domenica 15 febbraio 2009

l’Unità 15.2.09
Il senatore Pd al convegno radicale. Rodotà: una legge truffa. Bonino: l’Italia con Englaro
Dorina Bianchi:sarebbe un grave errore andare al voto. Turco: battaglia in Parlamento
Bioetica, lo stop di Marino: referendum se passa la legge
di Jolanda Bufalini


È gremito il Piccolo Eliseo per il convegno radicale «Menzogne e verità sul caso Englaro». Tanti i parlamentari del Pd. Rodotà: «Non c’è un vuoto normativo da colmare, in discussione una legge truffa».
Quando arriva Ignazio Marino, Stefano Rodotà ha appena iniziato il suo intervento. Viene interrotto dall’assemblea per un lungo applauso di saluto al senatore, il chirurgo dei trapianti, diventato personaggio simbolo della battaglia per la libertà di cura. La sala del “Piccolo Eliseo”, dove si svolge il convegno “Menzogne e verità su Englaro, Coscioni, Welby” organizzato da radio radicale, è colma: sul fondo la gente sta in piedi, la galleria si riempie rapidamente. Nel parterre e sul palco tanti esponenti Pd: da Franca Chiaromonte a Paola Concia, da Furio Colombo a Luigi Manconi. C’è anche, ed interviene, il radicale “berlusconiano” Benedetto Della Vedova.
La denuncia, attraverso gli spezzoni di Tg e “Porta a porta”, è quella dell’accanimento mediatico sul corpo di Eluana. La proposta, che è anche appello al Pd, è di mobilitazione subito contro il disegno di legge Calabrò. «Sono abbastanza vecchio per poter affermare che è una legge truffa - dice Stefano Rodotà - che nega i diritti della persona e rende lo Stato arbitro della vita e della morte». Emma Bonino: «I sondaggi dicono che la stragranze maggioranza del paese è con Beppino Englaro, ma se non ci si muove subito rischiamo di trovarci con una pessima legge approvata in tre settimane». E il professor Marino elenca ad uno ad uno gli impedimenti che quel testo di legge frappone alla possibilità di autodeterminazione: «Parlano di acqua e cibo. E allora perché non anche di aria, visto che c’è la ventilazione artificiale? La nutrizione e l’idratazione artificiale le prescrive il medico, non il cuoco».
Ogni tre anni
La dichiarazione prevista dalla legge Calabrò dovrebbe essere rinnovata ogni tre anni, presso un notaio che dovrebbe farlo gratuitamente - ma i notai non sono stati consultati - l’interessato dovrebbe andare dal notaio con il medico di famiglia e il fiduciario. «Immaginate questo iter moltiplicato per migliaia di persone?». Ma, aggiunge Marino, «non basta, perché tutto questo non è vincolante». E dunque? Marino getta il sasso nello stagno rispondendo alle domande a margine del convegno: «Faremo di tutto per modificare quella legge ma se passasse così com’è e i radicali decidessero una campagna referendaria io sarei d’accordo». Ai parlamentari radicali, del resto, Marino aveva appena riconosciuto «lealtà e trasparenza» dal palco dell’Eliseo.
La proposta referendaria, però, non trova grandi sponde. Nel Pd Livia Turco è possibilista: «Ritengo che la battaglia in parlamento non sia persa e che sia ragionevole andare avanti e non darsi per vinti. ma in caso contrario», ovvero se il disegno di legge sul testamento biologico «portasse a un arretramento, allora il referendum sarebbe uno strumento altrettanto ragionevole».
Dorina Bianchi che, fra le polemiche, ha assunto al posto di Marino la carica di presidente del gruppo in commissione sanità, al Senato, approfitta subito dell’occasione per distinguersi: «Sarebbe un grave errore».
Ma che parlare di referendum sia almeno prematuro lo pensa anche Rosy Bindi: «Parlarne ora è un regalo a chi non vuole fare la fatica di definire una buona legge sul fine vita». «Il Pd - rileva Bindi - non può sottrarsi alla responsabilità di lavorare ad un testo che sia il più possibile condiviso e non credo voglia lasciare alla sola maggioranza l'onere di legiferare, tanto più in materie così complesse e delicate».
favorevoli e contrari
«Si deve lavorare perché la legge non sia questa», dice anche Fiorenza Bassoli, la senatrice che non ha voluto votare per la nuova presidente della commissione sanità. E perplessità esprime anche Stefano Rodotà, che pure denuncia «la regressione culturale impressionante. Per il dialogo - dice ci vuole una lingua comune che si basa sul rispetto concreto della legalità e della Costituzione, che non sono feticci da omaggiare».
Il sì all’ipotesi di referendum arriva, invece, da Claudio Fava, (Sinistra democratica): «Restiamo ancora una volta stupefatti di fronte all'ostinazione con cui il Pd riesce a dividersi perfino su una scelta di elementare decenza come quella di sottoporre al giudizio degli elettori una pessima legge».

Repubblica 15.2.09
"Referendum sul testamento biologico", la proposta Marino divide il Pd
Fine-vita, Marino infiamma i laici "Referendum se passa il testo Pdl"
Annuncio dai Radicali. Bindi: un regalo agli integralisti
Ovazione per l’ex capogruppo nella commissione che discute il testa-mento biologico
di Carmelo Lopapa


ROMA - Referendum, se la proposta del Pdl sul testamento biologico diventerà legge. L´annuncio di Ignazio Marino, cattolico e senatore Pd, irrompe nel dibattito già caldo sul fine-vita e surriscalda, entusiasma la platea radicale prescelta, forse non a caso, per lanciare la mobilitazione. D´altronde, in Parlamento i numeri sono quelli che sono e l´attenzione si sposta già al dopo. E se i tribuni della maggioranza accettano la sfida, sicuri di spuntarla, autorevoli cattolici del Pd - da Enrico Letta a Rosy Bindi a Dorina Bianchi - bocciano la soluzione. Proprio la Bianchi, neo capogruppo in commissione Sanità, subentrata non senza polemiche proprio a Marino, parla di «grave errore».
Centinaia di persone, qualcuno dice mille, comunque tante per un convegno organizzato su due piedi il sabato mattina da Radio Radicale in un teatro romano. Alle spalle, la settimana segnata dall´epilogo tragico del caso Eluana. Si parla di "Menzogne e verità su eutanasia, Coscioni, Welby, Englaro". Il neurologo di Eluana Carlo Alberto Defanti e Mina Welby, intellettuali come Stefano Rodotà e parlamentari laici. Benedetto Della Vedova, unico Pdl (ex radicale), spera ancora che «il premier torni moderato, dopo che ha ceduto a pressioni». C´è soprattutto tanta gente comune. A metà mattinata entra Ignazio Marino ed è standing ovation, la stessa che lo accompagnerà a fine intervento. E sa tanto di onore delle armi dopo il passaggio di testimone da capogruppo Pd in commissione Sanità con strascichi polemici. «Il mio impegno proseguirà con forza», rassicura. Ringrazia i radicali «perché sono sempre stati trasparenti e leali molto più di tanti altri», in barba a chi li vorrebbe fuori dal gruppo democratico. Ripete che il ddl Calabrò del centrodestra sul testamento biologico è un attacco «alla libertà di scelta sancita dalla nostra Costituzione». Sfoggia cifre che lasciano di sasso la platea: «Ma ci pensate? Stando alla legge, ognuno deve depositare il testamento dal notaio accompagnato dal medico di famiglia. Ora, ogni medico ha circa 1.500 pazienti. Se anche solo un terzo decidesse di fare testamento, dovrebbe accompagnarne 500 dal notaio. In un anno, escludendo i festivi, farebbe quattro volte al giorno. E se un terzo degli italiani volesse depositare le proprie disposizioni, ciascuno dei 4.729 notai dovrebbe redigere in media 100 mila». Dunque, «se non saranno recepiti emendamenti, allora ci batteremo perché questa legge venga cancellata». Emma Bonino accetta e lancia un appello al Pd, affinché si mobiliti, consapevole delle difficoltà: «Sarà come per il referendum sulla legge 40, assisteremo allo schieramento di parrocchie e tg». Furio Colombro, deputato Pd, alza il tono contro le gerarchie d´Oltretevere, «il loro è stato un intervento aggressivo» e «un insulto» la critica al capo dello Stato. Per Rodotà questa è «una legge truffa».
Trascorrono poche ore e l´annuncio di Marino viene stroncato da una parte del Pd. La Bianchi parla di «grave errore: spostare l´attenzione dalle Camere alle piazze significa alimentare uno scontro fra due radicalismi». Strategia sbagliata anche secondo la Bindi: «È un regalo a chi non vuole fare una legge buona e condivisa, guai a cercare rivincita dopo la legge 40». E Letta: «Occorrono convergenze, senza spirito di crociata». Si spacca anche la sinistra: dice sì Claudio Fava di Sd, non la giudica la via migliore, invece, il segretario del Prc Paolo Ferrero. Referendum? Si faccia pure, ribattono dal Pdl. Il relatore Raffaele Calabrò difende la sua «creatura», Eugenia Roccella, sottosegretario e alfiere del Family Day, pronostica «un´altra grande sconfitta per il Pd, come per la legge 40». Insomma, chiosa Gaetano Quagliarello, la consultazione «non ci spaventa». E monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la vita, che nei giorni scorsi aveva giudicato una buona mediazione la proposta della maggioranza, ora avverte: «L´istanza cattolica non può essere né emarginata né data per ovvia». In serata, in risposta alle critiche, Marino assicura che in Senato saranno moltiplicati gli sforzi per «modificare il ddl della destra», fermo restando il ricorso all´arma finale referendaria se le modifiche non saranno accolte.

Repubblica 15.2.09
La Chiesa del dogma in conflitto con lo Stato
di Eugenio Scalfari


VOGLIO oggi intervenire ancora una volta sul tema della nostra Costituzione e dei rapporti tra di essa e la Chiesa cattolica. Cioè, per essere ancora più concreti e per delimitare con precisione l´argomento, tra lo Stato repubblicano e costituzionale e la Santa Sede e gli organi gerarchici che da lei dipendono.
Si tratta d´un tema di permanente attualità; infatti ha connotato gran parte della vita pubblica italiana, sia durante la monarchia sia durante la Repubblica, attraverso le varie fasi susseguitesi in centocinquant´anni di storia: il periodo liberale, il regime fascista, il quarantennio democristiano e infine gli ultimi quindici anni a partire dal 1992, la fase di transizione tuttora in corso che ci porterà non sappiamo dove, una terra incognita resa ancora più incerta a causa della profonda crisi economica che sta squilibrando gli assetti sociali del mondo intero.
Altre persone qualificate si sono cimentate su quest´argomento. Ne cito alcune: Gustavo Zagrebelsky anzitutto, ed anche Schiavone, Prosperi, Magris, Rodotà, Mancuso. Il caso Englaro con tutto il carico di drammaticità e di umanità sofferente di cui era pervaso, ha sottolineato l´attualità del tema rendendolo ancora più palpitante e alzando i toni d´un conflitto che sembrava di natura soltanto intellettuale ed accademica e che coinvolge invece sentimenti universali come la sofferenza e la pietà. Il rapporto tra una Costituzione liberal-democratica e la Chiesa chiama in causa quello tra la fede e la ragione, tra l´etica promanante dalla religione e la libertà di ciascuno. Infine tra la verità assoluta e quella relativa. Non c´è posto per l´indifferenza.
Margini per compromessi pragmatici esistono ed è bene che siano esplorati, ma sono esigui perché mettono in gioco principi e valori che non possono essere imposti né con la spada né con la dittatura delle maggioranze. Il tema dunque è di rilievo e non eludibile.
* * *
Quali sono i pilastri che sorreggono l´architettura d´una Costituzione liberal-democratica? si è chiesto nel suo intervento sul nostro giornale Gustavo Zagrebelsky. Ed ha risposto: il diritto di tutte le opinioni a confrontarsi, la garanzia di poter esercitare i diritti di libertà, l´eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge senza alcuna eccezione. Questa è ciò che noi chiamiamo la legalità costituzionale e che lo Stato deve garantire e tutelare.
In questa visione è escluso per definizione che lo Stato possa avere un qualsiasi contenuto etico, cioè la realizzazione di un valore come propria finalità. Salvo uno: il valore cui deve tendere uno Stato liberal - democratico è appunto e soltanto quello di realizzare i principi sopra indicati. Ogni altro valore gli è estraneo; se mette in causa quei principi fondativi gli diventa avversario e al limite nemico.
Si pone a questo punto la questione se gli sia estranea, avversaria o addirittura nemica la Chiesa cattolica. La risposta è il riconoscimento dell´estraneità. Lo Stato liberal-democratico e la Chiesa cattolica sono due entità (come del resto recita lo stesso Concordato) che non si incontrano: operano su piani diversi, si muovono su linee parallele all´infinito che non potranno mai convergere se non su obiettivi specifici e delimitati.
Si può chiedere a questo punto perché io abbia ristretto il tema alla Chiesa cattolica e non consideri alla stessa stregua le altre chiese e le altre religioni. La risposta è semplice: la Chiesa cattolica è la sola che disponga di una struttura di potere e di gerarchia. Nessuna delle altre confessioni cristiane dispone di strutture gerarchiche e centralizzate, nessuna delle altre religioni storiche si è data un assetto politico.
è accaduto in qualche caso che uno Stato si sia identificato con una religione e per conseguenza che una religione abbia occupato uno Stato dando vita ad un regime teocratico. Quando e laddove questo è accaduto le sembianze e la natura dello Stato hanno inevitabilmente assunto fisionomia integralista, fondamentalista, totalitaria. I cittadini si sono trasformati in fedeli. Anche la religione si è trasformata: da movimento spirituale e partecipato è diventata una struttura di potere. I dissenzienti sono stati considerati non soltanto eretici rispetto all´ortodossia religiosa ma ribelli rispetto allo Stato teocratico.
Queste sono le ragioni per le quali gli spiriti religiosi più consapevoli considerano il potere temporale della Chiesa cattolica come una devianza molto grave con l´effetto inevitabile di allontanare la Chiesa dal messaggio cristiano e dalla predicazione di Gesù trasmessa dai Vangeli: «Il mio regno non è di questo mondo» questa affermazione ricorre con frequenza in tutti i Vangeli, negli Atti, nelle lettere di Paolo alle prime comunità, nella tradizione patristica e in tutto il pensiero cristiano.
Purtroppo la struttura gerarchica della Chiesa di Roma assunse fin dal III secolo la dimensione temporalistica come indispensabile garanzia della propria libertà. Da quel momento la prassi si discostò dall´affermazione di Cristo che puntava sul regno extraterreno disinteressandosi ed anzi rinunciando a qualsiasi tentazione di regno mondano.
Rimase l´altra affermazione di natura però assai diversa: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Qui l´estraneità delle due sfere è simultanea e lascia quindi ampie zone di reciproca interferenza specie quando lo Stato può riempirsi di contenuti etici e la Chiesa di contenuti temporalistici.
Questa situazione, dove le due parallele si incontrano, è all´origine di conflitti drammatici durati secoli, anzi millenni. Con un aspetto tuttavia positivo che è d´obbligo ricordare: la Chiesa cattolica è stata contaminata (nel senso positivo del termine) dalla modernità così come lo Stato è stato a sua volta contaminato dai principi dell´amore e della solidarietà.
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Il Concilio Vaticano II fu il momento più alto di questa contaminazione.
Dopo di allora ha avuto inizio un movimento di riflusso dapprima quasi impercettibile ed ora sempre più evidente, culminato pochi giorni fa con il rientro del movimento lefebvriano nella Chiesa di Roma. Un particolare, ma con valenze simboliche, liturgiche e dottrinali che non possono esser sottovalutate.
è vero, questi problemi riguardano soprattutto il clero e il laicato cattolico. Soprattutto, ma non esclusivamente. Il riflusso rispetto al Vaticano II si accompagna al risorgere di una visione temporalistica della Chiesa che non ha più come obiettivo il possesso e il governo d´uno spazio territoriale, di un regno terrestre da affiancare al regno celeste.
Il temporalismo attuale ha l´obiettivo di trasformare ovunque sia possibile (e quindi specialmente in Italia, giardino del Papa per storica definizione) il peccato in delitto, il precetto dottrinale in norma, la legge divina in diritto positivo, l´etica religiosa in etica pubblica, con la conseguenza di imporre ai cittadini comportamenti ed obblighi non condivisi.
Il terreno sul quale questo riflusso temporale pesa con maggior forza è quello della bioetica, della vita e della morte. Qui lo spazio pubblico del quale la Chiesa gode legittimamente si sta trasformando in un´arena di scontro nella quale la gerarchia episcopale e curiale guida i fedeli ad una battaglia che ha addirittura coinvolto il Capo dello Stato.
Chi crede nell´immortalità dell´anima e nella beatitudine suprema che ristora le anime nel regno celeste e bandisce vere e proprie crociate per conservare una persona che non ha più nulla di quella che fu, commette un peccato mortale contro la vita, tanto più quando si tratti di vescovi, di cardinali e perfino del capo della Chiesa di Roma.
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Il laicato cattolico non ha dato fin qui segnali rilevanti di preoccupazione per quanto sta accadendo nella sua Chiesa. Per quel che se ne sa segnali di disagio e di dissenso sono venuti piuttosto da vescovi e cardinali non italiani e da una parte non disprezzabile del clero italiano. Da alcune comunità locali e da alcune località di rilievo nazionale ed internazionale.
Qualche segno di disagio è venuto anche da alcuni settori di cattolici direttamente impegnati in politica. Soprattutto nel Partito democratico, dove sono confluiti un anno fa gran parte degli ex popolari. I giornali hanno dato notevole rilievo ai parlamentari cattolici del Partito democratico che hanno votato in favore del disegno di legge governativo sul caso Englaro.
è giusto, ma non tanto per il dissenso con il proprio partito quanto per il fatto che quel disegno di legge impone un comportamento e impedisce l´esercizio d´una libera scelta, cosa che un parlamentare democratico dovrebbe rifiutare in forza della propria coerenza politica. Ma il fatto che ha avuto in quella circostanza un´importanza almeno pari se non addirittura maggiore è stato a mio avviso il voto dato da parlamentari cattolici in dissenso con il messaggio tambureggiante lanciato dalla Chiesa.
Il tema comunque si riproporrà tra poco, quando sarà affrontata dal Parlamento la legge sul testamento biologico. è chiaro a tutti che su tali argomenti non può esistere una disciplina di partito, ma è altrettanto chiaro che un partito ha il diritto-dovere di esprimere pubblicamente l´atteggiamento della maggioranza dei propri aderenti.
Il test che avremo sotto gli occhi in questa occasione non riguarda dunque il dissenso dei cattolici politicamente impegnati rispetto ai partiti nei quali hanno deciso di militare, ma il loro eventuale dissenso nei confronti del temporalismo cattolico, del distacco cattolico dal Concilio Vaticano II, della regressione dogmatica della gerarchia.
Questo sarà il test cui saranno chiamati. La risposta che daranno sarà molto importante per l´evoluzione o l´involuzione della democrazia italiana e della Chiesa.

Repubblica 15.2.09
La nuova legge truffa
di Stefano Rodotà


Torna un´espressione che sembrava confinata nel passato - "legge truffa". Ed è giusto che si dica così, perché non altrimenti può essere definito il testo preparato dalla maggioranza per introdurre nel nostro sistema le "direttive anticipate di trattamento" (o testamento biologico) e che, in concreto, ha l´opposto obiettivo di cancellare ogni rilevanza della volontà delle persone.
Non solo per quanto riguarda il morire, ma incidendo più in generale sulla possibilità stessa di governare liberamente la propria vita. Poiché, tuttavia, si discute di fondamenti, appunto dello statuto della persona e del rapporto tra la vita e le regole giuridiche, bisogna almeno fare un tentativo di andar oltre la rozzezza delle argomentazioni che ci hanno afflitto in queste difficili settimane e che rischiano di trascinarsi anche nell´immediato futuro.
Due ammonimenti dovrebbero guidare chi si accinge a legiferare sulla dignità del morire. Il primo viene da un grande giudice americano, Oliver Wendell Holmes: "Hard cases make bad laws", i casi difficili producono leggi cattive. Questa affermazione lapidaria è stata variamente interpretata e discussa, ma se ne può cogliere il nocciolo nell´invito a separare la legge dall´occasione, la creazione di una norma destinata a durare dall´emozione di un momento. Rischia di accadere il contrario. L´ossessione della turbolegge (ieri in tre giorni, oggi in tre settimane) possiede la maggioranza e frastorna il Pd. Non riflessione pacata, ma frettolosa imposizione di norme incuranti della loro coerenza interna e, soprattutto, della loro conformità alla Costituzione.
Il secondo ammonimento è nell´alta riflessione di Michel de Montaigne: "La vita è un movimento ineguale, irregolare, multiforme". Quest´intima sua natura fa sì che la vita appaia come irriducibile ad un carattere proprio del diritto: il dover essere eguale, regolare, uniforme. Da qui, da quest´antico conflitto, nascono le difficoltà che oggi registriamo, più intense di quelle del passato perché l´innovazione scientifica e tecnologica fa progressivamente venir meno le barriere che le leggi naturali ponevano alla libertà di scelta sul modo di nascere, vivere, di morire. L´occhio del giurista, e del politico, deve registrare questa difficoltà, e cogliere le novità del quadro. Da una parte, l´impossibilità di continuare ad usare il diritto secondo gli schemi semplici del passato, pena la sua inefficacia, la sua riduzione a puro strumento autoritario, la perdita di legittimazione sociale. E, dall´altra, l´ampliarsi delle possibilità di scelta che appartengono alla libertà individuale, che riguardano solo la propria vita, e che per ciò non possono essere sacrificate da mosse autoritarie, da imposizioni ideologiche, senza violare l´eguale libertà di coscienza.
La legge, dunque, deve abbandonare la pretesa di impadronirsi d´un oggetto così mobile, sfaccettato, legato all´irriducibile unicità di ciascuno - la vita, appunto. Quando ciò è avvenuto, libertà e umanità sono state sacrificate e gli ordinamenti giuridici hanno conosciuto una inquietante perversione. Non a caso "la rivoluzione del consenso informato" nasce come reazione alla pretesa della politica e della medicina di impadronirsi del corpo delle persone, che ha avuto nell´esperienza nazista la sua manifestazione più brutale. L´autoritarismo non si addice alla vita, né nelle sue forme aggressive, né in quelle "protettive". Riconoscere l´autonomia d´ogni persona, allora, non significa indulgere a derive individualistiche, ma disegnare un sistema di regole che mettano ciascuno nella condizione di poter decidere liberamente. Non a caso, riflettendo proprio sul consenso informato, si è detto che questo strumento, sottraendo il corpo della persona alle pretese dello Stato e al potere del medico, aveva fatto nascere "un nuovo soggetto morale".
Se il testo sul testamento biologico proposto dalla maggioranza dovesse diventare legge, sarebbe proprio questo soggetto a scomparire. Ma qui s´incontra un altro, e ineludibile, ammonimento, l´articolo 32 della Costituzione. Ricordiamone le ultime parole: "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". è, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall´articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell´articolo 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell´esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all´indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell´interessato.
Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus, ad una autolimitazione del potere. Viene ribadita, con forza moltiplicata, l´antica promessa che il re, nella Magna Charta, fa ad ogni "uomo libero": "Non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese". Il corpo intoccabile diviene presidio di una persona umana alla quale "in nessun caso" si può mancare di rispetto. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, ha rinnovato la sua promessa di intoccabilità a tutti i cittadini.
La proposta della maggioranza si allontana proprio da questo cammino costituzionale. Nega la libertà di decisione della persona, riporta il suo corpo sotto il potere del medico, fa divenire lo Stato l´arbitro delle modalità del vivere e del morire. Le "direttive anticipate di trattamento", di cui si parla nel titolo, non sono affatto direttive, ma indicazioni che il medico può tranquillamente ignorare, con un grottesco contrasto tra la minuziosità burocratica della procedura per la manifestazione della volontà dell´interessato e la mancanza di forza vincolante di questa dichiarazione, degradata a "orientamento". La libertà della persona viene ulteriormente limitata dalle norme che indicano trattamenti ai quali non si può rinunciare e, più in generale, da norme che vietano al medico di eseguire la volontà del paziente, anche quando questi sia del tutto cosciente.
Tutto questo ha la sua origine in una premessa che altera gravemente il quadro costituzionale, poiché si afferma che "la Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile". Ora, se è ovvio che nessuno può disporre della vita altrui, altrettanto ovvio dovrebbe essere il principio che vuole ogni persona libera di rifiutare la cura, qualsiasi cura, disponendo così della sua vita. Proprio questo diritto viene illegittimamente negato quando si vieta al medico "la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente". Conosciamo, infatti, infiniti casi in cui persone hanno rifiutato interventi sicuramente benefici - dalla dialisi, alla trasfusione di sangue, all´amputazione di un arto - decidendo così di morire. Si introduce così un "obbligo di vivere", che contrasta proprio con i diritti fondamentali della persona.
è abusivo anche il divieto di rifiutare l´alimentazione e l´idratazione, definite "forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze", con una inquietante deriva verso una "scienza di Stato". Quella affermazione, infatti, è quasi unanimemente contestata dalla scienza medica, sì che un legislatore rispettoso davvero dei diritti delle persone dovrebbe, se mai, limitarsi a prevedere modalità informative tali da mettere ciascuno in condizione di valutare e decidere liberamente, davvero in "scienza e coscienza": ma, appunto, scienza e coscienza della persona, non del medico o di un legislatore invasivo. E si tratta pure di una affermazione puramente ideologica, che ha come unico fine quello di continuare a gettare un´ombra sulla conclusione della vicenda di Eluana Englaro. Inoltre, dietro il nominalismo della distinzione tra "trattamento" e "sostegno", si coglie la volontà di aggirare l´articolo 32, dove l´imposizione di trattamenti obbligatori è legata a situazioni particolari o eccezionali (vaccinazioni obbligatorie in caso di epidemia). Questa prepotenza legislativa si concreta anche in un trasferimento di enormi poteri ai medici, caricati di responsabilità che li indurranno ad assumere atteggiamenti fortemente restrittivi, così trasformando la proclamata "alleanza terapeutica" con il paziente in una situazione che prepara nuovi conflitti che, alla fine, saranno ancora i giudici a dover decidere.
Delle molte sgrammaticature giuridiche di quel testo si potrà parlare in un´altra occasione. Ma qui conviene concludere con una domanda francamente politica. Nonostante il terrorismo mediatico, con le sue accuse al "partito della morte", una salda maggioranza di cittadini continua a dichiarare che debba essere solo la persona a dover decidere della sua vita. Chi li rappresenterà in Parlamento, vista la debolezza dimostrata finora dal Partito democratico?

Repubblica 15.2.09
L’armata del Vaticano alla battaglia dell’etica
Fede e potere
di Marco Politi


Come può un potentato religioso che condiziona solo tra il tre e il cinque per cento dei voti detenere la golden share del governo di centrodestra? Dalla vittoria nel referendum sulla procreazione assistita al caso Eluana, ecco quanto conta la politica della Chiesa cattolica
Dopo l´implosione della Dc, i credenti si sono divisi
La nuova strategia è sorta negli anni Novanta con Ruini

Enigma e paradosso sono il marchio del potere della Chiesa in Italia. Un potere a volte pesante, a volte impalpabile, alternativamente gridato e silenzioso, evidente e nascosto. Capace di mobilitare e al tempo stesso privo di consenso maggioritario. Ma quel che conta: un potere che c´è.
L´ultima vittoria elettorale di Santa Romana Chiesa si registrò alle elezioni regionali del Lazio nel 2000, quando il presidente della Cei cardinale Camillo Ruini volle punire la giunta ulivista di Piero Badaloni per aver tentato di regolamentare le coppie di fatto. Vinse, con l´appoggio di congregazioni e parrocchie, il post-missino Francesco Storace.
Otto anni dopo, la rivelazione clamorosa dell´impotenza ecclesiastica nell´orientare larghe masse alle elezioni politiche del 2008: l´Udc prese poco più del cinque per cento. Eppure, auspice sempre il cardinale Ruini, il direttore dell´Avvenire Dino Boffo si era speso a favore del partito di Casini, indicandolo come «presenza che fa esplicito riferimento alla dottrina sociale della Chiesa». In mezzo (anno 2005) si colloca il trionfo nel referendum sulla procreazione assistita, che ha visto la Chiesa esibire dalla sua parte il vessillo del settantaquattro per cento di non votanti.
Dove sta il potere politico della Chiesa e dove il suo tallone d´Achille? In che consiste la sua capacità di pesare sul ceto politico italiano? Sono tramontati i tempi quando la gerarchia ecclesiastica, agendo sull´associazionismo cattolico, i gruppi professionali e sindacali bianchi, le parrocchie e le congregazioni religiose, riusciva a convogliare una parte notevole del voto sulla Democrazia cristiana. Dopo Tangentopoli e l´implosione della Dc i credenti si sono divisi e frammentati e si è profilato sempre più chiaramente quello che Alessandro Castegnaro, direttore dell´Osservatorio Religioso Triveneto, chiama il «doppio registro» dei cattolici: «Da un lato c´è il riconoscimento dell´utilità che la Chiesa formi le coscienze, dia indicazioni, inviti alla riflessione sui valori; e dall´altro, di fronte alle scelte di vita, la stragrande maggioranza della popolazione sostiene che riguardano la propria coscienza. Fatta eccezione per una minoranza di fedeli». In varie inchieste dove la domanda era "chi decide cosa è male?", il novanta per cento ha risposto: la coscienza individuale. Altri, la legge di Dio. Ultimi quelli per cui la Chiesa "può" dare l´indicazione decisiva. Nei giovani, sintetizza, la distinzione tra sfera etica e dimensione religiosa è visibilissima.
E tuttavia nell´ultimo quindicennio la gerarchia ecclesiastica ha sempre detto l´ultima parola sulle leggi riguardanti i rapporti di vita. Ha impedito l´introduzione del divorzio breve, ha voluto una legge sulla fecondazione assistita che prevede il divieto di scartare gli embrioni malati, ha bloccato una legge sulle coppie di fatto e infine - sul caso Eluana - è riuscita a trascinare Berlusconi, inizialmente riluttante, a sfiorare la crisi istituzionale pur di impedire l´esecuzione della sentenza, che autorizzava l´interruzione del suo calvario.
Una delle risposte sta nella fragilità della classe politica. La Chiesa non muove molti voti, forse qualcosa tra il tre e il cinque per cento. Però in un bipolarismo, in cui il cambio di governo può dipendere da ventiquattromila voti (come nel 2006), i partiti sono ossessionati dalla paura di avere contro la gerarchia ecclesiastica. «La parola d´ordine sotterranea è che non conviene litigare con i preti», riassume ironicamente il sociologo Arnaldo Nesti, che punta l´attenzione sulla rete discreta di personaggi ex democristiani o provenienti dall´associazionismo cattolico, piazzati in provincia in posizioni anche economicamente importanti. Si muovono in autonomia e al tempo stesso hanno come riferimento ultimo il vescovo: specie nelle battaglie sulle «leggi eticamente sensibili», in cui schierarsi diventa mostrare bandiera pro o contro il verbo della Chiesa. Tanto, aggiunge Nesti, c´è la riserva mentale che «ognuno nel privato fa ciò che vuole». Di pari passo, conclude, si manifesta l´atteggiamento rinunciatario della cultura laica.
Castegnaro rovescia il discorso. Nell´indubbia debolezza del sistema politico, spiega, risalta la debolezza delle culture secolari post-novecentesche. La Chiesa non trova più competitori come un tempo: ad esempio, la sub-cultura del Pci. E allora essa appare come l´istanza che «offre più informazioni, più opzioni, più indicazioni di valore». I laici parlano solo di libertà individuale e tende a mancare nel loro discorso l´orizzonte dell´edificazione di un tessuto solidale.
La strategia dell´istituzione ecclesiastica è stata costruita negli anni Novanta dal cardinale Ruini, allora presidente della Cei. Si basa su due assi. La pretesa di rappresentare la visione antropologica «vera», consona alla tradizione cristiana dell´Italia, e al tempo stessa «retta» interprete della ragione e della natura, è il primo. Ne deriva la spinta a presentarsi come il referente autentico per la legislazione sui temi etici: dall´embrione alla famiglia, dalla pillola del giorno dopo alla ricerca sulle staminali, al testamento biologico. Indispensabile a questo disegno è l´assoluto centralismo della Cei, il cui vertice riverbera il volere del Papa, unito al silenziamento del dibattito tra i vescovi e nel mondo cattolico. Risultato raggiunto. Negli ambienti del laicato cattolico l´afasia è acuita dalla scomparsa di figure prestigiose come lo storico Pietro Scoppola, il sociologo Roberto Ardigò, lo studioso di storia della Chiesa Giuseppe Alberigo.
Il secondo elemento strategico è la compatta utilizzazione dei media ecclesiastici per occupare la scena pubblica: l´Osservatore Romano, l´Avvenire, il Sir, i settimanali e le radio diocesane, i comunicati della Cei. Non è un caso che Dino Boffo sia contemporaneamente direttore di Avvenire, della Tv dei vescovi Sat2000 e del circuito radio della Cei. A questa rete, che nei momenti cruciali martella ossessivamente l´opinione pubblica e la classe politica - si tratti del no ai Dico, del referendum sulla procreazione assistita o del testamento biologico o di Eluana - si aggiunge come alleato esterno, di area laica, il Foglio che nel nome dell´ideologia occidentalista teocon rilancia aggressivamente i comandamenti del magistero ecclesiastico. Sul piano sociale agiscono in primo piano i gruppi più integralisti: l´Associazione Scienza e Vita, il Movimento per la Vita, i Centri di aiuto alla vita, il Forum delle famiglie. Insieme a due movimenti che occhieggiano alle manifestazioni anti-Zapatero in Spagna: i neo-pentecostali di Rinnovamento dello Spirito e i Neo-Catecumenali. Sul piano parlamentare si muovono Cl e l´Opus Dei.
Alle associazioni tradizionali, conoscendone il pluralismo interno di fatto, i vertici ecclesiastici chiedono solo il pubblico allineamento nelle grandi occasioni. Dal Family Day al referendum sulla procreazione artificiale, al contrasto delle sentenze della magistratura favorevoli a Beppino Englaro. Ai deputati cattolici, infine, la dottrina Ratzinger impone ubbidienza nella legislazione sui valori «non negoziabili».
Su questa base la gerarchia ecclesiastica si presenta sulla scena come portavoce (presunto) della cattolicità e preme incessantemente sul fragile sistema politico, approfittando del fatto che nel centrodestra l´area liberal-socialista si è completamente allineata alle posizioni della Chiesa e che nel centrosinistra i teodem si ergono insistentemente come unica «voce cattolica». Con una carta in più: la Chiesa interviene a tutto campo, ma se si levano voci di critica, allora reagisce con vittimismo aggressivo lamentando il tentativo di imbavagliarla.
Eppure da anni nei sondaggi la grande maggioranza della popolazione ribadisce che la Chiesa non deve interferire nella legislazione. Nell´ultima indagine Swg dell´estate scorsa, l´ottantadue per cento. Per questo al referendum del 2005 la presidenza della Cei, incerta sulla consistenza dei fedeli a proprio favore, giocò la carta dell´astensione. Teorema dimostrato dall´audience televisiva la notte della morte di Eluana. Se otto milioni guardano il Grande Fratello e solo quattro milioni Porta a Porta (mostrandosi nelle mail spaccati sul sì o sul no alla decisione di Englaro), cos´è più conveniente se non arruolare alla propria strategia gli otto milioni che non vogliono porsi problemi?
Perché la comunità dei credenti è estremamente variegata. Sotto la cappa della linea ufficiale si possono incontrare suore che sbuffano perché «Santa Madre Chiesa non si sta un po´ zitta», responsabili diocesani che esprimono «fatica per le posizioni attuali» e persino cardinali che confessano: «Non parlo, perché sarei eretico». La maggioranza dei fedeli non ha nascosto in queste settimane di stare dalla parte di Eluana. Lo dicevano anche tanti pellegrini la domenica in piazza San Pietro. E dopo la sua morte (sondaggio di Nando Pagnoncelli) il settantaquattro per cento sostiene ancora che sul testamento biologico debba decidere il soggetto o, in caso di coma, la sua famiglia.
Riassume Angelo Bertani, direttore dell´agenzia Adista e già direttore di Segno (Azione cattolica) e caporedattore di Avvenire: «In Italia assistiamo all´incontro di due debolezze. La Chiesa ha bisogno di mezzi esterni… dello Stato… delle leggi, perché non possiede il linguaggio per convincere. E la politica di centrodestra, incapace di unire il Paese, cerca una legittimazione morale e un mantello sacrale».

Repubblica 15.2.09
Il vuoto dei partiti riempito dalla dottrina
di Ilvo Diamanti


Qualcuno si sorprende dell´influenza della Chiesa nel dibattito pubblico in Italia. Dell´attenzione riservata, negli ambienti politici, alle sue posizioni su questioni sociali e morali. Nonostante il sensibile declino della pratica religiosa e delle adesioni all´associazionismo confessionale. I cattolici praticanti sono, infatti, meno del trenta per cento, concentrati nelle periferie e molto ridotti nei centri (urbani). Le iscrizioni alle associazioni cattoliche più importanti sono diminuite ormai da molti anni.
Inoltre, dal punto di vista elettorale, è finita l´epoca dell´unità politica dei cattolici. Insieme alla Dc e alla fine del comunismo. Alle elezioni politiche del 2008 il voto dei cattolici praticanti si è distribuito in modo proporzionale fra i partiti più importanti. Come mostrano i dati di un´indagine (LaPolis-Università di Urbino) condotta nelle settimane successive al voto su un campione nazionale di oltre 3300 casi. Il trenta per cento di chi frequenta assiduamente la messa domenicale ha, infatti, votato per il Pd; il quarantuno per cento Pdl. Rispettivamente, tre punti percentuali in meno e in più rispetto al risultato ottenuto fra gli elettori nel complesso. Il che significa, calcolato in termini di voti validi, l´uno per cento. L´Udc - l´ultimo partito a esibire l´identità cattolica come bandiera - ha intercettato il dieci per cento degli elettori cattolici (praticanti). Sul totale dei voti validi: meno del quattro per cento.
Peraltro, larga parte dei cattolici praticanti e (a maggior ragione) non praticanti, pensa che la Chiesa si debba esprimere sui più importanti aspetti dell´etica personale e pubblica. Anche se alla fine si affida alla propria coscienza. E ritiene che i parlamentari debbano fare lo stesso. Da ciò i dubbi, le perplessità circa l´influenza della Chiesa sulla politica italiana. In particolare, sulle scelte dei partiti, non solo di centrodestra, anche di centrosinistra, come si è potuto verificare nella recente vicenda di Eluana. E come avverrà in occasione del ddl sul testamento biologico.
Tuttavia, l´influenza della Chiesa sulla società e sulla politica italiane non è misurabile in termini di "controllo elettorale". Né attraverso la quota dei "cattolici praticanti". D´altra parte, quasi nove italiani su dieci si dicono cattolici. Gran parte di essi intende questa professione di fede come l´adesione a una comunità e a un sistema di valori. Una sorta di "religione pagana", aggiungono alcuni. Ma si tratta comunque di un sentimento di appartenenza, che conta in una società afflitta da un profondo deficit di identità. Tanto che quasi otto su dieci tra i non praticanti considera importante dare ai figli un´educazione cattolica (Demos-Eurisko, febbraio 2007). Non va trascurato che una larghissima maggioranza delle famiglie destina l´otto per mille del proprio reddito alla Chiesa cattolica e accetta che i figli a scuola frequentino l´ora di religione.
Peraltro, circa il sessanta per cento degli italiani dice di provare fiducia nella Chiesa, e una quota di poco superiore nelle parrocchie. Il che richiama un´altra importante ragione dell´influenza della Chiesa. Il suo radicamento nella società e sul territorio. Attraverso la sua struttura, la sua offerta di servizi, la sua rete associativa, il volontariato. Che operano in molti e diversi campi. Dall´educazione al tempo libero, fino all´accoglienza agli immigrati e all´assistenza caritativa ai più poveri.
Senza dimenticare i media cattolici. Dai giornali - locali e nazionali - alle emittenti radiofoniche (che hanno una copertura ampia e capillare) alle antenne satellitari. Alla comunicazione via internet. Naturalmente la Chiesa esprime anche valori e "contenuti". Da qualche tempo, aggredisce le questioni critiche dell´etica pubblica e privata in modo aperto e diretto. Offre risposte magari discutibili e discusse, non importa. Contestate da sinistra, sui temi della bioetica. Ma anche da destra, sui temi della pace e dell´immigrazione. Tuttavia, esprime "certezze". E ciò rassicura il suo popolo, anche il più tiepido e indifferente. Che ha bisogno di riferimenti e valori. Anche se, poi, ciascuno agisce secondo coscienza. Cioè: fa a modo suo.
Occorre aggiungere, infine, che il cardinal Ruini, per oltre quindici anni presidente della Cei, ha accentrato la guida - e il controllo - della gerarchia su questo mondo largo e complesso, che oggi si mobilita, come un movimento o un gruppo di pressione, attraverso campagne tematiche. A cui i partiti italiani, poveri di idee e lontani dalla società, spesso si adeguano. Magari senza troppa convinzione. Fra molte polemiche. Ma, al tempo stesso, senza troppa discussione.

Corriere della Sera 15.2.09
L'incontro tra laici è cattolici. Una stagione al tramonto
di Ernesto Galli Della Loggia


Tutto sembra indicare che una stagione italiana sta finendo: la stagione che è andata sotto il nome di incontro o dialogo tra laici e cattolici. Si capisce a quale stagione, a quale incontro mi riferisco: a quella che si aprì intorno agli inizi degli anni Novanta, nel momento della crisi della Prima Repubblica e con essa della Democrazia cristiana, del centro sinistra, ma anche del Partito comunista colpito a morte dalla fine dell'Urss, e che ricevette una spinta decisiva dall'attentato newyorkese dell'11 settembre. Quegli eventi, nonché la sensazione più generale che si stesse chiudendo un'intera epoca storica, aprirono o catalizzarono una serie di interrogativi e di problemi riguardanti l'Italia e il mondo: immaginare una nuova collocazione e una nuova «missione» politica sia per i cattolici che per le forze laiche non attratte nell' orbita del vecchio Partito comunista; elaborare l'avvicinarsi di una temperie culturale nuova aperta dai progressi impressionanti della tecnoscienza in settori quali l'ingegneria genetica; affrontare le inedite tensioni geopolitiche, vieppiù dominate da componenti fondamentalistiche, che sembravano imporre un ripensamento/rilancio della categoria di Occidente. Dunque un dialogo tra laici e cattolici che però aveva poco a che fare con quello tradizionale della storia politica italiana, a suo tempo avviato dal Pci togliattiano, e proseguito per decenni, con la sinistra cattolica poi ribattezzata con il nome di «cattolicesimo democratico». Diversi i contenuti, ancora più diversi i protagonisti.
I risultati non sono mancati: soprattutto, direi, la nascita di quotidiani, riviste, libri, iniziative culturali varie, dove, per la prima volta in modo così continuo e sistematico nella storia italiana, la tradizione liberale e il cristianesimo cattolico hanno intrecciato analisi, rilevato coincidenze e scambiato punti di vista; dove si sono stabiliti importanti rapporti e consuetudini anche personali. Da tempo però tutto sembra avviato verso una ripetitività sempre più stanca, i contenuti non si rinnovano, non si aggiungono energie nuove mentre all'opposto si sommano nuove ostilità. E mentre continua ad apparire sempre assai lontano, quasi irraggiungibile, il traguardo della nascita nel nostro Paese di una cultura civica capace di coniugare quotidianamente, senza contrasti ultimativi, una dimensione pubblica della religione e un ethos democratico condiviso.
Qui mi limiterò a indicare alcuni motivi che a mio giudizio hanno reso sempre più difficile e sempre meno produttivo il dialogo di cui sto dicendo.
Innanzi tutto tale dialogo, che aveva una natura sostanzialmente culturale (anche se con possibili, evidenti, conseguenze politiche), si è trovato fortemente squilibrato per la scarsissima presenza in campo cattolico di un'opinione pubblica colta non orientata a sinistra. Sul versante cattolico i pochi interlocutori disponibili sono stati perlopiù figure di giovani intellettuali, quasi sempre cresciuti nei movimenti, e alcuni di quegli stessi movimenti (penso specialmente a Comunione e Liberazione). Dominati tuttavia, gli uni e gli altri, da un fortissimo spirito di parte, orientati a un forte radicalismo, pronti assai spesso a perdere repentinamente interesse, e magari a guardare con sospetto, proprio coloro dell'altro campo con i quali fino al giorno prima si erano trovati a discutere insieme.
E' accaduto così che il dialogo ha finito per vedere protagonisti, da parte cattolica, soprattutto gli esponenti della gerarchia, la Chiesa.
Molti prelati vi hanno visto un'occasione, nel caso migliore per uscire dal proprio ruolo intellettualmente non troppo appagante, nel caso peggiore per mettersi in mostra, per acquistare un'immagine pubblica di maggior rilievo. Ne sono derivate due conseguenze negative intrecciate insieme. Che l'incontro tra laici e cattolici, non avendo visto alcun impegno di parti significative del laicato cattolico, non ha potuto ricevere l'apporto di energie culturali vaste e profonde che non fossero quelle di qualche vescovo o cardinale (pochi per la verità, ben pochi!). Con il che, però, esso è divenuto di fatto un incontro con la Chiesa, caricandosi in tal modo di un significato immediatamente e inevitabilmente politico, o comunque potendo facilmente essere così etichettato. E dunque facilmente suscitando, da parte dei laici intransigenti e della sinistra, un fuoco d'interdizione rivelatosi alla fine efficace.
Il ruolo assunto dalla Chiesa ha evidenziato un ulteriore fattore negativo. Ha infatti reso ancora più chiara l'autoreferenzialità con la quale il mondo cattolico è abituato da un paio di secoli a improntare il suo rapporto con chi non ne fa parte storicamente, e che nel caso dell'organizzazione ecclesiastica raggiunge l'apice. Autoreferenzialità significa difficoltà di stabilire rapporti realmente paritari con chi è fuori da quel mondo, difficoltà di farsi persuaso che perché ci sia una reale interlocuzione con chiunque è necessario dare nella stessa misura in cui si riceve, non lesinare riconoscimento e visibilità, capire che se si vogliono conseguire obiettivi di rilievo non si può prendere come bussola solo se stessi, solo il proprio immediato tornaconto. E' così accaduto tante volte, per esempio, che pur mostrandosi molto interessata al dialogo con i laici di orientamento liberale la Chiesa e i suoi esponenti fossero pronti, però, con lo stesso interesse (anzi assai spesso di più), a incontrarsi con i più aspri avversari di quelli, con quei laici intransigenti che magari vituperavano gli altri proprio a causa — colmo dei paradossi — del dialogo da essi intrattenuto con il mondo cattolico: fossero pronti a invitarli, a scrivere sui loro giornali, a chiederne la collaborazione.
Forse qualcuno potrebbe giudicare tutto ciò una manifestazione di quella malizia e spregiudicatezza talvolta considerate proprie della più sofisticata abilità politica. Sono convinto del contrario. A ben vedere, infatti, l'autoreferenzialità — di cui tanto spesso la Chiesa e il suo mondo ancora non riescono a liberarsi, e che è emersa con chiarezza nel dialogo con i laici interessati ad avviare un rapporto nuovo con il cattolicesimo — non è che la conseguenza della separatezza a cui la vicenda storica ha costretto la Chiesa stessa insieme al retroterra sociale che fa capo ad essa. Una separatezza che costituisce un grave ostacolo proprio rispetto alla possibilità di fare politica davvero, cioè di avere una visione strategica, di fare scelte nette e conseguenti, di scegliere chi sono i propri amici culturali e chi no, magari perfino di farsi arricchire da essi (non oso dire cambiare). E' su questi scogli che il dialogo tra laici e cattolici si è incagliato e forse sta naufragando. Di sicuro non sarà qualche progetto di legge disposto a recepire per intero il punto di vista della Santa Sede che cambierà le cose.

Liberazione 15.2.09
Un convegno dei radicali raccoglie i piddini scontenti della linea veltroniana. Il chirurgo ai pannelliani: «Siete più leali»
Testamento biologico, Marino: referendum. Il Pd lo sconfessa
di Laura Eduati


La parola d'ordine è «mobilitazione».
Mobilitazione per fermare la legge berlusconian-vaticana sul testamento biologico che paradossalmente annullerebbe la possibilità di fare un testamento biologico. Come dice con espressione provata Carlo Alberto Defanti, il neurologo amico degli Englaro e autore del protocollo medico applicato a Eluana: «Meglio niente che questa legge» visto che la Costituzione italiana già garantisce il diritto a rifiutare le cure.
Con il ddl Calabrò il medico non potrebbe decidere se sospendere idratazione e alimentazione; il paziente perderebbe ogni voce in capitolo dato che il testamento voluto dalla maggioranza non sarebbe vincolante. L'allarme è chiaro: con l'obbligo del nutrimento artificiale si abbatterebbero sui tribunali italiani migliaia e migliaia di contenziosi tra famigliari e medici, tra camici bianchi e pazienti. E se proprio dovesse passare questa norma, allora ecco Ignazio Marino che promette un referendum abrogativo per dimostrare «a quattrocento parlamentari», quelli del centrodestra, che il Paese sta camminando in un'altra direzione e basta osservare i sondaggi: la maggioranza degli italiani sta con Beppino Englaro.
E' proprio Marino la star del convegno sulle menzogne e le verità propinate da politici e media sul caso Englaro, organizzato dai radicali al teatro Eliseo. Lui, il chirurgo dalla faccia pulita applaudito fragorosamente dalla platea straboccante, si rivolge alla «pattuglia radicale» come a compagni di partito «più leali e trasparenti di tanti altri componenti della nostra vita politica». Leggi: più leali dell'ala cattolica del Partito democratico che ha premuto per sostituirlo in corsa con la ex Udc Dorina Bianchi alla guida del gruppo in commissione sanità del Senato. Proprio Marino, attivissimo propositore di una legge laica sul testamento biologico che porta la firma di cento senatori e raccolto oltre centomila firme on-line.
E dunque il convegno diventa la riunione dei piddini stanchi del moderatismo di Veltroni, piddini stizziti dall'onnipresenza clericale nelle questioni di bioetica: presenti Luigi Mancuso, Paola Concia, Cinzia Dato, Furio Colombo, Giovanni Cuperlo. E con loro l'unico «berlusconiano», Benedetto Della Vedova: «Spero che Berlusconi torni liberale sulle questioni etiche».
Emma Bonino parla al teatro ma sta parlando virtualmente ai vertici del Pd: «Mi sono stufata dell'espressione libertà di coscienza. Anche io ho una coscienza, e la chiamo dissenso nei confronti di un atteggiamento da talebani che non lascia la libertà di scegliere come morire». Immediatamente la proposta del referendum balza alle agenzie, Dorina Bianchi e Rosy Bindi frenano il compagno di partito Marino: «Grave errore portare lo scontro dalle aule parlamentari alle piazze». Perplessità condivise anche da Paolo Ferrero, per ragioni diverse: su questo tema meglio un dibattito ampio altrimenti si rischia di creare «il partito della vita e il partito della morte». Bonino commenta soltanto a margine: non pensiamo al referendum, mobilitiamoci contro il ddl per scongiurare la sconfitta sulla legge 40.
Il maxi-schermo manda in onda un collage di telegiornali e trasmissioni televisive nei giorni della bufera istituzionale: un florilegio di suore che assicurano di aver visto Eluana sorridere, Eluana portata in giardino, la sottosegretaria Eugenia Roccella informa che la donna di Lecco può deglutire («non riusciva nemmeno a deglutire la propria saliva» correggerà poi Defanti), il cardinale Barragan che minaccia «questa cosa non dovrà succedere più nel mondo e specialmente in Italia», Bruno Vespa sul dolore di chi muore per fame e per sete, il neurologo convinto che la donna avrebbe sofferto nel passaggio dalla vita vegetale alla morte. Per i radicali si è trattato di una battaglia disinformativa a senso unico che è riuscita in poche ore, distorcendo il vero, a modificare la percezione dell'opinione pubblica sulle reali condizioni di salute di Eluana e sul diritto alla morte sancito dalla Corte di cassazione.
«Falsità, tutte falsità» sottolinea con vigore il membro della Consulta nazionale di bioetica Maurizio Mori. Falsità specialmente su alimentazione e idratazione: per la letteratura scientifica mondiale sono trattamenti medici e dunque rifiutabili dal paziente così come garantito dall'art. 32 della Costituzione. Proprio la carta costituzionale, sottolinea Rodotà, garantisce «un pieno di diritti» che contrasta con la vulgata del «vuoto legislativo» ripetuta a destra come a sinistra. Per il testamento biologico basterebbe insomma una indicazione procedurale e non una legge articolata come il ddl Calabrò che dichiara la vita «indisponibile», e cioè nemmeno disponibile per il malato come accade oggi. «Una legge truffa, scritta malissimo» commenta il costituzionalista, preoccupato dalla inquietante «regressione culturale».
Marino ironizza sulla eccessiva burocratizzazione che si verrebbe a creare se la legge venisse approvata: poiché si dovrebbe rinnovare il testamento biologico ogni tre anni di fronte al notaio e con il medico di base, i medici ambulatoriali dovrebbero recarsi dal notaio circa 500 volte l'anno, mentre i notai dovrebbero prepararsi a firmare circa centomila testamenti biologici ciascuno.
«Siamo grati ai radicali che continuano a fare la guardia» concede Furio Colombo. In sala qualcuno bisbiglia: «E il resto del Pd?»

Liberazione 15.2.09
«Subito in piazza per evitare una nuova legge 40»
intervista a Emma Bonino di Laura Eduati


Emma Bonino lo dirà anche sul palco del teatro Eliseo, dopo l'intervista: «Se ci limitiamo alla sola battaglia parlamentare abbiamo già perso». La leader dei radicali teme che la lotta contro il testamento biologico formato vaticano diventi «un film già visto», il film della legge 40 approvata dal governo Berlusconi e poi sottoposta al referendum che consacrò la vittoria dell'asse chiesa-centrodestra. Una sconfitta così lacerante, e recente, che i radicali non vogliono sperimentare ancora una volta. Ecco perché Bonino preferisce la mobilitazione immediata nella speranza di modificare almeno in parte il ddl Calabrò.

Autorevoli giuristi avvertono che la legge sul testamento biologico è incostituzionale, dunque basterebbe, una volta approvata, ricorrere al giudice.
Dobbiamo capire che questo è un precedente esplosivo. Da molti anni sono impegnata sul fronte dei diritti civili, ma la vicenda Eluana pone un punto di non ritorno. I media ci hanno bombardato a senso unico, il contradditorio è andato in onda soltanto nelle ore notturne. Questa, lo ripeto, è una campagna goebbelsiana. Per fortuna abbiamo guadagnato tre settimane di tempo, la discussione dovrebbe arrivare all'aula del Senato a metà marzo. Mobilitiamoci subito altrimenti poi sarà troppo tardi perché quella legge è la negazione del testamento biologico e per farla passare questo governo potrebbe inventare un caso qualunque simile a quello di Eluana.

Come si spiega il fatto che il Pd abbia votato il contingentamento dei tempi per approvare più velocemente quel decreto legge, poi fermato dalla morte di Eluana?
Questo è accaduto alla Camera. E in Senato è difficile fare ostruzionismo, sono le regole.

Favorevole ad un eventuale referendum?
Giuridicamente esistono i presupposti, ma le condizioni politiche sono ancora da chiarire

Non protesta per la sostituzione del laico Marino con Dorina Bianchi?
Confesso che la tempistica scelta non è delle più brillanti. Nessuna disistima nei confronti di Bianchi, ma la battaglia politica è dura e se avessero aspettato un mese lo avrei preferito.

Avete intitolato il convegno all'eutanasia, tra virgolette. Qual è la menzogna più grave di questi giorni?
Hanno presentato Eluana come una donna bella e capace di fare figli, un peso per il padre Beppino. Una serie di finti scoop senza contradditorio. Non ci sono più pali e paletti, dopo questa storia.

Liberazione 15.2.09
Da questa chiesa vogliamo la scomunica
Cara "Liberazione", incredibilmente - per una volta - sono d'accordo con un cardinale. Con quello che, dall'alto della Congregazione per i Sacramenti, chiede che «chiunque si sia attivato per la morte di Eluana sia scomunicato». Allora ce l'abbiamo fatta! Qualcuno ricorderà certamente la provocazione che lanciammo tempo fa e che fu raccolta da tante persone, occupando per giorni e giorni le pagine del "Riformista" e di altri quotidiani, agenzie e siti internet. Era il maggio 2007 e la guida del giornale era affidata a Paolo Franchi: un manipolo di eretici chiedeva addirittura la scomunica dalla Chiesa cattolica! Certo, ci si diceva: «ma se siete già fuori dalla Chiesa, una scomunica che vi fa?». Un baffo, potremmo rispondere. Ma è anche vero che, se ci è consentita un po' di ingerenza all'incontrario, sarebbe un atto dovuto da parte di lorsignori scomunicare tutti quelli che come noi combattono per il primato dei diritti civili e della vita umana, quasi sempre contravvenendo a dogmi religiosi. Sì, ci siamo attivati perché la non-vita di Eluana finisse. E ci attiveremo ancora in favore della libertà di essere... esseri umani. Sì, ci siamo attivati per la fecondazione assistita, omologa ed eterologa. Sì, continueremo a sostenere la ricerca scientifica sulle cellule staminali; a difendere la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e ad invocarne una per il testamento biologico. Per tanti diritti sgraditi al Vaticano, continueremo a lottare giorno dopo giorno. Perciò, si tolgano il pensiero e ci scomunichino tutti, ma sappiano che siamo tanti, sempre di più. Mentre lorsignori sono pochi, sempre di meno, anche se vogliono parlare a nome di tutti: spermatozoi, embrioni, feti e morti viventi compresi.
Paolo Izzo

Che dio ci salvi delle religioni
Caro direttore, mi associo alla lettera nella quale il lettore Fabio Della Pergola loda Roberta Ronconi per la recensione del film "Religiolus" e, soprattutto, alla risposta di Ronconi. E' verissimo quando lei dice che certe considerazioni e domande «le hai ripetute tante e tante volte nella tua testa che ormai ti sembrano scontate». Alle frasi che smitizzano la religione sparite dal lessico della sinistra, come scrive Della Pergola aggiungerei un ossimoro inventato lì per lì: visti i risultati, che dio ci salvi dalle religioni. Magari potrebbe recitarlo anche qualche credente.
Renzo Butazzi

Il coraggio di Beppino Englaro e la religione
Cara "Liberazione", in questo tempo in cui il dubbio sui temi eterni dell'umanità non si deve porre perché il tempo per la riflessione non porta guadagno ma è solo indice di debolezza è facile assumere dogmi e principi assoluti senza interrogarsi più di tanto, la velocità del decreto per esempio, ma ci vuole comunque uno sforzo notevole per non arrossire di fronte al comportamento e alle dichiarazioni del "cavaliere", "imperatore" nel senso di "Comandante"e "Cesare". Al tempo dei romani però i comandanti erano comandanti veri ,andavano alla guerra con i soldati. Ora Silvio, che si atteggia a tale, per mantenere il potere, deve accontentare due "eserciti":il Vaticano e la Lega. Così, ecco l'ingerenza della potere religioso nella politica che pretende di decidere in che modo è giusto morire, si intende a difesa della vita e nega l'elemento primo della vita stessa, la facoltà di scegliere. Ecco che con il decreto sulla sicurezza si dà seguito ai comizi e alla propaganda leghista, negando di fatto alle persone più deboli il modo giusto di vivere e di convivere, arrivando a trasformare i medici in delatori, negando il diritto alla salute e promovuendo la clandestinità a vita. La schizofrenia è evidente tant'è che mentre il Vaticano elogia il coraggio del governo sulla decretazione d'urgenza per il caso Englaro il ministro Maroni è alle vie legali con "Famiglia cristiana" che accusa il governo di razzismo per il decreto sulla sicurezza Si potrebbe dire che non c'è più religione? No, non mi pare che il nostro stato sia laico. Forse bisogna mettersi d'accordo sul significato vero delle parole: cos'è il coraggio e cos'è la religione ? Mi viene da dire che il coraggio è quello di Beppino Englaro che nell'affrontare un percorso di vita doloroso, difficile ha comunque lottato per esercitare una scelta, quella di sua figlia, legittima perché svolta secondo le regole e a seguito di una sentenza definitiva, mentre la religione, quella vera, è una fede che comporta uno stile di vita che deriva da convinzioni personali che non possono essere imposte. Per definire il governo e il Presidente Berlusconi, nonché i suoi ministri giudicanti e urlanti, paladini della vita, solo un grande senso di vergogna e l'esigenza di chiedere scusa a tutti quelli che la vita se la vedono negare senza averlo chiesto.
Marina Giusti

il Riformista 15.2.09
Marino pronto al referendum. Ma il Pd torna a spaccarsi
di Alessandro Calvi


«Se faranno questa legge ci batteremo perché venga cancellata». Dunque, sul testamento biologico ci si potrebbe avviare verso il referendum. Lo ha annunciato ieri Ignazio Marino. Ma, mentre dalle parti del Pdl facevano sapere che nessuno ha paura del referendum, la prima reazione di area Pd arrivava proprio da colei che di Marino ha preso il posto come capogruppo in commissione Sanità del Senato, Dorina Bianchi, che ha parlato di un «grave errore». Lo stesso ha fatto Rosy Bindi mentre Enrico Letta chiede convergenze. Il Pd, insomma, torna a dividersi.
Dunque, la Bianchi guarda in tutt'altra direzione rispetto a Marino. D'altra parte, la stessa Bianchi nell'intervista rilasciata ieri al Riformista, escludeva un cambio di linea del Pd ma ammetteva una correzione di rotta. Ora, per capire da che parte stia il partito, si dovranno attendere gli emendamenti che il Pd presenterà al disegno di legge del Pdl. Ormai è una questione di giorni: entro martedì tutti dovranno scoprire le carte.
Per la sua prima uscita dopo il cambio che ha fatto parlare di un "caso", Ignazio Marino ha scelto la platea del convegno «Verità e menzogne su "eutanasia", Coscioni, Welby, Englaro», organizzato ieri da Radio Radicale al Teatro Eliseo di Roma e moderato da Massimo Bordin. È una platea alla quale si rivolgeranno anche altri ospiti, da Stefano Rodotà - che ha messo in guardia contro la «legge truffa» del Pdl - a Carlo Alberto Defanti, neurologo che ha seguito Eluana Englaro, che ha ripercorso gli ultimi giorni prima della sua morte, spiegando di aver ascoltato «colossali falsità» sulle condizioni di Eluana anche da colleghi e raccontando che un famoso fotografo aveva fatto una cospicua offerta per poterla fotografare. È a questa platea che Marino ha spiegato che, se passerà il disegno di legge del Pdl sul testamento biologico così come è oggi, «sarà necessario lanciare un referendum abrogativo». L'intervento di Marino si era aperto con un ringraziamento ai radicali - «persone trasparenti e leali, molto più di altri componenti della vita politica» - ed era proseguito con un affondo contro il Pdl. Sul Pd, invece, nemmeno una parola.
Ha applaudito la platea dell'Eliseo e si è spellata le mani quando Marino ha annunciato che il suo impegno «continuerà con grande forza». Ma di lì a poco le agenzie battevano la risposta della Bianchi. «Parlare oggi di referendum - ha detto - è un grave errore. Spostare lo scontro dalle aule delle Camere e portarlo nelle piazze significa alimentare uno scontro sbagliato fra due radicalismi». E Rosy Bindi poco dopo aggiungeva che «parlare ora di referendum è un regalo a chi non vuole fare la fatica di definire una buona legge sul fine vita». Dall'altra parte, Gaetano Quagliariello ha avvertito che nel Pdl nessuno teme il referendum. «Si tratterà - ha spiegato - di una replica del referendum sulla legge 40». E non è il solo ad averne parlato. Lo aveva fatto Emma Bonino per chiedere al Pd di mobilitarsi ancor prima che il ddl faccia il suo ingresso in aula. Le risposte, per ora, sembrano di segno diverso.

il Riformista 15.2.09
Il rabbino e la bioetica degli ebrei
di Francesca Bolino


Di Segni. Il capo della Comunità di Roma dice la sua su caso Englaro, idratazione e temi etici. L'eccessivo clamore, le forzature legislative, la "bioetica della quotidianità", l'ebraismo tra ortodossia e modernità. La soluzione? Il compromesso.

A seguito della vicenda di Eluana Englaro, abbiamo intervistato Riccardo Di Segni, capo Rabbino della Comunità Ebraica di Roma, al quale abbiamo chiesto un parere sul rapporto tra religione, politica e bioetica dal punto di vista dell'ebraismo e non.
Quali sono gli atteggiamenti dell'ebraismo rispetto ad alcuni aspetti della bioetica?
Innanzitutto bisogna capire di quale ebraismo si parla, perché esistono tanti tipi di ebraismo e tante concezioni diverse di ebraismo. Qui mi riferisco specificamente alla posizione del rabbinato ortodosso in merito ai temi di cui abbiamo deciso di parlare.
Gli ebrei però non si rifanno solo al rabbinato ortodosso e non si rifanno magari a nessun rabbinato, giacché spesso ragionano con la loro testa; e quindi se si fa una ricerca di opinione rispetto a qualsiasi problema generale tra gli ebrei sarà possibile trovare opinioni disparate.
Quindi non c'è un'autorità centrale?
I cattolici hanno un'autorità centrale. Da noi non c'è. Ci sono tante autorità, ciascuna delle quali rispetto allo stesso problema può dare una risposta differente. Il rapporto con queste autorità delle persone è articolato: in mondi strettamente legati alla tradizione, la persona si rivolge all'autorità religiosa e a questa rimane assolutamente vincolata. In altri casi, o non ci si rivolge affatto, o ci si va solamente per sentire un parere orientativo, ma non vincolante.
Nella mia comunità nello specifico, si pongono spesso e purtroppo seri problemi di natura bioetica, dei quali vengo a sapere, a volte, solo a posteriori. A volte, invece, si chiede un parere consultivo e in pochi altri si fa esattamente ciò che il rabbino indica.
Questi casi hanno implicazioni ovviamente drammatiche, per cui cerco sempre di consultarmi con grandi esperti internazionali, giacché la condivisione di queste scelte è molto difficile. Da una parte c'è la tradizione, la Torah e la legge ebraica, cioè l'Halachà. Dall'altra c'è un elemento, per così dire di modernità: lo Stato di Israele.
L'Halachà è l'unico testo cui fare riferimento?
Gli ebrei osservanti sono fermi all'Halachà. Ma è l'Halachà che non è ferma. Nel senso che cammina progressivamente e affronta tutti i problemi che la tecnologia di oggi propone e che un tempo non esistevano. Lo fa secondo le regole dell'Halachà: si deve confrontare il caso precedente con il caso nuovo e dedurne le conclusioni. È un meccanismo che richiede il rigore dell'analisi giuridica, ma ha dei margini di libertà, per cui non è detto che alla stessa domanda si risponda in maniera univoca. L'Halachà è un sistema aperto che si sviluppa.
Lo Stato di Israele è uno stato laico che ha un suo parlamento e funziona come qualsiasi società democratica. È però diventato costume del parlamento israeliano fare delle leggi che, sia per rispetto alla minoranza più fedele alla tradizione - che è comunque una minoranza - sia per rispetto nei confronti di una propria radice culturale, tengono conto del parere della tradizione.
Per esempio per un'importante legge che è stata approvata nel 2005 sul problema degli stati terminali e delle disposizioni anticipate di trattamento, è stato fatto un grandissimo lavoro preliminare con una commissione presieduta da Avraham Steinberg, che è un neurologo di professione ma che è anche l'autore della Encyclopedia of Jewish Medical Ethics. Partendo da ciò che la tradizione afferma su questi argomenti, si è poi scelto laicamente come proporre al parlamento di fare una legge. La legge che poi è stata fatta, nel rispetto della tradizione ebraica ma che si esprime liberamente.
In altri casi, come nella legge che stabilisce come debbano essere divise le proprietà tra ex coniugi, la soluzione adottata è estremamente laica e non segue ciò che l'Halachà stabilisce. Può spiegare come si contrappongono pensiero laico e religioso nell'ebraismo?
Si pensi a un principio fondamentale: semplificando si potrebbe dire che il pensiero laico si basa sul diritto della persona a ragionare con la propria testa. Il pensiero religioso, invece, si basa su un'autorità che si ritiene proveniente da un'origine sacra e sovrannaturale. Quindi le due cose dal punto di vista concettuale sono differenti. Ma quando si va a confluire su una decisione pratica non è detto che le cose debbano andare necessariamente in conflitto. Spesso partendo da posizioni ideologicamente contrapposte, si arriva a conclusioni condivisibili.
Un esempio emblematico di questa situazione è il conflitto tra la posizione ideologica dell'autonomia che dice "il corpo è mio e decido io cosa farne" che è in conflitto con la posizione religiosa secondo la quale "il corpo non è mio, mi è stato dato in prestito". Perciò nel momento stesso in cui si deve restituire il corpo, lo si deve fare nelle migliori condizioni possibili. Questa concezione religiosa potrebbe, apparentemente, aprire la giustificazione totale al paternalismo medico, che è stato il modo prevalente di fare medicina fino a trent'anni fa: il medico possiede la verità, la salute, quindi il paziente si deve attenere rigorosamente a ciò che il medico stabilisce.
Da un punto di vista pratico, però, la tradizione religiosa ebraica - fermo restando che è dovere tutelare la propria salute - inserisce su questo dovere una serie di riflessioni e di dubbi che concorrono, per così dire, a smantellare l'impianto paternalistico: per esempio "chi ci dice che quel medico è affidabile su questioni così delicate?".
Poi ci sono altre variabili, come quella della sofferenza. La sofferenza, secondo l'ebraismo, produce meriti, ma i Maestri stessi dicono che «io non voglio né la sofferenza, né i meriti che ne possono derivare». Nessuno è costretto a soffrire. Perciò il principio secondo il quale ci si deve affidare completamente alle cure del medico va a cozzare con altri principi. Alla fine, quando ci si deve confrontare con le decisioni pratiche come, per esempio, staccare la macchina o no, tante differenze in fondo non ci sono.
E il caso Englaro?
Io proprio non capisco i motivi per cui ci sia stato questo enorme clamore attorno alla vicenda. Il caso è noto, non è affatto singolo, poiché purtroppo ce ne sono altri molto simili. Ma è divenuto un problema di natura politica che si è prestato a uno scontro tra forze politiche oltre che a forze istituzionali. È difficile parlare di questo caso senza rimanere coinvolti in qualche cosa che ti costringa a schierarti per una fazione o l'altra. Cosa che non si dovrebbe assolutamente fare quando si parla di etica o di bioetica, giacché in tali casi bisogna esprimere un giudizio di valori indipendentemente da una scelta politica.
In linea di massima i grandi decisori rabbinici che si sono occupati dell'argomento ritengono che l'idratazione e l'alimentazione non rappresentino eventi o trattamenti di tipo eccezionale o straordinari e quindi come tali non debbano essere interrotti. Questa è la posizione fondamentale, fermo restando che poi ogni caso va discusso singolarmente. Comunque, posso dire che con tutto il dolore e la condivisione della sofferenza nei confronti del caso Englaro, trovo strano che ci sia stata la necessità di un ricorso alla legislazione eccezionale. Mentre esistono problemi che interessano grandi collettività o malati a rischio di vita o di sicurezza e che, in questo Paese, non vengono riconosciuti in modo adeguato. Eppure avrebbero bisogno di provvedimenti legislativi.
Per esempio?
C'è stata una deviazione dell'interesse generale e che proprio non capisco. Ma il fenomeno non è solo italiano. Per esempio negli Stati Uniti c'era stato il caso Terry Schiavo, che per alcuni aspetti era simile al caso Englaro, per altri no (perché i genitori di Terry volevano che restasse in vita, mentre il marito voleva porre fine alle sue sofferenze. Nel caso Englaro, al contrario, c'era un unico genitore che voleva che la sofferenza finisse). Comunque nel caso Schiavo il Senato americano ha fatto una legge in tre giorni. Il Presidente degli Stati Uniti l'ha firmata di notte, ma ciò non ha comunque fermato i giudici.
Questo è significativo. Certi scenari avvengono anche negli Stati Uniti. Non è che la politica italiana abbia problemi in più rispetto a quella di altri paesi! L'altro giorno, davanti all'ospedale presso cui lavoro, c'è stato il Barella-day: alcuni collaboratori della sanità hanno manifestato per protestare contro il fatto che, in molti ospedali, i pazienti che arrivano al pronto soccorso e devono essere ricoverati spesso non trovano posto e vengono date loro delle barelle dove stazionare, anche per giorni.
Non è forse questo un vero e proprio problema bioetico?
Lo è certamente ma non fa parte della bioetica dell'eccezionale - come può essere il caso Englaro - quanto della bioetica della quotidianità, che non finisce sulle prime pagine, ma che attende interventi decisivi da parte della politica.
Dal punto di vista medico è stato decretato, secondo la tradizione ebraica, il momento della morte?
Il problema è stato posto in maniera forte quando si è affrontata la questione dei trapianti cardiaci. Perché il trapianto è consentito quando non sacrifica la vita di un'altra persona. Quindi il donatore deve essere già morto. Ma quando il decretare il momento della morte? La trapiantistica di alcuni organi come cuore e fegato si basa sulla necessità di prelevarli quando il cuore sta ancora battendo. E questo va contro la tradizionale concezione per cui la morte è decisa dalla fine del battito cardiaco. Si è sviluppato in quegli anni il concetto scientifico della morte cerebrale: si ha la morte cerebrale quando cessano le funzioni fondamentali vitali. La definizione scientifica si rifà ai criteri di Harvard che stabiliscono quali attività debbano essere valutate e misurate.
A questo punto il mondo rabbinico si è spaccato in due parti: una non accetta il principio della morte cerebrale, ma solo la morte o l'arresto cardiaco. L'altra ha accettato la morte cerebrale con riserve, cioè ha chiesto ulteriori tempi di attesa nella diagnosi e ulteriori indagini. La posizione ebraica tradizionale ha espresso quindi due pensieri differenti.

l’Unità 15.2.09
Il comune senso dello stupro
di Luigi Manconi e Andrea Boraschi


L’invettiva contro il “buonismo” costituisce una delle pagine più triviali della cultura politica italiana. Da alcuni decenni, quella categoria viene agitata scompostamente, per criticare la presunta ispirazione lassista o, Dio non voglia, garantista delle politiche destinate a contrastare i fenomeni di marginalità e devianza. In realtà, il sarcasmo contro il “buonismo” mira a occultare il fatto che, più corposamente, procede nella società e nelle istituzioni una tendenza schiettamente “cattivista”. Ovvero un’idea dei rapporti sociali connotata dall’aggressività reciproca, dal disciplinamento forzato di tutte le manifestazioni di irregolarità sociale e culturale, da una concezione sostanzialista (disinteressata alle forme, alle regole, alle garanzie) del governo delle contraddizioni sociali. A ciò ha dato voce Roberto Maroni, rivendicando la necessità di essere “cattivi”. Più che star dietro a tali scemenze, è utile considerare come quel “cattivismo” stia diventando una sorta di diffuso senso comune. Si prendano in esame le reazioni successive alle visita, fatta da due dirigenti radicali, Rita Bernardini e Sergio D’Elia, ai romeni arrestati per i “fatti di Guidonia” (il resoconto è pubblicato da innocentievasioni.net). Sulla posta elettronica di Rita Bernardini sono piovute centinaia e centinaia di email. A leggerle, c’è da rimanere sgomenti: non tanto per la prevedibile aggressività che esprimono, ma per il connotato peculiare che l’offensiva contro una donna tende immediatamente ad assumere. Il linguaggio, il ritratto psicologico, la cultura, i valori di riferimento, le idee dominanti, i modelli sociali: tutto, proprio tutto ciò che quelle lettere dicono - contro chi ha voluto verificare il trattamento subito dagli arrestati per stupro - richiama esattamente quella che possiamo definire la “mentalità dello stupro”. Ovvero un’idea della donna come corpo da prendere, violare, buttare via, come preda della propria libidine, come proprietà privata di cui disporre a piacimento. Di più: emerge una visione del sesso come esercizio di potere, come espressione di forza e come strumento di controllo, come affermazione di sé e negazione dell’altro (dell’altra). Dunque, il sesso, come penetrazione e sottomissione, riduzione in schiavitù (magari solo per una notte), spossessamento. E se qualcuno (una donna!) osa rompere l’ordine dispotico-maschile del circuito delitto-vendetta, deve essere punito: se è donna, la punizione è fatalmente quella. Subire la medesima onta e la medesima violenza patite dalla vittima di coloro per i quali quella donna (Rita Bernardini, in questo caso) ha chiesto il rispetto dei più elementari diritti.
Scrivere a : abuondiritto@abuondiritto.it

l’Unità 15.2.09
Mengele 30 anni dopo
La Germania fa i conti col boia di Auschwitz tra ombre e misteri
di Paolo Soldini


Josef Mengele (Günzburg, 16 marzo 1911 – Bertioga, 7 febbraio 1979) medico nazista di Auschwitz, è diventato tristemente famoso per gli esperimenti sugli esseri umani effuttuati sui reclusi del campo di concentramento. Il suo comportamento gli valse il soprannome di «angelo della morte», per la crudeltà e la freddezza con cui operava sui detenuti, in particolare ebrei e zingari, spesso bambini. Ad Auschwitz ebbe pieni poteri. Nel 1949 riuscì a raggiungere l’Argentina sfuggendo ai servizi segreti israeliani. Si trasferì poi in Paraguay e dal 1960 in Brasile. Morì per un ictus mentre nuotava in piscina nel 1979 a Bertioga, in Brasile È sepolto sotto il falso nome di Wolfgang Gerhard.

La polizia tedesca, il Mossad israeliano, i cacciatori di nazisti di Simon Wiesenthal lo cercavano ancora nel 1985. E quando fu scoperta la sua tomba, nel cimitero di una località vicina a San Paolo del Brasile, molti continuarono a cercarlo. L’uomo aveva mille risorse, era intelligente e poteva contare su amici potenti: i documenti presso il cimitero raccontavano che quello era il corpo di Josef Mengele, tedesco, morto per un infarto nella prima metà di febbraio del 1979, esattamente trent’anni fa, mentre nuotava in mare, ma non si poteva escludere un trucco, una manovra per scomparire definitivamente inscenando la propria morte. Solo nel 1992 gli ultimi dubbi caddero, il test del DNA dimostrò che i resti di San Paolo erano proprio quelli di Mengele, il medico boia di Auschwitz, l’inventore e l’esecutore delle più atroci torture mai inflitte da un essere umano ad altri esseri umani, in nome della «medicina» e del «progresso scientifico». Gli esperimenti di Mengele e gli «studi» sui gemelli e il nanismo provocarono direttamente la morte di almeno 40 mila prigionieri del Lager e indescrivibili sofferenze per i sopravvissuti, soprattutto donne e bambini.
Quando arrivò, con la prova del DNA, la certezza sulla fine del suo «esimio collega e professore dott. Mengele» anche l’allievo più solerte, il medico delle SS Aribert Heim se ne andò all’inferno a pagare le sue infamie. Da anni il «macellaio di Mauthausen» era inseguito da un mandato di cattura della procura di Ludwigsburg (quella che indaga sui crimini nazisti) e dai segugi del centro Wiesenthal e tutti erano convinti che anch’egli si trovasse in Sud America, in Brasile, in Paraguay o nell’ospitalissima Argentina. Invece Heim era in Egitto, al Cairo, dove viveva sotto il nome di Tarek Farid Hussein, frequentava i celebri caffè cittadini ed era un appassionato di dolci, che mandava a parenti e conoscenti in Germania e in Austria con mielosi bigliettini firmati «zio Tarek». Aveva persino mantenuto la proprietà di un appartamento a Berlino, che affittava con il proprio nome e fu proprio questo che permise a un cronista del New York Times di rintracciarlo. Non era benestante come Mengele, però, e neppure come i tanti (decisamente troppi) suoi colleghi che passata la denazificazione avevano riavuto cattedre e onori negli ospedali e nelle università della Germania federale: fu sepolto in una tomba provvisoria nella Città dei morti del Cairo e i resti non vennero mai trovati. Ancor meno si sa di Alois Brunner, il collaboratore più stretto di Adolf Eichmann, catturato nel 1960 in Argentina e giustiziato nel ’62 in Israele. Potrebbe essere morto a Damasco, dove aveva trovato rifugio con il nome di dott. Fischer e dove era stato nominato dalle autorità «consulente per la questione ebraica». Dal 2001 il «dott. Fischer», che in diversi attentati del Mossad aveva perso un occhio e alcune dita delle mani ma rispondeva volentieri alle domande dei giornalisti che lo cercavano, non è stato più visto in giro. Al centro Wiesenthal hanno sospeso la caccia, ma non c‘è alcuna prova della sua morte. Oggi, se fosse ancora in vita, avrebbe 96 anni.
Ne ha 88, di anni, l’unico sopravvissuto dei criminali nazisti su cui penda ancora un procedimento giudiziario. E’ l’ucraino Ivan Demjanjuk, che nel campo di sterminio di Sobibor avrebbe ordinato la morte di 29 mila ebrei. Demjanjuk, che vive nei pressi di Chicago, era stato estradato in Israele nell’81 e condannato a morte nell’88 per gli orrori commessi nel campo di Treblinka, ma nel ’93 la sentenza era stata cassata perché la Corte suprema di Gerusalemme aveva espresso dubbi sulla reale identità dell’imputato. I dubbi, ora, sono caduti e l’ucraino è formalmente sotto processo in Germania. Ma è malato ed è dubbio che si arriverà a una nuova estradizione. Dopo la morte di Erna Wallisch, che portava personalmente i bambini nelle camere a gas di Majdanek e, quando era incinta, uccise a pugni e a calci un prigioniero che non ce la faceva ad alzarsi dal letto, i processi ai criminali nazisti vanno ormai verso l’estinzione naturale. Quello per l’eccidio delle Fosse Ardeatine a Erich Priebke, in Italia, rischia di essere stato l’ultimo. Questo non significa però che sia arrivato il momento di stendere il velo sulle responsabilità. Come ricorda il settimanale «Die Zeit» in un dossier dedicato al trentesimo anniversario della morte di Mengele, rimangono ancora due capitoli sui quali va fatta luce. Il primo riguarda l’atteggiamento tenuto, negli anni ’50 e ’60, dalle autorità tedesco-federali. Si dice, ad esempio, che il cancelliere Konrad Adenauer già nel 1958 fosse stato informato dai servizi segreti americani del fatto che il ricercatissimo (in teoria) Eichmann si trovava in Argentina. Adenauer si sarebbe tenuto il segreto per sé perché temeva che l’arresto dell’organizzatore delle deportazioni degli ebrei avrebbe potuto coinvolgere il suo strettissimo collaboratore Hans Globke. D’altronde, una parte dell’establishment era certamente complice. L’esilio di Brunner a Damasco, ad esempio, fu organizzato dal deputato cristiano-democratico Rudolf Vogel, che a suo tempo era stato membro dell’ufficio di propaganda nazista di Salonicco. Ed è cosa nota che la fuga di molti criminali nazisti, nell’ambito del famoso piano Odessa, fu non solo favorita ma direttamente gestita dalla «Organisation Gehlen», ovvero i servizi segreti della Repubblica federale che fino al 1968 fecero capo all’ex capo dello spionaggio della Wehrmacht Richard Gehlen.
Ancora più delicato il capitolo che riguarda la chiesa cattolica e il Vaticano. Nel Baden-Württemberg esiste una Klosterweg, una strada dei monasteri che tocca i principali centri religiosi della Foresta Nera. Ma dalla fine degli anni ’40 a tutti gli anni ’50 ci fu un’altra Klosterweg, che portava verso la Spagna di Franco e da qui al Sud America ed era controllata direttamente dalla Croce rossa italiana insieme con e per conto della Santa Sede. Si tratta di una storia abbastanza nota, anche se non è mai stata raccontata nei dettagli se non nel libro «La auténtica Odessa» del giornalista argentino Uki Goñi e nell’indagine disposta negli archivi del tempo di Peron dal presidente Néstor Kirchner. Una storia che ora si scontra con un dubbio davvero inquietante. È stato accertato che Mengele ottenne i documenti per l’Argentina spacciandosi per Helmut Gregor, un altoatesino di Termeno. È esattamente la strada che portò in Sud America migliaia di tedeschi, austriaci, fascisti croati e italiani, che ricevettero l’appoggio (accertato) di influenti ambienti della Santa Sede. Anche Mengele fu salvato dal Vaticano?

Repubblica 15.2.09
Il leader della Cgil contro Bonanni e Angeletti: sono un´anomalia in Europa, gli unici a non essersi mobilitati
Epifani: "Cisl e Uil con Berlusconi e il Pd torni in mezzo ai lavoratori"
intervista di Roberto Mania


Una parte grande dei precari resta senza sostegno. E per usare gli 8 miliardi passeranno due mesi
Va nella giusta direzione: un mix per rilanciare i consumi, ridurre la pressione fiscale, sostenere il made in Italy

ROMA - «L´anomalia non è la Cgil che sciopera da sola per ottenere di più dal governo contro la crisi. La vera anomalia sono Cisl e Uil: gli unici sindacati in Europa a non essersi mobilitati. Nemmeno una passeggiata, un sit-in. Mentre con il governo Prodi i pensionati della Cisl erano pronti a incatenarsi al ministero. In Francia c´è stato lo sciopero generale, in Germania quello dei servizi, in Grecia hanno scioperato, e così via. È davvero difficile rintracciare in Europa un profilo come quello della Cisl e della Uil, in particolare a livello nazionale».
Sta dicendo che Bonanni e Angeletti sono "filo-governativi"?
«Lo vogliano o meno, così appare».
Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, ha appena partecipato all´incontro con tutte le parti sociali promosso dal Pd di Walter Veltroni. La sua Cgil è tornata al centro della scena politica, soprattutto di quella della sinistra. Il Pd si è diviso sull´adesione alla manifestazione di metalmeccanici e statali di sabato scorso e Pierluigi Bersani ha scelto un´impostazione decisamente "pro-labour" per contendere la leadership a Veltroni. Epifani apprezza: «Ho sempre detto in tempi non sospetti che il Pd dovesse avere, nella sua autonomia, una maggiore presenza nel mondo del lavoro e provare a rappresentarlo».
Come giudica l´iniziativa di Veltroni di una "concertazione ombra"?
«Che è stata un´iniziativa utile con proposte che si muovono nella direzione giusta. Diversamente dal governo non c´è una sottovalutazione della crisi. Anzi. Le proposte sono positive: un mix per rilanciare la domanda di consumi, ridurre la pressione fiscale su salari e pensioni, sostenere in maniera selettiva il made in Italy. La Cgil ha detto per prima che la crisi c´è, che è eccezionale e che servono provvedimenti non ordinari».
Lei ha anche detto di condividere le conclusioni del G7. Perché, allora, critica il ministro Tremonti che si muove lungo la stessa direzione?
«Perché la ricetta di Tremonti ha un difetto di fondo. È giusto il suo ragionamento quando sostiene che la crisi nasce da problemi finanziari, ma sbaglia quando si limita a curare solo quelli, mentre è anche l´economia reale a soffrire».
Il governo, però, ha approvato un pacchetto per sostenere l´auto e gli elettrodomestici e poi ha destinato agli ammortizzatori sociali otto miliardi di euro.
«Il governo italiano è arrivato per ultimo in Europa. Se fosse intervenuto prima ci saremmo risparmiati due mesi catastrofici per l´industria dell´auto. E poi l´entità dei provvedimenti non è paragonabile a quello degli altri Paesi. Anche gli otto miliardi per gli ammortizzatori sociali arrivano troppo tardi. Per il 2008 non c´è niente e prima che siano realmente disponibili possono passare ancora due mesi. Non risolvono i problemi per una parte grande dei precari e si tratta di risorse, per la quota nazionale, che vengono tolte dai finanziamenti per le aree svantaggiate. In sostanza si aiutano i lavoratori in cassa integrazione e si creano meno posti di lavoro. È una partita di giro. Per questo ho detto a San Giovanni che continueremo con la nostra mobilitazione».
Tuttavia l´adesione allo sciopero è stata bassa: il 14 per cento tra i metalmeccanici, secondo la Federmeccanica; il 7,41 per cento tra gli statali, secondo il ministro Brunetta. Non si può dire che sia stato un successo.
«Non è così. Sappiamo benissimo quanto sia difficile scioperare con la crisi, con i redditi che non ce la fanno. Ma in molte grandi imprese, e non solo, lo sciopero è andato bene».
Il governo, con Brunetta, dice che siete una minoranza che sciopera "per tigna ideologica" e ha chiesto agli iscritti Cgil di restituire gli aumenti del contratto che contestano.
«Chi sciopero perde i soldi. Ci vorrebbe più rispetto per queste persone. Il problema non è essere una minoranza bensì verificare se le cose che dici sono giuste. Noi abbiamo detto che c´era la crisi, che era grave, che sarebbe arrivata una valanga di cassa integrazione, che servivano più soldi per gli ammortizzatori sociali, che bisognava sostenere l´industria dell´auto. Gli altri, come la Confindustria, dicevano che le cose andavano bene».
Una Confindustria "acquiescente" verso il governo, come ha detto D´Alema?
«Da quando la crisi che si è aggravata, la Marcegaglia ha cominciato a chiedere di più al governo. Ma proprio per questo non capisco perché abbia scelto la strada dell´accordo separato sui contratti, mentre si sta ballando davvero sul Titanic».
Riuscirete a ricucire con Cisl e Uil?
«È chiaro che nella crisi l´unità sarebbe fondamentale ma vedo anche che le divisioni restano profonde».

Repubblica 15.2.09
L’altra metà del Futurismo
Le donne e l’aerorivoluzione
di Daria Galateria


Cento anni fa il Manifesto del Futurismo glorificava "il disprezzo della donna" Eppure, come ora documenta un libro di Giancarlo Carpi, molto della pittura, scultura, danza, letteratura, cinema di quel movimento d´avanguardia fu dovuto alla creatività femminile
Si rifiutavano la femme fatale del decadentismo, l´amore-guinzaglio e la famiglia
"Disarmonica, sgarbata, sintetica, antigraziosa". Così fu definita la danza di Giannina Censi
La marcia beffarda con le suffragette per le vie di Londra dei giovani Boccioni e Marinetti

«Glorificare», intima il Manifesto del Futurismo del 1909, «il disprezzo della donna». «Noi disprezziamo la donna», ribadiva nel 1910 Marinetti, «concepita come ninnolo tragico». A scherno, Arturo Martini aveva intitolato Méprisez la femme una sua litografia, nel 1912. A Torino, nel 1909, Poupés électriques - bambole elettriche - col titolo italiano La donna è mobile metteva in scena fantocci elettromeccanici sostitutivi della donna. Naturalmente, si rifiutava la femme fatale del decadentismo, il «guinzaglio immenso» dell´Amore, la famiglia, «soffocatoio delle energie vitali», il debilitante sentimentalismo femminile («La donna che avevo io, pretendeva di monopolizzare il mio sesso, il quale è collezionista», si protesta con enfasi, sempre nel 1910, nella tragedia satirica Le Roi Bombance, il Re Baldoria).
Noi vogliamo combattere contro il femminismo, proclamava pure quel primo Manifesto; però nel 1910 si valutavano le ricadute positive del movimento: «Se l´entrata aggressiva delle donne nei parlamenti� finirà per distruggere il principio della famiglia, cercheremo di farne a meno». E del resto, in una spedizione a Londra nel marzo 1912 Marinetti e Boccioni si ritroveranno a sfilare «sottobraccio alle pochissime suffragette carine» - un corteo era passato sotto l´Hotel Savoy e i due futuristi erano scesi a unirsi alle donne in marcia - ma si erano infrante alcune vetrine, e la polizia a cavallo era intervenuta verso Trafalgar Square; tra cariche e manganellate, aveva anche sparato in aria; i due italiani erano fuggiti infilando un portone, ma le suffragette avevano poi applaudito le conferenze in francese di Marinetti - evidentemente, senza capirne una parola. L´«inferiorità assoluta della donna» (manifesto Contro l´amore e il parlamentarismo) è radicata nell´educazione; «se la donna sogna oggidì di conquistare i diritti politici, è perché, senza saperlo, essa è intimamente convinta di essere, come madre, come sposa e come amante, un cerchio ristretto, puramente animale» (la donna è naturale, dunque abominevole, aveva già scritto, per dandysmo, il poeta Charles Baudelaire, mezzo secolo prima).
A Marinetti rispose nel 1912, con il Manifesto della donna futurista, una parigina di Lione, Valentine de Saint-Point. Bella e inquieta, Anne Valentine Desglans de Cessiat Vercell era pronipote di Lamartine, e aveva preso come pseudonimo il paesino della Loira dove riposava il prozio poeta; Marinetti aveva ospitato i suoi versi già nel 1906 nella rivista Poesia. Intanto Valentine aveva tentato il romanzo (L´incesto) e la pittura, posando nuda per i suoi maestri Alphonse Mucha e Auguste Rodin. Nel 1912 aveva trentasette anni; a Parigi, sempre insieme a Ricciotto Canudo, l´intellettuale detto "le barisien" perché pugliese, era nota per i suoi immensi cappelli. Con Marinetti, furono tre anni di amore «infuocato e intervallato» (diceva il pittore Severini: «Marinetti è capace anche d´innamorarsi, se si tratta di aprire la strada al futurismo»).
Ciò che manca di più alle donne come agli uomini è la virilità, argomentò dunque Valentine nel Manifesto della donna futurista. I modelli sono le Erinni, le Amazzoni, Giovanna d´Arco, Charlotte Corday, Cleopatra e Messalina; e Caterina Sforza che, dai merli del castello sotto assedio, al nemico che minacciava di ucciderle il figlio, aveva mostrato, sollevando le vesti, le intimità: «Ammazzatelo pure! Mi rimane lo stampo per farne altri». Riacquisti dunque la donna la sua crudeltà e la violenza: perché - fatto salvo il femminismo, portatore d´ordine, dunque antifuturista - «nessuna rivoluzione deve rimanerle estranea».
Si volantinò, a Parigi e a Milano, anche il successivo Manifesto della lussuria: «La Lussuria è una forza», è ricerca carnale dell´ignoto: bisogna farne un´opera d´arte. «Cessiamo di schernire il Desiderio, questa attrazione di due carni, qualunque sia il loro sesso». Marinetti, «politimbrico», declamò il testo nella sala Gaveau di Parigi mentre Valentine, sotto l´ombrello di una scintillante costruzione di aigrettes, e un anello che «invetrinava il più bel piede del mondo», mimava una danza «ideista». Ci fu una scazzottatura, a causa «di alcuni imbecilli che insieme ai futuristi prendevano sul serio tutto ciò senza però esser d´accordo, disgraziati»; il pittore Severini era pronto a buttarsi dal palco in sala per dare man forte, ma era stato trattenuto dal colosso Cravan, boxeur pre-surrealista, nipote, si diceva, di Oscar Wilde. Severini poteva pure pensare che fosse una réclame furibonda per della paccottiglia rancida, ma insomma il Futurismo era movimento. E la danza della Saint-Point, in particolare la performance Metachorie (oltre la danza), antipsicologica, perché il volto era coperto da un velo neutro, con le sue singolari disposizioni a stella - il corpo steso come una ranocchia, le braccia a squadro a toccare le dita del piede - stravolse il balletto classico, e finì, nel 1917, al Metropolitan di New York.
Misoginia a parte, la danza della Saint-Point, la pittura polimaterica e la scultura cinetica di Ru�ena Zátková, il ruolo di Benedetta Marinetti nell´invenzione del Tattilismo fanno del Futurismo uno dei movimenti d´avanguardia con la maggiore partecipazione femminile, afferma oggi Giancarlo Carpi in Futuriste. Letteratura Arte Vita, quasi settecento pagine di saggio e antologia del futurismo al femminile (Castelvecchi). Oltre le specifiche ricognizioni, negli anni Ottanta, di Claudia Salaris e Lea Vergine, e più recentemente di Cecilia Bello Minciacchi, e poi di Mirella Bentivoglio e Franca Zoccoli - il bel saggio delle due studiose, Le futuriste italiane nelle arti visive, approda, ampliato, da New York alla De Luca editori d´arte -, Carpi nel vastissimo (e divertente) panorama di testi, e grazie a un ampio corredo iconografico, testimonia di questa importante presenza femminile, dalle prime tavole parolibere di Maria Angelini, la cameriera di Marinetti, attraverso le grandi poetesse e aeropittrici, fino ai coloratissimi arredi apprestati dalle figlie-vestali di Balla.
Agiografico il ritratto di Marinetti stilato nel 1916 dalla fantesca Marietta Angelini, che aureolava di parole in libertà l´asta gigante di un "1". Ironica invece la tavola parolibera del 1919 di Benedetta Marinetti, dal titolo irriverente Benedetta fra le donne, e la dicitura «Spicologia di 1 uomo» - non psicologia, ma «spico», spillo: i fili tesi tra gli spilli, come in un manufatto femminile, circondano un cerchio con la scritta: «vuoto». Marinetti nel �19 ha più di quarant´anni; nello studio di Balla (si entrava perlopiù dal balcone, saltando la ringhiera) ha visto per la prima volta l´angelica e flessuosa Benedetta Cappa: lunghe trecce scure, padre ufficiale piemontese, madre valdese; però, a diciannove anni e quattro mesi, è già futurista. Parlano di Bergson, e i primi amori pestano, in un campo oltre Sant´Agnese extra-moenia, otto metri quadrati di erba: «Non avremo mai un letto così grande», sospira Benedetta; si sposeranno qualche anno dopo. Velocità di un motoscafo, già dal 1919, traduce una scia in mare in una vibrante esplosione astratta di linee e triangoli blu e oro. Si orienterà poi su toni pastello - e intimi, nella narrativa: L´ultimo sogno di Astra, in Astra e il sottomarino (1935), evoca «una casa bianca. Astra espresse da sé quattro figlie e successivamente aperse un vano tondo senza imposte nella facciata� Metodicamente il padre murò il tondo occhio». Il «romanzo chirurgico» Un ventre di donna (1919) racconta una laparotomia in «non diluiti», dinamici termini futuristi («CORAGGIO + VERITÀ"). È inserita una lettera di Marinetti, che suggerisce una cura futurista: «Perfezionare il desiderio di un oggetto».
È Enif Robert, che con Rosa Rosà e Fanny Dini collabora alla nuova rivista Italia futurista, animata da Maria Ginanni. Enrica Piubellini firma tavole parolibere ispirate alla guerra, mentre si prepara la pattuglia di aeropoetesse e aeropittrici (Zátková, Barbara, Marisa Mori). Ma è l´aerodanza di Giannina Censi - in costume di lieve alluminio disegnato da Prampolini, nelle splendide foto rivelate dalla studiosa di danza moderna Leonetta Bentivoglio - uno dei capolavori del futurismo. Scoperta nel 1930 da Escodamé - pseudonimo di un "buttafuori" futurista - Giannina Censi, che ha studiato a Parigi con la russa Ljubov Egorova (la grande maestra su cui stava cristallizzando la sua follia Zelda Fitzgerald) si prepara ora con arditi voli aerei e realizza, superando «le passatiste ondulazioni di cosce montmartroises per forestieri», la danza «disarmonica, sgarbata, antigraziosa, asimmetrica, sintetica» preconizzata dal manifesto marinettiano nel 1917. Tra le fotografe, Wanda Wulz, con Io+gatto, impressiona Marinetti, e passa alla storia. Nel 1930, Tina Cordero firma, con Guido Martina e Pippo Oriani, Velocità, il capolavoro del cinema futurista. Pulsazioni e battiti di luce animano nel finale la scomposizione di un manichino metallico: «L´uomo d´acciaio resta con la sua ombra, l´unica cosa che ci appartiene».

Corriere della Sera 15.2.09
L'intervista. Il sindaco Domenici: no a queste primarie, sembrano una corrida
«Partito balcanizzato, a Firenze si può perdere»


FIRENZE — Sindaco Domenici, va a votare oggi?
«Ma sì. Andrò».
Elezioni primarie di coalizione, si sceglie il candidato sindaco suo successore, dopo dieci anni di "era Domenici". In campo, quattro esponenti del suo partito, il Pd, e uno della Sinistra. Lei sembra poco convinto...
«Sia chiaro: io sono favorevole alle primarie. Però nel Pd qui si è tutto ridotto a una corrida. Uno scontro fra i quattro gruppi che sostengono i quattro candidati».
Lapo Pistelli, ex Margherita, vicino al segretario Veltroni. Matteo Renzi, ex Margherita, molto autonomo, campagna "all'americana". Michele Ventura, dalemiano, già vicesindaco negli anni 80. Daniela Lastri, assessore nella sua giunta, ex sinistra Ds.
«Già. Ma io ho detto a Veltroni: se le primarie sono di coalizione, il candidato del partito dovrebbe essere uno. La segreteria nazionale, però, a un certo punto si è disinteressata a Firenze. Ci sono state autocandidature. Ed eccoci qua: la balcanizzazione del partito. Parcellizzazione. Personalismo. Così si disperde un patrimonio».
Quale?
«Il 48,7 per cento dei voti al Pd alle ultime politiche. Secondi solo a Bologna. Ma non basta».
Cos'altro?
«A Firenze è stato realizzato ciò che è nel codice genetico del Pd. Si è costruito il partito riformista di massa, con il movimento operaio e i cattolici democratici. Abbiamo governato per dieci anni senza la sinistra radicale. Nessuno ha pensato di valorizzare questa esperienza, di rivendicarla».
Cosa è accaduto, invece?
«Lo slogan di Lapo Pistelli è "Lapo punto a capo". Quello di Renzi, "Facce nuove a Palazzo Vecchio". Quello di Ventura, "Firenze merita di più". Il rischio ora è grave».
Che rischio?
«Che il Pd venga ridimensionato, proprio a Firenze, una roccaforte».
In che modo?
«Innanzitutto, qui, cosa unica in Italia, si svolgono le primarie con il ballottaggio. Per il timore che nessun candidato prenda una percentuale convincente. Allora, facciamo un' ipotesi probabile: vanno al ballottaggio Renzi e Pistelli, due ex Margherita. Come reagiranno gli elettori più legati alla sinistra, gli ex Ds, che sono almeno i due terzi di quel 48,7 per cento?».
Ma ora siete tutti assieme, nel Pd.
«E' vero, ma la fusione non c'è stata. E non c'è stata la gestione di queste primarie. Il Pd si è mostrato labile, impalpabile.
Così, è naturale che riemergano le antiche appartenenze».
Può vincere il centrodestra, a Firenze?
«Due mesi fa ero sicuro di no. Ora sono meno sicuro. Anche perché la balcanizzazione porta la proliferazione delle liste civiche».
Quanta gente si prevede andrà a votare alle primarie?
«Non so. Spero poi che i controlli sui votanti siano migliori di quelli fatti per l'elezione dell' assemblea cittadina del Pd».
Come furono le elezioni per l'assemblea cittadina?
«Nel mio circolo di Santa Croce ci fu quasi una rissa perché qualcuno portò a votare albanesi e rumeni che non sapevano nemmeno dove si trovavano. In altri posti gli "elettori" sono stati pagati 20 euro per partecipare».
Che compiti ha l'assemblea cittadina?
«Dovrà elaborare le liste elettorali. E i secondi e i terzi arrivati alle primarie apriranno il mercato: io ho preso tot per cento, ho diritto a tot candidati...».
Il Pd da Roma dovrebbe intervenire?
«Il problema è: cosa vogliamo fare del Pd? Ha ancora senso che i partiti siano strumento di selezione e formazione della classe dirigente, senza nulla togliere alle primarie? Io credo di sì, ma ciò che è accaduto a Firenze dimostra che il Pd ha abdicato a svolgere questa funzione».

Aprile on line 13.2.09
Testamento biologico, una battaglia di tutti
di Walter Bianco


Testamento biologico, una battaglia di tutti Il ddl della maggioranza, in discussione in Commissione Sanità del Senato, è una proposta che, se diventasse legge, circoscriverebbe a tal punto l'efficacia delle dichiarazioni anticipate di trattamento da renderle del tutto inutili. Un obiettivo, questo, che viene perseguito nel contenuto e nel metodo da parte del centrodestra e di spezzoni dell'opposizione. Contrastarlo è interesse di ogni cittadino

La morte di Eluana Englaro, la sua tragica vicenda umana, la dignità, l'altissimo senso civile della sua famiglia, lasceranno un segno profondo nelle coscienze di tutti noi.
Il nostro pensiero va innanzi tutto ad Eluana, a questa povera donna che ha visto spezzato nel fiore degli anni il suo percorso di vita, rimanendo sospesa nel limbo tremendo di una non vita e che ora ha finalmente trovato pace.
Il nostro pensiero va anche ai genitori di Eluana, i quali con un coraggio, una dignità ed un senso civile quasi sovrumani, hanno portato avanti, giorno dopo giorno, anno dopo anno, una battaglia che era di grande amore per la figlia e di grande rispetto per le istituzioni.
Tante altre soluzioni, più semplici, meno dolorose, avrebbero potuto trovare. Loro hanno percorso quella più difficile, ma anche quella più trasparente, ponendo così tutti noi di fronte ad una realtà che preferiremmo non vedere, che ci costringe a porci domande profonde sulla dignità della vita, sulla libertà dell'individuo, sul limite oltre il quale lo Stato, con i suoi precetti non può arrivare, sull'autodeterminazione della persona in ciò che di più sacro, di laicamente sacro, c'è nell'esistenza di ognuno di noi: la vita stessa, e la fine della vita.
Ora la famiglia di Eluana è arrivata al termine di quel percorso: liberiamoli da questo fardello, ed abbracciamoli nel loro dolore, lasciandoli tornare nel loro privato, rispettando i loro sentimenti.
Rimane però, enorme, incombente, il problema irrisolto della libertà dell'individuo di autodeterminazione su un punto cruciale quale è quello della decisione in merito alla prosecuzione delle forme di sostentamento anche in assenza di ogni ragionevole speranza di ritorno alla vita cosciente.
E rimane, altresì, irrisolto, il risvolto, ancora più inquietante, emerso in questa vicenda, e cioè il tentativo, la "prova generale" da parte del governo, di portare a compimento uno strappo rispetto all'ordinamento ed agli equilibri tra i poteri e le istituzioni, nel tentativo di ridimensionare i poteri del Capo dello Stato a tutto vantaggio del Presidente del consiglio.
Sotto quest'ultimo profilo, è evidente che Berlusconi, allorché ha ventilato l'ipotesi di approvare la disciplina del "testamento biologico" con decreto legge, per renderlo applicabile al caso specifico di Eluana Englaro, era ben consapevole di proporre un provvedimento che il Presidente della repubblica non avrebbe mai potuto controfirmare, in quanto palesemente incostituzionale, perché, anche a tacer d'altro, esso avrebbe inciso su una fattispecie che era già stata oggetto del vaglio dell'autorità giudiziaria, a tutti i livelli, e definita con sentenze ormai passate in giudicato, provocando così uno stravolgimento radicale di tutti i principi su cui si fonda la separazione dei poteri nel nostro ordinamento.
Il vero obiettivo del premier era pertanto un altro, e cioè quello di tastare il polso dell'opinione pubblica - e della docilità parlamentare - su un'ipotesi da lui stesso ventilata: quella di sottrarre al vaglio del Presidente della repubblica lo strumento della decretazione d'urgenza, in nome di una piena libertà d'azione del governo, negata, a suo dire, dai troppi "pesi e contrappesi" del nostro ordinamento istituzionale.
Se tale disegno dovesse mai arrivare a compimento, la conseguenza sarebbe un Capo dello stato ridotto a mera figura di rappresentanza, un Parlamento privato di fatto del proprio potere di discutere le leggi, ed una concentrazione assolutamente abnorme di poteri in capo al governo: non servono altre parole per sottolineare lo sfregio alle istituzioni ed al nostro ordinamento che ciò rappresenterebbe.
Venendo al merito ed al contenuto del disegno di legge varato dal Governo, occorre ribadire un punto preliminare, ma indispensabile, per porre la discussione in termini corretti: La Repubblica Italiana è uno Stato non confessionale. Ciò significa che, per quanto le posizioni espresse dal Vaticano possano legittimamente rappresentare un punto di vista autorevole, rappresentativo del pensiero di una buona parte della nostra popolazione, esse non possono avere per ciò stesso accoglienza a dispetto di ogni altra considerazione e punto di vista. Uno Stato non confessionale, infatti, deve essere consapevole che le proprie leggi debbono valere per tutti, compresi coloro che non condividono quei principi religiosi. Esso non può accettare il magistero di una confessione religiosa, per quanto diffusa e radicata nel sentire comune, quale criterio guida delle proprie scelte.
La Chiesa Cattolica può legittimamente professare, per i propri fedeli, il principio per cui la vita non appartenga ai singoli individui, ma sia un dono divino "indisponibile"; lo Stato, al contrario, non può tuttavia adottare tale visione quale unica possibile - nemmeno in maniera implicita - a meno di non deviare in maniera radicale dai principi posti alla base del nostro ordinamento costituzionale: sottrarre all'individuo l'inviolabile diritto all'autodeterminazione, infatti, fa venir meno il rispetto di un diritto di libertà e di dignità della persona, che invece la nostra Costituzione sancisce in maniera incontrovertibile nell'art. 32.
Il disegno di legge (ddl) che il Governo ha predisposto e portato in discussione nella drammatica seduta del Senato di lunedì 9 febbraio, e che adesso - sfumata per il Governo l'opportunità di far leva sulla vicenda di Eluana Englaro per accelerarne in maniera inaudita i termini di approvazione - tornerà in discussione in Commissione Parlamentare, introduce una disciplina che di fatto nega ogni libera autodeterminazione dell'individuo in una materia delicatissima qual è quella del testamento biologico.
In realtà questa proposta, se diventasse legge, circoscriverebbe a tal punto l'efficacia del testamento biologico da renderlo del tutto inutile. Ciò attraverso due barriere: una di merito ed una di forma.
Nel merito, a prescindere da ciò che la persona dispone nella propria D.A.T. (dichiarazione anticipata di trattamento), sarebbe comunque vietato al medico attivare o disattivare un trattamento, se da ciò possa derivare la morte del paziente, e, in ogni caso, la decisione di interrompere l'alimentazione o l'idratazione forzata non potrà essere oggetto della dichiarazione anticipata di trattamento, con ciò condannando di fatto, anzi di diritto, persone in stato vegetativo irreversibile a protrarre tale condizione a tempo indeterminato.
Nella forma, la dichiarazione dovrà essere resa davanti ad un notaio e sottoscritta dal medico di famiglia, e dovrà essere rinnovata ogni tre anni, rendendo così oltremodo farraginoso il ricorso a tale dichiarazione.
Infine, ed a sancire la totale inutilità di tale "dichiarazione", essa, secondo il disegno di legge predisposto dal governo, non sarà vincolante. Disposizione che suona come la definitiva vanificazione di questo simulacro di testamento biologico.
Se questo disegno di legge dovesse essere approvato, la scelta di ogni individuo di terminare la propria esistenza, in casi tragici ed estremi, in maniera dignitosa, senza inutili accanimenti, gli sarebbe totalmente sottratta, così creando un vulnus gravissimo nei principi fondamentali di libertà, di difesa della dignità dell'individuo, di libera determinazione della propria esistenza. Ipotesi questa che ripugna, o dovrebbe ripugnare, non solo ogni persona di sinistra, ma ogni individuo che si ritenga sinceramente democratico e liberale, indipendentemente dal proprio essere cattolici o meno.
Mentre infatti una disciplina che riconosca all'individuo la libertà ed il diritto di disporre le proprie volontà per tali eventualità non imporrebbe a nessuno una scelta e certamente non imporrebbe a chi creda in valori religiosi di adottare scelte in contrasto con le proprie convinzioni, questo ddl finisce con l'imporre a tutti una strada, limitandone pesantemente la libertà di scelta.
E' questo il motivo per il quale ogni partito che si professi democratico e che riconosca nella Costituzione dei valori ancora validi e degni di essere difesi e concretamente attuati nel nostro ordinamento, non può non opporsi nel merito a questo disegno di legge, ed impegnarsi per l'approvazione di una legge sul testamento biologico che riconosca ad ogni individuo il diritto di scegliere per la propria esistenza.
Si tratta di una battaglia che la sinistra dovrà, come ha già fatto, portare avanti, pur nella consapevolezza dei limiti dati dal non essere presente in Parlamento, movimentando su questi punti l'opinione pubblica non solo per evitare che questo scellerato disegno di legge venga approvato, ma anche perché l'Italia abbia finalmente una disciplina del testamento biologico che la metta in linea con i Paesi più avanzati dell'Occidente.
*Coordinatore Sinistra Democratica Pomezia

Aprile on line 12.2.09
Carità o quattrini?
di Nane Cantatore


Carità o quattrini? La veemenza con cui il fronte clericale e vaticano si è mobilitato sulla vicenda di Eluana Englaro fa pensare a un'offensiva sulle emozioni per ottenere una legge fortemente addomesticata, che faccia i poco limpidi interessi delle strutture sanitarie private, che non poco guadagnano dalle degenze croniche

La storia che viene raccontata dai fautori della cosiddetta "vita" (non la vita di qualcuno, che ne dispone liberamente, ma la "vita" in generale, che non è di nessuno, tanto che nessuno ne può disporre) è che Eluana è stata sottratta alle amorevoli cure delle suore misericordine, che l'avrebbero protetta e coccolata fino alla fine "naturale" dei suoi giorni. Proprio in nome di tale carità si sono sprecati gli insulti a Beppino Englaro e a chiunque sostenesse il diritto di interrompere la non vita, in nome di un'autodeterminazione sulla propria vita e il proprio corpo che ogni Stato laico dovrebbe tutelare.
Potrebbe essere allora significativo esaminare un po' più a fondo come si esprima e che cosa sia davvero questa carità, visto che siamo alle soglie dell'approvazione di una legge sul testamento biologico che ha tutte le probabilità di essere scritta secondo i più sfrenati sogni bagnati dei cosiddetti difensori della vita. C'è infatti da pensare che l'intera vicenda di Eluana, la chiamata alle armi della maggioranza, la mobilitazione di tutto il mondo cattolico ossequiente con il suo corollario di atei devoti, servano proprio a definire in questo nome una normativa estremamente stringente sul fine vita, con modalità fortemente prescrittive.
Sembra già chiaro, insomma, che i trattamenti nutrizionali non potranno in alcun caso essere sospesi, e che andranno protratti nel tempo senza alcuna possibilità di metterli in discussione. Ciò significa che, visto che la legge dello Stato ne imporrà l'erogazione, saranno le finanze pubbliche a farsene carico, attraverso i servizi sanitari. Servizi che agiscono ormai da tempo in pieno regime di sussidiarietà, secondo il principio per cui, nella fornitura di un bene o di un servizio di pubblico interesse, il pubblico e il privato possono erogarlo allo stesso modo, atteso il loro adempimento rispetto a standard di qualità e di costo.
In altre parole, visto che la nutrizione assistita di un paziente in stato vegetativo permanente non è un'operazione particolarmente complessa dal punto di vista medico, e che non richiede personale particolarmente qualificato, c'è da aspettarsi che, seguendo questa legge, la domanda di strutture per l'accoglienza di questi pazienti registri una forte crescita, anche perché non ha molto senso tenerli in strutture mediche ad alta intensità, destinate a bisogni più urgenti e più complessi. Del resto, quella che è la prassi comune, anche se non sancita da leggi, in tutti gli ospedali italiani, si troverà improvvisamente illegale: non sarà più possibile decidere di interrompere un trattamento medico e, per evitare guai e denunce da parte dei numerosi colleghi ansiosi di fare carriera grazie all'obbedienza ai dettami religiosi, saranno ben pochi i medici in grado di fermare forme ben più invasive di accanimento terapeutico.
Torniamo allora alle suore misericordine e alla loro carità, che resterà per poco prive di oggetto, e chiediamoci come potrebbe funzionare la questione con la nuova legge.
Stando a indiscrezioni raccolte in rete , la degenza di Eluana costava circa 3.800 euro al mese; un paio di riscontri con medici e dirigenti sanitari stimano comunque in più di 100 euro al giorno il costo di ospedalizzazione in una residenza sanitaria assistita di un paziente in stato vegetativo. È, del resto, noto che le suorine, i fraticelli e i tanti volontari che si prodigano a mostrare il loro amore non prendono stipendio, tanto che i religiosi risultano essere tra i maggiori destinatari della celebre social card dell'amato Tremonti (e chissà se anche le loro carte sono completamente vuote, o se nel loro caso la Provvidenza ha provveduto a dotarle di fondi), come è noto che contributi, straordinari e tutela dei dipendenti, per non parlare di corsi di formazione permanente e verifiche della qualità, sono poco meno che bestemmie di fronte a tanta carità.
Insomma, tra esenzioni fiscali, immobili di proprietà, donazioni e il dumping sociale esercitato dalle strutture sanitarie religiose, è chiaro chi si prenderà cura dei pazienti e a vantaggio di chi saranno i nuovi oneri sanitari. Anche una piccola struttura con una dozzina di letti, come quella magnificata recentemente in una trasmissione del limpido Bruno Vespa, insomma, potrà tranquillamente raccogliere cinque-seicentomila euro all'anno; mettiamoci uno di quei medici di chiara fama presso la parrocchia locale, che faccia da direttore sanitario e magari anche da direttore amministrativo e, perché no, da imprenditore a capo della struttura, un po' di glucosio e soluzione fisiologica, ed ecco che ci troviamo con un guadagno netto sui due-trecentomila euro puliti.
Moltiplichiamo il tutto per il boom di ricoveri garantito da una legge ad hoc, ed ecco che viene quasi la voglia di diventare caritatevoli anche noi.

Aprile on line 13.2.09
''Le bandiere rosse ci indicano un vuoto''
intervista a Fausto Bertinotti di Marzia Bonacci


Sfila tra il popolo della Fiom e della Fp. Stringe mani e ascolta quanti lo chiamano per esortare all'unità. Fausto Bertinotti non poteva non esserci all'appuntamento di oggi. E non poteva che provare un senso di soddisfazione nel vedere insieme, unite, due categorie di lavoratori per storia così diverse. Una soddisfazione che però lascia spazio alla coscienza che manca la sinistra e che va ricostruita. Ci ha spiegato perchè

Sfila tra i volti noti della politica, lui che dice di averla lasciata dopo averne fatto parte a lungo per dedicarsi allo studio, alla riflessione, alla sua rivista, Alternative per il socialismo. Avvolto nel tradizionale cappotto verde, con l'immancabile sigaro in mano, Fausto Bertinotti non poteva non esserci oggi, al corteo della Cgil. Poco distante Paolo Ferrero, attuale segretario, con cui i motivi di lontananza politica non sono mancati, tanto da spingere i "suoi", con Nichi Vendola in testa, a lasciare Rifondazione per imbarcarsi nel progetto costituente di una nuova formazione della sinistra. Sebbene sia fuori dall'agone politico in senso stretto, Bertinotti quel progetto di una nuova sinistra lo ha sostenuto e lo sostiene, mentre resta, a giudicare dalle mani che stringe in questa piazza, un punto di riferimento della sua comunità politica. Con lui abbiamo parlato proprio a margine del palco, davanti ad un fiume di bandiere rosse che lo hanno profondamente colpito.
La Fiom e la Funzione pubblica insieme, a sfilare per le strade capitoline e a ritrovarsi a S.Giovanni. Che cosa ti suscita questa compresenza?
E' molto bello. Ma forse anche di più. E' un fatto che dovrebbe interessare la cultura politica del paese. Questa manifestazione di lotta comune di due popolazioni lavorative per storia così diversa, come appunto i metalmeccanici e il pubblico impiego, è un reciproco vantaggio. Aiuta infatti a far vedere il lavoratore pubblico italiano come un lavoratore e non un privilegiato, e aiuta anche il metalmeccanico, che dimostra come non rappresenti la fine di una grande storia, la classe operaia che esce di scena, ma come una realtà sociale che ancora resiste, che ancora c'è.
Ed è poi un segnale di unità, tra due categorie che negli ultimi anni sono state anche distanti?
Si, rappresenta l'idea di mettere al centro dell'iniziativa politica e sociale l'unità della compagine lavorativa, del mondo del lavoro. Il che è un fatto straordinario, una risposta importante anche al contesto che il mondo sta vivendo.
Ti riferisci alla crisi?
Ovviamente, la recessione divide il mondo del lavoro, basta guardare Oltre Manica a quanto accaduto in Galles. E la crisi economica non fa che aumentare il rischio di conflitti che possono intervenire ogni giorno fra i lavoratori, spinti dalla scarsità di occupazione, dalla concorrenza spietata che il padrone impone loro. Ecco, di fronte a questo scenario, la costruzione dell'unità del lavoro diventa fondamentale, importantissima, vitale. Per questo dovrebbe interrogare la cultura politica.
E i partiti. Che messaggio manda questa piazza Cgil alla sinistra?
Il messaggio che manda lo si vede dal colore, da questa distesa di bandiere rosse che è assolutamente straordinaria. Sta avvenendo qualcosa di singolare. Veniamo da un tempo lontano in cui le manifestazioni della sinistra politica erano un tappeto di bandiere rosse mentre quelle sindacali erano multicolore, perché c'erano diversi simboli, perché si sosteneva che il sindacato dovesse comprendere tutti. Oggi questa distesa di bandiere rosse riempie di un vuoto il paese. Col che non è richiesto al sindacato di sostituire le forze politiche, ma indica un problema: se da una parte testimonia infatti una presenza forte di un sindacato che offre la mano ai lavoratori e questi che la prendono - senza chiedersi chi è, perchè sanno che è il sindacato e questo è ciò che conta, che basta- d'altra parte prova che non c'è, come dovrebbe esserci, la sinistra. Ma questo è un compito che è di questa gente e di questo popolo, ma non di questa organizzazione.
La gente e il popolo a cui ti riferisci però chiede alla sinistra unità. Durante la manifestazione non pochi si sono avvicinati a te per esprimerti questa esigenza, anche per dire che non capiscono però la nascita di un altro nuovo partito della sinistra che impegnerebbe Nichi Vendola...
Non milito direttamente nella politica, quindi non è giusto che mi pronunci, Nichi Vendola è un caro amico e compagno, penso però che il problema sia complessivamente della sinistra. Credo che oggi in Italia non esiste una sinistra e bisognerebbe, senza scorciatoie, porsi il problema di ricostruirla. Personalmente poi ritengo che ciò possa avvenire, intendo questa ricostruzione, solo da un grande big bang, che riapra un capitolo nuovo nella forza politica del paese.