«Correnti? Il vero problema sono i contenuti»
Cuperlo: manca ancora un’identità «Troppe nomine decise dall’alto»
di Maria Zegarelli
VELTRONI gli aveva proposto il ministero ombra della Semplificazione, quello di Calderoli, ma la risposta è stata un gentile «Caro Walter apprezzo molto il fatto che tu me lo abbia proposto, ma non è nelle mie competenze». Gianni Cuperlo, parlamentare Pd, nella casella delle correnti viene piazzato in quella dalemiana.
Cuperlo, Iniziamo dal governo ombra: Lei è tra chi ci crede o tra gli scettici?
«Spero che sia in grado di incalzare il governo vero e non solo con dei “no”, ma anticiparne le soluzioni sui temi di fondo. Detto ciò, a noi non basta avere delle buone proposte di legge alternative. Il voto ci ha detto che abbiamo fatto la migliore campagna elettorale possibile, e questo grazie alla scelta di andare “liberi” e alla brillante iniziativa di Veltroni che ha il merito oggettivo di aver messo in sicurezza il progetto del Pd. Ma ci ha anche detto che non siamo riusciti a far passare la nostra idea del paese, della crescita, della sicurezza, dei diritti, della responsabilità del singolo».
Perché non è arrivato questo messaggio?
«Perché non basta su ciascuno di questi terreni inseguire il vocabolario degli altri. Noi abbiamo la necessità di adottarne uno nostro e possibilmente nuovo. Quindi, bene il radicamento territoriale del Pd, ma conta anche cosa andiamo a dire. Soprattutto a quei pezzi di società che ci hanno chiesto negli anni scorsi un benessere materiale e che invece hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita. Anche per questo è maturato “il rancore”, di cui parla Aldo Bonomi. Ma verso un sentimento di quel tipo non basta un buon programma di governo, e noi ne avevamo uno ottimo: occorre arrivare a alla pancia e alla testa della maggioranza delle persone con una identità e una idea del paese».
Allora come se lo spiega questo dibattito sulla resa dei conti interna al Pd se la priorità è un’altra?
«Il nostro problema è proprio discutere nel merito alcuni di questi contenuti. Prendiamo la sicurezza, ritenuta una delle cause della sconfitta. Quando Blair, nel 1993 aggredisce l’emergenza sicurezza parla “della coscienza addormentata del paese”. Investe su una concezione alta della responsabilità dell’individuo, parla di valori, per prevenire quello che definisce “un caos morale”. Ne discendono nuove politiche pubbliche, anche repressive, ma non solo. Punta su una crescita civile della comunità. E vince anche per questo».
Lei ha detto che nel Pd manca democrazia interna. Si riferisce alle nomine degli organismi dirigenti?
«Vedo oggi nella vita democratica di questo partito, anche nei suoi assetti, compresi gli ultimi, un problema di metodo e uno di merito. Partiamo dal metodo: in questi mesi dopo le primarie abbiamo avuto un esecutivo, un Comitato politico, la composizione delle liste, il governo ombra e il coordinamento, tutti nominati dal leader. Abbiamo confermato le presidenze dei gruppi senza prima un confronto politico. Capisco la fase transitoria, ma servono regole diverse. Quanto al merito: si dice che le correnti sarebbero la tomba del Pd. Ma finora tutte le scelte, o quasi, si sono fondate su una logica correntizia. Liste, caminetto, coordinamento, presidenze dei gruppi, fino agli incarichi istituzionali in Parlamento».
D’Alema si è chiamato fuori...
«D’Alema ha promosso un incontro dei parlamentari, in veste di presidente dell’associazione Italianieuropei,dove si è parlato di come arricchire in termini di idee il lavoro dell’opposizione e del Pd. È scoppiato un caso. Ma non è un mistero che nei mesi scorsi si sono riunite e legittimamente correnti e componenti di vario tipo, da Morando a Fassino ai Popolari. Sa quale è la verità? Considero D’Alema un pensatore libero, un leader che dice cose intelligenti e utili, ma quanto a capo corrente, lascia molto a desiderare. Sono dodici anni che aspetto una convocazione della corrente dalemiana. E temo che ormai non accadrà più».
E del coordinamento cosa pensa?
«Faccio i miei migliori auguri di buon lavoro, ma faccio sommessamente notare - oltre al fatto che è composto da nove uomini e una donna - che sono più o meno gli stessi di quindici anni. Li stimo uno per uno, comprerei da loro non un auto usata ma tutta la concessionaria. Però forse non basta più. Penso che vada superata la logica della decorazione sulla torta, singole ciliegine a rappresentare il rinnovamento, quando la torta è sempre la stessa. Comincio a pensare che c’è un tappo e che vada fatto saltare perché ci sono risorse che vanno valorizzate: penso a nomi come Zingaretti, Fassina, Orlando, che è il capo dell’organizzazione. E a figure di altre generazioni, perché non credo che l’innovazione vera sia un dato solo generazionale. Ovunque dopo un risultato simile si aprirebbe un confronto sincero. E si rimescolerebbero ole energie. Abbiamo davanti cinque anni di opposizione. Cambieranno l’Italia. Cerchiamo di non essere i soli a restare fermi».
l'Unità 11.5.08
Sd sceglie Claudio Fava. Prove di dialogo col Pd
L’europarlamentare eletto coordinatore al posto di Mussi
Veltroni: «Incontriamoci». La risposta: «Sì, lavoriamo insieme»
di Roberto Brunelli
«CARO CLAUDIO...». «CARO WALTER...». Quel pezzo d’Arcobaleno che si chiama Sinistra democratica per primo alza la testa dalle macerie del dopo voto, per primo inizia a ricostruire il suo futuro: che è quello di dare vita a una nuova fase costi-
tuente del centrosinistra. Mentre il prisma della Cosa Rossa va in frantumi, con Rifondazione e Pdci in cerca di una nuova radicalità e i Verdi alla riconquista dell’ambiente perduto, dentro Sd la parola è dialogo. Dialogo con il Pd, per la precisione, attenzione al suo dibattito interno, «a cominciare da quello delle alleanze». Ieri il comitato promotore di Sd si è riunito per scegliere il nuovo coordinatore, l’uomo che seguirà Fabio Mussi alla guida del movimento. Quell’uomo è Claudio Fava, eletto all’unanimità dai trecento presenti (due soli astenuti). E l’europarlamentare è stato eletto con un mandato preciso: rimettere insieme i cocci della sinistra a sinistra del Pd, sì, ma nell’ottica di ricostruire un centrosinistra di governo. «Chi ritiene di essere autosufficiente è fuori da questo percorso», dice Fava. «Ritenteremo l’innesco di un percorso unitario», gli fa eco Mussi al termine della riunione del comitato. Vietato, insomma, «chiudersi nel ghetto dell’opposizione».
E un segnale dal Pd, da Veltroni in persona, è arrivato subito. Il segretario del Partito democratico ha inviato una lettera di auguri al neoeletto coordinatore. «Ho seguito con rispetto l’avvio della discussione dentro Sd: diverse sono oggi le nostre analisi, ma certamente il voto ci consegna una situazione politica profondamente mutata e impone a ciascuno di dare risposte ai problemi del paese». Per questo motivo, aggiunge il leader del Pd, «nel pieno rispetto delle diverse posizioni, credo sia opportuno fissare in tempi ravvicinati un incontro di lavoro». Dopo poco di più di mezz’ora la risposta: «Caro Walter, sono pronto a incontrarti. Sarà occasione per mettere nuovamente al centro il nostro comune sforzo per un nuovo centrosinistra in questo paese. Ciascuno con l’autonomia delle proprie posizioni e del proprio percorso, ma sapendo che, su un piano di pari dignità, una collaborazione proficua è possibile tra il Pd e il nostro progetto di Costituente di sinistra».
Insomma, qualcosa si è messo in moto, al di là delle cortesie, al di là delle battute (diceva Mussi ieri: «Il match Veltroni-D’Alema? Dejà vu, sembra una delle tante finali di coppia Italia tra Roma e Inter...»), al di là delle critiche («Il governo ombra? Pratiche antiche. Il Paese ha bisogno di un’opposizione alla luce del sole», commenta Fava alla sua prima uscita pubblica). Il nuovo coordinatore ha chiaro quale sia il suo mandato: è «il nostro contributo alla costruzione di un forte soggetto politico di sinistra». Un percorso non facile: il nuovo coordinamento guiderà Sd fino a luglio, quando ci sarà la prima assemblea nazionale. Ma già fin d’ora è lampante la presa di distanza rispetto agli altri ex dell’Arcobaleno, per esempio per quello che riguarda la diatriba sui simboli: «La comunità a cui ci rivolgiamo non misura la sua affidabilità sui simboli e sul richiamo di memorie anche visibili, ma su noi stessi». E a proposito della débacle, Claudio Fava parla di «profonda miopia della sinistra», dice dell’«eccessiva attenzione a ciò che accade nelle nostre stanze, scarsa attenzione alle cose profonde che stravolgono il paese nel suo senso comune».
È tutto lì, il punto. Anche Mussi, di cui si parla come futuro presidente Sd («certo non intendo andare in pensione») fa una valutazione severa sul voto. Gli errori sono stati tanti, c’è stato il problema di un percorso «del tutto immaturo al momento della caduta del governo». L’esito è stato devastante, ma non solo per l’Arcobaleno. Per questo «c’è bisogno di una sinistra che si rinnovi, che esca dalle trincee: è sì necessaria una selezione, è necessario ricostruire un dialogo col Pd». Ma è un processo dal quale il Pd non può ritenersi immune: intanto perché «c’è bisogno di un soggetto forte alla sua sinistra», e poi perché «la scelta centrista non ha portato, di fatto, alla conquista dei voti di centro». Rinnovamento, s’è detto: mentre in Germania «Die Linke» è riuscita a darsi una connotazione di forte novità, in Italia l’Arcobaleno ha trasmesso un che di conservativo. Ora è necessario costruire un orizzonte più ampio. Fava l’ha detta così: «Scommettiamo sulla capacità di mettere insieme sinistra di governo e sinistra di opposizione facendo capire una volta per tutte che non esiste una sinistra solo per il governo e una sinistra solo per l’opposizione». Si comincia dunque dalle prime file di Sd. Per Mussi non c’è dubbio: è Fava l’uomo giusto. Ma bisogna ripartire dal territorio. «Rispetto alle politiche, alle amministrative l’Arcobaleno ha preso il triplo dei voti: ci sono milioni di voti a sinistra del Pd». È lì che si guarda, rimuovendo le prime macerie.
CHI È. Europarlamentare, giornalista, sceneggiatore... e nel ’99 Walter lo volle segretario Pds in Sicilia
NON È DA IERI che si incrociano le strade del nuovo coordinatore di Sinistra democratica e di Walter Veltroni. Infatti, fu nel febbraio 1999 che l’allora neo segretario dei Ds volle Claudio Fava come segretario regionale del partito in Sicilia e capolista alle elezioni europee del 1999. Laureato in giurisprudenza, giornalista professionista dal 1982, figlio di Giuseppe Fava (fondatore de I Siciliani e assassinato dalla mafia il 5 gennaio 1984), Claudio Fava è nato nel ‘57 a Catania. Ha lavorato per il Corriere della Sera, L'espresso, l'Europeo e la Rai, in Italia e dall'estero, incrociando quasi da subito l’attività professionale con l’impegno politico. Tra i fondatori de La Rete di Leoluca Orlando, è stato deputato dell'Assemblea regionale siciliana (1991), deputato alla Camera dal 1992 al 1994, anno in cui lascia La Rete e aderisce a Italia Democratica di Nando Dalla Chiesa. In effetti Fava diverrà, non senza polemiche, segretario regionale dei Ds (dal marzo 1999 al giugno 2001), membro della direzione nazionale dei Ds. Nel 2003 si è candidato alla presidenza della provincia di Catania, venendo sostenuto da tutto il centrosinistra tranne lo Sdi: ha ottenuto però solo il 31,3% dei consensi ed è risultato sconfitto dal rappresentante della Casa delle Libertà Raffaele Lombardo. Eletto due volte deputato del Parlamento europeo (nel 2004, per la lista di Uniti nell'Ulivo, circoscrizione isole, ha ricevuto 222 mila preferenze), iscritto al gruppo parlamentare del Partito Socialista Europeo, vicepresidente della Commissione per lo sviluppo regionale e membro della Commissione per gli affari esteri, ha aderito nel maggio del 2007 ha aderito a Sinistra Democratica. Per le polithce 2008 era candidato per il Senato come capolista della Sinistra Arcobaleno nella circoscrizione Sicilia. È autore del libro La mafia comanda a Catania 1960/1991 del 1992 ( Laterza). Ha scritto, assieme a Monica Zapelli e Marco Tullio Giordana, la sceneggiatura de I cento passi, premiata, nel 2001, con il Leone d'Oro, con il Davide di Donatello e con il Nastro d'Argento. Assieme a Domenico Starnone e Stefano Bises, ha curato anche la sceneggiatura della fiction Il capo dei capi (2007) sul boss mafioso Totò Riina.
l'Unità 11.5.08
Rifondazione. È battaglia sulle regole
Vendola si candida
ROMA Rifondazione si avvia al congresso (che si terrà a Chianciano dal 24 al 27 luglio) prigioniera di un inestricabile viluppo di diffidenze, rancori, rimpianti. Nella riunione del Comitato politico nazionale che deve licenziare i documenti congressuali la vera contesa è attorno al regolamento congressuale: l’area bertinottiana spinge per votazioni aperte per ore, nei circoli, dopo il dibattito; chi avversa questo sistema, è la tesi, non vuole «un partito di massa». Dall’altra parte si insinua che gli uomini di Giordano vogliano vincere il congresso grazie ai signori delle tessere, agli assessori che fanno votare parenti e clienti. Il voto sulle regole è previsto oggi, nella seconda giornata di riunione. In questo clima di sfiducia così aspro cade nel vuoto l’ultimo rituale appello di Claudio Grassi e Paolo Ferrero a fare un congresso a tesi, per «difendere il corpo del partito» da lacerazioni ulteriori. E già oggi Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, dovrebbe annunciare la sua candidatura alla segreteria, come leader della mozione congressuale bertinottiana. Per ora il leader pugliese si limita a dire «rifletterò», ma è il segreto di Pulcinella. Intanto accusa gli avversari di volere un congresso «con il torcicollo», cioè con la testa rivolta al passato. E a chi gli chiede come pensa di conciliare i ruoli di leader del Prc e governatore retto dai voti del Pd, replica ricordando con orgoglio le sue competizioni elettorali disperate sempre vinte sul filo di lana: «Sono l’uomo delle sfide impossibili». Al congresso di Chianciano, oltre alla mozione bertinottiana ci saranno quella Ferrero-Grassi-Mantovani e quella delle due minoranze organizzate, Falce e martello guidata da Claudio Bellotti e l’Ernesto di Gianluigi Pegolo, Fosco Giannini e Leonardo Masella. Probabile anche la quinta mozione, scritta da Walter De Cesaris e Franco Russo della ex maggioranza, che rappresenta un tentativo di mediazione fra i due gruppi principali in lotta, e che raccoglierà probabilmente l’adesione di una parte delle femministe del partito.
Il segretario, secondo le regole in vigore, sarà eletto dal nuovo Comitato politico nazionale eletto al Congresso. Chi vorrà governare il partito, quindi, avrà bisogno della maggioranza assoluta. Sembra tramontata, al momento, l’ipotesi che Fausto Bertinotti si schieri apertamente nel dibattito interno, sottoscrivendo la mozione dei suoi fedelissimi: «Troverà il modo - dicono gli uomini di Giordano - di far conoscere il suo orientamento, ma se firmasse sarebbe la mozione di Bertinotti». Un biglietto da visita che evidentemente a Rifondazione non aiuta. Ma sulla mozione Giordano si addensano malumori anche all’interno dell’area dell’ex maggioranza interna. Chi ha letto le prime bozze, parla di una mozione tutta sulla difensiva.
l'Unità 11.5.08
Metalmeccanici, il caso Rinaldini scuote la Cgil
Dura risposta della confederazione alla minaccia di dimissioni. Posizioni divergenti nella Fiom
di Laura Matteucci
DIVISIONI Tensione, valutazioni scarne ma dure nella Cgil. Divisioni sempre più marcate ed esplicite in Fiom. Il caso di Gianni Rinaldini, che si dice pronto a seguire le sorti dei quattro dirigenti della Fiom milanese colpiti da provvedimenti disciplinari di sospen-
sione, fa emergere le divergenze interne al sindacato nella loro effettiva gravità. Prima in un’intervista, adesso in una lettera all’Unità, Rinaldini forma e precisa la sua posizione, dopo lo strappo di settimana scorsa, quando si è allontanato dal direttivo sulla riforma della contrattazione. Lo stesso direttivo in cui ha dichiarato di assumersi la responsabilità per i dirigenti sospesi. La conferenza nazionale di organizzazione della categoria di giovedì e venerdì prossimi, presente anche Guglielmo Epifani, diventa così una sorta di redde rationem complessivo. Al centro della discussione, in realtà, la riforma del modello contrattuale di cui è stata appena approvata la piattaforma unitaria. E qui le opinioni divergono anche massicciamente.
Un caso disciplinare, un episodio avvenuto un anno fa, si è trasformato insomma in un terremoto sindacale e ha acuito lo scontro interno alla Fiom e tra la Fiom e la «casa madre».
La Cgil per il momento fa quadrato e affida la sua replica alla segretaria Carla Cantone, che definisce le dichiarazioni di Rinaldini «incredibili e inaccettabili», sottolinea l’autonomia del comitato di garanzia interno al sindacato, evita di parlare di conflitti politici in corso con l’organizzazione dei metalmeccanici, e anzi ricorda che «nessuno ha mai considerato tali procedure come atti politici».
Ma, intanto, quelle di Rinaldini rischiano di non essere le uniche autosospensioni possibili in casa Fiom. Da posizioni quasi antitetiche, il segretario nazionale Fausto Durante si dichiara «molto amareggiato» e arriva a conclusioni analoghe: «La discussione va fatta fino in fondo. Non si può confondere la vicenda di Milano con un attacco al dissenso - dice - Altrimenti, non vedo perchè dovrei rimanere lì». «Siamo di fronte ad un processo lento ma costante di definizione dell’identità della Fiom come alternativa alla Cgil», continua.
Durante ha una sua tesi già da tempo: è convinto sia in atto «un tentativo di opa sulla Fiom da parte di Rifondazione», un tentativo che la scomparsa della sinistra dal Parlamento renderebbe anche più pressante.
Giorgio Airaudo, segretario della Fiom di Torino, la mette giù diversamente, e stigmatizza un processo di «centralizzazione» da parte della Cgil, che «in effetti un vulnus democratico lo apre». Ancora: «La Cgil ha sempre ospitato un po’ tutte le posizioni della sinistra, spero si eviti la direzione di semplificazioni poco democratiche - continua Airaudo - Nel caso specifico, la sanzione per i dirigenti milanesi la trovo sproporzionata. Colpisce il clima di intolleranza crescente nelle strutture confederali verso tutto ciò che riguarda la Fiom». E, secondo Airaudo, le parole di Rinaldini ne sono un’evidente conferma: «Perchè lui, a differenza di quanto forse può sembrare, è persona molto pacata e per nulla estremista».
Di centralizzazione, anzi più apertamente dell’esistenza ormai di «modello autoritario di organizzazione», parla anche un altro segretario nazionale, Giorgio Cremaschi: «Sono in discussione i fondamentali nella Cgil - dice - Siamo di fronte ad un’involuzione moderata. La Cgil di oggi è lontana anni luce da quella dei 3 milioni in piazza nel 2002. E la vicenda di Milano è un’aggravante, un’altra spia della tendenza a risolvere per via amministrativa le difficoltà dell’organizzazione. Che invece vanno affrontate aprendosi e discutendo».
l'Unità 11.5.08
Tra un mese Maselli torna sul set (delle fatiche e dei dolori della sinistra)
Dovrebbero cominciare fra poco più di un mese le riprese di «Il fuoco e la cenere» (il titolo non è confermato), il nuovo film di Francesco Maselli, prodotto da Cattleya.
Il regista, che era tornato l’anno scorso dietro la macchina da presa con il mix di documentario e fiction «Civico zero» (candidato ai Nastri d’Argento), preferisce non dire nulla del progetto («Ho firmato un accordo di riservatezza con i produttori»), ma a quanto si apprende, sarà una storia corale ambientata nell’Italia di oggi. Fra gli interpreti, anche se in un piccolo ruolo, ci sarà Luca Lionello.
Maselli aveva già accennato alla pellicola in un’intervista di qualche mese fa a Il Mattino di Napoli, dicendo che sarà «un film sulle difficoltà che incontrano le diverse anime della sinistra italiana.
Dopo la caduta del governo Prodi abbiamo rinviato le riprese, non volevamo infierire». Il cineasta aveva già girato qualche scena lo scorso autunno all’interno e all’esterno del Padiglione ungherese della Biennale d’arte di Venezia.
Fin qui il testo dell’agenzia Ansa. Non possiamo che accodarci al coro di quanti sono in attesa di questo nuovo lavoro del regista. Anche perché, a quanto pare, ci servirà da specchio. E non è detto che quanto riflette uno specchio debba piacere a tutti. Ma servirà.
Repubblica 11.5.08
La dolce dittatura della nuova democrazia
di Eugenio Scalfari
Con quello che capita nel mondo e soprattutto nel Medio Oriente, terra rivierasca del lago Mediterraneo, verrebbe voglia di sorvolare sui fatti di casa nostra, i primi passi del Berlusconi-Quater, il governo-ombra del Partito democratico, l´eterno duello eternamente smentito tra Veltroni e D´Alema. A paragone dell´orizzonte planetario sono cosette di provincia, ma quella provincia è casa nostra e quindi ci tocca da vicino. Ne va dei nostri interessi, delle nostre convinzioni e delle nostre speranze.
L´impatto della crisi libanese provocata da Hezbollah e di quella israeliano-palestinese provocata da Hamas è comunque troppo violento per esser trascurato. Per di più abbiamo in Libano un contingente di tremila soldati, la nostra più importante missione militare la cui sorte condizionerà inevitabilmente le altre nostre presenze all´estero a cominciare da quella in Afghanistan.
A questo punto si pone la prima domanda: esiste un legame strategico tra le iniziative militari e politiche di Hezbollah e quelle di Hamas? E – seconda domanda – si tratta di iniziative autonome o ispirate dall´esterno? C´è un´indubbia affinità tra quei due movimenti: entrambi hanno caratteristiche strutturali nei rispettivi teatri d´operazione; entrambi sono al tempo stesso milizie armate e strutture assistenziali, educative, sociali. Anche religiose, soprattutto per quanto riguarda Hezbollah.
Probabilmente Hamas ha in se stessa la sua referenza ideologica e politica ma subisce ovviamente un forte condizionamento dal contesto della regione; la tuttora mancata pacificazione irachena e la presenza da ormai cinque anni di un´armata americana impantanata dalla guerriglia sciita e sunnita tra Bagdad e Bassora ha impedito il rafforzamento dell´Autorità palestinese favorendo invece il nazionalismo di Hamas e la sua identificazione con il panarabismo radicale e con il terrorismo.
Per Hezbollah il fattore religioso ha sempre giocato un ruolo primario; il vincolo sciita ha progressivamente spostato la sua dipendenza da Damasco a Teheran. Allo stato attuale si gioca sullo scacchiere libanese una triplice partita: quella d´una grande Siria in funzione antisraeliana, quella d´un blocco sciita contro i governi arabi filo-americani e quella di un nazionalismo libanese come nuova potenza islamica e mediterranea.
In un quadro così complesso emerge drammaticamente l´assenza d´una politica unitaria europea e la pochezza della politica mediorientale americana. Emerge altresì la catena di errori commessi dai governi d´Israele dalla fondazione di quello Stato fino ad oggi: sessant´anni di occasioni perdute, una guerra diventata endemica, l´evocazione dal nulla d´una nazione palestinese inesistente sessant´anni fa e il miraggio d´una pace che si allontana sempre di più. La formula "due paesi due Stati" ha un fascino lessicale che corrisponde sempre meno alla realtà. Il solo modo di realizzarla sarebbe quello di collocarla in un quadro internazionale sponsorizzato dall´Onu, dalla Nato e dall´Unione europea, impensabile tuttavia fino a quando l´Europa non disponga di istituzioni federali e di una sua politica estera e militare. Siamo cioè più nel regno dei sogni che in quello della realtà.
Nel frattempo il nuovo governo italiano si è installato ed è iniziata la quarta reincarnazione berlusconiana all´insegna di una dolce dittatura, come abbiamo già avuto modo di scrivere domenica scorsa.* * *
Dittatura dolce è un ossimoro con il quale cerchiamo di configurare un´entità politica inconsueta ma reale. Ci sono due polarità nel Berlusconi-Quater, che si confronteranno tra loro nei prossimi cinque anni e che convivono all´interno del triumvirato Forza Italia-An-Lega ma perfino all´interno di ciascuno dei tre partiti alleati. Convivono addirittura nella personalità dei tre leader e dei loro stati maggiori.
Il "lider maximo" è probabilmente il più consapevole di questa duplice polarità e della blindatura zuccherosa che è l´immagine più realistica del governo testé insediato. Per questa ragione egli ha privilegiato la compattezza sul prestigio collocando nei dicasteri e nelle posizioni più sensibili persone clonate sulla fedeltà al capo piuttosto che sul prestigio e sulla competenza.
Blindatura zuccherosa evoca sia il populismo sia il trasformismo, due elementi connaturati a tutto il quindicennio berlusconiano e profondamente radicati nella storia politica e antropologica del nostro Paese. Nei suoi primi atteggiamenti di nuova maggioranza tutti i dirigenti già insediati nelle varie cariche istituzionali, ministri, sindaci, presidenti di Regione e di Provincia, non fanno che lanciare appelli di collaborazione ai talenti individuali lasciando in ombra il ruolo dell´opposizione.
Questa a sua volta tende a concentrare la sua forma-partito per esorcizzare tentazioni centrifughe e fughe in avanti verso ipotesi immaginarie.
L´aspetto più visibile della blindatura zuccherosa è il tentativo di coinvolgere il Capo dello Stato effettuato da Berlusconi il giorno stesso del giuramento nella sala del Quirinale durante il brindisi augurale con i nuovi ministri e in assenza del presidente Napolitano appena ritiratosi per urgenti impegni istituzionali. «Questa legislatura - ha detto il neo-presidente del Consiglio - procederà sotto il segno di un patto con il presidente della Repubblica che avrà il nostro pieno appoggio e al quale sottoporremo le linee guida del governo per averne consiglio e preventivo incoraggiamento».
Una simile dichiarazione era del tutto inattesa dopo una fase di crescente disagio reciproco tra i due massimi poteri istituzionali. Essa rivela la preoccupazione di Berlusconi di fronte alla complessità dei problemi da affrontare e il suo bisogno di collocare il governo nel quadro d´una "moral suasion" preventiva e preventivamente sollecitata e ascoltata come tramite e garanzia di fronte ad un´opinione pubblica frammentata e instabile.
Il Quirinale non ha fatto alcun commento alle parole del presidente del Consiglio né poteva farlo essendo esse del tutto informali; del resto i rapporti tra la presidenza della Repubblica e il potere esecutivo si sono sempre basati sulla collaborazione, ferma restando la netta distinzione dei reciproci ruoli. La "moral suasion" è sempre stata uno degli strumenti di quella collaborazione nell´interesse dello Stato, a cominciare dai "biglietti" tra Quirinale e Palazzo Chigi ai tempi di Luigi Einaudi. Ma altro è la collaborazione istituzionale tra due poteri dello Stato, altro la confusione dei ruoli e un patto di legislatura che equivarrebbe ad una sorta di "annessione" del Capo dello Stato alla maggioranza parlamentare.
Annessioni del genere ci furono durante la Prima repubblica e raggiunsero il culmine con la presidenza Leone, ma dalla presidenza Pertini in poi scomparvero del tutto e i ruoli riacquistarono la doverosa nettezza prevista dalla Costituzione. Nettezza tanto più necessaria in una fase in cui - al di là del conteggio dei seggi parlamentari - la maggioranza è stata votata dal 47 per cento degli elettori.
* * *
Sappiamo che il nuovo governo, subito dopo il voto di fiducia, si appresta ad affrontare i due primi e importanti appuntamenti: quello della sicurezza e quello dell´economia per un rilancio della domanda interna. Questioni complesse e irte di difficoltà. Il ministro dell´Interno, Maroni e quello della Giustizia, Alfano, stanno lavorando sul primo tema; il ministro dell´Economia, Tremonti, sul secondo.La premessa al pacchetto "sicurezza" è una direttiva europea in corso di avanzato esame, che dovrebbe prolungare la permanenza degli immigrati nei centri di accoglienza e custodia fino a 18 mesi. Se e quando questa direttiva entrerà in vigore, essa darebbe tempo di esaminare in modo approfondito la figura dei vari immigrati e accoglierli o rispedirli ai paesi di provenienza.
Ma di ben più incisivo contenuto sono le misure di pertinenza del governo, predisposte dall´avvocato Ghedini, uno dei difensori di Berlusconi e membro del Parlamento. Si va da un elenco di reati particolarmente sensibili ai quali applicare le nuove misure, ad aumenti di pena rilevanti, all´obbligo di processi per direttissima nei casi di semi-flagranza, all´abolizione dei benefici di legge per i reati reiterati, all´istituzione del reato d´immigrazione clandestina. Infine alla chiusura delle frontiere per i "rom" provenienti dalla Romania, e al rimpatrio immediato di quelli irregolarmente entrati e residenti in Italia.
Quest´ultimo punto è particolarmente delicato perché richiede un accordo con il governo di Bucarest che non sembra affatto disposto a concederlo ed anzi minaccia eventuali rappresaglie sugli italiani residenti in Romania.
Il pacchetto nel suo complesso configura una politica assai dura e non priva di efficace deterrenza almeno in una prima fase, anche se è generale convinzione che politiche anti-immigrazione non avranno, sul tempo medio, alcuna efficacia se non nel quadro di un´assunzione di responsabilità europea e di accordi con i Paesi dai quali i flussi migratori provengono.
Dal punto di vista della politica immediata il governo trarrebbe indubbio giovamento di popolarità da queste misure, visto che quello della sicurezza è il tema principale intorno al quale si è formato il consenso degli elettori. Proprio per questo Berlusconi punta su un decreto legge d´immediata esecutività a dispetto della complessità e delicatezza della materia. Sarà decisiva su questo specifico tema la posizione del Capo dello Stato cui spetta di decidere se l´urgenza debba prevalere sull´esame approfondito ed ampio in sede parlamentare.
* * *
Ancora più ardua l´apertura di partita sul terreno dell´economia. Tremonti ha ieri affermato che non esiste alcun "tesoretto" spendibile. Affermazione discutibile dopo le dichiarazioni di Padoa-Schioppa nel momento del passaggio di consegne, anche considerando che l´ex ministro non è certo incline agli ottimismi contabili.Comunque questa è la posizione di Tremonti, dalla quale discende che non c´è copertura né per il taglio dell´Ici né per la defiscalizzazione degli straordinari e dei premi di produzione per i lavoratori dipendenti.
L´ammontare delle risorse necessarie per questi provvedimenti oscilla tra i cinque e i sette miliardi di euro. Se non ci sono non ci sono e si resterà al palo oppure, come Tremonti ha dichiarato, si tasseranno altri soggetti che il ministro ha indicato nelle banche e nelle società petrolifere.
Ha certamente coraggio, Giulio Tremonti: tassare i ricchi (banche e petrolieri) per dare ai meno ricchi. Però attenzione: l´abolizione dell´Ici non premia i proprietari di case modeste, già esentati da Prodi, bensì i proprietari di immobili di qualità e prestigio. Questo provvedimento è classicamente elettoralistico, costa due miliardi e mezzo e non ha alcuna utilità né sociale né economica. Meglio sarebbe se Tremonti lo levasse di mezzo, ma Berlusconi ci ha costruito una buona parte della sua vittoria elettorale, ecco il guaio per il ministro dell´Economia.
Le misure sulla detassazione degli straordinari sono invece importanti per ragioni sia sociali sia economiche.
Abbiamo ragione di credere che per quella operazione la copertura ci sia.
Pensiamo che le minacce di Tremonti alle banche e ai petrolieri abbiano come obiettivo quello di indurre le prime a sostanziali sconti sui mutui e i secondi a ribassi sui prezzi dei carburanti.
Comunque sarà bene che il ministro proceda confrontandosi in Parlamento con le proposte alternative dell´opposizione: se vuole dare prove di ascolto politico, questo è il tema più adatto.
* * *
Non parlerò oggi del Partito democratico, in fase di riassetto e presa di coscienza della sconfitta elettorale.Condivido in proposito la diagnosi fatta l´altro ieri su questo giornale da Aldo Schiavone: Veltroni ha puntato sulla voglia di cambiamento della società italiana, Berlusconi invece sulla insicurezza e la voglia di protezione nonché su un sussulto identitario, localistico e tradizionale. La maggioranza degli elettori ha condiviso.
Si deve per questo abbandonare la visione d´una società più moderna e dinamica? Credo di no. Bisognerà riproporla in modi più efficaci e meno dispersivi, concentrando l´attenzione su punti e provvedimenti concreti.
Questo è mancato e questo va fatto a cominciare da subito.
Ciò che non va fatto è di aprire di nuovo scontri interni e regolamenti di conti. Ciò che non va fatto è rimettere in scena lo scontro Veltroni-D´Alema. Riproporre un duello così trito sarebbe esiziale per i duellanti e per il loro partito.
Temo che nessuno dei due abbia fatto abbastanza per evitare che l´ipotesi di un rinnovato scontro prendesse consistenza. Penso che debbano entrambi provvedere, ciascuno per la parte che gli compete, a dissipare l´immagine che si è formata.
Se sono responsabili certamente lo faranno.
Repubblica 11.5.08
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Il commissario Orban: restringere la libertà di circolazione è un passo indietro
di Alberto D'Argenio
BRUXELLES - Forzare la mano per chiudere le frontiere italiane ai cittadini romeni potrebbe precipitare i rapporti tra Bucarest e Roma. Il commissario europeo romeno, Leonard Orban, non nasconde le sue preoccupazioni: «L´unico modo per risolvere il problema sicurezza è quello di rinforzare la cooperazione bilaterale tra i due paesi, altrimenti ci saranno conseguenze negative».
Le proposte per far fronte all´emergenza criminalità di Roberto Maroni, neo ministro degli Interni, sono destinate a confrontarsi con le regole Ue. La più spinosa è quella su Schengen, che a Bruxelles non scatena grandi entusiasmi: «Modificare la libera circolazione dei nostri cittadini non è una cosa che si può fare in una notte - spiega un portavoce della Commissione Ue Friso Roscam Abbing - tutte le idee delle capitali vengono esaminate e se trovano sostegno da parte di tutti i governi si procede, ma al momento questa sembra essere una priorità solo italiana. E comunque per farlo ci potrebbero volere anche tre o quattro anni».
Oggi, infatti, le frontiere possono essere chiuse solo in casi straordinari e limitati nel tempo: basti pensare alle Olimpiadi di Torino, ai mondiali tedeschi o al matrimonio del principe spagnolo Felipe. Tutti casi in cui era in gioco la sicurezza nazionale.
Certo, il governo potrebbe far passare l´emergenza immigrati come tale, ma il via libera Ue è tutto da verificare. Ecco perché Pdl e Lega pensano di modificare le regole Schengen alla radice, magari sfruttando la revisione della direttiva avviata dallo stesso Frattini nelle vesti di vicepresidente della Commissione e collaborando con la Francia. Sarkozy, che da luglio sarà presidente di turno della Ue, punterà molto proprio sull´immigrazione. Un progetto comunque difficile, per i tempi e per le difficoltà di convincere tutti i governi e l´Europarlamento.
La manovra rischia anche di far precipitare le relazioni bilaterali tra Italia e Romania. Avverte il romeno Orban: «L´unico modo per evitare conseguenze negative è quello di rinforzare la cooperazione bilaterale a livello politico e tra le forze dell´ordine di Roma e Bucarest, strada che ha permesso all´Austria di risolvere molti problemi». Ipotesi, questa, che non a caso già circola tra gli staff dei ministri italiani coinvolti nella stesura del pacchetto Maroni. «E poi - osserva ancora il commissario Ue - la libertà di circolazione è uno dei principi fondamentali dell´Ue, restringerla significherebbe fare un passo indietro nell´integrazione del Vecchio Continente».
Ma sul tavolo di Maroni ci sono anche altre proposte, come quella di aumentare il periodo di detenzione nei Cpt dei clandestini extracomunitari. Su questo fronte le cose potrebbero essere più facili (e rapide), visto che entro luglio la Ue potrebbe permettere alle capitali di farlo fino a 18 mesi.
Discorso simile sulla stretta alle espulsione di cittadini comunitari. Leggi romeni. La direttiva Ue del 2004 già permette questo genere di provvedimenti, ma in Italia non è mai stata applicata. Negli ultimi mesi ci ha provato Giuliano Amato, ex ministro degli interni, ma il famoso decreto sicurezza è rimasto bloccato in Parlamento. Il governo Berlusconi riprenderà in mano il dossier e cercherà di interpretare le regole europee nel modo più restrittivo possibile. Ma dovrà farlo con grande attenzione. Per non essere bocciato da Bruxelles, infatti, il provvedimento non dovrà permettere allontanamenti di massa, severamente vietati. Le espulsioni potranno essere attuate solo caso per caso e in seguito a condanne per reati gravi, per mancanza di sostentamento o per salvaguardare salute o sicurezza pubblica. Intesa, però, come terrorismo, non come un generico rischio criminalità che sarebbe difficile difendere a Bruxelles.
Repubblica 11.5.08
L'ex presidente della Camera era già stato contestato a Torino il primo maggio scorso
Bertinotti rinuncia al dibattito La Bresso: in piazza i soliti mille
di Paolo Griseri
TORINO - Per uno scherzo della cronaca parte da corso Marconi, già luogo simbolo del capitalismo italiano, la prima manifestazione della sinistra radicale dopo la sconfitta del 13 aprile. Nel corteo che propone il boicottaggio della Fiera del Libro c´è la fotografia di quel che resta oltre il Pd dopo il bombardamento delle urne. Le macerie consegnano un movimento a egemonia antagonista dove i centri sociali occupano i due terzi della manifestazione e la sinistra dei partiti è un frammentato fondo di bottiglia fatto di decine di striscioni e pochissimi militanti.
La presidente del Piemonte, Mercedes Bresso, liquida tutto questo con un´analisi semplice: «Sono sempre i soliti mille, il partito del no che oggi boicotta la Fiera e ieri boicottava l´alta velocità». In realtà il Pd sa bene che non è così. Che i democratici non possono dormire tranquilli se tutto ciò che si muove oltre il partito di Veltroni è egemonizzato dal centro Akatasuna di Torino o dal Gramigna di Padova. Perché, spiegavano ieri gli stessi militanti dei centri torinesi, «per noi quel che conta è l´antagonismo, la capacità di entrare in sintonia con la protesta della gente. Non ci interessa il palazzo». Una versione di sinistra del grillismo, ecco quel che vinceva ieri tra gli striscioni del corteo. Dove l´idea di bruciare la bandiera di Israele non viene vissuta per quel che è, per il suo messaggio di annientamento morale di un popolo, ma come la strada più diretta per entrare nei tg: «Figurati se siamo contro gli ebrei, siamo mica fascisti».
La selva di sigle, partiti e partitini che seguiva in coda il corteo segnalava un disagio ben più degli slogan e delle accuse a Bertinotti: «Quelli come lui sono entrati nel palazzo e adesso fanno fatica a uscirne con la testa». La rappresentanza in piazza era inversamente proporzionale a quella nelle urne. Così Rifondazione non c´era per scelta: non ha aderito, anzi ha condannato la protesta. I Comunisti italiani hanno cavalcato l´onda ma ieri dietro il loro striscione si sono ritrovati un centinaio di militanti, nessun dirigente di rilievo e 27 bandiere. Lo striscione più grande e il partito più seguito era quello di Marco Ferrando, fino a ieri considerato una specie di matto volante nel panorama politico nazionale. Se questo emerge dalle macerie del 13 aprile si può ben capire perché ieri pomeriggio, mentre il corteo avanzava verso il Lingotto, Fausto Bertinotti abbia deciso di non partecipare al dibattito sulle ragioni della sconfitta della sinistra. Oggi l´ex presidente della Camera sarà in Fiera per parlare della Costituzione. Ma un accenno a quelle macerie sarà inevitabile.
Corriere della Sera 11.5.08
Appena conclusa la mappatura del genoma. Ecco le sorprese dell'animale più strano
L'ornitorinco sconfigge Darwin
«Il suo patrimonio genetico mette in crisi l'evoluzionismo»
di Massimo Piattelli Palmarini
L'ornitorinco è la dimostrazione che perfino il Padreterno ha un sense of humour. Tra tutte le strane creature che si incontrano in natura, questo mammifero australiano semiacquatico, palmato, potentemente velenoso, con il becco, che depone uova, ma poi allatta i piccoli, e che ha una temperatura corporea piuttosto bassa, è forse la più strana di tutte. È sintomatico che, quando il capitano John Hunter inviò alla Royal Society di Londra, nel 1798, una pelliccia di ornitorinco e un disegno accurato dell'intera bestia, gli scienziati pensarono si trattasse di uno scherzo. Non a caso, sia il filosofo americano Jerry Fodor che Umberto Eco, in un suo magistrale saggio ( Kant e l'Ornitorinco), sostengono che, in un mondo in cui esiste tale creatura, forse tutto è possibile.
Adesso, interi laboratori di biologi australiani, tedeschi ed americani ne hanno sequenziato il genoma ed è di questi giorni la pubblicazione congiunta su Nature esu
Genome Research di una serie di scoperte microscopiche non meno sbalorditive di quelle macroscopiche, quelle date dalla semplice, superficiale vista dell'animale intero. I mammiferi normali, come è noto, hanno una coppia di cromosomi sessuali, XX nelle femmine, XY nei maschi. Ebbene l'ornitorinco ha ben 10 cromosomi sessuali, cinque paia di X nelle femmine, cinque X e cinque Y nei maschi. E ha in tutto la bellezza di 52 cromosomi, contro i nostri 46. Anche al livello genetico fine, si identifica un misto di discendenze, da altri mammiferi, certo, ma anche dai rettili e dagli uccelli. I cromosomi sessuali, per esempio, sono derivati evolutivamente dagli uccelli, mentre il feroce veleno dell'ornitorinco, iniettato da due speroni posti dietro ai gomiti posteriori, contro il quale non esistono per ora antidoti, replica l'evoluzione del veleno dei serpenti. Derivati entrambi originariamente da sostanze anti-batteriche, questi veleni offrono un caso esemplare di evoluzione convergente, cioè di come rami divergenti dell'albero evolutivo abbiano trovato, per così dire, una stessa soluzione dopo essersi separati.
Scendendo veramente all'interno dei geni, fino a pescare delle importanti molecole di regolazione fine dell'attività dei geni (chiamate micro-Rna), Gregory Hannon dei laboratori di Cold Spring Harbor (Stato di New York) e Jurgen Schmidtz dell'Università di Münster (Germania) hanno scoperto strette somiglianze con i mammiferi, ma anche con i rettili e con gli uccelli. Inoltre, mentre nei mammiferi una particolare varietà di queste molecole regolatrici resta prigioniera nel nucleo delle cellule, nell'ornitorinco migra e si moltiplica fino a quarantamila volte.
Questi scienziati non esitano a parlare di «una biologia diversa» da quella fino ad adesso nota. Sembrerà strano che i pediatri di Stanford si siano interessati da presso all'ornitorinco, ma bisogna pensare che circa un terzo dei bimbi maschi che nascono prematuramente hanno il difetto che i loro testicoli non scendono normalmente nello scroto. Ebbene, l'ornitorinco ha permesso di individuare due geni responsabili di questa discesa, tipica dei mammiferi, ma assente negli uccelli e nei rettili e, potevate scommetterci, nell'ornitorinco. L'esperto delle malattie del sistema riproduttivo, Sheau Yu Teddy Hsu, di Stanford, autore di uno degli studi appena pubblicati su Genome Research,
ha dichiarato che l'ornitorinco è un eccellente «ponte» tra i mammiferi, gli uccelli e i rettili. Le peripezie dei testicoli e i geni che le pilotano non hanno adesso più segreti, perché i geni «rilassinici» responsabili sono stati sequenziati in varie specie.
Una considerazione su questo punto ci interessa tutti, però, perché depone contro l'idea darwiniana classica che l'evoluzione biologica proceda sempre e solo per piccoli cambiamenti cumulativi. Hsu ha, infatti, scoperto, che il gene ancestrale della famiglia dei «rilassinici» si è scisso in due famiglie distinte, una famiglia presiede alla discesa dei testicoli nei maschi, mentre l'altra famiglia presiede alla formazione della placenta, delle mammelle, delle ghiandole lattee e dei capezzoli nelle femmine. Questi tessuti molli, ovviamente, non lasciano testimonianze fossili, ma la ricostruzione dei geni ha rivelato che c'è stato, milioni di anni fa, uno sdoppiamento: una famiglia di geni, d'un tratto, ha prodotto due famiglie di geni che potevano pilotare due tipi di eventi. In sostanza, potevano permettere la comparsa dei mammiferi dotati di placenta.
L'ornitorinco, mammifero privo di placenta e di mammelle, ma con la femmina dotata di latte che viene secreto attraverso la pelle, era l'anello mancante, il ponte evolutivo che adesso connette tutti questi remoti e subitanei eventi evolutivi. Hsu dichiara testualmente: «È difficile immaginare che processi fisiologici tanto complessi e tra loro intimamente compenetrati (discesa dei testicoli nei maschi, placenta, mammelle, capezzoli e ghiandole lattee nelle femmine) possano avere avuto un'evoluzione per piccoli passi, attraverso molti cambiamenti scoordinati». Come dire, ma questo Hsu non lo dice in queste parole: ornitorinco uno, Darwin zero.
Ma allarghiamo l'orizzonte oltre l'Australia e l'ornitorinco. Da molti anni ormai i genetisti e gli studiosi dell'evoluzione dei sistemi genetici hanno scoperto svariati casi di moltiplicazione dei geni, cioè si constata che, mentre in un remoto antenato esiste una copia di un gene, o di una famiglia di geni, nelle specie più recenti se ne hanno due copie, poi quattro. Una regoletta generale facile facile, che ha le sue eccezioni, dice uno, due, quattro.
Queste moltiplicazioni genetiche sono, sulla lunghissima scala dell'evoluzione, eventi subitanei. Pilotati dai meccanismi microscopici che presiedono alla replicazione dei geni, avvengono per conto loro, prima che i loro effetti sbattano la faccia contro la selezione naturale, e non procedono per piccoli passi. Non si hanno due copie e mezzo, o tre copie e un decimo. Il gradualismo, cioè i piccoli passi fatti a casaccio, uno dopo l'altro, della teoria darwiniana classica vanno a farsi benedire. Il macchinario genetico fa i suoi salti, e poi altri fattori di sviluppo decidono quali di questi salti producono una specie capace di sopravvivere e moltiplicarsi. Tra queste e solo tra queste, la selezione naturale porterà ulteriori cambiamenti. Ma sono dettagli, non il motore della produzione di specie nuove. L'ornitorinco fa parte di una piccolissima famiglia, quella dei monotremi (un solo canale per escrementi e deposizione delle uova). Il compianto Stephen Jay Gould fece notare, giustamente, che differenti ordini di animali hanno un potenziale interno molto diverso di produrre specie nuove. Ottocentomila specie di scarafaggi, qualche decina di specie di fringuelli, poche specie di ippopotami, elefanti, monotremi e, sì, ammettiamolo, di scimmie antropomorfe come noi.
Sono tutti «ottimi» animali, cioè sono tutte ottime riuscite dei processi biologici, ma per alcune soluzioni la porta è aperta a tante varianti, a tante specie, per altri, invece, no. Il segreto, ancora largamente misterioso, risiede senz'altro in proprietà interne, nell'organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale. La selezione naturale della teoria darwiniana classica può agire solo su quello che le complesse interazioni della fisica, la chimica, l'organizzazione interna dei sistemi genetici e le leggi dello sviluppo corporeo possono offrire. Perfino in un mondo in cui esiste l'ornitorinco non proprio tutto è possibile.