martedì 10 febbraio 2009

Il Giornale 2.1.09
Compagni, ma è meglio trash o snob?
di Paolo Guzzanti


Regolamento dei conti nella sinistra. «Liberazione» insorge contro l’annunciato acquisto del quotidiano che potrebbe finire nelle mani di Luca Bonaccorsi, noto seguace di Massimo Fagioli. «Rifondazione ha bisogno di uno psicanalista, Liberazione no», si ribellano i dissacranti redattori in difesa del direttore. Anche gli angeli mangiano fagioli. Ma i comunisti no.

Come volevasi dimostrare. I nostri disperati appelli a Veltroni affinché costruisca una sinistra anziché un baraccone di umori e malumori, acquistano maggior peso grazie allo scontro fra lo psicoanalista Massimo Fagioli, comunista, e la redazione del quotidiano Liberazione, comunista ma - come si diceva trent’anni fa, fricchettone, cioè del genere di new left da anni Sessanta: un gran pieno di gay, letteratura popolaresca trash, robaccia di qualsiasi fattura e sapore e colore, purché in grado di dragare, acchiappare, alimentare un pubblico giovanile e autoreferente (cioè che vede soltanto quello che sa e sa quello che vede, in televisione), attaccato con il cordone ombelicale all’isola dei famosi e puttanate del genere, che oggi costituiscono il massimo comun denominatore del popolaresco.
Dice Fagioli: ci avete rotto le scatole con questo festival omosessuale (e subito arriva l’apriti cielo delle organizzazioni gay maschili e lesbiche), con questa tossicodipendenza televisiva, con questo rincorrere il peggio del peggio dell’immaginario collettivo mutuato dal peggio del peggio della televisione, parola più, parola meno.
Risponde Liberazione strappandosi i capelli: ma come!, noi siamo i giovani, noi abbiamo dato emozioni, noi abbiamo dato spazio a ciò che è realmente parte della realtà italiana e a noi ci hanno strarotto le scatole gli atteggiamenti snob degli intellettuali comunisti organici di una volta, che oggi riemergono con Fagioli, i quali vorrebbero mettere le mutande - metaforicamente parlando - alle statue. Fagioli sostiene di non poterne più di Vladimir Luxuria e del luxurismo smutandato e sguaiato, quelli rispondono dandogli del reazionario - una volta sarebbe partito l’insulto «togliattiano» - e così troviamo oggi la sinistra in stato di autosbranamento.
Dirò subito che, con tutte le riserve del caso, secondo me ha ragione Fagioli, ma al tempo stesso ha politicamente torto perché la piena del trash ha ormai invasato la sinistra italiana a causa del vuoto intellettuale pneumatico che essa esprime, e dunque è oggi veramente difficile chiudere la stalla dopo che i buoi del gramscismo se ne sono andati per altri pascoli.
Ma noi non ci mettiamo certamente a fare da arbitri in una tale diatriba e tuttavia non vogliamo rinunciare a leggere in questo conflitto fra Liberazione e Fagioli la radiografia del disastro della sinistra. Mi accusano spesso, alcuni lettori, di essere sempre di parte e attaccare comunque la sinistra italiana, il che è falso perché non faccio che ripetere che questo nostro disgraziato Paese dopo aver finalmente avuto una destra democratica di governo capace di raccogliere la maggioranza del consenso, non ha ancora una sinistra di pari sex appeal, ma anzi ha una sinistra che sembra che lo faccia apposta a disgustare il ceto medio dai cui orientamenti dipende ogni possibilità di vittoria.
Liberazione però esprime il nuovo che arretra, o il vecchissimo che avanza, perché si illude di recuperare consensi puntando sul trash, sul giovanile «sporco», su miti demenziali, su messaggi faciloni e mentecatti, su tutto ciò che è minimo, povero, popolare, diffuso, non importa quanto rozzo, immediato e privo di contatto con l’elaborazione di una politica e di una cultura.
Fagioli però a nostro parere esprime una vecchia insofferenza, perfettamente giustificata, ma di per sé perdente e strategicamente sterile. Dire che Luxuria ha veramente, profondamente strarotto le scatole, è sacrosanto, ma al tempo stesso ci sembra che manchi il messaggio alternativo: allora? Allora questa sinistra senza idee, a rimorchio del camion dell’immondizia, questa sinistra-spazzatura, deliberatamente e orgogliosamente primitiva, paleolitica e fracassona, che altro diavolo può avere come sistema culturalmente referente? Che cosa hanno fatto gli intellettuali post comunisti oggi per la sinistra di oggi? Quali colpe ha la televisione su cui la sinistra italiana esercita un dominio tuttora potentissimo? Mancano la prospettiva e l’autocritica, e non spetta certo a noi colmare queste lacune.
Però, vogliamo salutare con piacere l’apertura di questo contenzioso che dovrebbe interessare anche i centri di produzione della cultura italiani tutti, anche quelli di ispirazione liberale del centrodestra che sono, per quanto vedo e capisco, scatole vuote ma sonore, carillon di motivi già morti. Di qui l’occasione, anche grazie all’intemerata di Fagioli e alla replica povera ma sincera di Liberazione, di aprire uno straccio di dibattito sullo stato della cultura popolare italiana. Io vivo molto, oltre che in Italia, in Francia e negli Stati Uniti e non voglio aprire adesso un altro contenzioso con un confronto disperato e impietoso. Diciamo che siamo all’età della pietra e chiudiamola qui. E francamente sarebbe ora che anche il nostro amico Sandro Bondi ministro della Cultura dicesse e facesse qualcosa di opportuno e appropriato, come sarebbe bene che facessero tutti i partiti ancora esistenti e persino quelli estinti ma che seguitano a prendere il foraggio del finanziamento pubblico e che dunque hanno ancora strutture e strumenti per generare politica e non soltanto consumare la cassa.

Radio Blu Roma 2 febbraio 1980
Intervista a Massimo Fagioli


Ore 14 e 44 minuti. In questo momento, con qualche minuto di ritardo, cominciamo l'atteso incontro con Massimo Fagioli. Una brevissima scheda di presentazione: Massimo Fagioli si è laureato a Roma in medicina, specializzatosi in neuropsichiatria, ha lavorato negli ospedali psichiatrici di Venezia e Padova e poi nella clinica di Binswanger a Zurigo. Dopo una lunga analisi personale e dieci anni di esperienza di analisi individuale, propose, nel '71, agli ambienti psicanalitici, un primo lavoro: "Istinto di morte e conoscenza" presto seguito da altri due, "La marionetta e il burattino", che è del '74 e "Psicoanalisi della nascita e castrazione umana" del '75. A causa della critica a Freud contenuta in questi libri, critica serratissima, l'autore è stato espulso dalla International Psycoanalitical Association. Nel '75, Massimo Fagioli ha cominciato a tenere, a Roma, dei seminari pubblici e gratuiti che, frequentati attualmente da moltissime persone, svolgono una vera e propria analisi collettiva fondata sulla teoria esposta nei libri. Intorno a questi seminari e ai libri si è aperto, in Italia, un dibattito le cui voci sono varie e articolate, la maggior parte di queste, come mi è risultato essendomi un minimo documentato prima di introdurre Massimo Fagioli in questa breve conversazione di "Radio Blu", dicevo, la maggior parte di questi interventi sono fortemente critici. Contengono delle accuse gravi e anche molto grevi, direi, nei confronti delle tematiche che Massimo Fagioli ha trattato nei suoi libri. La curiosità che a me da ciò è derivata di appurare cosa esiste al di là e al di sotto di queste accuse, deriva dal fatto che la maggior parte di questi interventi non hanno, a me almeno non hanno dato, l'impressione di possedere delle motivazioni teoriche plausibili. Si sono limitati, la maggior parte, ad una serie reiterata di attacchi violenti, ai limiti, alcuni, del turpiloquio, senza aver mai dato adito ad uno scandaglio effettivo della teoria di Massimo Fagioli, tant'è che il primo intervento di taglio scientifico che è stato pubblicato è del giugno del '79 e si tratta di "Le malie della strega" di Poggiali, pubblicato su "Psicoterapia e Scienze Umane". Da allora il silenzio, o meglio il vociferare multiforme di articoli e di pubblicazioni che Massimo Fagioli ha dovuto sopportare finora e che contro Massimo Fagioli lanciavano preliminarmente delle accuse: Massimo Fagioli è il padrone del discorso, cito tra l'altro il titolo di un articolo che è uscito qualche tempo fa sul "Messaggero", è il "demiurgo" il "guru", che accanto a sé, attorno a sé, fa nascere, fa sorgere questa selva, questa fungaia di persone disperate, alla ricerca di una parola risolutiva dei propri problemi e delle proprie complicazioni esistenziali. E' stato coniato anche un termine, un neologismo: la maggior parte di queste persone sono massimodipendenti, cioè sono intossicate tanto dalla presenza di Massimo Fagioli da essere incapaci, presumo che questo è l'intendimento linguistico sotteso a questo termine, da essere incapaci di liberarsi, non solo adesso, della presenza di Massimo Fagioli e quindi della terapia psicoanalitica che lui propone, ma indefinitamente da qui fino a chissà quando; cioè si propone, in pratica, un legame indefinito tra questi duemila, perché tanti ormai mi sembra che sono i giovani e meno giovani che seguono i seminari di Massimo Fagioli, e la sua persona. La persona di Massimo Fagioli è quella che abbiamo qui, appunto, fisicamente presente, negli studi di Radio Blu.
Domanda:
Chiederei a lui, prima di ogni altra cosa, se ritiene giusto il discorso fatto da qualche parte che nel momento in cui la situazione esistenziale dei giovani che vengono da una pratica politica sessantottesca e post-sessantottesca si scontra con l'impossibilità della realtà di essere manovrata e manipolata dagli schemi politici tradizionali, questo comporta un cosiddetto riflusso nell'individuale, nel personale, nel privato, che porta a sua volta, come conseguenza, la necessità di ricorrere alla terapia psicanalitica: cioè il rifuggire, in pratica, nella psicoanalisi è il riscontro di un fallimento dei tentativi d manovrare la realtà in termini politici. Esiste questa inconciliabilità o questo iato, questa frattura fra l'uno e l'altro settore della realtà? E' la prima domanda che io rivolgo a Massimo Fagioli.
Massimo Fagioli:
Che esista una possibilità di rendersi conto che c'è un'insufficienza, una inadeguatezza della risposta politica tradizionale alle molte domande che giovani e non giovani, come giustamente è stato detto, fanno - ma io penso hanno sempre fatto - eh, questo credo che sia assolutamente accettabile, ma perché e per come, dirlo adesso, immediatamente, forse non è opportuno. Credo che possiamo riferirci all'inizio della presentazione, cioè l'osservazione chiara che al di là degli insulti, degli epiteti, una critica documentata alla teoria non c'è mai stata. E parliamo ormai di nove anni, non è un fenomeno transitorio, di distrazione, ecc., è per ben nove anni. Ancora non c'è una critica documentata, e giustamente la prima comparsa è quella del luglio del '79, cui poi, questa volta, ho adeguatamente risposto. Alle altre cose ovviamente non rispondo. All'insulto per strada, al pomodoro marcio, io non rispondo. Questa è la ragione per cui io non rispondo mai al "Messaggero", non rispondo a quella che io chiamo una "ragazzuola", che è Stefania Rossini, perché richiedo che ci sia una base di serietà e di discussione: uno può fare tutte le critiche che vuole e me le deve fare, però su una base di serietà e di impostazione scientifica. Appunto, il discorso può partire proprio da questo: tutto si è mosso con il primo lavoro, con la teoria, potrebbe sembrare strano a una visione immediata, sarebbe una situazione di bisogno immediato di giovani e non giovani di essere aiutati a risolvere i propri problemi di angoscia, di impotenza, di depressione, di difficoltà varie personali che sono estremamente diffuse, come tutti sanno, però non si spiega perché, esistendo ufficialmente una psichiatria, un'analisi, una filosofia, una sociologia, seminari a non finire da tutte le parti, questo fenomeno non si sia mai verificato. Come non credo che possa essere presa in considerazione la mia presenza fisica, come particolare - dopo vediamo questa storia del guru - individuo fascinoso - non credo di essere fascinoso proprio per niente - per cui raccoglie tutte queste persone. E allora bisogna fare un'ipotesi di lavoro, che la gente è più attenta di quel che sembra in apparenza. Evidentemente bisogna dedurne o ipotizzare come ricerca, non la do come certezza scientifica, ma come ricerca sì, che quando c'è una comunicazione teorica o scientifica precisa la gente sta attenta e la sente. Il motivo per cui la gente è venuta ai seminari, è perché io ho scritto tre libri, è venuta con tutte le ambivalenze possibili e immaginabili, come sempre accade in qualsiasi situazione di analisi, normalissimo, però è venuta, ed è venuta, ripeto, di sua spontanea volontà, io non ho organizzato mai niente. Io, appunto, ero andato a Villa Massimo a fare una "privata" supervisione a una quindicina, una ventina di colleghi analisti. Vista la mia esperienza, un professore di Università ha detto: “vieni a fare qualche seminario di supervisione agli analisti, visto che tu sei stato in Svizzera, hai fatto questo, hai fatto quest'altro, ecc.”, e così si è svolto per la prima settimana. Dopo un po' di settimane la stanza si è cominciata a riempire. Da riempirsi la prima stanza ho dovuto fare un secondo, un quarto seminario e la stanza si è riempita sempre di più. Evidentemente questa è la conferma che esiste questa attenzione da parte delle persone nei riguardi dei messaggi scientifici, e allora, qui c'è qualcosa rispetto alla politica tradizionale, criticabile e non criticabile; ma criticare la situazione significa criticare queste centinaia e centinaia e migliaia di persone che vengono. Qui o è una situazione che ha una base, io dico sempre, di validità, più o meno criticabile, discutibile, come sempre si deve fare in qualsiasi proposizione scientifica, oppure, eh.. qui sono venuti fuori migliaia di matti che vengono non si sa bene da chi, non si sa bene dove. E allora cominciamo un po' con la teoria anche perché possiamo dedurre proprio da questo fenomeno del guru e del non guru che tocca la situazione, una situazione particolare, cioè una situazione della scoperta specifica, il discorso dell'istinto di morte. Il discorso è partito proprio con la denuncia dell'assenza dell'analista e l'assenza dell'analista significa l'assenza della psicoanalisi, di 70 anni di psicoanalisi, nonostante che si dichiarasse ufficialmente presente. E l'assenza che si dichiara ufficialmente presente, ma in verità non c'è, è la situazione più dannosa e più distruttiva che possa esistere. Meglio che non ci sia ufficialmente, perché è quella la situazione che inganna di più. Evidentemente queste cose le persone le percepiscono. C'è una domanda, io facevo esempi, ricavavo queste osservazioni come qualsiasi cittadino, di quella famosa manifestazione a Bologna, mi pare che sia del '77, del settembre del '77, in cui andarono 40-50 mila giovani che non chiedevano immediatamente un posto di lavoro, non era una manifestazione sindacale per l'aumento dello stipendio o per la disoccupazione. Allora, queste decine di migliaia di persone cosa chiedevano? Chiedevano risposte, l'avevano in particolare con l'Università e con una certa cultura dominante. Lasciando stare l'Università con tutto l'aspetto tecnico che ci può essere in ingegneria, architettura, sulla quale situazione io non intervengo minimamente, non posso intervenire, ma considerandola come situazione di formazione delle persone, di formazione dei giovani, e qui il discorso si potrebbe estendere molto, vediamo se in base alle domande possiamo estenderlo perché è molto ampio, ma io sono convinto che un cardine della cultura dominante è proprio il freudismo. Adesso non vorrei andare direttamente alle situazioni storico-culturali e magari anche politiche, magari, ripeto, ci possiamo arrivare più gradualmente, mettiamo a punto questa cosa qui: il guru va a negare proprio il cardine della scoperta analitica che è la cura dell'alienazione religiosa umana. E da qui parte la scoperta. La negazione più grossa, anche se più grossolana, è proprio questa. Se c'è un'impostazione in cui non si può parlare di religiosità è proprio questa, perché denuncia, innanzi tutto, prima di tutto, l'alienazione religiosa, la fabbrica di dei, in piccolo e in grande, quindi denuncia qualsiasi situazione di ruolo. Perché, gratta gratta, nella situazione di ruolo c'è l'alienazione religiosa e qui, certo, potrei raccontare tante cose di una metodologia di lavoro, come noi siamo riusciti a portare Hegel a livello nostro, a raccontarci che un certo Federico raccontava questo e questo, come se ce lo avesse raccontato un droghiere, un falegname, un amico: cioè la distruzione del ruolo, la distruzione dell'idealizzazione. Ciò che impedisce agli esseri umani di essere, di realizzarsi, di vedere, di capire e magari, appunto, di essere felici, è l'idealizzazione di alcuni cosiddetti maestri di scienza, di cultura che dominano completamente situazioni di secoli, direi, perché sono convinto che noi siamo ancora schiavi di un Hegel, della prima reazione repressiva alla rivoluzione francese. In quell'epoca successe una certa rivoluzione francese, la quale per prima rivendicava una certa realtà materiale, rispetto al medio evo in cui la realtà materiale umana era completamente annullata. Però, la rivendicazione della realtà materiale borghese è dissociata, è masturbatoria. E immediatamente c'è stata la reazione con un Hegel che diceva che la realtà materiale era negazione e quindi bisognava fare l'annullamento di questa negazione: cioè ripristinava la situazione del medio evo e del potere assoluto. E' risaputo che a questo Hegel si è opposto Marx, riuscendo a dare agli esseri umani un'altra proposizione di realtà materiale che è la realtà materiale del lavoro, l'attività della mano umana, la costruzione, non più la masturbazione, l'homo homini lupus, per cui si trattava di lasciar libero il più furbo, chi riusciva a fregare di più il prossimo, come accade nella situazione masturbatoria della società borghese. No! Si trattava di rivendicare quella realtà materiale che costruisse, che facesse lavorare le mani umane. A questa seconda realtà materiale rivendicata, si oppone proprio Freud, con una situazione particolarmente abile, nel senso di fare un lavoro di approfondimento della realtà umana, nel senso di studiare la realtà psichica che Marx aveva trascurato. Marx aveva idealizzato la realtà materiale, e noi lo sappiamo benissimo perché ci stiamo vivendo in pieno: è quella famosa formulazione che basta che siano risolti i rapporti di produzione, poi tutto il resto sarebbe caduto da solo, no? Noi, più bravi di Marx, in quanto abbiamo cent'anni di storia, sappiamo che non è affatto vero. I paesi dell'Est stanno in questa situazione, devono mantenere la situazione repressiva e, in particolare c'è quel fenomeno specifico, che possiamo utilizzare, della malattia mentale. Loro hanno una coerenza precisa: nel momento in cui abbiamo messo a posto tutte le cose non ci possono essere più malattie mentali, sofferenze psichiche. Perché? Perché secondo la teoria di Marx è così: risolte tutte le situazioni di sfruttamento fisico dell'uomo sull'uomo, l'uomo deve essere felice. Poi non è felice. E com'è sta faccenda? Ha un'alterazione organica del cervello, non ha una malattia psichica, preciso eh!, perché se avesse una malattia psichica verrebbe a crollare la coerenza del discorso. Ha un'alterazione organica, come dire che uno è andato a sbattere al muro, con la testa, si è rotto un po' il cervello, quindi da i numeri, dice cose strane; nulla da eccepire, difatti la psichiatria dell'Est si distingue per essere la più organicista possibile perché corrisponde a questo. Ora si tratterebbe di fare il passo avanti alla terza realtà materiale. E nella seconda metà dell'800 c'era questa prima proposizione di possibilità, che l'uomo, partendo dal marxismo, potesse ampliare, approfondire, sviluppare la scoperta e la rivendicazione di Marx, portarla a fondo in modo da farne una realizzazione umana la più completa possibile. E a questo, dicevo, invece si è opposto Freud. La formula che mi viene sempre chiesta è perché io parlo di serpente che si è accoppiato alla donna: Freud è il serpente, è il serpente che si accoppia a questa donna che, io dico, seppur vergine e frigida, è sempre una possibilità, in modo da stroncare qualsiasi possibilità che venisse fuori. I serpenti sono abilissimi, vedono subito le possibilità e cercano di stroncarle al loro nascere, perché sanno benissimo che nel momento in cui si siano sviluppate, siano diventate adulte, eh, è ben difficile distruggerle. E lì viene tutta la teoria freudiana. Adesso se vogliamo toccare i punti teorici specifici...
Domanda:
Mah, guarda, io direi questo, anche se, in pratica, implicitamente, hai già risposto alla domanda che io ti porrò, vorrei invece che tu la rendessi più esplicita. La domanda che io ti pongo è questa: finora la psicoanalisi, è stato detto, era uno strumento al servizio della borghesia, era uno strumento di potere, tu ventili invece la possibilità che la psicoanalisi sia uno strumento rivoluzionario. Vorrei che, il più esplicitamente possibile, tu rispondessi a questa mia domanda: in che termini può essere rivoluzionaria?
Massimo Fagioli:
Prima di tutto per lottare contro la situazione che e la più repressiva possibile perché, io dico sempre, non c'è situazione più repressiva del terrorismo psichico. La codificazione di un inconscio perverso, originariamente e fondamentalmente perverso, significa automaticamente che qualsiasi persona volesse riconquistare all'uomo la propria realtà psichica fa venire fuori mostri, assassini cannibali. E quindi, la cosiddetta psicoanalisi serve a fare in modo che questo cosiddetto inconscio, questa cosiddetta realtà psichica venga maggiormente controllata è possibilmente annullata completamente perché una volta scoperto che è la situazione più distruttiva possibile degli esseri umani, come dice il caro Freud, tutto il compito della società, della scienza, degli psicoanalisti, degli psichiatri, deve essere quello di imprigionare, controllare, possibilmente annullare questa realtà psichica. Viene di conseguenza: se l'inconscio è fondamentalmente e originariamente perverso, va ovviamente controllato e possibilmente eliminato, mi pare assolutamente ovvio. Quindi il freudismo è la situazione più repressiva possibile. Io dico, fa più il freudismo che un esercito di poliziotti, perché va a colpire proprio la situazione intima degli esseri umani, il terrorismo spicciolo di tutti i giorni per cui se una persona si azzarda a uscire di sera, a prendersi una libertà sessuale, anche se sfugge al pettegolezzo dei coinquilini o alla repressione dei genitori, poi non sfugge all'angoscia di aver fatto chissà quale delitto per questa ideologia dominante e poi, magari, dopo averlo fatto, gli viene una crisi depressiva e gli viene l'angoscia. Nel momento in cui invece si fa una scienza della realtà psichica per quello che è e quindi per un verso si riprende il discorso di Marx, criticandolo, rifiutando le cose che non vanno, prendendo le cose che vanno, s'imposta una dialettica. E' questo il cardine importante, l'analisi è dialettica, nel freudismo non esiste questo discorso: Freud si era completamente dimenticato, poverino, che era esistito un Socrate, che era esistito un Hegel, che era esistito un Marx che parlavano di dialettica per cui nella psicoanalisi la dialettica non esiste e invece è il cardine di ogni situazione di possibilità di cura, cioè il confronto transfertcontrotransfert. Allora, nel momento in cui si prende questo, si fa la dialettica contro l'istinto di morte, contro l'annullamento, contro tutte queste proposizioni ideologiche che accecano gli esseri umani, che impediscono agli esseri umani di vedere, di rendersi conto, di essere, di fare una ricerca perché non hanno l'inconscio assolutamente perverso. L'inconscio perverso è storicamente determinato, non è originario e naturale, allora emerge l'inconscio non perverso. E' questa l'importanza di Marx, precisa, prima bisogna combattere contro la società borghese, poi ci sarà un comunismo ideale, si, ma inutile che andiamo a masturbarci su un comunismo ideale, sarà quel che sarà, l'importante è la dialettica contro la società borghese. L'impostazione metodologica qui è esattissima, prima la dialettica contro l'istinto di morte e la castrazione umana, poi emerge la fantasia, la vitalità, il desiderio, la conoscenza, ecc., quindi è rivoluzionaria per questo...
Domanda:
Posso interromperti un attimo? Nei paesi a cosiddetto socialismo reale, questa liberazione dell'uomo nei suoi presupposti di bontà originaria, non mi sembra che si sia realizzata. Quale è stato l'ostacolo a che ciò si verificasse?
Massimo Fagioli:
Questo che sto dicendo. Seguendo pedissequamente Marx, ci si limita a una dialettica contro l'oppressione fisica, non contro l'oppressione ideologica. C'è quella formulazione di Marx, precisa, quando litigò con i giovani hegeliani, è lì che sbagliò Marx, portando tutto a livello della dialettica fisica, la critica delle armi, e alla sua realtà storica. E' quello che è: c’è una storia dell'800, c'è una rivoluzione russa, c'è una rivoluzione cinese, ci sono i movimenti vari di rivendicazione appunto del marxismo-leninismo, dall'Angola al Mozambico e così via dicendo, e sta bene, quella è una realtà storica che è andata in quel modo e nessuno può modificare la storia. Il guaio è quando noi ripetiamo la storia come se fossimo ancora a sessant'anni fa, a settant'anni fa. Bisogna ampliare il discorso del rapporto con la realtà umana, togliendoci questa idealizzazione della realtà materiale. Io credo che sia assolutamente notorio ormai che una situazione operaia che pure ha raggiunto una situazione di benessere fisico, di sufficienza, di soddisfazione dei bisogni, non è realizzata per niente. Qui c'è l'altro cardine scientifico preciso: l'uomo non è fatto soltanto di bisogni, l'uomo è fatto di esigenze. E' ovvio che deve soddisfare i bisogni sennò muore di fame e di freddo e quindi non si parla di psicoanalisi, ma appena completata la situazione della soddisfazione fondamentale dei bisogni, venti gradi di temperatura, quel certo tot numero di vestiti, quella casa ecc., passare immediatamente alla ricerca sulla vera realizzazione degli esseri umani che è rapporto interumano, è ricerca nell'ambito del rapporto interumano, è situazione di realizzazione nell'ambito di questo rapporto, è sessualità, non intesa come scarica e bisogno. In questo senso continua, approfondisce, supera la situazione della dialettica marxista specifica perché sennò è un guaio, è un guaio grosso perché si va a finire a mantenere una situazione di dialettica fisica e allora vengono fuori le critiche delle armi.
Domanda:
Ecco, passiamo ai casi di casa nostra. Il marxismo nostrano è stato finora accusato di rimuovere continuamente dal proprio ambito la tematica non già dei bisogni, ma delle esigenze, secondo, appunto la distinzione che tu mi hai testé proposto. Mi sembra però di poter vedere da qualche parte che uno spiraglio si sta aprendo all'interno dell'ortodossia marxista, nel modo con cui cioè alcuni temi vengono proposti, soprattutto alle nuove generazioni; intendo dire un recupero anche ufficiale di alcune tematiche come una diversa sessualità, come un diverso modo di proporre i rapporti interpersonali e intersessuali.
Massimo Fagioli:
Perfetto.
Domanda:
Una diversa quindi figura e ruolo che la donna può offrire e proporre di sé, nella realtà da costruire, voglio dire cioè che mi sembra che qualche cosa si stia muovendo anche nel nostro ambito specifico, nella nostra sinistra tradizionale in Italia.
Massimo Fagioli:
L'ho osservato anch'io e lo spero e spero che si muovano ancora di più in questa apertura. Soltanto che non basta il muoversi. Poi bisogna avere le risposte. Non basta suscitare speranze e desideri negli altri, poi bisogna avere una teoria e un metodo preciso per rispondere. Ormai io credo di poter dire di avere esperienza sufficiente, sto completando il quinto anno di analisi collettiva in cui ho rapporto appunto insieme a centinaia di persone e le persone vogliono risposte esatte, vogliono risposte precise, vogliono coerenza. Non è affatto vero che una qualsiasi persona si possa permettere contraddizioni incoerenze perché le persone` più o meno intuitivamente, più o meno di traverso, chiedono subito il rendiconto: tu hai fatto così e così, perché hai fatto così e così, mi devi rispondere. Se tu non rispondi con un discorso coerente, il rapporto si guasta, diventa più o meno sadomasochistico e poi si rompe.
Domanda:
Ecco mi sembra anche però che se è vero quello che tu dici, che cioè qualcosa si sta muovendo, cosa che appunto notavo e che tu hai tra l'altro a tua volta riscontrato, è vero anche che nella psicoanalisi cosiddetta di sinistra, se non c'è nei tuoi confronti l'avversione che da varie fonti pubblicistiche abbiamo già riscontrato esserci, non c'è comunque sicuramente nemmeno un appoggio, un avallo alle tue posizioni; c'è in ogni caso una frizione tra te e alcune posizioni ufficiali della psicoanalisi marxiana o di derivazione marxiana. Perché si pone questo, secondo te?
Massimo Fagioli:
C'è una frizione e, non so, da parte di certi ambienti politici credo che ci sia un cortese silenzio, diciamo così, ma è perché sanno benissimo che loro vogliono fare l'accoppiata Freud-Marx, vogliono fare l'accoppiata serpente-donna e sanno benissimo che io mi oppongo a questo perché non c'è niente di peggio per distruggere quella possibilità di cui parlavo prima che metterlo insieme a Freud. Ma come si fa a non fare dei discorsi minimamente coerenti? Il marxismo si batte per togliere qualsiasi situazione si sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma Freud lo codifica come normale. Ma come si fa a non sapere, non capire queste cose? Come si fa a non sapere che Freud scrive a chiare lettere che il marxismo è una pazzia di folli? L'ha scritto nel Disagio della civiltà, a chiare lettere! Perché non si legge un pochettino? E non è il Freud giovane, è il Freud del 1929 che dice a chiare lettere: "...i comunisti pensano che...", quindi non c'è modo di equivocare in nulla. Bene, io non intervengo, dice il Freud, sul discorso economico perché non mi spetta, però posso dire che la natura umana è così perversa che qualsiasi situazione per cui gli uomini si possono ritrovare tra di loro senza uccidersi reciprocamente è pura follia; ma dice anche qualcosa di più: la situazione per cui certe comunità si possono ritrovare insieme è soltanto a condizione che aggrediscano e distruggano altri. Questo è Sigmund Freud. Ho avuto modo di scrivere che questo è un passo che starebbe benissimo nel comizio di un gerarca fascista.

Il Messaggero 9.11.1977
Chi è il Padrone del Discorso?
di Ruggero Guarini


Questi gruppi di "analisi collettiva", e i molti altri analoghi spuntati un po’ dappertutto in Italia, sono un grosso fenomeno psico-politico un "sintomo collettivo" che bisognerebbe decifrare. Ma chi può farlo?

Il sociologo? Costui può offrirci soltanto degli strumenti empirici, utili per misurare le dimensione esterne del fenomeno ( diffusione di queste pratiche, composizione sociale dei gruppi, età media dei partecipanti, loro identità politica e così via ) ma insufficienti a definire il senso.

Il politico? il suo sguardo è troppo interessato. Nel migliore dei casi ,in questo fenomeno che lo prende di contropiede, egli si sforzerà di cogliere quegli elementi che gli sembreranno funzionali al suo "discorso " : se esprimerà consenso, vi avrà scorto la possibilità di riassorbirlo o di annetterselo; se emetterà un giudizio di condanna, vi avrà visto un segno per lui minaccioso, di fuga dalla politica.

Lo psicoanalista? I suoi strumenti teorici sono essenziali ma essendo egli stesso un frammento della "formazione sintomatica" che occorre decifrare, sarà troppo coinvolto nella cosa per poterne parlare col necessario distacco.

Limitiamoci dunque a porre tre elementari quesiti:

1) Un mucchio di circa duecento persone è ancora un gruppo psicoterapeutico? E se non è più questo che cosa è? Un circolo culturale? Un’associazione di mutuo soccorso? Un collettivo dedito a una nuova specie di "esercizi spirituali"?

2) Un individuo che a centinaia di pazienti riuniti intorno a lui distribuisce come noccioline manciate di interpretazioni di sogni lapsus deliri e fobie è davvero un analista"? E se non lo è, che diavolo sarà? Un pedagogo? Un confessore? Un leader?

3) Qual è il rapporto fra l’identità politica dei partecipanti (quasi tutti giovani della nuova sinistra) e questo loro "bisogno" di una pratica metapolitica ? Le due attività sono complementari (nel senso che l’analisi di gruppo, omogenea al "personale" e al "privato" compensa le lacune e colma i buchi lasciati aperti o prodotti dall’attività politica), o sono invece contraddittori, al punto che alla lunga una delle due pratiche sia destinata a prevalere sull’altra, magari fini a liquidarla? Detto con altre parole: questa dicotomia dello Psichico e del Politico si configura come una convivenza pacifica di domini separati o come un conflitto di dimensioni antitetiche?

Infine enunciamo qualcosa che è meno e più di un’ipotesi (è un'ovvia constatazione): oggi c’è in giro una grande domanda di Anima. Il risultato è certamente qualcosa di meno noioso della consueta Grande Chiacchiera politica, ma sarebbe ancora meglio se nelle pratiche generate da questa massiccia domanda non si riproducesse la solita dialettica dello Schiavo e del Padrone…

Insomma questi ragazzi dovrebbero un po’ interrogarsi su quelle nuove forme di "potere" che in questi loro gruppi si vanno articolando intorno a una figura che non cessa di porsi - in quanto interpretante e analizzante - come un nuovo Padrone del discorso.

Chi è questo nuovo Padrone? Un maestro di coscienza? Un genitore morale? Un altro padre politico?

Questo sarebbe il caso più derisorio: il Politico che rispunta, travestito da Psicomante, proprio nel luogo in cui il gregge, forse senza saperlo, progetta di abolirlo!
l’Unità 10.1.09
«Ha rotto l’incantesimo. La vita buona è solo quella consapevole»
di Maurizio Mori


Eluana ha rotto un incantesimo. Per questo il caso suscita tanto scalpore e sentimenti tanto forti. Ha rotto l’incantesimo della sacralità della vita. Quello secondo cui la vita è un mistero sempre nuovo e imprevedibile, è un dono sempre buono in sé e positivo. «Mistero» chiama sentimenti di venerazione e soprattutto di rispetto per i fini che vengono intravisti in filigrana indicanti una sorta di volontà della natura. «Dono» suppone la bontà di quanto ricevuto ed esige una reciprocità che impone rispetto assoluto per rendere grazie per la preziosità ricevuta.
Eluana ha mandato in frantumi la sfera di cristallo della sacralità. Oggi la vita non è più un mistero imprevedibile perché sappiamo che Eluana è in stato vegetativo permanente e non si risveglierà mai più. Ne abbiamo tutta la certezza che ci è dato di avere in base alle esperienze acquisite: da ultimo lo dimostra l’autopsia di Terri Schiavo il cui cervello è risultato essere distrutto nelle parti preposte alla sensazione e relazione. Solo i giornali impregnati di ideologie faziose continuano a dar credito a chi ripete che Terri sorrideva e capiva.
Dopo il caso Eluana la vita non è più sempre buona in sé. Già Piergiorgio Welby aveva sollevato il problema, quando diceva di non farcela più, che ormai era giunto per lui il tempo di andarsene. Ma la vita di Welby, pur travagliata e difficile, fino ad allora era stata ricca e grande. Ancor più che Welby, Eluana ci ha messo di fronte al fatto che la vita non è sempre un dono (buono e prezioso). La coscienza di Eluana era «out of action» (fuori gioco), i suoi centri sensitivi distrutti, la sua capacità simbolica e di parola dissolta per sempre. Se è vero che «la parola è il segno umano per eccellenza, l’espressione distintiva dell’umanità dell’uomo. L’uomo perviene alla propria umanità col giungere alla parola» (Monsignor Mariano Crociata, segretario della Cei, Avvenire 5 dicembre 2008), allora è solo uno slogan ripetere che lo stato vegetativo permanente è una «grave disabilità»: uno slogan per edulcorare una realtà ben diversa, per mascherare che la vita di Eluana è sprofondata nell’indifferenza, non è più né buona né cattiva. Forse per questo si dice che la sua è una «non-vita», termine per indicare una situazione inedita, mai vista prima nella storia.
La sfera di cristallo della sacralità attraverso cui guardavamo il mondo ci faceva vedere la vita come buona in sé. Invece, Eluana ci ha mostrato che buona non è la «vita in sé», ma la «vita buona», ossia la vita con contenuti buoni. Non sempre la vita è buona: per Eluana, a un certo punto, non lo più stata. E la consapevolezza di questo è diventata pubblica, ufficiale. Beppino è un eroe civile perché con la sua tenacia ha rotto l’incantesimo pubblicamente, per tutti. Prima molti (forse i più) lo pensavano in privato, sussurrandolo di nascosto e quasi vergognandosene. Ora lo si può dire in pubblico, forte e chiaro. Anzi, ci si accorge che i presunti argomenti della sacralità evaporano nel nulla rivelandosi vuoti slogan che appaiono seri solo perché ripetuti fino all’ossessione.
Ogni volta che si rompe un incantesimo o si viola un tabù alcuni cadono in preda al terrore. Prevedono così un futuro buio e terrificante. Oggi presagiscono che ormai tutte le vite fragili sarebbero a rischio: tesi priva di ogni consistenza visto che il caso Eluana riguarda al massimo solo i vegetativi permanenti come lei. Il pericolo paventato sta, se mai, nel fatto che - dopo Beppino - anche altri comincino a riflettere razionalmente sul «bene» vita. Ma questo è positivo, non un disastro!
Chi guarda la realtà senza lasciarsi prendere dal panico può rilevare che la liberazione di Eluana dallo stato vegetativo permanente segna una crescita morale e civile. Qualcosa di analogo alla breccia di Porta Pia che ha sbriciolato la sacralità del potere politico. Anche allora per alcuni parve un crollo foriero di sciagure. In realtà è stato un passo per uscire dallo stato di minorità infantile in politica. Dissolvendo la sacralità della vita Eluana ci ha fatto compiere oggi un altro passo per uscire dalla minorità in medicina. Come ogni crescita, anche questa comporta nuove responsabilità e nuovi problemi. I soliti misoneisti oppongono resistenza e ostruzionismo, ma la breccia è aperta e nuovi orizzonti si sono spalancati. Grazie Eluana, grazie Beppino: crescere comporta difficoltà, ma è anche esaltante.

l’Unità 10.1.09
Marino: ora evitiamo una cattiva legge
intervista di Federica Fantozzi


Ignazio Marino è chirurgo di fama specializzato in trapianti nonché senatore del Pd. Cattolico, ha dialogato con il cardinale Martini sulle possibilità di incontro tra scienza ed etica cristiana.
Professore, l’autopsia su Eluana potrà fornire un punto fermo alle congetture mediche? La certezza dell’impossibilità di un risveglio applicabile a casi analoghi?
«Dal punto di vista della medicina non c’è nulla di nuovo da apprendere. La scienza progredisce ogni giorno e vengono approntate nuove tecnologie per studiare le funzioni del cervello di persone in stato vegetativo. Ma il punto centrale che spesso sfugge è un altro».
Qual è il punto centrale della vicenda?
«Il nodo di situazioni che hanno interessato i tribunali di tutto il mondo, dagli Usa a Francia e Spagna, non è quanto possano migliorare o ricevere diagnosi più sofisticate persone come Eluana, Terry Schiavo o Karen Kinlan che nel ‘76 ottenne per prima dalla Corte Suprema il diritto a sospendere ogni forma di terapia senza che configurasse reato. In gioco c’è la libertà di scelta. Ed è un interrogativo che tanti ci poniamo».
Lei che cosa sceglierebbe di fare o non fare?
«Io ho depositato il mio testamento biologico in una cassetta di sicurezza a Filadelfia. Per me il problema non è sapere se e quando potrò recuperare da una disabilità fisica bensì chiarire fino a che punto voglio si spingano le cure. Come a molti altri non mi interessa tornare dopo 17 anni a una vita normale. Mi interessa non rimanere in un limbo tecnologico. Se non posso vivere con mezzi che ritengo proporzionati preferisco accettare la fine della vita».
La Chiesa risponde che non è una prospettiva cristiana.
«Non è così. Io sono credente e non credo si debba avere timore di accettare la morte. In un dialogo on line con una suora le ho chiesto cosa farebbe un grande santo di fronte all’ipotesi di interrompere cure eccessive e tornare alla casa del Padre».
Cosa le ha risposto?
«Con l’esempio di San Francesco. Quando si ammalò i suoi confratelli volevano prolungargli la vita ma lui disse: lasciatemi stare. Non è suicidio assistito o eutanasia, ai quali sono contrario, ma il diritto costituzionale a non doversi curare per forza».
Quali sarebbero le conseguenze di una legge restrittiva?
«Se io mi ammalassi di cancro al fegato e non potessi deglutire, il mio medico mi proporrebbe di inserire una cannula e io rifiuterei. Ma se entrassi in coma lui dovrebbe fare i conti con la legge: se rispetta il codice deontologico e la sacra alleanza con il paziente e dice no commette reato. Mi dica lei se avremmo uno o migliaia di casi Englaro...».
È legittimo che in coscienza si possano rifiutare certe cure e appena la si perde si sia costretti ad accettarle?
«Non sono un costituzionalista ma mi sembra assurdo. Credo che ci sarà materia per la Corte Costituzionale».
Nel Pd c’è chi trova meglio una cattiva legge che nessuna legge.
«Sarebbe un errore gravissimo. Un partito che ha l’ambizione di guidare il Paese deve avere una posizione sui grandi temi etici».
Quale scenario prevede?
«Una legge restrittiva causerebbe ricorsi alla Consulta, poi un referendum e finalmente una normativa come esiste in tutto il mondo. Ci sarà un motivo se dappertutto si è legiferato in un modo, non crede?».

l’Unità 10.1.09
Remo Bodei: «Il cinismo di Berlusconi umilia la ragione e mortifica anche la coscienza religiosa»
Intervista di Bruno Gravagnuolo


In tutta questa storia mi colpisce il cinismo di Berlusconi, che salta sul caso Englaro per sferrare un attacco che mira a ben altro: agli ordinamenti repubblicani. Quanto al caso in sé, penso che la vita personale, come diceva Cicerone, appartiene anche agli altri, agli amici, ai familiari. Ma che non sia affatto una livrea da riconsegnare a Dio, come sta scritto nella Bibbia». Conversazione fluida e senza rete quella con Remo Bodei, filosofo, già tra i massimi allievi di Eugenio Garin a Pisa, oggi in pensione e docente nella prestigiosa Università Ucla di Los Angeles. Sulle prime dice di «non sapere troppo sull’Italia». Ma non è vero, perché è informatissimo. Fa il pendolare tra Usa e Italia - anche per il Festival di Filosofia a Modena oggetto di polemiche - e poi segue sul web gli eventi in corso («ho cercato di firmare l’appello sul vostro giornale ma non ci sono riuscito...»). La sua tesi di fondo sull’Italia suona: c’è un rischio di regressione culturale e democratica del paese. Mal contrastato da un Pd troppo «ecumenico» e incapace di far passare un suo linguaggio. E allora cerchiamo di approfondire tutto questo con Bodei da l’Unità, «inchiodandolo» al telefono poco prima che si rechi alla Yale University di Boston, dove deve andare a fare una serie di lezioni sulle «interpretazioni del tempo» nella filosofia occidentale.
Professor Bodei, in Italia scontro senza precedenti. Premier contro Napolitano e la Costituzione, con minaccia di mutarla a tappe forzate. Persino Bush jr si fermò dinanzi alla Corte Suprema sul caso Schiavo. Negli Usa poteva accadere una cosa del genere?
«No, eticamente impossibile. Intanto c’è una differenza abissale di fondo. Negli Usa, malgrado la crisi economica, c’è la possibilità di rialzarsi, una speranza che accomuna, mentre noi non abbiamo questa forza di ricominciare. L’idealista pragmatico Obama viene vissuto come uno capace di rimettere in moto la situazione. Con Berlusconi siamo inchiodati e il rischio democratico è enorme. Il suo non è più un partito di plastica. Con la Lega ha conquistato i ceti popolari, e si è creato un blocco che sta conquistando anche il mondo sociale di sinistra, esposto ormai alla minorità intellettuale. Quanto a Bush jr, si fermò sul caso Schiavo, e oggi Obama rovescia i suoi indirizzi bioetici, dall’aborto alle staminali. In Italia viceversa l’asse Berlusconi-Vaticano è un’insidia e il tentativo di alterare la divisione dei poteri è palese. In più c’è il cinismo, il tatticismo, che sfrutta il tema della vita in chiave strumentale. Napolitano ha fatto benissimo a fare da argine»
Il tutto in un clima di inselvatichimento, con stupri, violenze di gruppo e riflessi xenofobi...
«Ho percepito il clima. C’è una crisi identità dovuta non solo alla paura dell’altro, ma anche a un vuoto di riferimenti ideali. La sinistra non è più in grado di fare costume, formazione, senso comune. Ha smarrito il ruolo storico di tramite tra le generazioni. E poi gioca sempre di rimessa, con linguaggio sfumato e senza proposte nette...
Non è l’inevitabile conseguenza di una sinistra soft e di opinione, solo «democrat» e incapace di arginare gli spiriti animali del blocco di destra?
«Non voglio fare processi alla scelta del Pd. E credo sia stata positiva l’apertura mediatica e comunicativa del Pd alla società italiana. Ma senza dubbio il modello adottato è stato debole fin qui. Mi dà speranza invece la vicenda sarda, che vede Soru al centro. La cui battaglia netta sul paesaggio condivido a pieno. Lì però non tutto il Pd lo appoggia, e anzi lo osteggia. Ecco un banco di prova e un’esperienza decisivi. Come al solito tuttavia, in un quadro di impar condicio. Con Berlusconi che deborda contro Soru, e la fa da padrone sui media».
Ma può bastare una persona, oppure ci vuole una sinistra di massa per fermare la destra e scongiurare derive plebiscitarie?
«Non sono per il culto della personalità, ma nemmeno per una sinistra comunitaria e di massa. Ci serve una sinistra articolata, e non monolitica. Una rete di reti, in grado saldare interessi e ideali e di fornire una prospettiva forte sull’Italia di domani. Non è più praticabile il partito etico di massa, pur così pieno di meriti nel dopoguerra. Oggi la situazione è cambiata. Perché la Lega cattura tanti consensi a sinistra?»
Perché è un piccolo partito di massa!
«Sì, ma incentrato su valori xenofobi non condivisibili. A contrastare i quali non basta il residuo di partito di massa e di sinistra ereditato dal dopoguerra. Semmai mi chiedo: come opporsi al senso comune conservatore sul caso Englaro o su altro, con un Pd intriso di “teodem” e posizioni anti-laiche? Difficile fare battaglie laiche in queste condizioni. E così il Pd resta in bilico, tra ecumenismo molle e rischi di isolamento e divisione.
Il problema perciò non è quello di avere un chiaro baricentro sociale e valoriale?
«Purché non sia la lamentazione continua o la genericità sulle ingiustizie e sui diritti violati. Occorre articolare i diritti, da quelli laici di libertà, a quelli dell’integrazione tra diversi, a quelli sociali e del lavoro, all’ambiente, alla scuola all’efficienza del sistema».
Però Obama mette al centro il lavoro e il rilancio produttivo. Non sta di nuovo qui il motore?
«Certamente. In Italia abbiamo già perso 130mila posti di lavoro, e negli Usa 600mila solo in gennaio. Lo sfondo è la crisi generale. Che Obama vuol contrastare con investimenti mirati e deficit spending. Anche noi dobbiamo reagire, schiacciati come siamo dal basso costo mondiale della mano d’opera e dalla scarsa innovazione. Cose che rischiano di cancellare 150 anni di conquiste sindacali. Che tipo di lavoro oggi? Lavoro flessibile io dico, ma non precario. Guarnito di formazione, ammortizzatori e innovazione tecnologica. Stanno qui la via d’uscita e l’asse di programma della sinistra. È una gigantesca rivoluzione questa, che coinvolge l’efficienza, gli sprechi, i diritti. E l’immagine... Pensi a Napoli. È stata una gigantesca batosta per la sinistra. E pensi ai litigi del governo Prodi...»
Torniamo agli Usa. Il nesso religione e politica in Obama è un buon esempio, oppure è inesportabile altrove?
«Esempio molto americano. Frutto del mix di centinaia di sette. Vale in generale però l’idea di una religione civile pubblica, ma non confessionale, dove politica e costume restano laici. Niente a che fare con l’uso cinico della religione da parte di Berlusconi. Che umilia la ragione e anche la religione».

l’Unità 10.1.09
L’insostenibile libertà della coscienza
di Maurizio Mori


Il ministro Sacconi ha detto che «venerdì scorso è stata la più intensa giornata politica che abbia mai vissuto» e ha riferito che a margine del Consiglio il ministro Bondi ha commentato: «Oggi è nato davvero il Pdl». Vedremo se il Parlamento è tanto svuotato da non riuscire a resistere neanche alla tempistica stabiliti da Berlusconi: se già giovedì 12 sarà pubblicata in Gazzetta questa legge non ci resterà che prendere atto che è davvero iniziato il catto-berluschismo.
Come sempre, le ragioni di questa virata tesa a distruggere la divisione dei poteri propria dello Stato di diritto moderno sono molte: crisi economica gravissima sullo sfondo, aziendalismo del partito di maggioranza, controllo pressoché assoluto dei media, frammentazione profonda della sinistra, neotemporalismo della Chiesa, ecc. Ciascuna di esse porta acqua all’attacco in atto alla Costituzione repubblicana, ma poiché la spallata di sfondamento è stata data sul caso Eluana, un tema di bioetica, va considerata anche la specificità del campo.
Su questi temi l’opposizione è fragile perché non ha ancora capito che i temi bioetici hanno un’importanza cruciale: è ormai in atto una rivoluzione bio-medica che, come accaduto a suo tempo con l’avvento delle macchine, sta cambiando gli assetti della vita sociale. Mentre negli altri Paesi c’è stata un’elaborazione etica laica e si procede all’adeguamento normativo e valoriale richiesto, da noi quand si tratta di etica anche la sinistra ha sempre fatto riferimento al cattolicesimo, sottovalutando che i valori non-negoziabili ostacolano il progresso della scienza. Bisogna fare leggi ad hoc e screditare la Magistratura perché non c’è solo Eluana, ma anche la diagnosi preimpianto, le cellule staminali, la Ru-486, ecc. In questa situazione continuare a dire che i temi etici vanno lasciati alla “libertà di coscienza” accettando che parlamentari teodem continuino a ripetere gli slogan della propaganda vaticana privi di fondamento scientifico è, non solo un errore politico, ma anche mostrare debolezza all’azione di sfondamento in atto degli assetti istituzionali della nostra democrazia costituzionale.

Liberazione 10.2.09
Maurizio Mori: «Lo scopo è bloccare il testamento biologico»
intervista di Romina Velchi


La Consulta di bioetica esiste dal 1989 e sta lì a dimostrare che la vicenda di Eluana non è la prima e non sarà l'ultima. Le scoperte scientifiche e mediche, infatti, specie nell'ultimo ventennio, sono tali e tante da metterci di fronte a continui nuovi problemi, mentre tecniche innovative, sempre più sofisticate, rendono ormai difficile persino stabilire cosa sia vita e cosa morte. Non a caso la finalità della Consulta di bioetica non è quella di convincere su una tesi o sull'altra, ma di «promuovere lo sviluppo del dibattito laico e razionale sui problemi etici nel campo della medicina e delle scienze biologiche, in un'ottica pluralistica di rispetto delle diverse concezioni di valore». In quest'ottica, la Consulta è dal 1990 che sostiene «il riconoscimento della "Carta di autodeterminazione", un documento che mira a garantire il rispetto dell'autonomia delle persone, consentendo di disporre anticipatamente in merito all'accettazione o al rifiuto delle cure anche quando sia venuta meno la capacità di formulare ed esprimere le proprie scelte». Ma la politica (nel senso del Palazzo) si è accorta solo oggi che esiste un problema, mentre per anni le proposte di legge sul testamento biologico sono state lasciate a prendere polvere in qualche cassetto. Ultimo in ordine di tempo è arrivato il governo, che ha preparato un disegno di legge di un solo articolo, nel quale si vieta la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione a tutte le persone «non in grado di provvedere a se stesse».
Con il che la nutrizione diventa un trattamento sanitario obbligatorio. Secondo Maurizio Mori, che della Consulta di bioetica è presidente dal 2006, «quest'unico articolo del disegno di legge del governo più che rispondere all'emergenza risponde alla proposta dell'anno scorso di Carlo Casini (Movimento per la vita, ndr), il quale sosteneva che non serve una legge sul testamento biologico, ma è sufficiente una legge che stabilisca che alimentazione e idratazione sono obbligatorie».
E qual è il motivo?
Il motivo è semplice e spiega anche perché finora non si è fatto nulla: i cattolici una legge sul testamento biologico non la vogliono, perché proprio come un testamento - cioè all'inglese un living will - poi lo devi rispettare. E' un problema di principio: con il testamento si ammette che il soggetto possa decidere in modo chiaro e senza dipendere dalle decisioni altrui. Dal loro punto di vista, se passa questo principio diventa poi difficile bloccare i processi storici. E' evidente, invece, che con una legge come quella presentata dal governo, che impone nutrizione e idratazione forzate, tutto il resto, qualsiasi altra manifestazione di volontà diventa inutile.
Ma un simile obbligo non viola la dignità umana?
A mio parere si tratta di una disposizione manifestamente antimoderna e antiscientifica, che ci fa deridere dal mondo intero e che, oltretutto, produrrà disastri nelle case di riposo perché obbliga a prassi contrarie alle terapie mediche in corso e sperimentate. E' ideologica; è come dire che il sole gira introno alla terra solo per difendere la sacralità della vita. E' l'antiscientismo viscerale tipico della cultura italiana. Mi spiace che, in questo frangente, la sinistra si dimostri così tiepida: non ci si può limitare al voto di coscienza, quando gli altri ne fanno una bandiera politica.
Secondo lei, una legge siffatta è impugnabile davanti alla Corte costituzionale?
Io credo di sì. Ciò non toglie che i politici, quando si occupano di queste materie, si mostrano "distratti", non sanno guardare agli aspetti più generali. Basta pensare alla legge sulla fecondazione artificiale: tutti sembrano dimenticarsi che tra non molto la Corte costituzionale sarà chiamata a valutare la legge 40 perché la corte d'appello di Firenze ha sollevato la questione di Costituzionalità. Per non dire che sulla vicenda Englaro ci sono state tante sentenze (Cassazione, Consulta, corti d'appello, persino corte europea di giustizia) e che sono state tutte concordi e convergenti. Si vuole forse dire che tutti questi giudici sono degli sprovveduti? La verità è che, già ai tempi dell'Ulivo, abbiamo proposto a vari partiti della sinistra di dare la nostra collaborazione. Non ci hanno neanche risposto.
Come dovrebbe essere, invece, una buona legge sul testamento biologico?
Dovrebbe essere snella e in grado di garantire la libertà sulla propria salute, nel rispetto della costituzione. Anche prevedendo delle misure per prevenire eventuali abusi. Una buona legge è quella che favorisce e rende agile l'esercizio dei diritti civili. Questo diritto non deve essere appesantito da norme che prevedano, ad esempio, che ogni due anni si torna dall'avvocato o dal notaio per ribadire la propria volontà. Tutt'al più, siccome i casi sono sempre nuovi, è giusto nominare un fiduciario che agisca quando l'interessato non può farlo.

Corriere della Sera 10.2.09
Una persona, un Paese
di Claudio Magris


Nel caso di Eluana Englaro gli avvoltoi, che di solito si gettano sui morti, si sono accaniti su una persona viva ancorché morente; il tragico, irresolubile problema di quando smettere di difendere la vita di un individuo è stato empiamente usato per un disegno di sovversione politica, inteso a colpire — ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere — le regole dello Stato di diritto, doverosamente difese dal presidente della Repubblica, uno dei cui principi fondamentali è che l'esecutivo non può modificare o annullare con decreti quanto è stato deciso in via definitiva da un tribunale, si apprezzi o meno la sentenza. In tal modo si lede scandalosamente quella divisione di poteri su cui si fonda ogni democrazia liberale.
Il problema, esemplificato dal caso di Eluana Englaro ma che coinvolge tante altre persone il cui dramma passa sotto silenzio, è tragico. A differenza dalla sua fase iniziale, in quella finale la vita non conosce un punto preciso in cui essa possa considerarsi conclusa; si sa quando si abortisce, quando si interrompe la vita di un individuo, ma non si sa quando sia lecito o pietoso staccargli la spina. Non è un criterio la qualità della vita, che può essere valutata solo dall'interessato, l'unico autorizzato a decidere sulla propria vita e sulla propria morte e ad uscire di scena quando crede, come facevano con serenità gli antichi, condizionato solo dalla sua eventuale responsabilità verso altre persone. Non è certo un criterio il lasciare libero corso alla natura, la quale produce pure lo tsunami e le epidemie, alle cui vittime dobbiamo prestare soccorso. La Chiesa se la cava condannando l'accanimento terapeutico, concetto in sé vago, perché non si sa quando esso inizi; di per sé, ogni lotta contro la morte è accanimento terapeutico e guai se non fosse così, perché il primo dovere è quello di difendere ogni individuo.
In assenza di un'esplicita volontà espressa — il testamento biologico, in questo senso, è un fondamentale aiuto per affrontare il problema — ci si può affidare solo a un vago e sempre fallibile buon senso, che nel caso di Eluana Englaro sembra indicare come fosse tragicamente comprensibile lasciarla morire. Ossia aiutarla a morire, perché in questo campo non sono lecite ipocrisie: togliere cibo o altre sostanze necessarie per vivere significa togliere la vita; pure chi, seguendo la Chiesa che condanna l'accanimento terapeutico, smette di fornire al paziente le cure per la sua sopravvivenza deve sapere che egli lo abbandona alla morte e in certo senso gli dà la morte, perché ritiene sia, in quella circostanza, la cosa meno inumana. Naturalmente il buon senso — che non è né la morale, né la scienza, né la fede, né la politica, bensì un umanissimo, prezioso ma talora pure pericoloso e pasticcione stato d'animo — può sbagliare e in questo caso lo sbaglio è tragico.
Ma questo buon senso è, almeno per ora, l'unica precaria frontiera lungo la quale muoversi, perché altrimenti si cade in astrattezze ideologiche o in una truce concezione eutanasica dell'esistenza intera, la quale si arroga il diritto di stabilire il criterio della qualità della vita e il diritto di vita e di morte.
Conosco uomini e donne che da anni continuano a vivere con persone amate ridotte a una condizione che impedisce loro ogni reazione e ogni comunicazione, ma non impedisce una misteriosa e concreta comunicazione affettiva; per usare una vecchia parola — la più antica, difficile del mondo, direbbe Saba — l'amore.
Ora Eluana Englaro è in quella grande oscurità che, diceva il teologo gesuita Karl Rahner, è l'incomprensibile mano di Dio che raccoglie ogni destino; oscurità la quale non è forse meno importante della vita che va amata e protetta ma non idolatrata. Restano le ferite che la sua morte ha inferto a chi l'ama e quelle che l'indecente attacco, in suo nome, ai principi elementari dello Stato, ha inferto al Paese, alla qualità della vita di tutti.
Anche un Paese può essere costretto a fare testamento.

Corriere della Sera 10.2.09
Quirinale accerchiato da un'offensiva del Pdl in incubazione da tempo
Fini lo difende ma è isolato La dissidenza cattolica agita il Pd
di Massimo Franco


L' offensiva sta prendendo forma prima del previsto. La morte di Eluana Englaro ha portato allo scoperto il fronte che punta diritto sul Quirinale. Ed accusa Giorgio Napolitano di non avere firmato il decreto del governo che avrebbe potuto salvare la donna. È un fuoco di fila pesante, martellante e teso a delegittimare la figura del presidente della Repubblica. Ha come teste d'ariete gli esponenti della maggioranza di Silvio Berlusconi. Lo stesso premier commenta che gli è stato «reso impossibile salvare una vita». E il Vaticano punta il dito su quanti avrebbero avallato un'eutanasia; benché aggiunga che è «il momento del perdono e della riconciliazione».
Ma non ce n'è traccia. L'atmosfera è quella della rissa, sfiorata fisicamente al Senato. Anzi, forse è più esatto parlare di tentativo di spallata contro il capo dello Stato. L'aggressione del Pdl è rintuzzata da Gianfranco Fini: il presidente della Camera dà dell'irresponsabile a Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato. Ma è l'unico. Sembra sia scattato un piano che prevede un crescendo di attacchi contro la massima carica dello Stato: reazioni solo apparentemente a caldo.
Dal Quirinale arriva un comunicato che non raccoglie le polemiche: si limita ad invocare il silenzio e la partecipazione al dolore. Anche questo invito, però, viene contestato. È in arrivo un'ondata di veleni, della quale non si può indovinare la potenza. L'obiettivo immediato del centrodestra sembra quello di mettere in mora le istituzioni ed i partiti che non avrebbero fatto abbastanza per salvare la donna; e di preparare il terreno ad una legge sul «testamento biologico» che per mesi il Parlamento ha colpevolmente eluso. «Dovevamo arrivare prima», è l'autocritica di Pier Ferdinando Casini. Ma Buttiglione, pure Udc, ritiene «non giustificabile» il «no» di Napolitano al decreto.
È la conferma che il caso promette di avere effetti dirompenti soprattutto sul piano istituzionale. Le mosse di Berlusconi configurano una guerra di logoramento contro il capo dello Stato. Alcuni parlamentari del Pdl considerano il presidente della Repubblica ormai incapace di rappresentare il Paese. Inoltre, l'incrinatura fra Quirinale e Santa Sede è nei fatti, nonostante la telefonata fra il Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e Napolitano. Alcuni cardinali parlano di «delitto» e «omicidio». Avvenire,
quotidiano della Cei, titola amaro: «Giustizia è fatta».
C'è poi il versante interno ai partiti. Berlusconi ha liquidato gli oppositori del decreto dentro al governo ponendo loro come alternativa le dimissioni. Walter Veltroni, invece, non è riuscito a bloccare l'iniziativa di Enrico Letta, Giuseppe Fioroni, Francesco Rutelli, decisi a votare con il governo pur usando parole dure contro il premier. La divergenza ha provocato un certo fastidio dei vertici del Pd, inclini a sottovalutare il valore di posizioni come quelle dei tre dissidenti che rivendicano libertà di coscienza: se non altro perché contestano la presunta esclusiva berlusconiana su quella che il premier chiama «cultura della vita, sconfitta ieri dalla cultura della morte».

Corriere della Sera 10.2.09
Il filosofo «Non è vero che la vita è un dono per tutti, per alcuni non lo sarà mai e hanno diritto di pensarla così»
di Daniela Monti


Rossi: si cerchi un compromesso, come sull'aborto
La politica si fermi, andare avanti sarebbe una forzatura pericolosa Bisogna avviare una discussione seria sul tema

MILANO — «Adesso la politica si fermi, andare avanti è una forzatura pericolosa». Paolo Rossi, 85 anni, è il più celebre storico italiano della scienza. Crede in un'etica del compromesso, anche se in Italia «è come dire una parolaccia». «Quel tipo di compromesso — spiega — per cui, invece di ammazzare il mio avversario, mi siedo attorno a un tavolo per raggiungere un accordo che non lascerà tutti felici, niente affatto, ma con la certezza, da entrambe le parti, che non si potesse ottenere di più». Rossi è convinto della necessità del testamento biologico («Non riesco a concepire l'ipotesi di restare in uno stato vegetativo senza il mio consenso. Mi fa orrore»), eppure non si è schierato, né per la sacralità della vita, né per la «sacralità» della libertà di scelta.
La Cassazione aveva autorizzato il padre di Eluana a sospendere l'alimentazione. Il governo, e la Chiesa, volevano fermarlo. Chi ha ragione?
«Nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario che non vuole: è un diritto riconosciuto dalla Convenzione europea e dalla Costituzione. Non mi sento di criticare quel padre, avrei però voluto che la volontà di Eluana fosse stata documentata con assoluta certezza. Ma in questo caso non c'era nulla di scritto. Non siamo di fronte a un testamento biologico, ma a un'altra cosa, che avrebbe richiesto pacatezza e rispetto degli altri ».
Uno scontro tanto duro era evitabile?
«I cattolici e i laici si sono scontrati con una virulenza che mi fa paura. Il presidente della Repubblica ha avuto la forza dell'imparzialità, mentre tutto attorno c'è stato qualcosa che somiglia all'odio. Entrambe le posizioni sono sbagliate, visto il modo in cui sono state poste».
Il dialogo fra cattolici e sinistra, ora, sarà più difficile?
«Quanto è successo introduce un cuneo fra la sinistra e il mondo cattolico e questa è la fine di una speranza cominciata dopo la Liberazione, la fine di un colloquio per cui è stato ammazzato Aldo Moro. Il dialogo con i cattolici non è una malvagia invenzione, è la condizione indispensabile per governare questo Paese».
È solo un timore o qualcosa di più?
«In Italia i dati di fatto non esistono. Quando scattano queste contrapposizioni così violente e pericolose, spesso riusciamo poi a trovare non so cosa, una specie di saggezza che ci permette di salvarci. È accaduto con il terrorismo. È una delle piccole speranze che ho».
Che fare ora?
«Una discussione seria sul fine vita. Non è vero che la vita è un dono per tutti. Per alcuni non lo sarà mai, e hanno diritto di pensarla così. La Chiesa non può chiudere gli occhi davanti a questo. La via d'uscita è un'etica fondata sui compromessi, non sulla vittoria di una parte contro l'altra. Pensavo che tutto questo fosse acquisito, invece abbiamo rimesso in discussione l'unica vera conquista della civiltà, quella che ci mette al riparo dalla violenza».
Un compromesso è possibile?
«È già successo con la legge sull'aborto, è stata trovata una mediazione fra la condanna assoluta dei cattolici e quella specie di esaltazione che allora aveva contagiato una parte del Paese, secondo cui la pancia è mia e ci faccio quello che voglio. Ma io non sono tranquillo. La nuova legge sul testamento biologico introduce l'idea che non serva più esprimere il consenso per essere nutriti e idratati. Un'enormità. Non potrei mai tollerare che nel mio corpo venisse introdotto qualcosa indipendentemente dalla mia volontà».

Repubblica 10.2.09
La morte e la politica
di Ezio Mauro


Il nuovo Calvario su cui è salita Eluana Englaro e dove è morta ieri sera, è questa fine tutta politica, usata, strumentalizzata, quasi annullata nella riduzione a puro simbolo e pretesto feroce di una battaglia di potere che è appena incominciata e nell´usurpazione del suo nome segnerà la nostra epoca.
Il vero sgomento è nel dover parlare di queste cose, davanti alla morte di Eluana. Bisognerebbe soltanto tacere, riflettere su quell´avventura umana, sulla tragedia di una ragazza diventata donna adulta nella perenne incoscienza del suo letto d´ospedale, su quelle vecchie fotografie piene di vita e di bellezza rovesciate nella costrizione immobile di un´esistenza minima, inconsapevole. Voleva vivere, quel corpo che respirava? O se avesse potuto esprimersi, avrebbe ripetuto la vecchia idea di volersene andare, come aveva detto da ragazza Eluana a suo padre, molti anni fa, quando poteva parlare e pensare?
È la domanda che si fa ognuno di noi, quando è accanto ad un malato che non può più guarire, in un ospedale o in una clinica. È un´angoscia fatta di carezze e interrogativi, dopo che le speranze si sono tutte dissolte. Di giuramenti eroici � fino alla fine, pur di poterti ancora vedere, toccare, pur di immaginare che senti almeno il tepore del sole, che stringi una mano, e non importa se nei riflessi automatici dell´incoscienza. Ma è un´angoscia fatta anche di domande sul futuro, che si scacciano ma tornano: fino a quando? E come, attraverso quale percorso di sofferenza, di degenerazione, di smarrimento di sé? E alla fine, perché? C´è una vita da conservare, o in queste condizioni è un simulacro di vita, un´ostinazione, una costrizione? È per lei o è per noi che la teniamo viva?
Quegli atti inconsapevoli che in certe giornate rasserenano, e sono tutto � il respiro, naturalmente, un tremito di ciglia � altre volte sembrano una condanna meccanica, soprattutto inutile. Perché la vita è un bene in sé, ma deve pur servire a qualcosa, avere un senso.
Questo è stato per 17 anni il dramma di un padre. Accanto al letto della sua Eluana, lui è vivo, vede, ama, soffre, s´interroga, si dispera e ragiona. Diciassette anni sono lunghissimi, la speranza fa in tempo ad andarsene senza illusioni, c´è il realismo dei medici, l´evidenza quotidiana. Una figlia che ogni giorno si allontana dall´immagine della vita mentre resiste, ogni giorno è presente nel suo bisogno di assistenza ma non sente più l´amore, lo sconforto, la presenza. Nulla. È lontana e tuttavia respira, mentre il padre la guarda. Lui ricorda quel che la figlia voleva, quel che avrebbe voluto. Non so che cosa pensi, come arrivi alla decisione, se gli faccia paura l´idea di un futuro in cui lui potrebbe non esserci più, con la madre gravemente malata. Se ha ceduto, facendo la sua scelta, o se invece ha dovuto farsi forza. So che in quel padre, in questi 17 anni, si somma il massimo del dolore e dell´amore per Eluana. Questo non significa automaticamente che tutto ciò che lui decide sia giusto. Ma significa che lui ha un diritto, il diritto di raccogliere la volontà di un tempo di Eluana e di confrontarla con la sua volontà, com´è venuta maturando accanto a quel letto d´ospedale, in un percorso che lui solo conosce, e che nasce dal rapporto più intimo e più autentico di un uomo con sua figlia, nei momenti supremi.
Il padre potrebbe risolvere il problema nell´ombra, come fanno molti e come vogliono i Pilati italiani, pur di non vedere e di non sentire. Potrebbe cioè chiudere l´esistenza di Eluana nel moderno, silenzioso, neutro "rapporto" tra medico e familiare del paziente terminale. Bastano poche parole, poi un giorno uno sguardo d´intesa, un cenno del capo, e tutto finisce senza clamore. Ma quello del padre, in questo caso, non è "un problema". È la sua stessa esistenza, congiunta con quella di sua figlia, che non sanno come procedere e come sciogliersi. È una cosa infinitamente più grande di lui, che tutto lo pervade e lo domina, altro che "problema", altro che "rapporto" tra un medico e una famiglia, altro che scelte silenziose e sbrigative, purché nulla sia detto davvero, niente chiamato col suo nome. Ciò che molti dicono tragedia, in questi casi, quel padre la vive davvero, al punto da urlarla. Vuole che gli altri sappiano. Vuole che gli dicano se quel che fa è giusto o sbagliato. Lui ha deciso di chiedere allo Stato di lasciar andare Eluana. Chiede che lo Stato risponda, dunque si faccia carico, non se ne lavi le mani. Solo così, portata in pubblico, la tragedia di quella figlia servirà a qualcosa, a qualcuno, e quei 17 anni acquisteranno un senso per tutti, quasi un insegnamento. Non so se sia giusto o sbagliato. A me sembra un gesto d´amore, supremo, che nasce dal profondo di una desolazione e di un abbandono, perché l´una e l´altro non siano del tutto inutili, visto che già sono purtroppo inevitabili.
C´è qualcosa di più. Quel gesto verso lo Stato � violento: dimmi cosa devo fare, dimmi come posso fare, dimmi qualcosa, io sono solo ma resto cittadino e ho il diritto d´interpellarti � è un gesto che nasce dall´interno di una famiglia. Strano che nessuno lo abbia detto. Quel padre fa la spola tra una moglie malata gravissima e una figlia incosciente da un numero d´anni che non si possono nemmeno contare. Nessuno ha nemmeno il diritto, da fuori, di immaginare il suo tormento, il filo dei pensieri, la disperazione che deve tenere a bada mentre guida, mentre telefona, quando prova a dormire. Tra moglie e figlia, giorno dopo giorno, lui tiene insieme la sua famiglia. Ciò che resta, certo. Ma anche: ciò che è. Esiste forse una famiglia italiana, in questo 2009, più "famiglia" di questa? Lui parla con le sue due donne, ogni tanto con parole inutili, più spesso nella mente. Provano a ragionare insieme, è finzione, certo, ma è la cosa più vicina alla realtà, è l´unica possibile perché la famiglia esista non solo a livello fisico, delle due presenze malate in clinica con l´uomo lì accanto, ma anche a livello spirituale, come comunione possibile: anni insieme, gioie, speranze, amore, abbracci, progetti, un modo di pensare, di sentire, un modo di essere comune. La decisione che il padre prende, la prende in nome della sua famiglia. Non per sé, per tutti. Fa spavento pensare a questo, e poi pensare al futuro, ma è l´unica verità possibile. L´unica cosa autentica.
Quella famiglia, a un certo punto, dice che l´esistenza di Eluana, così com´è ridotta, deve finire. Nessuno può sapere se nella sensibilità acutissima della sua solitudine tra le due donne il padre ha deciso così perché lo ritiene un ultimo gesto d´attenzione, una cura estrema e finale per quella figlia; oppure perché non ce la fa più. Se lui non ce la fa più, è la famiglia che si ferma, che non può andare oltre. Loro sono insieme: ancor più negli ultimi diciassette anni. L´unico modo per non prendere su di sé tutto il peso di questa decisione, per il padre è quello di decidere in pubblico. Come se questo Paese fosse in grado � ben al riparo dalla tragedia, naturalmente � non solo di compatire, come sa fare benissimo, soprattutto in televisione. Ma per una volta, di condividere.
Il padre si aspettava la discussione, la polemica, gli attacchi e anche gli insulti. Aveva scritto una lettera a "Repubblica", l´altro giorno, che poi ha voluto rinviare ancora. Chiedeva di attaccarlo liberamente, purché si accettasse di discutere davvero la grande questione del cosiddetto caso Englaro. Domandava soltanto di risparmiare la morbosità degli sguardi e delle curiosità sugli ultimi istanti di Eluana. Negli ospedali, diceva, nelle corsie, a un certo punto si tira una tenda per riparare il momento finale di chi sta morendo.
Quel che il padre non poteva prevedere, era l´altra morbosità, più feroce: quella della politica, della destra italiana. Prima l´inverosimile conferenza stampa di Berlusconi, che usava più di metà del tempo per attaccare il Capo dello Stato in nome della potestà suprema e incondizionata del governo, e quando parlava di Eluana � dopo aver detto di non volersi assumere la responsabilità della sua morte � arrivava a pronunciare frasi offensive: il "figlio" che la ragazza potrebbe avere, il "gravame" a cui il padre vorrebbe rinunciare. Poi l´attacco alla Costituzione, come se una tragedia fosse fondatrice del diritto. Infine, ieri, alla notizia della morte di Eluana, il peggio, qualcosa a cui non volevamo credere. Berlusconi che punta dritto sul presidente Napolitano come responsabile diretto della tragedia ("l´azione del governo per salvare una vita è stata resa impossibile"), un gesto di violenza politica senza precedenti in democrazia, nel linguaggio tipico dei regimi contro i dissenzienti, quando si mescola politica e criminalità. Subito seguito dall´amplificazione di personaggi minori e terribili, come Quagliarello che parla di "assassinio", Gasparri che minaccia dicendo quanto pesino "le firme messe e non messe". Borghezio che chiama in causa i "dottor morte" colpevoli di "omicidio di Stato", anche da "altissime cariche istituzionali".
È miserabile sfruttare una morte per trarne un vantaggio politico. È vergognoso trascinare il Capo dello Stato sul terreno della vita e della morte per aver esercitato i suoi doveri di custode della Costituzione. È umiliante assistere a questo degrado della politica. È preoccupante scoprire qual è la vera anima della destra italiana, feroce e crudele nella cupidigia di potere assoluto, incurante di ogni senso dello Stato, aliena rispetto alle istituzioni e allo spirito repubblicano, con l´eccezione ogni giorno più forte e più netta del presidente della Camera Fini.
Con la strumentalizzazione di una tragedia nazionale e familiare, e con gli echi cupi di chi tenta di trasformare la morte in politica, è iniziata ieri sera la fase più pericolosa della nostra storia recente per le sorti della Repubblica.

Repubblica 10.2.09
Il medico Mario Riccio:
"Intorno al corpo di Eluana violenza politica inaudita"
di Caterina Pasolini


ROMA - «É stata fatta la volontà di Eluana e quella di uno stato di diritto», dice Mario Riccio, il medico che staccò il respiratore a Welby, che da anni lo chiedeva inchiodato ad un letto potendo solo muovere gli occhi.
Ha sentito Beppino?
«Domenica l´ho chiamato dopo aver letto le ignobili scritte che lo definivano boia. Era combattivo come sempre per far sì che fosse rispettata la volontà della figlia. Neppure lui pensava che se ne sarebbe andata così in fretta».
Politica sott´accusa?
«Si è usato il corpo di Eluana per fini politici, per cambiare la Costituzione, e la maggioranza ha fatto affermazioni vergognose nonostante la sentenza, della Cassazione. Berlusconi si è rivelato più oscurantista di Bush, lui almeno si è fermato davanti alla decisione della Corte suprema su Terry Schiavo».
E ora?
«Il peggio deve ancora venire. Ora quando si capisce che per un malato terminale non vi è più nulla da fare si sospende l´alimentazione. Con la legge che vogliono approvare tutti dovranno essere alimentati in via endovenosa prolungando le sofferenze inutilmente. E sembra che non si potrà rinunciare, come invece ha fatto Welby, ad altre terapie come la ventilazione».

il Riformista 10.2.09
Berlusconi ha voglia di urne
di Marco Follini


Berlusconi, secondo me, ci vuole portare alle elezioni. Non importa che si sia votato meno di un anno fa, che il Cav abbia vinto a mani basse e che la sua maggioranza gli riservi tutta la disciplina del caso. In ballo c'è la sua natura politica. Che è avventurosa, insofferente verso i vincoli, le procedure, le complicazioni, incurante degli equilibri di convivenza che tengono insieme un Paese. C'è in lui qualcosa di prometeico, direbbero i suoi tifosi, un gusto della sfida e dell'azzardo che lo spinge a rilanciare di continuo, incurante delle ragioni di prudenza che la buona, vecchia politica ha insegnato a molti di noi. La quotidianità, con i suoi faticosi rendiconti, non gli appartiene. E difatti sta studiando come liberarsene. Tanto più in tempi di magra dell'economia.
Dunque, prepariamoci. Lo show-down con il Quirinale e l'assalto alla Costituzione di impronta "sovietica" annunciano una nuova stagione politica e richiedono anche a noi di abbozzare una strategia. È abbastanza ovvio che l'illusione del dialogo - oggi sul 4 per cento e la Rai, domani forse sul federalismo, dopodomani chissà - s'è dissolta nei roghi politici e istituzionali di queste ore. Siamo nel pieno dei rigori dell'inverno della Repubblica e abbigliarci come se dovessimo andare a un picnic primaverile sembra davvero imprudente.
E però non va bene neppure indossare il passamontagna. Già, perché quanto più "il principale esponente dello schieramento avversario" tende a strappare, tanto più noi dobbiamo essere capaci di cucire. Questo è il momento in cui il Pd dovrebbe prodigarsi a offrire le rassicurazioni più impegnative e generose all'Italia moderata e benpensante, all'Italia del «progresso senza avventure» per dirla con Fanfani. Una parte dell'elettorato berlusconiano è galvanizzata dal Cav. più di lotta che di governo. Ma un'altra parte ne è frastornata e spaventata, ne teme le incognite, in fondo in fondo ne disapprova le forzature. È questa parte che a lungo andare deciderà le sorti della contesa politica nel nostro paese.
Berlusconi sta rendendo sempre più esplicita la sua sfida alla tradizione politica e costituzionale. Il suo tratto populista fa sbiadire il profilo del normalizzatore che s'era annunciato all'indomani del voto dell'aprile scorso. La sua irrequieta sbrigatività fa a pugni con le cautele e la misura che erano tipiche del retaggio democristiano. In queste condizioni spingere il Pd ancor più a sinistra significherebbe davvero immortalare il Cav.

il Riformista 10.2.09
Così Berlusconi ha deciso di usare il corpo di Eluana
di Ritanna Armeni


Dalla clinica di Udine al Quirinale, il passo e il passaggio sono stati immediati. A questo gli serve il povero e debole corpo di Eluana.

Dovremmo averlo capito da un pezzo che sul corpo, e quasi sempre sul corpo femminile, si svolgono le principali battaglie politiche e culturali di questi anni. E anche le guerre.
Dovremmo averlo capito dopo l'11 settembre quando si è scatenata una guerra in nome di una democrazia rappresentata a livello planetario dalla liberazione del burqa che teneva imprigionato il corpo delle donne di Paesi lontani e fino a quel momento ignorati.
Avrebbe dovuto essere chiaro nel 2005 quando, prima la legge poi il referendum sulla fecondazione assistita, hanno posto al centro quel corpo femminile che andava regolamentato e controllato dallo Stato fin nei minimi particolari e persino con qualche inutile crudeltà.
Dovremmo comprenderlo pienamente in questi giorni in cui lo stupro, cioè il più ignominioso delitto contro il corpo femminile, è diventato il pretesto e il punto di partenza per una campagna razzista che in Italia non ha precedenti.
Il corpo è diventato - piaccia o no - luogo di una battaglia pubblica. La politica della destra lo usa, lo assume, ne fa uno strumento per far passare messaggi, creare emozioni, che in breve diventano ideologie, schieramenti. Di fronte a questo è inutile ritrarsi, come fanno alcuni leader della sinistra, quasi che il corpo evocasse questioni troppo basse e volgari, come se fosse diminutivo della politica che dovrebbe occuparsi invece di cose alte e importanti. Non è così. L'etica, la vita, la morte, le tecnologie, la medicina, la scienza, la religione, la laicità, tutte le questioni sulle quali ormai da alcuni anni si discute anche con animosità e rabbia, hanno come punto di partenza la nostra carne, il corpo di una persona, il corpo di una donna. In questi drammatici giorni, il corpo devastato di Eluana.
Silvio Berlusconi invece lo ha capito bene. Con un istinto che alcuni ritengono geniale, altri delinquenziale, ha compreso immediatamente quanto attraverso il corpo si possa far politica. Lo ha dimostrato in questi anni quando con un'ostinazione che ha sfidato il ridicolo ha cercato di inviare l'immagine del suo corpo, maschio e sempre giovane e potente. E lo ha rifatto in questi giorni quando con un istinto immediato, naturale, quasi selvaggio ha creato un corto circuito fra quel povero corpo, che in una casa di cura di Udine è fra la vita e la morte, e la sua battaglia politica nonché la sua ambizione personale.
Pensiamoci bene. Tutti sanno che l'attuale premier ha due obiettivi: cambiare la Costituzione e diventare presidente della Repubblica. Sono obiettivi ambiziosi e che esigono comunque tempi lunghi. Cambiare la legge fondamentale della Repubblica non è semplice neppure per una maggioranza allineata e compatta come quella berlusconiana. Esige passaggi parlamentari e una battaglia pubblica. Non è detto che, condotta secondo le regole della politica fin qui adottate, porti a risultati immediati, e il premier ha fretta, è impaziente. Serve un'accelerazione, serve una emozione forte, serve un sostegno popolare che sull'onda di quella emozione elimini gli ostacoli, superi le lentezze e i burocratismi. È necessario qualcosa che modifichi un'opinione pubblica forse giustamente dubbiosa, incerta, divisa. Ed ecco che il corpo di Eluana Englaro, da diciassette anni in coma, diventa il centro da cui può irradiarsi quell'emozione che sconvolge le regole, le sovverte e consente che obiettivi concreti, ma lontani, diventino più certi e vicini. Con una mossa che ha stupito molti Silvio Berlusconi si è appropriato del povero corpo di Eluana, arrivando a evocare, la possibilità che esso possa ancora generare, che da esso possa nascere un figlio. Corpo di donna sul quale è normale, naturale, atavico combattere una guerra. Sul quale si può ancora esercitare una impudicizia tutta maschile.
Con una mossa che ha stupito Berlusconi all'improvviso è diventato il difensore di un corpo vivo che altri vogliono morto, il padre che protegge la figlia contro il padre che la respinge, l'uomo che per difendere quel corpo malato è disposto a forzare le regole e magari a sovvertirle. E, ancora, in nome di quel corpo chiede nuove leggi, che gli consentano di agire in fretta, chiede più potere in modo da poter salvare la vita. Ed ecco il corto circuito altrimenti impossibile. Ecco il legame, fra quel corpo di donna che ha cominciato ad andarsene e la battaglia personale, la personale ambizione di un premier. Berlusconi lo ha creato con immediatezza e senza alcun pudore. Da Eluana al cambiamento della Costituzione, dalla clinica di Udine al Quirinale, il passo e il passaggio sono stati immediati. Il premier li ha proposti fra le proteste di alcuni e l'assenso di altri.
E comunque vadano le cose ha già cambiato molto. A questo gli è servito il povero e debole corpo di Eluana.

Repubblica 10.2.09
Patti Lateranensi
Quell’antico dissidio tra Chiesa e Stato
di Agostino Giovagnoli


Dall´84 a oggi sono cresciute nuove problematiche dalla fecondazione all´omosessualità
Ottant´anni fa Mussolini firmava il Concordato Venticinque anni fa Craxi ne sottoscrisse la revisione. Ma la questione è aperta
Ma ora non ci sono più le grandi contrapposizioni ottocentesche
La storia della laicità è stata segnata anche dal dialogo e da comprensione

Ottant´anni fa, l´11 febbraio 1929, Mussolini e Gasparri firmarono i Patti Lateranensi: Concordato, Trattato e Convenzione finanziaria. Venticinque anni fa, il 18 febbraio 1984 Craxi e Casaroli sottoscrissero la revisione di uno di quei Patti, il Concordato. Entrambi questi eventi si inseriscono in una tradizione conflittuale di rapporti tra Stato e Chiesa iniziata con il Risorgimento, che lo strumento pattizio, applicato in modo non sempre perfetto, ha cercato di contenere e che il principio di laicità, inteso in senso sempre più ampio, ha cercato di risolvere. La conflittualità che gli accordi del 1929 e del 1984 hanno cercato di regolamentare appare ormai lontana, ma il principio di laicità non pare oggi godere di ottima salute: tensioni e problemi, infatti, sembrano tornati ad emergere.
L´antico dissidio risorgimentale tra Chiesa e Stato fu risolto quando ormai quella problematica appariva superata: nel 1929 non c´erano più un papa che rivendicasse il potere temporale della Chiesa e un´élite liberale preoccupata di affermare la sua identità. All´ordine del giorno non c´erano più neanche i grandi contrasti legati alle proprietà ecclesiastiche, al passaggio dell´insegnamento nelle mani dello Stato o alle Opere pie che, in precedenza, avevano caricato di un concreto spessore materiale il conflitto tra Chiesa e Stato. Con il nuovo secolo, invece, erano emersi altri problemi: il Novecento è stato il secolo delle masse e, anche tra Stato e Chiesa, principale oggetto del contendere è diventato l´influenza dell´uno o dell´altra sulle masse. Nel ´29, perciò, l´attenzione si concentrò sul Concordato, con le opposte speranze di "cattolicizzare" la società italiana o di "fascistizzarla". Tra i cattolici, solo pochi, come De Gasperi, avvertirono che per conquistare davvero le masse si doveva procedere democraticamente dal basso e non autoritariamente dall´alto: è la strada poi imboccata dall´Italia post-bellica, attraverso il confronto tra partiti di massa espressivi delle principali tradizioni italiane, compresa quella cattolica.
Era inevitabile che i retaggi autoritari e fascisti presenti nei Patti Lateranensi, recepiti dalla Costituzione repubblicana � con il decisivo apporto di Togliatti - per non riaprire antichi conflitti, apparissero sempre più inaccettabili alla crescente sensibilità democratica della società italiana e, nel 1967, anche i partiti di governo � tranne i socialisti - auspicarono una revisione del Concordato. Da allora, però, sono passati ben diciassette anni prima dell´accordo di Villa Madama del 1984, perché i rapporti tra Stato e Chiesa erano entrati, in modo imprevisto, dentro una nuova fase. L´iter di revisione del Concordato fu prima fermato dalla vicenda del divorzio e poi rallentato da quella dell´aborto, da problematiche cioè che riguardano più la vita individuale che quella collettiva, più le scelte personali che quelle politiche. Nel 1984, i grandi partiti di massa � questa volta con un decisivo impulso socialista � si mostrarono ancora abbastanza forti da varare un nuovo Concordato, ma ormai troppo lontani dall´evoluzione della società italiana per affrontare i problemi nuovi che stavano emergendo. Nel 1989, la Corte costituzionale esplicitò la filosofia di quell´accordo elevando la laicità a "principio supremo" della Costituzione, ma, come intuì già allora Pietro Scoppola, il nuovo Concordato chiudeva vecchie questioni senza affrontare le nuove, sempre più difficili da risolvere applicando il principio di laicità in modo tradizionale.
Nei vent´anni successivi, l´Italia ha goduto, almeno apparentemente, di una pace religiosa senza precedenti, ma dal 1984 ad oggi � mentre scomparivano dalla scena i partiti che avevano sostenuto la revisione - sono cresciute prima silenziosamente e poi rumorosamente nuove problematiche, come quelle della fecondazione assistita, dell´atteggiamento verso l´omosessualità, della liceità dell´eutanasia. Negli ultimi anni, da una parte, le prese di posizioni della Chiesa su queste tematiche sono state respinte come insopportabile ingerenza nella vita pubblica, dall´altra i tentativi di contrastarle giudicate inaccettabili limitazioni della libertà di espressione. E´ sembrato così di tornare ad una conflittualità tra Chiesa e Stato che molti consideravano ormai esaurita ma, a ben vedere, non si tratta propriamente di un conflitto tra Chiesa e Stato, almeno in termini tradizionali: non ci sono più, infatti, le grandi contrapposizioni ottocentesche tra due istituzioni o la dura concorrenza novecentesca per influire sulle masse.
Le discussioni riguardano oggi soprattutto questioni etiche, rapporti tra scienza e fede o, persino, concezioni filosofiche e, cioè, problematiche culturali, nel senso ampio del termine, piuttosto che questioni giuridiche, controversie economiche, conflitti politici, anche se pure su questi terreni riemergono talvolta questioni irrisolte. Sono cambiati i soggetti, i temi e i fini del confronto: anche se le persone sono le stesse, più che una contrapposizione tra detentori del potere ecclesiastico e di quello statuale, prevale la discussione tra autorità morali, gruppi sociali, élites intellettuali, individui comuni; l´oggetto del contendere riguarda spesso problemi senza spessore materiale ma di grande rilievo simbolico; i fini su cui ci si divide non toccano più gli interessi della Chiesa e dello Stato ma i comportamenti concreti dei singoli cittadini e così via. E´ il caso, per ricordare l´esempio più noto, della discussione sul valore della vita e sulle sue implicazioni.
Si tratta di un radicale mutamento che rende impossibile affrontare i conflitti in modo tradizionale, attraverso strumenti giuridici come i concordati o ricorrendo al principio di laicità. Sul tema della laicità, negli ultimi tempi sono stati scritti in Italia decine di libri e centinaia di articoli, i cui autori mostrano di sapere di che cosa stanno parlando, ma definire esattamente che cos´è la laicità sta diventando sempre più difficile. Questo principio è nato e si è sviluppato sul terreno dei conflitti istituzionali, intorno all´incompetenza dello Stato in materia religiosa, per sancirne la neutralità nei conflitti, anzitutto, tra Chiese cristiane e, poi, tra movimenti ideologici e formazioni politiche. Oggi, invece, molte discussioni riguardano altre questioni, legate ad un diverso rapporto tra valori religiosi e orientamenti culturali, tra principi etici e comportamenti pratici.
Non si tratta di una questione solo italiana né solo occidentale. In un libro recente (La Sainte Ignorance. Le temps de la religion sans culture, Edition du Seuil), Olivier Roy ha spiegato le attuali difficoltà del principio di laicità, in una Francia sempre più multiculturale, multietnica e multireligiosa, con una tesi originale: sarebbe oggi in atto una crescente divaricazione tra cristianesimo e mondo occidentale, tra Islam e mondo arabo, tra induismo o buddismo e mondo asiatico ecc. La contemporanea diffusione del fondamentalismo e di forme di secolarizzazione sempre più radicali, cioè, rientrerebbe in una più generale tendenza alla divaricazione tra le strade dei credenti e quelle dei non credenti. La storia della laicità, com´è noto, non è stata solo segnata da duri scontri e da dure contrapposizioni, ma anche dal dialogo e da una crescente capacità di comprensione reciproca. Se oggi il dialogo tra credenti e non credenti si interrompe, entrambi rischiano un progressivo impoverimento e, soprattutto, lo rischia tutta la società.

Corriere della Sera 10.2.09
Nei tre volumi dell'opera l'autore concilia irriverenza e autorevolezza: «L'Italia è povera del grande romanzo borghese»
Asor Rosa. La Storia di un eretico ortodosso
La Letteratura come emblema dell'identità nazionale
di Pierluigi Battista


Scrive Alberto Asor Rosa che i «protagonisti privilegiati » di questa sua nuova Storia europea della letteratura italiana (Einaudi) sono gli Autori e le Opere (rigorosamente con le maiuscole). È allora legittimo, tra le tante e più ardue ancora letture possibili, interpretare quest'Opera come la summa del suo Autore. Come lo specchio in cui si riflette la personalità di chi ha attraversato le vicissitudini, gli itinerari, le oscurità di un pezzo importante della storia intellettuale italiana. Come il tentativo, tratto costitutivo e sin quasi ossessivo dell'«asorrosismo», di portare a sintesi gli opposti dell'irriverenza e dell'autorevolezza, della ricerca erratica e della sistematizzazione accademica. Dell'eresia (di sinistra) e dell'ortodossia (di sinistra), audacemente fuse insieme.
Tra i fermenti vitali degli anni Sessanta l'Autore Asor Rosa irrompe come un incendiario nella scena culturale italiana. Con il suo allora sulfureo Scrittori e popolo mette a soqquadro la Tradizione nazionale svelandone il tratto «populista», evidenziandone il sentimentalismo politico che, sotto la patina progressista, maschera un coriaceo conservatorismo in grado di lambire persino la luminosa ed eroica figura del gramscismo. Tra gli eretici della setta operaista, poi, Asor Rosa non disdegna una sua particolarissima eresia fino a privilegiare, tra un'inchiesta sull'«operaio-massa» nelle grandi fabbriche e un inno di Mario Tronti alla classe trasfigurata come «rude razza pagana », una lettura dell'«ambiguità borghese» di Thomas Mann. Sotto la sua lente d'ingrandimento c'è la borghesia, non la classe operaia. C'è il grande romanzo borghese di cui l'Italia è drammaticamente povera. Certo, la dittatura lessicale dell'epoca impone un profluvio di «punti di vista» e «analisi di classe» (operaia). Ma Asor Rosa, eretico tra gli eretici, elegge la Letteratura con la maiuscola come emblema di una riflessione sull'identità italiana, come segno di una storia ancora tutta da indagare: la Storia europea della letteratura italiana nasce da qui. E l'opera monumentale appena pubblicata è il frutto maturo, cresciuto nei decenni, di questa vocazione originaria. Negli anni Settanta Asor Rosa sceglie l'establishment: l'accademia, il Pci, i canoni imperiosi dell'editoria che distribuisce le patenti dell'egemonia culturale. Lo sceglie, ma non se ne fa catturare. Resta in uno stato di sospensione che lo trasforma nel più ortodosso degli eretici, ma contemporaneamente nel più eretico degli ortodossi. Sul piano biografico questa duplicità esplode nel '77, quando su un muro dell'Università di Roma il movimento «indiano » traccia invettive contro il baronale Asor Rosa «palindromo », mentre lo stesso Asor Rosa, e negli stessi giorni, descrive conflitti che possono scoppiare tra le «due società», mettendo in guardia la società dei garantiti dalla rabbia anarcoide di quella degli esclusi. Per capire l'«ambiguità» di Asor Rosa bisogna tener conto della miscela bizzarra che dava il tono culturale a quegli anni: un marxismo pervasivo che si contaminava con i filoni più diversi, dalla psicoanalisi all'antropologia culturale fino alla semiotica e allo strutturalismo. In quella miscela scegliere come oggetto privilegiato di studio una terzina di Dante, un verso di Ariosto o Il principe di Machiavelli era già un'eccentricità. L'Asor Rosa degli anni Settanta aggiunge a questa opzione eccentrica una fedeltà alla storia del tutto estranea alla voga strutturalista, un'attenzione al mondo mentale e sociale che avvolge l'Opera violentandone le pretese di autonomia e di autosufficienza. È quando lo strutturalismo diventa una ventata di gelo che cristallizza la letteratura in un geometrico «tessuto formale », è allora che la passione calda della storia si trasforma in un sentimento eretico.
Per questo, sebbene l'accostamento potrebbe non risultare gradito all'Autore, la frequentazione delle aule romane dove insegna Asor Rosa acquista negli anni Settanta lo stesso sapore di «irregolarità» che si percepisce nelle lezioni di Lucio Colletti e in quelle di Renzo De Felice. Figure diversissime e quasi opposte tra loro, anzi politicamente antagonistiche, che però in comune portano con sé il gusto della lettura libera della storia e del pensiero. Rileggere la letteratura della Controriforma lontano dagli schemi canonici, per esempio, attira su Asor Rosa l'accusa di Carlo Muscetta di deviare l'interpretazione tradizionalmente progressista in una chiave tardo-togliattiana se non filo-gesuitica. Nelle pagine che in quest'Opera Asor Rosa dedica nuovamente all'ideologia controriformistica riecheggia quel clima e si riassapora il piacere di litigare e discutere sull'Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi. Non una controversia erudita e cavillosa, ma il contrasto tra due visioni della storia italiana e della sua storia letteraria in particolare. Da un po' se ne sentiva la mancanza.
È certo però che nelle centinaia e centinaia di pagine che compongono questo opus magnum, traspare l'intenzione ordinatrice, normativa, necessariamente incline alla formazione di una nuova ortodossia, che ogni tentativo di tale portata enciclopedica porta con sé. Non si può mettere in piedi una storia della letteratura italiana che
Dispute
Per l'interpretazione sulla cultura della Controriforma Carlo Muscetta lo accusò di essere «filogesuita». Nell'elenco dei bocciati oggi figura «Il Gattopardo»
spazi dal dolce stilnovo fino ad alcuni dei nostri scrittori contemporanei (ma non Saviano: e che male c'è?), senza un'idea dominante che colleghi il tutto a ogni sua parte. Senza un'idea dell'identità, sfuggente e fragile, ma pur sempre identità che ne sorregga l'impianto: tanto più importante quando, in Italia, è la letteratura ad anticipare virtualmente e nelle forme espressive l'unità nazionale e statale che di questa storia rappresenta cronologicamente solo una porzione, la più recente e quantitativamente meno imponente. Non ci si mette all'Opera senza la pretesa di ricondurre ogni frammento a una totalità. Senza abbandonare l'eresia per mettersi alla ricerca di una nuova ortodossia. Con la tavola dei promossi. E dei bocciati (tra cui ancora Il Gattopardo, e francamente non se ne comprende la ragione).
Ecco perché i tre volumi della Storia europea della letteratura italiana sono lo specchio fedele del suo Autore. Perché alla fine un'ortodossia deve trasmettere una parvenza di ottimismo che disponga ogni sua parte in un ordine che regga e si autoalimenti. Ma traspare pur sempre dalle pagine di Asor Rosa quella nota di pessimismo storico sull'identità italiana che ne scompagina l'armonia. L'approdo dell'Autore è paradossalmente un ritorno alle origini, quando il giovane critico di estrema sinistra partiva all'attacco della Tradizione consacrata. Gli anni dell'establishment e del perbenismo ideologico non ne hanno cancellato la natura. E la cultura.

Liberazione 10.2.09
Israele, il giorno del giudizio
Chi fermerà la marea di destra?
di Stefania Podda


Comunque vada, sarà un disastro. In molti, in Israele, sembrano pensarla così mentre ripassano gli ultimi sondaggi pubblicati venerdì, prima del silenzio elettorale. La vittoria del Likud di Netanyahu non è più così scontata come nelle scorse settimane, Tzipi Livni potrebbe anche farcela, magari di misura, con un paio di seggi a dividere i due principali contendenti. Netanyahu è nervoso, le ultime sortite sono tipiche di chi paventa un nuovo passo indietro dopo un inaspettato ritorno. Sperava nel trionfo a riscattare il crollo di due anni fa, il redivivo Bibi, e invece stasera dovrà patire per un testa a testa. Conta certo, ma a questo punto conta meno dell'unico dato davvero inoppugnabile di queste elezioni altrimenti molto poco interessanti: ossia l'affermazione di Avigdor Lieberman e del suo Yisrael Beiteinu. Se i sondaggi, soprattutto quelli non divulgati che in queste ore circolano nelle sedi dei partiti, verranno confermati, Lieberman sarà il vero vincitore di questa poco appassionante partita elettorale.
Gia nel 2006, stupì e inquietò con il quarto posto, ma allora c'era altro a catalizzare l'attenzione. C'era il nuovo partito Kadima, c'era ancora l'ingombrante assenza di Sharon che quel partito l'aveva voluto, c'era il nuovo Labour di Amir Peretz che prometteva di tornare sui vecchi temi laburisti. Nel volgere di poche settimane, quel governo è riuscito a sbagliare tutto quello che c'era da sbagliare, il premier è stato coinvolto in una serie di scandali giudiziari, di economia e welfare non si è più parlato e Olmert e Peretz si sono lanciati in una guerra contro il Libano che il rapporto ufficiale della commissione Winograd ha definito fallimentare.
Nel frattempo, Lieberman ha fatto sedimentare il consenso e ha allargato la sua base elettorale. Non ha più solo il voto degli immigrati russi di vecchia e nuova generazione, ora il 50 per cento del suo elettorato è trasversale: sono i delusi dei vari partiti, i giovani in cerca di certezze ideologiche, sono gli affezionati all'idea dell'uomo forte che parla chiaro, che fa quello che dice e che salverà Israele.
Risultato, i sondaggi danno Yisrael Beiteinu al terzo posto, a scavalcare quel che resta dei laburisti. Questo significa che, se le previsioni nella distribuzione dei seggi saranno rispettate, sarà Lieberman il king maker della politica israeliana. Due giorni fa, l'editorialista di "Ha'aretz", Gideon Levy, aveva lanciato un accorato appello a salvare la democrazia dall'estremismo della destra. Il fatto che Lieberman sia stato ministro nel governo Olmert era già un pessimo segnale per Levy, ma l'ulteriore salto di qualità con il ruolo di futuro arbitro delle alchimie di governo gli è sembrato inaccettabile, un punto di non ritorno. Ma nessuno dei contendenti di queste elezioni ha risposto all'appello. Nessuno - non Netanyahu, non Livni e nemmeno Barak - potrà fare a meno dei suoi voti quando si tratterà di formare un qualsiasi esecutivo, a meno che non si opti per una grande coalizione. Ma anche in quel caso, Lieberman, come capo dell'opposizione, resterebbe al centro della politica israeliana.
La sua ascesa potrebbe essere determinante per la vittoria di Tzipi Livni, molti dei voti di Yisrael Beiteinu pescano nel naturale bacino elettorale del Likud. Sino a ieri Netanyahu aveva mantenuto un basso profilo su questa rivalità, promettendo anzi al suo antagonista a destra, un «ministero molto importante». Ma ieri, alla vigilia del voto, il sito del Likud ha sferrato un attacco durissimo, tirando in ballo tutto: il ruolo di ministro nel governo Olmert, il curriculum poco brillante dei suoi candidati, e persino le voci sull'oscuro passato di Lieberman, sino a adombrare l'ipotesi di un presunto legame con l'uomo d'affari austriaco Martin Schlaff presentato come "l'ex socio di affari di Yasser Arafat nel casinò di Gerico". Manca solo l'accusa di essere la lunga mano della mafia russa in Israele, ma per il resto l'articolo è emblematico della paura del Likud.
E' stato detto che il voto dei russi sarà determinante, ma lo sarà altrettanto il voto o il non voto degli arabo-israeliani, un milione e mezzo di cittadini su una popolazione complessiva di 7,3 milioni di persone, il 25 per cento dell'elettorato. Lo status dei cittadini arabo-israeliani è stato uno dei pochi temi di questa campagna elettorale. Nel clima pesante creatosi con l'operazione "Piombo fuso", si è cercato di mettere al bando i due partiti arabi presenti alla Knesset, Ra'am-Ta'al e Balad. Il tentativo non è riuscito ma Lieberman ha centrato la sua campagna elettorale su un messaggio: non ci si può fidare degli arabi. Da qui, la richiesta di un «giuramento di fedeltà alla natura ebraica e sionista dello Stato di Israele». Le liste arabe sono divise tra l'ipotesi di boicottare il voto e quella di andare in massa alle urne. Ahmed Tibi di Ta'al è convinto che sia l'astensione il male maggiore: «Il mio messaggio è andate a votare. Essere alla Knesset significa dare legittimità alla minoranza araba». Diversa la posizione di Muhammad Kanàaneh, segretario del Balad e favorevole al boicottaggio. Per lui, esserci o non esserci a questo punto conta poco.

Liberazione 10.2.09
«L'offensiva nella Striscia ha devastato la sinistra»
Requiem per il partito laburista
di Alluf Ben


La storica formazione rischia quasi la scomparsa. Colpa di una linea politica indefinita e subalterna

I laburisti avanzano a grandi passi verso l'estinzione del loro ruolo storico e verso la propria scomparsa dalla scena politica israeliana. D'altra parte e trattative in corso tra Tzipi Livni (Kadima) e Barak avevano già messo il partito di fronte ad una alternativa impossibile, forzandolo a scegleire tra il suicidio e la pena di morte. Se avessero integrato il governo che Livni voleva formare sarebbero stati infatti assorbiti da Kadima. Ma avendo rifiutato l'abbraccio di Livni, oggi rischiano di essere puniti dai propri elettori che li accusano di aver riportato il Likud al potere. Il problema è che i laburisti ormai non hanno più una linea politica che possa essere riconosciuta dall'opinione pubblica e in cui nessuno più si identifica. Kadima gli ha rubato la combinazione fermezza militare-moderazione politica. Così da un lato Kadima viene percepita come il partito dei negoziati con i palestinesi di fronte a un Likud che si oppone chiramente al processo di pace. L'intervista concessa da Olmert lo scorso 29 settembre al quotidiano Yediot Aharonot in cui il premier evoca un ritiro israeliano da tutti i Territori occupati, si spinge molto più in là di qualsiasi dichiarazione pronunciata da un dirigente laburista. Nemmeno il più sofisticato dei microscopi potrebbe oggi individuare le sfumature ideologiche tra Kadima e il partito laburista. In cosa Olmert, Livni, Haim Ramon e Meir Sheetrit si differenziano da Barak, Benjamin Ben-Eliezer, Yitzhak Herzog e Ami Ayalon? Il mapatz gadol (bing bang) che Ariel Sharon aveva scatenato nel 2005 creando il partito Kadima dopo aver abbandonato il Likud, a priori doveva colpire al cuore i suoi ex compagni. Nelle legislative del 2006 il Likud ha in effetti subito un colpo durissimo, passando da 38 a 12 seggi (sui 120 totali alla Knesset). Eppure, a posteriori, è accaduto esattamente il contrario. Riposizionandosi su un discorso classico della destra israeliana, in questi due anni e mezzo di opposizione, il Likud si è rifatto una salute, mentre i laburisti hanno continuato a perdere consensi. Come un virus mortale, Kadima ha semplicemente succhiato linfa vitale agli ex alleati della coalizione, assorbendo il suo programma politico e securitario, il suo sistema elettorale basato sulle primarie, la difesa dei diritti delle donne e soprattutto il suo elettorato. Gli ashkenaziti (i discendenti degli ebrei dell'Europa centrale) e le classi benestanti hanno peraltro lasciato in massa il partito laburista quando Amir Peretz (sindacalista sefardita di origine marocchina) è diventato segretario, si sono gettati nelle braccia di Kadima e non sembrano avere alcuna intenzione di ritornare alla casa madre. Come è stato possibile -si chiedono in molti- che Kadima, un partito del tutto artificiale fondato da dei transfughi, sia stato in grado di appropriarsi dell'eredità politica dei laburisti dopo tutto quello che questi ultimi hanno fatto per la costruzione dello stato d'Israele? Certo, c'è chi è convinto che prima o poi gli elettori torneranno alle proprie radici. Dopo tutto -sostengono costoro- i laburisti sono riusciti a sopravvivere al Dash (il partito centrista la cui vittoria aveva accelerato l'arrivo al potere del Likud di Menahem Begin nel 1977) e sopravviveranno anche a Kadima. E' possibile, ma non si può ignorare che tutti i sondaggi indicano che i laburisti finiranno sicuramente ai margini della vita politica israeliana. I partiti politici poi non sono eterni. Chi si ricorda dei Sionisti generali (i liberal-conservatori del futuro presidente Haim Weizmann) che si presentarono un'alternativa "civile" al Mapai (partito operaio israeliano) di David Ben Gurion poco prima della creazione dello Stato di Israele? E chi si rammenta del Mapam (partito operaio unificato, di ispirazione sionista e marxisteggiante) rampa di lancio dei kibbutzim, della colonizzazione agricola, del socialismo e della fratellanza internazionale? Dopo aver giocato un ruolo storico essenziale, questi partiti si sono fatti assorbire uno dopo l'altro da altre formazioni. In Gran Bretagna nel 19esimo secolo i liberali hanno svolto il ruolo di principale partito della sinistra di fronte ai conservatori. Ma anche loro alla fine sono scomparsi. Drante le elezioni del 1923, il dirigente liberale Henry Asquith, piuttosto che allearsi con i conservatori preferì far governare il giovane e inesperto Labour party, pensando che il partito liberale avrebbe recuperato in fretta i suoi ex elettori. Ma, anche se perse rapidamente il potere, il Labour riuscì nondimeno a conservare i vecchi elettori del partito liberale che venne emarginato definitivamente dal panorama politico britannico. In Israele sembra proprio questa la sorte a cui è destinato il partito laburista di Ehud Barak.

Liberazione 10.2.09
Caro Gennaro, fai una scissione
e proponi una lista unitaria?
di Claudio Grassi


Caro Gennaro mi contesti di aver scritto cose non vere relativamente ai progetti del Movimento per la Sinistra.
Penso proprio di no. Intanto c'è un punto su cui non replichi: perché nel Congresso non avete detto chiaramente che il vostro progetto politico era lo scioglimento di Rifondazione Comunista? E perché non avete chiarito che se la vostra mozione perdeva uscivate dal Partito? Anzi, quando queste due tesi vi venivano attribuite, le avete respinte definendole calunniose! E' stato serio e onesto nascondere agli iscritti il vostro vero progetto politico?
Sostieni che il Movimento per la Sinistra non è un Partito e che non si presenta come concorrente al Prc e che avanza una proposta unitaria - il cartello - a cui noi non avremmo dato risposta. La risposta l'abbiamo data: siamo contrari ad una riedizione dell'Arcobaleno. Non ha nessuna credibilità una lista che è già stata sconfitta nell'aprile scorso e i cui eletti - a dimostrazione di divergenze tutt'altro che trascurabili che ci sono tra di loro - si dividerebbero un minuto dopo le elezioni in tre gruppi diversi del Parlamento europeo. Ma poi, caro Gennaro, ti sembra serio proporre a Rifondazione Comunista contro la quale stai facendo una scissione una lista unitaria? Non ti pare che un elettore medio potrebbe pensare: «ma guarda questi si scannano su tutto, si mettono assieme per avere un posto al Parlamento e poi si ridividono di nuovo!».
In merito all'adesione al socialismo europeo e ai rapporti con il Partito democratico mi sono limitato a registrare fatti politici che sono due: da tempo avete una interlocuzione forte con i compagni di Sinistra democratica i cui eletti attuali e - presumo - futuri, sono aderenti al Gruppo Socialista Europeo di Strasburgo, inoltre tutti abbiamo letto le dichiarazioni - che nemmeno tu smentisci - di Rina Gagliardi, Alfonso Gianni e altri che, non solo auspicano una rottura del Pd, ma, qualora si determinasse, sarebbero pronti ad aderirvi.
Infine tu dici che staremmo lavorando per una ipotesi meramente identitaria. Non è vero e tu lo sai bene. Stiamo cercando di rilanciare Rifondazione Comunista gravemente indebolita negli ultimi anni da una gestione maggioritaria che ha emarginato le minoranze (41% al Congresso di Venezia), da una analisi totalmente sbagliata della fase che ci ha portato dentro un Governo con slogan deliranti tipo "vuoi vedere che l'Italia cambia davvero" e "anche i ricchi piangano" e, oggi, da una ennesima scissione. Cercheremo di costruire una lista aperta ai movimenti e a tutte le soggettività politiche interessate - comunista e anticapitalista - che abbia come minimo comune denominatore la adesione al Gue del Parlamento Europeo.
Non ho cambiato idea sulla democrazia, caro Gennaro, ma cosa c'entra con l'odg votato alla Camera di cui tu parli? Esso è stato fatto, sulla base delle vostre esigenze, per consentire - Mps e Sinistra Democratica - di partecipare alle elezioni senza raccogliere le firme. Ci sarà un motivo se tutti i giornali lo hanno chiamato salva-Vendola!