venerdì 9 gennaio 2009

il Riformista 9.1.09
«Ferrero vuole l'Emilio Fede di turno»
intervista a Vladimir Luxuria
di A.D.A.

«Non voglio più essere abbinata a Rifondazione»: Vladimir Luxuria parla della defenestrazione di Piero Sansonetti.
Dicono che Sansonetti ha dato più spazio a lei che ai precari.
Accuse strumentali. L'ultimo articolo l'ho scritto il 6 gennaio dopo un viaggio ad Auschwitz per ricordare la tragedia di polacchi, degli ebrei, degli omosessuali sterminati dai tedeschi.
Però?
Però nessuno ne parla. La verità è che l'Isola è solo un pretesto di chi ha scelto di defenestrare Piero.
Ovvero Ferrero.
Sì. Lui come Berlusconi vuole l'Emilio Fede di turno.
Si riferisce a Dino Greco?
Nemmeno lo conosco. Comunque la mia collaborazione col giornale la considero esaurita.
E Rifondazione?
Non ho mai avuto la tessera. Ma la mia idea è una sinistra libertaria, dinamica, capace di alleanze.
Ci sarà la scissione.
Non partecipo anche se sono più vicina a Vendola. In questi mesi ho visto un gioco al massacro in cui una parte del partito ha fatto di tutto per sedersi sul trono di un regno di macerie.
Ce l'ha con Ferrero?
Ferrero e i suoi guardano al passato e rimpiangono il muro di Berlino.
Lei dimenticò la data del suo crollo.
Non ricordo nemmeno la data dei compleanni dei miei parenti. Se io le chiedo la data del primo gay pride, lei lo sa?
Torniamo al comunismo.
Non mi piace il comunismo autoritario, visto come un qualcosa di virile. Vedo che dentro Rifondazione è tornato di moda. Io sono per il "gaiocomunismo" di Mario Mieli.
Cioè?
La lotta per l'uguaglianza va allargata a chi, nel mondo, non si sente uguale agli altri.
Niente bandiera rossa?
Guardi, la più bella definizione di comunismo l'ha data Giorgio Gaber in una canzone: «Essere comunisti significa non riuscire a godere di una cosa se non ne godono pure gli altri».
Passiamo a Fagioli.
Oh Dio, no…Spero che nessun gay incappi in questa psichiatria imbalsamata. Ho visto che ha criticato Liberazione perché si è occupata dell'Isola. Per me è più trash dire, come fa Fagioli, che gli omossesuali sono distruttivi e hanno bisogno di cure.
Bertinotti lo sdoganò.
Una della tante contraddizioni della sinistra.
Dia un consiglio a Ferrero.
Mangi pesce perché contiene fosforo. Così ricorda che al governo Prodi che tanto critica è stato ministro.
E a Bertinotti che dice?
Di non sparire. E di psicanalizzare Fagioli.
A.D.A.

il Riformista 9.1.09
Il gran ritorno del subcomandante Fausto (Bertinotti)
di Antonello Piroso

Le destve, i vifovmisti, i tvotzkisti e i menscevichi spevano di essevsi libevati definitivamente di me: hanno pveso un clamovoso abbaglio

Un fantasma si aggiva pev l'Euvopa. Il mio. Ma non l'io-in-me, come condizione dello sfvuttato nel vappovto dialettico con lo sfvuttatove. No: l'io-in-sé, come metafova tout couvt della condizione umana. In una pavola, un tvombato. È una nemesi stovica: pvopvio quando è vicompavso in pubblico il subcomandante Mavcos, io sono uscito di scena. E Vifondazione si vitvova con un leadev che non è zapatista e nemmeno Zapatevo. Piuttosto, un tviste epigono del mevoliano 'O Zappatove. Ma se le destve, i cosiddetti vifovmisti di sinistva, i tvotzkisti e i menscevichi spevano di essevsi libevati definitivamente di me, ebbene: stanno pvendendo un clamovoso abbaglio, come quando si vimane accecati dal viflesso di un maglioncino di cachemive abbinato con una sciavpa sbagliata.
Pevché la cvisi odievna dimostva un assunto già fovmulato da me in epoca non sospetta: l'economicismo non si pvesenta infatti più come un atteggiamento povevo di antagonismo veale, ma si tvova costvetto a sceglieve dvasticamente tva la subaltevnità compatibilistica e l'uvlo compavativo. Una tesi avdita, cevto. Che nessuno è in gvado di spiegave esattamente. Neppuve io. Pevò suona bene, come i canti delle mondine duvante le pvoteste pev la vifovma agvavia.
Ma oggi tocca occupavsi di quello che sta succedendo intovno a Libevazione e al suo divettove Pievo Sansonetti, l'uomo con i capelli miopi (infatti, ci povta sempve sopva gli occhiali, invece di povtavli al collo, che so?, in una piccola custodia di Bulgavi). Lui e Nichi Vendola sono stati pvesi di petto e attaccati da un intellettuale un tempo mio amico, ma che ova, con la sua pvotevvia, mi sta solo fvantumando i cotiledoni: Massimo Fagioli.
Fagioli pave non capive la complessità della società contempovanea, in cui tesi e antitesi si fondono in inedite e vivoluzionavie sintesi: la catena di montaggio e il salotto di Guya Sospisio, Kavl Mavx e Mavio D'Uvso, le lotte di Giuseppe Di Vittovio e la vittovia all'"Isola dei famosi" di Vladimiv Luxuvia, gli smandolinatovi pugliesi della notte della Tavanta e i covi d'incitamento delle Bvigate Vossoneve all'indivizzo dei calciatovi del Milan, la mia squadva del cuove.
È vevo, sono stato attaccato pevfino dal nuovo segvetavio di Vifondazione, che ha accusato me e la mia adovata Lella di fvequentave le magioni dei capitalisti. Ova, a pavte il fatto che a casa dell'Ingegnev De Benedetti, nella pvimaveva del 2007, c'eva puve lui, vovvei solo vicovdavgli che se la vivoluzione non è un pvanzo di gala, non è neanche una scatola di cioccolatini, cavo il mio Fevvevo. Smettiamola con questa stovia dei Bevty-nights o dei Pavtynotti, pevché Lella se la lega al dito, come quando cevcò di entvave nel mausoleo di Lenin a Mosca con uno zibellino in testa. Vivo. Come le aveva suggevito quella maestva di eleganza che è Valevia Mavini. A favla vetvocedeve dall'intento ci pvovò, all'epoca, Avmando Cossutta, che da vevo cosacco di colbacchi se ne intende. Tutto inutile. Anzi: fu allova che Lella mi convinse a pvendeve il pavtito pev alleavmi con Vomano Pvodi nel 1996 e batteve le destve. Bei tempi, quelli, in cui se minacciavo di toglieve la fiducia al govevno, Sabvina Fevilli andava al TgTve e con il suo eloquio soave mi pvegava: «'A Fausto, vipensace!». Quando poi il govevno lo feci cadeve davvevo, la Fevilli mi mandò un affettuoso telegvamma, un'accovata attestazione di gvadimento in pevfetto stile Hevmès: «'A Fausto, movtacci tua, vattela a pija 'n saccoccia tu e tutti quelli del condominio tuo!». Pev fovtuna, Pvodi non sevbò vancove e otto anni dopo mi offvì la pvesidenza della Cameva. Qualche tempo dopo, io mi sdebitai con lui citando il giudizio di Ennio Flaiano su Cavdavelli: il più gvande poeta movente. Quella seva Lella mi vimpvovevò di esseve un ivviconoscente, e mi fevì pavlando dei miei completi di velluto, quelli che facevano dive a sua nonna: «Tuo mavito si veste come un pecovaio». Al confvonto, il dolove pev la sconfitta alle elezioni dello scovso apvile non fu nulla. L'ho metabolizzato con lunghe passeggiate sul bagnasciuga di Ladispoli in compagnia di Citto Maselli (avete notato? Ho infilato tanti vocaboli senza nemmeno una evve…). Citto, l'allegvia fatta pevsona, voleva convincevmi a intevpvetave la pavte del pvotagonista nel vemake di una sua celebve pellicola: "Gli sbandati". Ho pvefevito chiedeve ospitalità ai monaci del monte Athos, in quell'evemo scopevto da Alessandvo Dumas. Lì, nella quiete dei chiostvi, ho vipveso in mano i testi che mi evano stati di confovto duvante l'ultima campagna elettovale: "Le venti domande più fvequenti sugli Amish e i Mennoniti", "Stovia sociale della falce e del mavtello", "Il comunismo, l'ipnotismo e i Beatles" e da ultimo quello consigliatomi da Vina Gagliavdi, "Penetvave l'anello di Wagnev". L'ho pveso come un buon auspicio. Pev un vitovno sull'onda de "La cavalcata delle Valkivie". Eseguita - ça va sans dive - dagli Inti Illimani. Hasta la vista, companevos!
(Estratto dal prossimo editoriale di Fausto Bertinotti per il bimestrale "Alternative per il socialismo")

Liberazione 9.1.09
Caro Franco, nel partito si resta anche quando si ha un dissenso
di Claudio Grassi

C'è una cosa che il compagno Giordano, nella sua intervista a Repubblica di ieri, non prende in considerazione: la democrazia.
Capisco che non si condivida la linea emersa dal recente congresso di Chianciano, ma è quella che è stata scelta dalla maggioranza. Perché non la si rispetta?
Mi è capitato negli ultimi due congressi prima di Chianciano di non condividere la linea che era stata scelta, ma mai ho pensato di non riconoscerla o di fare una scissione!
Perché non si vuol dare la possibilità - magari operando criticamente, ma lealmente - a questo gruppo dirigente e a questa linea politica di sviluppare la propria iniziativa? Di misurarne l'efficacia e il consenso? Si pensa di essere i depositari della verità? Non c'è un po' troppa presunzione in questo atteggiamento? Ma veramente qualcuno pensa di essere ancora credibile e poter dispensare lezioni, dopo essere stato protagonista del disastro del 13 e 14 aprile?
Oltre a ciò penso che il compagno Giordano, annunciando la scissione da Rifondazione Comunista, stia commettendo anche un grave errore politico.
In nome dell'unità a sinistra si propone l'ennesima scissione, la costruzione del quinto micro partito e il conseguente indebolimento del soggetto politico più forte a sinistra del Pd che è, appunto, Rifondazione Comunista.
Prevedo che sarà un ennesimo fallimento, come lo sono state dal 1991 ad oggi, tutte le scissioni da Rifondazione Comunista. La strada è un'altra e se fosse stata rispettata da tutti in questi anni non saremmo in questa situazione: si resta nel partito anche quando, temporaneamente, si ha un dissenso. Non si può fare un Partito tutte le volte che non si condivide una linea politica!
Caro Franco, nel Partito si dà il proprio contributo e ci si sta quando si è in maggioranza, ma anche quando si è in minoranza.

Liberazione 9.1.09
Ma i vendoliani si spaccano, antiscissionisti allo scoperto
Prc Europee, Giordano: «Non voglio scissione ma serve lista a sinistra»
di Castalda Musacchio

Non voglio la scissione di Rifondazione, ma serve una lista unitaria della sinistra alle Europee. Franco Giordano, ex segretario del Prc, ha precisato così ieri il contenuto della sua intervista pubblicata da "Repubblica". «Quel che occorre in questo momento di grandi stravolgimenti - dice - è una discussione tra tutte le forze di sinistra per una piattaforma comune, una lista unitaria. Evitiamo di presentarci alle europee con 7 liste. In questo modo rischieremmo solo di alimentare la tendenza a un "voto utile" verso il Pd, neo-centrista, o per l'Idv, che non è certo di sinistra», aggiunge l'ex segretario. Una chiarificazione urgente in vista del fatto che proprio ieri intorno al partito e a Liberazione sono circolate voci convulse. E dire che la stessa intervista di Giordano era altresì netta. «Non ci sono più le condizioni per rimanere in questo partito, così come è diretto e gestito» aveva annunciato. «Se non si ferma questo degrado e non nasce una lista unitaria della sinistra alle europee, per bloccare la frantumazione in atto, non rimane altra strada». Sulla stessa linea si è altresì mossa Vladimir Luxuria: «A mio parere - precisa - c'è la certezza che il Prc subirà una scissione con Ferrero che si alleerà con il Pdci e l'ala che fa riferimento a Vendola che si alleerà con la Sinistra democratica e strategicamente con il Pd e con i Verdi». Sta di fatto che l'intervista di Giordano non ha mancato di sortire altri effetti, facendo "uscire allo scoperto" chi aveva già mostrato di prendere le distanze dalla volontà scissionista mostrata dalla corrente vendoliana. Ufficialmente, comunque, gli anti-sciossinisti vendoliani si presenteranno domani, con un documento politico dal titolo: "Continuare il cammino per la Rifondazione della sinistra". Tra i firmatari annunciati l'ex vicepresidente del Senato, Milziade Caprili; l'europarlamentare Giusto Catania; gli ex parlamentari Augusto Rocchi e Luigi Cogodi; l'ex sottosegretario al Lavoro, Rosa Rinaldi; Raffaele Tecce, responsabile enti locali e Tommaso Sodano, responsabile ambiente; Sandro Valentini della direzione Prc; i segretari delle federazioni di Cagliari e Palermo; i segretari della Sardegna, della Calabria e del Lazio e i quadri provenienti dalle file del movimento operaio di Torino, Milano e Brescia, tra cui l'ex deputata, Marilde Provera, e alcuni amministratori. Mentre smentisce di averlo firmato Sergio Boccadutri, attuale tesoriere nazionale del Prc e amministratore di Liberazione, proprio perché impegnato in ben altri compiti. L'ulteriore precisazione di Franco Giordano non ha comunque calmato le acque già agitate di Rifondazione.
E' lo stesso esecutivo dei Giovani comunisti a dichiarare di non condividere affatto «la modalità con cui da mesi si svolge il dibattito per la costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra italiana». E proprio nel comunicato si chiede di «lasciarsi alle spalle vecchi metodi» e si afferma l'urgenza che «senza cancellare ogni rendita di posizione, la discussione sulle scadenze elettorali, sui giornali, sulle nostre scelte future è solo una parte del problema invece che una soluzione». «Questo progetto - avvertono i giovani - non può vivere nemmeno di interviste e annunci che non provengono da percorsi collettivi e democratici: annunci che abitano solo in una dimensione mediatica, escludente, esclusiva». Così Grassi ancora annota: «Penso che Giordano, parlando ancora di scissione, stia commettendo un grave errore politico. In nome dell'unità a sinistra si propone la costruzione del quinto micropartito e il conseguente indebolimento del soggetto politico più forte a sinistra del Pd che è, appunto, Rifondazione».

Liberazione 9.1.09
Assemblea con Ferrero. I lavoratori: «Il Prc tenga la maggioranza delle azioni e lavori col sindacato». Greco indicato direttore
"Liberazione", 15 giorni di tempo
per sapere se sarà venduta. E a chi

Il futuro di Liberazione verrà deciso «nei prossimi 15 giorni». E' il margine di tempo comunicato all'assemblea dei giornalisti dal segretario del Prc Paolo Ferrero. Un'assemblea tesa, per via dell'annuncio da parte del partito editore di vendere quote azionarie della società editrice (Mrc). Tesa, comunque, anche per l'altro annuncio fatto dalla nuova maggioranza del Prc: il cambio di direzione al giornale. La sfiducia a Piero Sansonetti dovrebbe essere votata lunedì prossimo dalla direzione nazionale convocata per discutere della vicenda Liberazione . Al suo posto potrebbe arrivare Dino Greco, sindacalista di lungo corso che si è riservato 48 ore di tempo per decidere sull'offerta comunicatagli ieri dalla segreteria nazionale di Rifondazione. Greco, ex segretario della Camera del Lavoro di Brescia, «non è un giornalista - chiarisce Ferrero - dunque, sarà affiancato da un direttore responsabile». Il cui nome non è ancora noto. «Come ho detto a Sansonetti, io avrei evitato un cambio alla direzione del giornale - spiega il segretario - avevo sperato in una gestione più attenta, ma questo non è avvenuto. Il problema non è la fedeltà al segretario o l'autonomia dei giornalisti. Il problema è quale progetto politico viene portato avanti dal giornale: se quello del Prc o quello della distruzione del Prc. E' stato il secondo, per questo lunedì la direzione deciderà il cambio». Da parte sua, Greco: «Chi mi conosce sa che l'indipendenza è la cifra della mia carriera sindacale e che per questo ho anche pagato un prezzo. Ci voglio riflettere attentamente esaminando con cura le ragioni politiche e personali. Se dovessi accettare di fare il direttore non farò un bollettino di partito».
La questione della sostituzione del direttore non è slegata dai propositi di vendita. La cosa non sfugge ai rappresentanti sindacali - Paolo Butturini di Stampa romana e Elena Polidori della Fnsi - presenti all'assemblea di ieri. «Noi siamo fermi a un piano di rilancio bocciato dalla direzione del partito (a dicembre, ndr.) senza che al sindacato siano state spiegate le ragioni: vi invito a farlo - esordisce Butturini - posso capire le ragioni dell'editore sul cambio del direttore, ma penso sia intempestiva perchè avviene nel momento in cui non è chiaro il futuro del giornale: va chiarito se il Prc intende mantenere le quote di maggioranza in Mrc. Notiamo dunque una contraddizione e le contraddizioni si possono sanare...». La richiesta del sindacato a Ferrero è di «lavorare insieme per verificare la solidità delle offerte d'acquisto». Richiesta accolta dal segretario, che sul piano bocciato chiarisce: «Non rispettava il mandato della direzione sul pareggio di bilancio nel 2009». Restano comunque del tutto fumosi e incerti i contenuti e i contorni della trattativa - comunque in corso - che dovrebbe portare alla cessione della Mrc Spa.Quanto ai possibili acquirenti, due le proposte sul tavolo per il momento. Resta in piedi quella di Luca Bonaccorsi, editore di Left che si è fatto avanti con una lettera di interesse a Ferrero prima di Natale, e c'è quella di un consorzio di imprenditori che proprio ieri ha lanciato pubblicamente la sua offerta sulle pagine di Liberazione , lamentando di essere stati ignorati finora dal partito. Ferrero: «Ne ho appreso solo ora». E promette che «tutte le offerte in campo verranno valutate a pari condizioni», ma una di questa è la «direzione a Dino Greco». Uno dei punti cruciali, e non chiariti nell'assemblea di ieri, è la quota di azioni che rimarrebbe in mano al Prc. A specifica richiesta da parte dei sindacalisti presenti di mantenere sotto il cappello del Prc almeno il 50% più una delle azioni, requisito indispensabile ad oggi per continuare a accedere al finanziamento statale (e dunque la sopravvivenza), Ferrero ha messo agli atti che «la preoccupazione mia è quella di mantenere ovviamente il finanziamento. Ma non è quella di conservare la maggioranza delle azioni. Anzi, fosse per me terrei lo 0,1%». Un punto decisivo di dissenso con il sindacato e l'assemblea dei giornalisti. Così come preoccupa l'ammissione di Ferrero che «non esiste ancora un piano su cui discutere la vendita». Ossia, nei 15 giorni di tempo chiesti ieri, il segretario del Prc e l'acquirente dovranno presentare al sindacato un piano editoriale, un piano industriale e la verifica della garanzia economica dell'acquirente. Non solo, resta nel limbo anche la portata del cambio di direzione. Se Greco scioglierà la riserva, e se verrà affiancato da un direttore responsabile, saranno loro a dirigere il giornale anche se dovesse cambiare l'assetto proprietario? La risposta di Ferrero è stata «sì», una risposta che fa a cazzotti con l'apertura alla seconda cordata (quella di Loop che prevederebbe la direzione Sansonetti) e che suona strana se letta nelle dinamiche contrattuali fra editore (che potrebbe, appunto, cambiare) e direzione del giornale.
Capitolo livelli occupazionali: basta la garanzia scritta nella manifestazione di interesse di Bonaccorsi a mantenere inalterati i livelli occupazionali, «compatibilmente con il rilancio del giornale»? Ai lavoratori non basta, Ferrero risponde che sarà tutto oggetto di verifica. Una verifica urgente, rimandata già troppe volte, finalmente promessa ma che dovrà essere puntuale e dettagliata in tutti i suoi aspetti. Questa la risposta del sindacato a Paolo Ferrero.

Liberazione 9.1.09
Prc, troviamo una soluzione condivisa.
Altrimenti nessuno è più credibile
di Ovidio Della Croce

Sono colpito e addolorato per i compagni che lasciano o si autosospendono dal partito con motivazioni che condivido e non condivido. A volte penso di farlo anch'io, ma poi prevalgono le ragioni di profondo legame con la nostra comunità politica. Questi legami li ritengo forti e sopra ogni altra cosa. Non sono reclutabile in nessuna delle mozioni congressuali, considero la scissione una iattura e, per quel che può valere, resto impegnato per l'unità del partito. In ogni caso faccio appello a tutti e tutte perché ci sia il massimo rispetto delle posizioni altrui: non mi sognerei mai di dire a nessuno di noi né stronzo, né zombie né spettro. Mai.
Mi sono iscritto alla Rifondazione di Bertinotti. Leggo "Liberazione" dal tempo di Curzi e continuo a leggerla e sostenerla con Sansonetti. Della redazione mai mi sognerei di dire ignoranti, superficiali, venduti. Mai.
Conosco Paolo Ferrero dai tempi di Democrazia Proletaria e apprezzo il suo ancoraggio (da ex operaio) ai temi sociali e la caparbietà che mette nel tentativo di rilanciare una forza comunista e originale come Rifondazione, nonostante che la sua proposta politica sia finora poco definita nella concretezza dell'azione.
Ho criticato a suo tempo la scelta di Rifondazione Comunista di entrare in maggioranza in Toscana. Ma riconosco ai nostri consiglieri regionali, all'assessore Baronti una grande capacità politica e un notevole lavoro istituzionale. Ho aspramente criticato, in una riunione nel mio Circolo, lo scivolone dell'attuale segretario regionale toscano contro Bertinotti. Non mi sono mai scagliato contro Nichi Vendola, né contro Roberta Fantozzi. Mai.
Mi sono letteralmente spellato le mani per gli applausi a Vladimir Luxuria quando è venuta nel teatro del mio paese con il suo spettacolo "Omaggio a Tondelli". Non seguo la tv, ma sono stato contento quando mia madre e "Liberazione" la difendevano all'isola dei famosi e sono sicuro che Vladimir sa sempre stare a testa alta.
La vita di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e del suo giornale "Liberazione" sono in pericolo. Dalle ceneri di Rifondazione e "Liberazione" non potrà nascere niente di buono per nessuno. Per favore, smettiamola. Ci vuole una grande dose di intelligenza delle ragioni di tutti, poiché grande è l'energia dell'errore. Smettiamola. Lo dico come compagno, semplicemente. E come lettore appassionato di "Liberazione" penso che non è giusto che un'esperienza di ricerca originale come fa questo giornale debba correre rischi e subire danni perché nel partito si litiga come due che stanno per divorziare sopra la testa della loro figlia. Si deve trovare una soluzione condivisa, altrimenti nessuno è più credibile.
Sono nelle istituzioni di un comune della provincia di Pisa: quattro anni in maggioranza, ora all'opposizione. Non certo per colpa del libro su Salò, ma perché abbiamo provato e riprovato a scardinare certi rapporti di potere e condotto battaglie per nulla identitarie, ma legate ai temi dei movimenti come quello sull'acqua pubblica ricevendo anche l'apprezzamento di padre Zanotelli. Il nostro intenso lavoro è stato difficile, sia prima che dopo la nostra uscita di maggioranza. Prima di come presentarci alle elezioni qui si discute su come si ricostruisce un partito dai territori e dai bisogni delle persone. Questa è la dura realtà con cui misurarci. Per chi si dice comunista e per persone di sinistra come io sono, insieme. Cartelli elettorali, costituenti e unità dei comunisti mi sembrano scorciatoie da questo durissimo e lungo cammino. Queste scorciatoie penso che siano senza sbocco. Su questa strada, in un viaggio che ci auguriamo "fertile in avventure e in esperienze" si fa l'unità. E a partire da qui la stiamo costruendo con i Comunisti Italiani e altri/e compagni/e di sinistra. Non mi piace far prediche. Dico soltanto, con molta modestia, che Rifondazione (r)esiste in questo cammino accidentato, e deve continuare sulla "cattiva strada", guardando le stelle cadute in basso a sinistra. Affrettandosi piano e avendo sempre in mente Itaca, che ci ha dato la spinta per intraprendere questo bel viaggio. Chiedo scusa per il mio momento di "degna rabbia" e buona avventura.

Liberazione lettere 9.1.09
L'importanza del progetto del Prc e del convivere
di Mario Navari, Cristian Rossi

Caro direttore, notiamo che negli ultimi giorni viene dato parecchio spazio su "Liberazione" (e non solo nelle lettere) a compagni o ex, che non condividendo più la linea del partito annunciano la loro fuoriuscita. Non vogliamo commentare le ragioni che hanno portato a queste scelte che non condividiamo. Tuttavia ci permettiamo di evidenziare che notiamo sicuramente un partito in sofferenza per diverse ragioni (ragioni ereditate anche dagli ex dirigenti che quasi si esaltano a notare le attuali difficoltà di un partito oramai fuori dal Parlamento) ma che vuole fuoriuscire da questo chiacchiericcio aggrovigliato intorno a possibili scissioni per ricreare quelle condizioni che ci permettano di rialzare la testa. Dobbiamo essere in grado di convivere in un partito dove si possa essere anche in minoranza ma mai per questo abbandonare il progetto che ci ha guidato in tutti questi anni di partito. Tutto ad un tratto ci rendiamo conto che anche per i dirigenti nazionali diventano indigeribili e pesanti termini come "rifondazione" e "comunista", elementi che da diversi anni risultano nel nostro simbolo ci pare, che hanno permesso a diversi compagni di ricoprire diversi ruoli sia istituzionali che dirigenziali. Siamo, purtroppo, in una fase della società dove in ogni campo si evidenziano coloro che si ritirano o annullano i loro impegni mentre vengono dati per scontati e quasi derisi coloro che continuano, come i semplici militanti, a dedicare le proprie forze e il proprio tempo libero a idee e valori. Oltre a quelli di partito pensiamo ad esempio ai militanti del sindacato Cgil, agli innumerevoli rappresentanti aziendali, che nonostante si trovino spesso in contraddizione con le scelte della Cgil nazionale, non smettono di lottare nei luoghi di lavoro e nel contempo contro le scelte concertative che alcuni sindacati portano avanti. Arrivando a far crescere dal basso quel malessere dei lavoratori che è poi sfociato nell'ultimo sciopero del 12 dicembre. Ci rendiamo, quindi, disponibili a continuare il nostro lavoro in Rifondazione, anche se non fa notizia, e a tutti gli altri iscritti del 2008 rivolgiamo un invito dal basso a rinnovare (e perché no anche ad iscriversi per chi non avesse ancora provato) la tessera di questa organizzazione che continuiamo a chiamare partito non di una sinistra generica ma comunista. In onore di tutti i lavoratori che hanno lottato, anche se a volte in minoranza, per ottenere tutti i miglioramenti che fino a un secolo fa sembravano solo utopia.
consiglieri provinciali Prc Lucca

Liberazione lettere 9.1.09
Uniti per sconfiggere la destra

Compagno Sansonetti, sono molto preoccupato per quello che sta succedendo per la conduzione di "Liberazione". Per me stai facendo un ottimo lavoro e condividi come tanti che la sinistra si debba unire per poter portare le proprie istanze per la gente che non ha più (almeno nel Parlamento Italiano) rappresentanza. Porti avanti i tuoi ideali (per me esistono ancora anche se molti mi scoraggiano) e le tue proposte che tutti dovremo condividere per avere una sinistra forte. Bisogna che tutta la sinistra si unisca per poter affrontare le elezioni europee e amministrative, è quello che vogliono molti compagni e questo si è visto anche all'assemblea che si è tenuta a Roma il 13 dicembre. Una critica al segretario e a Rifondazione: non si può cambiare un direttore perché non ha le tue idee, questo non è molto democratico e va a discapito di tutta la sinistra. Spero che il compagno Vendola decida di "unirsi" a noi e incominci a combattere per avere un Partito di Sinistra unito, solo così ce la possiamo fare a sconfiggere questa terribile destra che sta rovinando il Paese.
Davide Nardi Rimini

Liberazione lettere 9.1.09
"Finalmente liberi"... Buona fortuna!

Signor direttore, sono iscritto al Partito fin da quando era il Movimento per la Rifondazione Comunista e sono uno dei 6mila e passa compratori abituali del giornale (per onor di partito). Faccio quindi parte di quella che il CdR chiama nei suoi comunicati, la "Controparte" e molto spesso, soprattutto in questi ultimi tempi, mi è venuto voglia di scrivere per manifestare il mio dissenso sulla gestione del giornale, e ne avrei da dire, ma sarei stato uno dei tanti. Voglio invece "esternare" il mio pensiero sull'ultima uscita dell'ex segretario nazionale Giordano, il quale, dopo aver detto a suo tempo che erano "Finalmente liberi", oggi 8 gennaio (ieri, ndr) all'agenzia Asca annuncia che vi sarà la scissione. Ognuno prende le strade che vuole, ma l'annuncio mi ha fatto rivivere un flash parlamentare del 1998: quella stretta di mano fra Cossutta e Diliberto sulla testa di Bertinotti. Ed a quel fatto paragono l'annuncio. Siamo comunque andati avanti, andremo avanti anche senza di loro. Buona fortuna.
William Pedrini Persiceto (Bo)

Aprile on line 8.1.09
Il Prc verso la scissione
di Aldo Garzia, collaboratore di left

Il Prc verso la scissione Politica La vicenda del quotidiano del Prc ha fatto precipitare la crisi del gruppo dirigente del partito. Ormai il problema di Giordano e di altri esponenti della minoranza è come abbandonare la casa comune. Alla fine di gennaio ci sarà un'assemblea nazionale della minoranza del Prc per prendere le decisioni del caso

L'annuncio l'ha dato l'ex segretario Franco Giordano, con una intervista su la Repubblica: se la Direzione del partito lunedì prossimo cambierà il direttore di 'Liberazione', lui e altri dirigenti si riterranno liberi di abbandonare Rifondazione.
Giordano conferma questa intenzione nel pomeriggio, quando fa una rapida apparizione nel Transatlantico di Montecitorio: "La convivenza è diventata difficile con chi ha nostalgia del muro di Berlino". E cosa avete intenzione di fare? "Io continuo a proporre una lista unitaria di tutta la sinistra per le prossime elezioni europee. Non serve rinchiudersi in un fortino identitario", è la replica.
Ma anche questa proposta non convince affatto il segretario Paolo Ferrero, che sta lavorando per la presentazione del simbolo del suo partito alle elezioni europee della prossima primavera (salvo imprevisti dettati dalla riforma della legge elettorale proporzionale attualmente in vigore).
L'allontanamento di Piero Sansonetti dalla direzione di 'Liberazione' è intanto dato ormai per sicuro, dopo che la segreteria del Prc ha diffuso la notizia di aver chiesto a Dino Greco, ex segretario della Camera del lavoro di Brescia, uno dei militanti più stimati della sinistra della Cgil, di dirigere il quotidiano.
Greco ha fatto sapere di aver ringraziato Paolo Ferrero per la proposta e la stima manifestatagli, ma di non aver sciolto tutte le sue riserve. Secondo alcune indiscrezioni, l'accettazione della direzione del quotidiano da parte di Greco verrebbe ufficializzata entro la fine della settimana.
Prende così corpo l'idea che 'Liberazione' possa avere due direttori, uno politico e uno giornalistico, come richiesto dall'editore Luca Bonaccorsi intenzionato a intervenire rilevando la testata con un accordo editoriale e finanziario da siglare con il Prc.
Se con Greco è sciolto l'identikit del direttore politico, resta da decidere quello del direttore giornalistico che il segretario Ferrero preferirebbe fosse una donna. Una richiesta in questo senso è stata rivolta a Giuliana Sgrena, inviata de 'il manifesto', che però smentisce la sua candidatura.
Una soluzione, almeno temporaneamente, potrebbe essere trovata all'interno della redazione. Si fa il nome di Guido Caldiron, redattore della cultura, che per due anni aveva lasciato 'Liberazione' per fare l'addetto stampa di Ferrero quando quest'ultimo era ministro del welfare. Ma Caldiron smentisce che gli sia stata fatta alcuna proposta dall'editore della testata per assumere la direzione di 'Liberazione'.
Fin qui la vicenda del quotidiano del Prc, quella che ha fatto precipitare la crisi del gruppo dirigente del partito.
Ma ormai il problema di Giordano e di altri esponenti della minoranza è come abbandonare la casa comune. "Lunedì mattina è prevista la riunione della Direzione del Prc che dovrebbe formalizzare l'allontanamento di Sansonetti. Se l'intenzione rimarrà questa, io mi dimetterò da quell'organismo", dice l'ex sottosegretario Alfonso Gianni.
Lo stesso farebbero gli altri esponenti della minoranza.
Ma alla domanda se questo equivale a formalizzare una scissione, lo stesso Gianni precisa che alla fine di gennaio ci sarà un'assemblea nazionale della minoranza del Prc per prendere le decisioni del caso. Quanto all'annuncio fatto da Giordano su 'la Repubblica', l'ex sottosegretario se la cava con una battuta: "Quando si divorzia, bisogna comunicare questa decisione al proprio consorte".
Che la prospettiva sia la scissione, lo conferma l'iniziativa che stanno prendendo in queste ore esponenti della minoranza che non vorrebbero seguire Giordano. Milziade Caprili, ex vicepresidente del Senato, gli ex senatori Raffaele Tecce e Matilde Provera, Sandro Valentini, della Direzione del Prc, insieme ad alcuni dirigenti locali del partito, sono decisi a presentare lunedì prossimo un proprio documento politico che pur criticando la segreteria di Ferrero non si spinge fino al limite della rottura.
Contro la scissione potrebbero schierarsi anche Sergio Boccadutri, l'amministratore del partito che sta curando gli aspetti finanziari che riguardano 'Liberazione', e Salvatore Bonadonna, presidente del collegio nazionale di garanzia del partito (entrambi avevano votato la mozione di Nichi Vendola all'ultimo congresso di Rifondazione).
No comment da parte di Fausto Bertinotti. L'ex presidente della Camera, convinto che il lavoro di ricostruzione della sinistra abbia bisogno di tempi lunghi, si sta dedicando al lavoro di preparazione dell'uscita di un suo nuovo libro.

Aprile on line 8.1.09
L'attualità dell'orgoglio comunista
di Umberto Franchi

La riflessione Recentemente il coordinatore di Sd Fava ha dichiarato che nella costituente della sinistra non ci sarà spazio per il comunismo. Un'affermazione sbagliata perchè confrontarsi col passato, anche fallimentare, non significa abiurarlo. Per le istanze comuniste, in particolare quelle relative alla lotta verso un capitalismo oggi in grande crisi, c'è invece ancora spazio e possibilità di senso

In un'intervista recente rilasciata a L'Unità dal coordinatore nazionale della Sinistra Democratica Claudio Fava, il medesimo affermava che nella prospettiva della costituente della sinistra non ci sarà spazio per l'orgoglio comunista.
Credo che a chi proviene dall'esperienza e militanza prima nel Partito Comunista Italiano, dopo nei Democratici di Sinistra ed, infine, ha scelto, come il sottoscritto, di non entrare nel PD ma di aderire al movimento della Sinistra Democratica, non faccia piacere l'affermazione di Fava, ma anzi la ritengo politicamente sbagliata.
Cerco di spiegare il perché non sono d'accordo con Fava.
Il sostenere che siccome il comunismo è crollato, quindi non esiste più l'orgoglio comunista, è un modo liberatorio, ma non è onesto sul piano intellettuale, perché i comunisti non vivono fuori dal tempo, fuori dalla realtà, "consegnati" a vecchi miti e trascorse utopie.
Chi ha fatto la mia stessa esperienza e magari oggi, anziché essere nella Sinistra Democratica, ha scelto di militare in Rifondazione Comunista , nel PdCI o nei Verdi, ha fatto certamente i conti con la storia di cui siamo stati protagonisti non vivendo di residui ideologici. Per questo confrontarsi con il passato non può significare abiurare per opportunismo, sconfessando le proprie idee.
E' troppo semplice sostenere che se il "comunismo reale" costruito in Russia con la rivoluzione bolscevica è fallito, ciò è dovuto al fatto che era un "socialismo totalitario" dogmatico, statalista, e che quindi va abbandonata ogni sua idea solo per abbracciare il socialismo democratico occidentale.
La realtà è molto più complessa, non basta voltare le spalle al proprio passato di politici comunisti o di intellettuali "organici". Occorre invece cercare di capire che, anche se il comunismo che abbiamo conosciuto (e come comunisti italiani, contestato) è stata una perdita di grave credibilità, la sinistra ha comunque la possibilità di ricostruire, di rifondare un'idea, un progetto, capace di tenere alto l'orgoglio dei comunisti di ieri e di oggi.
Ciò è possibile utilizzando le "armi della critica", cioè a partire dalle analisi e dal riconoscimento delle debolezze teoriche e dei presupposti ideologici su cui per molto tempo abbiamo basato le nostre convinzioni ed azioni. Ma ciò sarebbe del tutto sterile se (contemporaneamente) non riusciamo a capire che è l'attuale realtà italiana e mondiale, al di là di ogni utopia, che merita uno sforzo collettivo di tutta la sinistra ufficiale e diffusa, presente nel nostro Paese, per elaborare un nuovo progetto politico, culturale, civile, sociale, economico, che combatta e sconfigga il sistema liberista capitalista.
La storia che viviamo nel presente non è solo quella del crollo del comunismo, ma anche e soprattutto quella di una grave crisi finanziaria, economica, culturale, sociale, civile, che riguarda e investe il sistema capitalistico. Come non vedere che oggi, anche se il sistema capitalista liberista ha fallito, viene però riproposto dalle classi dominanti economiche e di governo, (nonché da pseudo intellettuali subalterni) che in modo sempre più coercitivo ed autoritario mettono a repentaglio la dignità, oltre alla vita delle classi lavoratrici, creando disuguaglianze, danni alla salute ed all'ambiente, discriminazione razziali, povertà, egoismi ed ingiustizie immense?
Occorre essere consapevoli che con il passare del tempo si consuma l'ordine delle cose certe e prevedibili, mentre sorge sempre la necessità del "nuovo ordine" dell'imprevedibile, quindi la necessità di costruire un'alternativa possibile allo stato delle cose che conosciamo.
Cosa sarà del movimento degli Studenti se non riuscirà a fare dei passi in avanti nella battaglia per modificare la scuola della Gelmini?
Ma soprattutto cosa sarà di quel movimento se non riusciamo a dargli uno sbocco politico in grado di impegnare i medesimi nei valori ed anche nell'utopia di un mondo diverso da quello che conosciamo?
Credo che dopo l'assemblea del 13 dicembre svolta a Roma sia necessario impegnarsi unitariamente come sinistra presente nei partiti, diffusa nei movimenti e senza tessere, includendo tutti. Il rischio infatti è quello, se si imbocca una strada contraria, di costruire un nuovo partitino.
E' necessario dare un senso al futuro che ci attende, non per bruciare una nuova tappa ma come una finalità da conquistare!
E' a partire da queste considerazioni, credo, che essere comunisti susciti ancora un sentimento di orgoglio .
*Dirigente CGIL Provincia di Lucca

Repubblica 9.1.09
"Preti gay, per i fedeli non è più tabù"
Reazioni positive all´articolo di Avvenire su clero e omosessualità. "Giusto discuterne"
di m. pol.

Aprire la discussione su omosessualità e preti gay sulle pagine dell´Avvenire è stato come una scossa culturale, che sta attraversando l´opinione pubblica cattolica. Il giorno dopo il direttore Dino Boffo commenta sereno: «Ci è parso normale parlarne nei termini civili e documentati come ha fatto il professore Andreoli. Ho condiviso la sua intenzione di toccare anche situazioni dolorose e casi estremi». Però, precisa Boffo, l´articolo va inquadrato in un reportage di quarantotto puntate che sta affrontando tutti gli aspetti del sacerdozio: dai problemi in seminario ai rapporti tra clero e politica, dai preti operai ai sacerdoti presenti nei mass media.
Di fatto lo psichiatra - ponendo la questione del rapporto tra vocazione ed omosessualità - ha sfiorato la punta di un iceberg, che rimanda ad una realtà molto più sviluppata di quanto siano pronte ad ammettere le autorità ecclesiastiche. «Tranne casi di disperazione e di grande tormento interiore - commenta un prete omosessuale romano - una parte consistente del clero gay non si considera minimamente malata e c´è una giovane generazione che vive la propria vita senza paura di rappresaglie». Può anche accadere, spiega a Repubblica un sacerdote gay del settentrione, che un prete lo dica al proprio vescovo e non accada nulla, perché le autorità hanno soprattutto paura dello scandalo. «Io l´ho fatto e poi ho lasciato il mio ministero - racconta - ma ho rifiutato di firmare una lettera di richiesta di riduzione allo stato laicale. E non è stato aperto nessun procedimento canonico contro di me. Ufficialmente sono ancora prete».
Don Domenico Pezzini, professore emerito di Letteratura inglese medievale, fondatore e animatore di gruppi cattolici omosessuali, ritiene che vi siano parecchi preti gay che «vivono ormai serenamente la loro condizione e per i quali non ha più nemmeno importanza come si pronuncia l´istituzione ecclesiastica. Chi rimane nel ministero, che sia etero oppure omosessuale, ha la stessa fatica nel gestire il celibato e se incontra difficoltà le affronta a misura della sua saggezza e percezione di sé». Quanto ai credenti gay, afferma, c´è chi fa il sagrestano, l´organista, il cerimoniere o il membro del consiglio parrocchiale e il parroco lo sa e non obietta. Nelle parrocchie, peraltro, l´atteggiamento dei fedeli è diventato in genere molto più aperto. Toccherebbe all´episcopato, semmai, mandare finalmente un messaggio più «inclusivo» invece di ripetere tanti no.
Anche per padre Bartolomeo Sorge, gesuita, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali, non bisogna avere nessuna paura di sviluppare una ricerca seria su temi che pongono anche interrogativi nuovi. Resta la domanda, soggiunge, se la massa dei fedeli sia pronta a recepire tutto. Perciò «ci vuole prudenza nella divulgazione».

Repubblica 9.1.09
Su Nature l'annuncio di un biologo britannico Sentimenti reciproci più facili grazie a un ormone
Addio Cupido arriva la pillola dell´amore
Annusare una spruzzata di ossitocina accresce fiducia e empatia
di Enrico Franceschini

LONDRA. «Come sai che sono innamorato?», chiede un personaggio di Shakespeare nel dramma "I due gentiluomini di Verona". E l´altro risponde: «Avete imparato a bearvi d´un canto d´amore come un pettirosso; a passeggiare da solo come un appestato; a sospirare come uno scolaretto; a piangere come una pischerletta; a digiunare come uno a dieta; a vegliare come chi ha paura dei ladri». Niente di nuovo, per chi viene trafitto dalle frecce di Cupido. Ma sta avvicinandosi il giorno in cui sensazioni analoghe potrebbero essere provocate artificialmente, a comando, ingurgitando una capsula con un bicchier d´acqua. «Medicinali che manipolano i sistemi del cervello per aumentare o per diminuire i sentimenti per un´altra persona potrebbero non essere lontani», annuncia il professor Larry Young, biologo della Emory University, in un articolo sulla rivista scientifica Nature. Se fino ad ora ci siamo accontentati della pillola dell´amore inteso come sesso, vedi il Viagra e altri prodotti simili, dietro l´angolo sembra dunque intravedersi la prospettiva della pillola dell´amore sentimentale. L´amore di cui scrive Shakespeare, l´amore totale, il vero amore.
Di esperimenti del genere si parla già da qualche tempo, con test condotti su topolini e altri roditori in cui i dongiovanni della specie si tramutano all´istante in coniugi votati alla monogamia. Ma gli studi cui si riferisce il professor Young sono rivolti agli esseri umani. È per esempio già stato dimostrato, afferma lo scienziato, che annusare una spruzzata dell´ormone ossitocina accresce la fiducia e fa sentire una comunanza di emozioni con il prossimo. L´ossitocina, spiega nell´articolo, produce una sensazione di soddisfazione e contentezza in modo simile alla nicotina e a droghe come cocaina ed eroina, con un´azione chimica sul cervello praticamente identica a quella registrata in madri che guardano fotografie dei loro bambini o in persone che guardano fotografie dei propri innamorati. Studi attualmente compiuti in Australia, secondo la rivista Nature, stanno cercando di determinare se uno spray all´ossitocina potrebbe aiutare a ottenere migliori risultati nelle terapie dei consulenti matrimoniali per rimettere insieme coppie in crisi.
Qualche prodotto che si vanta di realizzare risultati simili è già apparso sul mercato. Recentemente alcuni siti Internet hanno cominciato a reclamizzare un´acqua di colonia chiamata Enhanced Liquid Trust (Rafforzamento della Fiducia Liquido), contenente una miscela di ossitocina e ferormoni che garantirebbe "progressi nel campo delle relazioni sociali e sentimentali". Il professor Young è scettico al riguardo, osservando che difficilmente prodotti di tal tipo aumentano qualcosa, tranne la fiducia in se stessi, alla stregua di un placebo. Ma lo studioso crede che sia solo questione di tempo, e nemmeno molto, prima che un medicinale possa fare innamorare, o disinnamorare, anche questa una prospettiva interessante, chi ci sta davanti. Va´ dove ti porta il cuore, o al limite dove ti porta una pillolina.

l'Unità 9.1.09
Proposta del Pdl. Uguali reduci fascisti e partigiani
Una pattuglia di deputati per l’istituzione dell’Ordine del Tricolore: una croce e 200 euro per ogni iscritto
Insorge l’Anpi. Vassalli: iniziativa incostituzionale

Duecento euro l’anno, e un nuovo ordine «cavalleresco», l’«Ordine del Tricolore», che tiene assieme, con rinnovato intento «pacificatorio», tutti i partecipanti alla Seconda guerra mondiale. Sotto l’effige di una medesima croce di bronzo con coccarda, lo Stato terrà assieme soldati delle forze armate italiane del ‘40-’45, partigiani, gappisti, inquadrati nel Corpo volontari della libertà, invalidi e mutilati, ex prigionieri, internati nei campi di concentramento e anche appartenenti a «formazioni che facevano riferimento alla Repubblica Sociale Italiana».
Sono tutti assieme, vittime e carnefici, nella proposta di legge 1360 presentata da Lucio Barani, esponente del Pdl di provenienza Nuovo Psi (come sindaco di Aulla fece posizionare una statua in marmo di Carrara di Bettino Craxi in piazza omonima, statua da poco messa all’asta per far cassa dal nuovo sindaco Udc), e firmata da una nutrita pattuglia di esponenti del Pdl.
Lo schema, proposto già due volte nel corso delle precedenti legislature, prende forma sulla falsa riga dell’«Ordine di Vittorio Veneto», creato per i combattenti della Prima guerra mondiale.
Questo secondo ordine, si legge nella nota che accompagna i nove articoli della proposta, «deve essere considerato un atto dovuto, da parte del nostro Paese, verso tutti coloro che, oltre sessanta anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della bontà della loro lotta per la rinascita della Patria». Per la copertura il ministero della Difesa ha trovato ben 200 milioni di euro l’anno.
Insorge l’Anpi, che il 13 gennaio alla Sala del Cenacolo della Camera, assieme a Giuliano Vassalli, Claudio Pavone, Marina Sereni, Raimondo Ricci e Armando Cossutta, metterà il luce il «disordine» nella storia patria apportato da questa proposta. Non esiste nessun Paese in Europa dove i collaborazionisti del nazismo siano stati premiati dice Vassalli, presidente emerito della Corte Costituzionale, spiegando come il principio esposto nella proposta di legge sia incostituzionale.
Medesime remore sono esposte da gli esponenti del Pd Roberta Pinotti, ministro ombra alla Difesa, e Roberto Zaccaria, vicepresidente della commissione Affari costituzionali della Camera. La prima espone «profonda indignazione», spiegando: «La rivalutazione dei combattenti della Repubblica sociale viene proposta non solo sotto forma di legittimazione politica, ma anche dal punto di vista economico, con l’assegnazione seppur simbolica di un vitalizio annuo. Come a dire che lo Stato italiano debba oggi trovarsi a remunerare i principali responsabili delle macerie dalle quali è risorto sessant’anni fa».
Per Zaccaria questa nuova proposta «capovolge l’ordine dei valori costituzionali equiparando indistintamente chi combattè in difesa della libertà e chi combattè per mantenere la dittatura con tutte le sue aberrazioni. È un ennesimo tentativo di revisionismo storico - conclude - con il quale il centrodestra vorrebbe accreditare i repubblichini nella storia d’Italia e sconvolgere le radici stesse della repubblica».

Corriere della Sera 9.1.09
La proposta di legge
«Onorificenza ai repubblichini» Insorgono i partigiani

ROMA — L'idea appare semplice e, in tempi di riscoperta patriottica, tale da mettere d'accordo tutti: la proposta di legge numero 1360 che sarà esaminata a giorni dalla commissione Difesa della Camera e che è stata presentata da parlamentari del Pdl tra i quali Cristaldi e De Corato di An, chiede che venga istituito un «Ordine del Tricolore», come «atto dovuto verso tutti coloro che impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della "bontà" della loro lotta per la rinascita della Patria». Dell'Ordine, dovrebbero far parte tutti coloro che abbiano «prestato servizio militare per almeno sei mesi in zona di operazioni delle forze armate italiane durante la guerra 1940-45», mutilati e invalidi, ex prigionieri o internati, partigiani gappisti e no ma anche «combattenti nelle formazioni dell'esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-45».
Arriva dunque per proposta di legge l'approdo di un cammino che negli ultimi anni in molti hanno portato avanti: quello della «pacificazione nazionale» tra vincitori e vinti, dell'equiparazione di fatto dei partigiani ai ragazzi di Salò, i repubblichini che seguirono Mussolini nell'ultima disperata avventura. Equiparazione che peraltro i proponenti della legge vorrebbero non solo negli onori, ma anche nei vantaggi materiali che ne derivano: nel testo infatti si prevede una erogazione annua a partire dal 2009 di 200 milioni di euro come «adeguamento pensionistico» ai reduci della guerra o eventualmente alle loro vedove, un vitalizio insomma. E siccome la legge Finanziaria non prevede tale stanziamento, si dà mandato al ministro dell'Economia di reperire altrove e in fretta le risorse.
I primi ad insorgere sono stati i partigiani dell'Anpi, che terranno martedì prossimo sul tema una conferenza pubblica alla Sala del Cenacolo (parleranno tra gli altri Giuliano Vassalli, Claudio Pavone, Armando Cossutta) e che denunciano «l'ennesimo tentativo da parte della destra di sovvertire la storia d'Italia e le radici stesse della nostra Repubblica con un ddl che equipara partigiani, deportati e militari ai repubblichini di Salò», tentativo peraltro fallito nella scorsa legislatura con un pdl analogo. Ma anche dal Pd (che pure aveva visto un suo esponente, Paolo Corsini, sottoscrivere il testo e in seguito ritirare la firma) ieri si sono levate le voci scandalizzate del ministro ombra della Difesa Roberta Pinotti e di Roberto Zaccaria, che parlano di «gesto di gravità inaudita che suscita profonda indignazione », di «palese e goffo tentativo di stravolgere la storia», insomma del «peggior revisionismo possibile » non estraneo a «un pezzo riconoscibile dell'attuale maggioranza di governo», come si deduce dalle dichiarazioni passate di «Alemanno e La Russa».
«Non c'è niente di scandaloso nè di immorale - ribattono i consiglieri romani del Pdl Cassone e Gramazio - : è un atto dovuto, la sinistra vuole solo riportare alla luce antichi rancori». Anche il presidente della Commissione Difesa, Edmondo Cirielli, ribatte al Pd, e accusa gli avversari di non «aver fatto alcuna opposizione» all'inserimento del pdl tra quelli da esaminare. E il fatto che lui, da presidente, sia anche relatore del provvedimento è dovuto solo «alla delicatezza del tema trattato».
Lo scontro
Il Pdl: istituire l'Ordine del Tricolore è un atto dovuto verso chi impugnò le armi L'Anpi: la destra vuole sovvertire la storia d'Italia Salò Le brigate nere della Repubblica di Salò
Paola Di Caro

Corriere della Sera 9.1.09
Il governatore In un'intervista all'«Espresso» chiede che il Pd esalti «l'esperienza dell'Ulivo»
La sfida di Soru: se io vinco ripeto quel che riuscì a Prodi
«In Sardegna si può tornare al successo e a battere Berlusconi»
di Alessandro Trocino

Parisi applaude
«Soru ha ragione, l'illusione della solitudine ha provocato un disastro Bisogna tornare all'Ulivo»

ROMA — «La sconfitta non è per sempre». Adagio che dovrebbe suonare rassicurante per i vertici del Pd. E, certo, l'intento era quello, anche se il resto della frase, e l'autore, autorizza a una lettura più maliziosa: «Se vinciamo in Sardegna, si può tornare a vincere e a battere Silvio Berlusconi, come ha fatto Prodi due volte». Renato Soru, governatore della Sardegna, con un'intervista all'Espresso si accredita come l'uomo che può ridare fiducia al centrosinistra. E, sempre volendo trarne una lettura maliziosa, si erge contemporaneamente a futuro leader del centrosinistra per sconfiggere il Cavaliere. Dando qualche sostanza alle voci che da settimane lo vedono come il possibile uomo nuovo del Pd, pronto a uscire allo scoperto anche sul piano nazionale.
Il governatore uscente della Sardegna, dimissionario dopo una scontro interno nel Pd, attacca frontalmente Berlusconi, ignorando il suo sfidante, Ugo Cappellacci, considerato poco credibile: «Sarà uno scontro Soru-Berlusconi per interposta persona». Lo scontro comincia con un parallelo con Mussolini: «"Faccio sapere ai sardi che noi ci occupiamo amorevolmente dei problemi della loro isola". Sa di chi è questa frase? Di Benito Mussolini. Berlusconi dice la stessa cosa».
Ma sono i passaggi interni sul centrosinistra che fanno riflettere. Soru chiede al Pd «un forte segno di discontinuità », ovvero la non canditura di chi ha più di due legislature e di chi «non si riconosce nel programma». Bene il Pd, se non altro perché ha «cominciato una traversata nel deserto, strada senza ritorno ». Ma servirebbe una correzione di rotta: «Bisognerebbe mettere più in risalto la continuità con l'esperienza di Romano Prodi e dell'Ulivo. Quella è la radice più autentica del Pd». Quanto basta per entusiasmare Arturo Parisi, pronto a criticare chi, ovvero Veltroni, «ha provocato un disastro con l'illusione della solitudine: bisogna tornare all'Ulivo ». «Parole sante quelle di Soru», conferma un altro prodiano, Franco Monaco. E a giungere alle estreme conseguenze ci pensa «Il Regno», mensile dei padri dehoniani di Bologna, vicini alle posizioni prodiane, per il quale «il Pd di Veltroni e D'Alema, con corredo di ex popolari, è avviato al declino». Veltroni non commenta, anche se in largo del Nazareno si ricorda come nell'ultima Direzione sia stato lo stesso segretario a ricordare positivamente l'esperienza dell'Ulivo. Quanto a Soru, smentisce quanto scritto ieri da un quotidiano locale, secondo il quale avrebbe scoraggiato la partecipazione di Veltroni alla campagna elettorale sarda. Smentita alla quale si associa il commissario del Pd in Sardegna Achille Passoni. E infatti, Veltroni in Sardegna ci sarà, «regolarmente invitato» dal candidato ufficiale del Partito democratico.

il Riformista 9.1.09
Il Movimento è in vacanza
La riforma Gelmini passa
e dell'Onda non c'è traccia
di Alessandro Da Rold

UNIVERSITÀ. Fino a pochi mesi fa si promettevano «cortei a oltranza» e «lotta senza fine». Ieri il via libera definitivo al testo contestato, e nulla si è mosso. C'è chi punta l'indice dentro la contestazione: «Più di qualcuno ha approfittato delle proteste per farsi solo pubblicità politica».
«Ma perché ci siamo fermati e non protestiamo più?». Il folto gruppo (quasi duemila adesioni) contro la cosiddetta riforma Gelmini, nato sul social network di Facebook lo scorso ottobre, è fermo ormai da alcune settimane. Tina, nel giorno in cui la Camera dà il via libera al rinnovamento del sistema universitario, prova a scuoterlo proprio con questa domanda: «Ma perché ci siamo fermati e non protestiamo più?». Frase che rimbomba nel web, ma che di risposte non ne ottiene alcuna: nessuno sembra interessato alla discussione. A tre mesi di distanza dalle occupazioni di scuole e Università, dalle manifestazioni di piazza, dall'assalto ai binari delle stazioni ferroviarie e dagli scontri a volte anche accesi con la polizia, dell'onda Anomala anti-Gelmini, (o anti-legge 133 per i più tecnici), è rimasto ben poco. Continuano in maniera frammentata occupazioni in poche università della penisola, tra cui spicca La Sapienza di Roma, ma dell'Onda Anomala che doveva ricalcare le gesta della storica Pantera degli anni '90 non si avverte più neppure la presenza.
Da segnalare nelle ultime 48 ore due note di cronaca: ieri due striscioni di protesta che pendevano dal tetto del Museo Correr in piazza San Marco a Venezia, mercoledì sera la manifestazione dei 300 della Sapienza di Roma fuori da Montecitorio. Sulla laguna erano una decina, capitanati da Tommaso Cacciari, nipote del sindaco Massimo, da tempo protagonista indiscusso di qualsivoglia protesta avvenga sul territorio del capoluogo veneto. In sostanza, davvero poco rispetto alle promesse degli scorsi mesi, quando tra i leader del movimento studentesco si parlava di «cortei a oltranza» o «di lotta senza fine contro la Gelmini e il governo di centrodestra». A Milano, all'Università Statale, tra i primi Atenei a movimentarsi lo scorso autunno, è il caos. Fuori dalle aule di via Festa Perdono, tra i bar di Porta Ticinese e le Colonne di San Lorenzo, i pochi militanti rimasti non sanno quali decisioni prendere né cosa accadrà in futuro. Ci si interroga sul da farsi. Molti sono ancora in vacanza. Altri iniziano a pensare all'imminente sessione d'esame. C'è chi se la prende con il governo per il modo in cui è passata la legge: «Con il voto di fiducia e il sette gennaio, mentre l'attenzione è tutta spostata su Gaza: uno scandalol!!» tuona Luigi, ma c'è pure chi ricorda che era scontato che la protesta andasse a finire in questo modo: «C'è stato più di qualcuno che ha approfittato delle protesta per farsi solo pubblicità politica e non per portare avanti veramente la contestazione».
Il riferimento è ai leader della Statale, a quelli provenienti da centro sociale Cantiere, sempre più divisi al suo interno, con schegge impazzite che fanno più o meno quello che vogliono. E su questo bisogna raccontare un antefatto. Lo scorso 12 dicembre, durante un tentativo di occupazione, è nata una rissa tra i manifestanti. Questioni di protagonismo forse, «semplici questioni di piazza» narrano i ben informati, forse l'irruenza di alcuni ha sorpreso altri. La versione ufficiale del direttivo sarà questa: «Erano ragazzi di fuori, nemmeno di Milano». In realtà chi vive da dentro la protesta ha scoperto che «quelli venuti a menar le mani» sono amici di uno dei leader che non è riuscito ad arginare lo scontro: da qui la scissione e la possibile decisione nei prossimi giorni di organizzare iniziative differenti, sparse, senza una voce unica.
Il silenzio assordante della protesta anti-Gelmini lo si avverte pure su Indymedia, piattaforma che riunisce i movimenti di contestazione in tutto il mondo. I pochi post sull'argomento scuola vengono snobbati dai naviganti. Solo in uno la risposta a un anonimo è il segno più eloquente: «Con una bella campagna di mobilitazione c'era possibilità concreta di far saltare il numero legale della seduta. Ma l'epifania tutti i movimenti se li porta via...». Gli Studenti di Sinistra sono pronti a continuare la lotta, ma intanto il ministro festeggia: «Con questa riforma si valorizza il merito, si premiano i giovani e si favorisce il ricambio generazionale». Con buona pace dell'Onda Anomala.

Repubblica 9.1.09
Gli attacchi
Allevi. Tutti contro il piccolo divo "Ma io sto dalla parte di Mozart"
di Giuseppe Videtti

Una valanga di critiche negative: il suo concerto di Natale al Senato ha scatenato le ire degli esperti di classica, da Ughi a Mazzonis
Non sono pop. È un genere semplificato diverso dal mio. Non so dirigere? Nel 700 l´autore dirigeva la sua musica. Chi mi accusa mi dà solo visibilità

Prima della bufera Giovanni Allevi era un riccioluto pianista diplomato a pieni voti al Conservatorio e laureato in filosofia, che audacemente aveva scalato le classifiche di vendita, stabilendo primati da far invidia anche a un artista pop. Oltre cinquecentomila copie vendute di sei album incisi, più di centomila copie vendute dei due libri pubblicati, concerti sold out (e già un impegno per il prossimo luglio all´Arena di Verona). L´accademia, che l´ha formato, tace. Lui dice: «La mia è musica classica contemporanea». I detrattori attaccano: «E´ poco più di Stephen Schlaks e Richard Clayderman». I jazzofili nicchiano: «E´ un Keith Jarrett zuccheroso». Ma i fan lo adorano, lui non si risparmia, la comunicazione tra le due parti diventa fenomenale. E senza confini di età, dai cinque a novant´anni. Il 21 dicembre lo invitano ad esibirsi con I Virtuosi Italiani al tradizionale concerto di Natale al Senato. Allevi, 39 anni, suona e dirige. Il presidente Napolitano e le più alte cariche dello Stato applaudono a lungo. Sembrerebbe un Natale coi fiocchi, invece per Allevi è una Quaresima. Il violinista Uto Ughi, furioso, boccia la scelta: «Quel concerto mi ha offeso come musicista». Alla protesta si aggregano l´arpista Cecilia Chailly e Cesare Mazzonis, direttore artistico dell´Orchestra Nazionale Rai. Allevi ribatte: «Vengo dal Conservatorio, sto dalla parte di Mozart». La polemica investe anche Internet, la blogosfera si spacca tra sostenitori e detrattori. Il pianista trascorre con la famiglia, ad Ascoli Piceno, le festività più tormentate della sua carriera.
Ma lei, Allevi, si merita tanto accanimento?
«Il mio concerto ha rotto una tradizione. Le critiche che ho ricevuto sfociano nell´offesa personale, non sono misurate né contestualizzate. Sono abituato ad avere a che fare con i detrattori, ho capito che chi aggredisce criticando in questo modo mette in piazza solo i propri fantasmi e le proprie paure. C´è anche da dire che attaccarmi in modo così violento, oggi, garantisce un siparietto di visibilità, quei famosi 15 minuti profetizzati da Andy Warhol».
Insiste a definirsi "compositore di musica classica contemporanea", pura presunzione per chi riconosce nelle sue partiture una valenza decisamente pop.
«Sono diplomato in composizione e questo fa di me un compositore. Quanto alla musica classica: è musica colta, musica d´arte che ha una caratteristica incontrovertibile, è scritta, e come tale può svilupparsi in forme complesse. Essendo la mia musica scritta secondo le tradizioni della musica classica europea, è anch´essa classica, ed essendo scritta oggi è contemporanea. Non la rappresento in toto, propongo una possibilità che chiunque è libero di prendere in considerazione o ricusare».
Ecco, questo è il punto, qui scatta l´accusa di presunzione.
«Sono solo una persona convinta e innamorata di ciò che fa. Quel che penso di me l´ho scritto nel libro In viaggio con la strega: sono un simpatico megalomane, perché pensare in grande è il dovere dell´artista. Confrontarsi con i geni del passato è forse un peccato?».
Si fa fatica a riconoscere la stessa dignità di una sinfonia alla cantabilità pop di certe sue composizioni.
«In questo mi viene in soccorso Mozart. La musica deve essere promotrice di una semplicità che è complessità risolta, da tutti riconoscibile, che non inficia la propria origine colta. Siccome il Novecento ha perseguito l´ideale della complessità fine a se stessa, oggi siamo portati a credere che ciò che è complesso e incomprensibile ha maggior valore rispetto a ciò che è semplice».
Le sarebbe sembrato riduttivo definirsi artista pop tout-court?
«C´è un problema di terminologia. Il pop è un genere che utilizza la tradizione orale e una scrittura semplificata diverse rispetto alla mia formazione. Voglio ricordare che Mozart è il musicista che ha venduto di più nella storia. Dobbiamo per questo considerarlo pop?».
Qualcuno potrebbe trovare il paragone irritante.
«Ma è da lì che io vengo, quello è stato il mio percorso di studio. Per me l´importante è scrivere, i giudizi, anche ai limiti dell´offesa, non smuovono le note. Per fortuna».
Come se non bastasse, lei si è messo anche a dirigere: Mazzonis sostiene che lei palesemente non è in grado.
«Non nasco direttore d´orchestra, è vero. Ma voglio ricordare che fino alla metà del Settecento è sempre stato il compositore a dirigere la sua musica».
Molti considerano quella proverbiale naïveté un´astuzia da intrattenitore leggero�
«Nei libri espongo solo le linee guida della poetica della mia musica, una sorta di manifesto artistico, come hanno fatto tanti compositori prima di me. Il critico Piero Rattalino ha scritto che la mia estetica è vicina a quella del compositore Ferruccio Busoni (1866-1924). Ogni artista ha pieno diritto di esprimere le proprie idee. Non pretendo che siano condivise da tutti».
Non si sarà mica montato la testa?
«So di essere un sognatore e un visionario. Sono animato da una profonda umiltà e nutro un rispetto religioso nei confronti del pubblico e della musica. Il vero problema sta nell´immobilismo, nella paura di fare, di cambiare, di esporsi».
Cosa l´ha ferita di più?
«La mistificazione della realtà, di certe mie affermazioni mai pronunciate, per farmi apparire arrogante e presuntuoso. Mi ripaga l´affetto delle persone che mi hanno scritto manifestando la loro solidarietà. Di questo non finirò mai di ringraziarle».

giovedì 8 gennaio 2009

Liberazione 8.1.09
Siamo pronti ad acquistare Liberazione. Perché non ci rispondete?
di Luciano Ummarino*


Noi siamo Loop, i "corsari" che nel momento di grave criticità dell'editoria italiana hanno appena lanciato un nuovo bimestrale.
La crisi del quotidiano Liberazione , le proposte di acquisto da parte di un unico imprenditore, ci hanno spinti a formulare una proposta diversa per la tutela e il rilancio di un giornale indipendente, libero e di sinistra. Per questi motivi abbiamo costruito le premesse alla realizzazione di un consorzio aperto di società cooperative e piccole-medie imprese che potesse acquistare, in parte, o nella totalità il quotidiano Liberazione .
La forma consorzio non è stata scelta a caso. Avendo preso atto dell'impraticabilità dell'ipotesi di una " Liberazione senza padroni", abbiamo formulato l'ipotesi di affidarla a molti. Molti padroni sono meglio di uno, soprattutto nella tutela dell'indipendenza del giornale. Lasciando contestualmente aperte le porte del consorzio ad altre realtà che volessero in futuro entrare a farne parte. Forti di questa proposta, organizzata su una company partecipata, il 5 gennaio abbiamo incontrato il direttore di Liberazione Piero Sansonetti per vagliare le ipotesi ancora in campo.
E' emersa, ovviamente, la necessità di praticare una preventiva due diligence , un atto affidato a un soggetto terzo che chiarisce in maniera definitiva e trasparente lo stato dei conti della società in vendita. Il giorno stesso Piero Sansonetti, come da noi richiesto, ha comunicato la nostra manifestazione di interesse , all' amministratore del Prc.
Il giorno dopo (l'Epifania!) abbiamo appreso dell'anticipazione al 12 gennaio della direzione nazionale di Rifondazione prevista a fine mese, con odg di sfiducia al direttore di Liberazione e contestuale incarico ai due nuovi direttori: una cosa che sembra assomigliare molto alla proposta Luca Bonaccorsi.
Non vogliamo indagare quali siano stati i motivi che hanno spinto in un giorno di festa il segretario del Prc ad una accelerazione simile. Risulterebbe inoltre arrogante da parte nostra, intravedere un nesso tra la nostra azione e quella operata dal segretario Ferrero.
E' utile invece cercare di capire con quale modalità avvenga la dismissione di un giornale come Liberazione .
Ci si appresta ad alienare un patrimonio politico e culturale senza nemmeno vagliare adeguatamente altre proposte di acquisto, senza considerarne la diversità, la solidità.
E' preoccupante che questo avvenga perché è una modalità che va contro i più banali principi che regolano il più barbarico dei liberismi. Non si dovrebbe scegliere la proposta migliore, più trasparente e soprattutto quando è necessario garantire il futuro, l'indipendenza e la libertà di uno strumento di informazione?
In questi giorni non è successo nulla di tutto questo e anzi sembra che si mettano in campo tutti i mezzi per impedire una competizione trasparente e pubblica. A pagarne sarà Liberazione , i suoi giornalisti e lavoratori, e tutti noi.
per conto del costituendo consorzio B.G.I.
Luciano Ummarino
direttore editoriale di "Loop"

Liberazione 8.1.09
Sgrena e Greco tirati in ballo da un'agenzia smentiscono. Nelle mani del Cdr pronti dieci giorni di sciopero
Il toto-direttori non c'azzecca
Oggi i lavoratori incontrano Ferrero
di Beatrice Macchia


Parole in libertà? Sulla nostra pelle. In sintesi, questo è. Il toto-direttori (perché il plurale è d'obbligo) impazza sull'annunciato dopo Sansonetti a Liberazione . Almeno sulle agenzie stampa (o meglio su una), perché nei corridoi e nell'assemblea dei redattori di viale del Policlinico si respira un'altra aria. Oggi è prevista l'assemblea di tutti i lavoratori della testata col segretario di Rifondazione Comunista (e Fnsi e Associazione Stampa Romana) e l'assemblea dei giornalisti ieri ha confermato un pacchetto di 10 giorni di sciopero. Il messaggio è chiaro. Si attendono risposte e non balletti. C'è una trattativa di vendita? E' stato firmato o meno il protocollo d'interesse? E il doppio direttore che verrà, c'entra qualcosa con il piano di doppia direzione proposto da Bonaccorsi?. I giornalisti non possono leggere sulle agenzie notizie sul loro destino. A maggior ragione se l'editore è il partito della difesa degli interessi dei lavoratori. Sarebbe troppo chiedere di poter discutere del proprio destino prima che venga deciso e sigillato?
Tant'è, lunedì ci sarà la direzione defenestrante del Direttore Sansonetti e la nomina dei "direttori". Uno "politico" e uno di gradimento dell'editore Bonaccorsi o uno "politico" e un direttorese responsabile (giornalista)? Interni o esterni? Chi lo sa. L' Agi si spinge in là con le previsione che finora correvano sugli sms e la butta là: sarebbe Giuliana Sgrena, l'amica e collega de il manifesto , il "nome nuovo". L'interessata smentisce: «A me nessuno ha mai chiesto di fare il direttore di Liberazione». Sottotitolo: nessuna disponibilità. Così come fa, direttamente e senza appelli, il sindacalista bresciano, Dino Greco, collaboratore del quotidiano e attuale membro della Direzione nazionale Cgil. «Nessuno mi ha mai contattato». E' il classico toto-nomi. Quasi sempre a caso. Con le riproposte di personaggi storici di Rifondazione, i rumors su redattori interni, su altri sindacalisti, giornalisti e chi più ne ha ne metta. Lunedì si saprà. I meglio informati puntano su un binomio donna-uomo. Chi "politico" e chi "responsabile" si vedrà. Sempre ammesso che non vi siano altri "colpi di scena". Come l'apertura di un altro tavolo di trattative, l'annuncio della vendita a Bonaccorsi già firmata (o il suo ritiro) o la riconsiderazione del piano aziendale presentato alla Fnsi e alla Fieg e bocciato il 22 dicembre dalla Direzione Nazionale del Prc.
Per il direttore "quasi uscente" ieri un manifesto attestato di stima da Ritanna Armeni, editorialista del giornale e già membro del consiglio d'amministrazione «destituito» - lo dice lei - della Mrc S.p.A.: «E' in corso una pessima operazione che uccide un giornale fortemente innovatore ed una sinistra che uccide un giornale fortemente innovatore con un ottimo direttore dice di quali intenzioni ed intenti innovatori possa esser animata questa sinistra». «L'eventuale vendita rende ancora più negativa una operazione che aveva ed ha come obiettivo liberarsi di un ottimo direttore e di una linea politica fortemente innovatrice con una soluzione, la doppia direzione, ridicola, ridicola, ridicola, come se politica cultura e cronaca non fossero tra loro intrecciate».
Di avviso diverso invece, Pietro Folena, che in qualità di privatizzatore de l'Unità che fu e di portavoce di Uniti a Sinistra, loda Paolo Ferrero: «Trovo giusto e ragionevole il progetto di disimpegnare il Partito dal quotidiano in perdita, quel che ho trovato sgradevolissima è la polemica sopra le righe che ne è seguita: un segno inequivocabile dell'immaturità che c'è nella sinistra ed è quanto mai opportuno mettere il classico punto e a capo». «Vorrei tanto - continua Folena - che ci si concentrasse di più nella costruzione di una sinistra nuova, plurale, federale, in grado di competere». Il tutto è poco informato e anche un po' offensivo per i giornalisti di Liberazione che continuano a essere i fantasmi di questa pantomima. Ma così è.

Liberazione 8.1.09
«Gravissimo bypassare il sindacato»
di Antonella Marrone


Paolo Serventi Longhi, segretario per lunghissimo tempo della Federazione nazionale della stampa italiana, dal 1996 al 2007, dal giugno 2008 assume l'incarico di direttore di Rassegna sindacale , settimanale della Cgil. Di trattative sindacali ne ha fatte a centinaia. Oggi non ha molti dubbi: le relazioni sindacali si sono allentate, le aziende non hanno intenzione di rispettare quelle regole di trasparenza che dovrebbero guidare i passaggi cruciali della vita di una testata giornalistica.
A "Liberazione" sta succedendo la stessa cosa che in altri gruppi editoriali. Trattative riservate, passaggi di comunicazioni informali. Tutto questo va avanti da aprile. Una redazione che già all'epoca era stata preparata all'idea un piano di ristrutturazione, in perenne attesa, però, di sapere perché. Ed eventualmente come. Sono passati dieci mesi, tra calde promesse di condivisione e isterici richiami all'urgenza dello stato di crisi. In balia di conti effimeri. Inutile dire che sentirsi scavalcati per quanto riguarda le relazioni sindacali è un eufemismo. Soprattutto visto il tipo di proprietà...
Il problema è semplice: o c'è il rispetto delle regole o si lavora in una situazione torbida. Il contratto prevede il diritto delle rappresentanze sindacali ad avere comunicazione dalla proprietà, con un largo anticipo, su questioni fondamentali come nomine dei direttore, stato di crisi, ristrutturazione, riorganizzazione del lavoro. Ovviamente anche per il cambio di proprietà.
Nel caso di un piano di ristrutturazione o di un possibile stato di crisi ci sono dei passaggi obbligati?
Beh un confronto aziendale preliminare, soprattutto nel caso in cui bisogna ricorrere alla 416, è un atto dovuto. Certo se non si vuole trasparenza si fa presto, basta non presentarsi, presentare carte incomprensibili, rimandare gli incontri.
E il tempo passa. Ne hai visti molti di casi di "ristrutturazione" mascherati?
A bizzeffe. Un caso per tutti, clamororso, il gruppo Riffser ( Il Giorno , La Nazione , Il resto del Carlino ). Sono già alla settima ristrutturazione con piani senza riscontro sulla effettività della crisi, senza fase preliminare. Senza nessuna trasparenza. È veramente difficile trovare una proprietà che avvii un percorso lineare e corretto
A dire il vero noi pensavamo di essere in un "ventre di vacca", ma fino ad oggi ogni tentativo è stato ricacciato indietro...
Abbiamo vissuto insieme i momenti più drammatici dell' Unità , della crisi... Ricorderai quanta passione c'era nei colleghi. Anche in questo caso, è chiaro il legame politico e affettivo chiederebbe più rispetto. Lavorare in alcune aziende, presuppone che il lavoro non sia solo un affare di retribuzione, ma c'è anche un'adesione politica. Che vuoi, c'è poco da dire. Dal punto di vista sindacale è vero, purtroppo, che a fronte di una progressiva debolezza del sindacato - che si è accentuata nel corso degli anni - le proprietà hanno alzato la testa. Questo come sappiamo accade in tutti i settori del lavoro, non solo nel nostro. Ma certo è che la situazione si sta progressivamente aggravando e i Comitati di redazione, cioè i rappresentanti sindacali dei giornalisti, diventano sempre meno un interlocutore anche per questioni importanti nel campo dell'organizzazione del lavoro.

l’Unità 8.1.09
Intervista a Hanan Ashrawi
La parlamentare palestinese: di fronte al massacro in atto a Gaza dobbiamo rifiutare sia il terrorismo che la rassegnazione
«Al mio popolo dico: la via è la resistenza non violenta»


«Guardate quei filmati su YouTube. Imprimetevi nella mente lo sguardo terrorizzato dei bambini di Gaza. Guardateli negli occhi: troverete una paura senza fine. Molti di quei bambini sono morti di paura, quando non sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Guardate quei corpi estratti dalle macerie delle scuole dell’Onu rase al suolo dall’artiglieria israeliana. Guardateli e chiedetevi: cosa c’è di “difensivo”, di moderato, in questo massacro d’innocenti?. Guardateli. E pensate cosa possono provare i loro fratelli o i loro padri, Su questi massacri sta crescendo in tutto il mondo arabo un odio profondo verso Israele». La sua voce è incrinata dalla commozione e dalla rabbia. Le sue parole sono impastate di sdegno. Se c’è una dirigente palestinese lontana anni luce dai fondamentalisti di Hamas, questa dirigente è Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Anp, prima donna portavoce della Lega Araba, paladina dei diritti umani nei Territori. «Ho sempre combattuto Hamas, ma non ho mai pensato che la sua sconfitta potesse venire da una prova di forza militare, per di più condotta da Israele. Già in passato Israele ha provato a decapitare la leadership di Hamas, assassinando il suo stesso fondatore (sheikh Ahmed Yassin, ndr.). Il risultato è stato il rafforzamento di Hamas. Israele aveva una carta da giocare per sconfiggere veramente Hamas: realizzare una pace giusta, fondata sulle risoluzioni Onu. La carta della nascita di uno Stato palestinese realmente indipendente, sovrano su tutto il suo territorio nazionale. Invece ha spacciato per uno “Stato in fieri” i bantustan della Cisgiordania».
A Gaza si continua a combattere. Le armi si sono fermate per sole tre ore. È ancora guerra totale.
«No, a Gaza non è in atto una guerra totale. A Gaza è in atto un massacro totale. A morire, a centinaia, sono donne e bambini, come quelli sepolti sotto le macerie delle scuole dell’Onu bombardate nella Striscia».
Israele afferma che la sua è un’azione difensiva.
«Difensive sono le tonnellate di bombe sganciate sull’area più densamente popolata al mondo? Inorridisco al solo pensarlo. Ho sempre denunciato la militarizzazione dell’Intifada. Hamas è parte di questa degenerazione che ha fatto solo il gioco dei falchi israeliani. Da tempo ritengo che tra terrorismo e rassegnazione, vi sia una terza via più efficace e coraggiosa: quella della resistenza non violenta...».
Linea contestata da Hamas.
«Lo so bene. Ma niente può giustificare la mattanza che Israele sta praticando a Gaza. Niente. In tempi meno tragici avevo chiesto il dispiegamento di una forza d’interposizione ai confini fra Gaza e Israele. Prima di Hamas, a dire un no secco è stato Israele, perché intendeva quella forza di pace come il cedimento ad una “internazionalizzazione” del conflitto israelo-palestinese. E invece solo una “internazionalizzazione” del conflitto può ridare una chance al negoziato».
Può essere Al Fatah del presidente Abu Mazen la vera alternativa a Hamas?
«Hamas ha costruito le sue fortune elettorali sul discredito di una classe dirigente accusata, e a ragione, di corruzione e incapacità. Senza un profondo rinnovamento non solo di persone ma della concezione stessa di governo, l’alternativa a Hamas sarà la disgregazione...».
Pace è una parola impronunciabile?
«No, è una parola che va riempita di contenuti, alla quale i legare un’altra parola-chiave, altrettanto importante: . Giustizia. Quella che da decenni il mio popolo reclama invano».

Liberazione 8.1.09
Che diremmo se Hamas avesse ucciso 600 israeliani?
di Robert Fisk


E così ancora una volta Israele ha aperto le porte dell'inferno ai palestinesi. 40 civili che cercavano rifugio sono morti in una scuola dell'Onu, altri tre in un altra. Non male per una notte di lavoro a Gaza da parte di un esercito che crede nella "purezza delle armi". Ma perchè questo dovrebbe sorprenderci?
Abbiamo dimenticato i 17.500 morti, quasi tutti civili, molti dei quali donne e bambini, dell'invasione israeliana del Libano nel 1982; i 1700 civili palestinesi morti nel massacro di Sabra e Chatila; la strage di Qana presso la base Onu dove trovarono la morte 106 civili libanesi, metà dei quali bambini; l'assassinio dei profughi di Marwahin a cui venne ordinato di lasciare le loro case per poi essere falciati da un elicottero israeliano; i 1000 morti, quasi tutti civili, provocati sempre nel 2006 nel corso dell'invasione, sempre in Libano?
Quello che veramente sorprende è che molti leader occidentali, tanti presidenti e primi ministri, e, io temo, molti editori e giornalisti, hanno accettato la solita vecchia bugia: gli israeliani hanno fatto molta attenzione per evitare vittime innocenti. «Israele ha fatto il possibile per evitare vittime civili», è quanto ha dichiarato poche ore prima del massacro di Gaza un ambasciatore israeliano. E ogni presidente e primo ministro che ha ripetuto questa falsità come scusa per non chiedere un cessate il fuoco, ha sulle sue mani il sangue del macello che si è compiuto la scorsa notte. Se George Bush avesse avuto il coraggio di chiedere un immmediato cessate il fuoco 48 ore prima di quel fatto, quei vecchi, quelle donne e bambini sarebbero vivi.
Quanto accaduto non è solo vergognoso. Usare il termine crimini di guerra per descrivere quanto accaduto è troppo? Perchè questo è il termine che avremmo usato per questa atrocità se fosse stata commessa da Hamas. Quindi temo che era un crimine di guerra. Dopo aver scritto di così tanti massacri avvenuti in Medio Oriente, da parte delle truppe siriane, irachene, iraniane e israeliane, suppongo che avrei dovuto avere una reazione più cinica.
Ma Israele sostiene di combattere una guerra per noi contro il "terrorismo internazionale". Gli israeliani sostengono di combattere a Gaza per noi, per i nostri ideali occidentali, per la nostra sicurezza, per i nostri standard di vita. Quindi anche noi siamo complici della barbaria che oggi invade Gaza.
Ho riportato varie volte le scuse dell'esercito israeliano per questi oltraggi nel passato. Siccome potrebbero essere ripetute nelle prossime ore ve le ripropongo. Israele dice che i palestinesi hanno ucciso i loro profughi, che hanno disotterrato i cadaveri dai cimiteri e sparso i corpi tra le rovine, che alla fine i veri responsabili sono i palestinesi in quanto sostenitori di un fazione armata, oppure che gli stessi palestinesi armati hanno usato i rifugiati come scudi umani.
Il massacro di Sabra e Chatyila fu commesso dai falangisti libanesi di destra mentre le truppe di Israele, come ha rivelato la stessa commissione israeliana, rimasero a guardare per 48 ore senza fare nulla. Quando Israele fu accusata, il governo di Menacham Begin accusò il mondo di diffamazione. Dopo che l'artiglieria israeliana sparò contro il comprensorio Onu di Qana, nel 1996, Israele sostenne che gli stessi Hezbollah stavano bombardando la base. Era una bugia. I più di mille morti del 2006, una guerra iniziata dopo che Hezbollah aveva catturato due soldati isreaeliani al confine, furono derubricati come responsabiltà di Hezbollah. Israele sostenne che i cadaveri dei bambini nel secondo massacro di Qana erano stati presi da un cimitero. Era un'altra bugia. Il massacro di Marwahin non venne mai giustificato. Alla gente del villaggio venne ordinato di lasciare le loro case, obbedirono agli ordini degli israeliani e furono attaccati da un elicottero. I profughi presero i loro bambini e si misero vicino ai camion sui quali viaggiavano per permettere ai piloti di vedere che erano civili. Poi l'elicottero israeliano li falciò, da vicino. Sopravissero solo in due fingendosi morti. Israele non chiese neppure scusa.
Dodici anni prima un'altro elicottero attaccò una ambulanza che trasportava civili, anche a loro era stato ordinato di abbandonare il loro villaggio, morirono tre bambini e due donne. Israele sostenne che un combattente di Hezbollah era sull'ambulanza. Non era vero. Ho seguito e scritto tutte queste atrocità, le ho indagate, parlato con i sopravissuti. Così hanno fatto molti miei colleghi. Come risposta ottenemmo degli scritti diffamatori: fummo accusati di essere antisemiti.
E scrivo quanto segue senza alcun dubbio: sentiremo di nuovo queste scandalose ricostruzioni. Sentiremo la scusa-bugia di Hamas - e dio solo lo sa che ce n'è abbastanza contro di loro senza bisogno di inventarsi crimini - sentiremo di nuovo dei cadaveri dai cimiteri, e che Hamas era nella scuola dell'Onu. Tutte bugie. E che noi siamo antisemiti. E avremo i nostri leader che sbuffando e balbettando ricorderanno al mondo che è stata Hamas a rompere il cessate il fuoco. Non lo ha fatto. Israele lo ha fatto per prima, il 4 novembre, quando con i suoi bombardamenti uccise 6 palestinesi a Gaza e ancora il 17 novembre quando in un altro bombardamento morirono altri quattro palestinesi.
Sì, Israele merita sicurezza. Venti israeliani uccisi in 10 anni attorno a Gaza è un dato tragico. Ma 600 palestinesi morti in una sola settimana, e migliaia nel corso degli anni dal 1948, è sicuramente un differente scala. Questo ci ricorda che non siamo di fronte a un "normale" massacro del Medio Oriente, ma ad una atrocità che ricorda la guerra dei Balcani degli anni '90. E naturalmente quando un arabo scatenerà tutta la sua furia incontenibile e scaricherà la sua rabbia cieca contro l'occidente, diremo che questo non ha nulla a che fare con noi. Ci chiederemo, perchè ci odiano? Ma non facciamo finta che non conosciamo la risposta.

Liberazione 8.1.09
I pacifisti tornano in piazza L'11 a Roma, il 17 ad Assisi:
«Ora cessate-il-fuoco»


Una lunga catena umana per la pace unirà l'ambasciata d'Israele a Roma in via Michele Mercati alla delegazione generale Palestinese in piazza San Giovanni in Laterano 72, «per dire sì alla pace, al dialogo, al riconoscimento dei diritti del popolo palestinese e del popolo israeliano. E fermare subito una violenza che non ha giustificazioni». Questa è l'iniziativa promossa da alcuni consiglieri e assessori della Regione Lazio che si svolgerà domenica 11 gennaio a partire dalle ore 10,30 sotto lo slogan "Diamo una mano alla pace". Tra i primi firmatari gli assessori regionali Luigi Nieri, Giulia Rodano, Alessandra Tibaldi, Filiberto Zaratti e i consiglieri Enrico Fontana, Enrico Luciani, Ivano Peduzzi, Anna Pizzo. «Sono circa 5 chilometri da fare insieme mano nella mano, per dire sì alla pace, al dialogo, al riconoscimento dei diritti del popolo palestinese e del popolo israeliano - si legge nell'appello - E fermare subito una violenza che non ha giustificazioni. La pace è un diritto fondamentale, irrinunciabile, inalienabile. La pace è una condizione di vita. Noi vogliamo che nella terra di Palestina e nella terra di Israele ci sia la pace. Una pace che duri. Per ottenere questo risultato è necessaria una tregua immediata. E' necessario che tornino il dialogo e la diplomazia, quella ufficiale e quella popolare. Il terroristico lancio di missili da parte di Hamas e la sproporzionata disumana risposta del governo di Israele sono inaccettabili per la comunità internazionale. Chiediamo che si fermi subito la violenza, che ai bambini sia dato il diritto a non avere paura, che le donne e gli uomini abbiano il diritto a vivere in pace».
Un altro appello alla mobilitazione per la pace in Medio Oriente, firmato dalla Tavola della pace da Acli, Arci e Legambiente, è per sabato 17 gennaio ad Assisi alle ore 10,00.
Iniziamo a costruire una grande partecipazione - si legge nell'appello - per essere in tanti e tante ad Assisi e gridare: C'è un modo per evitare il massacro di civili. C'è un modo per salvare il popolo palestinese. C'è un modo per garantire la sicurezza di Israele e del suo popolo. C'è un modo per dare una possibilità alla pace in Medio Oriente. Cessate il fuoco. Ritiro immediato delle truppe israeliane. Fine dell'assedio. Protezione umanitaria internazionale

l’Unità 8.1.09
«Il Pd è ridotto a una somma di comitati elettorali»
intervista a Leonardo Domenici
di Osvaldo Sabato


Devo dire che sono rimasto colpito da alcuni interventi che ho ascoltato nella direzione nazionale del 18 dicembre scorso e da alcune dichiarazioni sulla stampa». Esordisce così il sindaco di Firenze Leonardo Domenici puntando la sua attenzione sul rapporto tra il Pd nazionale e le città. Le inchieste delle procure di Napoli, Pescara e Firenze, che hanno colpito da dentro le amministrazioni di queste città, hanno riportato a galla la questione morale. Qualcuno però fa notare la poca incisività del Pd nazionale sulle realtà locali con i “cacicchi” che hanno preso il sopravvento. Ma per il sindaco di Firenze, il problema è più politico. «Beh - dice - quando leggo che in questo momento bisognerebbe, facendo di ogni erba un fascio e senza fare nessuna distinzione di merito, introdurre una più netta distinzione tra il partito e gli amministratori locali penso che si stia dicendo una cosa sbagliata, gravemente sbagliata. Mi riferisco, per esempio, ad alcune dichiarazioni di Giorgio Tonini e mi chiedo se su questo punto non sia opportuno andare ad un chiarimento serio, vero, dentro il Pd».
Domenici insiste: «Veltroni più volte ha detto che certo ci sono dei problemi a livello locale, ma bisogna pensare a quella migliaia di amministratori del Pd che lavorano in maniera seria e portano avanti l’esperienza concreta di quel partito riformista e di massa, come lo ha definito il segretario, da cui dubito che possiamo prescindere se vogliamo costruire seriamente il Pd. Il problema è anche uno scollamento tra la politica nazionale con quella locale. Ma il punto non è che la ragione sta da una parte, o dall’altra».
Le indagini della magistratura però nelle città giudate dal centrosinistra sono sotto gli occhi di tutti.
«Il problema fondamentale è che ci sono delle situazioni che presentano elementi degenerativi nelle realtà locali, ma questo è proprio il risultato dello scollamento, della frattura e della mancanza di rappresentanza nel rapporto tra il gruppo nazionale e realtà politica e amministrativa dei territori. La questione ci rimanda di nuovo al tipo di partito che vogliamo costruire».
L’inchiesta su Castello ripropone il tema delle intercettazioni telefoniche. In questo periodo l’argomento è al centro del dibattito politico.
«Credo che questo strumento di indagine debba servire a completare e non a dare inizio all’inchiesta. Qualcuno mette in discussione la legittimità degli atti amministrativi? Che lo dica. Ci sono comportamenti di persone che da dentro l’amministrazione hanno condizionato le scelte del Comune? Sono convinto di no. Ci sono prove contrarie? Credo che se si rimane a livello di uso vergognoso di intercettazioni telefoniche è difficile fare un discorso».
Sullo sfondo ci sono le primarie per la scelta del suo successore e le polemiche per la sua decisione di disertare il consiglio comunale.
«È evidente che prima di tornare ci vuole un chiarimento politico (per domani è previsto un vertice a Palazzo Vecchio, ndr), che non può riguardare solo il presente, ma anche i problemi di coalizione e le scelte programmatiche future».
Sindaco, è sempre dell’idea di non prendere parte al consiglio comunale?
«Si solleva un problema che a mio motivo non ha motivo di essere. Perché prima di tornare in consiglio comunale è evidente che ci vuole un chiarimento politico».
Lei si riferisce ai suoi alleati?
«Esatto. Il chiarimento politico non può riguardare solo il presente, ma deve toccare anche i problemi di coalizione, di scelte politiche programmatiche del futuro. Io ho sempre pensato che si doveva costruire la prospettiva futura, partendo da quanto abbiamo fatto in questi nove anni e mezzo di governo della città, che considero positivo, come dimostrano i dati statistici su Firenze in rapporto alle altra città italiane».
Invece?
«Vedo che si è deciso di rovesciare la questione: siccome tutti pensano alla prospettiva futura promuovendo la demolizione della esperienza presente, senza una ragione reale, in rottura con quello che si è fatto in questi anni. Non è una questione personale, ma politica. Penso che sia un approccio sbagliato che rischia di avere conseguenze pesanti».
Lei chiama in causa il suo partito?
«Il Partito democratico dovrebbe riflettere su questo e agire di conseguenza. Il problema non è tanto il sostegno alla mia amministrazione, bensì di capacità di iniziativa politica, di risposta, di elaborazione propria, di reazione, anche di battaglia verso le opposizioni e dei gruppi di poteri, più o meno occulti, che si sono riattivati in vista della prossima campagna elettorale. Ecco io noto che da questo punto di vista il Pd fiorentino mi sembra piuttosto passivo, per non dire amorfo. Purtroppo devo constatare che anche a Firenze, come in altre parti d’Italia, si pone il problema su che tipo di partito abbiamo costruito, o stiamo costruendo».
La sua risposta qual è?
«Vogliamo fare un partito capace di esprimere una proposta programmatica forte, oppure, vogliamo fare un partito che sia soltanto una sommatoria di comitati elettorali. Credo che questa sia la prospettiva più rischiosa, ma credo anche che sia la situazione in cui ci troviamo in questo momento».
A Firenze il Pd è alle prese con le primarie. I problemi non mancano.
«Penso che sia assurdo andare con quattro candidati. A mio parere il Pd dovrebbe indicare un candidato, al massimo due, con una sorta di doppio turno. Il partito deve avere un sussulto di ragionevolezza: se si riunisce e discute il tempo per cambiare le cose non manca. Poi si parla di primarie di coalizione, ma non ho ancora capito esattamente quale è la coalizione, da chi è composta ma soprattutto in che rapporto sta questa prospettiva con quella attuale. Forse si vorrebbe che qualcuno tirasse la carretta fino in fondo».

il Riformista 8.1.09
Cretinismi di sinistra su Israele
di Peppino Calderola


L'occupazione della Palestina da parte di Israele è una brutale pratica coloniale. L'ideologia sionista, alla base della nascita dello Stato di Israele, è nata all'interno di una cultura europea che legittimava e praticava il colonialismo... Israele è l'ancella dell'imperialismo in Medio Oriente… (Israele è)… una società militarizzata e compattamente schierata a favore dei crimini di guerra». Sono le frasi principali di un articolo pubblicato ieri da "Liberazione" e firmato da Fabio Amati, responsabile esteri di Rifondazione comunista. È difficile commentarle. Il dramma è che le opinioni di questo Amati sono assai diffuse anche oltre Rifondazione comunista. Non mi scandalizza, anche se mi fa schifo, il giudizio su Israele. Vogliono distruggerla, almeno Amati ha il coraggio di dirlo. Ma è la protervia di definire Israele «una società militarizzata e compattamente schierata a favore dei crimini di guerra» che fa uscire la posizione di Amati dalla mostruosità politica per entrare nel cretinismo puro. In quella «società militarizzata» ognuno è libero di fare quel che crede, in quei paesi islamici che Amati ammira le donne sono segregate, gli omosessuali tormentati (tutti seguaci di Massimo Fagioli?), non si possono avere pensieri diversi da quelli previsti dalle autorità religiose. Diciamo la verità: c'è gente e c'è più di un partito a sinistra con cui non si può prendere neppure un caffè. Rottamare questa sinistra per rinascere. Serve una discarica per il post-comunismo.

Repubblica 8.1.09
"La Chiesa non escluda i preti gay" l'apertura del giornale dei vescovi
Il direttore di "Avvenire": dibattito costruttivo
Lo psichiatra Vittorino Andreoli: "L'omosessualità non è una malattia"
di Marco Politi


Smettere di considerare l´omosessualità come una malattia. Lo scrive su "Avvenire" lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli, invitando i lettori cattolici a fare i conti con l´evoluzione culturale e scientifica e a capire che l´omosessualità non risponde più a vecchi stereotipi. Ma Andreoli va anche più in là. Pur sottolineando di non entrare minimamente nella questione del diritto della Chiesa di selezionare il clero secondo propri criteri, lo psichiatra mette nero su bianco: «Questo lascia aperta la questione sul perché debbano essere per forza oggi escluse dalla vita sacerdotale le persone di orientamento omosessuale».
Andreoli sta svolgendo sul giornale dei vescovi un´inchiesta sui preti che ha già raggiunto le quarantotto puntate. E l´articolo su «Il sacerdote nei casi estremi: l´omosessualità» è introdotto con tutti i crismi dal direttore Dino Boffo, che rende omaggio alla sua professionalità, spiegando che il suo argomentare «è affidato alla nostra riflessione libera e ad un dibattito costruttivo».
In effetti l´intervento cade come un sasso nello stagno, mentre da anni la gerarchia ecclesiastica batte sul tasto dell´omosessualità come peccato orribile da non assolvere se si vive stabilmente con un partner gay, come «grave disordine morale» e causa di non ammissione all´ordinazione secondo quanto ribadito recentemente da un´Istruzione vaticana.
Leggere sull´ "Avvenire" che sul piano scientifico «le manifestazioni e i comportamenti che scaturiscono dall´omosessualità non sono patologie, ma variabili all´interno di quella che si chiama normalità, pur se questa è difficile da definire», è un piccolo terremoto. Un «fatto importante» dicono a "Repubblica" tre persone di orientamento del tutto differente: il professor Tonino Cantelmi, presidente dell´Associazione psicologi e psichiatri cattolici, Franco Grillini già presidente dell´Arcigay, Gianni Geraci del gruppo omosessuale cattolico milanese «Il Guado».
Per il professor Cantelmi affrontare il tema «è positivo». Fermo restando che tocca alla Chiesa l´aspetto morale e spirituale, Cantelmi sottolinea da psichiatra cattolico che «noi ci adeguiamo ai convincimenti della comunità scientifica e comunque la scelta dell´ "Avvenire" dimostra che la Chiesa non ha un atteggiamento discriminatorio verso i gay». Più colorito Grillini: «È bene che nella tana del lupo (l´ "Avvenire") si leggano cose di buon senso. In America un dirigente dell´associazione Exodus, che organizzava corsi di pseudoguarigione dall´omosessualità, ha dovuto chiedere scusa all´opinione pubblica gay».
Gianni Geraci, che per anni ha animato il coordinamento dei gay cattolici italiani, trova «interessantissimo» che sul giornale dei vescovi si manifesti attenzione a «discorsi scientificamente fondati», respingendo la tendenza di certi movimenti carismatici a voler guarire gli omosessuali.
Andreoli preannuncia un approfondimento. Il suo approccio iniziale è stato estremamente soft. Parla di «orientamento omosessuale» e non di pratica. Ribadisce: «Non mi scandalizzo se un´organizzazione come la Chiesa decide di escludere dal sacerdozio ministeriale l´omosessuale». Ma le sue conclusioni lasciano il segno. Ai sacerdoti scopertisi omosessuali e che soffrono per restare fedeli alla loro vocazione (in castità) «vorrei dire � io non credente � di rivolgersi a Dio e chiedergli l´aiuto che anche questa caratteristica diventi una ricchezza al servizio della missione».

Repubblica 8.1.09
Intervista a Gustavo Zagrebelsky
Le libertà oggi a rischio
di Simonetta Fiori


Professor Gustavo Zagrebelsky, qual è l´insegnamento essenziale che viene dalla lezione pubblicata in questa pagina?
«Si può notare quanto questo testo sia lontano dal cliché che fa del professor Bobbio un teorico della democrazia esclusivamente formale, cioè della democrazia come insieme di regole procedurali. Senza queste regole, non c´è democrazia. Ma non è vero che la democrazia si esaurisca qui. Non bastano le istituzioni; occorre che le istituzioni siano "alimentate da saldi principi" e questi saldi principi sono l´humus della democrazia. Occorre dunque che le forme della democrazia operino in una sostanza democratica. Bobbio, in questo campo, era tutt´altro che un formalista. Avendo appreso la lezione dalla teoria e dalla storia, sapeva bene che, senza sostanza, la democrazia si trasforma in un guscio vuoto che può contenere, cercando magari di nasconderla o di imbellettarla, qualsiasi sozzura e che ciò, alla fine, si rivolgerà contro le sue regole formali, rendendole odiose ai più. Se le procedure democratiche si riducono a una scorciatoia per gli interessi dei potenti di turno, è facile che la frustrazione dei molti possa essere indirizzata contro la democrazia, invece che contro chi ne abusa. L´origine del populismo è questa».
Sta parlando di noi?
«Sto parlando, mi pare, di un rischio che la democrazia corre in quanto tale. Se poi oggi viviamo in condizioni particolari di pericolo, ciascuno giudichi da sé. Per dare un giudizio, questo testo suggerisce di non limitarci alle forme e di portare l´attenzione sulla sostanza. Bene o male, le forme ci sono o, se non ci sono, è perché, prima, si è persa di vista la sostanza».
Tre sono i punti essenziali indicati da Bobbio: libertà civili, libertà politiche, libertà sociali. Quali libertà sono oggi più "a rischio"?
«Questo testo parla una sola volta di uguaglianza, a proposito della libertà in politica: in democrazia non vi sono "governanti e governati per destinazione, potenti incontrollati e servi rassegnati". Ma l´uguaglianza è una condizione onnipervasiva della democrazia. Senza uguaglianza di mezzi materiali e intellettuali, la libertà cambia natura e la democrazia si trasforma in maschera dell´oligarchia, cioè del regime del privilegio di pochi, non necessariamente i migliori, a danno dei molti, non necessariamente i peggiori, ma certamente i più deboli. Cioè: la democrazia, che dovrebbe essere il regime che bandisce tra gli esseri umani l´uso della forza, si rovescia nel suo contrario, cioè nel regime basato sullo squilibrio della forza. Da qui può venire una risposta alla sua domanda. Mai come in questo momento della vita della nostra società constatiamo tanta iniquità nella distribuzione dei beni materiali, delle conoscenze e delle risorse intellettuali. La critica antidemocratica ha sempre sottolineato il rischio della massificazione, dell´appiattimento verso il basso. Ma qui, ora, si prefigura un incubo diverso: il gregge esposto e ignaro, guidato da pochi pastori, cioè da gente che - come diceva Trasimaco - solo l´ingenuo Socrate poteva credere avesse a cuore il bene delle sue pecore, piuttosto che il proprio interesse. Una politica per l´uguaglianza: ecco ciò di cui ci sarebbe bisogno e non si vede in giro, nemmeno a sinistra».
Di fronte all´involuzione in atto, suonano profetiche le parole di Bobbio che, all´ottimismo dei padri, oppone la necessità di essere "democratici in allarme". Non siamo stati abbastanza "in allarme"?
«Bisogna prendere sul serio quanto Bobbio stesso dice della democrazia. Dice che non è un dato di fatto, un "cammino fatale" che si possa percorrere con facile fiducia. No. La democrazia è una meta, anzi "la meta più alta", che richiede molto impegno e molte rinunce e non può vivere senza un ethos adeguato».
È ciò che manca oggi in Italia?
«Sì, abbiamo pensato che la democrazia sia un regime naturale, al quale tutti, purché non coartati da qualche dittatore, si sarebbero orientati spontaneamente. Ricorda il discorso di Montesquieu sulla "molla della politica"? La molla che fa funzionare il dispotismo, per esempio, è la paura; il potere dei privilegiati, l´invidia (finché dura e non si trasforma in rabbia). Per la democrazia, che è il regime di tutti, occorre una "virtù" particolare, fatta di serietà e sobrietà negli stili di vita, di stima reciproca, di spirito d´uguaglianza, di rifiuto del privilegio e rispetto del diritto, di cura per le cose pubbliche che, essendo di tutti, non possono essere preda di nessuno in particolare. Potrei continuare e sarebbe un elenco che ci farebbe venire i brividi, per quanto lontani siamo dall´avere consolidato quella molla ideale. L´atteggiamento etico che è stato diffuso dappertutto e con tutti i mezzi, in questi decenni, è l´esatto contrario di tutto ciò. E ci stupiamo se avvertiamo la democrazia scricchiolare?».
È questo l´effetto che le ha fatto leggere le parole di Bobbio?
«Sì. I nemici della democrazia sanno che la prima battaglia per combatterla si svolge nei convincimenti e negli stili di vita che essi promuovono. Gli amici della democrazia dovrebbero fare altrettanto, sul versante opposto».

Repubblica 8.1.09
Bobbio. L'edizione di tutte le opere convegni e mostre
di Massimo Novelli


Quando Norberto Bobbio venne sepolto nella tomba di famiglia di Rivalta Bormida, il 12 gennaio del 2004, uno dei figli volle leggere uno suo scritto. Il filosofo rinsaldava lì il suo legame con il borgo contadino, adagiato tra basse colline, vigneti e foschie, in cui era nata la madre Rosa Caviglia, e ricordava: «È bene mantenere le proprie radici» che «si hanno solo nel paese d´origine, nella terra, non nel cemento delle città». Così da quelle radici di Rivalta, un piccolo comune in provincia di Alessandria, domani pomeriggio, in coincidenza con il quinto anniversario della morte, cominciano con una cerimonia a Palazzo Bruni le celebrazioni per il centenario della nascita (avvenuta a Torino il 18 ottobre 1909) di uno dei testimoni e dei protagonisti più significativi della cultura del Novecento.
Sabato, nell´aula magna del rettorato dell´Università di Torino, dove Bobbio insegnò a lungo, insieme alla presentazione delle manifestazioni verrà rievocata la sua figura. Sono previsti interventi di Gastone Cottino, Enzo Pelizzetti, Paolo Garbarino, Marcello Gallo e Pietro Rossi. Il calendario delle iniziative promosse dal Comitato nazionale per il centenario, presieduto da Gastone Cottino e sorto per l´impegno del Centro studi Piero Gobetti, entrerà nel vivo tra aprile e ottobre, con punte nel 2010, attraverso seminari, lezioni, un convegno internazionale (al quale dovrebbe prendere parte il capo dello Stato Giorgio Napolitano), uno spettacolo teatrale, una mostra all´Archivio di Stato di Torino e il completamento dell´edizione critica integrale delle sue opere.
Altri appuntamenti sono in programma in Brasile, in Messico e in Spagna. Spiega Marco Revelli, vicepresidente del Centro Gobetti: «Saranno celebrazioni sobrie, nello spirito di Bobbio. L´intento è di lasciare qualcosa di concreto, non di creare degli "eventi" effimeri». Quelle cose concrete di cui si occupava Bobbio, ultimo grande rappresentante dell´"Italia civile". Ne incarnò i principi tanto da diventare per tanti l´estremo maestro, malgrado la sua ritrosia.
Bobbio era nato nel 1909, lo stesso anno di Alessandro Galante Garrone e di Leone Ginzburg, che con lui - chi fino in fondo come il "mite giacobino", chi fino alla precoce morte come Ginzburg - percorsero gli impervi e drammatici cammini del secolo scorso. Il centenario sarà l´occasione per riflettere sulla generazione di intellettuali che animò l´antifascismo e la breve eppure fondamentale e sempre viva stagione dell´azionismo. Non a caso il convegno di ottobre porta un titolo eloquente: "Dal Novecento al Duemila. Il futuro di Bobbio".

Repubblica 8.1.09
Se vengono meno i principi della democrazia
di Norberto Bobbio


In un articolo scritto nel 1958, l´apprensione per la sorte dei principi conquistati dopo il fascismo e la sottolineatura di ciò a cui non si dovrà mai rinunciare, le libertà civili, politiche e sociali
Oggi non crediamo, come credevano i liberali e i socialisti del primo Novecento, che il cammino democratico sia inesorabile
Bisogna essere sempre vigilanti, non rassegnarsi, ma neppure abbandonarsi alle sorti fatalmente progressive dell´umanità

Questo testo comparve nel 1958 su "Risorgimento" che, in occasione del primo decennale della Costituzione, aveva promosso un´inchiesta. Venne poi pubblicato, nello stesso anno, sul bollettino dell´Ateneo di Torino.

Quando parliamo di democrazia, non ci riferiamo soltanto a un insieme di istituzioni, ma indichiamo anche una generale concezione della vita. Nella democrazia siamo impegnati non soltanto come cittadini aventi certi diritti e certi doveri, ma anche come uomini che debbono ispirarsi a un certo modo di vivere e di comportarsi con se stessi e con gli altri.
Come regime politico la democrazia moderna è fondata sul riconoscimento e la garanzia della libertà sotto tre aspetti fondamentali: la libertà civile, la libertà politica e la libertà sociale. Per libertà civile s´intende la facoltà, attribuita ad ogni cittadino, di fare scelte personali senza ingerenza da parte dei pubblici poteri, in quei campi della vita spirituale ed economica, entro i quali si spiega, si esprime, si rafforza la personalità di ciascuno. Attraverso la libertà politica, che è il diritto di partecipare direttamente o indirettamente alla formazione delle leggi, viene riconosciuto al cittadino il potere di contribuire alle scelte politiche che determinano l´orientamento del governo, e di discutere e magari di modificare le scelte politiche fatte da altri, in modo che il potere politico perda il carattere odioso di oppressione dall´alto. Inoltre, oggi siamo convinti che libertà civile e libertà politica siano nomi vani qualora non vengano integrate dalla libertà sociale, che sola può dare al cittadino un potere effettivo e non solo astratto o formale, e gli consente di soddisfare i propri bisogni fondamentali e di sviluppare le proprie capacità naturali.
Queste tre libertà sono l´espressione di una compiuta concezione della vita e della storia, della più alta e umanamente più ricca concezione della vita e della storia che gli uomini abbiano creato nel corso dei secoli. Dietro la libertà civile c´è il riconoscimento dell´uomo come persona, e quindi il principio che società giusta è soltanto quella in cui il potere dello stato ha dei limiti ben stabiliti e invalicabili, e ogni abuso di potere può essere legittimamente, cioè con mezzi giuridici, respinto, e vi domina lo spirito del dialogo, il metodo della persuasione contro ogni forma di dogmatismo delle idee, di fanatismo, di oppressione spirituale, di violenza fisica e morale. Dietro la libertà politica c´è l´idea della fondamentale eguaglianza degli uomini di fronte al potere politico, il principio che dinanzi al compito di governare, essenziale per la sopravvivenza stessa e per lo sviluppo della società umana, non vi sono eletti e reprobi, governanti e governati per destinazione, potenti incontrollati e servi rassegnati, classi inferiori e classi superiori, ma tutti possono essere, a volta a volta, governanti o governati, e gli uni e gli altri si avvicendano secondo gli eventi, gli interessi, le ideologie. Infine, dietro la libertà sociale c´è il principio, tardi e faticosamente apparso, ma non più rifiutabile, che gli uomini contano, devono contare, non per quello che hanno, ma per quello che fanno, e il lavoro, non la proprietà, il contributo effettivo che ciascuno può dare secondo le proprie capacità allo sviluppo sociale, e non il possesso che ciascuno detiene senza merito o in misura non proporzionata al merito, costituisce la dignità civile dell´uomo in società.
Una democrazia ha bisogno, certo, di istituzioni adatte, ma non vive se queste istituzioni non sono alimentate da saldi principi. Là dove i principi che hanno ispirato le istituzioni perdono vigore negli animi, anche le istituzioni decadono, diventano, prima, vuoti scheletri, e rischiano poi al primo urto di finire in polvere. Se oggi c´è un problema della democrazia in Italia, è più un problema di principi che di istituzioni. A dieci anni dalla promulgazione della costituzione possiamo dire che le principali istituzioni per il funzionamento di uno stato democratico esistono. Ma possiamo dire con altrettanta sicurezza che i principi delle democrazia siano diventati parte viva del nostro costume? Non posso non esprime su questo punto qualche apprensione.
Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell´umanità. Oggi non crediamo, come credevano i liberali, i democratici, i socialisti al principio del secolo, che la democrazia sia un cammino fatale. Io appartengo alla generazione che ha appreso dalla Resistenza europea qual somma di sofferenze sia stata necessaria per restituire l´Europa alla vita civile. La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme.

Repubblica 8.1.09
Un libro provocatorio dello svedese Wijkmark
Quando la morte diventa utile
di Franco Marcoaldi


Una questione terrificante: le società di massa dovranno quantificare anche le morti di cui hanno bisogno per far tornare i propri conti

Se nelle società contemporanee, democratiche e di massa, tutto finisce per soggiacere a un´ideologia angustamente utilitarista, è inevitabile che a un certo punto quel "tutto" includa anche il problema della morte. Per essere ancora più chiari; il consorzio sociale dovrà giungere alla quantificazione precisa delle morti di cui ha bisogno per far tornare i propri conti, sì che "giusta" risulti la proporzione tra la percentuale della popolazione produttiva e quella che non lo è (vecchi, malati cronici, minorati mentali). Pena l´affondamento economico del paese.
In estrema sintesi, è questa la terrificante questione messa a tema dallo scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark ne La morte moderna (traduzione di Carmen Giorgetti Cima, postfazione di Claudio Magris, Iperborea, pagg. 119, euro 11). L´autore, per rendere più efficace il tratto indubitabilmente provocatorio della sua opera, sceglie la strada del "teatro", del "dramma". E a tal fine ci invita a partecipare a un ipotetico simposio a porte chiuse su «La fase terminale della vita umana», organizzato dal FATER, un comitato interno del Ministero degli Affari Sociali svedese, a cui partecipano esperti in campo sociologico e teologico, filosofico e biologico.
Il direttore Bert Persson espone con flautata brutalità i termini della questione: «La piramide demografica ha attualmente la forma di un sigaro, ma se tutto continuerà a procedere come ha fatto finora, rischia di passare rapidamente a quella di un fungo. I bambini di cui ci privano gli aborti, ce li ritroviamo moltiplicati per tre sotto forma di anziani improduttivi al vertice della piramide. Uno svedese su quattro è in pensione di anzianità, e uno su otto in età produttiva è in pensionamento anticipato. Il settantacinque per cento dei costi della Sanità va alla cura di malati cronici o senza speranza, in un settore in cui il tetto è stato raggiunto e sfondato da più di quindici anni».
I politici, naturalmente, tacciono: perché i voti dei pensionati fanno gola a tutti. Ma se ben indirizzati, saranno proprio i vecchi e i pensionati a capire - presto o tardi - che c´è un momento in cui bisogna farla finita. E proponendo la stessa data per tutti si arriverà, democraticamente, alla formula dell´«obbligo volontario». Il che consentirà finalmente di ridurre i problemi dell´assistenza medica e di evitare scelte arbitrarie su chi e perché e come salvare nella massa sempre più esorbitante di infartuati o di malati in dialisi. Se poi si riuscisse, argomentano ancora gli uomini del FATER, a superare la riluttanza dei familiari nel cedere alla comunità i corpi senza vita delle persone care, si potrebbero mettere in atto anche delle grandi «stazioni terminali» per il riciclaggio dei cadaveri, con impensati benefici per lo sviluppo (anche in termini occupazionali) dell´industria farmaceutica e dei concimi.
A ben vedere, conclude il moderatore, questa idea «non implica in qualche modo la realizzazione di uno dei sogni più antichi dell´umanità: la definitiva integrazione sociale della morte? Dall´altra parte del confine non ci attendono più potenze ignote, ma un ulteriore contributo alla comunità in cui siamo vissuti (...) Questa morte asettica e inodore nella cella frigofera della stazione terminale - non è forse la morte moderna nel vero senso della parola? E tutti seguiamo lo stesso cammino, non alcuni nelle fiamme e altri nella terra. Macinati, ridotti in polvere fine, saremo sparsi su vasti campi della società e le daremo nutrimento».
L´unica voce dissonante in questo agghiacciante consesso di pianificazione mortale democratica è rappresentata da Rönning, lo scrittore che incarna i valori non negoziabili della vita umana.
Le sue parole, improntate a un senso compassionevole di umanità e giustizia, portano ovviamente il lettore tutto dalla sua parte. Ma ha ragione Magris nel sottolineare l´oggettiva debolezza di quelle nobili parole. Una volta infatti che l´idea di «utilità collettiva» impone precisi tempi sociali anche alla morte (negando in tal modo la stessa, eventuale scelta individuale dell´eutanasia), il richiamo al valore irriducibile di ogni singola vita e di ogni singola morte, fatica a sostenere il confronto con chi si appella a una presunta razionalità egualitaria di ordine meramente quantitativo.
L´abilità di Wijkmark sta esattamente in questo: nella capacità di inscenare un irresolubile dramma incardinato in uno scenario futuribile (ma nient´affatto improbabile), dove un delirante imperativo economico, applicato a una perversa idea di controllo democratico che si impone anche nel passaggio ultimo dell´esistenza, finisce per azzittire quel che resta della tradizione umanista. «Come mi disse una volta un vecchio in un reparto di lunga degenza», commenta compiaciuto uno dei partecipanti al simposio. «Nasciamo tutti alla stessa età, perché non dovremmo morire alla stessa età?».

Corriere della sera 8.1.09
La riforma dell'università alla Camera
Passa la fiducia, oggi il voto finale


ROMA — Via libera al decreto Gelmini sull'università. la Camera ha votato la fiducia, la nona del governo Berlusconi, con 302 sì e 228 no e due astenuti. Oggi il voto finale sul decreto, che doveva essere convertito, pena decadenza, entro il 9 gennaio. Con questa legge il ministro Mariastella Gelmini intende rendere più trasparente la gestione delle università, combattere le «baronie» e favorire il rientro dei cervelli. Per il reclutamento di professori e ricercatori universitari saranno formate commissioni tramite il sorteggio degli esaminatori, riducendo a uno il numero dei docenti nominati dalle facoltà. Inoltre i docenti dovranno dimostrare di avere fatto ricerca scientifica, attraverso l'anagrafe nazionale delle pubblicazioni. Ci sarà il blocco delle assunzioni per le sole università con una spesa per il personale troppo elevata, ma per favorire l'assunzione dei giovani ricercatori il turn over sarà innalzato al 50% In più, per attirare i migliori, le università potranno procedere alla copertura di posti attraverso la chiamata diretta di studiosi «stabilmente impegnati all'estero» o «di chiara fama». . Aumenteranno anche i finanziamenti alle Università migliori sulla base dei criteri dell'offerta formativa, della qualità della ricerca scientifica, e di qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche. Infine, più borse di studio e 65 milioni di euro per la realizzazione di nuove residenze universitari. Per gli studenti universitari si tratta di un «altro giorno triste, con il destino dell'università deciso in modo autoritario e senza discussione».
Il voto è stato caratterizzato dal maltempo. La neve al Centro-Nord, con le conseguenti difficoltà incontrate dai deputati delle regioni settentrionali per raggiungere Roma, ha destato nella maggioranza la preoccupazione di non avere i numeri in Aula. Da qui la decisione, assunta dal presidente della Camera Gianfranco Fini una volta sentiti tutti i gruppi parlamentari, di far slittare di due ore la votazione. Una scelta, questa che però non sarebbe stata digerita inizialmente tanto di buon grado sia dall'Idv sia dal Pd.

Repubblica 8.1.09
Allevi e il concerto delle polemiche
risponde Corrado Augias


Caro Augias, mi lasci tornare sull'imbarazzante episodio verificatosi in Senato per il concerto delle festività di fine anno. Un Senato e un presidente della Repubblica posti ad ascoltare un'orchestra diretta da chi palesemente non sapeva dirigere, oltre ad essere un mediocre pianista che esegue proprie musiche che non saprei se qualificare da piano-bar o da che cosa, il tutto reclamizzato come rivoluzione nella musica contemporanea. Mi pare faccia pari con due secoli di lotte sociali serie e talvolta tragiche sfociate ultimamente nel trionfo di Luxuria all'Isola dei Famosi. Di sciocchezze se ne sono dette da Adamo in poi, soltanto non esisteva il megafono dei "media": dunque sarebbe auspicabile un po' di cautela prima di spararle pubblicamente. Aggiungerei che con queste marmellate in cui tutto si equivale non ci dovremmo stupire se tanta gente non sappia più stare al mondo, e si comporta di conseguenza. Ci apprestiamo a festeggiare l'Unità d'Italia: spero che il collante che ci unisce non stia diventando l'idiozia. "L'Italia s'è desta" oppure "l'Italia sede e sta?".

Cesare Mazzonis Direttore Artistico dell'Orchestra Nazionale Rai

I l concerto tenuto in Senato dal giovane pianista compositore Giovanni Allevi (Ascoli Piceno, 1969) ha suscitato un vivace dibattito come testimonia la lettera del prof Mazzonis che è stato tra l'altro direttore artistico del Teatro alla Scala e del Maggio Musicale Fiorentino. Chi sia Allevi chiunque può vedere e sentire andando su You Tube. E' un quarantenne di talento, dotato di un forte senso dello spettacolo (a cominciare dalla capigliatura alla Lucio Battisti-Angela Davis), affermatosi grazie a doti naturali e all'aiuto di un'abile operazione di marketing. E' diplomato a pieni voti in conservatorio, laureato in Filosofia. In Senato ha eseguito e/o diretto sette brani (con l'orchestra "I virtuosi italiani"), cinque a sua firma, due di Puccini. Alcune sue musiche sono state scelte per spot pubblicitari, insomma Allevi si presenta come un tipico prodotto ben riuscito. Compone infatti mescolando spunti classici a modi jazz, con un risultato gradevole che il sito svizzero "Schwingende Klangwelt", che ne vende i Cd ha definito: «melodie ben fatte, perfette come rilassante passatempo serale, senza essere noiose». Criticato con notevole durezza dal violinista Uto Ughi su 'La Stampa', Allevi ha risposto reclamando a se stesso il compito di animare una nuova musica colta contemporanea. Ho simpatia per Allevi e proprio per questo lo esorterei alla calma. Il nostro mondo musicale è asfittico, i concerti sono frequentati da persone in età diciamo così 'matura'. La funzione di un Allevi può essere preziosa a condizione che non perda la testa e tralasci confronti troppo impegnativi. Quanto al Senato, farebbe piacere vedere di tanto in tanto qualche padre coscritto in una sala da concerto, a cominciare dal presidente di quell'assemblea. Servirebbe a dargli una più corretta visione dei valori musicali.

l’Unità 8.1.09
Futurismo, un’avanguardia esplosiva giovane di cent’anni
di Giovanna Trento


Tra i tanti anniversari che questo 2009 ospiterà ci sarà anche il centenario del «Manifesto del Futurismo», pubblicato sul «Figaro» nel 1909. Parigi lo celebra con una mostra che approderà in febbraio a Roma
Nel 2009 ricorrerà il centenario della pubblicazione del manifesto futurista, redatto da Marinetti e apparso il 20 febbraio 1909 sulla prima pagina del quotidiano francese Le Figaro. Aprendo la strada alle iniziative previste in Europa per ricordare e ripensare la prima avanguardia europea del XX secolo, il centro Pompidou propone fino al 26 gennaio a Parigi - città che vide ai tempi l’uscita del manifesto - una mostra dedicata al Futurismo italiano, ponendo l’accento sui rapporti che questo intrattenne all’epoca con la scena artistica francese ed europea e sulle mutue influenze che ne derivarono.
UN SOLITARIO LUNA PARK
Le Futurisme à Paris. Une avant-garde explosive è un’esposizione a cura di Didier Ottinger, in collaborazione con le Scuderie del Quirinale e la Tate Modern di Londra. In catalogo saggi, fra gli altri, di Giovanni Lista ed Ester Coen. Sebbene il sottotitolo della mostra («un’avanguardia esplosiva») lasci presagire un recupero delle atmosfere chiassose e anarcoidi che caratterizzavano le prime avanguardie europee, la veste espositiva è alquanto composta e ordinata. Prima di intraprendere il nostro percorso attraverso spaziosi e quieti corridoi - ben diversi da quelli sovraccarichi della mostra Traces du Sacré, da non molto conclusasi nel medesimo museo parigino - la scelta museografica ci propone una sosta di fronte al solitario Luna Park a Parigi, dipinto da Giacomo Balla nel 1900 con un impianto ancora prettamente divisionista. Purtroppo poi la presenza di Balla in mostra è scarsissima, e mi domando come tale carenza sarà accolta a Roma, visto che l’esposizione si trasferirà alle Scuderie del Quirinale fra il febbraio e il maggio 2009, per poi spostarsi a Londra in estate.
Le Futurisme à Paris dà invece notevole rilievo a Carrà, Severini, Russolo e soprattutto alle immaginifiche ricostruzioni urbane di Umberto Boccioni, autore molto quotato all’estero, in particolare negli Stati Uniti (vari pezzi provengono dal MOMA di New York, come il travolgente La città che sale).
La mostra parigina include numerose opere - forse troppe, dato il tema - di Picasso, Braque, Léger. La prepotente presenza cubista in una mostra ispirata al Futurismo italiano è dovuta sia al fatto che il suo curatore intende leggere oggi il Futurismo in una prospettiva globale e internazionale, sia al fatto che - eccetto Félix Del Marle e il suo Manifesto futurista contro Montmartre - in Francia il Futurismo non ebbe mai grande presa (nonostante la mostra itinerante di pittura futurista, tenutasi a Parigi nel 1912, che l’attuale esposizione francese intende in parte ricostruire). Buona parte della mostra in corso al Pompidou sottolinea le dissonanze e i rapporti fra futurismo e cubismo, con opere di Duchamp, Kupka, Duchamp-Villon, Picabia e altri, sostenendo anche un legame forte fra il futurismo e l’orfismo di Delaunay. Ma il movimento di Marinetti, con la sua carica di estetizzazione della tecnica, ebbe vivace eco più a nord, come documentato ampiamente dall’esposizione del Pompidou che si sofferma su futurismo russo e vorticismo britannico, con opere, fra gli altri, di Gontcharova, Malevitch, Popova, Lewis, Bomberg e Nevinson. Si è inoltre voluto proiettare il movimento futurista nella contemporaneità, rendendogli omaggio con un’istallazione multimediale del 2008 del nordamericano Jeff Mills.
Incuriosiscono infine alcune pubblicazioni di allora. Innanzitutto, le prime pagine dei giornali (Le Figaro o La Gazzetta dell’Emilia) su cui rileggere il manifesto redatto da Marinetti, in una lingua ancora vivace e comunicativa, nonostante la provocatorietà dei toni aggressivi e maschilisti. Poi, alcuni esemplari di volumi d’epoca (non dimentichiamo che Marinetti fino al 1912 pubblicava le sue opere in francese prima che in italiano), fra cui Mafarka le Futuriste. Roman africain, la cui pubblicazione in Italia nel 1910 causò all’autore un processo per oltraggio al pudore che, come documentato in mostra da una divertente pagina del quotidiano francese Comœdia, si tramutò per Marinetti in un successo di critica e di pubblico, che lascia però aperti spinosi interrogativi sull’interventismo colonialista italiano, sulla sua retorica e sulle sue conseguenze nell’immaginario nazionale.

...sulla vicenda Liberazione
di Giovanni Perrino


Devo scrivere di quello che sta accadendo nella sinistra italiana, dopo la decisione, ancora da verificare, del gruppo dirigente di Rifondazione, che vuole sfiduciare il direttore del suo giornale, reo di aver determinato una linea editoriale sbagliata dal punto di vista politico e improduttiva da quello economico.

Devo parlarne perché dalla vicenda sembrerebbe emergere un nuovo quadro politico, e la coseguente accelerazione del processo di disgregamento di Rifondazione e di costituzione di un alternativo soggetto della sinistra alla sinistra del PD, le cui sorti strategiche ed elettorali dipenderebbero, ad oggi, per la verità, più dalla crisi di quest'ultimo che da un'autonoma progettazione in grado di provocare una qualche concreta innovazione.

Devo uscire allo scoperto e esprimere la mia opinione, di solito malcelata nelle pieghe di un politicismo tutt'altro che comodo, ma interno alle vicende schizofreniche della politica italiana degli ultimi quindici anni. Perché di mezzo c'è Fagioli, il mio enorme debito contratto con le sue teorie, uniche portatrici sane di una diversa filosofia occidentale, e Bertinotti, l'ultimo leader dell'unica sinistra novecentesca che mi piace, quella libertaria e socialista. Protagonisti entrambi non solo e non tanto del loro tempo, ma del futuro, cosa possibile solo agli eretici.

Devo dire di Fagioli, di Bertinotti, della Sinistra. Anche se preferirei tacere, e strare tranquillo al coperto, lontano dallo tsunami che sta spazzando via le fragili baracche delle vecchie ideologie e delle logore e corrotte pratiche della democrazia italiana, eccezion fatta ovviamente per i berluscones e i dipietros, che con la democrazia non c'entrano niente. Invece dovrei stare fermo e aspettare che il cadavere del mio nemico mi passi accanto senza che abbia fatto nulla per ucciderlo. Senza nemmeno sporcarmi le mani. Già! Ma di mezzo c'è Fagioli, e Bertinotti e la Sinistra, e allora la mia razionalità se ne va a puttane.

Allora intervengo, per spiegare il mio punto di vista: quello che la mia storia e la mia scelta politica mi impone, quello che il mio tempo ha perso sotto la scure di un pratico e affaristico relativismo, contrario alle idee, alla cultura, alla Storia; quello che nel Medioevo presente non ha diritto di cittadinanza tanto come in quello passato; quello che si chiama laicità, tolleranza, rispetto per l'altro, ma che si dovrebbe chiamare soltanto politica, e dovrebbe creare la possibilità della trasformazione sociale, e dovrebbe conoscere la verità del cambiamento.

Ecco cosa manca in questa vicenda, ancora una volta: la Politica.