Rom, l’Italia diventa un caso al Parlamento Ue
Oggi il dibattito. Schulz: «Dobbiamo evitare che succeda altrove». Frattini alla Spagna: basta interferenze
di Umberto De Giovannangeli
«FRANCAMENTE È ORA DI FINIRLA con queste invasioni di campo». Non è lo strascico velenoso di un infuocato finale di campionato. Ma la metafora calcistica utilizzata dal ministro degli Esteri Franco Frattini dà conto di un clima tutt’altro che rasserenato tra Italia e Spagna. E come se non bastasse, ecco che il «caso Italia-Rom» deflagra anche a Strasburgo. Il Parlamento europeo ha approvato con 106 sì, 100 no e due astenuti, la proposta avanzata dal gruppo dei socialisti europei di tenere oggi un dibattito in aula sulla situazione in Italia e in tutta Europa dei Rom. «Dobbiamo evitare che succeda anche altrove ciò che è successo in Italia, e vogliamo sapere che cosa ha fatto in passato e che cosa intende fare in futuro la Commissione europea», spiega il capogruppo del Pse Martin Schulz. «Abbiamo voluto, noi socialisti, che il Parlamento europeo desse un messaggio chiaro e forte sulla questione dei Rom ed in particolare sul grave clima di intolleranza e di odio che è stato alimentato nelle ultime ore in Italia», sostiene Gianni Pittella, presidente della delegazione italiana del Pse presso il Parlamento europeo. Il tema dell'integrazione dei Rom, rimarca Pittella, «è tema europeo e, pertanto, domani (oggi, ndr) chiederemo alla Commissione europea di attivarsi subito perchè chi delinque sia punito ma - conclude l'europarlamentare del Pse- chi vive onestamente, e sono la stragrande maggioranza, sia tutelato nei suoi diritti di cittadino al pari degli altri». «La campagna elettorale italiana, così focalizzata sui temi della sicurezza e della paura dell'immigrazione incontrollata, ha generato una “cultura dell'impunità” per chi oggi commette violenze nei campi Rom e stigmatizza gli immigrati”: il capogruppo dell'Alleanza dei Democratici e Liberali per l'Europa lo scozzese Graham Watson, ha utilizzato il suo minuto d'intervento libero, ieri pomeriggio a Strasburgo, per lanciare in plenaria il suo pesante e argomentato j'accuse contro gli episodi d'intolleranza verso i Rom accaduti recentemente in Italia, e che stanno preoccupando l'Europa. «Nei giorni recenti ci sono stati dei raid della polizia contro le comunità Rom a Roma, e tra i fermati 118 hanno ricevuto un ordine di espulsione immediata. Il nuovo sindaco della Capitale (Gianni Alemanno, ndr) ha detto che espellerà 20.000 persone», ricorda Watson, menzionando poi anche «gli attacchi ai campi nomadi di Roma e della periferia di Napoli, con gruppi di facinorosi che hanno impedito ai pompieri di spegnere i roghi». Il capogruppo euroliberale ha poi sottolineato che «centinaia di famiglie di immigrati sono fuggite per salvarsi la vita e ci sono rapporti che riferiscono di alcuni bambini dispersi. «Sappiamo che in molti nostri Stati membri ci sono problemi di attacchi contro le comunità immigrate, ma il livello di violenza in Italia è insolito», ha sottolineato il leader liberaldemocratico. «Persino il commissario Frattini, che era il primo a fare la lezione ai nuovi Stati membri sull'integrazione delle minoranze etniche, rimette ora in questione gli accordi di Schengen», incalza Watson, secondo il quale «la preoccupazione per questa questione è di portata europea, perché arriva al cuore delle ragioni che motivarono la fondazione dell'Unione europea». È «cruciale» fare una distinzione fra chi commette delitti e la «stragrande maggioranza» e «questa distinzione non viene fatta da tutti coloro che stanno partecipando alla discussione in Italia e questo è molto triste», annota Thomas Hammaberg, commissario per i Diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa, riferendosi alla questione dei Rom, davanti alla commissione Libertà civili del Parlamento europeo durante la discussione della relazione sullo stato dei diritti fondamentali nell'Ue. «Per quanto riguarda la situazione in Italia - prosegue Hammaberg - è necessario riconoscere che esiste la libertà di movimento e che questa vale per tutti i gruppi etnici» Piove sul bagnato per l’Italia. Da Strasburgo a Madrid. Che la crisi tra Roma e Madrid sia tutt’altro che rientrata, lo si comprende dai toni, irritati, e dai contenuti, non proprio concilianti, utilizzati dal titolare della Farnesina in due interviste radiotelevisive. «Confido che Zapatero voglia in qualche modo indicare, ordinare, ai suoi ministri di evitare queste dichiarazioni che sono inutilmente polemiche e contro l’indirizzo dello stesso governo spagnolo», afferma in mattinata Frattini, commentando le dichiarazioni dell’altro ieri del ministro del Lavoro e dell’Immigrazione spagnolo, Celestino Corbacho. Si tratta di dichiarazioni «imprudenti ed estemporanee», rileva il ministro degli Esteri intervistato da Maurizio Belpietro su Canale 5. Passano poche ore, è l'irritazione del titolare della Farnesina si appalesa dai microfoni del Gr1. «In primo luogo - sottolinea Frattini - credo che non siano accettabili le dichiarazioni di ministri (spagnoli) che interferiscono con l’attività di un governo eletto dai cittadini italiani, tra l’altro, in materia di immigrazione per la quale occorre una cooperazione strettissima tra Spagna e Italia perché si tratta di un interesse comune». L’intervista radiofonica avviene dopo che il titolare della Farnesina aveva tenuto a rapporto l’ambasciatore italiano a Madrid, Pasquale Terraciano. Frattini incarica l’ambasciatore di promuovere un incontro, tra domani e giovedì, tra il ministro Andrea Ronchi e il suo omologo spagnolo delle Politiche europee per illustrare «ai colleghi spagnoli quello che non conoscono» sulla politica dell’immigrazione dell’attuale governo italiano.
l’Unità 20.5.08
«In 120mila vivono in campi tremendi»
Accampati in baracche tra amianto e rifiuti
La denuncia dell’europarlamentare Mohacsi
Illegalità diffuse, carenza di servizi igienici e di acqua potabile, sicurezza totalmente assente, retate notturne: la vita dei rom in Italia è tra «le peggiori in Europa». È l’analisi dell’eurodeputata ungherese di origine rom, Viktoria Mohacsi, dopo due giorni di visita negli insediamenti nomadi di Roma (Castel Romano e Casilino 900) e Napoli (Poggioreale). L’europarlamentare, ospite dei radicali, denuncia: «Il vostro Paese è tra i peggiori dell’Unione europea». Particolarmente grave la situazione a Napoli, dove «centinaia di rom. tra cui moltissimi bambini, vivono tra cumuli di rifiuti, in baracche costruite anche con amianto».
Mohacsi denuncia la vicenda di dodici bambini rom tolti ai genitori dal Tribunale dei minori, perché accusati di accattonaggio: «Di loro si sono perse le tracce; da due anni i genitori non sanno più nulla della loro sorte». Mohacsi sottolinea anche un altro aspetto anomalo: «l’Italia non ha chiesto neanche i soldi previsti dalla Unione europea per l’integrazione delle minoranze etniche. Da voi vivono 120 mila Rom in condizioni di semilegalità o illegalità totale. Ma se a questi aggiungiamo gli 80 mila che hanno la cittadinanza italiana, il numero totale in Italia è di 200 mila Rom». Quasi tutti, spiega l’eurodeputata, «sono fuggiti dalla Romania per lo più per scappare dalla fame e dalla miseria. E avrebbero per questo diritto allo status di rifugiati». Ad accompagnare Mohacsi a Napoli, una delegazione di deputati radicali eletti nelle liste del Pd tra cui Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni e Elisabetta Zamparutti.
«Durante la nostra visita nel napoletano - continua Mohacsi- abbiamo scoperto che questi campi vengono regolarmente visitati dalla polizia, soprattutto nelle ore notturne». Gli abitanti dei campi hanno raccontato infatti che alcuni poliziotti si presentano verso le 24 negli insediamenti, e «prendono a botte i rom senza dire nulla. Alcuni li arrestano per poi rilasciarli dopo 48 ore». Quei campi rom di Napoli, conferma la Bernardini, sono un’indecenza, «si vive lì in condizioni disumane ma tutta la città sta tra degrado e di abbandono». E avverte: attenzione «a non soffiare sul fuoco, a non far precipitare la situazione. Occorrono misure efficaci. Puntare tutto sul carcere e sull’innalzamento delle pene non porta da nessuna parte».
Repubblica 20.5.08
Il caso rom irrompe alla Ue accuse di "torture" all'Italia
L’eurodeputata Mohacsi: nei campi la polizia picchia
di Alberto D’Argenio
Hammarberg, del Consiglio d´Europa: evitare parole che scate-nano nuove fobie
Oggi a Strasburgo dibattito chiesto dal Pse. Schulz: non si parlerà solo del vostro paese
BRUXELLES - Situazioni di illegalità diffuse, mancanza di servizi igienici e acqua potabile, condizioni di sicurezza pubblica totalmente assenti, retate notturne: la realtà dei rom in Italia è «tra le peggiori in Europa». E´ la denuncia che l´eurodeputata ungherese di origine rom, Viktoria Mohacsi, lancia dopo due giorni di visita negli insediamenti nomadi di Roma (Castel Romano e Casilino 900) e Napoli (Poggioreale). Prima parlando ad un convegno organizzato a Roma dai Radicali, poi, in serata, intervenendo di fronte alla commissione Libertà pubbliche dell´europarlmento, dove rincara la dose: «La polizia tortura i rom». La Mohacsi aggiunge poi che la responsabilità politica degli ultimi casi di violenza, vedi l´assalto ai campi, a suo avviso è del governo Berlusconi.
Trentadue anni, tre figli, la parlamentare ungherese che milita nel gruppo liberale di Strasburgo è una vera specialista di rom. «Il vostro Paese - denuncia - è tra i peggiori dell´Unione». Particolarmente grave la situazione a Napoli, dove «centinaia di rom, tra cui moltissimi bambini, vivono tra cumuli di rifiuti, in baracche costruite anche con materiale in amianto». Quindi denuncia la vicenda di 12 bambini rom («ma potrebbero essere centinaia») tolti ai genitori dal tribunale dei minori, perchè accusati di accattonaggio: «Di loro si sono perse le tracce, da due anni i genitori non sanno più nulla della loro sorte». La Mohacsi aggiunge che l´Italia non ha mai chiesto fondi Ue per l´integrazione delle minoranze etniche.
Poi altri aspetti inquietanti che - dice - le sono stati raccontati da chi abita nei campi nomadi: «Questi campi vengono regolarmente visitati dalla polizia, soprattutto nelle ore notturne. Ci hanno spiegato che alcuni poliziotti si presentano verso mezzanotte e prendono a botte i rom che ci vivono, senza dire nulla. Alcuni li arrestano per poi rilasciarli dopo 48 ore». Insomma, aggiunge l´europarlamentare in serata di fronte ai colleghi della commissione parlamentare di Strasburgo, «ci sono dei veri e propri casi di tortura da parte delle forze dell´ordine, ci sono violenze che non vengono mai denunciate perché chi le subisce non ha i documenti». E la responsabilità politica degli assalti contro i campi della settimana scorsa, denuncia, è del clima che si è venuto a creare dopo le dichiarazioni «del ministro dell´Interno Roberto Maroni». Ha scatenato «un dibattito xenofobico che propaga il pregiudizio e promuove l´equazione rom uguale a criminale, il che va contro i valori dell´Unione europea». Parole durissime seguite da quelle di Thomas Hammarberg, responsabile per i diritti umani del Consiglio d´Europa intervenuto a Strasburgo subito dopo la Mohacsi: «I politici devono evitare affermazione che portano alla fobia, è necessario distinguere i criminali dagli altri, cosa che in molti oggi in Italia non fanno, il che è molto triste».
Proprio oggi il caso-rom irrompe nell´agenda dell´europarlamento. Ieri pomeriggio il Pse, sostenuto dai Verdi e dai Liberali della Mohacsi, ha chiesto a gran voce che oggi in plenaria si tenga un dibattito sul tema con tanto di intervento della Commissione Ue. Discussione, precisa Martin Schulz, capogruppo socialista a Strasburgo, che «non deve toccare solo la situazione in Italia, che oggi è particolarmente difficile, ma quella in tutta Europa». La richiesta è stata respinta dal Partito popolare europeo, di cui fa parte Forza Italia, e poi messa ai voti. Alla fine hanno vinto i socialisti (106 sì contro 100 no) e oggi se ne parlerà nell´emiciclo. Soddisfatto il capogruppo italiano nel Pse, Gianni Pittella: «Nelle ultime ore in Italia è stato alimentato un grave clima di intolleranza e di odio».
Repubblica 20.5.08
Dioniso e Venere. Il mito dello straniero e l’ospite sgradito
di Marino Niola
Il dio epidemico e la dea pandemica rappresentavano nel linguaggio dei simboli la forza vitale della mescolanza, ma anche i suoi pericoli. I pro e i contro della crescita culturale
Dalla parola latina "hostis" si può ricavare l´ambiguità di certe figure che arrivano dell’esterno
La rabbia contro gli immigrati monta impetuosa come un´onda. La nostra società sembra attraversata da un improvviso rigetto di ogni corpo estraneo. Pare ormai superata quella soglia oltre la quale la presenza degli stranieri viene percepita come una ragione d´allarme. Un pericolo fuori controllo. I fatti sono nuovi, ma la questione è antica. Nelle cronache di questi giorni si avverte, infatti, l´eco profonda di problemi e parole che vengono da molto lontano, da quel mondo greco e romano di cui siamo figli, in cui nascono i principi e i valori che ancora oggi professiamo. È il caso dei nomi che usiamo per parlare del rapporto con lo straniero, delle paure che esso suscita e al tempo stesso della necessità dell´accoglienza. Termini come straniero, ospite e nemico, che per noi hanno significati ben distinti, in origine sono strettamente interconnessi tra di loro. Che si tratti di un groviglio di problemi inseparabili lo rivela anche la confusione, solo apparente, della nostra lingua che definisce come ospite sia chi accoglie sia chi viene accolto.
In certi casi le parole parlano da sole e ci dicono che siamo di fronte a figure e questioni inestricabilmente intrecciate sin dalle sorgenti delle civiltà indoeuropee. In latino uno stesso vocabolo, hostis, definisce sia lo straniero sia il nemico sia l´ospite. Solo più tardi compare la parola hospes col significato esclusivo di ospite, nel senso di colui che viene accolto. Il che indica che il rapporto con lo straniero oscilla, per sua natura, tra un estremo ospitale e un estremo ostile. E proprio per tale ambivalenza esso va accuratamente regolamentato. E il greco xenos, prima ancora di significare il forestiero, indica soprattutto l´ospite. Così è per esempio nell´Iliade e nell´Odissea. I significati variabili di queste parole riflettono le incognite del rapporto con l´altro, ricco di possibilità, ma anche di insidie. Fattore di crescita, ma anche veicolo di contaminazione.
Il mito greco - che dalle sue profondità lontane continua a coniugare il nostro tempo al "presente remoto" - designa proprio col termine epidemie i rituali celebrati per l´arrivo degli dei stranieri. Come Dioniso, il simbolo della mobilità e del fermento vitale.
Dioniso era per i Greci lo straniero per antonomasia. Il dio che giunge da lontano. Inatteso, sconosciuto e spesso sgradito. Un dio epidemico nel senso più profondo del termine. Secondo il celebre antropologo del mondo antico Marcel Detienne, il termine epidemia in origine non apparteneva al vocabolario della medicina, bensì a quello della religione arcaica e veniva impiegato proprio per indicare la manifestazione improvvisa di una presenza ignota. Dioniso irrompeva nella vita dei Greci come un ospite non invitato, portato dalle onde su un´imbarcazione di fortuna, una carretta del mare.
I rituali che lo celebravano, le cosiddette epidemie dionisiache, consistevano spesso nella messa in scena di una cattiva accoglienza del dio, la cui barca veniva inizialmente respinta. Il rito si caricava dunque di un profondo significato politico e sociale, elaborando i sogni e gli incubi del cittadino greco poiché rappresentava il pericolo e al tempo stesso la necessità dell´ospitalità, il disordine e la ricchezza della contaminazione. O, come si direbbe oggi, i rischi e i vantaggi dello sviluppo.
E se lo sbarco di Dioniso era chiamato epidemia, uno dei nomi di Venere, la dea dello scambio erotico e del contatto fra i corpi, era addirittura Pandemia. Un nome che aveva in sé tutta l´insidiosa doppiezza dello scambio. Che è contatto ma anche contagio. Un´ambiguità chiaramente fotografata nella nostra lingua che usa ancora parole come venereo per definire certe conseguenze dell´amore. Il dio epidemico e la dea pandemica rappresentavano nel linguaggio dei simboli la forza vitale della mescolanza, ma anche i suoi pericoli. I pro e i contro della crescita economica e culturale. È sorprendente come il mito riesca a farci interpretare e capire il presente con la chiarezza di un fotogramma originario che illumina le profondità dell´essere individuale e collettivo, facendo balenare una verità che sfugge ai dati della cronaca e alle cifre delle statistiche.
Ostilità, ospitalità, xenofobia. Le parole che adoperiamo ancora oggi per parlare di noi e degli altri derivano, dunque, da uno stesso nucleo di significati che sin dalle origini esprimono tutta la problematicità dell´apertura agli stranieri. Apertura che è tuttavia indispensabile, ora come allora. Ma sempre a certe condizioni. Nemmeno gli ospitalissimi Greci accoglievano chiunque e comunque. E distinguevano accuratamente diritti e doveri dello straniero accolto, e perciò garantito, dalla condizione del semplice sconosciuto. Del clandestino, dell´homeless, del sans-papier, dell´asylant, per dirla con le parole di adesso.
Ieri come oggi i rapporti tra noi e gli altri attraversano fasi che dipendono dallo stato di salute dell´economia e dalla tenuta del legame sociale. Alternando sistole e diastole, contrazione e dilatazione dell´ospitalità. La sicurezza e il benessere rendono tutti più solidali. Al contrario, più cresce il senso d´insicurezza e più l´altro viene vissuto come un nemico potenziale. Perché quando si ha paura tutto fruscia, diceva Sofocle. E la sensazione di essere assediati ci chiude la mente e il cuore.
Repubblica 20.5.08
L’altro da sé. Perché ci sentiamo sempre più minacciati. "Vi racconto come pensa uno xenofobo"
Intervista a Alain Touraine
PARIGI. «Viviamo in una società in cui ci sentiamo spesso minacciati. La mondializzazione, le catastrofi naturali, la crisi economica, le difficoltà della vita quotidiana. Abbiamo la sensazione di non riuscire più a far fronte a minacce che sono spesso indefinite e imprevedibili. Ci sentiamo senza difese e incapaci di agire, di conseguenza abbiamo paura. Una paura indistinta che trasferiamo sugli altri, soprattutto sugli stranieri». Alain Touraine non ha dubbi, la xenofobia è una reazione che rivela le contraddizioni di una società sempre più disgregata e incerta. «Attraverso la xenofobia si manifesta la paura di chi, al di là del passaporto, è diverso da noi fisicamente, ma anche sul piano della cultura, della religione o degli stili di vita. Le caratteristiche dell´altro però sono solo un pretesto per poter proiettare su di esso le nostre angosce», spiega il sociologo francese che ha appena pubblicato La globalizzazione e la fine del sociale (Il Saggiatore), un volume che viene ad aggiungersi ai molti altri già tradotti in italiano. «Rifiutando l´altro a partire da questa o quella caratteristica, la xenofobia mette in moto una dinamica che giunge perfino a negare l´umanità dell´altro, dichiarandolo non umano in quanto integralmente diverso da noi. La disumanizzazione dell´altro è una delle conseguenze più gravi della xenofobia».
Significa che lo xenofobo irrigidisce e assolutizza la nozione di altro da sé?
«Per lo xenofobo diventa impossibile vivere insieme agli altri, nei confronti dei quali agisce un vero e proprio tabù. Gli altri sono percepiti come essere impuri, la cui presenza minaccia una comunità idealizzata come pura e quindi da preservare da eventuali contaminazioni. In questo modo, nasce lo straniero assoluto, che diventa una minaccia globale da cui ci si deve difendere. Condotto alle estreme conseguenze, tale ragionamento produce il razzismo, vale a dire la forma più radicale della xenofobia. Naturalmente, chi è xenofobo si muove sempre sul piano generale, stigmatizzando un´intera comunità, anche se poi, sul piano personale, avrà sempre un amico arabo, senegalese o rumeno da esibire per respingere ogni accusa di xenofobia».
Le sembra che oggi la xenofobia sia in crescita?
«Sì e naturalmente ciò mi preoccupa molto, perché si tratta di un segno inquietante per la nostra società. Certo, se ci si colloca in una prospettiva storica, dobbiamo riconoscere che la storia del mondo è spesso stata dominata dal rifiuto degli altri, dei barbari, dei diversi. In passato, abbiamo avuto situazioni molto più gravi di quelle odierne, come quelle nate dalla tratta degli schiavi e dal colonialismo. Oggi però, dopo un lungo periodo in cui la xenofobia sembrava progressivamente arretrare, mi sembra che si stia tornando indietro. Si ritorna alla barbarie. E la xenofobia è una delle sue manifestazioni».
Quali sono le cause di tale evoluzione?
«Viviamo in una società più aperta e mobile, nella quale i contatti tra popolazioni differenti sono più facili e costantemente in crescita. È una situazione che produce conseguenze contraddittorie. Accanto all´apertura e alla disponibilità, si manifesta anche l´esasperazione dell´inquietudine che alimenta il rifiuto degli altri. Ma quando un´intera comunità viene osteggiata e respinta, finisce per ripiegarsi su se stessa, sprofondando nel risentimento. Il riflusso comunitario e la xenofobia sono strettamente intrecciati. Si alimentano vicendevolmente».
La xenofobia nasce anche da una crisi d´identità?
«Certamente, ma non è combattendo chi è diverso da noi che si rafforza la nostra identità. Al contrario, la coscienza della propria identità si accresce nel dialogo con l´altro da sé. In ogni caso, è vero che la xenofobia nasce quando un´identità si sente fragilizzata da minacce non immediatamente riconoscibili. Oltretutto, la mondializzazione, oltre a rimettere in discussione la nostra identità, minaccia la nostra capacità di agire. Sempre più spesso ci sentiamo deboli e impotenti. In alcune situazioni, come ha sottolineato il sociologo Alain Ehrenberg, assistiamo a un vero e proprio crollo dell´io. Allora diventa facile scaricare la responsabilità di tale situazione su qualcun altro che è riconoscibile attraverso questa o quella caratteristica specifica. La minaccia imprecisa e sfuggente diventa così immediatamente identificabile e quindi più facile da respingere. È la dinamica del capro espiatorio».
Di fronte a queste problematiche, la sinistra è spesso accusata d´ingenuità e d´eccessiva comprensione per gli stranieri. Che ne pensa?
«In passato, in nome dei valori dell´Illuminismo, la sinistra ha giustificato la colonizzazione. Quindi non è vero che essa sia sempre stata dalla parte degli altri. Detto ciò, è vero che oggi la sinistra viene spesso accusata di essere troppo accondiscendente nei confronti degli immigrati. Personalmente, non credo sia vero. Semplicemente cerca di resistere a un discorso dominante che utilizza il tema della sicurezza per giustificare un discorso xenofobo. Naturalmente, la sicurezza è un diritto di tutti che va garantito, specie alle popolazioni più deboli e precarie. Non bisogna però cadere nella demagogia, rendendo responsabile delle nostre difficoltà interi gruppi di popolazioni. Oggi tutte le statistiche ci dicono che la criminalità è opera soprattutto di giovani non immigrati. La minaccia criminale quindi viene dall´interno del paese, non dall´esterno. Non sono gli immigrati che vivono nell´insicurezza a minacciare la nostra sicurezza. Bisogna continuare a ripeterlo e cercare di elaborare politiche in grado di tenere insieme accoglienza degli altri e diritto alla sicurezza. Anche se certo ciò non è sempre facile».
Cosa si può fare concretamente per far arretrare la xenofobia?
«Al di là del discorso classico che tenta d´intervenire sulle cause sociali ed economiche che alimentano la paura, mi sembra importante favorire il dibattito e le decisioni politiche a livello locale. È importante che ci sia un dialogo diretto tra i cittadini e gli amministratori politici, perché solo così diventa possibile elaborare politiche efficaci che non siano xenofobe. La discussione è insostituibile, perché consente di smontare e decostruire il discorso della xenofobia, mostrando ai cittadini che gli immigrati non sono una minaccia. La riflessione e la discussione consentono di evitare le reazioni irrazionali. Solo così si sfugge alla paura».
Corriere della Sera 20.5.08
Patto a quattro Pse, liberaldemocratici, verdi e sinistre hanno i numeri per censurare Roma
Strasburgo, maggioranza anti Berlusconi
di Ivo Caizzi
BRUXELLES — Nell'Europarlamento si sta formando una maggioranza per attaccare il governo Berlusconi sul rispetto dei diritti dei rom e degli immigrati romeni. La prima indicazione è arrivata quando l'Aula semivuota di inizio sessione a Strasburgo ha fatto passare con un 106 a 100 la proposta del partito socialista europeo (Pse) di dibattere oggi l'argomento e chiedere l'intervento della Commissione europea, respingendo l'opposizione del partito popolare europeo (Ppe), che accoglie Forza Italia ed è il più numeroso dell'Assemblea Ue.
Anche ad Aula piena Pse e liberaldemocratici (a cui aderiscono le componenti del Pd), insieme a Verdi e Sinistre, hanno i numeri per mettere in minoranza il Ppe e la Destra, che accoglie An e Lega Nord. Già prima dei soliti incontri notturni del lunedì trapelava un accordo di massima tra i quattro gruppi in vista del dibattito di oggi. Il numero uno dei socialisti, il tedesco Martin Schulz, «nemico» storico di Berlusconi, spicca tra i promotori dell'iniziativa politica a tutela dei diritti dei rom e degli immigrati romeni. Ha precisato che la sua richiesta di dibattito «prende avvio dall'Italia, ma non si limita ad essa» e punta a «evitare che succeda altrove quello che è successo in Italia». Per dopo la discussione, i parlamentari romeni del Pse hanno organizzato una cena con molti giornalisti per denunciare internazionalmente la difficile realtà dei connazionali immigrati in Italia. Il leader dei liberaldemocratici, il britannico Graham Watson, ha parlato di «un livello di violenza inusuale» in Italia contro le minoranze straniere anche a causa della campagna elettorale, che «ha portato avanti una cultura dell'impunità » per chi attacca gli immigrati. Watson ha rilanciato il rapporto dell'eurodeputata ungherese rom, Viktoria Mohacsi, che denuncia violazioni in Italia contro la sua etnia e accusa le autorità giudiziarie di Napoli della scomparsa di almeno 12 bambini, tolti ai genitori perché usati per l'accattonaggio.
Differenze restano tra Pse, liberali, Verdi e Sinistre sull'intensità dell'attacco al governo Berlusconi. Le componenti più aggressive premono per far chiedere alla Commissione di verificare eventuali violazioni dei Trattati Ue sul rispetto dei diritti umani come quando esplose il caso del leader austriaco Haider. Anche la co-presidente dei Verdi, Monica Frassoni, ha sostenuto che il dibattito dovrebbe affrontare la questione degli strumenti europei ancora «non utilizzati ». Il Consiglio d'Europa, l'organismo allargato ai Paesi europei extra-Ue, ha richiamato a distinguere tra i pochi immigrati colpevoli di reati e la stragrande maggioranza impegnata nel lavoro affermando che «questa distinzione non viene fatta da tutti coloro che stanno partecipando alla discussione in Italia».
l’Unità 20.5.08
Veltroni-Sd: confronto per un nuovo centrosinistra
Faccia a faccia tra il leader Pd e il segretario Fava
Rassicurazioni sulle Europee: no a sbarramento-capestro
di Bruno Miserendino
VELTRONI E CLAUDIO FAVA, neosegretario di Sinistra Democratica, lo chiamano «patto di consultazione». Traduzione, il dialogo riprende con una rassicurazione: il Pd non si muoverà sulla legge elettorale per le europee senza consultare le forze alla sua sinistra. Insomma non avallerà sbarramenti capestro. Veltroni l’aveva già chiarito, ma ieri l’ha ribadito nell’incontro con Fava. Il succo è che dopo l’abisso del 13 aprile il Pd tenta di capire cosa accade alla sua sinistra e se ci sono le condizioni per «ritrovarsi» con quell’arcipelago uscito devastato dalle elezioni. Al momento il dialogo sembra avviato solo con Sinistra Democratica. Vendola, candidato alla segreteria di Rc, per ora chiude la porta a possibili incontri col leader del Pd. Sortita considerata troppo dura da molti di Sinistra Democratica e del Pd e condizionata dagli equilibri della partita congressuale. Invece Veltroni e Fava hanno stabilito di rincontrarsi a breve e su una cosa sembrano d’accordo: nessuna nostalgia del «vecchio» centrosinistra, Sinistra democratica non prevede di confluire nel Pd, ma l’obiettivo comune è capire se si può costruire qualcosa di nuovo. Indicative le parole usate nel comunicato congiunto: «Veltroni e Fava hanno registrato sintonia sulla necessità di avviare un confronto politico per costruire, in Italia e a livello locale, le condizioni di un nuovo centrosinistra basato su reali intese programmatiche e su una sfida di governo capace di innovare il paese». Parole soppesate: il termine nuovo centrosinistra, che sembra qualcosa di diverso dalla vocazione maggioritaria proclamata alle elezioni dal Pd, è bilanciato dal riferimento alle reali intese programmatiche e alla sfida del governo. «Niente di nuovo - spiegano dalle parti di Veltroni - la linea non cambia, abbiamo già spiegato che vocazione maggioritaria non ha mai voluto dire autosufficienza, significa che il Pd punta sempre al rapporto diretto con gli elettori e condiziona le alleanze alla chiarezza programmatica». In fondo, aggiungono al loft, lo disse in tempi non sospetti Goffredo Bettini, dopo la divisione consensuale con la sinistra radicale: «Separarsi per ritrovarsi». Solo che l’apertura non piace a tutti, e gli ex popolari del Pd sono un po’ guardinghi.
Naturalmente in questa ripresa del dialogo ognuno ha le sue attese. Veltroni si aspetta che l’Arcipelago della sinistra trovi linguaggi nuovi e che emerga una realtà pronta a sfide riformiste di governo, in modo che un’alleanza futura, almeno a livello locale, sia credibile. Per questo vuole il dialogo ed è pronto a rappresentare in parlamento anche le sensibilità della sinistra radicale. Il patto di consultazione con chi ci sta serve a questo e a coordinare politicamente l’opposizione a Berlusconi. Come in fondo hanno chiesto a Veltroni nella riflessione post voto: si dialoga con tutto ciò che c’è intorno, dall’Udc alla sinistra che non è entrata in parlamento. Il problema è che il rapporto con Casini, che sta a cuore a diverse anime del Pd, non decolla. L’Udc è ancora molto attratta dalla Destra.
Quanto al nodo della legge per le europee, a cui comunque bisognerà mettere mano, Veltroni spiega che uno sbarramento al 2-3‰, come vorrebbe il Pd, conviene sia a Casini, che all’Idv e anche alla nuova sinistra che verrà. Ma qui non c’è ancora sintonia. Fava ha ribattuto che una nuova legge per le europee non è una priorità: «È un falso problema», dice spiegando però che in ogni caso Sinistra Democratica non andrà da sola. «Noi non entreremo nel Pd e ci fa piacere - aggiunge - che si stia superando il mito dell’autosufficienza». Tuttavia sulle alleanze locali avverte: «Non è una shopping-list, non ci si allea in una realtà sì e in una no, a seconda delle convenienze, come vorrebbe il Pd, o si lavora per un nuovo centrosinistra o la nostra disponibilità non c’è. Non è una minaccia...». Fava e Sinistra democratica, a quanto pare, si assegnano il compito di favorire la nascita di una nuova sinistra che faccia un salto rispetto all’oggi, e ci tengono a precisare che non c’è una corsia preferenziale tra loro e il Pd. Come dire: bisogna riflettere e scremare, se la sinistra si presenta con la falce e il martello non va distante. Messaggio diretto a Rifondazione.
l’Unità 20.5.08
Ma Vendola prende le distanze: niente incontri
No al bipartitismo, «non ci avvitiamo in gomitoli di furbizia». E propone una costituente di sinistra
di Simone Collini
ALTRO che patto di consultazione permanente. Nichi Vendola prende le distanze dal Pd e mette in chiaro che Walter Veltroni lui non intende neanche incontrarlo.
«Questo non è il tempo delle parole che si avvitano in gomitoli di furbizia». E poi, altro che nuovo centrosinistra: «Se l’ambizione di Veltroni è ancora quella di passare dal bipolarismo al bipartitismo, questo è il nostro principale obiettivo di polemica».
Vuole il caso (ma fino a un certo punto) che nel giorno in cui il neocoordinatore di Sinistra democratica Claudio Fava vede il leader del Pd, il governatore della Puglia arriva all’Alpheus di Roma per presentare la mozione congressuale con cui si candida a segretario di Rifondazione comunista. Inevitabile, prima che Vendola prenda la parola in una sala gremita all’inverosimile, domandargli dei rapporti con il Pd: «L’interlocuzione è fondamentale, ma solo con l’auspicio che questo possa spostare l’asse della politica di Veltroni a sinistra. Oggi il rapporto è quello di una contesa e di un conflitto molto aspri». Il Pd può rappresentare le istanze della Sinistra in Parlamento? «Tenderei ad escluderlo. Il partito che Veltroni ha immaginato con la sua deriva neo-centrista difficilmente può inglobare la nostra voce». Si può parlare di un nuovo centrosinistra? «È un auspicio di Fava, aspettiamo di leggere queste parole dalla bocca di Veltroni. Anche perché il veltronismo in questa fase è stato la costruzione del mito dell’autosufficienza. Il Pd per uscire da questo pantano e da questo angolo ha bisogno di gesti chiari e coraggiosi».
Parole dettate dall’analisi che Vendola fa della situazione politica, ma che non sono indifferenti rispetto al dibattito interno al Prc. Il governatore della Puglia può spingersi a cancellare la parola «comunista» - «Manifesto per la Rifondazione» è il titolo della mozione con cui si candida a segretario - e proporre una «costituente» della sinistra che vada al di là dei confini del Prc (l’Arcobaleno, dice, è stato «una cartolina illustrata che copriva vecchi cimeli») perché va abbandonata «l’icona del nemico, soprattutto se interno». Ma sa anche che per perdere il non facile congresso di luglio può bastare che i suoi avversari (da Ferrero a Grassi) gli attribuiscano l’intenzione di un rapporto privilegiato col Pd, o peggio. Da qui le parole dure nei confronti dei democratici, tese a sgombrare il campo da ogni dubbio. «Diciamo al Pd che i suoi giochi sono pericolosi», scandisce nella sala gremita di militanti e simpatizzanti (poco il ceto politico, Bertinotti firma la mozione ma non si fa vedere, Giordano arriva a iniziativa cominciata e si mischia tra la folla). Ma c’è anche un altro obiettivo polemico. Dopo aver esortato a «liberarci della spocchia», ad abbandonare l’idea che basti presentarsi con falce e martello per recuperare, Vendola dice: «Altri del partito ascoltino. Non usate il Pd come una clava al nostro interno. E soprattutto non indicate me come se fossi pronto ad andare dall’altra parte. Sono comunista da decenni e se avessi voluto il salto della quaglia lo avrei già fatto. Tagliate queste miserie dal confronto interno perché così ci facciamo solo del male».
l’Unità 20.5.08
Aborto. «Rompiamo il mito»
Famiglia cristiana: «Cambiamo la 194 i numeri ci sono»
Rompere il «tabu» della legge 194, divenuta quasi un mito «intoccabile». Famiglia Cristiana, nell’editoriale di apertura, parte all’attacco e dice: ci sono i numeri per cambiare questa legge. «È ora di sgretolare il mito della legge 194», titola l'editoriale, una legge che - aggiunge - ha sicuramente contribuito, lo dicono i numeri, all' inverno demografico, ma che non si riesce a rivedere, un tabù intoccabile, in un Paese dove si cambia perfino la Costituzione, una norma che intendeva far emergere l'aborto ma che, in pratica, l' ha legalizzato».
La legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza compie 30 anni tra pochi giorni e, a suo favore, porta numeri che non possono essere ignorati: nel trentennio secondo i dati dell'Istituto Superiore di sanità (Iss) sono state evitate oltre 3.300.000 interruzioni, tra cui 1.000.000 di aborti clandestini, e sono stati scongiurati centinaia di decessi legati appunto alla clandestinità. In realtà - sottolinea Famiglia Cristiana - una verifica dell'efficacia della legge 194 era nei programmi anche dei promotori, tra i quali il senatore del Pci Giovanni Berlinguer, ma poi non se ne sarebbe mai fatto nulla. «Oggi - si legge poi nell’editoriale - non è più sufficiente proporre una migliore applicazione senza toccare nulla dal punto di vista legislativo. Tutti ormai, se si escludono frange femministe fuori dalla storia, Pannella e la solita rumorosa pattuglia radicale (sempre più esigua), hanno abbandonato la vecchia formula che l'aborto è «questione di coscienza», affare privato che non attiene alla sfera del bene comune». Tutti d'accordo, insomma, secondo Famiglia Cristiana, che «l'aborto è un fatto di rilevanza pubblica e politica» e «oggi in Parlamento ci sono i numeri per sgretolare il mito della 194», una «maggioranza trasversale» che fa appello, in primo luogo, ai politici cattolici. Rivedere la legge, dunque - chiede il giornale - a partire dal «diritto di non abortire», ma anche sostenere e incoraggiare la vita con atti concreti. In proposito, il settimanale ricorda le parole del Papa.
l’Unità 20.5.08
«Presto pronto il mio nuovo film»
De Oliveira farà 100 anni. E Cannes lo festeggia
Manoel De Oliveira quest’anno compie il secolo di vita e ieri sera Cannes l’ha giustamente omaggiato nella sala Lumiere. Il pubblico è scattato in piedi per applaudirlo e il festival ha presentato la copia restaurata del suo esordio quando nel suo Portogallo il cinema era ancora muto, Il fiume. L’autore di oltre 50 titoli ha annunciato che presto il prossimo sarà pronto. Lo hanno salutato tra i tanti Clint Eastwood, il presidente dell’Unione Europea Barroso (portoghese), il cineasta tedesco Fatih Akin, il presidente del festival, Gilles Jacob. «A dire il vero - sussurra De Oliveira - avrei preferito essere qui con un film nuovo, ma non vi preoccupate, non mi commuoverà rivedere le mie vecchie immagini. Al massimo penserò che ero un po’ presuntuoso e che la vita mi ha insegnato tante cose».
l’Unità 20.5.08
Perché l’opposizione deve essere Doc
di Giuseppe Tamburrano
Vorrei riprendere le argomentazioni contenute nell’editoriale di Padellaro (17 maggio) perché la svolta nei rapporti tra governo e opposizione è talmente importante che richiede di essere dibattuta a fondo per essere decifrata.
Osservo preliminarmente che è stato Veltroni che nel corso di tutta la campagna elettorale ha insistito sulla necessità che i rapporti tra maggioranza e opposizione fossero sveleniti e all’“odio” subentrasse un sereno confronto e un costruttivo dialogo. Dunque questo nuovo clima è merito (colpa?) suo.
Che interesse ha Berlusconi di respingere la posizione di Veltroni? Nessuno! Oggi egli ha risolto i suoi problemi ad personam, è sostenuto da una larga maggioranza di tutto riposo; essere generoso, disponibile, dialogante gli dà forza; l’atteggiamento dell’opposizione gli rende più agevole la gestione del governo. Si può mettere nel conto che il “buonismo” nei rapporti col Pd mette all’angolo l’opposizione di Casini, isola Di Pietro. Ma questi sono effetti collaterali, secondari; non i fattori principali del nuovo clima. E infine l’atteggiamento di gran signore magnanimo e sorridente verso l’opposizione, che si alza dal suo seggio per congratularsi con Veltroni e Finocchiaro, gli è congeniale più della faccia feroce.
Anche io preferisco un Parlamento in cui non ci siano scontri, odi, insulti, ma questo riguarda l’etica o l’etichetta parlamentare. Quello che interessa e intriga è la ricaduta politica della svolta: cui prodest? A chi gioverà? Forse la domanda è prematura perché siamo ai preliminari della nuova gestione. Epperò è importante prevedere scenari futuri perché può aiutare ad evitare errori. Cominciamo dalle prime intese tra Veltroni e Berlusconi. Ottima quella sullo “statuto dell’opposizione”, che tuttavia non sarà di facile realizzazione per la diversità oggettiva dei punti di vista, avendo la maggioranza interesse a regole che rendano veloce l’iter delle procedure e la minoranza invece a norme che consentano spazi perché il suo concorso sia incisivo.
L’altra intesa nell’incontro del 16 maggio tra i due leader riguarda la legge elettorale europea e in particolare il proposito di introdurre uno sbarramento. Non c’è per ora accordo sul livello: 5 o 3 per cento, ma sicuramente ci si arriverà, forse al 4 per cento. Mi chiedo se i due schieramenti si rendono conto che la soglia può essere dribblata dai piccoli partiti che possono fare una lista comune per separarsi dopo il voto: e nessuna legge o regolamento può impedirlo. Dunque, l’effetto semplificazione del pluripartitismo e la riduzione della frammentazione ottenuti con le elezioni del 13 aprile non si raggiungerà. Di più: è prevedibile che le sinistre, dai socialisti a Rifondazione, saranno «scatenate», vorranno prendersi la rivincita e questa volta non potrà funzionare il “voto utile” che ha depauperato i ranghi della sinistra a favore del Pd. Quei voti al Pd, che hanno compensato le perdite dell’elettorato tradizionale, non ci saranno, torneranno all’ovile, sospinti anche dall’ostilità di quei settori antiberlusconiani che giudicheranno arrendevole la politica di Veltroni. Il quale rischia di andare incontro ad una nuova sconfitta. Con prevedibili ricadute all’interno del partito: D’Alema avrebbe qualche argomento in più nel suo ragionamento.
Sulla questione generale del corretto rapporto tra governo e opposizione, se è da escludere l’ostilità pregiudiziale, non è consigliabile la collaborazione pregiudiziale. Il compito del Pd, nell’ora difficile che vive il Paese, è di far valere le ragioni dei più deboli, dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari, delle famiglie, dei pensionati. E questo non è solo il suo dovere di partito che si pretende “riformista”, è anche il suo interesse se vuole recuperare un rapporto costruttivo con la sinistra e contenere una deriva elettorale verso quei lidi.
l’Unità Roma 20.5.08
Prc, Smeriglio lascia: spazio a un giovane
Le sale dell’Alpheus gremite per l’assemblea con Vendola: «Mai vista tanta gente esterna al partito»
di Luciana Cimino
«ESCO DA QUI CONTENTO, non ho mai visto tanta gente esterna al partito». A parlare è Marco Ascione, giovanissimo segretario di una sezione di borgata, quella di Spinaceto. La sala dell'Alpheus dove è appena intervenuto Nichi Vendola, candidato alla guida di Rifondazione Comunista, è strapiena. Si cerca lo scatto d'orgoglio per ricostruire la sinistra, si cerca di accompagnare il partito ai congressi di luglio senza i veleni del post elezioni. Quello nazionale, a Chianciano, dove Vendola e l'ex ministro Paolo Ferrero presenteranno le loro mozioni, e quello cittadino, ai primi di luglio, dove il partito sarà chiamato a esprimere il nuovo segretario. Ascione nega categoricamente di essere in corsa per la carica, eppure la sua figura, come quella di Vezio Ferrucci, segretario della Garbatella, si avvicina al ritratto che molti immaginano alla guida del partito nel dopo Smeriglio. «C'è bisogno d'innovazione generazionale – dice l'attuale segretario, ora assessore provinciale – spero che sia giovane, capace, ci sono diversi segretari di circoli di periferia che hanno fatto esperienza sul campo e rappresentano la novità». E aggiunge Patrizia Sentinelli, «una persona della statura di Nichi, che comunichi non solo con gli iscritti ma con un mondo più vasto, anche complesso come quello cittadino attuale». Gran parte del gruppo dirigente romano di Prc è in sala a sostenere il documento di cui è primo firmatario il governatore della Puglia, perché «è l'unico che può unire», dice Smeriglio; perché «suscita entusiasmo in quanto non spinge a mettersi dietro un simbolo come a cercare protezione dalle sconfitte future», per Sentinelli. Ma l'analisi della sconfitta capitolina continua ed è severa. Severa verso il Partito democratico, colpevole, per l'assessore regionale Nieri, «di aver inseguito la destra sul terreno della sicurezza», e verso la stessa sinistra, che per Sandro Medici, presidente del X Municipio, è stata «subalterna a Veltroni e ha perso il contatto con la sua gente». «Alemanno è stato un Masaniello che ha raccolto una malintesa rivolta popolare contro l'atteggiamento padronale che ha avuto il centrosinistra nella città, ma non certo noi», accusa Medici. La priorità è ora l’apertura all'esterno, a parlare di «contenuti, valori, diritti» e non di «marketing, se fosse stato per quello Veltroni – spiega Vendola - avrebbe vinto le elezioni ma si vince quando si è credibili». Re – imparare a leggere la società, quindi, e non puramente in vista del congresso, che i militanti auspicano avvenga in un clima di serenità e senza la ricerca di capri espiatori, ma come metodo per ricostruire la sinistra. La sala gremita non solo d'iscritti ma di molti simpatizzanti che s'infiammanno al lungo discorso di Vendola fa ben sperare dirigenti e amministratori capitolini di Prc. «In città il clima è cambiato – osserva Smeriglio – e non possiamo dare risposte che siano di mera amministrazione, serve una costruzione di senso». «Una società moderna lotta contro la povertà e non lotta contro i poveri», conclude Vendola, che immagina «una rifondazione dei principi della speranza nella politica, che faccia da argine alle barbarie, che si ribelli alla caccia al rom, alla rifondazione di una cultura che sia contro la violenza e dalla parte dei diritti umani».
Repubblica 20.5.08
Edimburgo. Scienziati annunciano la pillola della libido
LONDRA - Esperti di riproduzione a Edimburgo dicono di aver decifrato il segreto del desiderio sessuale, e di essere in stato avanzato di ricerca per la creazione di una pillola della libido, capace di stimolare il desiderio in uomini e donne. Un prodotto, dicono, che sarà molto più efficace del Viagra. La perdita di libido colpisce oltre un terzo delle donne, e un uomo su sei: ma quest´ultimo dato statistico è in rapida crescita.
Repubblica 20.5.08
Inghilterra, via libera agli embrioni-chimera respinto l'emendamento che voleva cancellarli
LONDRA - Sì agli embrioni-chimera. La Camera dei Comuni britannica ha respinto un emendamento che avrebbe impedito agli scienziati di creare embrioni umani con parti di dna animale a fini di ricerca. L´emendamento che proponeva il divieto a questi esperimenti, parte della più ampia legge sulla fertilità in discussione, è stato respinto con 336 voti contro 176. Il premier Gordon Brown aveva lasciato libertà di coscienza su questo punto, ma aveva chiesto di dare via libera ai cosiddetti embrioni-chimera, affermando che questi embrioni contribuiranno alla ricerca sulle cellule staminali. L´embrione ibrido è un mix di tessuto animale ed umano, per oltre il 99% umano, con la componente animale dello 0,1%
Repubblica 20.5.08
Perché la sinistra ha divorziato dalla società
di Marc Lazar
TALUNI anniversari sono tristi, in modo particolare quelli che celebrano un quarantennale. Nel 1968 il vento della contestazione – che si era levato da qualche tempo e che si sarebbe rafforzato nel decennio seguente – soffiava sull´Europa, per lo meno quella occidentale. Il capitalismo fu dichiarato in fin di vita, le gerarchie furono sovvertite, l´autorità fu messa alla berlina, i poteri ripudiati. La liberazione, l´emancipazione, la rivoluzione erano concetti in buona parte rivendicati e messi in pratica finanche nella vita di tutti i giorni.
Combattuta tra un marxismo tradizionale, benché rivestito di nuovi orpelli, e la scoperta di tematiche inedite da parte del movimento operaio (il femminismo e l´ecologia, tanto per citarne alcune), la sinistra aveva nondimeno il vento in poppa, consolidava la propria egemonia culturale e si dimostrava vittoriosa. Il contrasto rispetto alla situazione del 2008 non potrebbe essere più grande e sconcertante.
In un solo anno su dieci consultazioni elettorali politiche generali che si sono svolte in Europa soltanto una, quella in Spagna, ha confermato il mandato ai socialisti. Da qualsiasi altra parte la sinistra non è riuscita a scalzare la destra al potere (Francia, Estonia, Finlandia, Polonia, Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda), mentre in Italia ha addirittura perso a vantaggio dell´opposizione guidata da Silvio Berlusconi. Naturalmente questi dati devono essere analizzati con grande accortezza. Ogni suffragio nazionale ha una propria specificità, determinata dalla storia politica del Paese, dalle modalità di scrutinio vigenti e dal gioco dei partiti. Ciò non toglie che si profila una tendenza generale che sarebbe assurdo confutare: la destra domina il continente europeo. La sinistra è in difficoltà, quale che sia la sua strategia – unione delle sinistre, alleanza con il centro o con i Verdi, o ancora corsa solitaria – e quale che sia la collocazione prescelta – programma classico della sinistra statale o ridefinizione della linea politica sul modello di Tony Blair.
Come interpretare dunque questa situazione? Una delle spiegazioni proposte, a sinistra, è che gli europei non resistono alle sirene del "populismo", della xenofobia, per non dire del razzismo: insomma, si starebbero orientando inesorabilmente a destra. La deduzione è errata e non esente da pericoli, in quanto rischia, appunto, di condurre la sinistra a ripiegarsi su una delle posizione a lei più care. Ostentando le sue certezze, convinta di essere in possesso della verità, la sinistra dispera di quel famoso popolo che evoca continuamente ma che adula soltanto quando esso vota a sinistra. Come disse con una battuta ironica Bertolt Brecht ai dirigenti di partito della Germania Est dopo i moti di Berlino del 1953, non resta che un´unica soluzione: "sciogliere" il popolo. La realtà, però, è diversa: la destra oggi ha la meglio e vince perché ha effettuato un´opera di rinnovamento alquanto coordinata, o tramite i contatti tra i partiti e i parlamentari europei, in seno al Partito popolare europeo, oppure grazie a fondazioni e think tanks. Si è dotata di veri leader, spesso comunicatori eccellenti. Tende ad aggregarsi, un po´ ovunque. Cerca di rafforzare le proprie organizzazioni e non trascura di lavorare sul terreno. Si occupa di un vasto spettro politico, che va dai confini dell´estrema destra al centro, e nel frattempo se occorre si impossessa anche di temi tipici della sinistra. Propone alle differenti popolazioni che ne sono in attesa un insieme di valori contraddittori, ma presentati in modo coerente: individualismo e compassione sociale, liberalismo e protezione, modernità e tradizione, sicurezza e lotta all´immigrazione, Europa e identità regionale o nazionale. La destra dell´era post-ideologica è pragmatica, in procinto forse di imporre la propria egemonia culturale sulla stessa lunghezza d´onda delle società europee che oscillano tra l´accettazione della globalizzazione e un cauto ripiegamento sul locale o il nazionale, tra la ricerca di avventura rivendicata dalle giovani generazioni e le paure delle persone anziane, il cui peso si fa sentire in modo crescente.
Il predominio della destra non ha nulla di ineluttabile. L´opinione pubblica in Europa non è passata in blocco a destra. È senza dubbio molto sensibile ai cavalli di battaglia prediletti della destra, l´insicurezza e l´immigrazione, ma al contempo una buona parte di essa reclama ed esige protezione sociale. L´Europa oltre tutto conosce veri e propri cicli elettorali: negli anni Novanta la sinistra era al governo in undici dei quindici Paesi dell´Unione Europea. La sinistra commetterebbe tuttavia un grave errore se pensasse di attendere passivamente un´inversione di tendenza, per esempio con un ipotetico ritorno del benessere economico che le sarebbe a priori più vantaggioso, perché l´autorizzerebbe a patrocinare la causa di politiche di più vasta redistribuzione sociale. E sbaglierebbe qualora desse per scontato di approfittarsi in maniera automatica della delusione degli elettori che le decisioni dei governi di destra inevitabilmente comporteranno, sull´esempio di quanto accade oggi in Francia, dopo che i loro responsabili in campagna elettorale avevano promesso l´esatto contrario.
Da oltre vent´anni la sinistra non è rimasta immobile. Anzi, ha risposto alle sfide della globalizzazione e ai mutamenti della società. Pur restando fedele ai suoi ideali di eguaglianza e di giustizia sociale, ha rinnovato le sue proposte, ha accettato di adeguare ai tempi il welfare, ha assimilato una parte del liberalismo economico, ha scommesso sulle rivendicazioni libertarie, ha tentato di rivolgersi ai precari e agli esclusi, e si è essa stessa impossessata dei temi della legge, dell´ordine e della sicurezza. Nonostante tutto, però, la sinistra risente di molteplici difetti: le sue ininterrotte e profonde spaccature tra la sua ala radicale e le sue correnti riformiste l´indeboliscono. La sua mancanza di credibilità sulle questioni della sicurezza è palese. I suoi leader mancano spesso di levatura. La sua indolenza a lavorare sul terreno ha spianato la strada ad altre forze politiche. Soprattutto, la sua base sociologica si è ridotta a individui sulla cinquantina, che vivono nelle grandi città, hanno un alto livello di istruzione e lavorano nel settore pubblico. La sinistra ha perso terreno negli strati più popolari, presso i dipendenti del settore privato, ha mancato di attirare a sé i precari e non ha fatto breccia tra i liberi professionisti. Questo divorzio da una – considerevole – fetta della società attesta e comprova le sue difficoltà a comprendere senza i suoi paraocchi ideologici le trasformazioni sociali più recenti che, innegabilmente, non le sono di aiuto. E infine, alla sinistra manca un corpus di valori in grado di mobilitare l´opinione pubblica, qualcosa che la differenzierebbe chiaramente da quelli presentati dalle destre. È al superamento di questi ostacoli che la sinistra deve assolutamente impegnarsi al fine di presentare una proposta politica convincente, unica condizione per ritornare a vincere.
Traduzione di Anna Bissanti
il Riformista 20.5.08
Sbarramento. Il dialogo con Sd. Ma Vendola chiude la porta
Veltroni fa una mezza retromarcia e apre ai satelliti
di Alessandro De Angelis
Non è proprio un "contrordine compagni" sulla via dell'autosufficienza. Ma da ieri la corsa di Veltroni un po' meno solitaria lo è, eccome. Nell'incontro col leader di Sd, Claudio Fava, suo fedelissimo ai tempi dei Ds, è emersa più di una convergenza: Pd e Sd daranno vita a un «patto di consultazione» esteso, a sinistra, a chi ci sta, e a un confronto «permanente» sulle riforme. E soprattutto dialogheranno per realizzare - si legge nella nota congiunta diramata al termine dell'incontro - un «nuovo centrosinistra basato su reali intese programmatiche». E, precisa Fava, «basato sulla reciproca autonomia». Nessuno, affermano, vuole rispolverare la vecchia Unione, ma da ieri è ritornato in voga il tema delle alleanze. Ciò non significa che Sd confluirà nel Pd, almeno per ora. Ma il dialogo è ripreso, e la prossima settimana è previsto un nuovo incontro.
La fine delle ostilità sarebbe testimoniata anche dall'accantonamento di un tema che - solo pochi giorni fa - aveva fatto infuriare la sinistra-sinistra: lo sbarramento alle prossime europee. «Se continua così, usciamo dalle giunte» aveva detto Fava e tutto lo stato maggiore della Cosa rossa dopo l'incontro tra Veltroni e Berlusconi. Ieri il segretario del Pd ha declassato l'argomento: «Non è una priorità del paese». E anche Fava ha deposto l'ascia di guerra: «Se si dovesse andare ad una riforma, questa dovrà avvenire attraverso un confronto che tenga conto delle sensibilità e dei punti di vista di tutte le forze politiche, anche la sinistra che non è presente in Parlamento».
Al loft negano l'inversione di marcia. Un veltroniano di rango la spiega così: «Ora siamo entrati in un sistema nuovo segnato dal primato dei programmi sulle coalizioni. È ovvio che il Pd dialoghi con i vari partiti satelliti, come Sd, Italia dei valori, radicali anche se questi in parte stanno dentro. Anche perché è un fatto che la sinistra radicale ci ha votato». E proprio lo schema "il Pd e i satelliti" - la variante democrat del film di dieci anni fa "la quercia e i cespugli" - è diventato il modulo su cui Veltroni starebbe giocando la sua controffensiva verso D'Alema.
Il segretario del Pd si è trovato infatti accerchiato negli ultimi giorni dai fautori della politica delle alleanze. A partire dai suoi parlamentari europei. Che oggi incontreranno a Strasburgo quelli di tutti gli altri gruppi su iniziativa dell'eurodeputato del Pdl Gargani, per discutere di sbarramento. L'orientamento sembra definito: un conto è evitare l'accesso a liste dello zero virgola, un conto è vietare l'accesso a forze rappresentative. Tanto che ieri il tetto di cui si parlava è sceso al due per cento: «Si parte dal due e poi, se ci sono convergenze, si passa al capitolo circoscrizioni» dice Gargani. A Gianni Pittella, capo della delegazione italiana nel gruppo Pse, l'idea dello sbarramento non piace molto: «Il parlamento europeo non è l'organo che assicura la stabilità di un governo. Quindi l'esigenza di semplificazione non è trasferibile, automaticamente, dal piano nazionale a quello europeo. Oltre una soglia minima è un tentativo maldestro di penalizzare alcune forze politiche che non sono in Parlamento, ma sono radicate nella società italiana». Gli fa eco Lavarra: «Effettivamente con questa legge si elegge anche chi ha l'1 per cento. Tuttavia è sbagliato applicare un tetto elevato». Una posizione, questa, che trova ampi consensi tra i parlamentari europei del Pd. Qualcuno, in relazione alla dinamica del voto utile dell'elettorato di Rifondazione, a microfoni spenti, si spinge oltre: «Non è che se li ammazzi poi ti votano». Per altri, come l'ex margheritino Cocilovo «il problema non è la soglia ma operare affinché le attuali circoscrizioni diventino collegi. In modo che ogni collegio esprima parlamentari in base a un equilibrio più democratico di quello attuale». Quindi, se proprio ci deve essere una soglia, mandano a dire i parlamentari europei a Veltroni, più bassa è meglio è.
Su queste premesse, e dopo che D'Alema e Bersani hanno mandato a tutta la sinistra più di un segnale, Veltroni, da ieri, ha messo in campo la strategia dei satelliti tesa a escludere Rifondazione. Ed è riuscito a incrinare l'asse Prc-Sd che è sempre stato solido: «Un nuovo centrosinistra è un auspicio di Fava. Noi aspettiamo di leggere queste parole dalla bocca di Veltroni» ha detto Nichi Vendola in occasione della presentazione della sua mozione ieri a Roma. E sul segretario del Pd ha aggiunto: «Il veltronismo in questa fase è stato la costruzione del mito dell'autosufficienza. Il Pd per uscire da questo pantano e da questo angolo ha bisogno di gesti chiari e coraggiosi che non spetta né a me né a Fava fare». Tradotto: non è Veltroni il nostro interlocutore nel Pd. Quindi niente patto di consultazione: «Penso di non incontrare Veltroni perché credo che non sia questo il tempo delle parole che si avvitano anche in gomitoli di furbizia» ha tagliato corto Vendola.
il manifesto 18.5.08
Stranieri in patria
di Gabriele Polo
Migliaia di persone in piazza contro la violenza nutrita dalle paure profonde, le ideologie cui si appoggia e il razzismo dell'egoismo sociale, sono una bella notizia. Meno bello è che il teatro sia stato una città che in buona misura è rimasta in disparte; ma ciò è in qualche modo alla base dei tempi in cui viviamo e dello stesso delitto contro cui si è manifestato ieri a Verona. E meno bello è pure che quelle migliaia di persone - divise in due tronconi poco comunicanti - siano state oscurate dai media; ma questo un po' si iscrive nella traduzione mediatica degli italici cupi umori, un po' è il risultato di una crescente incapacità di parlare al resto del paese da parte di ciò che sopravvive a sinistra. Afonia di cui anche le divisioni - a volte un po' incomprensibili - danno conto.
In realtà la freddezza dei veronesi e le afonie a sinistra sono una cosa sola, un dato di realtà da cui partire per affrontare le difficoltà con cui si misurano i valori universali su cui siamo cresciuti. Se una città, che certamente è trasecolata di fronte all'omicidio di Nicola Tommasoli, non si sente coinvolta da un valore come l'antifascismo e rimane indifferente verso chi denuncia il razzismo dilagante, significa che è stato l'agire pubblico - prima che il quadro istituzionale - ad aver subìto un terremoto. E non si può ridurre il problema alla deriva politica verso destra che quella città attraversa. Sarebbe consolatorio e inutile. In fondo lì succede ciò che sta accadendo nei confronti dei rom: la grande maggioranza delle persone non condivide i pogrom di Napoli, ma la stragrande maggioranza del paese pensa che i rom siano un problema da risolvere con l'ordine pubblico, cacciandoli. E' la stessa relazione che è in campo tra l'opinione comune e l'agire concreto sul terreno dell'immigrazione: quasi nessuno si pensa razzista, quasi tutti vedono nello straniero una semplice risorsa economica, fuori dalla quale «l'alieno» incarna la paura della propria decadenza individuale.
La destra offre a tutto ciò soluzioni semplici e «popolari»: bene le badanti, meno bene chi arranca nel lavoro in nero, malissimo chi si avventura sul terreno della sopravvivenza, sperando in un futuro diverso. Il Pd rincorre impaurito dai suoi stessi elettori. Fuori dal quadro politico ufficiale restano gli sforzi del volontariato, la carità cristiana. Oppure la testimonianza dei valori universali da cui nasce la storia della sinistra: doverosa, ma a perenne rischio d'irrilevanza.
Forse nulla come il tema dell'immigrazione - insieme a quello del lavoro - oggi esemplifica l'assenza di una prospettiva politica alternativa agli umori dilaganti. Vale per le soluzioni che sono in campo - tutte a senso unico, verso destra -, vale per le chiusure comunitarie che determinano comportamenti mostruosi. Questo è ciò che, in una ricca città del nord, ha reso possibile un omicidio per una sigaretta negata. Questo è il problema da affrontare, ciò che ci rende stranieri in patria.
In realtà la freddezza dei veronesi e le afonie a sinistra sono una cosa sola, un dato di realtà da cui partire per affrontare le difficoltà con cui si misurano i valori universali su cui siamo cresciuti. Se una città, che certamente è trasecolata di fronte all'omicidio di Nicola Tommasoli, non si sente coinvolta da un valore come l'antifascismo e rimane indifferente verso chi denuncia il razzismo dilagante, significa che è stato l'agire pubblico - prima che il quadro istituzionale - ad aver subìto un terremoto. E non si può ridurre il problema alla deriva politica verso destra che quella città attraversa. Sarebbe consolatorio e inutile. In fondo lì succede ciò che sta accadendo nei confronti dei rom: la grande maggioranza delle persone non condivide i pogrom di Napoli, ma la stragrande maggioranza del paese pensa che i rom siano un problema da risolvere con l'ordine pubblico, cacciandoli. E' la stessa relazione che è in campo tra l'opinione comune e l'agire concreto sul terreno dell'immigrazione: quasi nessuno si pensa razzista, quasi tutti vedono nello straniero una semplice risorsa economica, fuori dalla quale «l'alieno» incarna la paura della propria decadenza individuale.
La destra offre a tutto ciò soluzioni semplici e «popolari»: bene le badanti, meno bene chi arranca nel lavoro in nero, malissimo chi si avventura sul terreno della sopravvivenza, sperando in un futuro diverso. Il Pd rincorre impaurito dai suoi stessi elettori. Fuori dal quadro politico ufficiale restano gli sforzi del volontariato, la carità cristiana. Oppure la testimonianza dei valori universali da cui nasce la storia della sinistra: doverosa, ma a perenne rischio d'irrilevanza.
Forse nulla come il tema dell'immigrazione - insieme a quello del lavoro - oggi esemplifica l'assenza di una prospettiva politica alternativa agli umori dilaganti. Vale per le soluzioni che sono in campo - tutte a senso unico, verso destra -, vale per le chiusure comunitarie che determinano comportamenti mostruosi. Questo è ciò che, in una ricca città del nord, ha reso possibile un omicidio per una sigaretta negata. Questo è il problema da affrontare, ciò che ci rende stranieri in patria.