Il Pd, negli ultimi giorni di campagna elettorale, cerca lo scatto vincente
E Per il ministero dell'Economia continua il pressing su Mario Monti
Libri gratis, via le tasse universitarie
Veltroni studia la mossa pro-famiglia
di GOFFREDO DE MARCHIS
- Nei prossimi giorni Walter Veltroni presenterà la proposte del Partito democratico su sanità, giustizia (con un riferimento particolare alla certezza della pena), nuovo welfare (immaginando un patto sul potere d'acquisto). Ma lui per primo sa che nel rush finale c'è bisogno di un'iniziativa molto più forte, di un messaggio "generale, che interessi una platea di elettori la più vasta possibile". In una parola, le famiglie. E sul tavolo del candidato premier del Pd si va materializzando la parola d'ordine degli ultimi dieci giorni. Si lavora intorno al tema della formazione, quindi sul futuro. I tecnici stanno verificando la sostenibilità finanziaria di una vera rivoluzione: il taglio netto delle tasse universitarie o addirittura l'abolizione e la gratuità dei libri di testo per le scuole dell'obbligo.
È questa l'ipotesi principale nella cartella di Veltroni, il segno che può rimanere impresso sulla campagna elettorale come la proposta di abolire l'Ici lanciata da Berlusconi sul filo di lana nel 2006 che per poco non si portò via il vantaggio di Romano Prodi. Dentro il tema della formazione c'è tutto, i genitori e i figli, le nuove generazioni, le pari opportunità, un punto di vista che guarda in avanti. Domenica sera, al vertice dei fedelissimi con Goffredo Bettini, Walter Verini, Claudio Novelli e il vice Dario Franceschini, Veltroni ha sparso ottimismo a piene mani: "Sono sicuro
che alla fine vinceremo. Ce la faremo al Senato e alla Camera". Non a caso ha chiesto al costituzionalista Ceccanti e a Walter Vitali di uscire oggi sull'Unità con un fuoco di sbarramento al voto disgiunto. Eppure questa sicurezza va sorretta con proposte chiare, che arrivino a tutti.
Lo è il taglio secco delle tasse universitarie e dei costi dei libri. Ma tra gli altri progetti nelle ultime ore era spuntata anche la abolizione del bollo auto su una macchina a famiglia. Ipotesi scartata perché il Pd si presenta come un partito attento all'ambiente. L'altra strategia del loft
prevede una forte personalizzazione della battaglia. I sondaggi sono chiarissimi: il Pd soffre contro il Pdl, ma nel confronto Veltroni-Berlusconi il primo ha un buon margine di vantaggio. A questo sarebbe servito il duello televisivo con il Cavaliere: a concentrare il duello sulla persona e a polarizzare il voto, cosa che secondo gli esperti è destinata ad accadere comunque nei giorni finali. Veltroni quindi cercherà il corpo a corpo, per privilegiare la scelta tra due pretendenti a Palazzo Chigi e non tra due coalizioni.
Un candidato convinto del successo si preoccupa poco delle subordinate. Magari preferisce annunciare ai suoi interlocutori, come è successo domenica sera, che il Lazio, una delle regioni in bilico, finirà al Pd: "Rutelli e Zingaretti stanno conquistando voti anche per noi". Certo, quota 35 per cento è sempre la soglia minima negli obiettivi veltroniani. Gli consentirebbe, anche nel caso peggiore, di governare il partito e gli strascichi del dopo voto. Sapendo che qualcuno cercherà di fargliela pagare. Le insidie possono venire dal fronte dalemiano. La battuta del ministro
degli Esteri ("Lo slogan "'Si può fare' è moscio'") è stata considerata poco più di una battuta. Con qualche sospetto in più è stata letta l'intervista di Pierluigi Bersani alla Stampa.
Il titolare dell'Industria spiega che il Pd deve ancora fare il salto di qualità, che non parla davvero agli indecisi e al Nord. Ma in piena campagna elettorale Veltroni ha deciso di tirare dritto. L'uscita di Bersani non gli è piaciuta, per i modi e i tempi, ma i due si sono sentiti e l'autore delle liberalizzazioni andrà a rappresentare il partito nelle prossime trasmissioni tv. Resta un dato di fatto: una parte del Pd affila le armi per il dopo voto.
L'ultimo, ma forse più importante nodo da sciogliere, è legato alla squadra di governo. Anche ieri Veltroni ha garantito che farà alcuni nomi prima del 13 aprile. Nomi esterni, perché i politici non si toccano altrimenti qualche escluso potrebbe smettere di tirare la volata. Naturalmente, l'indicazione più attesa riguarda l'Economia. Veltroni ha corteggiato Mario Monti. E continua a farlo. È la sua primissima scelta, i due si sono sentiti spesso in queste settimane. Ma l'ex commissario europeo deve aver declinato l'invito se Veltroni, ancora pochi giorni fa, reagiva così a una domanda sull'uomo dei conti pubblici: "Non sta scritto da nessun parte che debba fare il nome del ministro del Tesoro. In nessun paese del mondo lo si sceglie prima del voto". Il pressing su Monti però va avanti.
La Repubblica 1 aprile 2008
Il candidato della Sinistra Arcobaleno risponde agli ascoltatori di
Repubblica Tv
"Ridurre il numero dei parlamentari ed abolire una delle due camere"
Mussi: "Con il Pd c'è competizione
tremo all'idea di un accordo con Pdl"
di EDOARDO BUFFONI
ROMA - Un accordo Berlusconi-Veltroni? Tremo solo all'idea. Con il Pd in questa campagna elettorale c'è un "gentlement agreement", ma anche competizione. Il voto utile? Esiste solo il voto che ti rappresenta. Fabio Mussi, ministro per la Ricerca e l'Università, candidato per la Sinistra Arcobaleno, risponde alle domande dei lettori nel videoforum di Repubblica Tv. Attaccando sia il Pd che il Pdl, e qualsiasi ipotesi di accordo post-elettorale tra i due partiti maggiori: "Un accordo sulle riforme non può essere un gioco a due tra Pd e Pdl, un passo doppio. Se però parliamo di riduzione del numero dei parlamentari, per noi è un invito a nozze. Una sola
Camera addirittura un doppio invito a nozze, mentre di fronte ad un iperpresidenzialismo la nostra risposta è no. Quanto alla legge elettorale, vorrei invitare i miei amici del Partito Democratico alla prudenza, perché non è prudente fare una legge elettorale che a tavolino cancelli qualsiasi altra variante".
Mussi su questo punto è drastico: "Non sarebbe possibile governare città e amministrazioni locali con i voti della sinistra, come Roma, e poi fare una legge elettorale che cancella tutto ciò che non è Pd e Pdl, perché non si può avere 7 botti piene e 7 moglie ubriache".
Molte le domande dei lettori sul voto utile: votare Pd o Sinistra Arcobaleno per il Senato, a seconda delle regioni, per contrastare Berlusconi.
"L'elettore - risponde Mussi - non può essere accompagnato alla soglia del seggio da esperti. Le scelta delle persone sono più semplici e alla fine anche più giuste. Il voto utile è prima di tutto quello che ti rappresenta, che rappresenta i tuoi valori e le tue idee". La vostra campagna non è
troppo sbilanciata contro il Pd, osservano alcuni lettori: "E' il Pd che ha radicalmente escluso la sinistra, definendola il male, e che ha fatto una campagna sistematica per dire: non votare a sinistra".
Ma con le vostre idee non vi condannate all'opposizione?
"Saremo all'opposizione solo se perderemo le elezioni. Ma voglio sottolineare che l'Italia rischia di essere l'unico grande paese europeo a rischiare di non avere più una forza politica che si dichiari di sinistra.
Ed è per questo che ho scelto di non aderire al Pd. Invece dovrà esistere nel futuro una forza di sinistra in Italia, per influenzare e condizionare la politica del Partito Democratico".
Ma la sinistra ce la può fare?
"Io spero prima di tutto che perda Berlusconi, e lo dico per ragioni patriottiche. Berlusconi è il lato tragicomico della vicenda italiana. E' sempre più stonato. Con la sua visione scombinata e populistica dell'Italia, che ha già fatto tanti danni".
Ma la Sinistra Arcobaleno resterà unita anche dopo le elezioni?
"Abbiamo fatto una lista comune. Se fosse un semplice cartello elettorale sarebbe destinato al fallimento. Invece stiamo creando una forza unita. E lo sta dicendo con forza anche Bertinotti".
Non era meglio candidare premier un leader più giovane, ad esempio Nichi Vendola?
"Mi sembra che Bertinotti si stia spendendo con autorevolezza. Sta facendo bene".
Cosa critica del governo Prodi?
"Aver spinto troppo sul risanamento dei conti pubblici. Si poteva destinare qualcosa in più per salari, fisco, ricerca scientifica. Ma quando lo dicevamo noi, tutti ci criticavano. Ora molti se ne sono accorti. Ma solo ora".
Come ministro, cosa è contento di aver realizzato?
"Ho fermato la proliferazione delle sedi, le lauree facili, i concorsi finti. Ora il sistema può essere governato secondo standard europei.
Purtroppo ho avuto solo 20 mesi di lavoro al ministero. Ma sono a un passo dall'approvazione l'agenzia nazionale di valutazione, i nuovi concorsi per associati e ordinari, e la riforma della governance delle università. Chiunque verrà dopo di me, dovrà riprendere da dove sono arrivato io".
La Repubblica 1 aprile 2008
Bossi: no al voto agli immigrati, consulterò la gente
Borghezio: se fa il ddl, allora governo addio
Berlusconi: "Da Santoro
uso criminoso della tv"
di ANDREA MONTANARI
"Michele Santoro fa ancora un uso criminale della tv". Sceglie questa volta Milano Silvio Berlusconi per lanciare il suo nuovo editto contro il conduttore di "Annozero". Nel corso della videochat con il Corriere ieri a Milano, prima nega perfino di avere pronunciato il precedente editto contro Enzo Biagi, poi attacca Santoro: "L'uso criminoso di una televisione pubblica pagata con i mezzi di tutti consiste nell'attaccare gli avversari senza dare a questi avversari la possibilità di una replica, cosa che lui continua impunemente a fare anche adesso."
Nel frattempo, non si placa la polemica con la Lega sulla sua proposta di dare il voto agli immigrati. Dopo la bocciatura di Roberto Maroni ieri su Repubblica, è direttamente Umberto Bossi a bacchettarlo. Fino a minacciare un referendum tra gli italiani, se insisterà ancora. Il Senatur non l'ha presa bene: "Berlusconi lo conosciamo. In certi momenti fa arrabbiare gli
alleati. Ma nel bene e nel male, è così. Vuole piacere, si adegua al posto dove va... Ma poi è troppo, se c'è un patto va rispettato". E Borghezio va oltre: "Se presenta un ddl, il governo è già finito".
L'ex premier sembra abbozzare. Nel corso del nuovo tour al Nord, prima a Milano e poi a Torino non solo non ne fa più cenno, ma raccoglie l'applauso più forte del pubblico torinese quando scalda la platea accusando la sinistra "di averci riempito di immigrati, tenendo troppo aperte le frontiere". Vorrebbe un modello educativo alla Sarkozy. Propone un decalogo per i giornalisti e gli insegnanti. "Dovrebbero portare sempre la cravatta" e "come gli scolari alzarsi in piedi davanti ai professori". Sostiene addirittura di essersi tenuto lontano gli anni scorsi da programmi come
"Ballarò" o "Annozero" perché i politici che li ospitavano "gli facevano ribrezzo". Lui si chiama fuori, spiegando che "la sua età in politica è solo quattordici anni".
Ma la sala resta fredda. Nella sua foga di piacere a tutti costi non si accorge nemmeno delle gaffe. Al mattino, ad esempio, nel comizio milanese davanti ai militanti del Partito dei pensionati rivolto a un gruppo di signore azzarda: "Ma guarda che belle tuse, da quella parte c'è il settore della menopausa". Subito dopo, sferra un durissimo attacco contro i partiti picccoli, quelli, a suo dire del voto inutile. Dimenticando, però, che sta parlando proprio dal palco di uno di questi, quello dei Pensionati, che pur avendo preso alle scorse elezioni solo lo 0,7 per cento alla Camera e l'1 al
Senato, gli ha fatto perdere le elezioni perché non si era alleato con la Cdl. Lui forse per farsi perdonare promette: "In pensione cinque anni prima alle famiglie che ospitano un anziano".
Non come la "sinistra delle favole di Veltroni". Come quella di Antonio Di Pietro "che percepisce la pensione da magistrato da quando ha quarantacinque anni". Non quella di Bertinotti "che considera i poliziotti e i carabinietri ddei traditori del proletariato". E nemmeno quella di "quei
mangiapreti dei radicali che dovranno vedersela nel Partito democratico con i teodem che sono dei baciapile".
A chi gli fa notare che non fa più sognare gli italiani risponde: "È difficile sognare oggi. Ci vuole un gran coraggio oggi a voler assumere responsabilità di governo. Bisogna essere quasi dei temerari". Dalla sala del teatro Nuovo di Torino qualcuno gli urla: "E allora non ci andare". Fa
finta di nulla, ma poi ammette che "al Senato sarà difficile avere una solida maggioranza".
Torna alla sua ossessione. I piccoli partiti. "Cosa hanno mai fatto in questi anni per il paese , se non esistere per appagare l'ambizione dei loro leader"? Non cita Pier Ferdinando Casini, ma è chiaramente a lui che allude quando dice: "Non si può votare uno solo perché è un bel fieu". Quindi una raccomandazione: "Nonni e nonne, prima di andare a votare fate le prove generali con il fac simile della scheda elettorale. Quella preparata dal ministero degli Interni rischia di farvi perdere la vista. Questa volta non sbagliate".
La Repubblica 1 aprile 2008
Il Cavaliere contro il Professore che rivendica il successo del governo
E l'altro replica: "Rovina un bel momento per il paese, si deve vergognare"
Expo, scontro Prodi-Berlusconi
"Non è merito del premier"
Plauso bipartisan al risultato di Milano. D'Alema: "L'Italia è un osso duro"
Rutelli: "Esempio di leale collaborazione". Bossi: "Felice per il Nord e la
Moratti"
E' una vittoria che "premia lo sforzo comune", "motivo di orgoglio per l'Italia intera". Le parole di Giorgio Napolitano arrivano poco dopo la proclamazione ufficiale di Milano vincitrice nella "finale" con Smirne per l'assegnazione dell'Expo 2015. Un risultato accolto con entusiasmo da ogni parte politica e frutto, è il commento generale, di un grande lavoro di squadra. Ma la soddisfazione bipartisan sfuma velocemente per lasciare il posto alla contesa sul merito. Perché quello dell'Esposizione universale diventa terreno di scontro per Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Se il primo traduce l'evento in un successo dell'Italia e del governo, "anche se abbiamo avuto un po' di paura negli ultimi giorni", il secondo commenta: "Non è merito del presidente del Consiglio". L'altro lo accusa di "rovinare un bel momento per il paese" e gli intima di "vergognarsi". La palla passa al portavoce del Cavaliere, Paolo Bonaiuti: "Si vergogni lui", dice riferendosi al premier.
A dire la verità, una prima frecciata la lancia il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. Che, da Parigi, sottolinea l'"impegno corale" e il fatto che "l'Italia è un osso duro": "Ogni volta che ci siamo candidati a livello internazionale abbiamo sempre vinto. Questo vuol dire - ha precisato il
titolare della Farnesina - che questo Paese è migliore di come lo raccontiamo". Berlusconi invece non risparmia un cenno all'emergenza rifiuti dicendosi "molto lieto" della notizia di Milano dopo "il dramma di Napoli e della Campania". E si prende una fettina di torta: "Spero di essere stato
utile anch'io, con la mia amicizia con tanti capi di Stato".
"Amarezza e sconcerto" da Walter Veltroni "nel vedere che anche una grande vittoria "sia utilizzata per basse polemiche elettorali". Fra una tappa elettorale e l'altra - oggi nel Lazio - il candidato premier del Pd trova il modo per un plauso al risultato "raggiunto grazie al lavoro fatto tutti insieme", prova che "quando il paese è unito, nella differenza di opinioni e posizioni politiche ma unito istituzionalmente, si raggiungono obiettivi come questo".
Trattiene a stento la commozione il sindaco di Milano, Letizia Moratti, "contenta per la città e per il mondo perché sarà un'esposizione per il mondo, ci ho creduto, ci ho creduto proprio" dice, e le fa eco il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, che parla di "un risultato
indiscutibile, frutto del grande lavoro svolto insieme dalle nostre istituzioni e da tante forze della società civile".
"Un buon progetto, determinazione, gioco di squadra e capacità di dialogo": questi gli ingredienti della vittoria secondo il ministro del Commercio estero, Emma Bonino, anche lei a Parigi. "Sono contenta - ha detto - è segno che abbiamo un rapporto solido con gli altri Paesi". Gioia e soddisfazione per Francesco Rutelli: il ministro per i Beni culturali parla di "un buon
esempio di leale collaborazione istituzionale, fra governo e enti territoriali milanesi, che dovrebbe essere seguito ogni volta in cui è in causa il buon nome dell'Italia".
La vittoria di Milano "è una vittoria del Paese, frutto di un ottimo lavoro di squadra" anche per il ministro per le Politiche giovanili, Giovanna Melandri, che individua nello "spirito di coesione e unità" l'ingrediente "di una vittoria auspicata e meritata che, già da domani, chiama tutti a
dare il massimo". Milano "torni a essere un faro per tutta l'Italia - dice il ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini - prima per dialogo, solidarietà, civismo, diritti civili, scienza".
E se nel centrodestra c'è chi è tentato dal vedere il lato positivo, come Umberto Bossi che si dice "molto felice sia per il Nord che per Moratti che si è data un gran da fare", c'è anche chi ne approfitta per battere sul tasto Alitalia. Renato Brunetta (Fi) e Roberto Calderoli (Lega) sono
convinti che adesso sia ancora più importante che la Lombardia e Milano abbiano un aeroporto di prima classe, un vero e proprio hub dove atterri e decolli la compagnia di bandiera. Quindi, Prodi e i suoi ministri devono fare retromarcia su Air France "oppure pensano - ironizza Calderoli - di far arrivare i 29 milioni di visitatori attesi a Milano a piedi o con il pullman di Veltroni?". Al contrario, secondo Prodi: il successo dell'Expo è il trampolino per rilanciare Milano e la Lombardia con una "prospettiva solida e forte, l'occasione di essere sotto i riflettori del mondo".
A rivendicare il successo di Milano anche i sindacati. Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, precisa che il risultato "è stato raggiunto anche grazie al ruolo svolto unitariamente dalle tre confederazioni a livello nazionale, lombardo e milanese".
La Repubblica 1 aprile 2008
La torre, il parco, miliardi e cantieri
le promesse e i rischi dell'Expò
Il problema del "dopo": come sarà utilizzato quello che resterà?
di GIUSEPPINA PIANO
MILANO - Una città dove si respira meglio perché emette il 15 per cento in meno di Co2. Dove si viaggia in metrò da Niguarda a San Siro, e da Lorenteggio a Linate. Dove saranno stati spesi 14 miliardi di euro in infrastrutture, autostrade e opere pubbliche. Ma anche una Milano con sette
anni di cantieri davanti e 29 milioni di persone in visita nei cinque mesi dell'Esposizione universale dedicata all'alimentazione, previste in media 160mila al giorno con (con punte di 250mila).
Una città da skyline anche verticale, con l'Expo Tower a Rho-Pero a contendere ai giganti di Citylife il record di altezza milanese. E con 11 miliondi di metri quadri di verde in più sparsi per tutte le periferie. Ma anche con un nuovo quartiere residenziale a Rho-Pero, dopo che smontata una parte dei padiglioni tirati su per l'Esposizione, si costruiranno al loro posto case e uffici.
Promesse e cartoline dalla Milano del 2015. Sperando di usare la locomotiva Expo per ripartire. Le stime, a guardare il dossier di candidatura di un migliaio di pagine, parlano di 70mila nuovi posti di lavoro - stima di una ricerca della Bocconi - per costruire tutto l'occorrente. Di quasi quattro miliardi di euro di indotto per il sistema economico locale. Di un'Esposizione universale ecosostenibile, un evento a "impatto zero", dove si viaggerà a idrogeno e si prenderà energia dai pannelli solari.
Ma arrivarci non sarà indolore. C'è tutta l'area della Fiera di Rho-Pero da trasformare in un cantiere a ciclo continuo per accogliere i visitatori. E di certo non aiuta l'umore vedere che oggi, a tre anni dall'apertura del polo sotto la Vela di Fuksas, non siano ancora finiti i lavori per strade e
collegamenti intorno.
Il rispetto dei tempi, questo sarà il primo banco di prova per l'operazione-Expo. L'altro sarà trovare, con bandi internazionali, gli architetti che disegneranno le strutture. A partire dalla torre di 200 metri d'altezza che dovrà diventare il simbolo dell'evento. Serviranno architetti, ingegneri, tecnici. Ma serviranno, anche, 36mila volontari che dovranno contribuire all'accoglienza dell'esercito di stranieri che farà tappa a Milano. A tutti sarà chiesto un impegno non più lungo di 16 giorni.
Il dossier da un migliaio di pagine con cui Milano si è candidata a vincere racconta la rivoluzione per Rho-Pero. L'area espositiva dovrà praticamente raddoppiare rispetto a oggi. Allargandosi verso est. Un milione di metri quadrati aperti al pubblico solo per gli spazi espositivi, altrettanti per le strutture di servizio e la logistica (parcheggi, alberghi, ristoranti, bar, un centro congressi). In totale, due milioni di metri quadri da strasformare.
Chi la visiterà, nel 2015, si troverà otto padiglioni per illustrare i progetti espositivi di mezzo mondo sull'alimentazione immersi in un parco, che da solo coprirà circa la metà dell'area giardino all'inglese. Un lago artificiale e ruscelli. Al centro di tutto, cuore e simbolo, la torre con ai lati due "ali" con sale per eventi, seminari, attività culturali, negozi. E pure un "centro ecumenico" per la preghiera. Sopra la torre invece, a 200 metri d'altezza, terrazza panoramica e ristoranti.
Il tutto con padiglioni immersi in un parco di 500mila metri quadrati, la metà dell'area. Ristoranti per 8mila metri quadrati e altrettanti per bar e ristoranti, 2.500 metri quadrati di negozi. Piazza Italia con un anfiteatro all'aperto di 9mila metri quadrati, e un auditorium di 6mila. Verde che dovrebbe aumentare comunque in tutta la città con 11 milioni di parchi in più. Altro capitolo delle promesse.
Ma cinque mesi di Expo non si fermano a Rho-Pero. Il dossier di canditura racconta di tutta una Milano ambientalista. Miracolosamente capace di diminuire del 15 per cento entro il 2012 (e del 20 per cento entro il 2020) le sue emissioni di anidride carbonica e dare una mano contro il gas serra.
E se la scossa dell'Ecopass ormai sarà stata ampiamente metabolizzata, dovrà contribuire la bioedilizia, il teleriscaldamento e l'utilizzo dell'acqua di falda. Il tutto, però, contando sul fatto che nel frattempo le sempre attese infrastrutture, dalla Brebemi alla Pedemontana, alla Tav e alle
metropolitane 4 e 5 in città, siano più che pronte per sopportare il peso dei turisti. Un capitolo da non meno di 10 miliardi di euro di investimenti pubblici in cantieri.
Solo per l'Expo serviranno quattro miliardi di euro, per costruire l'area fieristica e i collegamenti, 530mila metri quadrati di parcheggi e la ricettività. Quasi altrettanti torneranno però come indotto assicurato dalla vetrina internazionale e dall'afflusso dei visitatori. L'Esposizione in sé,
tra affitto dei padiglioni, sponsorizzazioni e vendita dei biglietti d'ingresso, garantirà invece circa 900 milioni di euro.
La Milano del 2015 non sarà un'altra città ma almeno, oggi, spera di usare la locomotiva Expo per crescere.
Altro, fondamentale capitolo, è quello sull'eredità. Qui molte sono le incognite. Si sa che a Rho-Pero resterà il parco, resterà la torre che dovrà essere rigenerata come spazio culturale e sociale. Resteranno altri padiglioni ed edifici di servizio. Ma la loro rigenerazione pubblica, oggi,
è ancora tutta da inventare. Il punto è che la maggior parte dei padiglioni verrà smontata. Le aree date in prestito al Comune torneranno ai loro proprietari, privati, ovvero la Fiera e il gruppo Cabassi. E là dove fino a oggi non si poteva costruire, in una zona vincolata dal piano regolatore per uso agricolo, potranno farci un nuovo quartiere residenziale.
L’Unità 1 aprile 2008
I 93 ANNI CON LA LECTIO DI CAMILLERI
Ingrao: parlate di più degli operai e della pace
L’Unità 1 aprile 2008
IN LIBRERIA Nella nuova fatica di Fulvio Abbate, «Quando è la rivoluzione», un gruppo di maoisti interrompe un pranzo di nozze e...
Colpo di stato, i comunisti occupano «L’antico Girarrosto»
di Riccardo De Gennaro
Nel suo ultimo romanzo, Quando è la rivoluzione (pagine 311, euro 17,00, Baldini Castoldi Dalai), Fulvio Abbate immagina la presa del potere dell’Unione dei comunisti italiani, raggruppamento d’ispirazione maoista attivo a cavallo degli anni Settanta e guidato da Aldo Brandirali, oggi fervente ciellino.
Del colpo di stato, se di colpo di stato si tratta, si racconta tuttavia soltanto un episodio, l’occupazione armata di un ristorante della periferia romana, «L’antico Girarrosto», dove è in corso il pranzo di nozze di una coppia di «coatti» dell’Appio-Tuscolano. A quel punto gli invitati devono rinunciare all’esibizione del loro idolo, il cantante Drupi, e forzatamente assistere al documentario Viva il Primo Maggio rosso e proletario di Marco Bellocchio, convinto all’epoca che il libretto di Mao potesse davvero trovare applicazione in Italia. Il particolare che quel 15 febbraio, presumibilmente del ’71 (ma Il mare color del vino di Sciascia, citato nel libro, è del ’73), la Rai continui a mandare in onda lunghi servizi dedicati all’Unione dei comunisti e Claudio Villa canti alla radio Bandiera rossa ci dice che i maoisti hanno preso possesso anche dei mezzi d’informazione.
La storia del matrimonio che «s’ha da fare», ma solo secondo i dettami contenuti nell’opuscolo Un matrimonio comunista, realmente edito da «Servire il popolo», s’intreccia con le vicissitudini di un annoiato gruppo di esponenti dell’alta borghesia salottiera che quello stesso giorno parte per andare a trovare Ugo Tognazzi, ma - data la sua assenza - finisce non si sa come a Cinecittà.
Qui il gruppo, guidato da una signora piuttosto sboccata e da un allievo di Lacan dal pene minuscolo, incontrerà Mario Schifano, il quale s’aggira proprio con Brandirali sul set di uno dei tanti B-movie a sfondo boccaccesco realizzati dopo il Decameron di Pasolini. Presto giungeranno a Cinecittà anche i «coatti», i capi delle guardie rosse e alla fine - con un’accelerazione di ritmo della comicità, che oscilla sempre tra Villaggio e Verdone - il papa in persona (Paolo VI) con un clistere in mano a mo’ di aspersorio.
Oltre al suo romanzo più bello, Zero maggio a Palermo, il primo, ambientato anch’esso negli anni Settanta ma scritto con grande leggerezza e poesia, questo nuovo libro di Abbate fa pensare al precedente Roma, la sua «guida non conformista» alla città. Quando è la rivoluzione è affollato di personaggi realmente frequentati dall’autore, che a questo proposito si abbandona, durante la narrazione, ad alcune digressioni. Il rischio è che l’attesa suscitata nel lettore da un’idea indiscutibilmente originale (l’improvvisa presa del potere dell’Unione dei comunisti nel loro momento di massimo fulgore) venga penalizzata dalla propensione all’omaggio e alla rievocazione di Abbate.
Il quale ama citare anche i nomi delle vie dove abitavano i vari Mastroianni, Sordi, Tognazzi, Pasolini o dove avevano sede i bar e i ristoranti più di moda della città, come se la guida Roma - un libro in cui, attraverso numerosissimi aneddoti, si passano in rassegna luoghi e protagonisti della vita mondana della Capitale - gli fosse rimasto ancora un po’ nella penna.
L’Unità 1 aprile 2008
Gabriela ha 50 anni, inventò il sesso senza peccato
di Franco Mimmi
Profumo di garofano, colore di cannella, Gabriela compie 50 anni ma è giovane, fresca e più o meno ventenne come quando Jorge Amado la diede alla luce, nel maggio del 1958. E già, senza neppure aspettare il giorno anniversario, è di nuovo nelle librerie di tutto il Brasile in una edizione (la numero 80) lanciata dalla casa editrice Companhia das Letras, che l’anno scorso battè le altre grandi case brasiliane e si aggiudicò i diritti delle opere dello scrittore baiano morto nel 2001. Ignoto il lato economico dell’offerta, che prevedeva pure la divulgazione nelle scuole e una intensa campagna di marketing per ridare smalto alle opere di Amado - ben 35 titoli - secondo i desideri della famiglia.
E infatti ecco già in vista l’omaggio ad Amado, che si è tenuto a Rio de Janeiro il 19 marzo, nell’Accademia brasiliana delle lettere. Ecco, a Rio e a San Paolo, la mostra Jorge Amado nel cinema. E il lancio ufficiale della collana, cui parteciperanno artisti come Caetano Veloso e Chico Buarque. Poi una esposizione fotografica. Poi uno show di Nana, Dori e Danilo Caymmi, figli del famoso cantante e compositore Dorival Caymmi che fu grande amico di Amado e scrisse quasi tutte le canzoni per i film e gli sceneggiati televisi tratti dai suoi romanzi. Autore, tra l’altro, della Modinha para Gabriela che nel 1975 accompagnava in tv, cantata da Gal Costa, una Sonia Braga allegra, spontanea, sensuale e primitivamente amorale (ma né lei né Marcello Mastroianni, nella parte del sirio Nacib, sarebbero riusciti a salvare dalla mediocrità il film di Bruno Barreto di otto anni dopo). Paradossalmente Bahia, terra natale dello scrittore, entrerà per ultima nel programma, in aprile, ma col vantaggio di poterlo fare nel bell’edificio azzurro che ospita la «Fondazione Casa di Jorge Amado» in pieno Pelourinho, il centro coloniale di Salvador.
Gabriela cravo e canela è la storia di una ragazza che nel 1925, durante uno dei peggiori periodi di siccità mai sofferti dal Nordeste, emigra dall’interno a Ilhéus, città costiera che sta vivendo il boom del cacao, e lì conquista tutti con la sua bellezza e la sua sensualità. Sposa il sirio Nacib, per il quale faceva la cuoca, ma gli è infedele e il matrimonio viene annullato grazie al fatto che i documenti di lei erano falsi. Separati, i due finiranno per riprendere la loro relazione amorosa, mentre la città assiste alla condanna in tribunale di un potentato che aveva ucciso sua moglie e l’amante di lei: i tempi sono cambiati, e superati i concetti di una società patriarcale o addirittura feudale.
Fu il libro nuovo di uno scrittore che, già notissimo per la quindicina di titoli pubblicati, si rivelava nuovo anch’egli, distaccato dai dogmi della militanza politica che avevano caratterizzato i primi venticinque anni di una carriera letteraria incominciata a diciannove. Forse era stata, con il Congresso del Pcus del 1956, la fine dell’era e del mito di Stalin; forse era stato l’incontro con Zelia Gattai e col suo spirito italiano anarchico e ironico al tempo stesso; certo è che Amado, con la freschezza di Gabriela, aveva evidentemente trovato una nuova forma letteraria per esprimere la sua critica della realtà sociale: una forma compassionevole, partecipe, affettuosa, in cui i vecchi temi tornano (in realtà il romanzo di Gabriela si riallaccia a Terre del finimondo e a São Jorge dos Ilhéus, ovvero al cosiddetto «ciclo del cacao»), la volontà di denunciare lo sfruttamento delle classi lavoratrici resta, ma con un umorismo che smussa la crudezza delle vicende narrate, le storie degli uomini e delle donne (e degli orixá, i «santi» del candomblé spesso chiamati in azione) che affollano la povera, violenta, crudele, allegra, bellissima Bahia.
Il romanzo fu subito un grande successo, sei edizioni nel primo anno, poi le traduzioni all’estero, a trenta lingue, perché il personaggio di Gabriela, con la sua libertà che comportava la separazione della parola sesso dalla parola peccato, rappresentava in quegli anni una provocazione enorme (per chi sia troppo giovane per ricordare l’ipocrisia dell’epoca: il film inglese del 1957 The Naked Truth, ovvero la nuda verità, uscì in Italia col titolo La verità... quasi nuda). E infatti Amado ricevette tali minacce, dalle signore della buona società di Ilhéus offese nella loro rispettabilità, che per anni evitò di rimettervi piede.
Sbaglia, dunque, chi pensi che da questo spartiacque la letteratura di Amado si faccia folclore: sempre, nei suoi romanzi, la storia e la realtà del Brasile in genere, del Nordeste in particolare, occupano una posizione di fondo sulla quale i personaggi di primo piano proiettano vicende illuminanti. «Ogni volta - scrisse Amado - io sto più vicino al popolo, al popolo più povero, al popolo più miserabile, sfruttato e oppresso. Ogni volta cerco più anti-eroi...». E infatti le donne di Amado non si limitano a vivere le loro vite dure e sorridenti (Gabriella garofano e canella, Teresa Batista stanca di guerra), tenere e vittoriose (Dona Flor e i suoi due mariti, Vita e Miracoli di Tieta d’Agreste): esse rivendicano i loro diritti, lottano per sostenerli, pagano per questo prezzi altissimi, e se strappano ai lettori il sorriso e la commozione è perchè già ne hanno riscosso la solidarietà.
Eppure non era questo né il personaggio né il libro preferito di Jorge Amado, che privilegiava il Pedro Archanjo de La bottega dei miracoli. Come non capirlo? È questo il romanzo della «miscigenação», ovvero della mescolanza quasi generale di sangue bianco e nero che, per quanto negata, pervade la società brasiliana, e Pedro Archanjo è l’eroe (o l’anti-eroe) mulatto che ridicolizza questo rifiuto. Però lo stesso Amado ammetteva che la sua creatura più conosciuta era Gabriella, che solo intende di cibo e d’amore. Perché? «Perché lei - ha detto Jorge Araújo, professore di letteratura brasiliana - non obbedisce alle regole della grammatica sociale ed è capace di vivere il piacere come istanza della libertà umana». Come non appassionarsi, per una donna così.
Corriere della Sera 01.04.2008
Internet Sul primo numero Cacciari ed Eco. Verrà presentata questa sera a Milano
Ecco «Sophias», rivista online di filosofia
Di Armando Torno
Questa sera alle 18, alla Casa della Cultura di Milano (via Borgogna, 3) verrà presentata Sophias, rivista online quadrimestrale gratuita di filosofia. Diretta da Chiara Colombo, laureanda poco più che ventenne alla Cattolica di Milano, nel Numero 0 — già disponibile in rete: www.ilmondodisofia. it — sono ospitati, oltre l'editoriale, interventi di Massimo Cacciari (è l'articolo «Fare» scritto per l'Enciclopedia
filosofica Bompiani), Alessandro Ghisalberti ( L'abisso in Sant'Agostino)
e Massimo Marassi ( Il concetto di campo e la storia dei problemi).
Parte poi la rubrica «Contributi kantiani», curata da Piero Giordanetti, che si propone di pubblicare ogni numero note di commento ed esegesi alla Critica della ragion pura
del sommo tedesco, in modo da consentire a studenti e studiosi un aggiornamento costante su una delle opere fondamentali del pensiero. Chiudono questo numero-prova un'intervista a Carlo Sini e alcune poesie filosofiche di Umberto Eco.
Nell'incontro di questa sera si parlerà anche dell'associazione culturale «Il mondo di Sofia», sorta a Milano nel luglio 2007 con il beneplacito di Jostein Gaarder, autore dell'omonimo libro (tradotto da Longanesi). Da essa è nata la rivista. La quale non sostituisce quelle cartacee, come le prestigiose
Rivista di storia della filosofia
(Franco Angeli) o Elenchos (Bibliopolis), ma copre uno spazio in rete accessibile a un vastissimo pubblico.
In un dialogo con Massimo Marassi, professore di Filosofia della Storia alla Cattolica e padre culturale di
Sophias, chi scrive ha chiesto quali opere potranno essere continuamente commentate e chiosate online da questa rivista, accanto e oltre la Ragion pura di Kant. Ha risposto: «La
Metafisica di Aristotele e la Fenomenologia dello spirito di Hegel». E per il Novecento? Aggiunge: « Essere e tempo di Heidegger, il Tractatus di Wittgenstein». Sarà lui insieme a un abile timoniere editoriale come Mario Andreose, un appassionato che sa far di conto quale lo svizzero Silvio Leoni e un professore con crediti internazionali come Riccardo Pozzo — tutti presenti questa sera — a rendere feconda Sophias, sino a trasformarla nel portale di riferimento in Italia della filosofia.
Il Riformista 1 aprile 2008
TONINO IN RETE È MEGLIO DI MARZULLO IN TV
di Mambo: l'editoriale
Di Pietro è un mago della Rete. Il suo conflitto storico con la lingua italiana diventa pace eterna quando viaggia su Internet. È forse il politico più cliccato. Ha due blog. Il primo con il suo nome. Il secondo con quello del partito che ha fondato e a cui ha affittato il proprio appartamento per
farne una sede politica e anche un po¹ di soldi (tiene famiglia, pure il ministro). Sui blog trovi una marea di video. Di Pietro in camicia, Di Pietro con la giacca, Di Pietro che parla a Repubblica Tv. C¹è Transilvania T. che fa l¹elenco di quanto gli faccia schifo il partito di Di Pietro ma lo
vota lo stesso. Poi ci sono i rimandi a Beppe Grillo che a sua volta rimanda a Di Pietro. Poi ci sono, infaticabili, i Di Pietro bloggers. Sono tanti.
Scrivono su tutto. Fino a ieri notte sono stati 917 sui temi del lavoro, 642 sulla sicurezza, 779 sulla legalità, 852 sulla politica, 728 sull¹informazione. Si può dire che sia riuscito a Di Pietro, attraverso la Rete, il collegamento della politica più mestierante con l¹antipolitica. E
si sfiora il sublime. Scrive un candidato da eleggere al Nord, il medico di Napoli Antonio Palagiano: «Devo presentarmi, a volte raccontarsi diventa una necessità per fermare un momento, un¹emozione, un¹esperienza. Per parlarsi.
Per capirsi... Non morire mai completamente in tutte quelle volte in cui in una vita si muore per poi rinascere di nuovo». E qui capite che il nuovo di Walter incontra inesorabilmente Gigi Marzullo.
Filosofia. Il fallito tentativo di completare "Essere e Tempo" in un saggio rimasto inedito e che doveva essere pubblicato solo cent'anni dopo la morte
Il naufragio di Heideggernel gran mare dell‚Essere
di Franco Volpi
Dalla baita di Todtnauberg, nell'alta Foresta Nera, «dove tutto è ancora come una volta», il 18 settembre 1932 Heidegger scriveva all'amica Elisabeth Blochmann: «Per il momento sto studiando i miei manoscritti, cioè leggo me stesso, e devo dire che, in positivo e in negativo, mi risulta molto più fruttuoso di altre letture». Forse che qui „la volpe Heidegger" - come lo apostrofava Hannah Arendt - cominciava a mordersi la coda? No, Heidegger cercava soltanto di ritrovare se stesso e di portare a termine Essere e tempo, l'opera pub blicata come „Prima parte‰ nel 1927 e di cui il mondo filosofico aspettava la seconda. Nella stessa lettera aggiungeva: «Già si fanno speculazioni e discorsi sul fatto che starei scrivendo Essere e tempo II. E va bene. Tuttavia, dato che Essere e tempo I è stato per me un cammino che mi ha portato da qualche parte ma che adesso non è più ba ttuto ed è ormai ricoperto di vegetazione, non posso più assolutamente scrivere Essere e tempo II. Né sto scrivendo alcun libro».
Heidegger stava in realtà pensando a una nuova grande opera, i Contributi alla filosofia, in cui intendeva riprendere la problematica della parte rimasta inedita di Essere e tempo. A interrompere il progetto sopraggiunse il fatale intermezzo politico del 1933, e solo dopo le dimissioni da rettore Heidegger ritroverà la concentrazione per realizzarlo. Tra il 1936 e il 1938 stende la nuova opera, ma la lascia inedita e dispone che sia resa pubblica solo a cent'anni dalla sua morte. Contrariamente al suo volere, essa è stata edita nel 1989 per il centenario della nascita, ed è ora tradotta da Adelphi (anche se priva di una adeguata introduzione, in ottemperanza a un'ottusa disposizione degli eredi, cui peraltro altri editori italiani, a ragione, non si attengono).
NUOVO APPROCCIO ALL‚ ESSERE. Avvolti in un'aura esoterica, e salutati come il secondo capolavoro di Heidegger, in realtà i Contributi rimangono ancora tutti da spiegare e da interpretare. Costruiti su un'ardita architettonica e scritti in un linguaggio insolito e ostico, sono il tentativo più organico e coerente - dopo la cosiddetta „svolta", cioè dopo l'interruzione del progetto di Essere e tempo - di trovare un nuovo approccio al problema dell'Essere. Essi squadernano un universo speculativo profondamente diverso e sorprendente rispetto a quello di Essere e tempo. Abbandonata la comprensione quasi trascendentale dell'esistenza, concentrata sul suo autoprogettarsi nel futuro, l'attenzione si rivolge ora alla immemoriale provenienza della fatticità: all'Essere stesso. Già, ma come pensare l'Essere se in linea di principio esso si sottrae alla nostra presa? La via tentata da Heidegger si orienta su un concetto, «intraducibile al pari della parola greca Logos e di quella cinese Tao», come egli stesso dichiarerà: Ereignis, "evento-appropriazione". Esso indica la coappartenenza di Essere ed essere umano, caratterizzata da una alternanza di manifestazioni e occultamenti che ritmano le „epoche" della storia tra un primo inizio greco e l‚"altro inizio" postmetafisico. Intorno a tale concetto Heidegger o rchestra tutta una serie di motivi, tra cui una sua diagnosi della modernità come epoca segnata dal „deserto che avanza" del nichilismo, cioè dalla dimenticanza dell'Essere e dal predominio dell'ente. E sceglie due figure di riferimento, che trasfigura in simboli: Nietzsche, che porta a compimento la metafisica, e Hölderlin, il poeta degli dei fuggiti, che annuncia l'evo a venir e.
IN MANOSCRITTO. I Contributi, consentono di scorgere l'ampio disegno speculativo sotteso alle meditazioni apparentemente disparate dello Heidegger dopo la „svolta". In ciò sta senza dubbio la loro importanza. Ma essi rimangono un'opera di transizione, lasciata non a caso allo stato di manoscritto, in cui chi sa leggere percepisce la cautela, la vigilanza critica e l'insoddisfazione di Heidegger nei confronti dei suoi stessi concetti. Si ha l'impressione - venuta meno la sorpresa iniziale e frequentato il testo con una certa assiduità - che il genio filosofico di Heidegger, la sua fantasia e la sua creatività si isteriliscano e subiscano un'involuzione. Forse per la natura stessa dell'interrogare filosofico, che spingendosi alla massima radicalità non si ferma dinanzi a nulla ma attacca e corrode tutto. Forse perché il pensare di Heidegger finisce per girare a vuoto, rinchiuso nel recinto della sua intelligenza come in una gabbia. In questo senso, anche lo stile dell'opera non è - come si è detto - sentenziale o aforistico, ma è qualcos'altro: ha la brevità, l'insistenza, la ripetitività che sono tradizionalmente proprie dei mantra, dell'orazione e della litania, più che dell'argomentazione filosofica.
CORPO A CORPO CON NIETZSCHE. Alla fine della stesura dei Contributi - che coincide c on il corpo a corpo con Nietzsche svolto nelle lezioni universitarie coeve - Heidegger cade in una profonda crisi filosofica e personale. Medita anche il suicidio, come si può inferire da un testamento (Le mie ultime volontà) di cui gli eredi negano l'esistenza. A Jaspers confiderà sconsolato: «Ho la sensazione di crescere ormai solo nelle radici, non più nei rami». Effettivamente il fuoco appiccato da Nietzsche brucia ormai per tutta la casa, e Heidegger non trova più concetto, intuizione o proposta filosofica che resista a una interrogazione filosofica radicale. L'esperienza di Nietzsche vuota le sue metafore, tarpa i suoi slanci, mina alle fondamenta la costruzione dei Contributi. Nella triste luce dell'esaurimento, l'Essere - quest'ospite solitamente fugace dei nostri pensieri - rimane per lui l'ultima chimera che valga la pena di sognare. Ma quanto più i suoi sforzi mirano a quest'unica meta, tanto più i sentieri gli appaiono interrotti.
[\FIRMA]FEROCI CRITICHE. -La sua intermittente sperimentazione filosofica e il suo „procedere tentoni" in questo sogno hanno prestato il fianco a critiche da far tremare i polsi. Si è detto: Heidegger rifiuta la razionalità moderna con lo stesso gesto sottomesso con cui ne riconosce il dominio. Richiama la scienza che "non pensa" ai suoi limiti. Demonizza la tecnica fi ngendo di accettarla come destino. Fabbrica una visione del mondo catastrofista. Azzarda tesi geopolitiche quanto meno avventurose - l'Europa stretta nella morsa tra americanismo e bolscevismo - e soffia sul mito greco-germanico dell'originario da riconquistare. Anche le sue geniali sperimentazioni linguistiche implodono, e assumono sempre più l'aspetto di funambolismi, anzi, di vaniloqui. Il suo uso dell'etimologia si rivela un abuso. La convinzione che la vera filosofia possa parlare soltanto in greco antico e tedesco (e il latino?), una iperbole. La sua celebrazione del ruolo del poeta, una sopravvalutazione. Le speranze da lui riposte nel pensiero poetante, una pia illusione. La sua antropologia, in cui l'uomo funge da pastore dell'Essere, una proposta irricevibile e impraticabile. Enigmatico non è tanto il pensiero dell'ultimo Heidegger, bensì l'ammirazione supina e priva di spirito critico che gli è stata tributata e che ha prodotto tanta scolastica.
Non è detto che queste critiche colgano nel segno. Ma se così fosse, allora i Contributi alla filosofia, questo tentativo fallito di completare Essere e tempo, sarebbero davvero il diario di bordo di un naufragio. Per avventurarsi troppo al largo nel mare dell'Essere, il pensiero di Heidegger va a fondo. Ma come quando a inabissarsi è un grande bastimento, lo spettacolo c he si offre alla vista è sublime.