«Prendano le impronte anche ai figli nostri»
La provocazione di Mussi al congresso Sd. «Dico al Pd: da soli non si va da nessuna parte»
di Andrea Carugati
NON CHIEDE SOLO «più opposizione» al Pd, Fabio Mussi, ma propone atti di disobbedienza civile. Da Chianciano, dove si sta svolgendo la prima assemblea di Sinistra democratica, l’ex ministro dell’Università mostra tutta la sua indignazione per le cose "gravissime" che stanno succedendo in Italia. E dice, tra gli applausi: «Portiamo anche i nostri bambini italiani nei campi a farsi prendere le impronte insieme ai bimbi Rom: o tutti o nessuno». E ancora: «Se una pattuglia di militari impiegati per l’ordine pubblico mi chiederà i documenti io non li darò». E’ un Mussi battagliero, quello che parla alla sua platea. E sulla "sicurezza" nell’era Berlusconi raccoglie tutto il malessere che si respira qui a Chianciano, dove la difesa dei rom da "leggi razziste" è al centro di quasi tutti gli interventi. Ieri il coordinatore di Sd Claudio Fava, a Veltroni che gli raccomandava più attenzione ai temi della sicurezza, ha risposto che «per noi sicurezza non è il portafoglio rubato al Vigneto, ma i 250 morti ammazzati in Calabria, la risposta a questo bisogno è la lotta alle mafie, non lo smantellamento dei campi nomadi». «La politica non può assecondare o rincorrere il senso comune», dicono Mussi e Fava all’unisono. E l’ex ministro va giù duro: «Dobbiamo far cadere quei sindaci del Pd che continuano a parlare di ronde, manganelli, pistole e zingari. In Italia non c’è un’emergenza rom, è solo una paranoia». Fava fa anche nomi e cognomi di amministratori Pd che su questo tema non gli vanno a genio: «Il presidente della Provincia di Milano Penati ha un’idea reazionaria della sicurezza».
Insomma, Sinistra democratica non ci sta a farsi dare le pagelle sul riformismo dal Pd. E a Veltroni, che proprio qui venerdì ha aperto a nuove alleanze «sui programmi», Mussi risponde: «Da soli non si va da nessuna parte. Certo che dobbiamo ritrovarci sui programmi, ma è una cosa reciproca: su lavoro e precariato non capisco cosa vuole il Pd, sui diritti civili mi pare che non abbiano una posizione. Il programma di un nuovo centrosinistra non può essere quello della destra ma ’un po’ meno’: gli stessi temi, come tasse e sicurezza, ma un po’ meno aggressivi. Ci vuole una nostra agenda». Mussi porge un ironico "benvenuti" a D’Alema e Bersani che hanno ricominciato a ragionare di alleanze a sinistra, e dice: «A sinistra del Pd ci vorrebbe un partito, noi cercheremo di aggregare quanto possibile per condizionare il Pd e poi riaprire una discussione». E Di Pietro? «Io sono per manifestare l’8 luglio e anche per un referendum sul lodo Schifani, ma non possiamo certo consegnare a Di Pietro quel che resta della sinistra italiana». Quanto ai flirt di una parte del Pd con Casini, Fava e Mussi hanno le idee chiare. Dice il primo: «Il Pd deve avere chiaro in mente che o si allea con la sinistra o con l’Udc. Una roba con tutti dentro sarebbe un minestrone indigeribile, peggio dell’Unione. E poi nell’Udc Cuffaro non è una meteora, ma rappresenta un terzo del partito e noi con lui non abbiamo nulla da spartire». E Mussi: «Non si può danzare esageratamente e mi auguro che il Pd non vada ancora più a destra, sarebbe veramente un’esagerazione».
Netta però la chiusura di Sd ad ogni ipotesi di sbarramento per le elezioni europee: «La legge attuale va bene così, per le europee non c’è nessun problema di governabilità. Invito alla saggezza, mi pare che D’Alema sia sulla buona strada», dice Mussi. Sui rapporti a sinistra, infine, Fava vede un futuro prossimo in cui solo una parte dei quattro dell’Arcobaleno costruirà una nuova sinistra: "Non auspico la divisione ma la verità, quella che è mancata all’Arcobaleno: chi vuol fare la costituente comunista la faccia ma non è la nostra strada". Franco Giordano, anche lui tra gli ospiti, non commenta. Ma dice: «Fuori da un campo largo della sinistra Rifondazione non sopravvive».
Corriere della Sera 29.6.08
Effetto Bertillon
di Sergio Luzzatto
Come il nostro ministro dell'Interno, Roberto Maroni, anche Alphonse Bertillon sfoggiava le migliori intenzioni.
Funzionario di prefettura nella Parigi di fine Ottocento, colui che rivoluzionò le tecniche della criminologia grazie al cosiddetto «bertillonnage» (un sistema integrato di misurazioni antropometriche, schedature fotografiche e impronte digitali) dichiarava di farlo a fin di bene: perché l'«onest'uomo» non potesse più andar confuso con un serial killer e perché «i ragazzetti di strada in buona fede che ignorano il loro stato civile» si vedessero restituita una piena identità. Ma nel giro di qualche anno, i rom di Parigi avrebbero imparato a proprie spese il significato ultimo e vero di tanta generosità. Il 16 luglio 1912, una legge speciale sui «nomadi» impose a ciascuno di loro un «carnet antropometrico» fatto di misure craniche, foto di faccia e di profilo, impronte digitali. Di lì a poco, la capitale francese sperimentò un'ondata di razzismo antirom tra le più virulente della sua storia.
il manifesto 29.6.08
I delinquenti fuori e i bambini dentro
di Alessandro Robecchi
Riassumiamo. Da anni ci frantumano gli zebedei che i delinquenti sono liberi mentre le brave persone sono chiuse in casa terrorizzate. Da anni e anni non c'è sera che ogni telegiornale non ci ripeta questa solfa. Così abbiamo visto i paladini della tolleranza zero vincere le elezioni in carrozza e qualche manigoldo di sinistra prendersela con i lavavetri o i venditori di borsette false. Eleganti direttori di giornali sono andati in tivù a dire: eh, la paura percepita! Poi tornavano ai loro giornali a lavorare alacremente per farne percepire di più. Un fortunato libro sulla «casta» ha denunciato schifosi privilegi tirando anch'esso la volata al nuovo governo law & order, che come prima decisione rende impunibili i più alti vertici della casta.
Tra la gente, nei discorsi di tutti i giorni, alcune fantasiose varianti sul tema sicurezza: e se la violentata era tua sorella? Se la vecchietta scippata era tua madre? Se il pirata della strada investiva tuo figlio? A coronamento di cotanta propaganda, la proposta del governo presieduto dall'editore di quegli stessi telegionali che hanno disseminato paura a piene mani, è di bloccare i processi per tutti i reati punibili con meno di dieci anni avvenuti prima del giugno 2002.
Dunque se la violentata era tua sorella, la scippata tua madre e l'investito tuo figlio - ma prima del giugno 2002 - la certezza della pena puoi infilartela in quel posto tipo l'ombrello di Altan. Per il solo fatto che il capo del governo ha un processo in corso, migliaia di delinquenti rischiano di farla franca. Solo sei mesi fa avremmo visto titoloni roboanti in tutti i tg del regno, scandalo, raccapriccio, dove andremo a finire, che vergogna, la gente ha paura e i delinquenti sono impuniti! Conduttori con gli occhi fuori dalle orbite, indignati speciali, strali e anatemi. Oggi la certezza della pena non tira più. E non c'è stupratore, rapinatore o scippatore - ante 2002 - che non si trovi d'accordo con il governo della tolleranza zero. Ma i bambini rom possono lasciare qui le impronte, grazie. Sapete, è per la sicurezza.
l’Unità Roma 29.6.08
I rom artisti costruiscono la loro casa
Oggi la posa della prima pietra in barba al timore degli sgomberi. Il progetto alla Triennale di Milano
di Luciana Cimino
LA CASA Oggi gli abitanti di Casilino 900 cominciano a costruire una nuova casa. In barba ad ogni timore di sgombero, tenteranno di realizzare un prototipo di abitazione alternativo ai container dei mega campi rom. Non una baracca (nessuno sceglie di viverci, meno che mai i bosniaci che prima della guerra in Jugoslavia avevano appartamenti e lavori dignitosi) ma un’opera che sarà esposta alla Triennale di Milano. Sarà nel momento stesso in cui prenderanno in mano un martello per intervenire sul loro ambiente che i rom compiranno già, in qualche modo, un atto artistico. Se per esso intendiamo il tentativo «di comprendere la realtà, tradurla, rappresentarla, raccontarla, trasformarne i problemi in risorse».
Demiurghi di quest’operazione sono gli Stalker, un collettivo di artisti e architetti. Il nome è preso in prestito dall’omonima pellicola del regista russo Tarkovskij. «Non siamo un gruppo formalizzato – spiega l’architetto Francesco Careri, uno dei fondatori - ci piace dire che Stalker è una cosa che accade, una situazione. Chi partecipa all’azione è Stalker, per un giorno o per un anno, non siamo un movimento esclusivo ma inclusivo». Talmente inclusivo che attorno ad esso, nel 2002, è nata una rete, l’Osservatorio Nomade, costituitasi dai rapporti con le realtà che Stalker ha incontrato nel tempo. «Stalker non riesce a chiudere con i luoghi in cui lavora, si creano relazioni affettive e durevoli».
Sono quindi Stalker i rom di Casilino 900 e quelli di Campo Boario, gli studenti che hanno lavorato su Corviale, i curdi del centro Ararat che con loro hanno costruito Tappeto volante, una rielaborazione in corda e rame del soffitto ligneo della Cappella Palatina di Palermo realizzato con 41472 corde di canapa con terminali in rame che scendono da un telaio sospeso. L’opera, di proprietà del Ministero degli Affari Esteri, è stata di recente esposta al Macro ma ha viaggiato per otto anni nel mondo (da Tunisi, a Venezia passando per Sarajevo, Tirana, Salonicco, Cairo, Amman, Damasco , dallo Yemen all’Arabia Saudita, al Qatar, al Pakistan, dall’Oman a Otranto) per mostrare gli stretti legami culturali che uniscono fra loro i paesi del Mediterraneo. «Questo lavoro è emblematico della capacità che ha l’arte di costruire il futuro, è la cosa più bella che abbiamo prodotto per noi che, appunto, non costruiamo oggetti ma percorsi».
Percorrere, camminare, esplorare, perdersi nel «lato oscuro» della città come atto primario di trasform-azione del territorio e quindi come pratica artistica. È questa la cifra stilistica di questo movimento che guarda all’erranza paleolitica così come al dadaismo, ai situazionisti, alla Land art di Robert Smithson, all’arte relazionale, a Pier Paolo Pasolini. «Nel ’96 - ha raccontato Careri al nostro giornale qualche anno fa - gli abbiamo dedicato un omaggio. Avevamo trovato una poesia senza titolo che raccontava Roma dopo una giornata di pioggia, l’acqua sull’asfalto e questa città di prostitute, gru e palazzoni in costruzione che si rifletteva in questo specchio blu. Diceva: "In questa strada blu d’asfalto". Allora abbiamo dipinto di blu 300 metri di strada, al Mandrione. La gente camminava sopra la poesia che noi avevamo fotocopiato su fogli blu attaccati per terra. In quegli anni nessuno pensava a Pasolini come a un camminatore. E invece, se si guardano i suoi film quest’aspetto è evidente: in Mamma Roma c’è una sequenza lunghissima del bimbetto che cammina nel parco dell’acquedotto, il film è tutto sull’andare. E siamo in sintonia con la sua etica. Abbiamo quest’utopia dell’impegno, del riuscire a trasformare le cose da dentro».
Se le tecnologie permettono la riproduzione identica del reale, ecco allora che l’arte per esser tale deve agire su di esso. Stalker interviene, andando a piedi, nel negativo della città costruita, nelle aree interstiziali e di margine, negli spazi abbandonati o in via di trasformazione, e cioè in quelli che nel suo manifesto sono chiamati Territori Attuali, «difficilmente intellegibili, e quindi progettabili, perché privi di una collocazione nel presente, e quindi estranei ai linguaggi del contemporaneo. La loro conoscenza non può che avvenire per esperienza diretta». Il percorso stesso è una mappa cognitiva, «un atto di conoscenza per raccontare fenomeni urbani che gli altri non riescono a leggere e dare le chiavi per la loro trasformazione». Per questo hanno «attraversato» Corviale, affittando nel 2004 una casa al nono piano e realizzando con gli abitanti la tv di quartiere («volevamo capire come il serpentone stava cambiando e qual era l’immaginario che i romani avevano costruito su esso»), hanno seguito i rom kalderesh di Campo Boario nel loro peregrinare dopo gli sgomberi, hanno macinato chilometri sulle rive del Tevere e dell’Aniene alla ricerca del variegato mondo delle baraccopoli, hanno invitato la popolazione lo scorso giugno allo Sleep Aut, la pratica del dormire con i sacchi a pelo per strada.
Sembrava un successo la partecipazione di mille persone (fra cui artisti come i Tete de Bois e Ascanio Celestini) ma a loro non è bastato: «su una popolazione di 3 milioni di abitanti quanti riescono ancora a indignarsi per gli sgomberi coatti?».
«Si può essere esemplari anche nel demolire le baracche – si legge in una lettera che il collettivo ha inviato al sindaco Walter Veltroni nel 2004 dopo lo sgombero del campo di Testaccio - Forse una cerimonia di addio sarebbe stato chiedere troppo, ma far sapere a quelle persone dove sarebbero andate ad abitare qualche giorno prima di demolire loro la casa sarebbe stata una normale regola di educazione civica».
l’Unità Firenze 29.6.08
Doppio appuntamento toscano per ricordare gli orrori del passato
di Valeria Giglioli
Una domenica di inizio estate nel segno della memoria: oggi sono due gli appuntamenti toscani per non dimenticare. Il primo, a Civitella Val di Chiana dove, nella ricorrenza della strage nazista che costò la vita a più di 200 persone, apre i battenti una mostra dedicata a due intellettuali, Giovanni Cau e Helga Elmqvist e promossa da Comune e Provincia di Arezzo. Dopo il trasferimento da Firenze per sfuggire ai pericoli della guerra, la coppia (lui era insegnante di scienze naturali, lei, svedese, traduttrice di favole e raffinata illustratrice) fu travolta dalla furia dei tedeschi: i loro lavori, compresa la riproduzione consultabile di una delle loro favole, saranno esposti fino al 31 luglio alla pinacoteca. L’altro, a Sant’Anna di Stazzema, per le 16 al Museo storico della Resistenza: l’incontro I sommersi e i salvati, contro la chiusura del tribunale militare di La Spezia, che mette a rischio la prosecuzione dei processi per gli eccidi nazifascisti. Ci saranno Sandra Bonsanti, l’avvocato dei familiari delle vittime di Marzabotto Andrea Speranzoni e il sindaco di Stazzema Michele Silicani. In programma anche la proiezione di Lo stato di eccezione, il documentario firmato da Germano Maccioni sul processo per le stragi di Montesole. Si chiude alle 18, nella chiesetta, con il primo concerto dedicato all’Organo della Pace, andato distrutto nel corso della strage e recentemente restaurato.
l’Unità 29.6.08
Opposizione
di Furio Colombo
Veltroni ha fatto tutto il possibile... Adesso però comincia la prova più importante: fare del partito la piazza. Una piazza in cui la storia non comincia e non finisce nel discorso del leader e negli “interventi” dei vice leader
«Chi lo ha votato lo fischia», potrebbe essere lo slogan di questi giorni. È uno slogan che descrive bene uno studio sociologico sul rapporto degli italiani con la vita pubblica.
Politicamente serve poco. Perché il Berlusconi fischiato è identico al Berlusconi votato. Il Berlusconi votato non ha mai fatto nulla per nascondere il Berlusconi fischiato. C’è infatti un’unica cosa di cui non si può accusare Berlusconi: fingersi democratico. Usa la parola, certo. Ma solo per parlare di se stesso, della sua immunità, dei suoi meriti, dei suoi poteri, del suo governo. La sua è la democrazia di uno solo, una democrazia che - come si sa - non esiste, o almeno ha un altro nome, meno benevolo: autoritarismo totalitario.
Ma l’uomo in questione è sempre stato così, si è manifestato e presentato esattamente così in ogni istante della campagna elettorale: accusa, sospetto, insinuazione, ansia di persecuzione, ricerca, a momenti persino affannata, di potere, di altro potere, di più potere.
La controprova è nel rileggere, anche a caso, vita e avventure di Silvio Berlusconi nel suo precedente periodo di governo. Se non ci fosse il senso di pericolo ci sarebbe la noia, tanto è netta la continuità e forte la somiglianza con e tra tutto ciò che ha già detto e già fatto.
È vero, ci sono istanti in cui Berlusconi prova su di se l’immagine dello statista. Ma, appunto, sono istanti. Le folte squadre di cronisti fedeli e di telecamere debitamente inclinate non fanno in tempo a stampare lodi e trasmettere servizi, che il premier ha già cancellato tutto di sua iniziativa. Niente statista. Non gli interessa. La vita è vita se è caccia al nemico.
Il nemico, a causa di un grumo di memoria privato e pubblico, fisico e politico, di paura e di battaglia, prende il nome di «cancro giudiziario». Seguìto dall’esito peggiore: i giudici come metastasi. Due terrori si impastano in un’unica lotta che è più facile da condurre: quella politica.
Cercherò di fare un inventario di ciò che vedo intorno.
* * *
Accanto a me, alla Camera, noto la vitalità di Di Pietro. Attacca tenace, riprende da capo. Non molla neppure per un istante l’impegno della legalità, come simbolo, come condizione democratica, come denuncia. Potete dire che è un ritorno all’indietro ma come definire il pauroso bradisismo italiano in cui ci fanno vivere? Siamo tutti testimoni di un Paese che si abbassa e continua ad abbassarsi di livello, qualità, dignità, e anche: quanto a risorse, forza produttiva, capacità commerciale, credibilità (ormai perduta) di ex protagonista sulla scena europea e del mondo. Ma anche per impoverimento della vita quotidiana di tanti in Italia.Si ha un bel dire che Di Pietro rifà gli stessi percorsi del giustizialismo e dei girotondi. È vero, ma è vero per forza. L’attacco di Berlusconi ai giudici supera la pur geniale invenzione cinematografica di Moretti. Lo strano e incattivito malumore antigirotondi si sta dissipando persino nella migliore sinistra. Saranno davvero così irritati i nostri ex leader della ex sinistra se tornassero i cittadini a dire il loro no democratico, il loro sì alla Costituzione, accanto all’opposizione?
Inutile negarlo. Nel momento in cui irrompe in scena l’annuncio esplicito e sincero di attacco senza quartiere all’intero impianto giuridico del Paese, si può rimproverare a Di Pietro di farsi trovare sul percorso con una barricata di irruenti argomenti che, come primo, indispensabile risultato, frenano o almeno denunciano l’istinto di devastazione del premier travolto dai suoi fantasmi? Dicono che il linguaggio di Di Pietro sia eccessivo. Certo «magnaccia» è una parola pesante, sia pure per definire Berlusconi mentre, dall’alto del suo immenso potere politico-finanziario, è impegnato a sistemare alcune ragazze. Bonaiuti e Ghedini annunciano querele. È il loro lavoro. Si può capire. Ma «cancro» e «metastasi», le parole usate da Berlusconi per descrivere i giudici, vi paiono lievi? Il cancro si elimina col bisturi. Dunque la parola è più dura e più tragica. Chi la denuncerà?
L’astuto uomo di Arcore è caduto nella trappola: fa scenate in pubblico sui suoi affari privati davanti a platee ansiose che lo avevano eletto in cerca di risposte alle paure e ai rischi di tutti. Volete dire che la gente si aggira per i mercati rionali, dove il prezzo di frutta e verdura sale ogni giorno come il petrolio, mormorando «maledetti giudici»? Pensate che nel fare il pieno di carburante il camionista scambi con l’uomo della pompa volgari ma sentiti giudizi sul CSM che blocca il loro lavoro assolvendo la Forleo e annunciando troppo presto che il lodo Schifani è anticostituzionale?
Quanti commercianti sono stati stroncati dal complotto dei giudici che vogliono a tutti i costi processare Berlusconi? Sanno tutti che la piccola e media impresa era nel panico, quando Rete4 stava per finire sul satellite. Infatti una volta salvata la rete del premier e la sua pubblicità, la Marcegaglia, a nome di tutta l’impresa italiana, ha potuto tirare un respiro di sollievo e dire al Paese: «Finalmente un clima costruttivo».
E Augusto Minzolini, il bravo «retroscenista» che coglie al volo i segni premonitori del nuovo berlusconismo (che è una dose da cavallo del berlusconismo originale) può scrivere: «Tutto questo (il normale lavoro dei giudici, ndr) ha spinto il Cavaliere a scegliere la via maestra, quella che conosce meglio: alzare la voce e decidere. Del resto è sempre più sicuro di avere la gente con sé». «Alla Confesercenti che è di sinistra, c’è stato chi mi ha fischiato ma anche chi ha applaudito le mie critiche ai magistrati (ha detto di loro «cancro» e «metastasi», ndr). Gli italiani sono con me». (La Stampa 26 giugno).
Commentare è un po’ imbarazzante. Si tratta di una situazione mentalmente fuori controllo. È bene ricordare lo stato delle cose per capire se è vero o non è vero che Di Pietro esagera, quando si lancia, ogni volta, come un pompiere da film, contro i sempre nuovi focolai accesi e disseminati tra le istituzioni italiane dal piromane di Arcore.
* * *
Nel paesaggio italiano, per quanto triste, ci sono altri eventi che meritano di essere osservati affinché una descrizione del momento non sembri una passeggiata nel Foro romano.Mi riferisco all’evento organizzato dai Radicali invitando tanta gente a discutere a Chianciano. E poi al dopo Chianciano e agli appuntamenti che, con il nome del primo incontro, continuano e continueranno ad avvenire a Roma. L’iniziativa di Pannella è questa: troppe persone sono rimaste fuori dalla politica, perché estranee ai partiti presenti ora in Parlamento. Questo vuol dire fuori dalla televisione. Fuori dall’inseguirsi dei dibattiti quotidiani. Vuol dire troppo silenzio.
Si può dissentire in molti modi dai Radicali (io dissento nel rapporto con la giustizia, nella richiesta di abolizione dell’azione penale obbligatoria, nel giudizio drastico sui sindacati). Ma, dal mio punto di vista, è impossibile non fare causa comune con i Radicali in tutta l’attività della Associazione Luca Coscioni, del Tibet, di «Nessuno tocchi Caino», di «Iraq libero» (che voleva dire: via Saddam e niente guerra).
Però - d’accordo o non d’accordo - è impossibile non cogliere nel lungo percorso di Pannella fino ai giorni nostri, il seme pedagogico dello spingere alla discussione politica, in tutti i modi e per qualsiasi ragione. Nel caso di Chianciano, la ragione più importante era evitare il silenzio.
Il campo è sgombro da equivoci perché, come sempre accade dalle parti dei Radicali, non c’è l’ombra del potere.
Ricordo un piccolo film scritto da Woody Allen, quando era già autore geniale ma non ancora regista. In quel film i soldati cominciano a gridarsi frasi da una postazione all’altra, poi si intestardiscono a precisare e a chiarire. Lasciano i bunker opposti e si lanciano in una discussione di ognuno con tutti gli altri. Quasi allo stesso modo, Chianciano ha risposto (o cercato di rispondere) a una domanda che tormenta molti: e adesso con chi parlo di politica? E dove?
Il senso era, mi pare, interrompere la solitudine e i tanti monologhi un po’ autistici che ti raggiungono da tutte le parti. Io non c’ero a Chianciano. Ma - ascoltando Radio radicale - ho l’impressione che la strana idea stia funzionando. In ogni caso continua. E mi piacerebbe che contagiasse il Partito democratico.
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Veltroni ha fatto tutto il possibile. Ha afferrato per i capelli una campagna elettorale che poteva essere vuota e ha riempito molte piazze. Ha perso una cosa, le elezioni, e ne ha vinta un’altra: l’inizio dell’esistenza e della vita politica di un partito che non c’era, il Pd. Adesso però comincia la prova più importante: fare del partito la piazza. Una piazza in cui la storia non comincia e non finisce nel discorso del leader e negli «interventi» dei vice leader. Una piazza in cui «si parla con» e non «si parla a».No, non sto celebrando l’assemblearismo. Sto cercando il tipo di democrazia che alza la soglia di dignità e di passione dei cittadini attraverso la partecipazione. Uno spazio nato per essere crocevia di nuovo impegno comune e di impegno urgente, in un tempo molto pericoloso. Il Pd non può diventare un circolo ufficiali, con un annesso club dei cadetti. La truppa e le salmerie aspettano fuori. Mentre il vice ammiraglio Bindi discute animatamente con il maggiore Fioroni e il colonnello Parisi avverte il Comando del suo dissenso alla presenza dell’aiutante di campo Realacci, la truppa là fuori potrebbe andarsene.
«Ci sentiamo soli» hanno detto alla nostra Maria Zegarelli (l’Unità 27 giugno) i cittadini rimasti fedeli alla Festa dell’Unità di Roma (si chiama ancora così, come quando c’era la sinistra) evidentemente in attesa di essere raggiunti da un segnale che voglia dire «siamo qui, siamo insieme, ecco ciò che stiamo per fare». Difficile non capirli, dati i tempi.
Sono i tempi di un feroce, nevrotico attacco alla Giustizia. si sta creando come se fosse ovvio, normale, tipica una vistosa condizione di incompatibilità mentale e ambientale tra Berlusconi e la sua carica.
Sono i tempi del tentativo del premier di essere esente da ogni imputazione come nessun premier al mondo (salvo monarchi e Capi di Stato).
Sono i tempi delle punizioni che si abbatteranno su chi oserà pubblicare atti veri e legali (come le intercettazioni dei giudici), in modo che il potere risulti intoccabile.
Sono i tempi in cui i due ministri degli Esteri e della Difesa italiani chiedono insistentemente che i soldati italiani, che già sono impegnati a tentare progetti di aiuto e di pace, questi soldati, trattati come se fossero imboscati, vengano finalmente mandati a morire. Intanto aerei da combattimento costosi come ospedali vengono generosamente offerti in modo così precipitoso da far dire ai colleghi della Nato: «va bene, va bene, un momento di pazienza...».
E certo l’ansia dei due ministri italiani deve avere provocato qualche sorpresa. Nessuno è così impaziente di spingere nei punti peggiori di un fronte i propri connazionali.
Sono tempi di ronde, di vigilantes, di impronte digitali ai bambini Rom, di militarizzazione di un Paese che fino a poco fa era in pace.
Ma, diciamo la verità, sono i tempi del silenzio. E questo isola e angoscia i milioni di italiani che hanno votato per il Pd. Non potremmo, non dovremmo chiudere il circolo ufficiali e unirci con atti e parole forti, e impegni immediati, e chiarissimi «no», ai cittadini che aspettano? È vero, ci sono cose che il governo di Berlusconi sta proponendo che sono, allo stesso tempo, odiose, immorali e «ben viste» dai cittadini, dopo che con tanto impegno è stato seminato il sospetto e coltivata la paura. Adesso, come si sa, la parola-grimaldello, capace di far saltare ogni obiezione, anche a sinistra, è «sicurezza», benché, fuori dalle regioni di mafia, camorra e ’ndrangheta a cui il severo ministro Maroni non presta alcuna attenzione né prevede alcuna ronda, l’Italia sia il Paese statisticamente più sicuro d’Europa.
Ma proprio questa è la prova più ardua e più alta: dire la verità quando tutti ti fanno credere un’altra cosa. Vorrei ricordare il libro «Profili nel coraggio» che nel 1959 ha reso celebre il suo autore, John Kennedy, e ha aperto la strada alla sua elezione a presidente degli Stati Uniti. Era una serie di esempi di statisti che hanno avuto il coraggio di battersi per una causa persa, ma moralmente necessaria, fino a rovesciare il gioco e a vincere.
Non varrebbe la pena di cominciare dai bambini Rom, di proclamare che siamo noi, il Pd, la loro difesa, fino a rendere impossibile questo trauma volgare e ingiusto a danno dei bambini? Non dovremmo essere noi, il Pd, a intervenire in difesa della Polizia italiana che finora non ha mai fatto foto segnaletiche di piccoli, italiani o stranieri, e si è occupata di loro (i bambini) solo per proteggerli? Non dovremmo cominciare subito con il partecipare ad una «giornata per la Giustizia» contro il tentativo di impiantare un potere senza limiti fondato sull’umiliazione dei giudici e su un Parlamento fantasma?
furiocolombo@unita.it
Repubblica 29.6.08
E Sd sfida il Pd: disobbedienza civile
Prc, Bertinotti sconfitto nella sua sezione
Al circolo Musu, dov´è iscritto anche Ingrao, la mozione Ferrero ha prevalso per 41-7 contro quella di Vendola
ROMA - Brutta sconfitta "casalinga" ieri per Fausto Bertinotti. Roma, quartiere Nomentano. Nel congresso del circolo "Musu" del Prc, dov´è iscritto l´ex presidente della Camera, la mozione proposta da Ferrero ha stravinto: 41 voti contro i 7 della mozione Vendola, sostenuta da Bertinotti. La mozione vincente è stata presentata da Raul Mordenti, leader dei movimenti del ‘68 e del ‘77. Dall´altra parte, Alfonso Gianni, ex sottosegretario. Che la prende con filosofia: «Mi aspettavo 5 voti e non 7. Ne ho spostati due». Battute a parte, per Gianni la sconfitta era attesa: «Il leader della sezione, il sindacalista Cgil Sante Moretti, ha trascinato quasi tutti i voti. E comunque Bertinotti non ha mai fatto attività di sezione, è iscritto lì perché abita lì». Come Pietro Ingrao, che ieri era assente.
Sempre ieri si è chiusa a Chianciano l´assemblea nazionale di Sd. Applauditissimo Fabio Mussi, che raccogliendo l´invito al dialogo di Walter Veltroni ha rilanciato: «La critica sia reciproca. Su sicurezza o immigrati ho molto da rimproverare al Pd». L´ex ministro lancia una sfida al Pd: condividere, nella lotta al governo Berlusconi, atti di disobbedienza civile: «Se un militare ci ferma, rifiutiamoci di fornire le generalità. Se in un campo rom prendono le impronte ai bambini, portiamoci anche i nostri figli».
(m. fv.)
l’Unità 29.6.08
Scambio di dati personali, Stati Uniti ed Europa a un passo dall’accordo
Secondo il New York Times l’intesa consentirebbe a polizie e agenzie di intelligence di ottenere informazioni su viaggi, spese con carte di credito e ricerche sul web
FRA PRIVACY e sicurezza vince la sicurezza. Fra regole Ue e regole Usa, vincono gli Usa. Dopo 7 anni di discussioni, da quel 2001 che ha visto l’America scoprirsi vulnerabile sarebbe vicino, secondo il New York Times, un accordo che consentirà alle polizie e alle agenzie di intelligence europee e statunitensi di scambiarsi informazioni private su persone che vivono di qua e di là dell’oceano. Spese con carte di credito, viaggi, perfino le ricerche effettuate sul web: un Grande Fratello che attraversa l’Atlantico.
Il giornale newyorchese ha ottenuto una bozza dell’intesa che, una volta approvata, segnerà un successo diplomatico per i servizi antiterrorismo americani che si sono spesso scontrati con le norme europee più restrittive sull’uso dei dati personali dei cittadini.
Secondo il quotidiano è dal febbraio 2007 che le parti stanno negoziando e hanno già raggiunto un consenso di massima su 12 temi centrali dell’accordo internazionale «a carattere vincolante». L’amministrazione Usa preferirebbe chiudere prima della fine del mandato del presidente George W. Bush il prossimo gennaio, mentre da parte europea si preferirebbe attendere il 2009 e la conclusione del processo di ratifica del Trattato di Lisbona, che d’altro canto sta incontrando nuove difficoltà dopo il no degli elettori irlandesi nel referendum di due settimane fa. Restano comunque aperte alcune importanti questioni: tra queste la possibilità per i cittadini Ue di far causa al governo degli Stati Uniti per l’uso dei propri dati personali, una eventualità al momento esclusa dalla legislazione americana per i cittadini stranieri ma che potrebbe garantire una più facile accettazione di norme tanto distanti da quelle comunitarie.
La bozza di negoziato è scaturita da due conflitti transatlantici dopo le stragi dell’11 settembre: la polemica sulla richiesta americana di dati sui passeggeri partiti da scali europei e in rotta per gli Usa e quella sul consorzio bancario Swift che segue le tracce dei trasferimenti bancari internazionali. In entrambi i casi gli americani volevano avere accesso ai dati per indagare su potenziali attività in odore di terrorismo: molti paesi europei avevano obiettato adducendo come ragione del no la violazione delle norme nazionali sulla privacy.
Il nuovo testo è stato elaborato dai ministeri della Sicurezza Interna, della Giustizia e dal Dipartimento di Stato americano con le rispettive controparti europee.
Ue e Usa, ha detto al New York Times Stewart A. Baker, vice segretario di stato per la sicurezza interna, stanno cercando di evitare future controversie «trovando un terreno comune sulla privacy e concordando sul fatto che non si possono imporre obblighi conflittuali alle società private». Le indiscrezioni sull’accordo hanno provocato un’alzata di scudi tra gli attivisti per i diritti del cittadino nel timore che le norme a tutela della privacy possano facilmente essere aggirate.
Nell’accordo si afferma ad esempio che un governo non può usare informazioni che rivelino razza, religione, opinioni politiche, salute o vita sessuale «a meno che la legislazione nazionale non preveda appropriate salvaguardie».
La bozza però non precisa cosa venga considerata un’ “appropriata salvaguardia”, suggerendo che ogni governo decida da solo se sta rispettando questa regola.
Corriere della Sera 29.6.08
Cinese in esilio, il premio Nobel per la Letteratura risale alle fonti della sua ispirazione. Dove si fondono Oriente e Occidente
Gao Xingjian. Le mie parole d'acqua e fuoco
«Così gli elementi naturali plasmano i romanzi e la pittura»
di Gao Xingjian
«Per sopravvivere in patria ho dovuto imparare a controllare la collera, che spesso — quando ero giovane — era furiosa ed esplosiva»
«L'aria possiamo definirla anima, senza significato religioso: l'anima è uno stato dello "spirito", che evoca e dal quale si emanano le sensazioni»
Scegliere uno dei quattro elementi, Aria, Acqua, Fuoco, Terra. Scegliere uno dei quattro elementi, identificando in esso la mia predominante interiore e riconducendo a esso la mia opera artistica, per me è molto difficile. La concezione dei quattro elementi, che secondo le teorie dell'antichità occidentale componevano il mondo, corrisponde alla visione del mondo che si aveva nell'antichità in Cina, anche se con alcune differenze. Gli elementi, nella visione cinese, sono cinque e non coincidono perfettamente con quelli occidentali. Abbiamo l'acqua, il fuoco, la terra, ma anche il metallo e il legno. Non c'è invece l'aria. Prima di questa concezione del mondo, in Cina ne esisteva un'altra, alla base dello yin e yang, secondo la quale al contrario tutto proveniva dall'elemento aria. La pratica esoterica di interpretare un individuo a partire da un elemento esisteva in Occidente come in Cina ed esiste tuttora.
Sia rimanendo all'interno del pensiero occidentale sia aderendo a quello cinese, sceglierne uno, ripeto, per me è difficile. In me c'è l'elemento fuoco, non come forza distruttrice, ma come permanenza di uno stato costante di energia. Mi sento molto vicino però anche all'elemento acqua, che più rappresenta per me la vita. L'acqua scorre in molte delle mie opere. E' il corso del fiume Yangzi al centro del romanzo La montagna dell'anima, è il mare profondo e tenebroso sotto la luna in cui nuota l'uomo nel racconto Il crampo, la pozza di acqua fangosa, come una palude che invade lo spazio del magazzino dove si sono rifugiati i tre protagonisti del testo teatrale La fuga, il fiume dell'oblio nell'altro testo teatrale L'altra riva, l'inchiostro di china che uso per dipingere i miei quadri e che si allarga come una macchia liquida nel film La silhouette sinon l'ombre. L'acqua è forse una dominante, ma nello stesso tempo mi sento profondamente radicato anche alla terra, piantato con radici profonde. È il mio essere realista. Ma la mente spesso si libra, vola senza ostacoli, ecco l'aria.
In me, sento che gli elementi aria e terra sono inoltre strettamente legati così come lo sono l'altro polo di opposti, fuoco e acqua. È per questo motivo che mi è assolutamente difficile, se non impossibile, prendere delle distanze da un elemento piuttosto che da un altro. La compresenza dei quattro elementi crea un equilibrio nei contrasti. Tale equilibrio è stato una conquista del tempo. Se lascio sfuggire il mio fuoco, tutto viene messo in crisi. Nel passato, quando ero giovane, accadeva che il fuoco eruttasse come un vulcano. La collera era furiosa ed esplosiva. Ma sotto il regime politico che c'era in Cina, non riuscire a contenere la propria collera era pericolosissimo e mi sono trovato in situazioni davvero problematiche. Ho dovuto imparare, per sopravvivere e non ammalarmi, a controllare il fuoco e a metterlo in armonia con gli altri elementi. Regolare questi elementi contraddittori è veramente un'arte per la vita, è l'arte della vita. Legarmi e legare i quattro elementi mi hanno «destinato » ad amare la natura, la grande natura fisica e la natura umana. E a non pormi in una posizione di giudizio. Non serve a niente dire questo è buono, questo è cattivo. Tutto ciò che esiste ha caratteristiche determinate dalla natura, deve e può essere così e non altrimenti. Sta a noi accettarlo, come parte necessaria della vita. È questo trovare l'equilibrio e provare a non essere infelici. Se parliamo però di natura, nel mondo fisico, non possiamo non parlare anche di scienza e conoscenza scientifica. Essa avanza a velocità impensabili un tempo. La conoscenze e la lettura che diamo di certi fenomeni fisici sono sottoposte rapidamente all'usura del tempo. Ciò che era valido venti anni fa adesso è già superato. Al contrario, nell'arte e nella letteratura, i quattro elementi che vengono applicati alla natura e alla lettura dell'interiorità dell'uomo, di cui sono il riflesso, conservano sempre il loro valore, poiché toccano le sensazioni e sensi: la vista, l'olfatto, l'udito, il tatto. Tutto può essere direttamente captato attraverso i sensi dell'essere umano. L'arte e la letteratura hanno così un linguaggio proprio e diverso rispetto a quello della scienza. Mentre la razionalità e l'analisi, a partire dai mezzi tecnici che vengono adoperati per sperimentare e verificare, sono alla base della scienza, nell'arte tutto deve essere legato dalle sensazioni. Parlando di arte figurativa, trovo che l'arte contemporanea sia diventata molto concettuale, perfino molto «tecnica». Mi sembra che manchi proprio del linguaggio delle sensazioni e che l'influenza del linguaggio scientifico sia eccessiva. Ma la scienza non può sostituire l'arte e il suo linguaggio non può essere quello della creazione artistica. Dovremmo ritornare al linguaggio dell'arte come linguaggio delle sensazioni umane. Abbiamo avuto il culto del meccanicismo all'inizio del XX secolo. È ciò che ha dato impulso alla nascita dell'arte moderna. Ma ormai è il passato. Il culto del linguaggio scientifico adesso è come un gioco da bambini, porta a un paradosso. Ciò che sembrava aderente al proprio tempo e all'avanguardia dal punto di vista scientifico venti anni fa, adesso, con i passi da gigante che fa la scienza, diventa ridicolo. Così, un'opera d'arte che porti in sé quel linguaggio è immediatamente superata e viene meno al carattere di eternità e di valore nel tempo che dovrebbe avere, di cui invece sono testimonianze bellissime molte opere dell'arte romana e greca. Ma l'arte per sopravvivere al proprio tempo deve avere fare appello alle sensazioni umane. E questo perché l'essere umano in fondo è immutabile. Pensiamo di cambiare, ma i principi di fondo che ci governano sono gli stessi da sempre. I quattro elementi, evocando le sensazioni umane, sono alla base del linguaggio dell'arte e della creazioni artistica. Se poi pensiamo in particolare all'elemento aria, noi parliamo dello «spirito». Quando nella teoria dei quattro elementi applicata all'interiorità dell'uomo diciamo «aria», non pensiamo certo alla composizione chimica dell'aria, ma facciamo appello allo «spirito », che è quanto c'è di più profondamente legato alla natura umana dal punto di vista psichico. L'aria, allora, possiamo definirla «anima», non alludendo al concetto religioso. L'anima è uno stato dello «spirito», che evoca e dal quale si emanano le sensazioni. Il linguaggio della creazione artistica è quindi legato all'anima. Noi sentiamo in un'opera se quest'anima esiste e nell'osservatore spettatore questo provoca un'eco. Anche una volta che l'artista è morto, se l'opera ha un'anima, riuscirà a trasmettere delle emozioni, a veicolare la propria anima a chi si troverà a contemplarla, godendo di una proprietà transitiva. I quattro elementi costituiscono un linguaggio per la creazione artistica poiché si basano sullo studio dei sensi e delle sensazioni. E in questo modo, si trasformano da elementi materiali in spirituali.
(Testo tradotto e curato da Simona Polvani)
Corriere della Sera 29.6.08
Un saggio di Jonathan Baron contesta le certezze del «mondo latino» e riapre il dibattito
Bioetica, quando l'utile è morale
La lezione degli scienziati anglosassoni: empirici e possibilisti
di Edoardo Boncinelli
Il conflitto
In questa «guerra di religione» si fronteggiano pragmatismo e utilitarismo da una parte, essenzialismo e normativismo dall'altra
Una guerra di religione o, se preferite, di mentalità, è in atto da un certo numero di anni qui, al centro dell'Europa; una guerra culturale che vede da una parte principalmente l'Italia, e alcune frange di altri Paesi latini, e dall'altra il mondo anglosassone. Certamente meno devastanti del razzismo, ma più sornione, pervasive e forse perniciose, le guerre di religione offrono a chi le combatte il vantaggio di potersi sentire buono, se non santo: si lotta per i propri valori e la propria identità. E ci si sente moralmente superiori. «Gli altri» al contrario non hanno sensibilità, sono barbari, mentre è inutile far notare che, come in ogni guerra, esistono persone degnissime da una parte e dall'altra e loschi figuri sull'una e sull'altra sponda. Nel caso specifico si fronteggiano pragmatismo e utilitarismo da una parte ed essenzialismo e normativismo dall'altra, per non parlare degli opposti atteggiamenti dei due mondi verso il materialismo e l'empirismo. Nel campo morale gli uni amano quasi sempre veder adottare norme universali imposte una volta per tutte, gli altri preferiscono un atteggiamento possibilista e maggiore disponibilità a decidere caso per caso.
La divergenza, nata probabilmente con lo sviluppo della filosofia inglese del Sei-Settecento, nelle sue articolazioni conoscitive e morali, ha raggiunto una nuova notorietà e grande popolarità con il diffondersi delle questioni bioetiche e più in generale con l'imporsi del dibattito pubblico sugli interrogativi sollevati dalla biomedicina. Nelle questioni bioetiche la mentalità angloamericana è avversata apertamente dalle gerarchie della Chiesa cattolica, ma anche da esponenti della cultura laica italiana che affermano con un sospiro che gli anglosassoni hanno una cultura e una sensibilità differenti, ovvero una cultura e una sensibilità sbagliate. Qualcuno in passato si è appellato addirittura a Kant, che sarebbe debitamente preso in considerazione dalle nostre parti, ma non da «quelli», e qualcuno è arrivato a demonizzare tutto ciò che si fa o si dice in campo bioetico soprattutto in Inghilterra, ma anche negli Stati Uniti e in Canada.
Come succede quasi sempre in questi casi, molte affermazioni nascono dall'ignoranza, per esempio a proposito della natura dell'utilitarismo, una dottrina filosofica considerata con grande sufficienza nel nostro Paese — al punto che nel linguaggio quotidiano l'aggettivo «utilitaristico » ha una connotazione assai negativa — ma che possiede invece un grande valore morale e politico se letto e studiato nella sua formulazione più autentica. Si tratta spesso di un vero e proprio abbaglio filosofico, alimentato da interessi culturali non sempre trasparenti.
Queste considerazioni mi sono venute prepotentemente alla mente leggendo Contro la bioetica di Jonathan Baron (Raffaello Cortina, a cura di Luca Guzzardi), un libro molto ponderato, aggiornato e coraggioso, centrato su alcuni aspetti particolari del ragionamento bioetico di oggi. Il titolo non deve ingannare; non si tratta di un libro contro la bioetica, ma di un tentativo sistematico di riconsiderarne alcuni lati sotto varie angolature. «Questo libro — dice infatti l'autore proprio all'inizio dell'opera — mette in relazione tre aree di ricerca che coltivo da anni: la teoria della decisione, l'utilitarismo e la bioetica applicata». Non insisterò sull'utilitarismo, una posizione che «ritiene che la scelta migliore sia quella che comporta il maggior bene atteso», perché ciò richiederebbe un discorso troppo lungo, ma vale la pena spendere due parole sulla moderna teoria della decisione, una disciplina che sta divenendo sempre più importante.
Partendo dalla considerazione che i pareri in tema di bioetica «tendono a fondarsi sulla tradizione e su giudizi intuitivi», l'autore ci ricorda quanto fallaci possano essere proprio i giudizi basati sull'intuizione e sulla prima impressione. Esistono ormai molti lavori, più o meno estesi e articolati, che illustrano tale punto con grande dovizia di particolari. Messo alla prova della logica, il nostro cervello fornisce molto spesso giudizi infondati e lo fa quasi sempre se deve pronunciarsi in fretta. È anche per questo motivo che molte cose costano 19,99 euro invece di 20 o 699 invece di 700. Se è costretto poi a ripensarci e a considerare le cose con più calma, il cervello di ciascuno di noi può anche ricredersi e formulare giudizi più corretti, ma in prima battuta siamo tutti inclini a sbagliare. E sempre nella stessa, prevedibile direzione. Sarebbe assurdo, dice Baron, non tenere conto di queste nostre tendenze innate, soprattutto oggi che le conosciamo bene, e arriva a proporre una sua «analisi utilitarista delle decisioni », una forma di ragionamento e di valutazione che potrebbe portare i comitati di bioetica o il consulente bioetico singolo a sbagliare di meno. Qualcuno potrebbe ribattere, dice il nostro autore, che gli eventuali sbagli sono «semplicemente il prezzo della moralità, ma quale "moralità" ci autorizza a peggiorare la situazione di qualcun altro? ». Al di sopra e al di là delle guerre ideologiche personali, dovrebbe esserci un'attenta e sollecita considerazione per il disagio e il dolore del singolo interessato: gli ideologi disputano, ma è il singolo che soffre. Lui e la sua famiglia.
Il saggio di Jonathan Baron, «Contro la bioetica», è edito da Raffaello Cortina (pp. 322, e 28)
Corriere della Sera 29.6.08
Cagliari: 85 fra olii, bronzi, cementi, marmi a Palazzo Regio per i vent'anni dalla morte
Un sardo per le strade di New York
Costantino Nivola fra Marino Marini, Le Corbusier e Léger
di Sebastiano Grasso
Un antenato? In lamiera verniciata.
Sebastiano Satta? In terracotta. Il modello per il monumento alla Brigata Sassari? In bronzo. L'ingegnere? In marmo. Emilio Lussu? Dipinto a olio. Bozzetti per giornali e riviste? A tempera.
Cagliari ricorda i vent'anni dalla morte di Costantino Nivola (1911-1988) con una mostra di 85 opere, molte delle quali esposte per la prima volta, rintracciate in case private della Sardegna e di cui non si aveva notizia. Al progetto della rassegna, a cura di Carlo Pirovano (catalogo Ilisso) ha lavorato anche la vedova dell'artista, Ruth Guggenheim. Ma nel gennaio scorso se n'è andata per sempre e, adesso, hanno deciso di dedicargliela.
Nivola, sardo di Orano (Nuoro), nel 1921 incontra la studentessa americana a Monza, dove s'è trasferito, con una borsa di studio, all'Istituto per le industrie artistiche. Ha vent'anni: la sposa nel '38.
A Monza, insegnano anche Arturo Martini e Marino Marini. La frequenza dei loro corsi fa sì che Nivola acquisisca una nuova concezione della scultura e la confronti col palcoscenico arcaizzante dei nuraghi. Nascono qui, le sue prime intuizioni e una nuova maniera di vedere il mondo. Fra i docenti, ci sono anche Raffaele De Grada, Pio Semeghini, Edoardo Persico e il grafico Marcello Nizzoli. E proprio in grafica pubblicitaria si specializza il giovane Costantino che, nel '37 va a dirigere la sezione grafica della Olivetti. A Milano ha anche modo di frequentare alcuni letterati come l'ingegnere-poeta Sinisgalli, Quasimodo (che fa avanti e indietro con Sondrio), Gatto, Cardarelli e altri. L'inizio non poteva essere più promettente.
Poi, nel '39, per evitare i Fasci, dopo un breve soggiorno a Parigi, salpa per New York. «Ho bussato alle porte di questa città meravigliosa e centinaia di porte, finestre e cuori si sono aperti. Il doganiere era sconcertato dal mio bagaglio composto di ingenuità, talento e accento straniero» scriverà anni dopo.
Le opere di Cagliari ripercorrono buona parte dell'avventura di Nivola. Dai bozzetti del '34, agli olii anni Quaranta, alle sculture in gesso, sabbia, cemento e tempera anni Cinquanta (per cui inventa la tecnica del sand casting),
ai mappamondi in bronzo, alle figure in marmo, e così via. Un paio di figure femminili ( La madre sarda e la speranza del figlio meraviglioso, per esempio) e L'archeologo fortunato appartengono all'ultimo periodo della sua vita. Pittura, scultura. E ritorno alla pittura.
Una sorta di osmosi fra le varie tecniche gli permette di passare dall'una all'altra con grande facilità, di amalgamare suggestioni antiche con concezioni modernissime («La mia perpetua condizione di naufrago mi permette di salire e scendere quando voglio dal treno del determinismo storico dell'arte moderna e di abbandonare i binari diritti, dove molti miei colleghi sono stati uccisi dalla noia» annoterà).
Così come Martini e Marini hanno incidono profondamente nella sua formazione giovanile, eguale rilevanza avranno, successivamente, Le Corbusier (il quale, nel '46, per un paio d'anni, dipinge nel suio studio) e Fernand Léger. Nivola comprende che alcune delle sue sculture, per respirare, devono essere inserite in strutture architettoniche, sino a creare un tutt'uno.
A New York vive fra il Greenwich Village e Long Island. È lì che incontra De Kooning e Pollock. Ed è lì che riesce a coniugare l'«ancestrale ascendenza mediterranea» col «purismo» di Fernand Léger e la «funzionalità» di Le Corbusier.
COSTANTINO NIVOLA Cagliari, Palazzo Regio, sino al 30 agosto. Tel. 366/3890755.
Repubblica 29.6.08
Come hanno ridotto noi poveri italiani
di Eugenio Scalfari
Nel 1972 due giornalisti del Washington Post iniziarono un´inchiesta sui comportamenti del presidente degli Stati Uniti d´America, Nixon, e dell´entourage dei suoi più intimi collaboratori, accusati di aver spiato i loro avversari del Partito democratico. L´inchiesta andò avanti per due anni con una serie di articoli sempre più documentati e sempre più aspri nei confronti del Presidente, supportati da documenti e testimonianze spesso coperte da anonimato. La Casa Bianca cercò in tutti i modi di intimidire l´editore (anzi l´editrice) di quel giornale senza riuscirvi. Due anni dopo, nel 1974, Nixon si dimise dalla carica per evitare l´imminente e ormai inevitabile messa in stato d´accusa da parte del Congresso.
Nel 1998, cioè ventiquattro anni dopo la conclusione del "Watergate", scoppiò lo scandalo Lewinsky, subito battezzato "Sexygate". Questa volta il bersaglio fu Bill Clinton, presidente democratico. Il reato non era neppure un reato ma pratiche di sesso orale effettuate ripetutamente nella sala ovale della Casa Bianca. Per mesi e mesi i giornali e le televisioni americane e di tutto il mondo aprirono le loro pagine alle rivelazioni sul sesso orale tra Monica e Bill, i protagonisti furono intervistati decine di volte e così pure Hillary, la moglie del Presidente. La vita privata e le intemperanze sessuali di Clinton furono raccontate nei minimi dettagli. Alla scadenza del mandato il giovane Bush, repubblicano, vinse le elezioni a mani basse.
Nessuno in America propose restrizioni alla libertà di stampa. Casa Bianca e Congresso non vararono alcuna legge che vietasse alcunché alla stampa essendo che, per radicata convinzione degli americani, la vita privata e quella pubblica dei politici sono sempre state sotto il controllo dei "media" senza restrizioni di sorta se non nei casi di diffamatoria e calunniosa non verità.
Poche settimane fa è stato presentato al Festival cinematografico di Cannes il film "Il divo" del regista Sorrentino che si è guadagnato il premio della giuria. Il protagonista è un bravissimo attore italiano che impersona Giulio Andreotti, l´accento complessivo del film è colpevolista anche se non risolve volutamente l´enigma di quell´uomo politico che fu sette volte presidente del Consiglio e fu accusato dai giornali e dai tribunali di ogni genere di nefandezze.
Andreotti non ha querelato gli autori del film. Dico di più: Andreotti è stato coinvolto in processi gravissimi, condannato a gravissime pene nei processi di primo grado, poi ridotte o cancellate in appello e definitivamente annullate in Cassazione. Lui non si è mai sottratto ai processi; li ha affrontati e i suoi avvocati l´hanno difeso con tenacia e composta professionalità. Niente a che vedere con il piglio eversivo dell´avvocato Ghedini, difensore di Silvio Berlusconi e redattore delle leggi "ad personam" in favore del suo cliente.
Ricordo qui i casi di Nixon, di Clinton e di Andreotti perché segnano una differenza abissale rispetto al caso Berlusconi. Differenza che riguarda contemporaneamente i protagonisti dei quattro casi, il conformismo della maggior parte della stampa italiana rispetto a quella americana, l´imbambolamento dell´opinione pubblica nostra rispetto alla reattività di quella d´oltreoceano e infine l´incapacità dei parlamentari del centrodestra di distinguere il loro ruolo di membri del potere legislativo dalle insane voglie d´un presidente del Consiglio che si vuole affrancare da ogni controllo istituzionale, giudiziario, politico, mediatico.
* * *
Bisogna tutelare la dignità privata delle persone. Principio sacrosanto. Per tutelarla c´è il codice penale e i previsti reati di calunnia e di diffamazione. Aggravata per mezzo della stampa. Se le pene si ritengono troppo lievi è giusto aggravarle. Se i processi procedono con lentezza si faccia in modo di renderli più veloci. Del resto contro la stampa di solito si procede per "direttissima".Per proteggere la dignità dei privati (e anche degli uomini pubblici) occorre che la dignità vi sia. Nixon che usa i suoi poteri di presidente per spiare gli avversari politici non ha dignità. Clinton che si rotola sui tappeti della sala ovale con Monica non ha dignità. Berlusconi che traffica con un dirigente della Rai per collocare veline a lui ben note, favorisce quel medesimo dirigente per sue future iniziative private, negozia accordi collusivi tra Rai e Mediaset con dirigenti del servizio pubblico e perfino con un membro dell´Autorità di controllo delle comunicazioni e che infine usa alcuni di questi suoi poteri per convincere membri del Senato ad abbandonare la maggioranza e passare dalla sua parte, non ha dignità.
Ma ne ha ancora di meno quando ritaglia la sua silhouette di imputato in una legge blocca-processi, che intaserà l´intero sistema giudiziario. Nel contempo manda avanti una legge che faccia da scudo alle quattro alte cariche dello Stato. Il tutto con la connivenza dei presidenti delle Camere i quali consentono che vengano inseriti emendamenti inaccettabili e inammissibili in testi di decreto approvati dal presidente della Repubblica.
Giorgio Napolitano ha ben presente il suo ruolo "super partes" anche se le iniziative scriteriate del "premier" rendono sempre più stretto il suo spazio di mediazione. Ma si può star certi che userà i poteri di sua competenza se, nel momento in cui il disegno di legge sull´immunità delle alte cariche dello Stato sarà presentato in Parlamento e calendarizzato, la maggioranza non ritirerà l´emendamento blocca-processi inserito surrettiziamente nel decreto legge sulla sicurezza. Si può star certi che il capo dello Stato rinvierà alle Camere una legge che contenesse quell´emendamento sciagurato, inserito a sua insaputa e non bloccato come sarebbe stato suo stretto dovere dal presidente del Senato. Non già per incostituzionalità, ma per mancanza dei requisiti di urgenza. Della costituzionalità dovrà occuparsi la Corte quando sarà chiamata in causa, sia per la legge sulla sicurezza sia per l´immunità delle alte cariche e per la durata di quel privilegio immunitario.
Un collega cui non manca il talento ma che sta soffrendo (così mi sembra) d´un preoccupante prolasso di moralità deontologica, ha scritto di recente della necessità di concedere a Berlusconi una sorta di salvacondotto giudiziario; solo così, a suo avviso, si potrà risolvere l´anomalia italiana. Naturalmente chi dovrebbe prendersi carico di questa delicata operazione dovrebbe essere l´opposizione che metterebbe così le basi per affermarsi e legittimarsi di fronte alla pubblica opinione.
Favorire le scelleratezze (o le mattane) politiche d´un imputato assurto ai vertici del potere per acquistare credito da una pubblica opinione in larga misura cloroformizzata: è vero che il cinismo è di moda in politica, ma non dovrebbe spadroneggiare anche nei "media". Invece spadroneggia eccome! Questo del salvacondotto è un culmine da primato.
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Lo confesso: ho un debole per la Marcegaglia. È chiara, decisa, dice sì sì, no no. Una capigliatura ondosa. Una femminile virilità. La sua ricetta è meno tasse, meno spese, salari agganciati alla produttività. Il programma di Berlusconi e anche di Tremonti, ma con qualche variante di non piccolo rilievo.Prima variante: di diminuire le tasse non se ne parlerà fino al 2013. Avevano promesso di portare la pressione fiscale dal 43 al 40 per cento, ma ora che i voti li hanno avuti ci informano che nel 2013 la pressione fiscale sarà del 42,90. È contenta la Marcegaglia? Mi piacerebbe saperlo ma lei di queste cose non parla anche se su questo punto hanno fatto il diavolo a quattro ai tempi di Padoa-Schioppa e di Visco. Loro almeno i soldi li prendevano agli evasori e a Confindustria hanno dato cinque punti in meno di Irap e Ires. Tremonti l´Ires l´ha già riportata al livello originario, cinque punti e mezzo in più. È contenta signora? Lo dica, sì sì, no no, non muore nessuno.
Qualcuno veramente ci lascia la pelle per uno straccio di contratto precario o in nero. Non dovreste espellerli da Confindustria quelli che assumono in nero?
Le spese. Tagliare gli sprechi va bene. Continuità con Padoa-Schioppa. L´Ufficio studi della Confindustria l´ha onestamente ricordato: continuità. Ma Tremonti non taglia solo le spese intermedie, taglia tutto. Tremonti è bravo. Ma lei, gentile Emma, constata con molto disappunto che la crescita nel 2008 sarà zero e nel 2009, se va bene, salirà allo 0,6. Andiamo di lusso. Con l´inflazione al 3,6 e per energia e alimentari al 5,5.
Crescita zero. Investimenti sotto zero. Taglio di spese deflatorio. Però due miliardi buttati per l´Ici. Trecento milioni buttati per Alitalia, che stanno per diventare un milione e mezzo se Banca Intesa darà il disco verde. Sommiamo queste cifre e aggiungiamoci l´elemosina dei 500 milioni "una tantum" ai pensionati poveri. Sono già quattro miliardi buttati dalla finestra. Però niente aumento dei salari se non aumenta la produttività.
Ma i suoi industriali, gentile Marcegaglia, loro per la produttività non è che abbiano fatto miracoli. Salvo il costo del lavoro da comprimere. Prodotti nuovi? Non se ne parla. Ricerca? Idem. Intanto crolla la Borsa. Non è colpa sua, signora Emma, né di Tremonti, né di Draghi. Però crolla. Trichet alzerà i tassi mentre la Fed li abbasserà. Chi ha ragione? Forse Draghi dovrebbe esprimersi e forse anche Tremonti e magari anche Confindustria.
Berlusconi è esentato. Lui si occupa di processi con Ghedini, di militari in strada con La Russa e di schedatura dei "rom" con Maroni. Ha ragione quel genio di Altan sull´ultimo numero dell´Espresso: una donnina con le labbra rosse e gli occhi pensierosi dice: «Ho paura ma non so di che cosa». Gli italiani li avete ridotti così.