È solo Coluccia invocare il «fumus persecutionis» della Cirami sul tribunale di Genova
Ma la stessa via giudiziariapotrebbe essere seguita da tutti gli imputati dei vari processi
G8, i big della polizia si affidano alla legge vergogna
di Claudia Fusani
L’avvocato difensore di uno degli imputati si è appellato alla Cirami. Seguendo la strada inaugurata dagli avvocati di Berlusconi, l’alto funzionario accusato di falsa testimonianza non si fida del tribunale di Genova.
Non più carnefici ma «vittime». E anche un po’ «perseguitati». Quello di Genova è un tribunale «non sereno». Meglio non si pronunci sul caso. Per ora quello che riguarda il Capo della polizia, l’ex questore di Genova Francesco Colucci e l’ex capo della Digos Spartaco Mortola, accusati di falsa testimonianza. Di aver depistato, mentendo, i processi sui fatti del G8 e nello specificio quello sull’irruzione alla scuola Diaz. Poi si vedrà. Di fronte a questo «sospetto» ieri mattina il gup Silvia Carpanini ha rinviato l’udienza preliminare in cui doveva decidere se celebrare o meno il processo per De Gennaro, Colucci e Mortola.
Il ricorso è stato presentato “solo” da Maurizio Mascia, legale dell’ex questore Colucci. Il professor Coppi, che assiste De Gennaro, e i legali di Mortola erano informati ma si sono astenuti. Il rinvio va però a beneficio di tutti visto che le posizioni dei tre indagati non sono separabili. Gli effetti del ricorso rischiano di rappresentare una rivoluzione nella storia processuale dei fatti del G8. La legge Cirami, infatti, può essere “invocata” in ogni momento e grado del processo, tranne che in Cassazione. Significa che anche per la Diaz e per Bolzaneto, entrambi in appello, gli avvocati potrebbero chiedere di non essere giudicati a Genova. Una fuga.
Capita così che il palazzo di giustizia di Genova sembri il tribunale di Milano, causa ed esperimento della cosiddetta Cirami. La legge che ammette la «remissione» di un procedimento e il suo trasferimento se c’è il sospetto del fumus persecutionis è nata dalla richiesta dei legali di Berlusconi che non voleva essere giudicato dal tribunale di Milano nei processi Sme e dintorni. Ora anche poliziotti e prefetti, i custodi dell’ordine e della legalità, si sentono vittime di una persecuzione. Non si difendono “nel” processo ma “dal” processo.
I legali del prefetto De Gennaro e di Mortola prendono le distanze. «Eravamo pronti al dibattimento, anzi, avremmo anche chiesto il giudizio abbreviato pur di chiudere questa storia» precisa Franco Coppi, difensore di De Gennaro. Però un rinvio fa comodo a tanti, anzi a tutti. Sempre che le polemiche per la polizia che fugge dal processo invece di affrontarlo a testa alta non ottengano risultati opposti. E che la pezza non sia peggiore del buco.
In undici pagine l’avvocato Mascia spiega dove nasce la «necessità della remissione del procedimento a carico del prefetto Francesco Colucci», questore di Genova ai tempi del G8. Il fatto è che «l’accusa dei processi sui fatti del G8 ha avuto un atteggiamento sbagliato che ha provocato nell’opinione pubblica una percezione errata delle prove dei procedimenti stessi». Il fumus, secondo Mascia, non è tanto agli ultimi 7 anni di indagini e processi, «ma agli ultimi 15 giorni». Da quando c’è stata la sentenza sulla Diaz che ha assolto sedici dei 29 imputati e ha condannato a pene molto lievi “solo” gli esecutori del pestaggio alla Diaz. Il fascicolo sulla falsa testimonianza è «una costola del dibattimento per la Diaz» ed è «parte di un processo che ha destato le maggiori proteste al momento della lettura della sentenza e nei giorni successivi proprio perché non sono stati condannati i vertici della polizia». La falsa testimonianza di cui sono accusati Colucci e Mortola - istigati, secondo i pm, da De Gennaro - «è in stretta connessione con quello che è successo e che ha provocato insulti e minacce al tribunale», le grida «vergogna» dopo che il presidente Barone aveva letto la sentenza e le minacce «ci vendicheremo». Ora, ragiona l’avvocato nel ricorso, «poiché nessuno ha contestato l’oltraggio al magistrato e il successivo linciaggio mediatico»; poiché «il Csm ha dovuto aprire una pratica a tutela e la prefettura ha deciso di proteggere i giudici della I sezione», è evidente «il rischio che venga limitata la serenità e la libertà di decidere». Il succo è che il processo a De Gennaro - per questa inchiesta rimosso dal vertice della polizia e ora alla guida del Dis, il coordinamento dell’intelligence - almeno per ora non si fa. E che forse Genova non vedrà più uno di questi processi. Una fuga, da tutto.
l’Unità 26.11.08
Bioetica. La legge non sia contro Eluana
di Luigi Manconi
Che il tuo riposo sia lieve, Eluana, e non si trasformi in espiazione di una vita che si riduce a una pena senza fine. Eluana è nata a Lecco il 25 novembre 1970 e ieri, dunque, ha compiuto 38 anni: gli ultimi 17 li ha passati in stato vegetativo, in una condizione priva di esperienza e di conoscenza, di capacità di comunicazione e di relazione. Il suo anniversario ricorda drammaticamente il trascorrere di un tempo di cui Eluana è vittima e non protagonista: uno stato di assenza perpetuato artificialmente. Oggi, è possibile interrompere quell'artificio e lasciare che quell'esistenza vada verso il suo esito. Lo hanno deciso la giurisprudenza e l'amore dei suoi genitori, la scienza e l'intelligenza delle cose del mondo e della loro ragione profonda.
Forse, così, Eluana Englaro potrà infine riposare in pace. Ora resta da fare quello che finora non è stato fatto e che, senza il grido muto di Eluana Englaro, mai si sarebbe nemmeno intrapreso. Ieri il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha definito "non più procrastinabile" una legge in materia di fine della vita. Ma attenzione: non serve una legge qualunque. E si ha ragione di temere che sia possibile un esito normativo assai pericoloso, dal momento che una maggioranza parlamentare è intenzionata a porre limiti assai rigidi. In particolare, a privilegiare, in caso di conflitto tra volontà del paziente e valutazione del medico, l'opinione di quest'ultimo; e a escludere dall'ambito delle decisioni assumibili quella relativa a nutrizione e idratazione artificiali e alla loro sospensione. Se così accadesse, la legge risulterebbe fatalmente più arretrata rispetto all’attuale situazione: oggi, infatti, dettato costituzionale e giurisprudenza consentono di affermare, e di vedere giuridicamente protetto il principio dell'autodeterminazione del paziente. Una legge quale quella che è possibile venga approvata negherebbe proprio questo fondamentale principio e avrebbe un esito tragicamente beffardo. Verrebbe approvata - «sull’onda dell'emozione per Eluana Englaro», come infallibilmente scriverebbe qualche giornale - una legge propriamente «contro Eluana Englaro» e tutto ciò che la sua vicenda evoca. Una legge che negherebbe, cioè, la possibilità di scelta del paziente in merito a quei trattamenti sanitari che, secondo tutti i protocolli scientifici internazionali, sono nutrizione e idratazione artificiali. Ma per gli spietati difensori della vita come «bene non disponibile» sono altro: dunque non è possibile sospenderli. Eppure, già nel dicembre del 2000, la Conferenza episcopale spagnola scriveva che «la vita in questo mondo è un dono e una benedizione di Dio, però non è il valore supremo assoluto».
l’Unità 26.11.08
Antonio Gramsci si convertì?
No, ci provarono ma lui rifiutò
di Bruno Gravagnuolo
Il caso L’arcivescovo Luigi De Magistris rivela: «Prima di morire chiese i conforti religiosi»
La storia Ma i documenti attestano tutt’altro: il tentativo d’indurlo ad abbracciare la fede fallì
Una vicenda non nuova esplosa già nel 1977 e già chiarita a sufficienza da lettere, documenti e testimonianze che allo stato attuale fanno escludere recisamente la presunta conversione e anzi la smentiscono.
Gramsci convertito in punto di morte? Addirittura con i sacramenti? Ad affermarlo è stato l’arcivescovo Luigi De Magistris, penitenziere emerito della Santa Sede, alla presentazione del primo catalogo internazionale dei «Santini». Che ha aggiunto alla «rivelazione» precisi dettagli. La presenza nella stanza alla Quisisana di Roma dell’immagine di Santa Teresa del Bambin Gesù. E le suore della clinica, che avrebbero portato da baciare a Gramsci l’immagine di Gesù Bambino, su esplicita richiesta: «Perché non me l’avete portato?». L’infermo avrebbe così baciato il Bambino, «tornando alla fede della sua infanzia».
Peccato però che la rivelazione non regga. Ma sia del tutto infondata e priva di riscontri al momento. Anzi, a leggere bene le carte di cui disponiamo, la verità fu un’altra e di tenore del tutto opposto. Cominciamo da una domanda: quando avvenne materialmente la conversione? Gramsci entrò in coma il 25 e spirò per un ictus il giorno 27 aprile 1937. Fu cremato con pratica non consacrata e con molte difficoltà, grazie al fratello Carlo (il regime temeva la concomitanza con il primo maggio), e poi le ceneri furono trasferite dal Verano al Cimitero degli Inglesi nel dopoguerra. Bene, non c’è traccia di conversione né nella lettera di Tatiana Schucht a Sraffa, né in quella alla sorella Giulia, entrambe scritte post-mortem e piene di particolari sugli ultimi istanti di Antonio. E ancora.
Il caso esplose nel 1977
Il caso della «conversione di Gramsci» esplose già nel 1977, quando il gesuita padre Della Vedova sbandierò la notizia sulla rivista Studi Sociali (n. 10). Ne nacque una polemica a seguito della quale il professor Arnaldo Nesti, sociologo a Firenze, raccontò di essersi recato 10 anni prima a Ingebohl in Svizzera, sede della casa generalizia a cui appartenevano le suore della Quisisana (cfr. Paese Sera del 21-4-77 e 8-6-77). Lì aveva incontrato i testimoni delle ultime ore di Gramsci. Il cappellano Don Giuseppe Furrer, Suor Linda, Suor Maria Ausilia e Suor Palmira. Furrer racconta delle sue «dispute» al capezzale di Gramsci, il quale polemizzava contro i sacerdoti, «incapaci di capire l’animo umano». Quanto alle suore, che esortavano l’infermo ad andare in cappella, riferirono che egli disse loro: «Non è che non voglio, non posso!». Solo una volta Gramsci cedette alle pressioni, e consentì che dei bambini entrassero nella sua stanza con la statuina del bambin Gesù. Ma era il Natale 1936, e l’ammalato si limitò in quel caso ad accontentare i bambini, con il bacio di rito all’effigie. Dunque è qui la radice della leggenda oggi riciclata, trent’anni dopo la sua prima diffusione. Laddove i fatti appurati parlano di tutt’altra situazione. Nella quale con fermezza e coraggio - e in quelle condizioni! - Antonio Gramsci respingeva ogni pressione del capellano e delle suore per convertirlo. Alternando, gentilezza, ironia, fermezza e argomenti razionali. Il tutto nella preoccupazione della cognata Tatiana, timorosa di strumentalizzazioni politiche. E alla quale non sfuggiva il tramestio attorno al letto del malato, per indurlo ad accettare i conforti religiosi. Come che sia il 25 aprile Gramsci entrò in coma, furono preparati il secchiello d’acqua santa e l’olivo e fu appoggiata sul letto la stola violacea, secondo il rito cattolico. Furrer narra di non ricordare di aver amministrato o meno l’assoluzione «sotto condizione». Fatto sta che Gramsci era ormai assente e immobile, e non rinvenne più, sino al decesso. Non solo. Secondo una testimonianza di Alfonso Leonetti (resagli proprio da Carlo Gramsci), Gramsci rivelò al fratello che un frate aveva cercato fino all’ultimo di indurlo «a compiere un atto di conversione». Tentativo fallito, perché il malato si voltò contro il muro, invitando il frate a lasciarlo in pace. E la testimonianza di Carlo è inoppugnabile, visto che assistette Antonio fino agli ultimi istanti. In conclusione, cercarono di convertire Gramsci, che tenne duro. Fino a prova contraria.
Repubblica 26.11.08
Senza uguaglianza la democrazia è un regime
di Gustavo Zagrebelsky
Regime o non-regime? Un confronto su questo dilemma, pur così tanto determinante rispetto al dovere morale che tutti riguarda, ora come sempre, qui come ovunque, di prendere posizione circa la conduzione politica del paese di cui si è cittadini, non è neppure incominciato. La ragione sta, probabilmente, in un´associazione di idee. Se il "regime", inevitabilmente, è quello del ventennio fascista, allora la domanda se in Italia c´è un regime significa se c´è "il" o "un" fascismo; oppure, più in generale, se c´è qualcosa che gli assomigli in autoritarismo, arbitrio, provincialismo, demagogia, manipolazione del consenso, intolleranza, violenza, ecc. Così, una questione seria, anzi cruciale, viene attratta sul terreno, che non si presta all´analisi, della demonizzazione politica, funzionale all´isteria e allo scontro.
Ma "regime" è un termine totalmente neutro, che significa semplicemente modo di reggere le società umane. Parliamo di "Ancien Régime", di regimi repubblicani e democratici, monarchici, parlamentari, presidenziali, liberali, totalitari e, tra gli altri, per l´appunto, di regime fascista. Senza qualificazione, regime non ci dice nulla su cui ci sia da prendere posizione, perché l´essenziale sta nell´aggettivo.
Così, assumendo la parola nel suo significato proprio, isolato dalle reminiscenze, la domanda iniziale cambia di senso: da "esiste attualmente un regime" in "il regime attuale è qualcosa di nuovo, rispetto al precedente"? Che l´Italia viva un´esperienza costituzionale, forse ancora in divenire e dall´esito non scontato, che mira a non lasciarsi confondere con quella che l´ha preceduta: almeno di questo non c´è da dubitare. Lo pensano, e talora lo dicono, tanto i favorevoli, quanto i contrari, cioè lo pensiamo e lo diciamo tutti, con definizioni ora passatiste ora futuriste.
Non lo si dice ufficialmente e a cifra tonda, perché il momento è, o sembra, ancora quello dell´incubazione. La covata è a mezzo. L´esito non è scritto. La Costituzione del ´48 non è abolita e, perciò, accredita l´impressione di una certa continuità. Ma è sottoposta a erosioni e svuotamenti di cui nessuno, per ora, può conoscere l´esito. Forze potenti sono all´opera per il suo superamento, ma altre forze possono mobilitarsi per la sua difesa. La Costituzione è in bilico.
Che cosa significa "costituzione in bilico"? Innanzitutto, che non si vive in una legittimità costituzionale generalmente accettata, cioè in una sola concezione della giusta costituzione, ma in (almeno) due che si confrontano. Ogni forma di reggimento politico si basa su un principio essenziale, una molla etica, il ressort di cui parla Montesquieu, trattando delle forme di governo nell´Esprit des lois. Quando questo principio essenziale è in consonanza con l´esprit général di un popolo, allora possiamo dire che la costituzione è legittima e, perciò, solida e accettata. Quando è dissonante, la costituzione è destinata crollare, a essere detronizzata. Se invece lo spirito pubblico è diviso, e dunque non esiste un esprit che possa dirsi général, questo è il momento dell´incertezza costituzionale, il momento della costituzione in bilico e della bilancia che prima o poi dovrà pendere da una parte. È il momento del conflitto latente, che non viene dichiarato perché i fautori della rottura costituzionale come quelli della continuità non si sentono abbastanza sicuri di sé e preferiscono allontanare il chiarimento. I primi aspettano il tempo più favorevole; i secondi attendono che passi sempre ancora un giorno di più, ingannando se stessi, non volendo vedere ciò che temono. Tutti attendono, ma i primi per prudenza, i secondi per ignavia.
Non voler vedere, significa scambiare per accidentali deviazioni quelli che sono segni di un mutamento di rotta; significa sbagliare, prendendo per lucciole, cioè per piccole alterazioni che saranno presto dimenticate come momentanee illegalità, quelle che sono invece lanterne, cioè segni premonitori e preparazioni di una diversa legittimità. Così, si resta inerti. L´accumulo progressivo di materiali di costruzione del nuovo regime procede senza ostacoli e, prima o poi, farà massa. Allora, non sarà più possibile non voler vedere, ma sarà troppo tardi.
* * *
Ciò che davvero qualifica e distingue i regimi politici nella loro natura più profonda e che segna il passaggio dall´uno all´altro, è l´atteggiamento di fronte all´uguaglianza, il valore politico, tra tutti, il più importante e, tra tutti però, oggi il più negletto, perfino talora deriso, a destra e a sinistra. Perché il più importante? Perché dall´uguaglianza dipendono tutti gli altri. Anzi, dipende il rovesciamento nel loro contrario. Senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli. Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati, diventa gerarchia. Senza uguaglianza, i diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto, diventano privilegi e, per quelli che stanno in basso, concessioni o carità. Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i primi è ingiustizia per i secondi. Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in invidia sociale. Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione. Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal patronaggio; le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità dalla prostituzione. Nell´essenziale: senza uguaglianza, la democrazia è oligarchia, un regime castale. Quando le oligarchie soppiantano la democrazia, le forme di quest´ultima (il voto, i partiti, l´informazione, la discussione, ecc.) possono anche non scomparire, ma si trasformano, anzi si rovesciano: i diritti di partecipazione politica diventano armi nelle mani di gruppi potere, per regolare conti della cui natura, da fuori, nemmeno si è consapevoli.Questi rovesciamenti avvengono spesso sotto la copertura di parole invariate (libertà, società, diritti, ecc.). Possiamo constatare allora la verità di questa legge generale: nel mondo della politica, le parole sono esposte a rovesciamenti di significato a seconda che siano pronunciate da sopra o da sotto della scala sociale. Ciò vale a iniziare dalla parola "politica": forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come nel binomio amico-nemico; oppure, dal punto di vista dei deboli, esperienza di convivenza, come suggerisce l´etimo di politéia. Un uso ambiguo, dunque, che giustifica la domanda a chi parla di politica: da che parte stai, degli inermi o dei potenti? La ricomposizione dei significati e quindi l´integrità della comunicazione politica sono possibili solo nella comune tensione all´uguaglianza.
* * *
Ritorniamo alla questione iniziale, se sia in corso, o se si sia già realizzato, un cambiamento di regime, dal punto di vista decisivo dell´uguaglianza.In ogni organizzazione di grandi numeri si insinua un potere oligarchico, cioè il contrario dell´uguaglianza. Anzi, più i numeri sono grandi, più questa è una legge "ferrea". E´ la constatazione di un paradosso, o di una contraddizione della democrazia. Ma è molto diverso se l´uguaglianza è accantonata, tra i ferri vecchi della politica o le pie illusioni, oppure se è (ancora) valore dell´azione politica. La costituzione ? questa costituzione che assume l´uguaglianza come suo principio essenziale ? è in bilico proprio su questo punto.
Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo "clandestini", quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c´è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d´interesse, per i quali, anche, non c´è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d´ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino. Se si accetta tutto ciò, il resto viene per conseguenza. Viene per conseguenza che la coercizione dello Stato sia inegualmente distribuita: maggiore quanto più si scende nella scala sociale, minore quanto più si sale; che il diritto penale, di fatto, sia un diritto classista e che, per i potenti, il processo penale non esista più; che nel campo dei diritti sociali la garanzia pubblica sia progressivamente sostituita dall´intervento privato, dove chi più ha, più può. Né sorprende che quello che la costituzione considera il primo diritto di cittadinanza, il lavoro, si riduca a una merce di cui fare mercato.
Analogamente, anche l´organizzazione del potere si sposta e si chiude in alto. L´oligarchia partitica non è che un riflesso della struttura sociale. La vigente legge elettorale, che attribuisce interamente ai loro organi dirigenti la scelta dei rappresentanti, escluso il voto di preferenza, non è che una conseguenza. Così come è una conseguenza l´allergia nei confronti dei pesi e contrappesi costituzionali e della separazione dei poteri, e nei confronti della complessità e della lunghezza delle procedure democratiche, parlamentari. Decidere bisogna, e dall´alto; il consenso, semmai, salirà poi dal basso.
E´ una conseguenza, infine, non la causa, la concentrazione di potere non solo politico ma anche economico-finanziario e cultural-mediatico. L´indipendenza relativa delle cosiddette tre funzioni sociali, da millenni considerata garanzia di equilibrio, buon governo delle società, è minacciata. Ma il tema delle incompatibilità, cioè del conflitto di interessi, a destra come a sinistra, è stato accantonato.
La causa è sempre e solo una: l´appannamento, per non dire di più, dell´uguaglianza e la rete di gerarchie che ne deriva. Qui si gioca la partita decisiva del "regime". Tutto il resto è conseguenza e pensare di rimettere le cose a posto, nelle tante ingiustizie e nelle tante forzature istituzionali senza affrontare la causa, significa girare a vuoto, anzi farsene complici.
Nessun regime politico si riduce a un uomo solo, nemmeno i "dispotismi asiatici", dove tutto sembrava dipendere dall´arbitrio di uno solo, kahn, califfo, satrapo, sultano, o imperatore cinese. Sempre si tratta di potere organizzato in sistemi di relazioni. Alessandro Magno, il più "orientale" dei signori dell´Occidente, perse il suo impero perché (dice Plutarco), mentre trattava i Greci come un capo, cioè come fossero parenti e amici, «si comportava con i barbari come con animali o piante», cioè meri oggetti di dominio, «così riempiendo il suo regno di esìli, destinati a produrre guerre e sedizioni». Sarà pur vero che comportamenti di quest´ultimo genere non mancano, ma non vedere il sistema su cui si innestano e li producono significa trascurarne le cause per restare alla superficie, spesso solo al folklore.
Repubblica 26.11.08
Dalle fabbriche a Luxuria
di Gad Lerner
Reduce da una catastrofica sconfitta politica, il comunismo riciclato con sapienza da Bertinotti come linguaggio televisivo si prende la rivincita espugnando con Vladimir Luxuria il reality show.
Pure l´auditel viene surriscaldato dall´evento, nel mentre il gelo della recessione penetra le ossa di un mondo del lavoro sempre più lacerato e afono perché costretto a fare i conti con una raffica di fallimenti personali.
Troppo facile, moralistico, giocare su tale contrasto fra una vittoria all´"Isola dei famosi" e tante sconfitte nella penisola dei cassintegrati o "senza rete"? Al contrario, dobbiamo riflettere su questo segno dei tempi se non vogliamo perdere del tutto i contatti con la realtà. Com´è successo a certi compagni di Luxuria che esaltano un improbabile significato liberatorio del suo successo.
Pur con tutta la simpatia che può ispirare l´ex parlamentare di Rifondazione incoronata dai telespettatori in un impeto d´innocua trasgressione, lo sapevamo già che la grande crisi 2008-9 non sarà una faccenda da comunisti virtuali. Ci mancherebbe che su tante persone improvvisamente costrette a misurarsi con il baratro della povertà, gravasse anche il peso di un´ideologia antagonista in format tv. Il distacco fra la sinistra virtuale e la sua comunità d´origine è ormai da tempo compiuto. Ma in questi giorni perfino lo specchio deformato dell´audience televisiva dovrebbe aiutarci a misurare in quale vuoto di comunicazione, in quale solitudine, si stanno consumando tanti passaggi esistenziali.
Nei distretti industriali che fino a ieri simboleggiavano l´eccellenza e il benessere dei cicli espansivi, dove il passato e il futuro coincidevano da generazioni nell´evoluzione del medesimo prodotto, capita ora d´incontrare padri, figli, mogli, nuore finiti tutti insieme nella cassa integrazione. Il benessere è già un ricordo nella Val Seriana colpita dalla crisi del tessile, così come nel feudo marchigiano degli elettrodomestici dove rischia di chiudere la Antonio Merloni. Scricchiola a Sassuolo la roccaforte della ceramica e anche il Nord-Est patisce il taglio brutale degli ordinativi. Ma siccome ormai è la stessa mamma Fiat a disdettare centinaia, se non migliaia di contratti a termine, ricorrendo massicciamente alla cassa integrazione per i suoi addetti a tempo indeterminato, ecco che ci tocca fare i conti con la vera novità di questa crisi.
Il mondo del lavoro non è mai stato così diviso al suo interno. I tardivi richiami sindacali alla solidarietà e la richiesta di una riforma universalistica degli ammortizzatori sociali, vi appaiono dunque poco credibili. Proprio come gli appelli di Berlusconi a consumare di più.
E´ imbarazzante fare la conoscenza dei 360 ingegneri torinesi mandati a spasso improvvisamente dalla Motorola, senza cassa integrazione. Ma ancor più imbarazzante è riscontrare la cattiva sorte toccata a migliaia di assistenti di volo e lavoratori di terra Alitalia: a loro è toccato rinnovare più volte negli anni un contratto provvisorio e quindi ora non godranno del sussidio garantito invece fino al 2014 ai loro colleghi in esubero ma meno sfortunati, che pure svolgevano le stesse identiche mansioni.
Il panorama è completato dai giovani apprendisti rispediti prematuramente a casa; dagli operatori di call center così flessibili da non meritare preavviso di licenziamento; dagli agenti immobiliari cui si chiede di mettersi in proprio, se vogliono continuare a lavorare; e dalla massa imponente degli immigrati che senza lavoro vedono rimesso in discussione il permesso di soggiorno. Senza contare i famigerati precari del pubblico impiego.
La nostra società, assuefatta alla crescita esponenziale delle disuguaglianze di reddito, già da tempo ha archiviato come retrograda la nozione di giustizia sociale. La predicazione del rischio come virtù ha mirato a realizzare il mito dell´uomo flessibile, senza indugiare sui fallimenti che ne avrebbero costellato il cammino. Abbiamo tollerato come passaggio doloroso ma necessario l´apartheid che separa i lavori protetti da quelli che non lo sono.
Ora che la crisi morde là dove non pensavamo sarebbe mai giunta tutto ciò desta scandalo, ma si tratta di uno scandalo difficile da condividere nella dimensione superata della comunità sociale.
I lavoratori in cassa integrazione non vi rinuncerebbero in favore di un sussidio unico di disoccupazione che tuteli anche i "senza rete". I dipendenti stabili guardano con disagio i colleghi "a termine" allontanati, ma che ci possono fare? Gli anziani sono ostili all´idea di ridimensionare il loro trattamento previdenziale per sostenere i giovani. Gli italiani avvertirebbero dannosa un´estensione di tutele ai colleghi stranieri.
E´ difficile, in questa situazione frantumata, che il mondo del lavoro parli con una voce sola. Ci sono quelli che vanno in corteo sotto la sede della banca per invocare una proroga dal rientro del debito aziendale, come gli operai della Pininfarina. Altri confidano negli enti locali per ottenere un anticipo del sussidio, oppure confidano nella sensibilità degli imprenditori per soccorrere le urgenze. Tutti aspirano a un sostegno pubblico governativo che sarà comunque insufficiente, né fornisce risposte sull´impiego futuro.
La recessione ormai prolungata, e destinata ad aggravarsi nel 2009, ha modificato così la condizione esistenziale dei lavoratori. Nel contrasto vissuto tra realtà e virtualità, la televisione diviene una scatola magica in cui si rappresenta un mondo distante. Dove il presidente del Consiglio raccomanda a tutti di spendere per sostenere l´economia, e la drag queen comunista traslocata dai salotti politici a una spiaggia in Honduras ne rappresenta il degno contraltare.
Repubblica 26.11.08
Entusiasta la moglie dell´ex leader di Rifondazione. "E´ stata perfetta, l´ammiro"
Lella Bertinotti: l´ho detto a Fausto e ci siamo commossi insieme
di Alessandra Longo
ROMA - «Fausto, sai chi ha vinto "L´Isola dei famosi"? Luxuria». Lella Bertinotti racconta di aver informato il marito della vittoria del «compagno» Vladimir, già parlamentare di Rifondazione, l´altra notte, poco dopo l´annuncio televisivo: «Mi sono guardata tutta la trasmissione. Devo dire che quando ho capito che Luxuria ce l´aveva fatta, mi sono commossa. È stata brava, intelligente, ironica. Se l´è meritata un´affermazione così. E anche Fausto era contento. A suo tempo ci fu chi, dentro il partito, criticò la sua scelta di volerla in Parlamento. Una scelta che invece si è rivelata felice per lo spessore, le qualità umane, intellettuali, che Luxuria ha sempre dimostrato sia nei dibattiti politici che in un reality nazional-popolare come "L´Isola"».
Lella Bertinotti ne parla come di «una donna che si è messa ancora una volta alla prova e ha vinto la sfida». Poteva essere ingoiata dal meccanismo banalizzante dello spettacolo, finire in pasto, con la sua storia, a un pubblico ben lontano dalla platea complice dei militanti del suo partito e, invece, dice la moglie dell´ex presidente della Camera, «alla fine, è avvenuto il contrario: è stata Luxuria a mangiarsi il reality, a regalare a milioni di persone, la possibilità di riflettere su temi cosiddetti sensibili». Una partita, la sua, giocata «con dignità» e «con una calma che io le invidio». Mai una risposta alle provocazioni e alle ironie, piuttosto l´«uso» dello strumento televisivo per spiegare, come ha fatto, quanto poco politically correct sia «dare a uno del frocio». Luxuria ha centrato l´obiettivo e, forse, a modo suo, ha fatto politica, anche se non vede nel suo futuro immediato il Parlamento europeo. «Se non sbaglio, ha dichiarato che vuol fermarsi un attimo». Fermarsi e godersi «la tempesta ormonale di felicità» che, come dice lei, l´ha travolta. «Quando ho visto questa Belen - racconta Lella Bertinotti - ho pensato che era bella, molto bella, accidenti. Ma Luxuria è stata brava, non ha perso una battuta, non ha sbagliato una risposta. Ha ragione Liberazione quando scrive che anche se la vittoria fosse andata a Belen, lei ne sarebbe uscita benissimo lo stesso. Ha accettato di mettersi in gioco, è una vita che rilancia. Viene da una storia difficile, penso a cosa devono essere stati gli anni da ragazzo a Foggia e anche la difficoltà per i suoi genitori. Eppure ce l´ha fatta. L´ammiro moltissimo e voglio che sappia che mi sono commossa».
Corriere della Sera 26.11.08
Prc, Luxuria diventa un caso «È il nostro Obama, si candidi»
Offerta di Ferrero alla vincitrice dell'«Isola». Casini: la sinistra è morta
Monaco: farà audience ma nuoce. Vladimir: ringrazio per la proposta però Strasburgo non è nel mio immediato futuro
di Paolo Foschi
ROMA — Da reality show a caso politico. La vittoria di Vladimir Luxuria all'Isola dei famosi è stata festeggiata dal quotidiano comunista Liberazione con un articolo in prima pagina. Il segretario del Prc, Paolo Ferrero, ha offerto all'ex parlamentare transgender la candidatura per le europee: «Spetta a lei decidere». Invito subito declinato: «Grazie a Ferrero, ma lo avevo già detto dopo la sconfitta elettorale, il parlamento europeo non è nei miei programmi per l'immediato futuro », ha detto Vladimiro Guadagno, in arte Luxuria, che annunciato di voler devolvere parte del premio tv all'Unicef. E intanto «scriverò da maggio un libro di favole transgender per bambini e mi dedicherò al teatro».
Commenti positivi per il successo sono arrivati da sinistra, mentre il centrodestra e l'Udc hanno accolto con freddezza il risultato, anche se Alessandra Mussolini si è dissociata dalle critiche: «Sono contenta per la vittoria di Vladimir». Nel Pd si è sentita invece la voce polemica del prodiano Franco Monaco: «Luxuria fa audience ma nuoce alla sinistra. Non sempre il buon senso e persino un certo sano moralismo sono sinonimo di arretratezza e pregiudizio. Talvolta riflettono un sentire popolare che non apprezza le derive snobistiche di certa sinistra. Poi ci si sorprende se elettori di sinistra migrano verso destra».
Il dibattito è stato aperto da Liberazione:
«Vladimir come Obama?
È un po' esagerato e fatecelo dire. Con il primo presidente afroamericano si rompe il pregiudizio che per più di un secolo ha tenuto un popolo lontano dalla più importante istituzione americana. Con Vladimir all'Isola si rompe il tabù dell'eterosessualità a tutti i costi». E Luxuria stessa ha affrontato il tema delle discriminazioni. «Gli italiani, votandomi, hanno dimostrato di essere più avanti dei politici. A Roma purtroppo in parte della popolazione c'è un'intolleranza spesso alimentata da quei che pensano che due gay che si vogliono bene non possono essere considerati una coppia normale riconosciuta dallo Stato. Il ministro Carfagna? Non penso che abbia fra le sue priorità il rispetto della dignità di omosessuali e transessuali».
«L'autenticità e lo straordinario animo di Luxuria hanno battuto stereotipi e pregiudizi», ha commentato Paola Concia, del Pd, mentre secondo Fabio Evangelisti, Italia dei valori, «se in parlamento c'è ancora chi si scandalizza perché una transgender diventa eroina per un giorno, vuol dire davvero che gli italiani sono più avanti della politica ». Secondo l'Arcigay, «è stata una svolta storica», anche se Franco Grillini, presidente dell'associazione Gaynet, «per una trans che vince migliaia ancora soffrono».
«Complimenti a Vladimir, è stata veramente simpatica — ha detto Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc — ma la sua vittoria certifica la morte della sinistra comunista ». Molto più duro Maurizio Ronconi, sempre Udc: «Che la tv pubblica erga ad eroina un trans è scandaloso. Più che Isola dei famosi, l'Isola della vergogna ». Per Elisabetta Gardini, ex show girl e europarlamentare di Forza Italia che alla Camera ingaggiò una battaglia contro l'uso dei bagni delle donne da parte di Luxuria, «ben venga la vittoria che dimostra come da parte degli italiani non ci sia nessuna discriminazione come non c'è mai stata da parte mia. Ma mi preoccupa che un programma così sia diventato lo show di punta della tv pubblica».
il Riformista 26.11.08
Bandiera rossa sventola a Cayo Paloma
UN'ALTRA ISOLA È POSSIBILE. Ogni Paese ha le rivoluzioni che si merita. In America un nero è stato eletto alla Casa Bianca. Da noi un trans ha vinto un reality col televoto. La battuta più bella di Luxuria: «Adoro il porno, ha sempre il lieto fine».
Vladimir una e bina
di Fabrizio d'Esposito
Dal pennone del Cremlino, la bandiera rossa venne ammainata meno di vent'anni di fa. Da ieri sventola sulla palma più alta di Cayo Paloma, atollo honduregno. Ogni Paese ha le rivoluzioni che si merita. In America un nero è stato eletto alla Casa Bianca. Da noi un trans ha vinto col televoto all'Isola dei famosi. Il paragone Obama-Luxuria piace tanto ai comunisti di Liberazione che in un amen sono passati dal requiem per il compagno Curzi all'allelluia per l'ex deputato registrato all'anagrafe come Guadagno: «Forza Vladimir, hai vinto tu». Un'altra isola è possibile. Ma l'Italia è una penisola e il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che in passato ha riconosciuto a Luxuria di «non essere uno sciocco», oggi dice: «Io non vedo l'Isola dei famosi, apprendo ora da lei che ha vinto Luxuria. Credo sia stato giusto restituire questo personaggio allo spettacolo. Del resto è stata furba: ha approfittato del passaggio in politica per farsi una fama e sfruttarla, 'sto Parlamento tutti lo schifano ma poi serve. Luxuria ha raggiunto il suo obiettivo, altrimenti io e lei adesso non parleremo della vittoria all'Isola. Questa è la dimostrazione che la politica è debole: arrivano calciatori, veline, trans e zoccole come Cicciolina e poi se ne vanno senza lasciare traccia».
La politica è debole. E non solo lei. Sull'Isola, quando alla vigilia della finale la contessa Patrizia De Blanck si è ripresa la sua felpa lasciando nudo il biondo bidello Carlo sotto il diluvio, Luxuria ha aiutato il debole, denudandosi a sua volta, e ha proclamato: «Io mi sono ribellata ai poteri forti nella vita. A me Patrizia De Blanck mi fa la ceretta. Quando vedo una persona che ha che toglie a una che non ha è guerra». Lotta di classe esotica, ma sempre lotta di classe. Senza contare che la stessa Luxuria aveva tentato di favorire un idillio tra il bidello e la contessa proprio per azzerare il conflitto di classe medesimo. Insomma, comunismo vero. Come la delazione anticapitalista e bacchettona contro il marito di Ivana Trump e la modella argentina Belen Rodriguez, fidanzata col rossonero Marco Borriello: «I due si sono baciati, lo devono sapere tutti». Pettegolezzo o depistaggio in vero stile Kgb.
Torniamo alla problematica della ceretta. Per togliersi i peli dalle gambe, Luxuria aveva inserito una pinzetta fra i tre oggetti da portare con sé in Honduras. Gli altri due sono stati un libro di preghiere buddhiste e una maschera subacquea per pescare. Non a caso il primo pesce isolano, il 17 settembre scorso, l'ha beccato lei: «Sono contenta perché sono stata la prima a pescare. Una cosa è avere di fronte un pesce cucinato al ristorante, un'altra è vederlo boccheggiare tra le tue mani». Per la gioia di Simona Ventura, Luxuria ci è andata a nozze coi doppi sensi sull'Isola. Quando fu candidata alla Camera da Rifondazione comunista, due anni fa, in campagna elettorale fu vittima di un'aggressione di destra a Guidonia, in provincia di Roma: «Tiravano i finocchi come i sassi. La polizia non arrivava, lo Stato non c'è». A Cayo Paloma ha trovato invece funghi, serpenti e iguane. Quest'ultima voleva farsela arrosto per la fame. Poi, durante un'escursione: «Guarda che fungone». Infine, il pitone incontrato insieme con Ela Weber. Ela: «Rimani calma, il pitone non è velenoso, stritola». Vladimir: «Un uomo mi deve stritolare, non un pitone».
Sull'Isola, Luxuria ha sperimentato un marxismo esistenziale. Orazioni orientali e meditazioni, le sono servite per la lunga marcia verso il sol di Cayo Paloma. È stato in questi frangenti di solitudine che ha afferrato il senso profondo della vita. Condannata per una settimana ai lavori forzati, doveva trovare delle matasse di filo nascoste nella sabbia per edificare una capanna socialista: «La prova è basata molto sulla resistenza e sulla forza di braccia e mani, ma anche sulla fortuna, la fortuna di trovare il buco giusto. Forse la vita è questo: trovare il buco giusto».
Vladimir Luxuria ha faticato molto per trovare il buco giusto nella sua vita. Il suo è stato un percorso durissimo. Glielo si leggeva in faccia, una faccia con gli zigomi sporgenti per la fame, quando la Ventura le ha alzato il braccio sinistro per dichiararla vincitrice della sesta edizione dell'Isola. Luxuria ha pianto. Forse la stessa commozione che provò quando entrò a Montecitorio per la prima volta nell'aprile del 2006. Mastella la derubricò a «Cicciolina dell'Unione», ma il leghista Roberto Castelli prese le sue difese: «Luxuria è una persona intelligente, corretta e che si esprime molto bene. Per nulla volgare». Alla Camera si fece notare da subito con la denuncia dell'«apartheid della segregazione urinaria». Cioè: «Una toilette tutta per me è un privilegio che non penso di meritare. Penso che invece alcuni servizi per le donne debbano essere rivolti anche alle trans. E a chi si imbarazza per la mia presenza, ricordo che quando si va in bagno si chiude la porta».
Transgender del sud, la quarantenne Luxuria ha venduto il suo corpo, fatto l'attrice, scritto articoli e libri. Ieri ha respinto l'offerta di una candidatura alle europee subito avanzata da Rifondazione, partito boccheggiante come il primo pesce preso sull'isola. Per il futuro vuole vergare un volume di favole. Ma non ha tralasciato un attacco al ministro Carfagna sul rispetto dei gay. La sua vittoria in un reality può diventare una cosa seria se come ha scritto Aldo Grasso «l'Isola è lo specchio del nostro paese». Lei stessa ha detto: «Gli italiani sono più avanti della politica». In ogni caso, una storia di sinistra a lieto fine. Giusto per fare il verso alla più bella battuta di Luxuria, pronunciata qualche anno fa: «Adoro il porno, c'è sempre il lieto fine».
Corriere della sera 26.11.08
Kentucky, è il primo caso
Pedofilia, via libera a un processo contro il Vaticano
NEW YORK — Per la prima volta una corte di appello federale degli Stati Uniti ha dato il via libera ad un processo contro il Vaticano per presunti casi di abusi sessuali. La corte di appello di Cincinnati ha dichiarato legittima la richiesta a procedere contro la Santa Sede in un caso di abusi sessuali commessi da religiosi della diocesi di Louisville in Kentucky, ipotizzando che il Vaticano potrebbe essere ritenuto corresponsabile della condotta dei suoi membri. È la prima volta che allo stato Vaticano non viene garantita dagli Usa l'immunità sovrana sancita dal Foreign Sovereign Immunities del 1976. «Se qualcuno può rompere questa barriera viene aperta la strada ad altri processi contro la Chiesa Cattolica», ha dichiarato Jonathan Levy, avvocato di Washington che rappresenta un folto gruppo di sopravvissuti dei campi di concentramento in una azione legale rivolta contro varie parti incluso il Vaticano. Dall'altra parte, Jeffrey Lena, avvocato della Santa Sede, pur dicendosi «attualmente non intenzionato» a chiedere ai giudici di rivedere la decisione, ha precisato che «la sentenza è ancora molto lontana dal dimostrare la responsabilità diretta del Vaticano» per la condotta dei suoi membri.
il Riformista 26.11.08
Vista da Fausto Bertinotti
di Alessandro De Angelis
«Una volta si sarebbe detto che la vittoria di Luxuria all'Isola è la spia di un qualcosa di più generale». Fausto Bertinotti lo spiega in un'intervista al Riformista.
Di cosa è la spia?
Di una politicizzazione naturaliter di sinistra che, non essendoci la sinistra, non può essere politicizzata classicamente e cade nel vuoto. Per decifrare l'elemento servirebbe il contatto fisico, cioè i partiti, ma c'è il vuoto.
Si spieghi?
Ha vinto Vladimir perché è quella persona lì e non perché transgender e comunista. Nel vuoto della sinistra emerge una persona, nella sua unicità di bella persona: Vladimir.
E l'ideologia?
Non c'entra. Chi osserva è spoliticizzato. E dice, semplicemente: questa è brava. E non ha il pregiudizio che c'è in una parte del Parlamento che rideva quando le davo la parola al femminile.
Liberazione ne ha fatto un'icona.
E ha fatto bene. L'ha difesa contro il pregiudizio di chi criticava che lei andava all'Isola in nome di una cultura alta in contrapposizione a quella bassa. Ma la vittoria è interessante per un altro aspetto.
Quale?
Lei ha vinto contro il mezzo, che ha un linguaggio teso alla ricerca del successo. In questo Vladimir, che non ha quel linguaggio, vince "contro". E vince una battaglia culturale nella sfera dei comportamenti. Lei, che non è lì per apparire, vince proprio perché appare.
Niente politica, dunque?
Non è una vittoria di partito o della sinistra, ma solo sua. Mi piacerebbe dire che ha vinto una bandiera ma non è così. Aggiungo: lei fa accettare da chi la guarda ciò che astrattamente non accetterebbe. Se uno chiede al telespettatore: a te piacciono i transgender, magari dice no. Ma la sua naturalità la premia come persona.
Nello stesso giorno la folla ai funerali di Curzi. C'è un nesso?
Sandro era Sandro. Come Vladimir è Vladimir. C'è una irriducibilità della persona che propone alla sinistra una correzione: l'idea della diversità contro l'anonimato. In una sinistra in crisi le persone sono più forti della crisi. La commozione per Sandro, la vittoria di Vladimir: sono una supplenza nei confronti della sinistra. Ma non è grazie a loro che la sinistra rinasce. Il problema resta il passaggio dai "mondi" al "mondo". E se ci sono i plurali è il singolare quello che manca.