Dopo il manifesto choc Il Pd di Ponticelli scrive: via gli zingari. Bassolino: un pugno nello stomaco
La svolta anti-nomadi della sezione Gramsci
NAPOLI — Oltre che di baracche bruciate e di spazzatura, Ponticelli è piena anche di manifesti. Quelli di An che cavalca la protesta contro i rom non sorprendono, quelli con la firma del Pd che allo stesso modo chiede lo smantellamento dei campi(e di cui il Corriere ha riferito ieri), invece sì. Per lo sgombero ha già provveduto la brava gente delle spranghe e delle molotov, e quindi la questione è risolta. Resta sullo sfondo non solo la puzza della plastica sciolta dal fuoco e del catrame e di tutte le fetenzie che c'erano nei campi, ma anche quella di una intolleranza che qui nessuno vuole ammettere e che fa a cazzotti con la storia di un posto che era la roccaforte rossa di Napoli, il quartiere operaio, la Stalingrado di periferia dove davanti alla sede del Pd c'è ancora scritto Casa del Popolo, e resiste pure la targa che recita: sezione Antonio Gramsci.
È vero che alle ultime elezioni il centrosinistra è sceso dal 70 al 40%, ma è vero anche che proprio nelle stanze della Casa del Popolo è stata partorita l'idea del manifesto. «Via gli accampamenti rom da Ponticelli», recita il titolo. E a chi gli fa notare il tono nemmeno tanto velatamente leghista, l'ideatore replica pregando di «non deformare la realtà». E aggiunge: «In quindici anni di governo di centrosinistra non si è stati capaci di gestire questa situazione. Noi sapevamo che sarebbe deflagrata e abbiamo lanciato l'ennesimo allarme. Ma né Bassolino, né il sindaco Iervolino ci hanno ascoltati. Queste sono le conseguenze». L'ideatore è Giuseppe Russo, medico e consigliere regionale Pd proveniente dai ds. Il suo manifesto Bassolino lo ha definito «un pugno nello stomaco» e «un messaggio sbagliato e inaccettabile », e Iervolino dice che «contraddice tutte le scelte di valore del nostro partito ». Ma né Russo né gli altri della Casa del Popolo si sentono bacchettati. Anzi, Russo è molto diretto nella risposta: «Qui anziché fare le cose ci si mette ad aggrapparsi al cielo dei valori. Ma di che stiamo parlando? Serviva concretezza, altro che discorsi inutili».
E le spedizioni punitive? E il popolo di sinistra che se la prende con i deboli? «Se si sapessero le condizioni igienico sanitarie di quei campi...», replicano alla sezione Gramsci. E poi ancora contro Comune e Regione: «Chiedevamo una collocazione dignitosa e civile per quelle persone, che pure sappiamo sono abusivi e irregolari. Mai avuto risposte».
Chiusa qui. Rimorsi per come è andata a finire non ce ne sono alla Casa del Popolo. Per trovarne non resta che Rifondazione. Patrizio Gragnano, assessore alle politiche sociali della municipalità, dice: «In questi giorni ho visto sfumare il lavoro di oltre dieci anni». Ma per quanto lo riguarda, la cosa che colpisce è un'altra: nei giorni scorsi sui luoghi della protesta se n'è dovuto restare al riparo delle camionette della polizia, altrimenti avrebbero aggredito anche lui. Comunista e «pro zingari» in un quartiere che oggi detesta gli zingari e forse un poco pure i comunisti.
Corriere della Sera 16.5.08
Un abbraccio ambiguo per una sfida giocata fuori dal Parlamento
di Massimo Franco
La parola d'ordine del dialogo sta diventando perfino stucchevole. Immortala un capovolgimento dei rapporti fra Silvio Berlusconi e gli avversari che può finire per insospettire. Il pranzo di lavoro che oggi il presidente del Consiglio avrà a palazzo Chigi col segretario del Pd, Walter Veltroni, incornicia un postelezioni apparentemente stralunato. Colpa, o merito, del risultato elettorale del 13 e 14 aprile; ma forse, soprattutto di una convergenza di interessi e di paure, che rende la parola «dialogo» perfino riduttiva rispetto a quello che sta prendendo corpo. Più si va avanti, e più si indovina che il compromesso non è tanto una scelta quanto una necessità.
Né Berlusconi, né tanto meno i suoi avversari sembrano convinti di poter risolvere la crisi italiana da soli. Anzi, il sospetto è che la loro non belligeranza sia una specie di condizione minima, e forse nemmeno sufficiente, per tentare di «rialzare » il Paese, come ha martellato il premier in campagna elettorale. L'idea di istituzionalizzare un incontro settimanale fra il capo del governo e quello della maggiore opposizione risponde dunque ad una preoccupazione condivisa. Tenta di accreditare in anticipo un bipartitismo non ancora legittimato dal voto. Lo schema tende a lasciare fuori ciò che contrasta uno sforzo congiunto e oggettivamente rischioso. Le bordate contro «l'inciucio» che arrivano dal partito di Antonio Di Pietro sono speculari a quelle, meno violente, accennate dalla Lega. Ma rispondono al calcolo simile di trarre vantaggio dai limiti e dalle contraddizioni di un'operazione fino a pochi giorni fa impensabile. In questo senso, leghismo e dipietrismo non sono estranei, quanto funzionali al progetto: seppure per tenerlo sotto tiro e, qualora mostrasse la corda, per delegittimarlo.
In qualche misura, segnalano la vera sfida di fronte alla quale si trovano il governo Berlusconi e l'opposizione non pregiudiziale del Pd: quella dell'opinione pubblica. Il Parlamento non rappresenta un'insidia, nella legislatura appena iniziatasi. Alle Camere esiste una maggioranza solida e teoricamente inattaccabile. Ed il centrosinistra ne ha preso atto con realismo, preparandosi a contrastarla con un'apertura di credito, non con la rituale scomunica anche morale del passato. Ma proprio l'atteggiamento mutato dei principali protagonisti lascia capire che il vero contropotere ormai è fuori dalle aule parlamentari.
Non si tratta dell'estremismo di sinistra sconfitto: comunque, non solo di quello. A controllare i risultati dell'azione di governo, a valutarla, a promuoverla o bocciarla saranno gli stessi elettori che hanno votato per Berlusconi e per Veltroni; e che fra un anno riandranno alle urne per le europee. Proprio perché i problemi da risolvere sono enormi e toccano trasversalmente i due schieramenti, i destini del Cavaliere e del Pd sono intrecciati; e per forza di cose è comune il loro interesse ad uscire da una situazione di minorità del Paese anche nel raffronto col resto d'Europa. Per questo, sebbene circondato dallo scetticismo, il dialogo per ora potrebbe marciare. Rimane da capire per quanto, e se produrrà anche risultati.
Repubblica 16.5.08
Sono centinaia e si nascondono dietro aziende e gruppi motivazionali
Con la promessa di guarire l’anima truffano e commettono reati sessuali
L’Italia delle psicosette i manipolatori della mente
di Sandro De Riccardis
Sequestrano la mente e la tengono in ostaggio. Promettono di salvare da dolori e malattie, di liberare da traumi e fallimenti del passato, ma intanto svuotano la testa e la riempiono di illusioni, di certezze granitiche che allontanano da ogni cosa che sa di passato verso un mondo parallelo. Il boom delle psicosette attraversa da nord a sud tutto il Paese, con i manipolatori della psiche che si nascondono dietro aziende di formazione e gruppi motivazionali, associazioni culturali e centri yoga, gruppi universitari e movimenti spirituali.
Al Cesap, il Centro studi abusi psicologici, arrivano 400 richieste d´aiuto l´anno, mille al telefono anti-sette della comunità Giovanni XXIII: è un frammento delle migliaia di persone che il Gris, il Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa, stima (per difetto) vittime di oltre 200 realtà in Italia. Un mostro che sbriciola la mente e annulla le coscienze rimasto nascosto fino a pochi mesi fa, quando la procura di Bari, con l´inchiesta del pm Francesco Bretone, ha squarciato il velo sul mondo artificiale di Arkeon. Quindicimila adepti in tutta Italia, 50 maestri, decine di vittime, migliaia di euro raccolti con seminari e convegni. Al vertice della piramide c´era Vito Carlo Moccia, 55 anni, maestro e guida della psicosetta che si ispirava al Reiki, una filosofia orientale. Lui e altri cinque collaboratori - tra poche settimane, la chiusura delle indagini - sono accusati di truffa, esercizio abusivo della professione di psicologo e medico, violenza e maltrattamenti su minori; uno dei maestri anche di violenza sessuale. «L´ipotesi è che ci sia chi ha pagato fino a 15mila euro per avere un figlio con le sedute dal guru o per poter guarire da un tumore», spiega Tania Rizzo, legale del Codacons Lecce - da cui sono partite le prime denunce - e del Cesap.
I racconti delle vittime sono un vero e proprio museo degli orrori. C´era il «no limits»: il maestro che chiede agli adepti, tutti bendati, di relazionarsi liberamente tra loro con mani, bocca e corpo, arrivando ad avere rapporti sessuali davvero senza limiti, visto che vi hanno partecipato anche minori, sieropositivi, donne non consenzienti. C´era il «giro del mondo»: tutti in piedi uno di fronte all´altro, mano nella mano, musica new-age e la voce suadente del maestro che ordina a persone tra loro sconosciute di confessare «un segreto mai detto prima». C´era «lo scambio dei trattamenti»: aria intrisa di salvia divinorum, potente allucinogeno, uomini e donne in cerchio mentre un adepto si alza e con pianti e urla, anche alla presenza di figli di 11 anni, confessa un presunto abuso sessuale subito nell´infanzia. C´era il «The business of you»: andare in giro per strada e chiedere l´elemosina.
«Rispetto alle classiche sette religiose - spiega Lorita Tinelli, psicologa e presidente del Cesap - le psicosette si presentano oggi come formatori che agiscono sulla mente, pretendendo di ampliare i limiti umani e scavare nella psiche attraverso l´analisi del passato individuale». Da nord a sud, le caratteristiche dei gruppi si assomigliano: leader carismatici senza titoli accademici validi - Moccia vanta una laurea in psicologia all´Università statale di Fiume - organizzazione a piramide, in un multilevel che porta sempre più soldi e aderenti; la promessa di capacità magiche di guarigione; il love bombing, il «bombardamento affettivo» per creare legami immediati. E soprattutto: meccanismi di condizionamento della psiche durante seminari isolati dal mondo. Così succede a Padova, in un gruppo che opera nel campo della formazione di professionisti, manager, imprenditori, semplici stagisti, e che organizza full-immersion di cinque giorni. Chi partecipa ai seminari - in hotel, a tremila euro a corso - deve lasciare fuori tutto ciò che lega alla realtà - chiavi, documenti, medicine, telefoni, orologi, sigarette - poi entra «nel percorso di consapevolezza per liberarsi dai propri peccati». Con evidente somiglianza con i riti di Arkeon, si confessano tradimenti, rapporti omosessuali, traumi infantili, dolori, parentele che «hanno inquinato l´anima e da cui bisogna purificarsi». Le giornate sono scandite da lunghi intervalli tra i pasti e poco sonno: fame, sete e stanchezza alterano i ritmi cardiaci e favoriscono l´incoscienza, rendendo l´organismo più permeabile alle suggestioni. «Per abbattere l´Io». E mentre pesanti tende alle finestre fanno perdere il senso del tempo, i leader offendono i partecipanti, spesso li colpiscono a calci e pugni, li legano e bendano. Chi decide di abbandonare il corso, subisce la ritorsione in azienda, dal mobbing fino al licenziamento. Non a caso proprio in Veneto, una recente relazione dell´Ordine degli psicologi - dove l´ente si definisce «in prima linea contro gli sciacalli del dolore» - segnala: «A volte non si tratta di persone incapaci di intendere e volere ma di soggetti pienamente integrati e ai vertici nella società: imprenditori, dirigenti, professionisti». Modalità non molto differenti da quelle di un´altra azienda di formazione del personale di Milano, con sedi anche a Londra, Stati Uniti e Israele. Leader giovane, uso di ipnosi su manager e dipendenti, residenza in periferia dove vivono guida e adepti. O da un´altra che organizza corsi di motivazione su autostima e dinamiche mentali a duemila euro a corso, trampolino di lancio verso una struttura parallela aperta solo a chi fa almeno due seminari. Le "scuole occulte" - così le chiama chi c´è stato - sono a Milano, Bari, Catanzaro, Ancona, Salerno, Napoli, Palermo. Chi partecipa cede ogni mese un decimo del proprio stipendio, deve frequentare almeno un seminario l´anno, lo fa gratis se porta cinque nuovi iscritti. Gli adepti compilano questionari di autocoscienza, rispondono a domande spesso ridicole, tra fumi d´incensi, tappeti, esercizi di respirazioni, preghiere. Innescando un meccanismo di dipendenza eterna: molti sono dentro da 15 anni, donano il loro obolo mensile, abbandonano il lavoro per trasferirsi mesi nella sede centrale del gruppo, ad Assisi, pagando migliaia di euro.
«Multinazionali del profitto» le definisce don Aldo Buonaiuto, responsabile del servizio Antisette dell´associazione Giovanni XXIII. «Quello che fa paura - spiega - è che il distacco avviene drasticamente dalle famiglie. Poi le persone diventano irriconoscibili». Gli esposti che arrivano alle questure parlano di famiglie spaccate, ricoveri in cliniche psichiatriche, sparizioni, suicidi. Ogni storia finisce alla Squadra antisette (Sas) della Polizia di Stato, nata nel dicembre 2006. «Indaghiamo su ogni segnalazione - spiega Tiziana Terribile, dirigente della Divisione Analisi dello Sco, da cui dipende la Squadra antisette - . Il nostro compito è verificare se in queste realtà si commettono reati. Siamo vicini a tanti genitori, sappiamo cosa vuol dire perdere un figlio o vederlo allontanare, ma indagando ci troviamo spesso di fronte a un consenso valido espresso da chi entra nel gruppo». Per questo associazioni e parenti delle vittime chiedono che venga reintrodotto il reato di plagio, abrogato nel 1981, così come previsto da un progetto di legge fermo da novembre in commissione Giustizia alla Camera.
Nel frattempo all´Università di Bologna circa 20 giovani sono finiti nella rete di una scuola «gnostica». Ogni mese ognuno versa 50 euro per l´affitto della sede e altri 50 per pagare i 50 corsi obbligatori che portano alla «soppressione dell´ego». Il gruppo pratica «tecniche di manipolazione dei genitali senza emissione dello sperma per aumentare le capacità mentali» e arrivare alla «conoscenza attraverso viaggi astrali». Proprio un volantino sui viaggi astrali, distribuito davanti all´ateneo, è finito nelle mani dell´ultima vittima, un ragazzo di 23 anni che ha abbandonato studi e attività sportiva. Ora si friziona capo e ascelle con estratto di datura arborea, una pianta che crea uno stato permanente di intossicazione dell´organismo, si alimenta solo di verdure e carne biodinamizzata. I genitori hanno segnalato il caso alla Favis, l´Associazione familiari vittime delle sette, fondata da Maurizio Alessandrini, che dal 2003 non riesce a portar via il figlio da una santona veneta. A Rimini, un´altra psicosetta si nasconde dietro corsi yoga guidati da un «maestro spirituale», un uomo di 70 anni che ha ottenuto la fedeltà di circa 60 persone. Una realtà su doppio livello: sedute di spiritualità, preghiere, massaggi e tecniche di rilassamento in pubblico, un «livello privilegiato» in cui gli adepti abbandonano le famiglie e finiscono in strutture protette sulle colline di Rimini. Lì scompaiono per anni. «In questi casi si può parlare di schiavitù - dice Giuseppe Ferrari, segretario nazionale del Gris - . A volte è una scelta del singolo, altre volte frutto di tecniche di indottrinamento prolungate nel tempo». Il Gris ha raccolto le testimonianze dirette di quattro fuoriusciti, i loro racconti di «sedute tantriche» e «orge come riti di purificazione». Tra queste, quella di una ragazza entrata nel gruppo a 29 anni dopo la perdita del figlio, uscita per una grave malattia a 43, con la personalità stravolta e una casa da 200mila euro donata al maestro.
Repubblica 16.5.08
"Sfida te stesso" Così il santone tende la trappola
di Gabriele Romagnoli
Le sette hanno nove vite, il pericolo è non accorgersi quando una nuova reincarnazione è già in atto. Come investigatori sulla scena di un crimine già avvenuto, gli esperti che quasi tutti i governi occidentali hanno arruolato in apposite task force arrivano dopo un suicidio di massa, la dilapidazione di una moltitudine di patrimoni individuali, la fuga del guru in un altro continente dove riappare con un nuovo nome, un diverso colore della tunica e una dottrina aggiornata nei precetti ma invariata nei metodi. Alla maniera dei detective esaminano gli effetti, ricostruiscono i percorsi, individuano i moventi. E qui iniziano i guai. Da sempre la principale causa di aggregazione alle sette è stata indicata nel "bisogno di sacro", nella ricerca di una spiritualità che le religioni tradizionali non riuscivano più a soddisfare, essendo divenute permissive nei precetti e frettolose nei riti.
Quella spiegazione ha perso credibilità. Il "cuore sacro" dei monoteismi ha ripreso a battere, con ritmo da tamburo propaganda la propria voce. Offre conversioni spettacolari, allestisce cerimonie tendenti all´infinito, eleva al soglio sostenitori di una dottrina dura e pura. Nella versione fondamentalista, o semplicemente ortodossa, propone con inedito successo discipline rigide che portano all´annullamento intellettuale e, talora, anche fisico. Con una simile concorrenza, come hanno potuto sopravvivere le sette? Reincarnandosi. Accentuando quelli che già erano i loro caratteri distintivi. Allontanandosi ancor più dall´idea di Dio. Le religioni si fondano su un dio, le sette sull´io. La domanda esca che aggancia milioni di persone nel mondo, stampata sulla copertina dei cataloghi degli accalappiatori, pronunciata al primo colloquio dai persuasori, è traducibile semplicemente: "Sei insoddisfatto?". Guardati dentro: sei insoddisfatto? Non: guarda fuori, guarda gli orrori planetari, le guerre insulse, l´arroganza degli uni e l´umiliazione degli altri, la devastazione della Terra, sei insoddisfatto? No: guardati dentro, osserva i piccoli ingranaggi inceppati della tua esistenza, la tua vocazione incompresa, il tuo amore mal riposto, il successo che non hai avuto mentre lo meritavi o quello che hai avuto immeritatamente. Non cercare Dio, cerca te stesso. Non fare qualcosa, sta fermo, pensa. La setta ti blocca lì, insoddisfatto e ripiegato. A quel punto ti viene in soccorso, a te direttamente, come l´analista per il quale tu solo esisti, almeno nello spazio a pagamento che ti è concesso. Ti spiega, o meglio ti induce a spiegare, che cosa è avvenuto. E la risposta è che tu sei colpevole. E´ una scommessa sicura. Puoi fermare qualcuno per strada e dirglielo: tu sei colpevole. Esiterà un istante poi ammetterà. Siamo tutti colpevoli di qualcosa. Nascendo abbiamo provocato a nostra madre il primo grande dolore (di una serie). Abbiamo subito, prima o poi, un abuso e una parte di noi coltiva il dubbio di averlo incoraggiato. Abbiamo tradito, gli altri e noi stessi. Abbiamo violato una o più leggi della terra e del cielo. Eppure camminiamo liberi finché incontriamo la domanda che aspettavamo, quella che ci offre l´occasione di togliere la maschera senza perdere la faccia, e senza andare in prigione. Non è catarsi, è espiazione. Quando si scorrevano gli elenchi dei componenti della setta del sole, che si erano dati fuoco in circolo, emergevano banchieri e musicisti di talento. Tra i raeliani che clonano il nulla figurano avvocati e artisti. E questi credevano o credono davvero in fiabe neppure tanto elaborate, in Testamenti di serie B? Improbabile. Volevano e vogliono, piuttosto, espiare. Sfuggire a un successo basato su una frode originale, o comunque spropositato, bruciare quel che resta della propria vita in un falò senza vanità, dove si rinuncia a tutto, per arrendersi psicologicamente, sessualmente e infine anche fisicamente.
Le psicosette sono il penultimo stadio evolutivo del genere. Hanno disincarnato la dottrina, cancellato la fiaba originaria che fa da supporto, eliminato ogni dimensione alternativa. Agiscono nel qui e ora. Non ti portano fuori, ti entrano dentro, prima soavemente, poi inflessibilmente, come da manuale. Nessuna meraviglia che alcuni dei suoi laeder siano presunti psicanalisti. Hanno imparato una lezione professionale e ne hanno declinato il metodo al peggio, storpiandolo per fini che hanno del criminoso, ma con esiti che hanno del clamoroso. Il problema ora è esattamente questo: accorgersi in tempo che quel metodo è esportabile in altri ambiti con gli stessi risultati. Già si sono visti gli infausti effetti di una contaminazione psico-politica che ha toccato l´area della sinistra italiana. Ancor più devastante è la declinazione del metodo della setta in chiave economico-aziendale. Eppure già accade. L´azienda chiede un´adesione quasi fideistica, propone un linguaggio interno da adepti, sospinge il manager ad avere una visione, facendone un guru che predica anziché spiegare. Organizza conferenze, road show, happening che molto in comune hanno con gli incontri di una psicosetta. Per non richiamare esempi passati (le memorabili convention di Millionaire officiate da Virgilio De Giovanni e quelle di Mediaset condotte dal cavalier Silvio Berlusconi), basterebbe riguardarsi il famigerato video in cui il manager Telecom Luca Luciani arringa la platea incitandola a replicare Waterloo. Lo affligge un intento messianico. E la considerazione copernicana da fare sarebbe: il problema non è che lui citasse Waterloo come un trionfo, ma che nessuno dall´uditorio gli abbia fatto notare l´errore. Erano tutti annichiliti, asserviti, dipendenti in ogni possibile senso. Non è forse questo il fine di una setta? Non la diffusione del suo metodo l´ultimo stadio, quel che dobbiamo temere di più?
Repubblica 16.5.08
Cesare Salvi: "Vogliono impedirci anche un fil di voce istituzionale". La Finocchiaro: "Falso, chiediamo solo tempi e modi precisi"
Il Pd frena sul diritto di tribuna alla sinistra
di Umberto Rosso
ROMA - Arrivano i messaggi concilianti di Walter ma a sinistra restano molto freddi. Anche perché, ad alimentare sospetti e incomprensioni, scoppia la guerra del diritto di tribuna. «Il Pd sta cercando di farci attorno terra bruciata pure su questo, di spegnere anche un fil di voce istituzionale», accusa Cesare Salvi, ex capogruppo in Senato di Sd. Ma Anna Finocchiaro smentisce tutto: non ne abbiamo ancora parlato a Palazzo Madama, «siamo disponibili ma a patto di stabilire bene tempi e modi della presenza». Tutto ruota attorno all´ultima riunione della conferenza dei capigruppo, giovedì scorso. Convocata per organizzare i lavori d´aula in vista della fiducia, votata poi ieri. Ma con un fuori programma: il presidente Schifani che rilancia e precisa quel che aveva già anticipato nel suo discorso di investitura. Ovvero come rappresentare in qualche modo alle Camere quell´esercito di desaparecidos tagliati fuori dal voto, dalla sinistra radicale alla destra di Storace o ai socialisti di Boselli. Schifani ha già ricevuto una lettera dall´ex senatore rifondarolo Sodano che invoca qualche ufficio e un paio di computer per la ex Sinistra arcobaleno, una "sede di raccordo" all´interno di Palazzo Madama la chiama, per mantenere i rapporti e consultare gli archivi. Ma non è di questo che il presidente parla, anche perché la richiesta è partita a titolo personale e la "sala rossa" quasi certamente non nascerà (costituirebbe un precedente per tutti gli altri gruppi senza più parlamentari, legittimati a quel punto a metter su casa in Senato).
Schifani, in modo del tutto informale, offre la sua personale ricetta sul diritto di tribuna. Non serve rimettere mano ai regolamenti, spiega, basta un atto interno. I presidenti delle Commissioni infatti possono, e lo fanno per esempio con sindacati e associazioni, convocare "esterni" per audizioni. Ecco perciò che su questioni politiche particolarmente rilevanti, metti la legge elettorale e le riforme istituzionali, gli ex capigruppo dei partiti oggi extraparlamentari potrebbero davanti alla Commissioni affari istituzionali tornare a far sentire il loro punto di vista. E anche inviare documenti scritti. Il tutto poi, con il crisma dell´ufficialità, registrato nei resoconti degli atti parlamentari. Materia complicata e delicata, che va precisata in modo molto dettagliato, secondo Anna Finocchiaro. E poi, che succederà alla Camera? Non si possono usare due pesi e due misure, bisogna procedere con prudenza. Schifani prende atto, e sposta il nodo su un altro tavolo: l´ufficio di presidenza del Senato. Ma la ricostruzione del confronto nella capigruppo che arriva ai leader dell´ex arcobaleno, apre il nuovo braccio di ferro. Salvi incontra i colleghi del Pd e chiede spiegazioni, «risposte vaghe, balbettano, sollevano pretesti per bloccare tutto». Il Pd non ci sta: in nessuna riunione ufficiale al Senato è stata mai posta sul tavolo la questione del diritto di tribuna. E sulla stessa lunghezza d´onda, stavolta, sembra l´Idv. «Quando sarà sollevato, daremo il nostro contributo per risolvere il problema - assicura il capogruppo Felice Belisario - ma certo in Parlamento non può rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta». A sinistra però non mollano. Per i prossimi giorni al Senato hanno chiesto un incontro ufficiale a Schifani, dopo numerosi contatti informali. Compresa una telefonata di ringraziamento partita all´indirizzo del presidente del Senato dopo le sua aperture. «Sono le piazze la nostra tribuna - dice Russo Spena, ex capogruppo del Prc - ma su temi come la riforma elettorale possiamo e dobbiamo dire la nostra alle Camere. Ma che paura ha il Pd?».
l’Unitò 16.5.08
La parola agli «amici» di Franco Basaglia
Trent’anni fa veniva varata la legge 180, con la quale si avviava un processo, non solo di radicale trasformazione dell’approccio alla malattia mentale ma di una vera e propria rivoluzione culturale. Oggi appare doveroso soffermarsi a riflettere sui cambiamenti epocali e sulle grandi trasformazioni che ha determinato sulle istituzioni preposte alla tutela della salute mentale, sulla rete dei servizi prevista, ormai riconosciuta quale unica soluzione possibile, sul cambiamento di atteggiamento culturale nei confronti di ogni forma di diversità, sul contrastare le disuguaglianze, le discriminazioni e l’esclusione sociale, troppo spesso ad essa connesse, sulle resistenze ancora presenti per una sua piena ed autentica applicazione e sui possibili sviluppi futuri. Psichiatria Democratica - con un libro a cura di Emilio Lupo e Salvatore di fede - fa il punto sui trent’anni dalla promulgazione della legge di riforma psichiatrica, quella legge 180/78 che ha completamente cambiato il volto della Salute Mentale nel nostro Paese. La pubblicazione - che verrà edita dalla storica associazione di Psichiatria Democratica - contiene scritti di numerosi operatori impegnati da sempre sul campo, nelle diverse articolazioni funzionali delle strutture pubbliche ma raccoglie anche riflessioni, commenti ed esperienze di numerosi esponenti della nostra complessa società, che sono sempre stati vicini all’esperienza degli eredi di Basaglia. Sindacalisti, scrittori, filosofi, magistrati, familiari di utenti, mondo della cooperazione, economisti - difatti - non hanno fatto mancare, in questa importante ricorrenza, il loro contributo di impegno e di idee. La pubblicazione è arricchita dalle illustrazioni di Sergio Staino e di Riccardo Dalisi. In questa pagina anticipiamo i contributi di Vincenzo Consolo, Luciano Sorrentino e Vincenzo Scudiere.
l’Unitò 16.5.08
Centottanta testimoni per difendere la 180
di Vincenzo Consolo
TANTISSIMI I CONTRIBUTI al libro edito da Psichiatria Democratica a trent’anni dall’approvazione della legge di riforma psichiatrica: non solo addetti ai lavori, ma anche scrittori, filosofi, familiari di utenti, magistrati, raccontano cosa ha significato per loro
E come tutti gli esseri umani vogliono cose semplici e essenziali, come una casa dove vivere per esempio
Approvata dal Parlamento italiano quella famosa legge 180, lo Stato non ha saputo subito approntare luoghi alternativi al manicomio, centri di accoglienza, case-famiglia. Sono stati gli psichiatri democratici, gli allievi ed eredi di Basaglia a organizzare concrete risposte territoriali. Ma molto resta ancora da fare.
I cosiddetti malati mentali, gli esseri umani più sensibili, più fragili, che si allontanano dal nostro contesto, spesso brutale, violento, non sono, diciamo noi, che un segno della sanità dell’uomo.
Ripercorrere la storia della Legge 180 rappresenta il percorso di quanti prima, durante e ancor oggi non hanno rinunciato all’idea che il malato mentale non è assimilabile a un problema di ordine pubblico e quindi risolvibile con la segregazione e l’isolamento ma è una persona a cui vanno riconosciuti i diritti fondamentali e tra questi quello di sentirsi a pieno titolo cittadino tra i cittadini.
Quando cominciammo anche noi sindacalisti ad occuparci di come aprire alla società i manicomi, molti di noi venivano considerati «pazzi» e/o sovversivi perché allora non passava per la testa di nessuno che quelle persone potessero avere un rapporto normale con gli altri. A trent’anni di distanza sarebbe utile attualizzare quelle esperienze per capire come affrontare e governare i processi involutivi che spesso fermano le riforme.
Il Sindacato in questi anni ha continuato e continuerà a stare a fianco di tutti coloro che, quotidianamente, superando ostacoli burocratici e resistenze politiche, sostengono e promuovono l’integrazione contro la segregazione, l’integrazione contro l’isolamento.
Vincenzo Scudiere
Segretario Generale Cgil Piemonte
Segretario Generale Cgil Piemonte
Le nostre esperienze ci dicono che non dobbiamo più vedere i nostri utenti come casi disperati e senza speranza, ma come cittadini con problemi speciali e bisogni particolari che hanno gli stessi diritti e responsabilità. Di per sé, questo passaggio implica una ridefinizione del potere, della natura dell’aiuto, del rifiuto di ogni forma di segregazione e ci aiuta a ripensare la persona in una situazione più naturale, quale una casa e perché no anche a un lavoro retribuito.
I nostri interlocutori privilegiati devono essere gli utenti e i loro famigliari. Il dialogo fra i professionisti della salute mentale, gli utenti e i loro familiari riveste una fondamentale importanza se si lavora con un’ottica riabilitativa e di reintegrazione sociale ed è l’unico modo per focalizzare i problemi reali: Come posso trovare una casa?
Posso essere di aiuto ad altri che si trovano nella stessa situazione?
Come posso avere una vita soddisfacente e avere il controllo di quanto mi accade?
Queste sono domande che implicano una vita normale: la casa, il lavoro, le relazioni sociali. Domande che normalmente ci poniamo e che appartengono alla vita di tutti i giorni e non al sistema psichiatrico, rappresentando le attese che ognuno di noi ha dentro di sé. L’incontro tra professionisti si riduce sempre a interminabili discussioni su «vecchie pratiche» e allo scontro tra poteri contrapposti che portano a mediazioni che ricadono sulla gente, costretta a subirne le conseguenze senza avere la possibilità di esprimere il proprio punto di vista. Pensate solo a quanto sia difficile demolire, anche con dati alla mano, alcuni miti che appartengono ancora alla psichiatria, ad esempio che strutture protette e controllate di 20 posti letto possono essere luoghi di vita normale o luoghi della riabilitazione con il pericolo che si induca un’ulteriore razionalizzazione per ritrovare spazi più grandi di «residenzialità» protratta.
Questi miti limitano fortemente la possibilità di reinserimento nella società civile delle persone psichiatrizzate e sopravvivono perché in fondo riflettono gli interessi e le scelte della classe professionale. Con ciò non voglio dire che le esperienze di residenzialità transitoria e differenziata non abbiano svolto una funzione utile perché hanno rappresentato un tentativo di sfuggire all’istituzionalizzazione, ma è fatale che strutture di questo genere possano diventare luoghi di attesa infinita. Queste riflessioni dovrebbero indurre una domanda: le Strutture sono ciò che gli utenti realmente vogliono? Le esperienze alternative (Conolly , Basaglia, Pirella, Mosher e tanti altri) ci dimostrano che le persone psichiatrizzate rifiutano anche le forme di istituzionalizzazione più attenuate, a favore di interventi integrati di sostegno in una casa. Se teniamo conto di queste esigenze dobbiamo superare il nuovo paradigma rappresentato dalla parcellizzazione del manicomio in strutture che svolgono la sua stessa funzione. Quindi non dobbiamo avere più luoghi di trattamento specifici ma case, lasciare che sia la persona a scegliere anziché essere collocata, favorire il recupero un ruolo normale con tutta la sua contrattualità affinché la persona psichiatrizzata esca dal ruolo di paziente e torni a vivere in un contesto di vita permanente e non transitorio o preparatorio ad altre soluzioni transitorie, organizzando un sostegno personalizzato con servizi flessibili e non secondo protocolli rigidi e standardizzati.
Luciano Sorrentino, Direttore Dsm di Torino