resta esperienza memorabile e irripetibile, oltretutto difficilmente restituita dai dischi, basti pensare alla registrazione pirata dal vivo dei Maestri cantori di Salisburgo del 1974.
Con Karajan è anche il sistema della musica classica a compiere un indiscutibile giro di boa: dopo Arturo Toscanini è lui ad afferrare la potenza dei mezzi di comunicazione, che spesso sfuggiva ad altri direttori, e a decuplicarne l'efficacia. Se il parmense è stato il primo a registrare tutto il suo repertorio sinfonico e una parte di quello operistico, il salisburghese ha lasciato non solo tutto il suo repertorio sinfonico e quello operistico - spesso inciso anche in diverse edizioni con la scusa dei progressi della tecnica - ma anche moltissimi brani che dal vivo non ha mai eseguito o lo ha fatto molto raramente e a cui non sembrava troppo interessato. Nel complesso, una montagna di registrazioni la cui qualità complessiva a posteriori lascia qualche perplessità - naturalmente rispetto al livello che ci aspetteremmo da Karajan. L'assalto al sistema musicale avviene per tappe successive: nel 1955 alla morte di Willhelm Furtwängler gli succede alla testa dei Berliner Philharmoniker, carica che mantiene fino alla morte, avvenuta nel 1989, ed è l'ultimo direttore a vita della più celebre orchestra tedesca.
Nel 1967 conquista la direzione artistica del Festival di Salisburgo, e dirige in tutti i maggiori teatri europei: Vienna, Parigi, Milano, Londra, spesso con ritmi da capogiro. Per lui vengono coniate la scherzosa e un po' stizzosa definizione di «Generalmusikdirector» d'Europa, nonché una barzelletta molto in voga: il maestro entra in un taxì, il conducente gli chiede «Dove andiamo?» e lui risponde: «Dove vuole, tanto sono richiesto ovunque».
PERSONAGGI Il 5 aprile di cento anni fa nasceva l’uomo che divenuto il prototipo del direttore d’orchestra dei nostri giorni. Grandi risorse ma altrettanta disponibilità a servire il nazismo per far carriera. Dalle feste di Göring ai Berliner...
L'Unità 31.03.2008
Tra le prime conseguenze delle leggi razziali c’è l’inizio di quel «disastro» della scienza italiana che si consumerà per intero durante la successiva seconda guerra mondiale. Il «disastro» è dovuto sia al fatto che gli scienziati di origine ebrea devono abbandonare le università, sia al fatto che viene violentemente perturbato un ambiente relativamente protetto. Basta fare il caso della fisica, per rendersi conto di cosa tutto ciò ha significato. C’erano, a quell’epoca, due scuole di fisica in Italia che avevano raggiunto un valore mondiale. Quella sui raggi cosmici, costruita, tra Firenze e Padova, intorno alla figura di Bruno Rossi e quella di fisica nucleare, costruita, a Roma, intorno alla figura di Enrico Fermi. Entrambe vengono letteralmente dissolte dalle leggi razziali.
Bruno Rossi - che è ebreo ed è imparentato con la famiglia Lombroso, invisa al fascismo - deve fuggire dall’Italia e riparare negli Stati Uniti. Con lui la scuola sui «raggi cosmici» si disperde.
Stessa sorte tocca alla scuola romana. Enrico Fermi, che ha la moglie ebrea, approfitta dell’assegnazione del Premio Nobel, nel dicembre 1938, per emigrare in America. Lo stesso fanno Emilio Segré (che è ebreo) e Franco Rasetti (che ebreo non è, ma che è disgustato dalla situazione). Quanto a Bruno Pontecorvo (ebreo), resta in Francia, prima di scappare in America e sfuggire alle truppe hitleriane appena inizia la guerra. Dei «ragazzi di via Panisperna» solo Edoardo Amaldi resta in Italia: tutti gli altri sono perduti per sempre.
A Edoardo Amaldi, per pura coincidenza, è legato una seconda ricorrenza quest’anno: corre, infatti, il centenario della nascita, avvenuta a Carpaneto Piacentino, in Emilia, il 5 settembre 1908. Ed è una ricorrenza significativa, perché sarà proprio Amaldi ad assumersi sulle spalle la ricostruzione della fisica (e, per certi versi, dell’intera scienza) italiana dopo il disastro (la definizione è sua) delle leggi razziali e della guerra fascista. Un compito che svolge con lucidità e creatività. Anzi, con un metodo che ancora oggi risulterebbe straordinariamente attuale. Celebrare Amaldi significa dare una precisa indicazione alla scienza italiana e al paese intero.
Amaldi comprende che i tempi dei «ragazzi di via Panisperna», quando si poteva fare buona fisica con pochi mezzi e poco supporto politico, sono finiti per sempre. Sa che Fermi è andato via non solo per le leggi razziali, ma anche perché il regime gli aveva negato i fondi necessari per conservare l’assoluta eccellenza italiana in fisica nucleare. Sa, infine, che a conflitto finito e dopo il successo del progetto Manhattan negli Usa il problema non è quello della penuria di fondi, ma al contrario dell’eccesso di finanziamenti. In queste condizioni, i fisici italiani devono riunirsi, individuare poche tematiche, a basso costo e ad alta potenzialità scientifica, da sviluppare in pochi centri. È seguendo questa linea che, negli anni successivi, verrà fondato l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e che il nostro paese riuscirà non solo a ricostruire un buon ambiente di ricerca, ma anche a produrre una «via italiana alle alte energie».
Ma Amaldi sa che esiste anche un problema di scala. E che questo problema può essere risolto solo in sede europea, con una strategia «politica»: che usa la fisica per rafforzare la pace nel continente. Questa idea può essere realizzata, in pratica, creando in Europa un centro di ricerca comune, paragonabile anzi superiore ai centri americani. Per affermare questa idea deve vincere lo scetticismo, più o meno interessato, non solo dei colleghi americani (tra cui Isidor Rabi), ma anche dei più illustri fisici europei, inclusi Niels Bohr. Ma alla fine è la linea Amaldi che si afferma. E a Ginevra negli anni ‘50 nasce il Cern, il centro europeo di fisica nucleare: il più grande laboratorio del mondo. Amaldi diventa il primo Direttore generale del centro.
Ma Edoardo Amaldi sa che creare una fisica europea e integrarvi la ricerca italiana non basta. Occorre anche creare delle scuole di eccellenza (a lui si devono le prime scuole di formazione post-laurea) e integrare la fisica di base con la fisica applicata. Perché, ormai, nessuna delle due può essere sviluppata fino in fondo senza l’altra. E così si impegna direttamente anche nella realizzazione di un gruppo misto formato da scienziati, economisti e industriali, il Cise, per utilizzare l’energia nucleare a scopi civili. La fisica applicata, nella visione di Amaldi, non deve (non può) essere fine a se stessa, ma deve assolvere a due scopi, peraltro legati: creare le premesse, anche in Italia, perché si affermi un modello di sviluppo fondato sulla ricerca e dotare il nostro paese dell’indipendenza energetica (lo stesso progetto, assolto in altre forme, di Enrico Mattei).
È evidente che Amaldi assegna a se stesso e ai suoi colleghi scienziati una «funzione nazionale», di classe dirigente a tutto tondo, che si fa carico dei problemi complessivi del paese. Non è, dunque, un orpello il fatto che si impegni direttamente e fondi l’«Unione scienziati per il disarmo», un'organizzazione che si batte, con solidi argomenti, per la pace.
Il grande progetto di Amaldi - ricostruire la fisica italiana lacerata dalle leggi razziali e dalla guerra fascista facendone un motore della ricostruzione generale del paese - non si realizza per intero. Conosce notevoli successi: nella fisica fondamentale, nel ruolo dei fisici italiani per la pace. Ma anche forti insuccessi (non certo per colpa sua): l’Italia non si doterà di un modello di sviluppo fondato sulla ricerca e rinuncerà non solo al nucleare civile, ma anche al principio, ancora oggi valido, dell’indipendenza energetica.
Oggi conviene celebrare Amaldi non solo per il suo genio scientifico. Ma anche e soprattutto per questa capacità progettuale. Non solo perché tutte le sue principali strategie d’azione conservano intatte la loro validità. Ma anche e soprattutto perché nel loro combinato disposto c’è il modo - forse l'unico possibile - per uscire dal declino cui è avviato il nostro paese.
SETTANTA anni fa venivano promulgate le leggi razziali che azzerarono la comunità scientifica. Ma Edoardo Amaldi riuscì a ricostruire la fisica a livelli «alti». E quest’anno ricorre il centenario della sua nascita
dell’uomo che arrivò in Europa
È una mandibola importante quella che alcuni paleoantropologi hanno rinvenuto nel sito Sima del elefante nel nord della Spagna. Aveva ancora alcuni denti ed è stata trovata assieme a utensili litici e a resti di animali. La datazione dei fossili ha permesso di capire che si tratta di resti di oltre un milione di anni fa. Questo vuol dire che ci troviamo di fronte ai reperti di quello che potrebbe essere il primo ominino d'Europa.
Nella categoria Ominino rientrano tutti gli antenati dell'umanità attuale fino alla separazione dallo scimpanzé che avvenne intorno ai sei milioni di anni fa.
La prima occupazione dell'Europa da parte degli ominidi è uno dei punti più dibattuti della paleoantropologia. Anche i siti più importanti con testimonianze del primo Pleistocene finora avevano restituito solo utensili, ma non fossili umani. Così la scoperta di questo gruppo di scienziati spagnoli diventa particolarmente interessante.
Eudald Carbonell e i suoi colleghi hanno pubblicato la loro scoperta sul nuovo numero di Nature. La datazione dei fossili è stata ottenuta utilizzando diversi metodi, inoltre la biostratigrafia ha permesso di calcolare l'età della roccia nella quale i fossili sono stati rinvenuti. E la data è molto indietro nel tempo: tra 1,1 e 1,2 milioni di anni fa.
Gli utensili rinvenuti mostrano tracce di lavoro umano. Anche le ossa degli animali trovati nello stesso luogo mostrano i segni di raschiamenti fatti con qualche tipo di utensile, ad esempio per estrarre il midollo dalle ossa. I fossili degli animali, peraltro, sono molto più primitivi di quelli trovati nelle vicinanze. Gli ominini probabilmente si riparavano nella grotta dove sono stati rinvenuti e lì mangiavano.
Gli autori dell'articolo pensano che l'ominino trovato faccia parte della specie Homo antecessor, un possibile antenato sia dell'uomo di Neanderthal che dell'uomo moderno. Dai ritrovamenti sembrerebbe quindi che l'Europa occidentale sia stata colonizzata durante il primo Pleistocene da una popolazione di ominidi che arrivavano dall'Est. Probabilmente una espansione precoce degli ominidi che venivano dall'Africa. Una colonizzazione quindi avvenuta molto prima e in modo molto più continuativo di quanto pensato finora. Inoltre, confrontando questi resti con quelli rinvenuti in siti vicini, sembra di poter affermare che qui, in questa estrema regione del continente eurasiatico, avvenne una speciazione, ovvero si è formata una nuova specie da quelle preesistenti attraverso un processo evolutivo.
Corriere della Sera 31.03.2008
A sinistra Il candidato premier dell'Arcobaleno e il nodo della precarietà: bisogna restituire un futuro ai giovani
Bertinotti: non rinnego Prodi, noi spariti senza quell'esecutivo
Di Giuliano Gallo
DAL NOSTRO INVIATO
BARI — «Ci abbiamo provato, a governare. Non ci potevamo sottrarre, del resto: l'attesa di un cambiamento dopo 5 anni di Berlusconi era grande. E se non l'avessimo fatto, la sinistra avrebbe smesso di esistere, sarebbe stata cancellata. Il governo Prodi, anche se alla fine è stato deludente, ha fatto cose che non dobbiamo rinnegare. Penso soprattutto alla politica estera. Non si può dimenticare che ci siamo ritirati dall'Iraq». Nei suoi tre giorni di viaggio fra le piaghe del Sud, Fausto Bertinotti ripete più volte la confessione di quella che vive come una sconfitta. Davanti agli studenti di Arcavacata a Cosenza, in un comizio a Reggio Calabria. E ancora a Messina, a Palermo, a Bari. Dovevamo farlo, ripete. «Ma già a luglio, quando non erano state nemmeno prese in considerazione le nostre richieste su come impiegare il "tesoretto", avevamo capito che la nostra esperienza era fallita». E' un viaggio tutto in salita, quello del presidente della Camera. Un viaggio aspro, difficile, a volte pervaso da un vento di ostilità forte e generalizzata. Ma a anche un viaggio che fa brillare gli occhi al vecchio combattente. Come all'università di Arcavacata, dove si trova di fronte una platea tutta di ragazzi, e sono ragazzi che sanno bene quanto incerto sia il loro destino. Lui parla della precarietà («Un modo per governare le persone»), riflette sui genitori, emigrati per «regalare ai figli una laurea e ora costretti a vedere emigrare anche i figli».
La precarietà è il filo rosso che lega tutto il viaggio. Perfino nella casualità: al cinema Odeon, dove c'è il comizio, la sera proiettano «Tutta la vita davanti». Film sui precari, appunto. E lui di quello parla, del «supermercato della precarietà» aperto dalla legge 30. E dunque, dice, occorre «ricominciare un cammino difficile per restituire un futuro ai giovani, perché per la prima volta nella nostra storia una generazione sta peggio di quella precedente ». La sinistra che Bertinotti ha in mente è una sinistra nuova, garantisce. «Una casa comune aperta anche ai giovani fuori dai partiti, anche a quelli critici. Ma che vogliono tornare alla politica legata ai problemi quotidiani della gente».
A Messina, prima del comizio, si avventura fra i banchi del mercato comunale di piazza Zaera. Lo investe un fiume di rabbia, di frustrazione, di rancore. Non per lui in quanto leader della sinistra, ma per lui politico, faccia nota. «Il carovita è una vergogna per tutti i politici — grida un uomo —. Vi siete mangiati il Paese». Lui cerca di argomentare, di discutere, ma quelli non hanno domande da porre, solo una faccia contro cui sfogarsi. «Ma lei mi ascolta o no?», chiede ad un uomo. «E' interessato alla mia risposta? ». No, l'uomo non è interessato. A Palermo, adesso, per un altro comizio. E poi a Bari, dove lo aspetta quello che tutti considerano il suo erede, il suo delfino: il governatore della Puglia Nichi Vendola. Un pranzo da soli e poi assieme nella piazza del municipio. Dove ragazzi appassionati suonano tamburi, camminano sui trampoli, e parlano ancora di lavoro, di precarietà, del futuro.
Corriere della Sera 31.03.2008
Il caso Il ministro dell'Ambiente contestato a Taranto: «Ma erano infiltrati fascisti». Caldarola: ormai è il Mastella della sinistra
Fischi in Campania e Puglia, la difficile campagna di Pecoraro
Di Fabrizio Roncone
ROMA — «Volete montarci un caso?». Ma no, signor ministro Alfonso Pecoraro Scanio: anzi, racconti lei cos'è successo l'altro giorno, a Taranto. «Beh... durante la manifestazione anti-smog, intorno al sottoscritto... beh, sì, insomma, qualcuno ha cominciato a fare un po' di ammuine (in dialetto napoletano "fare confusione, rumore", ndr)... ma erano... erano veramente solo una decina di infiltrati fascisti...».
Ammettere una contestazione non è mai facile, specie in campagna elettorale e soprattutto se la Puglia, per il ministro dimissionario Pecoraro Scanio, doveva rivelarsi una regione un poco più accogliente e solidale della sua Campania, dove gli altri grandi capi della Sinistra Arcobaleno (Bertinotti, Mussi e Vendola) hanno ritenuto fosse strategico (o fisicamente prudente?) non candidarlo: il gran capo dei Verdi italiani — che al sospetto d'essere vanitoso ha recentemente risposto «di voler soltanto vedere l'interlocutore battuto e l'ascoltatore sedotto» — era ed infatti ancora è, almeno fino alle elezioni, il responsabile del dicastero dell'Ambiente, andato lentamente in fumo, giorno dopo giorno, con i cumuli delle immondizie.
Capolista alla Camera, 49 anni, ironico, spregiudicato, coraggioso — la grande fama arrivò con il coming-out provocato da un memorabile corteo pre-Gay Pride sotto il ministero («Pecoraro vieni giù/ che sei frocio pure tu») — è tornato prepotentemente sulle prime pagine dei giornali quando, nel gennaio scorso, durante una storica puntata di Porta a porta,
accanto al governatore della Campania Antonio Bassolino, tenne botta a ogni sorta di accusa e, davanti alle immagini della guerriglia fomentata dalla camorra e attuata da centinaia di cittadini esasperati dalle colline di rifiuti, disse sì all'intervento dell'esercito. Lui che, fino a quella sera, aveva detto sempre «no» a un mucchio di cose: alle discariche e agli Ogm, al tunnel della Valsusa, al ponte sullo Stretto, al fumo nei parchi di Napoli («se, nel raggio visuale del fumatore, compaiono bambini o donne incinte »), alla pesca del tonno rosso e all'albero di Natale («è doloroso fisicamente veder tagliare gli abeti: meglio quelli sintetici, o ripiegare sul presepe. Napoletano, s'intende»).
Peccato che a Napoli non possa più farsi vedere. La Puglia era sembrato un posto vicino, e sicuro. E invece, come ammette lui stesso, «si sta rivelando una campagna elettorale complessa, specie per me, che sono ambientalista». A Brindisi, con le fabbriche che vanno a carbone. A Taranto, «dove — spiega — si produce il 70% della diossina italiana». Poi ci si mette anche il suo amico Vendola, che tuona: «Ci sono aziende che inquinano e ammazzano i bambini». Risultato: «Ogni giorno — sospira Pecoraro — devo combattere l'antipatia agli operai, spiegando che io non voglio assolutamente che siano minacciati i loro posti di lavoro...».
Poi, però, c'è pure il pregresso. Sentite Gianrico Carofiglio, magistrato e giallista di successo, candidato numero 3 al Senato per il Pd, in Puglia: «Pecoraro Scanio, dopo quello che è accaduto in Campania, si sarebbe dovuto dimettere. Io, al posto suo, mi sarei dimesso». Spostarsi di un centinaio di chilometri non ha fatto dimenticare le sue responsabilità... «Questo lo sta dicendo lei... Però, certo, sì: la gente può non aver dimenticato... è un'ipotesi plausibile ».
Ipotesi, e pure certezze. Come quelle di un altro pugliese: Giuseppe Caldarola, ex direttore dell'Unità e deputato diessino, ancora membro, e anima critica, della direzione del Pd: «Pecoraro, temo, viene ormai percepito come un Mastella di sinistra. Cerca solo il consenso, il potere, il guadagno politico personale...».
Lui, il quasi ex ministro dell'Ambiente, fa il superiore: «Scriva, per favore, che sto anche affrontando la grande questione della siccità...».
Corriere della Sera 31.03.2008
Verso i Giochi Ieri ad Atene proteste per l'accensione del fuoco olimpico. Manifestazioni in Nepal
Tibet, la Cina sgrida l'Europa
Pechino: «Forte malcontento». La fiaccola in piazza Tienanmen
Di Fabio Cavalera
PECHINO — La fiaccola olimpica è partita per il suo «Viaggio dell'Armonia», il tema scelto dai cinesi per accompagnarla fino all'8 agosto, il giorno della inaugurazione dei Giochi. Ad Atene è stata salutata da manifestanti — una ventina i fermati poi rilasciati senza accuse — che hanno urlato «Tibet libero» ed esposto uno striscione «Stop al genocidio in Tibet». A Pechino la aspetta (oggi a metà mattina, la notte italiana) una adunata di folla in piazza Tienanmen. Il luogo simbolo della politica cinese: qui è nata la Repubblica popolare e Mao si è dato al popolo dal balcone della Porta della Pace Celeste, qui è esplosa la Rivoluzione culturale delle Guardie rosse nel 1966 ed è stata repressa nel sangue la protesta degli studenti nel 1989. Quale altro luogo, se non l'anima di questo Paese, poteva essere dunque scelto per raccogliere il testimone in un nuovo passaggio della sua Storia, la vetrina della modernizzazione? Centotrenta giorni all'inaugurazione ma incombe la crisi del Tibet. A Lhasa, secondo gli esuli, ci sono state nuove proteste e i monasteri sono isolati. In Nepal le manifestazioni sono finite con cariche e pestaggi dei 20 mila dimostranti. La Cina informa invece che in un luogo di culto nella provincia del Gansu sono stati trovati striscioni, coltelli e addirittura armi. L'Europa e gli Stati Uniti chiedono moderazione ma è come se parlassero a vuoto.
Pechino mostra il volto più duro e all'Ue, che pure ieri aveva usato toni quasi da resa nell'invitare al «dialogo costruttivo », replica irritata, esprimendo «forte malcontento ». Le frasi del portavoce del ministero degli Esteri, Jiang Yu, sono uno schiaffo all'Europa dei 27 e al suo debole documento: «Il Tibet è un affare completamente interno alla Cina. Nessun Paese straniero e nessuna organizzazione internazionale hanno il diritto di interferire al riguardo ». Il regime continua a usare due linguaggi. Un editoriale di Nuova Cina, l'agenzia ufficiale, accusa «la cricca del Dalai Lama di avere chiuso le porte del dialogo» e spegne ogni speranza. Il premier Wen Jiabao sottolinea che «l'ordine è stato ristabilito in Tibet» e che «il governo cinese ha la capacità di risolvere la questione». Come? È in un contesto difficile che comincia il «Viaggio dell'Armonia». Pechino accoglie il fuoco di Olimpia nel suo santuario dove ha celebrato le vittorie e le sconfitte, le gioie e spesso le tragedie, dove ha agitato i fiori e fatto cantare i carri armati contro gli oppositori. E per l'occasione lo riempie di poliziotti e di volontari reclutati dal Partito comunista. Non ci può essere momento migliore per dare fiato alla retorica e alla propaganda del regime che sta massimizzando gli sforzi per riscaldare i sentimenti nazionalisti e patriottici dei cinesi. La televisione copre l'evento con le dirette per l'intera giornata e i giornali hanno una sola indicazione: dedicare pagine e pagine all'evento. Sono ammesse persino le telecamere straniere, una delle ultime volte: durante le Olimpiadi il blackout calerà sulle dirette e le riprese dalla piazza «sacra ». Motivi di sicurezza.
Dopo Pechino la fiaccola volerà nel mondo. La Cina ha messo in conto le proteste in Europa e nell'unica tappa americana, San Francisco. Ingoierà amaro. Ma ciò che teme veramente sono i passaggi interni nelle aree calde, il Tibet, il Gansu, il Sichuan, e lo Xinjiang, la provincia delle minoranze islamiche-uigure. È lì, fra maggio e giugno, che il regime si blinderà ancora di più a difesa della sua stabilità. Si avvicina alla prova con l'arma del nazionalismo che è sempre stata agitata nei momenti di crisi. La torcia in Tienanmen simbolo della Cina, oggi, significa questo: la Patria che chiama a raccolta contro i venti del dissenso.
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