Testamento biologico: Rutelli
e i teodem dividono il Pd
di Jolanda Bufalini
Il Pd ha presentato 36 emendamenti unitari. Su “idratazione e nutrizione” si esprime l’orientamento «largamente prevalente» ed è firmato da Finocchiaro e Zanda. Ma non c’è la firma di Dorina Bianchi.
«Cos’è, un biglietto d’auguri per Franceschini?», scappa detto al senatore Lionello Cosentino, quando vede l’emendamento presentato da Rutelli, che esclude dal testamento biologico la possbilità di rifiutare nutrizione e idratazione forzata.
La sequenza dei fatti è questa: la settimana scorsa la neo-presidente del gruppo Pd in commissione sanità Dorina Bianchi si astiene sul testo base (da oggi in discussione con circa 600 emendamenti, sempre in commissione), mentre la maggioranza del gruppo vota contro. A quel punto la presidenza del gruppo Pd al Senato, assume direttamente il coordinamento del lavoro comune. Lavoro al quale sono designati, oltre alla stessa Bianchi, i senatori Ignazio Marino e Daniele Bosone: quest’ultimo è medico, fa di mestiere il neurologo.
I due medici
I due medici, dunque, fanno un lavoro di mediazione cercando di calarsi nella realtà, di superare le posizioni ideologiche. Dice Bosone: «Con l’ideologia non si fa assistenza e senza assistenza non si tutela la vita». È un lavoro che, intanto, guarda alle esigenze reali delle famiglie che si trovano a far fronte alle esigenze dei malati terminali, anche quelle che non hanno possibilità economiche. Un lavoro «di grande disponibilità e apertura», lo definisce Ignazio Marino. Un lavoro di «sintesi culturale, perché la libertà di coscienza non esime dal lavoro politico», dice Bosone. E che fa punto cardine il rispetto dell’articolo 32 della costituzione sull’inviolabile diritto di scelta della persona. Sabato, Dario Franceschini, nel discorso di candidatura a segretario, inserisce un passaggio giudicato di grande importanza sulla necessità che il legislatore si ispiri a una mentalità laica. Anche Massimo D’Alema interviene: «l'idea che la legge obblighi il cittadino a subire determinati trattamenti, perchè la nutrizione forzata attraverso sondini o tubi gastrici è un trattamento, non ha eguali in nessun Paese civile, e speriamo che possa essere evitata agli italiani».
Chi firma e chi non firma
Siamo a ieri mattina alle 11, dead line per la presentazione degli emendamenti. Sul punto più delicato,la posizione del Pd tiene insieme la “tutela della vita” e il “principio di autodeterminazione”. Il compromesso prevede che «nutrizione e idratazione siano sostegno vitale», ma che «nel rispetto della Costituzione «è ammessa l’eccezionalità del caso di sospensione se espressamnente oggetto della dichiarazione anticipata di trattamento». Primi firmatari sono Anna Finocchiaro e Luigi Zanda. Seguono le firme di tutti i componenti della commissione, tranne la presidente e il senatore rutelliano Gustavino. Commenta Donatella Poretti (radicale): quello non è il mio emendamento, lo firmo perché è espressione del lavoro di gruppo. «Sconfortante», commenta Ignazio Marino che vede ancora una volta vanificato l’ennesimo passo in avanti verso una soluzione comune.
«Imbarazzo» è il termine diplomatico che circola nelle stanze della presidenza di gruppo rispetto alla posizione assunta da Dorina Bianchi, vista la sua posizione di capogruppo. In un comunicato Anna Finocchiaro sottolinea il lavoro unitario: «Il Pd ha presentato in Senato, in commissione sanità, 36 emendamenti che riassumono il serio lavoro di sintesi fatto in questi ultimi mesi» e, su idratazione e nutrizione, «è stato presentato un emendamento sottoscritto dalla presidenza del Gruppo, da senatori laici e da senatori cattolici, coerente con la posizione largamente prevalente e in sintonia con quella assunta sabato dal segretario Dario Franceschini». Questa dunque la posizione del Pd, fatta salva la pari dignità politica - ma non numerica - di altri emendamenti. Cosa c’è nel piatto? quali giochi e equilibri politici? Non qli interessi del paese reale, pensa Ignazio Marino. «Mi sembra il terreno meno opportuno per le manovre politiche, soprattutto dopo l’assemblea di sabato», commenta il cattolico Daniele Bosone. E c’è da registare anche il giallo di una riunione dei senatori con il neosegretario Franceschini, che - però - non era prevista né nella sua agenda e né in quella della presidenza del gruppo.
Oggi si ricomincia: 600 gli emendamenti. 100 solo della maggioranza e 250 di Donatella Poretti. Iil fatto che dalla maggioranza sia arrivata quella caterva di correzioni significa che anche nel centro destra le acque non sono tanto tranquille. Chissà se qualcuno andrà a vedere.
l’Unità 24.2.09
Pena di morte se la Chiesa non dice no
di Luigi Manconi
Mercoledì 11 febbraio, Benedetto XVI ha riaffermato l'intangibilità della vita umana "dal momento del suo inizio fino al suo naturale compimento". È la frase più frequentemente utilizzata dalla cultura cattolica, per argomentare il rifiuto di scelte come la sospensione di nutrizione e idratazione artificiali. Ed è stata così tante volte ribadita, da assumere la forza di un dogma irrinunciabile della concezione antropologica della Chiesa cattolica. Ma siamo proprio sicuri che quella frase abbia effettivamente l'assolutezza di una verità irrinunciabile e inderogabile? Per giunta, nei giorni scorsi alcuni cattolici hanno irriso i sostenitori della scelta di Bepino Englaro in questi termini: ma come? siete contro la pena di morte, come lo siamo noi, e poi volete infliggerla alla povera Eluana… L'argomento è già di per sé traballante, ma se preso seriamente può riservare sorprese. La Chiesa cattolica è contro la pena di morte? Vediamo. Nel "Catechismo della Chiesa cattolica" in vigore fino al 1999 si poteva leggere: "Articolo 2266. Difendere il bene comune della società esige che si ponga l'aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, l'insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte". Questo ancora nel 1999. Nella successiva edizione del Catechismo, quella attualmente in vigore, la stessa formula risulta attenuata. Attenzione: non abrogata, bensì solo edulcorata. Eccola: "2267. L'insegnamento tradizionale della Chiesa (…) non esclude, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani". Qui emerge un'ambiguità: sembrerebbe che si debba difendere un inerme da un aggressore mentre l'aggressione è in corso. Ma questa è né più né meno che legittima difesa: contraddittoria rispetto all'uso della formula "pena di morte", che richiama inevitabilmente una sentenza comminata da un tribunale. Dunque, si tratta di una vera a propria deroga - ben inteso: in situazioni eccezionali - al principio assoluto. Ma ciò rende meno assoluto quel principio. È inconfutabile che, se si accetta quella possibilità di deroga, l'eccezione può valere anche in altre, e diversissime circostanze (e non siamo stati noi a proporre la comparazione): in presenza, ad esempio, di un caso di stato vegetativo persistente e di un trattamento di nutrizione e idratazione forzate, che prolungano artificialmente una vita ormai esaurita.
Corriere della Sera 24.2.09
Un partito blindato che rischia l'unità sui temi legati all'etica
di Massimo Franco
Dopo l'elezione di Dario Franceschini, il comandamento tacito è di blindare il Pd. La conseguenza più immediata è quella di alzare un muro intorno al partito, rinviando qualunque approccio col centrodestra, si tratti di federalismo o di giustizia; e di offrire un'immagine dura e pura che assecondi la componente di sinistra sui temi etici, ed affili un antiberlusconismo capace di fare concorrenza ad Antonio Di Pietro. Ma le tensioni interne che emergono sul testamento biologico dicono quanto possa essere traumatica l'operazione. E, sebbene prevista, la rinuncia al «governo ombra » veltroniano segna il passaggio ad un'opposizione senza più ambizioni né prospettive di guida.
La visita resa ieri da Franceschini al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, conferma la volontà un po' pretenziosa di presentare il Pd come «partito della Costituzione»; e la larvata tentazione di trasformarlo in una sorta di «guardia politica» del Quirinale. Gli accenni ad un pericolo per la democrazia italiana; le uscite di Massimo D'Alema sullo strapotere di Silvio Berlusconi; i complimenti di alcuni dipietristi: sono altrettanti indizi di una deriva che tende a scaricare all'esterno i problemi del Pd. L'operazione ha come primo passaggio le europee; e come tappa successiva il congresso di ottobre.
Ma la sensazione è che molti fra gli ex ds vogliano piegare da subito l'identità del partito, proprio usando l'ex popolare Franceschini. Si intravede la silhouette
di una forza socialdemocratica, ancorata ai gruppi dirigenti locali e decisa a ricondurre alla disciplina ogni anomalia. Le stesse primarie, figlie degli anni prodiani e fonte di legittimazione di Walter Veltroni, oggi sembrano osservate con disincanto: anche perché hanno dato dei dispiaceri alla nomenklatura. Si indovina dunque uno spostamento del potere dal leader a chi gli ha conferito il primato: quella che si definisce collegialità.
I cosiddetti «temi etici» appaiono uno dei terreni privilegiati sui quali misurare il nuovo corso. Dietro le mediazioni cercate disperatamente da Francesco Rutelli affiorano i contorni di un'area politica sempre più in difficoltà nel Pd. E il modo in cui alcuni settori, sostenuti da Idv ed estrema sinistra, considerano Rutelli già in marcia verso l'alleanza con l'Udc, è una forzatura per anticipare il futuro. Il D'Alema che risponde alla jattanza berlusconiana con la propria, mette un sigillo all'operazione. «Berlusconi dice che ha fatto fuori 8 leader del centrosinistra. Non è vero», ribatte D'Alema. «Siamo vivi e in circolazione».
È un protagonismo inedito, per un dirigente che fino a pochi giorni fa ostentava distacco. Ma si tratta della conferma di un rimescolamento del quale Franceschini appare il garante, dopo essere stato il vice-Veltroni. «Ho letto che è tornato l'antiberlusconismo, non capisco cosa voglia dire», sostiene il segretario in tv. Vedendo come si comporta il premier, «anche un moderato alza la voce». La sua ricetta sul Pd è «la più semplice: smettere di litigare». Se centrerà questo obiettivo minimo, sarà già molto. Naturalmente, bisognerà vedere se la blindatura ed una pace interna prodotta dalla disperazione porteranno anche voti.
Corriere della Sera 24.2.09
Lo spauracchio «eutanasia»
di Silvio Viale, comitato scientifico di Exit.Italia
Caro Direttore, Panebianco bluffa quando parla di guelfi e ghibellini, collocandosi dubbiosamente in mezzo. Bluffa, e sbaglia, perché attribuisce ai ghibellini una posizione non loro. Mentre per i neoguelfi la «sacralità della vita» è davvero un valore assoluto non negoziabile da imporre, per i neoghibellini non è affatto vero che vogliono affermare «il principio secondo cui la decisione della morte di un uomo è nell'esclusiva e libera disponibilità di quell'uomo ». I neoghibellini non chiedono la deregulation del suicidio, che peraltro già non è reato, ma solo la possibilità di non essere costretti a prolungare una vita ormai consumata nella sofferenza della malattia in presenza di condizioni precise. Solo in questi casi i neoghibellini chiedono una morte quanto più possibile indolore e senza sofferenza con l'aiuto della medicina. Insomma i neoghibellini sono un po' guelfi perché vogliono dei paletti precisi, mentre i guelfi non sono per niente un po' ghibellini. La vera ipocrisia italiana è quella di temere la parola «eutanasia» e di circoscrivere il dibattito ad un suo surrogato di risulta come è il rifiuto delle terapie, sebbene addolcito da un po' di enfasi sulle cure palliative e appesantito da un po' di confusione sull'accanimento terapeutico.
Infatti, le cure palliative, se ben condotte, non sono così lontane da una terapia eutanasia, mentre l'accanimento terapeutico, che nessuno sa definire, è diventata la litania buona per ogni minestrone. Panebianco sbaglia quando parla di «due torti che si fronteggiano » e la prova del nove sta negli esempi delle leggi sull'eutanasia di Olanda, Belgio ed, ora, Lussemburgo, nonché nella prassi svizzera del «suicidio assistito». Dove sarebbero i torti per i neoguelfi o per i neoghibellini italiani? Ognuno potrebbe continuare a mantenere e propugnare le proprie ragioni. I guelfi potrebbero cercare di persuadere a non ricorrere alla legge. I ghibellini potrebbero accontentarsi di avere un'opportunità in caso di ultima necessità. I guelfi olandesi non sono limitati dalla legge olandese sulla interruzione della vita. Anzi, sia i guelfi e sia i ghibellini olandesi potranno avvalersene se le circostanze, il destino e le convinzioni dovessero farli approdare ad essa. In fondo, noi ghibellini, favorevoli all'eutanasia, siamo solo persone che amano talmente la vita da volerle bene anche nel suo viaggio terminale. Come fu per il divorzio, come fu per l'aborto, non è indifferente per nessuno quale torto finirà per prevalere nel regno dei guelfi.
Liberazione 24.2.09
Il gruppo del Senato si divide anche per gli emendamenti
Testamento biologico,
Il Pd litiga sul sondino
di Laura Eduati
Sai che sorpresa, il Partito democratico litiga sul sondino nasogastrico obbligatorio.
A trentasei ore dalla cosiddetta unità sancita nel nome di Franceschini, il partito si spacca sugli emendamenti al disegno di legge del centrodestra sul testamento biologico.
Secondo l'emendamento firmato da Anna Finocchiaro e Ignazio Marino, idratazione e alimentazione possono essere eccezionalmente sospese se il paziente ha espresso anticipatamente questa volontà. Dorina Bianchi, la capogruppo Pd in commissione sanità al Senato, fa obiezione di coscienza e non firma. Rutelli prova «la terza via»: non sarà possibile inserire nel testamento biologico l'interruzione del nutrimento forzato, tuttavia il nodo verrà eventualmente sciolto dal confronto tra il medico e il fiduciario delle volontà del malato. Una opzione che esclude quasi totalmente la soluzione-Eluana: i pazienti in stato incosciente dovranno subire scelte altrui.
I cosiddetti piddini laici sono furenti con i cosiddetti teo-dem: «Non capiscono che non può esistere una mediazione con il centrodestra che proclama l'indisponibilità della vita umana e obbliga i malati al sondino nasogastrico».
La rottura avviene di primo mattino, quando scade il termine per la presentazione degli emendamenti in commissione sanità al Senato.
Poco meno di cinquecento le modifiche presentate dall'opposizione al ddl Calabrò (Pdl), e tra questi la proposta di intero stralcio di quella parte che dichiara «indisponibile» la vita umana. «E' in contrasto con l'art. 32 della Costituzione, che salvaguarda il diritto ad opporsi alle cure», spiegano quelli del Pd. I radicali sono d'accordo.
Poi la scoperta: Dorina Bianchi, neo-capogruppo Pd in commissione al posto di Marino, non appone la firma ad un secondo emendamento che dovrebbe rappresentare la posizione unitaria e prevalente dei senatori Pd nella commissione stessa. L'emendamento è quello proposto da Finocchiaro, Latorre, Chiaromonte, Zanda e Marino, e propone di considerare il sondino nasogastrico come un «sostegno vitale» che in via «eccezionale» può venire sospeso su richiesta del paziente attraverso le dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat, ovvero testamento biologico ndr).
Soltanto sabato pomeriggio, alla manifestazione contro il ddl Calabrò, Ignazio Marino si era detto certo che Franceschini avrebbe garantito la linea laica senza tentennamenti. Sono passati nemmeno due giorni e l'illusione è finita: il senatore e chirurgo esprime «sconforto» per la posizione assunta da Bianchi. I laici, chiamiamoli così, protestano vivacemente: «Dorina pensa di potere scalfire il ddl Calabrò, purtroppo la maggioranza ha i numeri per approvare il testo così com'è» e cioè con l'imposizione di alimentazione e idratazione senza se e senza ma.
Tanto più che sono in arrivo gli emendamenti della maggioranza tra i quali quello di Laura Bianconi, convinta che bisognerebbe obbligare anche alla ventilazione artificiale: in questo modo Welby non sarebbe potuto morire. Proposta mica peregrina: il ddl Calabrò parla dell'alimentazione e della nutrizione artificiali come «sostegno vitale», dunque ci si avvicina sempre più all'accanimento terapeutico per legge.
Rutelli prova la mediazione tra le due parti una contro l'altra armate: alimentazione e idratazione artificiali non possono far parte del testamento biologico, ma saranno il medico, i famigliari e l'eventuale fiduciario indicato dal paziente a trovare una soluzione anche se la decisione finale spetta al medico. Ciò vale nelle fasi terminali ma anche se il malato è minorenne o incapace di intendere o volere.
A prima vista l'emendamento salva capre e cavoli, tuttavia darebbe al medico il potere di veto annullando o quasi le volontà del malato.
Il pasticcio in salsa democratica richiama una esplicita considerazione di Massimo D'Alema, finora pressoché silente sul tema: obbligare al sondino nasogastrico o alla cannula via stomaco per la nutrizione «è una idea che non ha eguali in nessun paese civile». La stoccata, idealmente contro il centrodestra, è benissimo riferibile all'ala teodem.
Il ministro Maurizio Sacconi legge le agenzie e commenta con gaudio le aperture del piddì alle posizioni della maggioranza ma, sull'emendamento di Marino e Finocchiaro, ritiene incomprensibile «il salto logico per cui "eccezionalmente", sulla base comunque di una volontà espressa dalla persona, sarebbe possibile interrompere acqua e cibo».
Non tardano le reazioni: «Sacconi non capisce che non può obbligare una persona ad un trattamento sanitario non voluto».
La commissione del Senato lavorerà notte e giorno fino a giovedì per esaminare i 585 emendamenti complessivi, poi passerà il testimone all'aula a partire dal 5 marzo. I maldipancia dei cosiddetti laici è forte, la posizione di Rutelli pesa. I senatori del Pd in commissione sanità attendono di vedere come la capogruppo dissidente, Bianchi, esprimerà la posizione del partito nella relazione finale.
Anna Finocchiaro prova a portare ordine tra i ranghi: l'emendamento che propone di sospendere idratazione e alimentazione se il paziente lo desidera, è la «posizione largamente prevalente» nel Pd. E' questa la linea, spiega la capogruppo in Senato, «in sintonia con quella assunta sabato da Dario Franceschini». Come dire: i cosiddetti teodem si pongono sostanzialmente al di fuori delle decisioni maggioritarie.
Con quali conseguenze, lo si vedrà nei prossimi giorni. Epperò esiste già una richiesta potente da parte dell'Italia dei valori: cacciare Rutelli. Lo esprime Donadi: «Le sue posizioni non possono appartenere all'area progressista e riformista del centrosinistra».
Liberazione 24.2.09
Un partito "riformista, non di sinistra"
La fallita rifondazione liberale del Pd
di Paolo Ciofi
Adesso, dopo l'assemblea alla Fiera di Roma, il Pd è una pagina bianca tutta da scrivere. Perché, nonostante gli sforzi di firme illustri per dimostrare che il progetto era ottimo e il suo inventore non all'altezza, le dimissioni di Veltroni sono la conseguenza e la prova provata della fragilità e del fallimento del suo progetto, annunciato come l'unica, vera operazione "riformista" con basi di massa mai tentata nella storia d'Italia. Lo dimostrano i fatti, e anche il discorso di Franceschini, molto distante dal manifesto del Lingotto dell'ottobre 2007.
In effetti, il "sogno" veltroniano non si riduceva alla pura alternanza di governo, come ha ripetuto l'ex segretario nel giorno dell'addio. Era qualcosa di più e di più complesso. Era l'idea di un "riformismo" ispirato al modello americano, orientato alla cancellazione della sinistra e incardinato sul bipartitismo rappresentativo degli interessi dominanti, che esclude per definizione dal sistema politico l'autonoma e libera rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori eterodiretti. Dunque, una «Grande riforma», «una vera e propria rifondazione democratica», ovvero una compiuta «rivoluzione liberale» come ha tradotto Bettini, volta al superamento del patto costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.
Proprio nel momento in cui in America si è aperta una riflessione non effimera sulle disfunzioni di quel modello, qui si è proposta un' "innovazione" di sistema che s'incontra con quella su cui lavora Berlusconi perché ad essa è parallela e speculare. In sostanza è l'idea di una politica fondata sulla centralità dell'impresa e tutta interna al potere di comando del capitale, nell'alternanza di quelli che lo stesso Veltroni ha definito un «capitalismo agonistico» e un «capitalismo solidale».
A questo scopo dovrebbe servire un partito neoborghese, nei contenuti moderato e centrista: il Pd appunto, che è «riformista ma non di sinistra», come ha dichiarato l'ex segretario a El Pais e come abbondantemente ha dimostrato la pratica politica di questi mesi.
Non per caso il discorso del Lingotto, che doveva dare il soffio della vita al Pd, è stato esaltato dal Corriere e dal Sole-24 Ore, che ha osservato come finalmente si sia completata la «svolta borghese» dei postcomunisti: «E' stata un'operazione di metabolismo politico di ingredienti che finora erano stati parte del sogno berlusconiano», ovvero del «mito del successo imperniato sul denaro». «E' come se Veltroni avesse intercettato le spore di questo mito e le avesse sistemate in un ordine diverso».
Ma è proprio questo "sogno" che non ha retto alla prova. Innanzitutto perché l'ancoraggio al liberal-liberismo (sia pure mite ma non tanto), esattamente nel momento in cui il medesimo liberal-liberismo viene additato come detonatore della crisi verticale del capitalismo, ha finito per produrre contraddizioni laceranti dentro il Pd. Come si è visto di fronte alle iniziative di lotta e agli scioperi promossi dalla Cgil, che però non hanno trovato il sostegno ufficiale del partito. Una scelta del resto prevedibile, dal momento che l'ex segretario aveva enunciato il principio secondo cui «se l'economia va male, non ci può essere giustizia sociale».
In secondo luogo perché l'idea di un superamento delle culture fondative della Repubblica, come la comunista (del Pci, per la precisione) e la cattolico-democratica, facendo ricorso a operazioni plebiscitarie che mettono il partito al servizio di un capo e non il contrario, si è dimostrata disastrosa, subalterna e distruttiva di ogni principio. Soprattutto sui temi della laicità, della libertà dell'individuo, delle scelte di fine vita, come insegna il caso Englaro. Ma se le culture di riferimento e gli ideali non sono contrattabili come i programmi e i ministeri, allora sorge il dubbio che ex democristiani ed ex comunisti forse possono stare insieme in un governo, difficilmente in un unico partito.
Inoltre perché la borghesia italiana, in assenza di una forte spinta del movimento operaio e di una adeguata rappresentanza politica delle lavoratrici e dei lavoratori, si è dimostrata nei suoi gruppi dirigenti ancora una volta miope, priva di una visione veramente nazionale ed europea, dedita al suo meschino interesse di classe e piuttosto incline a calpestare regole e contenuti della democrazia, come è avvenuto nei passaggi decisivi della storia d'Italia. Nel merito, le posizioni della Confindustria puntualmente documentate da questo giornale costituiscono oggi un'aggravante della crisi.
Ma non solo. Alla resa dei conti, i maggiori rappresentanti del capitalismo italiano convergono con Berlusconi proprio nel momento in cui il capo del governo ha cominciato l'assedio manovrato ai fondamenti della Repubblica e ai principi della Costituzione. Altro che il ritorno alla prima Repubblica perché Berlusconi si appoggerebbe allo stesso blocco sociale della vecchia DC, come ci fanno sapere fior di commentatori che pretendono di guardare avanti con la faccia rivolta all'indietro. E' invece la prova, dopo il fascismo, di un'ulteriore fallimento della borghesia come classe dirigente, che carica la sinistra di una nuova e inedita responsabilità, da esplorare fino in fondo.
Infatti, appare sempre più evidente che questo Paese è destinato a un irreversibile e doloroso declino se non si pone mano, con tempestività e determinazione, alla costruzione di una autonoma e libera rappresentanza politica del lavoro del XXI secolo: da valorizzare non solo come forza produttiva fondamentale della ricchezza della nazione, bensì anche come fattore costitutivo della personalità e dell'incivilimento sociale, oltre che come basamento dell'uguaglianza e della libertà. Ma non è certo rivangando il passato, con datate operazioni di stampo blairiano, denominate socialdemocratiche, ma nella sostanza liberiste e centriste, che si può costruire il futuro.
Liberazione 24.2.09
«La razza non esiste, il razzismo sì
Sarà il meticciato a salvare le generazioni»
intervista a Francesco Cavalli Sforza di Claudio Jampaglia
Razza o pregiudizio? . Se avete una qualsiasi relazione con un giovane questo libro di Luigi Luca e Francesco Cavalli Sforza (con Alberto Pianta, edizioni Einaudi scuola) è quello che vi servirà per affrontare in maniera logica, scientifica e definitiva la questione de L'evoluzione dell'uomo tra natura e storia (il sottotitolo). E la conclusione è molto semplice: le razze non esistono. Il razzismo purtroppo sì. E come è possibile? La risposta spetta a Francesco Cavalli Sforza che di mestiere fa "il divulgatore di conoscenza" - non troviamo altro termine per uno che è passato dal cinema, al video, alla televisione per approdare all'antropologia e alla scrittura scientifica insieme al padre Luca Luigi, uno dei più grandi genetisti. E la risposta inizia come spesso accade nel ragionamento scientifico da una premessa: «Nella nostra specie non esistono le razze perché siamo troppo giovani come specie, non ne abbiamo avuto il tempo. Le grandi differenze sono tra individui mentre quelle tra popolazioni sono una piccola percentuale, per esattezza circa l'11% delle differenze tra uomini. Cose superficiali come la forma del corpo, il colore della pelle... che rispondono a necessità "ambientali". L'unità di misura della evoluzione invece è la generazione e nei batteri ci sono tante generazioni in un anno quante nella specie umana in mezzo milione di anni (per la precisione una generazione umana sono 25 anni per le donne e 27 per gli uomini n.d.r. ). E quindi non è nemmeno vero che ci evolviamo più rapidamente di altri animali. I batteri sono più rapidi ed in un certo senso evoluti di noi, infatti alla lunga vincono sempre loro...».
E quindi la razza cos'è?
Una costruzione ideologica, semplicemente. La parola razza è esistita per definire la selezione delle varie stirpe di animali che gli allevatori ottenevano già dal primo medioevo per determinati animali... cani da riporto, da fiuto oppure cavalli da tiro o da corsa... E la selezione artificiale ha creato in pochi secoli tante razze di animali domestici. Basta pensare al gatto domestico e alle sue centinaia di varietà, tutte figlie dello stesso gatto selvatico che ormai non esiste quasi più...
Qualcuno ha provato però a selezionare la "razza umana"?
E ben prima di Hitler. Dai tempi dei faraoni egizi si è provato a limitare la procreazione in ambiti che si credevano "eletti". Prevalentemente nella stessa famiglia... Ma qualsiasi tentativo di questo tipo è destinato a fallire per una ragione genetica che sancisce anche la fine biologica di qualsiasi razzismo realizzato, e cioè che gli incroci tra geneticamente simili sono molto delicati. Così le cosidette "linee pure" degli allevatori sono spesso sterili e prede di malattie genetiche. Che si tratti di cani o umani la storia è la stessa.
E il contrario? Ovvero incrociarsi, mischiarsi...
L'incrocio funziona meglio. E il meticciato fa bene al corpo e alla mente, in senso evolutivo si intende. E anche qui la motivazione è scientifica. E' il cosiddetto "vigore degli ibridi". L'evoluzione infatti comporta una differenziazione continua che forma tanti "tipi" diversi e migliora in corsa l'adattamento dell'individuo al proprio ambiente. E l'adattamento marcia ad ogni più piccolo mutamento... Ora il numero di combinazioni genetiche possibile tra un maschio e una femmina umani è di un 3 seguito da tre miliardi di zeri ovvero una straordinaria possibilità di variazione ad ogni generazione. Ed è questa varietà prodotta in serie da processi perfettamente casuali la migliore garanzia di sopravvienza delle generazioni future. Si chiama ricombinazione ed è come rimescolare il mazzo di carte per ogni giocatore senza introdurre mutazioni.
Quindi la nostra "resistenza" è dovuta anche dalla ricombinazione genetica?
Oggi l'interpretazione più accreditata dice che la riproduzione di carattere sessuale si è affermata in una varietà così ampia tra tutti gli animali superiori proprio perché rende possibile una straordinaria ricombinazione dei caratteri genetici dei genitori (il sesso spiegato dalla scienza, n.d.r. ). E casuale. Mutazione e ricombinazione, insieme alla cosiddetta deriva genetica (ad ogni generazione cambia la frequenza dei tipi genetici, ad esempio dei gruppi sangugni AB0) sono importantissimi fattori di evoluzione. Poi c'è la selezione naturale che agisce come un setaccio che lascia passare quelli "adatti" per ripordursi. Ma in sostanza la grande varietà di tipi genetici frutto dell'evoluzione, presente ad ogni generazione è la migliore garanzia di sopravvivenza.
E qual è il motore di questa diversità e resistenza umana?
Senza dubbio la cultura che è "la" cosa che caratterizza l'uomo. E sono circa 6mila le popolazioni umane che hanno sviluppato un propria cultura da quando, circa 50mila anni fa, hanno iniziato a divergere, a colonizzare il mondo e sviluppare diversi modi di vita. E questa è la nostra migliore chance di sopravvivenza rispetto alle incognite del futuro... In natura la possibilità di compiere cambiamenti si vede ogni generazione ed è affidata alla rare mutazioni chiamate verticali, invece la cultura ci permette di realizzare dei cambiamenti in linea orizzontale. Vale anche per gli animali dove si trovano culture incredibili, con sistemi di comunicazione molto sofisticati. Basti pensare alle formiche o alle api. Ma nel mondo umano le idee sono l'equivalente delle mutazioni in campo genetico e si possono trasmettere a chiunque sia in grado di comprenderle. Questa è la ragione per cui l'evoluzione culturale è immensamente più veloce di quella genetica. Per adattarci ai climi freddi della Siberia 25-30mila anni fa fu possibile grazie all'innovazione culturale dell'abito da pelliccia e dopo migliaia d'anni i corpi si sono adattati all'ambiente gelido. Basti pensare alle narici lunghe e sottili che servono a riscaldare l'aria gelata prima che arrivi ai polmoni e ai cuscinetti di grasso sotto l'occhio per non far gelare il liquido del globulo oculare e ancora gli occhi sottili tipici delle popolazioni mongole. Adattamenti biologici si trovano ad ogni latitudine e hanno richiesto millenni. Mentre oggi si compra un'attrezzatura adeguata, un buon paio di occhiali antivento e l'adattamento culturale ci permette di fare un salto di 10mila anni di adattamento biologico...
Ma la selezione poi si fa anche sulla diversità culturale tra "umani"?
Ovviamente sì. Ma non ne conosciamo sempre la direzione. Prendiamo un cittadino metropolitano occidentale e un contadino povero che zappa sul Medio Atlante marocchino. Il metropolitano può sembrare il massimo della civiltà e l'altro un povero disgraziato ma metti solo che si produca una crisi energetica da petrolio chi ne uscirà meglio? Il contadino di sicuro continuerà la sua vita. Ma noi? E' il senso biologico della compresenza di culture diverse.
E uno scienziato come si spiega il razzismo?
Non se lo spiega. Se non come lo scontro tra tifosi di diverse squadre: l'appartenenza a un gruppo dà sicurezza, identità fino a inventarsi un nemico per affermarsi. Non c'è spiegazione scientifica.
E la paura? Perché quello che conta nel crescente clima di allarme sociale esagerato, urlato, inventato è la fabbrica della paura...
Credo che la paura nasca semplicemente dal senso di insicurezza del futuro. Non sono i tanti migranti o meno in giro è il fatto di non sapere se avremo un lavoro, se ce la faremo, se riusciremo a mantenere il livello di vita dei nostri figli... Per due generazioni si è affermata la convinzione che fosse possibile per tutti una grande stabilità e sicurezza ai più alti livelli della scala sociale: sanità, istruzione, case, benessere. Questo senso di sicurezza si sta dissipando, soprattutto per la crisi economica e credo che da questo nasca la paura. Lo straniero non c'entra nulla. E' il capro espiatorio. A lui tutti i mali benché sia falso pure statiscamente. Chi commette più delitti? Chi commette più stupri? I numeri dicono gli italiani.
E cosa preoccupa di più uno scienziato?
La preoccupante e scarsissima conoscenza nelle cose più elementari della scienza da parte dei cittadini, ma vale anche per la cronoca, per i fatti, se posso permettermi. Eppure il grande vantaggio che abbiamo oggi è proprio la disponibilità straordinaria di consocenza scientifiche e tecnologiche rispetto al passato. Però sembrano non interessare. Che sia in campo biologico o per trasformare l'Italia in un paese a energie rinnovabili. Si può fare. Invece attendiamo la fine dei fossili, le catastrofi e la natura che deciderà per noi.
l’Unità 24.2.09
Contratto scuola. Referendum Cgil
Il 95% dice «no»
18 marzo sciopero
La Cgil non ha sottoscritto il rinnovo del contratto della scuola. Aveva chiesto a Cisl, Uil, Snals e Gilda prima di indire un referendum tra i lavoratori. E poi, semmai, firmare. Ma nessuno delle altre organizzazioni sindacali ha voluto seguire il «consiglio» di Guglielmo Epifani, leader della Confederazione dei lavoratori. E così ecco i risultati: il 94,65% dei votanti ha «bocciato» il contratto. Quasi 400mila i partecipanti al referendum (376.926), il 40% della categoria. E 250mila persone non erano iscritti alla Cgil. L’84% si è espresso per il «no» anche attraverso un parallelo sondaggio condotto on line. Numeri importanti. «I lavoratori della scuola - ha detto Epifani - vogliono poter decidere su quello che li riguarda». E Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil, ha aggiunto: «Non abbiamo sottoscritto l’intesa perché insufficiente a recuperare il potere di acquisto dei salari. Il contratto non propone alcuna soluzione al problema del precariato e non risponde alle attese del mondo della scuola sul versante professionale».
Immediata la replica di Raffaele Bonanni, Cisl: «Il segretario della Cgil non è nè un arbitro nè un notaio. Dico a Epifani che i problemi sono altri e farebbe bene a porseli».
In occasione della conferenza stampa sull’esito del referendum, la Cgil ha anche ufficializzato la decisione di andare ad uno sciopero nazionale per il 18 marzo. A fermarsi insieme alla scuola saranno anche l’università, la ricerca e l’Alta formazione artistica e musicale (Afam). Nel giorno della mobilitazione si terranno anche 18 manifestazioni territoriali in tutta Italia.
E sempre sul fronte scuola si profila una sonora bocciatura per il maestro unico. Le iscrizioni alle prime classi si chiudono questo sabato. Da una prima ricognizione, pare che le famiglie abbiano scelto il tempo pieno invece che l’unico docente voluto dalla Gelmini. Le famiglie però conosceranno l’esito dell’assegnazione in classe solo dopo la dotazione organica. Le scuole stanno facendo salti mortali per accontentare tutti. Ma i tagli restano pesanti.
Repubblica 24.2.09
Un seminario per cinquecento dirigenti in deficit di autostima In cattedra Roberto Re, l´"allenatore dell´anima" dei manager
Ascolta il motivatore ti solleva dalla crisi
di Elena Stancanelli
"Il segreto? Imparare a stare a nostro agio nel nuovo, smettere di avere paura e fidarci di noi stessi"
"Non bastano più i muscoli per reggere le diciotto ore al giorno di lavoro, servono creatività e flessibilità"
«Smettila di incasinarti», «Tempo di risultati», «Leader di te stesso» sono alcuni titoli di libri o dvd di Roberto Re. Vanno a ruba tra i manager che partecipano al seminario di formazione che si tiene in un albergo romano. Cinquecento persone arrivate da tutta Italia, cinquecento persone che da un giorno all´altro rischiano di trovarsi senza lavoro, mi spiega Stefano Cuzzilla presidente del Sindacato Romano Dirigenti Aziende Industriali, promotore del seminario. Nessuno si commuove per noi, lo capisco. Difficile, in questo momento di crisi, provare compassione per chi ha avuto stipendi come i nostri. Ma cadere dall´alto fa più male. Conosco persone che per mesi sono uscite di casa in giacca e cravatta come se niente fosse, e magari venivano da me in ufficio, a far passare la giornata. Per mesi, senza avere il coraggio di dire alla moglie che non avevano più un lavoro. Nel 2008 solo a Roma sono rimasti a piedi 600 manager. Molti di quelli che vedi qui neanche lo sanno che la loro azienda sta per chiudere, ma io sì.
Che fare? La mia risposta, dice Stefano Cuzzilla, è formazione. Le aziende hanno un fondo destinato alla formazione, che non viene quasi mai usato. Fin quando tutto andava bene, i manager lavoravano il più possibile per guadagnare il più possibile, senza tempo da perdere. Ma adesso non bastano più muscoli per reggere le diciotto ore al giorno di lavoro, serve la creatività per rimettersi in gioco, la flessibilità. Il coraggio di cambiare. Se sei costretto a passare da una grande azienda a una più piccola, devi saper fare più cose. Mentre io e Stefano Cuzzilla parliamo, bussano alla porta. Entra un uomo, elegante ma un po´ dimesso. Sembra uscito da un racconto di Pirandello, sorride, risponde composto alle nostre domande impertinenti. Ecco, dice Stefano: lui era vicedirettore di non so cosa e adesso? Adesso, dopo mesi di disoccupazione, gli hanno offerto un contratto di consulenza. Alla metà del suo vecchio stipendio. Un terzo, precisa l´uomo malinconico e esce, facendo segno a Stefano che lo aspetta fuori, con calma. Capisci? Mi dice quando rimaniamo soli.
Roberto Re è l´uomo scelto da Cuzzilla per operare il miracolo della trasformazione. A lui e la sua organizzazione, la HRD Training group, si rivolgono non solo manager ma uomini e donne di tutte le età e delle più varie professioni: atleti in crisi di risultati, casalinghe malinconiche, studenti bocciati, avvocati senza clienti. Isolde Kostner lo ha cercato quando non riusciva più a vincere, Don Mazzi gli affida una volta l´anno i suoi ragazzi. Persone in difficoltà, o persone ambiziose, alla ricerca di un miglioramento.
Sono una specie di allenatore dell´anima, dice Roberto Re. Cerco di tirare fuori il meglio da ognuno, partendo dagli insegnamenti base: sviluppo della memoria e tecniche di apprendimento veloce. Faccio corsi di programmazione neuro-linguistica, insegno a parlare in pubblico o a sedurre l´interlocutore singolo, ho messo a punto un training fisico e una serie di esercizi motivazionali. Con me lavorano persone che insegnano i segreti dell´ipnosi, le buone regole per vivere in un team, come trasformare un fallimento in opportunità. Per capire cos´è il mio lavoro prendi la psicologia e togliendo tutta la lagna dell´inconscio fanne una materia pratica e moderna, utile.
Roberto Re è nato a Genova nel 1967, ha studiato un po´ di economia e un po´ di psicologia e poi è andato negli Stati Uniti. È lì che negli anni Ottanta ha scoperto la filosofia del successo, ha letto «Pensa e arricchisci te stesso» di Napoleon Hill, trenta milioni di copie, la Bibbia dei trainer motivazionali. Lì ha conosciuto il lavoro di Roy Martina, medico olistico, autore, selfness coach e trainer di trainer. E soprattutto Anthony Robbins, il guru dei guru, uno che si è curato il cancro a morsi e ha insegnato a campare a gente come Gorbaciov e Bill Clinton, ha confortato Nelson Mandela e spronato Margaret Thatcher. Anthony Robbins, l´uomo che ha coniato la frase: If you can´t than you must, il mantra di Roberto Re. Il quale, tornato in Italia agli inizi degli anni Novanta, decide che si può fare, i tempi sono maturi. E inizia a proporre i suoi corsi da noi, nella terra dei disillusi. Gli italiani, mi conferma, sono più scettici degli americani. Ho dovuto dare un aggiustatina al programma. Presentarsi come un guru non funziona, meglio spiegare, far riflettere, creare un approccio morbido. Non imporre niente, e infarcire ogni discorso di esempi pratici. La teoria è noiosa e non rimane impressa. Meglio fare che ascoltare. La sua invenzione della camminata sui carboni ardenti come esercizio di affermazione della volontà è diventata subito un cult.
I cinquecento manager che partecipano al seminario «Da manager a leader» lo ascoltano con attenzione. La parola chiave è cambiamento. Per ottenere risultati, bisogna uscire da quella che chiama Zona del comfort, lo spazio che abbiamo arredato intorno a noi, a nostra immagine, nel quale ci possiamo rilassare e non temere. Dobbiamo imparare a stare a nostro agio nel nuovo, nell´improvviso, dobbiamo smettere di avere paura e fidarci di noi stessi. Dice cose semplici, ma innegabili. Il suo segreto è farti vedere come tutto sia a portata di mano. Compreso il successo. Che però è niente senza la felicità. Che cos´è l´infelicità per te, gli chiedo. È la differenza tra ciò che abbiamo e ciò che vorremmo avere. Non molto diversa da uno scompenso ormonale, da una carenza di ferro, dunque. L´infelicità esiste, ma tranquilli: si cura.
Repubblica 24.2.09
In polemica con Bondi se ne andranno altri membri del Consiglio superiore
Beni culturali, Settis si dimette
di Francesco Erbani
Un duro contrasto per la nomina di Mario Resca. Ma anche per i prestiti di Leonardo e per il commissariamento dell´area archeologica di Roma
Il braccio di ferro fra Sandro Bondi e Salvatore Settis ha raggiunto il suo apice. Domani si riunisce il Consiglio superiore dei Beni culturali e ai diciotto suoi membri Settis, che del Consiglio è il presidente, leggerà una lettera di dimissioni. Molto motivata e molto dura, si sente dire. Ma non sarà solo il direttore della Normale di Pisa, storico dell´arte antica e dell´archeologia, ad andarsene. Dalle indiscrezioni che filtrano saranno almeno in quattro, forse in sei a lasciare l´incarico. E a quel punto non si sa quale sarà la sorte del principale organo di consulenza del ministero.
Nel frattempo tornano insistenti le voci che vorrebbero lo stesso Bondi in partenza dal ministero. Lo attende l´incarico di coordinatore del Pdl. Al suo posto si insedierebbe Gaetano Quagliariello, attualmente vicepresidente dei senatori del centrodestra, il quale rinnoverebbe anche molto del personale che affianca Bondi.
Ma fintanto che è al Collegio Romano, Bondi sfodera la sciabola. Il ministro ha reagito con durezza alle ultime dichiarazioni di Settis (una lunga intervista a L´espresso di venerdì, alla quale il titolare del dicastero ha replicato con un articolo sul Giornale). Lo scontro ha però radici antiche, il dissenso sulle linee di conduzione del ministero si è fatto più marcato con il passare del tempo. Qualche volta si è composto, ma ora sembra che non sia più possibile. «Se avesse voluto cercare un espediente per rassegnare le dimissioni», ha scritto il ministro, «il professor Settis non ne avrebbe potuto trovare uno migliore». E quale sarebbe l´espediente? Il sensazionalismo mediatico, l´aver espresso ai giornali le sue critiche. Peggio ancora, secondo il ministro, se si tratta di «stampa di opposizione».
È proprio questo uno dei motivi della rottura. Settis non accetta di mettere il bavaglio. E così come è stato nel luglio scorso, quando denunciò il taglio di oltre un miliardo di euro nei bilanci già dissestati del ministero (il sottosegretario Francesco Giro di fatto lo licenziò, ma poi fu recuperata un´intesa con il ministro), anche stavolta il direttore della Normale non rinuncia a contestare le iniziative più discusse del ministero. Forte del fatto di essere presidente di un organo di consulenza e non un dirigente del ministero, soggetto a vincoli burocratici.
Un duro contrasto si è manifestato con la nomina a direttore generale di Mario Resca, ex amministratore delegato della McDonald´s, al quale Bondi aveva in un primo tempo affidato poteri straordinari sulla gestione dei musei, sulle mostre, sconfinando persino nel campo della tutela. La reazione di tutte le associazioni di salvaguardia, la raccolta di migliaia di firme e una bocciatura netta da parte di tutto il Consiglio superiore, presieduto da Settis, indussero Bondi a una mezza marcia indietro, giudicata insoddisfacente da molti: Resca, che non aveva nessuna competenza in fatto di management culturale, si sarebbe occupato solo della valorizzazione (ma la nomina ancora non è formalizzata). Settis e il Consiglio non avevano taciuto il loro dissenso nei confronti della scelta, per esempio, di prestare a un museo del Nevada alcuni disegni di Leonardo, un´iniziativa fortemente sostenuta da Alain Elkann, consulente di Bondi, ma osteggiata dalla direttrice della Biblioteca reale di Torino che quei disegni custodiva. Anche la decisione di commissariare l´area archeologica romana ha incontrato le perplessità di Settis, oltre che l´opposizione dura di tutti i funzionari delle soprintendenze di Roma e di Ostia e di quattromila fra professori universitari e studiosi italiani e stranieri.
Tutte queste e altre iniziative del ministero andavano nella direzione, agli occhi di Settis, di un progressivo svuotamento delle soprintendenze, per altro verso lasciate a languire, indebolite e delegittimate. Nel giro di pochi anni da quegli uffici andranno via molti funzionari che non verranno sostituiti. Già nei prossimi mesi resteranno scoperti alcuni fra i principali posti di soprintendente. È difficilissimo apporre dei vincoli di tutela e alcuni soprintendenti temono di non essere appoggiati dai vertici del ministero, anzi si sentono sempre in bilico, minacciati di trasferimento. In questa situazione ai limiti del collasso, sono stati istituiti commissari, i cui compiti sono ancora incerti. A Pompei il commissario Renato Profili non ha fondi propri, ma attinge a quelli ordinari della Soprintendenza. A Roma, dai Fori al Palatino, dai Mercati Traianei a Ostia, non è chiaro di che cosa si occuperà Guido Bertolaso, responsabile della Protezione civile. Ma che sia quest´ultima struttura quella che, agli occhi di chi dirige il ministero, fornisce maggiori garanzie lo prova il bando lanciato dal commissario a Pompei per assumere, anche con compiti di custode, volontari della Protezione civile.
il Riformista 24.2.09
Gran Bretagna fonti di Scotland Yard rivelano al "Guardian" scenari inquietanti
Crisi, il Regno attende «L'estate della collera»
di Mauro Bottarelli
LONDRA. L'epicentro della recessione in Europa potrebbe diventare il teatro di una nuova guerriglia urbana. Nel mirino banche, multinazionali e altri istituti giudicati colpevoli per il disastro economico. La prima data a rischio cade ad Aprile, quando Brown riceve mezzo mondo per il G-20.
«La Gran Bretagna affronta un'estate di rabbia. Il malcontento della classe media per la crisi economica potrebbe sfociare in violenza nelle strade». La prima pagina del Guardian di ieri sembra uscita dagli anni Ottanta: guardandola fare capolino dalle rastrelliere dei piccoli empori gestiti da pakistani un po' ovunque a Londra, si poteva chiudere gli occhi e immaginare scontri tra manifestanti e polizia lungo Bayswater su fino a Kensington High Street mentre "White riot" rimandava dalle radio le sue note di ribellione bianca e working class. Forse i Clash, scrivendola, preconizzarono la crisi che sta vivendo oggi il Regno Unito, il paese più finanziarizzato d'Europa - ogni cinque lavoratori, due sono impiegati nel settore - e quello di fatto più esposto ai marosi della crisi globale. Per questo la polizia britannica teme che la situazione socio-economica possa provocare nei prossimi mesi un'ondata di proteste violente: gli agenti addetti alla pubblica sicurezza si stanno preparando alla cosiddetta "estate di collera" e hanno innalzato al massimo il livello di attenzione per evitare incidenti come quelli che si verificarono appunto negli anni ‘80. David Hartshorn, che guida l'ufficio per l'ordine pubblico della polizia metropolitana di Londra, ha dichiarato al Guardian che la classe media potrebbe unirsi alle proteste contro il governo per effetto della crisi economica che sta interessando il paese: secondo il funzionario britannico uno degli «obiettivi principali» delle proteste dei prossimi mesi potrebbero essere le banche. Un pericolo, quello della guerriglia urbana, che è stato già segnalato dall'intelligence: i servizi segreti di Londra, infatti, hanno avvertito che «attivisti già conosciuti» stanno per ritornare in strada. A far drizzare le antenne ai responsabili dell'ordine pubblico, poi, è il fatto che queste possibili manifestazioni violente non sarebbero riconducibili a partiti politici od organizzazioni ben determinate bensì al cosiddetto «spontaneismo della crisi», una fattispecie già vista durante i giorni degli scioperi selvaggi nella raffineria di Lindsey che spiazzarono gli stessi rappresentanti sindacali.
Quindi, potenzialmente devastanti sia per l'impatto sia per la capacità di estendersi a macchia d'olio e senza dare punti di riferimento conosciuti alla polizia. Inoltre, il potenziale mix tra soggetti ad alta pericolosità e cittadini modello pronti a tramutarsi in violenti come risposta all'esasperazione potrebbe dar vita a fenomeni di emulazione e soprattutto di potenziale solidarietà da parte dell'opinione pubblica, disgustata dai "fat cats" della City e dai loro bonus e quindi pronta a giustificare la portata di atti anche violenti. Nonostante i toni trionfali con i quali Gordon Brown ha descritto la riuscita del vertice di Berlino tenutosi la scorsa settimana, la realtà britannica è tutt'altro che rosea: dopo Royal Bank of Scotland, nazionalizzata al 6 per cento e ormai alle soglie della scissione in due rami per consentire la nascita di una bad bank per scaricare i titoli tossici, ora è Llyod Tsb a spaventare il governo, soprattutto in vista della prima trimestrale che sarà un bagno di sangue in virtù delle svalutazioni figlie della disgraziata fusione con Hbos. Ma se i timori di cortei violenti che vedano spalla a spalla operai, no global ed ex colletti bianchi proletarizzati dalla crisi fanno lavorare in anticipo le forze dell'ordine, anche la carta della degenerazione xenofobo preoccupa non poco. La scorsa settimana a Gordon Brown è stato recapitato un memo nel quale si parla chiaro e tondo di "sfondamento" del British National Party nelle roccheforti del Labour a maggioranza di working class bianca: detto fatto, lo scorso weekend ha visto il partito razzista di Nick Griffin vincere per la prima volta un turno suppletivo strappando un seggio proprio al Labour a Sevenoaks District nel Kent.
Alcune rilevazioni dell'ufficio di pianificazione politica parlano del rischio di conquista di due, tre seggi da parte del Bnp alle prossime europee grazie alla disaffezione verso il Labour e al metodo di voto proporzionale. Senza contare che l'estate è da sempre il periodo "dei fuochi" in aree calde come le Midlands, territori ad alto impatto di immigrazione che vedono militanti del Bnp uniti a hooligans calcistici nella caccia al "paki".
l’Unità Lettere 24.2.09
Il testamento biologico
È davvero importante la mobilitazione in corso contro una cattiva legge sul testamento biologico, perché rende esplicito quanto la sempre annunciata, smentita, cercata e respinta unificazione delle sinistre si giochi proprio sulla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali. È per questo che è stata importante la manifestazione sul tema a piazza Farnese, sabato scorso.
Paolo Izzo
Liberazione Lettere 24.2.09
Testamento biologico, uniti contro una cattiva legge
Cara "Liberazione", è davvero importante la mobilitazione in corso contro una cattiva legge sul testamento biologico, perché rende esplicito quanto la sempre annunciata, smentita, cercata e respinta unificazione delle sinistre si giochi proprio sulla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali. Così come è stata importante la manifestazione sul tema a piazza Farnese, sabato scorso… Dispiace soltanto che la "piovra" Marco Pannella, così come l'ha definito Paolo Flores d'Arcais - direttore di "Micromega", non sia stato invitato a parlare. Quando si "annullano" i principali combattenti e resistenti delle iniziative politiche e civili, la battaglia e la resistenza stessa perdono un po' della loro forza, per essere consegnate a un chiassoso ribellismo, indistinto e scarsamente motivato da solide basi politiche e teoriche, che vieppiù rende vaga e lontana quella unificazione tanto auspicata.
Paolo Izzo radical-socialista, via e-mail
il manifesto Lettere 23.02.09
Dispiace che si "annullino" i veri combattenti
Caro Manifesto, è davvero importante la mobilitazione in corso contro una cattiva legge sul testamento biologico, perché rende esplicito quanto la sempre annunciata, smentita, cercata e respinta unificazione delle sinistre si giochi proprio sulla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali. Così come è stata importante la manifestazione sul tema a piazza Farnese, sabato scorso… Dispiace soltanto che la “piovra” Marco Pannella, così come l’ha definito Paolo Flores d’Arcais - direttore di Micromega, non sia stato invitato a parlare. Quando si “annullano” i principali combattenti e resistenti delle iniziative politiche e civili, la battaglia e la resistenza stessa perdono un po’ della loro forza, per essere consegnate a un chiassoso ribellismo, indistinto e scarsamente motivato da solide basi politiche e teoriche, che vieppiù rende vaga e lontana quella unificazione tanto auspicata.
Paolo Izzo, radical-socialista
La Stampa Lettere 24.02.09
Diritti umani e bavaglio
E’ importante la mobilitazione contro una cattiva legge sul testamento biologico: rende esplicito quanto la sempre annunciata e respinta unificazione delle sinistre si giochi proprio sulla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali. Così come è stata importante la manifestazione a piazza Farnese, sabato scorso… Dispiace soltanto che la «piovra» Marco Pannella, così come l’ha definito Paolo Flores d’Arcais, non sia stato invitato a parlare. Quando si «annullano» i principali combattenti e resistenti delle iniziative politiche e civili, la battaglia e la resistenza perdono un po’ della loro forza, per essere consegnate a un chiassoso ribellismo scarsamente motivato da solide basi politiche e teoriche.
Paolo Izzo, radical-socialista
Repubblica 19.5.85
Il gay della Fgci
intervista a Nichi Vendola di Stefano Malatesta
ROMA - Nichi Vendola ha 26 anni, è pugliese. Qualche giorno fa è stato eletto membro della segreteria nazionale della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Ha un viso gradevole. In testa calza un berretto blu con visiera, da studente svedese. Intorno al collo è annodata una sciarpa di lana bianca. Porta al lobo sinistro un orecchino d' oro. Nichi Vendola è un gay, il primo attivista omosessuale entrato a far parte della dirigenza comunista. Dice senza asprezza polemica: "Sono sicuro che parlerai dell' orecchino d' oro. Ho già dato un' intervista in cui raccontavo un po' di cose, fatti personali e politici. Dopo ho avuto dei timori, credevo che ci fossero reazioni a Roma, nel partito. Invece i compagni sono stati benevoli. Mi hanno però avvertito: stai attento a non farti ingabbiare nel clichè, il gay alle Botteghe Oscure, eccetera. Prima c' erano i funzionari infagottati nei doppipetti grigi tagliati male, con le cravatte stonate in raso. Adesso l' omosessuale con l' orecchino. Al congresso giovanile avevo un magnifico, luminescente papillon sopra una camicia a righe. Dì, vuoi che ti stringa la mano sotto il tavolo?". Rispondo che il passaggio sotto le forche del commento becero è obbligato: cosa si vuole aspettare, finezze anglosassoni? L' umorismo in Italia, e anche altrove, è spesso di genere caserma, dovrebbe esserci abituato. Però mica posso far finta di essere venuto per le sue preclare virtù politiche di cui tutta l' Italia parla. Sono venuto perchè Vendola è il primo dirigente comunista gay dichiarato. Nel 1948 il Pci non ha espulso Pier Paolo Pasolini per indegnità morale? "Sono passati esattamente 37 anni. Sai cosa ho detto al congresso giovanile? Per noi comunisti non si tratta di difendere la grande dignità e i valori dell' omosessualità, ma di acquisire la diversità come elemento di ricchezza per chi vuole ancora trasformare il mondo. E' stato il passo più applaudito nel mio intervento". Mi ricordo di un altro intervento, più volte citato, fatto da Enrico Berlinguer quando era segretario della Fgci, su Maria Goretti: la additava ad esempio per le future generazioni dei comunisti. "Era il dopoguerra. I comunisti venivano descritti come bestie. L' accusa di essere intellettual-frocio-comunista, senza molta distinzione tra i termini, ugualmente vituperati, è stata merce corrente fino a non troppo tempo fa. Da parte del Pci si tentava di difendersi, di proporre dei modelli di moralità sotto quell' alluvione di vituperi. Il difetto stava nel prendere in prestito i modelli dalla cultura cattolico borghese". Ma c' era anche molta grettezza moralistica e bacchettona all' interno del partito. Chi conviveva con una ragazza veniva convocato e avvertito con l' usuale frase: "Compagno, è ora che regoli la tua posizione". E Togliatti ebbe dei problemi quando iniziò la sua relazione con Nilde Jotti. Secchia non scherzava. "Lo stesso Secchia, una volta caduto in disgrazia, fu accusato, non tanto larvatamente, di essere un finocchio, accusa infamante e degradante. Ma erano tempi diversi, il partito continuava a vivere in stato di allarme, non ci si potevano concedere lassismi personali con il nemico o con la sindrome del nemico alle porte. Però Pasolini, tra il ' 60 e il ' 70, già poteva scrivere liberamente anche di omosessualità su "Vie Nuove"". Pasolini era uno scrittore celebre, un poeta, "un' artista". Anche Visconti non venne mai attaccato: Togliatti ne ha fatto sempre grandi elogi. Ma era un' eccezione. L' aristocratico decadente se lo poteva permettere, proprio perchè aristocratico e decadente. L' operaio in fabbrica no. Diciamo la verità: i compagni lo avrebbero preso a calci nel sedere. "Su Visconti posso essere d' accordo. Ma lui non faceva professione di omosessualità, come non la fa Zeffirelli. In questo senso non sono "scandalosi". Invece Pasolini era provocatorio, almeno per quegli anni e il fatto che scrivesse su "Vie Nuove" è significativo. Però è vero che l' omosessuale in fabbrica, tra i compagni, non aveva vita allegra. Mio padre, comunista da sempre, un uomo magnifico, dolce, andava a fare le spedizioni per picchiare "i froci". Una volta mi ha detto: se ti ammazzassi, noi tutti potremmo riacquistare una dignità. Mi ha molto amato, ma per lui, come per tanti altri, gli omosessuali erano solo i turpi individui che adescavano i bambini nei giardinetti. Ma di queste cose non ne voglio più parlare". Non ho l' intenzione di continuare ad insistere su certi ritardi e manchevolezze del Pci. Ma qui, come in altre occasione, l' azione dei radicali mi sembra sia stata decisiva. Gli altri hanno seguito, anche con riluttanza: tutto questo non gli interessava, soprattutto non faceva parte della loro cultura. "I radicali hanno avuto dei meriti, creando movimenti, flussi, attraverso un' ottica garantista. Ma con qualche casella o piccolo spazio in più di libertà non cambi le regole del gioco, che sono rimaste quasi le stesse. Il "Fuori" voleva creare la cittadella gay, dove gli omosessuali si potessero sentir protetti. I comunisti sono sempre stati contro l' ideologia del ghetto: in ritardo, magari, però decisi a risolvere le questioni, non solo a presentarle, che è molto più facile. D' altronde basta andarsi a rileggere le centinaia di lettere che arrivavamo all' "Unità" e a "Rinascita"" durante gli anni 70: un dibattito libero". Mi dicono però che alti dirigenti del partito non siano stati particolarmente soddisfatti dell' elezione di un omosessuale nella segreteria della Fgci: Chiaromonte ad esempio. "Francamente nel Pci non ho mai avuto problemi, come li ho avuti in famiglia. Credo che oggi comunista significhi anche rispetto dell' altro, essere condannati ad una contaminazione attraverso il rapporto umano: un rischio che bisogna accettare. Lo sguardo inquietante di un altro uomo può farti crollare il tuo castello di certezze, ma è inutile e stupido fuggire. Sono i liberali che hanno sguardi paralleli, che non s' incrociano mai: l' idea del rapporto come due monologhi. Questa è mummificazione dell' esistente. Libertà comunista è dinamismo, è contaminazione, con le nostre coscienze e i nostri corpi, è buttarsi nella mischia. Io l' ho fatto, sono diventato coscientemente omosessuale, per poi recuperare l' eterosessualità, per poi trovar la sessualità, senza aggettivi. Vorrei che ci capissimo, non sto parlando di membri e di apparati genitali, altrimenti torniamo alla caserma". Io credo di capire, ma non so quanti siano in grado di farlo nel Pci, non parlo della Fgci... "Giovanni Berlinguer è uno che capisce: aperto, vivace. Anche Natta ci aiuta. Abbiamo avuto un dibattito con lui molto libero. Ripete sempre che bisogna andare fino in fondo, che bisogna parlare, confessarci di più - non dal prete con la cotta - togliersi di dosso tutti i residui di intolleranza. Gli altri non so, sono arrivato da pochi giorni a Roma. Certo l' età conta, ognuno forma la propria cultura in un momento storico preciso. Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne con chi la sessualità l' ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione. Le donne, da questo punto di vista, sono notevolmente più sensibili. Ma il Pci non è un organismo matriarcale".