martedì 10 marzo 2009

Liberazione 10.3.09
Finalmente una buona notizia
di Maurizio Mori


Finalmente una buona notizia. Obama toglie i ceppi che Bush aveva posto alla scienza, permettendo agli scienziati americani che lavorano nel pubblico di riprendere le ricerche anche sulle cellule staminali embrionali. Era davvero sorprendente il vincolo posto da Bush, che ha sicuramente rallentato la ricerca. Adesso la locomotiva americana riprenderà e le speranze si riaccendono. Il guadagno non riguarda solo la ricerca sulle cellule staminali, ma il nuovo atteggiamento sui temi della vita.
Mentre prima la linea era quella di un ritorno al vitalismo ippocratico che si limita solo ad aiutare il processo naturale, senza modificarlo - quasi credendo che l'eventuale modifica sia una sorta di profanazione del disegno divino insito nel processo biologico - adesso anche in ambito biomedico si accetta la possibilità di intervento. Questo mi sembra l'aspetto più nuovo e importante della questione, che sarebbe un errore vedere in maniera isolata: non c'è solo la ripresa della ricerca sulle staminali embrionali, ma va considerato anche il discorso sull'aborto e più in generale sull'assistenza sanitaria. Se li mettiamo tutti assieme, dobbiamo prendere atto che Obama sta operando una vera e propria rivoluzione rispetto alla precedente amministrazione. Speriamo riesca a continuare, visto che l'impresa si presenta davvero non facile ed irta di ostacoli.
Non vale la pena ripetere perché le presunte obiezioni "morali" alla ricerca sulle staminali embrionali sono inconsistenti. Dire che la distruzione di un embrione è un "omicidio" è una sciocchezza, come quella che "l'embrione è uno di noi". Purtroppo, nel nostro paese sono continuamente ripetute e questa ripetizione costante ha generato una sorta di inquinamento del clima intellettuale da far sì che a volte appaiano proposizione sensate. Ma l'errore è palese ed equivale grosso modo al dire che un uovo è la stessa cosa del pollo, e che fare una frittata equivale a fare una strage nel pollaio! Ecco perché è assurda l'accusa ricorrente di "omicidio" o "genocidio" e via dicendo. Se poi ci si limita a dire che la distruzione è "immorale" si tratta di chiarire in che senso lo sia e quale precetto lo vieti. Perché altrimenti l'affermazione è troppo generica per essere presa in considerazione.
L'altra grande obiezione è che la ricerca sulle embrionali sarebbe inutile, sia perché non ha prodotto alcuna terapia sia perché ci sono modalità alternative che consentono di far regredire le cellule adulte alla pluripotenza e quindi evitare la distruzione degli embrioni. Ma entrambe le critiche non sono cogenti. Nessuno vuole creare illusioni promettendo la panacea con le staminali embrionali. Siamo ancora nella fase della ricerca teorica tesa a capire i meccanismi di base, e prima di giungere all'applicazione ci vorrà ancora molto tempo.
Ma la distanza temporale non è un buon motivo per bloccare la ricerca ora. Si è aperta una nuova linea di indagine che sembra promettente: lasciamo che sia esplorata e poi trarremo le conseguenze. Solo i pregiudizi insiti nell'idea che l'embrione è uno di noi inducono a credere che si debba impedire di esplorare il nuovo territorio. Per quanto riguarda i metodi alternativi, ben vengano: la ricerca va fatta a tutto campo, ma senza preclusioni di sorta, proprio perché non ci sono solide obiezioni morali a studiare le cellule staminali embrionali (per una analisi più ampia, si veda il fascicolo Notizie di Politeia XXIII, 2007, pp.95-231).
L'ultima obiezione, infine, è la più abietta e insensata: Obama, in sostanza, avrebbe ripagato le lobbies che lo hanno sostenuto. E' interessante osservare che quest'ipotesi fantastica in Italia viene avanzata da alcuni pseudo-ricercatori nostrani abituati a guadagnare popolarità e ricevere lauti finanziamenti dalle lobbies religiose sulla scorta di promesse di esperimenti miracolosi i cui risultati non sono poi mai presentati e lasciati cadere nel dimenticatoio. Né si capisce la ratio di questa obiezione, dal momento che la ricerca privata non è mai stata intaccata dai divieti, i quali hanno colpito la ricerca pubblica. Pertanto, l'abolizione del divieto è benvenuta proprio perché consente un maggiore controllo pubblico degli studi e la diffusione dei risultati.
Solo ciechi pregiudizi possono quindi ispirare quest'obiezione, tesa a gettare discredito evocando l'idea del denaro come sterco di Satana. Peccato che a dir questo sia chi di denaro ne ha in abbondanza e non chi il denaro fa fatica a trovarlo e dalle nuove ricerche si aspetta maggiori risorse. Il problema non è se le nuove ricerche producano nuova ricchezza, ma che questa sia ridistribuita equamente. Questo è l'obiettivo da perseguire.

l’Unità 10.3.09
L'America attraversa una crisi di fede: tutte le confessioni perdono terreno mentre raddoppia rispetto al 90 il numero degli atei.
Staminali, Obama firma
Il Vaticano contro la svolta
di Marina Mastroluca


Via il bando di Bush. Siglato il decreto che autorizza il finanziamento pubblico della ricerca
Linee guida. Entro 120 giorni il decalogo per gli scienziati. Il presidente: «No alla clonazione»
Obama autorizza il finanziamento pubblico alla ricerca sulle staminali embrionali. Entro 120 giorni le linee guida per i ricercatori. Siglato anche un memorandum per definire i confini tra politica e scienza.

Superman un giorno forse potrà tornare a volare. Il presidente Obama ha cancellato il bando sul finanziamento pubblico alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, imposto da Bush a due riprese in omaggio alla sua base teocon. Non solo la ricerca avrà la benedizione della Casa Bianca, ma anche il suo «supporto vigoroso» per procedere veloci anche su altri terreni, come la conversione delle staminali adulte. «Vogliamo che l’America guidi il mondo nelle scoperte che un giorno potranno venire», ha detto Obama, dedicando a Christopher Reeve - il superman cinematografico finito su una sedia a rotelle e scomparso cinque anni fa - l’ennesimo strappo dall’oscurantismo di Bush. Applaude Nancy Reagan, in nome del marito, l’ex presidente Ronald, morto nel 2004 dopo 10 anni di discesa negli abissi dell’Alzheimer, una delle malattie per le quali le staminali potrebbero aprire prospettive. Pollice verso del Vaticano: per l’Osservatore romano una «reale democrazia» non può prescindere dalla tutela dell’embrione.
ALLEVIARE LA SOFFERENZA
C’era qualcosa di tragicamente grande e fragile nell’immagine di Reeve, con la sua faccia da bravo ragazzo made in Usa e la sua montagna di muscoli resi inutili da una lesione spinale: un superman tradito dalla sua umanità, che fino all’ultimo si è battuto - inutilmente - per la ricerca sulle staminali. Per se stesso, per altri come lui, il diritto almeno di poter continuare a sperare. «Se perseguiamo questa ricerca forse un giorno, forse non durante la nostra vita, o nemmeno quella dei nostri figli, ma forse un giorno altri come lui potrebbero farcela», ha detto ieri Obama, criticando il suo predecessore per aver privilegiato l’ideologia sulla ricerca. «Ha imposto quella che io ritengo una falsa scelta tra solida scienza e valori morali - ha aggiunto il presidente americano -. Come persona di fede credo che siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri e a lavorare per alleviare la sofferenza umana. Credo che ci sia stata data la capacità e la volontà per portare avanti questa ricerca e l’umanità e la coscienza per farlo responsabilmente».
Obama ha escluso esplicitamente la possibilità di aprire la strada alla clonazione umana ed ha dato mandato al direttore del National Institute of Health di presentare entro 120 giorni le linee guida alle quali gli scienziati dovranno attenersi.
Altra novità con potenzialità persino maggiori del rivoluzionario via libera sulle staminali - vero salto di qualità rispetto al passato - è però il memorandum sulla libertà della ricerca scientifica siglato ieri dal presidente. Obama ha dato mandato al direttore dell’Office of science and technology policy della Casa Bianca di sviluppare di qui a 120 giorni una strategia per «ristabilire l’integrità scientifica nell’iter delle decisioni del governo», per impedire cioè che scelte dettate dalla politica o dall’ideologia possano limitare la scienza. Rispetto all’era Bush, una virata di 180 gradi.
A lutto i vescovi Usa, che parlano di «una triste vittoria della politica sulla scienza e l’etica», giudicando «un’azione moralmente sbagliata» la ricerca sulle staminali embrionali «perchè incoraggia la distruzione di vite umane innocenti». Tanto più sbagliata perché «ignora il fatto che ci sono a disposizione e in attesa di un maggior sostegno modalità solidamente etiche per l’avanzamento della scienza sulle cellule staminali». Critiche che tornano sull’Osservatore romano, convinto che «una volta oltrepassata la fondamentale linea morale che ci impedisce di trattare gli esseri umani come meri oggetti di ricerca, non ci sarà più un punto di arresto».
«FINE DI UN INCUBO»
Bush aveva ammesso la ricerca solo su 60 linee di staminali già create prima del 9 agosto 2001. «È la fine di un incubo burocratico e da ragioniere che ha rallentato il nostro lavoro», ha detto ieri Douglas Melton dell’Harvard Stem cell Institute. Il via libera di Obama non riguarda il divieto sulla creazione di embrioni umani per finalità di ricerca, l’emendamento Dicker Wicker, in vigore dal ‘96 e sempre rinnovato.

l’Unità 10.3.09
Investire nella ricerca. Una lezione per l’Italia
di Guido Barbujani


Faceva un certo effetto leggere i commenti di Michael Moore, regista di Farenheit 9/11 e oppositore di George W. Bush, sull'elezione di Barack Obama. «Come sarà avere un presidente intelligente? Ritornerà la scienza, messa al bando per otto anni». Quindi, mentre il mondo si interrogava su cosa sarebbe cambiato col nuovo presidente a Wall Street e in Iraq (tranne quelli che facevano gli spiritosi sul colore della sua pelle), in America si pensava anche al futuro della scienza. In Italia non ce ne potevamo accorgere, presi come eravamo a discutere su come sbarazzarci della ricerca e dell'Università pubbliche, ma neanche negli Stati Uniti gli scienziati se la passavano bene. La presidenza Bush si è caratterizzata con iniziative pesantemente ideologiche, che hanno avuto conseguenze negative sullo sviluppo della ricerca.
E invece, adesso, in America la ricerca è una priorità. Fra i primissimi provvedimenti del presidente Obama c'è infatti l'abolizione del regolamento che aveva di fatto fermato la ricerca sulle cellule staminali embrionali. La notizia, seguita dall'annuncio di nuovi studi clinici e di grossi investimenti pubblici, ha provocato immediate prese di posizione: positive da parte di molti, con annunci di ulteriori investimenti privati e annunciate migrazione di scienziati verso gli Stati Uniti; negative da parte di alcune associazioni e della stessa Chiesa Cattolica.
Allora, è giusto investire denaro pubblico sulle staminali embrionali? È evidente che, nel distribuire i fondi per la ricerca, i governi devono considerare molti elementi, tra cui la diffusione delle malattie che si intendono curare; la bontà del progetto scientifico; le questioni etiche; l'armonizzazione con la legislazione e le disposizioni di altri paesi. Gli ultimi due punti rappresentano il nodo più complesso, un nodo che stringe anche i ricercatori italiani (la legge 40, oggetto del noto referendum). Ma cosa sono le cellule staminali embrionali e in cosa si differenziano da quelle adulte? Leggiamo le definizioni date dal MeSH database (il più grande dizionario medico: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/sites/entrez?db=mesh). Le cellule staminali embrionali sono «Cellule derivate dalla massa cellulare interna della blastocisti, che si formano prima dell'impianto nella parete uterina; queste cellule mantengono la capacità di dividersi e proliferare, e forniscono le cellule progenitrici che si possono differenziare in cellule specializzate». Le cellule staminali adulte sono «Cellule con elevate capacità proliferative e di auto-rinnovamento derivate dall'adulto».
Secondo il MeSH database, quindi, conta la provenienza: per le embrionali la blastocisti, per le adulte gli organi dell'individuo adulto. Attenzione: la blastocisti non è l'embrione come comunemente inteso, cioè un minuscolo individuo con aspetto già riconoscibilmente umano; si tratta invece di una piccola sfera contenente le cellule da cui si formeranno l'embrione e poi il feto.
L'intervento di Obama è volto a consentire l'utilizzo di cellule provenienti da blastocisti generate in soprannumero nella fecondazione assistita, che già si trovano in congelatori e che quindi andrebbero comunque incontro alla morte. Dal punto di vista pratico, la differenza più importante sta nel fatto che, mentre le cellule staminali embrionali sono in grado di produrre tutte le parti dell'organismo, quelle adulte sono in grado di generare solo le cellule che compongono il tessuto entro il quale si trovano. Per gli scienziati, è ovviamente preferibile avere a disposizione l'intero ventaglio di possibilità, che include anche altre tipologie cellulari come le iPS (cellule indotte alla multipotenza). Al momento possiamo dirci convinti del fatto che le cellule staminali consentiranno di trattare molte gravi malattie, ma non sappiamo quale tipo si rivelerà migliore. Solo studiandole e confrontandole con quelle adulte capiremo in quali circostanze siano meglio le une o le altre, e perché: cose che dobbiamo ancora esaminare a fondo perché ad oggi, a dispetto di annunci eclatanti sulla stampa e sul web, l'unica terapia con staminali sicuramente efficace resta il trapianto di midollo osseo.
Ma allora, se davvero la ricerca è una priorità, se davvero le cellule staminali rappresentano la più promettente strategia per il trattamento di malattie devastanti e incurabili, perché non dovremmo investire nella ricerca sulle embrionali?
Com'è noto, il problema è etico: se va attribuito status di persona alle cellule della blastocisti (meglio essere precisi e non usare il termine embrione, che suscita reazioni emotive non corrispondenti alla realtà). I sostenitori del sì ritengono che queste cellule siano una persona perchè hanno il genoma (il DNA) dell'adulto e la potenzialità per diventare individui adulti. Ad altri, la tesi che una blastocisti sia già una persona non convince, perchè è possibile (e spesso succede) che essa si divida e dia origine a gemelli, cioè individui che hanno lo stesso genoma ma non sono certo la stessa persona.
È curioso che, mentre la scienza si interroga su come dalla materia biologica possano emergere funzioni superiori (emozioni, memoria, intelletto, ciò che davvero definisce la persona), alcuni si concentrino sui meccanicismi della genetica. Con fatica, stiamo superando l'idea che una persona possa essere definita in base ai propri geni: varrebbe la pena di non tornare indietro. Se no, sarebbe come dire che è il colore della pelle («l'abbronzatura») quello che conta davvero…
(Guido Barbujani è professore di Genetica e Michele Simonato professore di Farmacologia all'Università di Ferrara).

Repubblica 10.3.09
La medicina del futuro
Renato Dulbecco, Nobel per la medicina: "Un’ottima notizia per tutti con questo presidente la scienza torna a vivere"
di Elena Dusi


Queste cellule nascondono al loro interno aspetti estremamente complessi. Non so dire quando né fino a che punto, ma sono sicuro che saranno protagoniste della medicina del futuro

Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina nel 1975, vede in Obama un presidente capace di far risorgere la scienza, non solo nel campo delle staminali. Lo scienziato italiano ora trasferitosi a Los Angeles è il padre del "Progetto Genoma", che lungo tutto il corso degli anni �90 ha portato al sequenziamento del Dna dell´uomo e ha aperto la strada alla ricerca sulle cellule staminali.
Cosa pensa del provvedimento di Obama?
«È un´ottima notizia, e non solo per la medicina. La scelta di Obama ha un significato politico evidente. Questo è un presidente che ha deciso di puntare sulla scienza, di farla rinascere. Lo si vede anche dalle persone che ha scelto come collaboratori».
Le staminali saranno veramente il pilastro della medicina del futuro?
«Rappresentano un enorme passo avanti per la medicina, ma c´è ancora bisogno di molta ricerca prima che diventino una soluzione efficace per curare l´uomo. Queste cellule infatti nascondono al loro interno aspetti estremamente complessi. Non so dire quando né fino a che punto, ma sono sicuro che le staminali saranno protagoniste della medicina del futuro».
Avremmo avuto gli studi sulle staminali senza il sequenziamento del genoma umano?
«Si tratta di due filoni di ricerca paralleli, non sovrapponibili. Però è vero che studiare le staminali vuol dire capire quali sono i geni che attribuiscono a queste cellule le loro preziose caratteristiche. Quindi è innegabile che la ricerca sulla genetica abbia aiutato molto quella sulle staminali».
Come giudica le reazioni della destra religiosa alla decisione di Obama?
«Evidentemente non hanno nessuna intenzione di digerire la scelta del presidente. Ma bisogna cercare di ridurre il peso della religione nelle questioni scientifiche. Anche perché ora la nuova tecnica delle staminali cosiddette "Ips", ottenute partendo da cellule adulte, permette di evitare l´uso degli embrioni. È importante che questi argomenti siano ben compresi da tutti prima di intavolare un dibattito pubblico».

Corriere della Sera 10.3.09
Dietro le quinte. La Santa Sede teme una rottura
Il Vaticano non vuole un «caso Zapatero» anche Oltreoceano
di Massimo Franco


L'immagine di Barack Obama come una sorta di «Zapatero globale» viene tuttora rifiutata, in Vaticano. È considerata forzata, quasi caricaturale. Significherebbe ammettere che alla Casa Bianca siede un avversario culturale dell'ortodossia cattolica: un esponente di quel Partito democratico statunitense guardato da anni con diffidenza dalla Roma pontificia; e assimilato ad alcune forze della sinistra europea, come i socialisti del premier spagnolo Zapatero, appunto, accusate di fare avanzare l'odiato «relativismo etico ». Ma dopo la decisione della Casa Bianca di non limitare più i finanziamenti alle ricerche sulle cellule staminali, la divisione del lavoro fra vescovi americani e Santa Sede diventa più difficile.
Finora, il tentativo è stato di affidare all'episcopato Usa il compito di criticare l'Amministrazione, mentre il Vaticano si riservava una posizione più defilata; e di distinguere fra il presidente ed i democratici. La tesi di partenza è che Obama ha vinto le elezioni soprattutto in quanto avversario di George W. Bush; ma non perché la maggioranza del Paese condivida l'agenda «liberal» (radicale nella versione europea) del suo partito. Si tratta di un'interpretazione che risponde ad un calcolo paziente: ottenere un distacco della Casa Bianca dal cuore duro ed estremista dell'elettorato; e renderla trasversale. L'operazione nasce da una sintonia oggettiva su immigrazione, crisi economica e politica estera.
Ma per il resto si sta rivelando meno facile del previsto. È vero che alcune assicurazioni sarebbero arrivate. Ad esempio, la nuova Amministrazione avrebbe garantito che il Congresso non affronterà il problema del Freedom of Choice Act, una legge che liberalizzerebbe l'aborto. E la cerchia dei consiglieri presidenziali sta esaminando almeno una decina di candidati alla carica di ambasciatore Usa presso la Santa Sede. Scelta difficile: il Vaticano ha già fatto sapere che darà il gradimento solo ad alcune condizioni. Un paio di nomi circolati informalmente sarebbero stati considerati inadatti, e dunque rimessi nel cassetto. D'altronde, anche i politici cattolici americani sono divisi su aborto e staminali.
E l'episcopato non perde occasione per bacchettare chi non si mostra abbastanza ubbidiente ai principi della dottrina della Chiesa.
Lo conferma l'accoglienza poco meno che gelida riservata al presidente democratico della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, nella sua udienza recente da Benedetto XVI. È solo un altro segnale della difficoltà di ridisegnare i rapporti dopo gli anni di Bush: una fase nella quale, pure, le divergenze fra Usa e Vaticano sulla guerra in Iraq sono state vistose. Ma la sintonia con l'Amministrazione repubblicana sui temi «eticamente sensibili» era quasi totale. Non a caso, nell'ultimo anno a Roma era arrivata come ambasciatrice Mary Ann Glendon.
Bush l'aveva scelta non in quanto giurista di Harvard, ma perché era considerata vicinissima al Papa: al punto da essere la prima donna nominata nel 2004 presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Trovare un nuovo identikit che corrisponda a quello gradito alla Santa Sede non sarà facile. È in atto un silenzioso braccio di ferro, che può diventare imbarazzante se si dovesse prolungare fino all'estate. A luglio Obama è atteso in Italia per il vertice del G8 in Sardegna. E le diplomazie stanno studiando una «fermata tecnica» a Roma che permetta un incontro con Benedetto XVI.
La nomina del nuovo ambasciatore Usa presso la Santa Sede indicherà la piega che stanno prendendo i loro rapporti. E dirà se il fantasma di Zapatero è stato davvero esorcizzato: almeno al di là dell'Atlantico.

l’Unità 10.3.09
Il consiglio comunale approva la proposta del socialista Falciani
Il gruppo del Pd si spacca in tre. Sconfessati Renzi e Domenici
Firenze, Englaro cittadino onorario. Ma il Pd si spacca in tre
Duro il commento della Diocesi fiorentina, che parla di «atto nefasto e distruttivo».


Beppino Englaro, padre di Eluana, è da ieri cittadino onorario di Firenze. Così ha deciso il consiglio comunale di Palazzo Vecchio approvando la proposta del consigliere socialista Alessandro Falciani. Il gruppo del Pd si è spaccato in tre tra astenuti, favorevoli e contrari. Ed è andato contro l’auspicio del sindaco Leonardo Domenici che chiedeva di trovare un altro modo per esprimere solidarietà a Beppino. Anche il candidato a succedere a Domenici, Matteo Renzi del Pd, si era espresso negativamente sull’ipotesi. La Diocesi fiorentina parla di atto «nefasto, offensivo e autodistruttivo».
Gli astenuti sono Paolo Imperlati (Pd), la presidente della commissione sanità del Pd Susanna Agostini e Ugo Caffaz, sempre del Pd. Caffaz, Agostini e il vicecapogruppo del Pd Gianni Amunni avevano cercato di mediare tra la loro volontà, come quella di molti altri del gruppo, di votare a favore della cittadinanza e quella di tenere nel dovuto conto la proposta del sindaco, ma senza riuscirvi. A votare a favore della proposta di Falciani sono stati gli ex Ds del Pd, la Sinistra, il Ps, Prc, i Verdi, il Pdci e Unaltracittà. Che non non hanno tenuto conto, oltre che dell’auspicio del sindaco, anche di quello del candidato a succedere a Domenici, Matteo Renzi, contrario alla cittadinanza onoraria a Beppino Englaro. In aula Pdl e Udc hanno votato contro la cittadinanza ad Englaro e i democratici Di Giorgi, Balata, Ricci, Nardella e Carrai.
«Matteo, non ce l’abbiamo fatta»
Se Dario Franceschini in mattinata aveva chiamato il segretario regionale del Pd Andrea manciulli per invitare il gruppo dei democratici di Palazzo Vecchio ad evitare spaccature sul caso Englaro (idem i segretari comunale e cittadino Giacomo Billi e Simone Naldoni con la capogruppo Di Giorgi), ieri sera dopo il consiglio comunale Nardella ha chiamato Renzi. Dicendogli: «Matteo, non ce l’abbiamo fatta». Già ieri, in tarda serata, in una nota, è arrivata la «scomunica» della Diocesi fiorentina, che parla di «un atto nefasto, offensivo e distruttivo». Continuando: «Una maggioranza, peraltro sfilacciata, del Consiglio comunale ha pensato bene di dare un tono di protagonismo a un finale di legislatura problematico. Opporsi a questa improvvida decisione non vuole dire opporsi alla persona del signor Englaro». Intanto, si terrà oggi la seduta del Consiglio regionale dedicata alla votazione degli atti presentati sul testamento biologico e su Eluana. Sul tavolo, la proposta di risoluzione sull'urgenza di una sul biotestamento, presentata dal Pd, e le mozioni presentate da Ps, Sd con Prc, Verdi, Gruppo misto.

Repubblica 10.3.09
Englaro porta la sfida in Senato "Vita e scienza hanno dei limiti"
A Firenze cittadinanza onoraria. Il Pd si spacca, la Curia protesta
di Piero Colaprico


L’arcidiocesi attacca la delibera: un atto nefasto, offensivo e distruttivo
Verrà presentata l´associazione "Per Eluana" con il consulente della Chiesa tedesca

MILANO - Tra una settimana Beppino Englaro entra a Palazzo Madama. Sarà anche uno che non fa politica, però un fatto è certo: la battaglia delle idee non gli dispiace. E con questo atteggiamento molto poco diplomatico, che un po´ fa storcere il naso a chi lo voleva zitto e buono, il papà di Eluana non disdegna il ruolo di "testimonial".
Nella sala stampa del Senato - dove il dibattito sul testamento biologico continua anche se a rilento - verrà presentata in anteprima l´associazione "Per Eluana". Ha come presidente onorario lui, come presidente la cugina di Eluana, la signora Germana, psicologa e psicoterapeuta. E vede come numero uno del comitato scientifico dell´associazione il professor Gian Domenico Borasio, consulente della chiesa cattolica tedesca in materia di bioetica. Viene anche stilato da Englaro, dai legali e dai medici che hanno seguito il caso Eluana una sorta di «manifesto del consenso informato».
L´idea base è quella che il comune cittadino, messo di fronte al medico e alle scelte estreme in caso di malattia letale, o perdita della coscienza, abbia davvero l´ultima parola. Nel manifesto si parla della «finitezza della vita umana e della medicina», un concetto che nelle polemiche che hanno preceduto la morte di Eluana sembrava oscurato. E le polemiche non cessano di accompagnare questa vicenda, visto che ieri Englaro ha avuto la cittadinanza onoraria di Firenze: dire che il consenso sia stato unanime sarebbe fuorviante. Nove consiglieri del Pd hanno votato a favore, cinque contro e tre si sono astenuti, quindi il travagliato partito si è spezzettato in tre tronconi. La decisione è passata di misura, con 22 voti favorevoli, 16 contrari e 3 astenuti. E l´arcidiocesi parla di «atto nefasto, offensivo, distruttivo».
«Mi hanno detto che nessuno ha avuto così pochi voti, ma - dice Englaro - sono tematiche che spaccano tutto e tutti. L´importante è che la società civile abbia capito, io resto onorato che anche in questa situazione di spaccatura una città come Firenze mi voglia cittadino. E non gioisco per me, ma per il tema delle libertà dell´uomo». A Roma, con Englaro, andrà anche il professor Borasio. La scorsa settimana questo medico italiano con cattedra a Monaco di Baviera è stato ascoltato dal parlamento tedesco, che è impegnato, come il nostro, in una legge sul fine-vita. E per Borasio c´è una strada maestra: «Le cure palliative sono un requisito indispensabile per l´autodeterminazione del paziente. Se io ho atroci dolori e non c´è nessuno in grado di lenirli, è chiaro che la mia autodeterminazione è limitata».
Englaro da una parte spera di dare un contributo scientifico, avendo bussato a tante porte, ma dall´altra non esita: «Non ho alcun interesse a espormi più del dovuto, resto un cittadino qualunque che difende le sue libertà fondamentali. E come associazione - dice - scenderemo in campo con un referendum se passa l´idea che la nutrizione e l´idratazione siano obbligatorie, che non siano terapie, ma accudimento. Non ci sono alternative, ma ripeto - conclude il papà di Eluana - che non entro in nessun partito politico, men che mai come indipendente, né appoggio campagne elettorali. Cerco solo di dire: "Attenti, potrebbe capitare a voi ciò che è capitato a me ed Eluana, siete sicuri di volere lo stesso calvario?". Mi è consentito domandarlo?».

l’Unità 10.3.09
Testamento biologico
I padroni dell’ultima parola
di Luigi Manconi


Ogni giorno ha la sua pena. La vicenda dell’aborto della bambina brasiliana lacera, ancora una volta, le coscienze e le intelligenze. Ma è un bene che la discussione pubblica su questi temi cruciali proceda. Qualche giorno fa, Avvenire ha ripreso un dibattito assai interessante che si è sviluppato a partire da un’affermazione di Dorina Bianchi. Intervistata dal Giornale, la parlamentare democratica, aveva affermato testualmente che la vita umana appartiene «ai cittadini e alla collettività». La Bianchi, a quanto so, non ha né rettificato né meglio chiarito il suo pensiero, che si presta inevitabilmente a un’interpretazione in chiave statalistico-autoritaria. E in effetti, gli argomenti che il centrodestra (non Dorina Bianchi) porta a sostegno del proprio disegno di legge sul Testamento biologico si ispirano a un’idea organicistica e illiberale del rapporto tra individuo e società. Da qui le critiche che le parole della Bianchi hanno suscitato, ma anche l’utilità di una discussione che sia finalmente priva di pregiudizi. Antonio Polito si è detto contrario all’«assolutismo libertario», affermando che «la vita non è esattamente una proprietà privata, ma un bene collettivo». D’accordo, a patto che quel “collettivo” sia letto come proposto da Anna Maria Riviello sul Manifesto: «la tua vita certo è tua ed è irripetibile, ma ti appartiene non alla maniera di un manufatto. È tua ma è anche storia di altri e della tua famiglia, a partire dal progetto e dall’accettazione materna». E ancora: la decisione di fine vita verrà presa da ciascuna persona «non da sola ma con le persone che la amano e che hanno cura di lei». Tommaso Gomez che, su Avvenire, riassume i termini della questione, definisce la lettura della Riviello con una classificazione derisoria: «autodeterminazione comunitaria». La formula è risibile (e non è della Riviello), ma il cuore della discussione è proprio questo ed è così riassumibile: la vita umana appartiene a chi ne è titolare - l’individuo, quindi - ma quella vita non si svolge (ci auguriamo) nel vuoto, in uno spazio deserto, nell’assenza di rapporti, comunicazioni, scambi. La soggettività primaria e profonda della persona è nella relazione con gli altri (Lévinas: l’identità è nel rapporto): dunque, agli altri, alle esperienze condivise, al “mondo vitale” nel quale esisto, chiederò soccorso per decidere sulle “cose ultime”. Chiederò con-passione: ovvero condivisione del dolore e della scelta. Ma finché ciò sarà possibile e finché avrò il privilegio di una vita di relazione. Se e quando la mia decisione dovesse entrare in conflitto con quella di chi mi è caro e a cui sono caro, sarò io (e chi altri?) a scegliere.

Repubblica 10.3.09
Bio-testamento, vicina la prima intesa
"Atti medici" subordinati al consenso del malato. Marini riunisce gli ex popolari
Resta il nodo delle norme relative ad alimentazione e idratazione artificiali
di Giovanna Casadio


ROMA - Un accordo c´è. Oggi in commissione al Senato il primo mattone del biotestamento - quell´articolo 1 che elenca i principi a cui s´ispirerà la legge sul fine-vita - potrebbe essere posto con voto bipartisan. Il centrodestra dovrebbe accogliere una modifica che il Pd considera indispensabile per avviare il confronto su tutto il resto, cioè la non obbligatorietà sempre e comunque degli "atti medici" che devono piuttosto essere subordinati al consenso informato. L´emendamento, firmato dalla capogruppo dei Democratici Anna Finocchiaro e dai vice Luigi Zanda e Nicola Latorre, dice: «Gli atti medici devono conformarsi al consenso informato in base al principio secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e non si può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Il riferimento è all´articolo 32 della Costituzione.
Un´intesa che non risolve il complesso delle questioni, soprattutto la più scottante sollevata dal caso-Eluana: il "nodo" su idratazione e alimentazione artificiale che scompagina gli schieramenti e divide i Democratici. Per questo stasera i popolari del Pd si incontreranno con Franco Marini. L´ex presidente del Senato - una lunga esperienza sindacale a sbrogliare le situazioni complesse - ha chiamato a rapporto i senatori cattolici ex Ppi. Bisogna decidere una linea, se cioè votare a favore, come vorrebbero alcuni, o astenersi sulle norme preparate dal Pdl. Valutare inoltre se presentare un emendamento (al quale sta lavorando Daniele Bosone) che rappresenti la "quarta via", non proprio uguale al compromesso proposto da Rutelli (affidare al medico la decisione ultima) ma che preveda la possibilità, in casi eccezionali (in particolare quando c´è lo stato vegetativo e una compromissione corticale e sub-corticale, in pratica la vicenda di Eluana), di sospendere idratazione e alimentazione, se questa è la volontà espressa nel biotestamento.
Raffaele Calabrò, il relatore del disegno di legge, è convinto che sull´articolo 1 una soluzione sia vicina. Del resto, ieri la Finocchiaro e Gaetano Quagliariello, vice capogruppo del Pdl, si sono sentiti per parlare della questione. Ma sul capitolo più scottante, l´articolo 5 della legge, la distanza non sembra colmarsi tra gli schieramenti e si va al muro contro muro. «Questa è anche la nostra sfida come cattolici», rilancia Emanuela Baio, che stasera sarà al vertice con Marini. Come Dorina Bianchi, la capogruppo in commissione Sanità, per la quale incassare l´apertura sull´articolo 1 è intanto una vittoria. Stamani il presidente della commissione Sanità, Tomassini, ha convocato i capigruppo per stabile il timing dei lavori: tappe forzate, già oggi si iniziano a votare gli emendamenti, sedute anche notturne.

Repubblica 10.3.09
La paura della fine e il biotestamento
di Adriano Prosperi


La battaglia sul testamento biologico è una prova imposta da una destra politica che ha scelto di governare col parente povero del terrore: la paura. Al terrore è necessaria la forza; e oggi la forza può essere usata vigliaccamente solo contro minoranze disgregate e indifese, come immigrati e rom.
La paura è invece lo strumento adatto: è un sentimento che filtra e circola impalpabile nella società liquida dove sono venute meno le tradizionali forme associative e le solidarietà di classe si sfaldano. La paura della morte è il sentimento primario, dominante sull´intera famiglia dei timori che dettano comportamenti e regole sociali. Alcune di queste regole sono così radicate da apparire naturali mentre naturali non sono. Tali sono le norme sanitarie che nel mondo occidentale - a differenza di quelle vigenti nelle culture musulmane - impongono la distanza di almeno ventiquattro ore tra l´accertamento del decesso e la sepoltura e richiedono l´esposizione e la veglia del defunto nella camera mortuaria. Queste norme furono dettate nel �700 dal diffondersi di una paura nuova, quella della morte apparente che si sostituì allo spauracchio religioso della morte improvvisa senza confessione e sacramenti, senza il tempo di prepararsi all´ingresso nel mondo dell´aldilà.
Oggi siamo al capitolo successivo di questa storia. Un capitolo dominato dagli stessi incubi: nel '700 si immaginò un collegamento tra il sepolcro e l´esterno con un campanello per l´eventuale risveglio del morto alla vita; oggi avremo forse bare dotate di telefoni cellulari. Ma la paura dominante è che qualcuno approfitti della nostra condizione di coma o di malattia terminale per tagliare gli ultimi fili, per recidere coi tubi dell´idratazione e dell´alimentazione forzata ogni speranza di risvegliarci vivi in questo mondo.
Se si riflette alla svolta culturale profonda di cui questi sentimenti sono figli, fa una curiosa impressione sentire il cardinal Bagnasco affermare solennemente che la vita - questa qui, in questo mondo - è un bene indisponibile. E tutto l´affaticarsi della Pontificia Accademia della vita sembra muoversi sotto un cielo diverso da quello dell´antico Regno dei Cieli e della agostiniana Città di Dio , un cielo da cui è scomparsa quella religione cristiana che una volta considerava l´esistenza umana come una favola breve e illusoria, una preparazione alla vita vera. Oggi una Chiesa sconfitta nel '700 dalla secolarizzazione di valori e comportamenti trova un´imprevista occasione di alleanza con la politica proprio nell'attaccamento alla vita, questa vita terrena, e nel governo delle pulsioni diffuse dalla paura di perderla.
Alleanza fragile e illusoria: come mostrano le divisioni e le incertezze che frammentano anche gli schieramenti parlamentari, il vero problema a cui si sta cercando di dare risposta è quello di conservare oltre ogni limite fisiologico tutti i diritti a disporre della nostra esistenza come proprietà individuale e inalienabile, impedendo a chiunque di disporne. Per questo lo scoglio della legge che si sta elaborando è costituito dalla questione se si debba imporre a medici e parenti l'obbligo di mantenere l´idratazione e la nutrizione forzata: uno scoglio reale, perché ogni parlamentare deve valutare personalmente che cosa lo spaventa di più, se la morte o l´imprevedibile, inimmaginabile sofferenza o indegnità di una forzata sopravvivenza del suo corpo attaccato a tubi e oggetto di manipolazioni.
Ma deve essere chiaro a tutti quanto sia pericolosa una politica che segua l'impulso della paura. La legge che si sta preparando è un atto di biopolitica, prefigura un ingresso del potere politico nella stanza del morente. Abbiamo visto una prova generale di quello che potrebbe accadere a ciascuno di noi: agli ispettori ministeriali spediti a violare la stanza della clinica «La Quiete» di Udine sono seguite inaudite accuse di assassinio, sequestro di cartelle cliniche, apertura di procedimenti giudiziari. Questi fatti non avrebbero mai dovuto verificarsi in un paese civile. Ma ci sono stati: ed è per questo che la legge sul fine vita, per quanto deprecabile, per quanto non necessaria nel sistema delle garanzie giuridiche teoricamente esistenti, è diventata oggi un passaggio inevitabile.
La solitaria battaglia condotta per un tempo infinito da Beppino Englaro nel labirinto delle leggi, in difesa della dignità umana, del vincolo dell´amore paterno e del dovere di protezione che lega padri e figli, ha dimostrato che la saggia e decisiva norma della Costituzione non bastava da sola a tutelare il diritto di ognuno a disporre della propria vita, a porre un limite all´accanimento terapeutico. Ma se legge ha da esserci, bisogna che sia tale da ricondurre il momento del fine vita all´ambito suo proprio: quello in cui ciascuno decide - personalmente se può o per il tramite di suoi fiduciari - fino a che punto è disposto a tollerare interventi sul suo corpo; quello in cui solo il medico fedele al suo giuramento può accompagnare l´essere malato e sofferente collaborando con lui e coi familiari in scienza e coscienza. Ogni altro limite imposto per legge sancirebbe la sconfitta finale della battaglia civile che in nome della legge e dei diritti sanciti dalla Costituzione è stata condotta da Beppino Englaro. La prova di questa legge è dunque la prova dell´esistenza o meno di una opposizione degna di questo nome: una opposizione non necessariamente disegnata dal confine dei partiti e delle maggioranze politiche, fatta da parlamentari che si sentano obbligati in coscienza a difendere con la costituzione i diritti inalienabili di ogni essere umano - dunque, anche i loro diritti.

il Riformista 10.3.09
«Una legge sul fine vita? Sarebbe solo etica di Stato»
Intervista a Angelo Panebianco di Paolo Rodari


DIRITTI. «In Italia vige il "legicentrismo". Mentre invece la libertà, l'ordine e l'efficienza nascono anche laddove i cittadini si auto-regolano».

Ne ha parlato sul Corriere della Sera con un editoriale apparso il 23 febbraio e intitolato "I confini della politica". Qui, Angelo Panebianco, ha voluto dire la sua intorno a una legge sul testamento biologico, o "fine vita" che dir si voglia: «Uno strumento troppo grossolano - ha scritto - troppo rozzo», perchè «pretendendo di imporre uguale trattamento in casi diversissimi, essa (la legge, ndr) crea, più o meno involontariamente, le condizioni per nuovi arbitrii».
Angelo Panebianco, dunque lei non vuole una legge sul testamento biologico?
«Dico "no" al fatto che la politica e lo Stato entrino a dire la loro su un tema così delicato. La cosa deve essere lasciata fuori dalla politica e dal diritto. Occorre che tutto sia lasciato al rapporto medico-paziente, alla libertà dei singoli, alle loro posizioni e sensibilità che sull'argomento sono molteplici e mutevoli a seconda delle diverse situazioni che si vengono a creare. Non mi interessa qui parlare specificatamente della vicenda di Eluana Englaro, mi interessa piuttosto esprimere un principio generale: sulla questione della vita e della morte non è necessario che lo Stato dica la sua».
Non tutto è bianco o nero per lei?
In un certo senso è così. Capisco il momento particolare. Si va verso una legge sull'onda di un'emotività accresciuta dalla vicenda di Eluana Englaro. Ma se si legifera è l'etica di Stato che viene imposta, qualunque sia il contenuto della legge stessa. Sia coloro che sostengono il principio dell'autodeterminazione che i sostenitori della sacralità della vita introducono nel dibattito politico una visione etica. A vincere potrebbe essere una maggioranza "neoguelfa" oppure una "neoghibellina", ma sempre una posizione di parte sarà. E questo, a mio avviso, è sbagliato perché comunque la libertà dei singoli non verrebbe salvaguardata. Settimana scorsa sulle Ragioni del Socialismo allegate al Riformista Luciano Pellicani scriveva che «ci vuole una legge». Io mi domando: «Perché?».
Forse perché una sentenza ha già, di fatto, legiferato in merito?
Giusto. Questa è l'unica obiezione che, in effetti, deve far riflettere. Il problema sono le sentenze, certo, perché hanno inserito laddove c'era una mancanza legislativa qualcosa di nuovo. Ma allora, viste le sentenze, occorrerebbe semplicemente cercare di limitare i danni, non per forza di arrivare a una legge definitiva sull'argomento.
Lei è contrario all'eutanasia?
No. Sono contrario a una legge sull'eutanasia, non al principio dell'eutanasia in sé. Sono rimasto molto stupito, in questi giorni, da coloro che mi hanno criticato dicendo che la mia posizione non è liberale. A queste persone rispondo con una domanda: imporre la sacralità della vita, oppure imporre l'opposto, è invece liberale?
Eluana Englaro è morta per un'azione eutanasica?
La situazione di Eluana era borderline, al limite. Claudia Mancina ha scritto che con Eluana si è sospesa un'attività di accanimento terapeutico. Io dico invece che la situazione di Eluana era borderline e che purtroppo il tutto è stato usato per far passare tramite legge il principio dell'eutanasia.
Biagio De Giovanni ha scritto che lei non tiene conto del fatto che della vita lo Stato se ne è sempre occupato…
Rispondo che se lo Stato vuole intervenire per garantire una certa libertà di movimento ai cittadini allora non credo che questa libertà possa essere garantita da una legge.
Perché l'Italia fatica a far propria la sua posizione?
Perché ci sono troppi nipotini di Hobbes per i quali la libertà esiste solo e soltanto se lo Stato interviene. In Italia vige il "legicentrismo": tutto ciò su cui la legge non interviene è disordine. Ma non è così: ci sono degli spazi di libertà sui quali lo Stato non deve intervenire. Non solo: la libertà, l'ordine e l'efficienza nascono anche laddove i cittadini si auto-regolano.

il Riformista 10.3.09
Una lettera di Umberto Veronesi sulla libertà di morire


Caro Antonio - Sono rammaricato e sorpreso dal tuo articolo che titolava "I miei dubbi sul testamento biologico", apparso sul tuo giornale il 27 febbraio scorso. Benché tu scriva che «il testamento biologico non c'entra niente con l'eutanasia», la tua conclusione "in dubio pro vita" mi fa pensare che l'equivoco in parte persista. Il testamento tratta solo del desiderio di non finire in quella condizione di "stato vegetativo permanente" in cui si può rimanere per anni e decenni, senza parlare, sentire, vedere, senza coscienza e senza pensiero. Se una persona, come te, accetta questo possibile futuro è sufficiente non redigere le dichiarazioni di volontà. Se viceversa, una persona come me, non vuole entrare in quella disumana condizione, può esprimere questa sua volontà e la società deve rispettarla e onorarla come in tutto il mondo civile. Se una legge va contro questi principi è antidemocratica, illiberale e soprattutto anticostituzionale, e penso che il nostro Presidente mai la firmerebbe.
Con i più cordiali saluti e la stima di sempre
Umberto Veronesi

Caro Umberto, capisco il tuo punto di vista, e lo rispetto: tu vuoi una legge sul testamento biologico che consenta a chi lo vuole di «non entrare in quella disumana condizione». Ma uscirne? Il mio dubbio riguarda questo: ho rivolto un invito alla prudenza nello stabilire come se ne può uscire. Che poi è esattamente il discrimine con l'eutanasia. a.p.

Liberazione 10.3.09
Stasera al via su Sky la trasmissione giornalistica di punta della rete di Gore
Current dà la scossa alla televisione
Su Vanguard: Iran e lo sbattezzo
di Sandro Podda


Un reportage sulla guerra segreta in Iran e un'inchiesta sulle procedure per lo sbattezzo in Italia. Atterra così Vanguard , il programma dedicato all'informazione partecipativa e alle news internazionali di Current, sulla melassa del panorama televisivo nazionale.
Si parte questa sera alle 23 sul canale 130 di Sky con "La guerra segreta all'Iran" di Mariana Van Zeller, reportage girato tra le montagne al confine fra l'Iraq e l'Iran dove gruppi di opposizioni finanziati dagli Usa e guerriglieri Curdi si scontrano con militari e spie della Repubblica Islamica. Domani invece, sempre alle ore 23, toccherà a "Istruzioni per sbattezzarsi", inchiesta sul nuovo dirompente fenomeno che sta prendendo piede in Italia sicuramente scomoda per le alte gerarchie vaticane. Un doppio appuntamento settimanale che porta in Italia finalmente una tra le migliori trasmissioni "interne" di Current , quelle cioè prodotte dalla casa madre statunitense. Vanguard si è già assicurata diversi premi tra cui un Emmy Award nel 2007 per il suo stile: giornalisti che vivono in prima persona ciò che raccontano. Quello che dovrebbe essere insomma un reportage come si deve e che invece in tempi di internet, agenzie e ristrettezze economiche in sistemi mediatici paralizzati e mainstream è sempre più raro trovare. La versione italiana che presenterà le inchieste dei Vanguard Journalists sarà affidata a Davide Scalenghe. La sezione "localizzata", sarà affidata invece a Vito Foderà che presenterà la serie inedita di video-reportage realizzati e prodotti dai filmaker della community Current.it su temi di cronaca e attualità italiana. I servizi proposti saranno inoltre commentati in studio. Questa sera ad esempio, l'inchiesta girata lungo i confini iracheni sarà discussa dall'inviato e cofondatore di PeaceReporter Christian Elia, da Fabrizio Tonello (docente di Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova e autore di diversi libri sul rapporto tra mass media-politica e sulla storia degli Stati Uniti contemporanei) e Sara Hejazi (iraniana, dottore di ricerca in antropologia culturale ed epistemologia).
Si respira aria nuova insomma. Nei contenuti e nella scelta degli esperti per dibatterli. Una bella sorpresa che forse farà riattaccare la spina del televisore a chi, a causa della scarsa qualità dell'offerta proposta, aveva deciso di prendersela con l'innocente scatola (o quadro digitale).
La scommessa della rete crossmediale creata da Al Gore è tutt'altro che idealistica. La fame di contenuti "pesanti", è enorme e dietro a temi come l'"ecologia" o un'informazione sprovincializzata si nasconde, fortunatamente, un grande business. L'idea, non nuova ma finalmente realizzata con mezzi e coerenza, è quella di incrociare diversi media e l'interattività dell'Internet. Un terzo della programmazione di Current è infatti affidata a contenuti generati dall'utente sconvolgendo la tradizionale monodirezionalità del messaggio televisivo (se non si vuole considerare il "televoto" una forma di feedback). Naturalmente per ora il pubblico di Current è "tradizionalmente" young adult (tra i 18 e i 35 anni), colto, di buon livello economico e a proprio agio con la tecnologia. Siamo ben distanti ancora da un fenomeno di massa, ma certamente con un piede nel futuro che ci attende. Altro che infotainment e scoop affidati a Gabibbi e Iene tra balletti e veline. Un'esperienza come Current (che molto deve a realtà pregresse come la stessa Indymedia ) dimostra che non mancano i contenuti, ma gli spazi attraverso cui veicolarli. La nascita di spazi come questi non possono che essere salutati con entusiasmo, specialmente quando si vive in un Paese che è stato plasmato attraverso la televisione dalla sua alfabetizzazione fino alla sua apatia generalizzata. Non è un caso che la pubblicità che Current aveva pensato per Vanguard di mettere sugli autobus di Roma sia stata censurata dall'azienda Atac in quanto ritenuta "offensiva". Perché? Semplice, una Bibbia crivellata di colpi e un kalashnikov con il manico a stelle e strisce per lanciare le due inchieste "La guerra segreta all'Iran" e "I Martiri della camorra" (puntata che andrà in onda il 18 marzo su un prete ucciso dalla camorra). Secondo l'Atac non era il caso di disturbare i cittadini romani con immagini così forti. Secondo i "maligni", non era il caso di disturbare qualcuno Oltretevere. Secondo il buon senso, è il caso di cominciare a disturbare.

Liberazione Lettere 10.3.09
E allora, scomunicateci tutti!

Cara "Liberazione", non è facile scrivere se la mano trema: ci sono voluti due giorni per fermarla, dopo la notizia della bimba brasiliana che ha abortito e della ferocia del vescovo di Recife che si è abbattuta su di lei, come se le violenze subite non fossero bastate. Perdipiù, con l'orrore aggiunto che nessuna parola di condanna sia stata spesa dalla curia brasiliana nei confronti del patrigno che l'aveva messa incinta! Leggo anche sulle tue colonne che ritorna con forza l'idea che la Chiesa cattolica a questo punto debba, almeno per coerenza, scomunicarci tutti, ma proprio tutti. Gliene diamo motivo ogni giorno con la nostra reale difesa della vita umana contro la loro cultura di morte. Continueremo in ogni modo la nostra battaglia non violenta contro questi violenti, affinché non ci possano mai nemmeno lontanamente annoverare tra i loro complici. Personalmente lo dico da tre anni ormai, anche su "Liberazione", e in tanti stiamo avanzando pubblicamente la nostra richiesta di scomunica attraverso tutti i canali possibili, dai giornali a internet (su Facebook, in pochi giorni, il gruppo "Scomunicateci" ha già raggiunto mille adesioni: http://www.facebook.com/group.php?gid=64106479277). Perché la scomunica ci pare un atto dovuto da parte di chi chiama peccati ed eresie ciò che noi chiamiamo diritti umani e diritti civili.
Paolo Izzo via e-mail

Liberazione Lettere 10.3.09
Fine vita, dove può arrivare lo Stato?
Caro direttore, una legge sul testamento biologico dovrebbe nascere per semplificare varie questioni del "fine vita", e non per complicare la situazione. Una normativa sulle dichiarazioni anticipate di trattamento dovrebbe essere flessibile, morbida, semplice, chiara, accessibile a tutti, immediatamente comprensibile. I difensori della sacralità della vita umana affermano con vigore il principio dell'indisponibilità dell'esistenza. Epperò, come ha fatto giustamente notare la senatrice radicale Donatella Poretti, «gli emendamenti del relatore Calabrò lasciano intatto il concetto che stabilisce sostanzialmente l'indisponibilità della vita per la persona, ma non per lo Stato e il medico». Quando, invece, su una tematica eticamente sensibile, lo Stato dovrebbe intervenire in punta di piedi, non dovrebbe mai essere intrusivo con la pretesa di poter disciplinare i nostri destini. Fuori d'ogni concezione filosofica sulla natura essenziale e ultima della vita, ogni cittadino dovrebbe disporre di una serie di garanzie, di alcuni diritti fondamentali: rifiutare, in determinate situazioni, l'alimentazione artificiale non è un arbitrio della persona. Nessuno può imporre coercitivamente l'idratazione e l'alimentazione forzate, che secondo il parere delle associazioni scientifiche nazionali e internazionali non sono semplice "sostegno vitale", ma sono una vera e propria terapia medica, suscettibile all'occorrenza di essere interrotta. Lo Stato non può governare i nostri corpi; nessuna forte interferenza è possibile: la zona di confine dove si consuma ogni intimo, personale dolore, è terra travagliosa, che appartiene al singolo soggetto e ai suoi più stretti familiari. Consentire ampi gradi di libertà, è una necessità per un Paese liberale, laico e moderno.
Marcello Buttazzo Lequile (Le)

Liberazione 10.3.09
Vezio De Lucia architetto e urbanista
«Abusivismo è ora che la sinistra faccia autocritica»
di Vittorio Bonanni


Vezio De Lucia non è certo un nome nuovo per chi si occupa di urbanistica, sviluppo delle città, attenzione al patrimonio ambientale e lotta alla speculazione edilizia. Architetto, già assessore all'urbanistica al Comune di Napoli, intellettuale scomodo anche per le forze di sinistra, troppo spesso compiacenti con le logiche della speculazione, De Lucia è ovviamente preoccupato per il cosiddetto "piano casa" del governo,che prefigura un nuovo e forse peggiore scempio urbanistico ed ambientale.
Architetto, questa trovata dell'esecutivo fa venire in mente il personaggio creato da Antonio Albanese Cetto Laqualunque, che paventa in continuazione un'Italia priva di regole dove regna solo la logica della devastazione e dell'arricchimento facile. Che cosa ne pensa?
Cominciamo affrontando il problema della casa. Non c'è dubbio che nonostante in Italia si siano costruite fin troppe case, ci sia un fabbisogno di alloggi per ceti sfavoriti. Ai quali però si può e si deve rispondere soltanto con un intervento tutto pubblico. Cioé qui servirebbe di nuovo quella che si chiamava un tempo l'edilizia sovvenzionata, a totale carico dello Stato. E di questo invece non si parla mentre questa sarebbe l'unica categoria di edilizia che andrebbe considerata in questo frangente.
Siamo invece di fronte ad una liberalizzazione selvaggia...
Che è quella che propone appunto Berlusconi e che sarebbe solo una catastrofe per il nostro paesaggio. E qui si possono fare alcune riflessioni. La prima è questa: che probabilmente questo provvedimento non va visto disgiuntamente da quello che ha portato all'affievolimento degli interventi di tutela sul paesaggio. Cioé la fortissima penalizzazione recentemente intervenuta del ministero dei Beni Culturali e dei sovraintendenti. Si è insomma indebolito il controllo sul paesaggio e questa è una considerazione che pesa sinistramente su questo rilancio selvaggio della speculazione che viene proposto dai provvedimenti annunciati dal governo. Una seconda riflessione generale che vorrei fare riguarda la siderale differenza che c'è tra la linea politica del governo italiano e quella del governo degli Stati Uniti d'America. In Italia non si trova di meglio che rilanciare in modo indiscriminato la speculazione edilizia; mentre da parte di Obama si cerca di sfruttare, diciamo così, la circostanza della crisi economica per proporre, come si diceva una volta, un "nuovo modello di sviluppo" che punti sull'incremento delle spese sociali, sull'ambiente, su una riconversione dell'economia in senso ambientalista, in assoluta controtendenza a quello che propone invece il governo italiano.
Il quale rischia di far tornare il nostro paese negli anni delle peggiore speculazione edilizia degli anni '50 e '60, non trova?
Dico di più. L'Italia tutta sembra ripiombata negli anni dell'immediato dopoguerra quando a Napoli era sindaco Achille Lauro e circolava la battuta "il piano regolatore serve a chi non si sa regolare".
Va aggiunto a tutto questo ragionamento che anche le amministrazioni di centro-sinistra, targate Pd, hanno fatto molte concessioni al partito del mattone, a cominciare da quella romana di Veltroni...
L'aspetto preoccupante è che questo intervento pesca nei sentimenti più profondi e purtroppo diffusi del popolo italiano. Cioé lo stesso consenso che hanno avuto i condoni del governo Craxi e dei due governi Berlusconi ci sarà intorno a questo provvedimento, il quale è un'esasperazione della linea berlusconiana "padroni in casa propria", che però trova riscontro nella cultura diffusa e sommersa dell'italiano. Soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. E qui non si può non fare e non pretendere un'autocritica da parte della cultura di centro-sinistra ma anche di sinistra. Non dimentichiamo che il Partito comunista italiano, a metà degli anni '80, sosteneva gli abusivi siciliani. Quindi c'è appunto una corresponsabilità anche della cultura di sinistra che non ha mai fatto bene i conti con questi problemi. E adesso sarebbe il momento di farli senza illudersi che una promessa sostenuta appunto dagli ambientalisti o da alcuni settori più illuminati, o anche dalla convenienza dell'opposizione, possa neutralizzare questa linea. Bisognerà agire su un piano culturale ancora prima che politico. Tra l'altro anche per avvicinarsi al resto d'Europa dove, per fortuna, in paesi più evoluti del nostro atteggiamenti del genere non esistono o sono enormemente minoritari.
Anche se in Spagna è successo qualcosa di simile...
Sì, ma lì si sviluppato con una bolla finanziaria piuttosto che con l'abusivismo. C'è stata l'illusione del credito facile. Il problema è stato un pochino diverso ed anche in Italia tuttavia è possibile riscontrarlo. E cioè il ridare ossigeno proprio a quei settori dell'economia che sono all'origine della crisi planetaria in questo momento. C'è insomma anche un discorso di questo genere anche se io non sono un economista e non manovro con sicurezza un tema del genere.
Con l'assenza totale di pianificazione insita nella proposta sciagurata partorita da Palazzo Chigi, rischia di essere vanificata definitivamente anche quell'idea di città sinonimo di rapporti sociali e culturali che sta all'origine della nascita dei grandi aggregati urbani. Che ne pensa?
E infatti anche in questo senso deve esserci quell'autocritica da parte della sinistra della quale parlavo prima. Sì è lasciato correre dando spazio all'egoismo delle persone. Basta d'altra parte riflettere sul fatto che la prima regione che ha aderito con entusiasmo all'idea del governo è stata la Sardegna dove è stato sconfitto Renato Soru che aveva provato a mettere in discussione questo "modello di sviluppo". Un concetto che dovremmo ritirare fuori senza vergognarci di farlo. Noi dobbiamo ridiscuterlo questo "modello di sviluppo" per quanto riguarda la città, l'urbanistica, il modo di organizzare lo spazio comune, contrastando con decisione una deregolamentazione pericolosissima.

Repubblica 10.3.09
L’ultima scoperta di uno studio americano su alcuni volontari. Se si parla di religiosità una specifica area cerebrale si attiva
Ecco la zona del cervello dove nasce la fede in Dio
La risonanza magnetica fotografa reazioni simili in credenti e non credenti
di Elena Dusi


Se Dio esiste, il cervello dell´uomo è lo specchio ideale per rifletterlo. Nei credenti come nei non credenti, la questione dell´esistenza di un aldilà impegna aree della corteccia cerebrale molto evolute che sono - così come la facoltà di credere in una divinità - assenti nelle specie diverse dall´uomo.
Con una serie di domande a sfondo religioso e una "macchina fotografica" del cervello come la risonanza magnetica funzionale, un gruppo di ricercatori dei National Institutes of Health (Nih) americani è andato a pizzicare le aree del senso divino. Le immagini delle varie porzioni di cervello attivate da domande come "la vita ha fini superiori?" o "che effetti ha la rabbia divina?" appaiono sul numero di oggi della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
«L´argomento è delicato. Il nostro obiettivo non era trovare Dio nel cervello, ma capire cosa accade nel cervello quando si pensa a Dio» spiega Giovanna Zamboni, la ricercatrice italiana oggi all´università di Oxford che ha partecipato alla ricerca quando era ai Nih. «Abbiamo scoperto che chi non crede reagisce alle domande sulla fede in maniera simile a chi crede. Indipendentemente dalla risposte che ognuno si dà, gli strumenti intellettivi usati per affrontare il tema del divino sono comuni a tutte le persone».
Chiedendo a una sessantina di volontari se Dio è coinvolto o meno nelle vicende del mondo, attraverso domande come "la sua volontà guida i tuoi atti?" o "ti aspetti una punizione da lui?", nel cervello si attivano aree della corteccia frontale legate al pensiero astratto e alle decisioni su quale sia il comportamento migliore da adottare. Riflettendo sulle emozioni attribuite a Dio (rabbia, amore, senso di protezione), l´organo del pensiero reagisce esattamente come se si trovasse di fronte a un´altra persona e cercasse di decifrare il suo stato mentale attraverso le espressioni del viso o i comportamenti. Dottrine complesse come la trinità o la creazione del mondo hanno bisogno della funzione del pensiero astratto, molto specializzata nella nostra specie. Ricordare invece preghiere o cerimonie particolari attiva l´area visiva del cervello.
Giorgio Vallortigara, che insegna neuroscienze all´università di Trento e ha scritto con Telmo Pievani e Vittorio Girotto "Nati per credere", commenta che «probabilmente nel cervello non esiste un modulo specifico per l´idea di Dio, ma la fede nel soprannaturale si appoggia a strutture cerebrali». La psicologia della religione «è nata per spiegare come mai le diverse espressioni di fede mostrano nuclei comuni, come se esistesse un nocciolo di credenza universale con una base biologica nel cervello».

Repubblica 10.3.09
Alla Fiera del Libro di Lipsia il tema è l’identità lasciata dalla Ddr
La memoria negata della Germania comunista
di Vanna Vannuccini


Il nuovo senso identitario unisce vittime e colpevoli: gli autori di oggi si trovano a dover conciliare l´esperienza della caduta del Muro con il bisogno di continuità

La Ddr era un Unrechtsstaat, un "non Stato di diritto", o uno Stato legittimo in cui avvenivano cose contrarie al diritto? Vent´anni dopo la caduta del Muro questa domanda non ha ancora trovato una risposta comune nei due ex Stati tedeschi, ed è il tema di una variegata memorialistica che sarà al centro della Fiera del Libro di Lipsia. Biografie, saggi, diari che nascono da un senso di "identità DDR" che era sempre mancato prima, tanto che Honecker, che per stimolare il patriottismo dei suoi concittadini aveva dovuto far leva sull´"identità tedesca", aveva restaurato il Teatro dell´Opera e lo Zwinger a Dresda, aveva perfino riportato "il vecchio Fritz" sulla Unter den Linden (la statua a cavallo dell´imperatore Federico II di Prussia che le maestre mostravano alle scolaresche senza nascondere una certa perplessità: non era un uomo buono, ammonivano).
Il nuovo senso identitario unisce vittime e colpevoli. Perché chi scrive la propria biografia deve conciliare l´esperienza dell´89, in cui tutto cambiò da un giorno all´altro, con il bisogno di continuità che ognuno ha. "Quando i tedeschi dell´ovest sostengono che la DDR era un Unrechtsstaat, il contrario di uno Stato di diritto, a noi dell´est fa l´effetto che ci dicano: è tutta colpa vostra. Avete avuto lo Stato che meritavate. Siete stati complici, mitlaeufer, non vi siete ribellati" spiega il teologo Richard Schroeder, autore del libro il cui titolo suonerebbe come I più importanti errori dell´unità.
Le delusioni e le frustrazioni sono forti tra i dissidenti di allora, gli eroi delle marce di protesta che in poche settimane portarono alla caduta del Muro, amareggiati per essere stati messi da parte, a volte perfino irrisi perché avrebbero voluto "contare" nel processo di unità. "Di quella rivoluzione pacifica nessuno parla più" dice Christian Fuehrer, il pastore della Nikolai Kirche di Lipsia. "Eppure fu un evento unico nella storia tedesca, espressione di uno spirito che meriterebbe di avere accesso ai libri di scuola ed essere esportato più dei Tornado e della tecnologia militare". Secondo Fuehrer, nella DDR stiamo assistendo ad un fenomeno psicologico analogo a quello nella Germania federale nel dopoguerra: la cesura storica è diventata una censura personale. Nessuno parla più in famiglia o sul posto di lavoro di com´era la DDR: "Probabilmente le persone si vergognano di non aver fatto abbastanza, di essersi adattate, ritirate nella nicchia del privato. E´ anche vero che la gente tende a dimenticare. Durante la fuga degli ebrei dall´Egitto, molti cominciarono ad avere dei rimpianti quando le condizioni si fecero troppo dure. Almeno in Egitto avevamo da mangiare, dicevano". La politica non ha fatto nessuno sforzo di riflessione. Al punto che nella cronologia ufficiale dell´unificazione è stato dimenticato quel fatidico 9 ottobre quando Lipsia avrebbe potuto diventare un´altra Tienanmen. Quella sera, 70.000 persone partirono dalla Nikolai Kirche e marciarono sotto le finestre della Stasi scandendo "Siamo il popolo. No alla violenza". Wir waren dabei, noi c´eravamo, è il titolo della testimonianza di Fuehrer.
A spiegare alla "Generazione Unità", la generazione nata dopo la caduta del Muro e appena diventata maggiorenne, che cosa successe vent´anni fa, ci prova anche Guenter Schabowski, "der Maueroeffner", l´apritore del Muro. Il pregio del suo libro -intervista, intitolato Abbiamo sbagliato quasi tutto, sono la sincerità e la chiarezza – per nulla scontate in qualcuno che faceva parte del cerchio più ristretto del regime e che ora fa la storia degli "abbagli" di quel gruppo dirigente. Schabowski rievoca tra l´altro quella conferenza stampa passata alla storia, quando annunciò in diretta le "facilitazioni di viaggio" per chi voleva lasciare la DDR, provocando inintenzionalmente l´assalto al Muro di centinaia di migliaia di berlinesi. "Nel 1961 avevamo costruito il muro per salvare la DDR . Ora lo aprivamo per lo stesso fine, quello di allentare la pressione e stabilizzare così il regime", scrive. Tra i vecchi compagni Schabowski non si è fatto molti amici con questo libro, riceve lettere di insulti e minacce. "La DDR non è mai esistita" dice un graffito nel centro della capitale. Meglio non si potrebbe sintetizzare l´amarezza dei tedeschi dell´est per essere stati sbalzati fuori dalla storia. Qui c´era il Palast der Republik, un edificio di acciaio e cristallo brunito che nella DDR era un simbolo di modernità, demolito pietra su pietra negli ultimi anni (causa ufficiale: la presenza massiccia di amianto). Al suo posto c´è un vuoto, simile al vuoto sul quale era sorto, quando Honecker lo fece costruire nel posto lasciato dalla demolizione dello Schloss, la residenza degli Hohenzollern.
Per gli storici, questa memorialistica della DDR è una miniera di come funzioni la memoria dei popoli, un vero e proprio laboratorio in corpore vivi. In un libro è riportata una citazione di Napoleone: "la memoria storica è la somma delle bugie su cui una società trent´anni dopo si mette d´accordo". Prendiamo i dossier della Stasi. Erano stati i tedeschi dell´Est a volerli aprire. Ma tutto il clamore che è stato fatto su di essi in occidente ha finito per dare l´impressione ai tedeschi dell´est che l´occidente puntasse il dito contro di loro, e che la Vergangenheitsbewaeltigung (l´elaborazione del passato) della DDR venisse fatta solo dagli occidentali. "Per capire come fosse la vita nella DDR – dice Schroeder - occorre usare il grigio. Il bianco e il nero danno un’immagine falsata. Anche noi abbiamo avuto giorni felici".

Corriere della Sera 10.3.09
Lo psichiatra Claudio Mencacci: «Il ricovero era d'obbligo ma nessuno l'ha segnalato»
di Simona Ravizza


MILANO — «L'uomo che ha accoltellato padre e figlia per strada poteva essere messo in condizione di non nuocere. Bastava intervenire con il trattamento sanitario obbligatorio (Tso) che prevede un immediato ricovero coatto in un ospedale pubblico». Claudio Mencacci, vicepresidente della Società italiana di psichiatria, commenta a caldo la tragedia di Torino.
In che modo si poteva fare scattare il Tso?
«L'accoltellatore aveva dato segni di squilibrio psichico già in caserma, almeno secondo i primi riscontri. Se fosse stato accompagnato al Pronto Soccorso dai carabinieri con la richiesta di una visita per evidente stato di delirio, uno psichiatra e un altro medico di turno sarebbero potuti intervenire subito».
Ma qual è l'iter che porta all'esecuzione di un trattamento sanitario obbligatorio?
«Un medico lo propone, uno psichiatra del servizio sanitario nazionale lo convalida. Serve anche un'ordinanza del sindaco: ma, in casi simili, può avvenire in contemporanea al ricovero. Il Tso è disciplinato dall'articolo 34 della legge 833 del 1978. Quella, per intenderci, che istituisce il servizio sanitario nazionale».
A quali condizioni può essere effettuato il ricovero coatto?
«Il provvedimento deve essere motivato da: alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; rifiuto delle cure da parte del malato di mente; assenza di circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere».
Quante ore ci vogliono per attuare il protocollo previsto?
«Nel caso di Torino tutto poteva essere fatto anche in mezz'ora. Ma previa segnalazione mirata ai medici del Pronto Soccorso».
La legge prevede sanzioni per mancato Tso in caso di necessità?
«I pubblici ufficiali possono incorrere in abbandono di persona incapace (articolo 591 del codice penale) e in omissione di atti d'ufficio (articolo 328 sempre del codice penale). Ma qui si tratta di reati. Ed è tutta un'altra storia. Il riscontro di eventuali responsabilità penali per quanto successo a Torino spetta solo ed esclusivamente alla magistratura».

Corriere della Sera 10.3.09
Ecco perché c'è la crisi: nessuno studia matematica
Il Nobel per la fisica: «I manager non conoscono l'aritmetica»
Scenari Allarme contro la disaffezione verso i numeri. Poi Sheldon Glashow spiega come l'uso delle formule serva a descrivere la Natura
di Sheldon Glashow


Molto tempo fa, gli uomini inventarono i numeri per regolare le loro transazioni. Oggi più che mai la matematica ha un ruolo dominante nella società; è irragionevolmente efficace in questioni che riguardano tutto lo spettro dell'esperienza umana: dalla gestione delle finanze personali ai più vasti fenomeni sociali.
Avendo insegnato fisica per decenni a studenti di facoltà non scientifiche, vedevo che molti di essi, pur essendo intelligenti, avevano paura della matematica. Si laureavano senza aver veramente capito i numeri, l'aritmetica e l'algebra elementare. La crisi finanziaria che si è ora abbattuta su di noi potrebbe essere dipesa anche dalla diffusa mancanza di cognizioni matematiche in chi si occupa di denaro: mi riferisco non solo ai banchieri, ai finanzieri e ai politici che si trovano ai vertici del potere economico, ma anche ai normali cittadini. Forse le cose sarebbero andate diversamente se avessero partecipato a un Festival della matematica.
Per tutta la mia carriera la matematica è stata per me uno strumento essenziale, ma anche bello e divertente. Spesso trovavo difficile distinguere il lavoro dal gioco. Da studente ero affascinato dall'uso delle matrici per capire le simmetrie della natura, come quelle dei fiocchi di neve e dei diamanti. Una matrice consiste in uno schieramento rettangolare di numeri o di simboli matematici. Nei primi anni di università ho incontrato le semplici matrici 2 per 2 che descrivono la natura dello «spin dell'elettrone» e la relazione tra protoni e neutroni. Ho poi imparato che le matrici 3 per 3 caratterizzano le rotazioni nello spazio, e che possono essere usate per analizzare le vibrazioni di una molecola di ozono. In seguito mi hanno insegnato che certe matrici 4 per 4 hanno permesso a Paul Dirac di formulare la prima equazione quantistica compatibile con la teoria speciale della relatività. Dirac diceva spesso, scherzando, che la sua equazione era più intelligente di lui: aveva predetto l'esistenza dell'antimateria! Tutte queste importanti scoperte nacquero negli anni Venti da scienziati di talento che si valevano della matematica. Decisi di seguire le loro orme.
Il relatore della mia tesi, Julian Schwinger, pensava che potesse esserci un legame tra l'interazione debole e le forze elettromagnetiche e formulò una teoria in cui i fotoni che mediano l'elettromagnetismo erano collegati, da qualche sorta di simmetria, a due particelle pesanti, allora solo ipotizzate (ora chiamate W±), che mediano la forza debole. Mi sfidò poi a dimostrare quella teoria, ma c'erano grossi ostacoli da sormontare: 1) È stato notato che le interazioni deboli sono le sole forze in natura a violare la simmetria speculare. Come poteva una teoria includere questa scoperta?
2) Il fotone è una particella priva di massa, ma gli ipotetici bosoni W dovevano essere molto pesanti.
Che tipo di simmetria poteva collegare particelle con proprietà così diverse?
3) Il modello più semplice di interazione elettrodebole ha a che fare solo con i leptoni, particelle simili agli elettroni e ai neutrini. Come poteva essere esteso in modo da includere altre particelle, come i neutroni e i protoni, di cui siamo fatti? Ho risolto il primo problema nel 1961, usando semplici matrici 2 per 2. Scoprii che la sfida che mi aveva lanciato Schwinger era senza esito. Per spiegare la violazione della parità bisognava postulare l'esistenza di un'altra particella pesante: il bosone neutro Z. (Allora non lo sapevo, ma quel lavoro mi avrebbe portato vent'anni dopo a vincere il premio Nobel). A questo punto la teoria contemplava tre nuove particelle, le cui masse consistenti dovevano trovare una spiegazione.
Il secondo problema, l'origine di masse W e Z è stato risolto in linea di principio dal mio compagno di liceo Steven Weinberg (e, indipendentemente, da Abdus Salam). Applicando a schemi semplici il concetto di rottura spontanea della simmetria, hanno dimostrato come queste particelle potessero acquisire una massa. Il loro modello prevedeva una nuova particella, il bosone di Higgs, che finora è stato cercato senza successo. Il gigantesco collisore di protoni presso il Cern, l'LHC, ci dirà presto se la particella che hanno teorizzato esiste realmente.
La nuova teoria elettrodebole aveva a che fare solo con i leptoni. Prima che la teoria venisse estesa, la natura di particelle che interagivano con forza (come protoni, neutroni e altri adroni) doveva essere meglio compresa. Poco dopo avermi chiamato a lavorare con lui al California Institute of Technology, Murray Gell-Mann inventò la cosiddetta «via dell'ottetto», dove gli adroni sono descritti da matrici 8 per 8. Sidney Coleman e io abbiamo dimostrato che si potevano anche usare semplici matrici 3 per 3 per spiegare la teoria di Murray. Con l'uso di queste giungemmo alla «formula di Coleman-Glashow», che descrive correttamente le caratteristiche della massa elettromagnetica dei barioni. Poco dopo, Nicola Cabibbo trovò che l'impiego di matrici simili, applicate alle interazioni deboli, dava luogo a molte nuove teorie, tutte poi confermate sperimentalmente.
La «via dell'ottetto» ha avuto molto successo nella forma della teoria dei tre quark di Gell-Mann e Zweig. La teoria elettrodebole era però ancora incompleta. Prediceva l'esistenza di qualcosa chiamata correnti neutre con variazioni di «stranezza». Non spiegherò in che consistano, dirò solamente che non esistono in natura. John Iliopoulos, Luciano Maiani e io abbiamo affrontato questo problema. Ancora una volta, abbiamo trovato la soluzione giocando con le matrici più piccole. Abbiamo dovuto valerci di matrici 4 per 4 in luogo delle matrici 3 per 3 usate da Cabibbo. Doveva esistere un quarto «quark charm», e infatti è stato trovato.
La storia avrebbe potuto finire qui, ma così non è stato. Due scienziati giapponesi, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, continuando a giocare con le matrici, hanno scoperto che sostituendo le matrici 4 per 4 con matrici 6 per 6 (introducendo così altri due quark) riuscivano a risolvere il mistero della violazione di CP. I quark top e bottom sono stati infine scoperti, e lo scorso anno Kabayashi e Maskawa hanno ricevuto il premio Nobel per la loro intuizione. Oggi l'idea premonitrice di Schwinger di una teoria elettrodebole unificata è pienamente confermata: nel frattempo mi sono molto divertito a lavorare con le piccole matrici.
(Traduzione di Maria Sepa)

Corriere della Sera 10.3.09
Giudizi, esclusioni, senso dell'identità italiana: il mondo letterario si divide sull'ultima opera Einaudi
Asor Rosa, la Storia della discordia
Critica o politica? Alfonso Berardinelli lo stronca, Edoardo Sanguineti lo difende
di Dario Fertilio


Ebbene, non è vero che la critica letteraria, anche quella «cattiva», sia morta. Come potrebbe esserlo, dopo la fiammata polemica che si è sprigionata domenica scorsa dalle pagine del Sole 24 Ore, dove Alfonso Berardinelli ha stroncato uno dei teorici della letteratura impegnata, il marxista impenitente Alberto Asor Rosa? Stroncato, anzi, è dir poco. Potremmo quasi dire crocifisso a precise parole acuminate: non sarebbe «né un critico militante né uno studioso, ma un organizzatore editoriale con ambizioni politiche». Tanto che «il suo marxismo estremistico lo ha abituato a guardare dall'alto e con un certo disprezzo gli scrittori e gli intellettuali». Sicché, in sostanza, secondo Berardinelli, al militante Asor Rosa non importerebbe un bel niente della letteratura in sé.
Accuse pesanti e apparentemente paradossali, se si pensa che il protagonista di questa vicenda ha appena licenziato per Einaudi ben tre volumi della sua Storia europea della letteratura italiana, corredata da un prologo in cui si afferma l'intenzione di ritornare all'esame critico degli Autori e delle Opere (indicati con lettere maiuscole) superando lo storicismo sommario e affrettato di tanti manuali. Ma Berardinelli smonta una per una le affermazioni di Asor Rosa, e persino le intenzioni esposte nella «Presentazione» dei volumi. Compresa la presunta apertura alla cultura europea (giudicata «puramente pubblicitaria» e non dissimile da quelle presenti in qualsiasi altro manuale). E poi la sua definizione di identità italiana («ovvia»), per non parlare delle esclusioni (una su tutte: Ignazio Silone); delle stroncature (oggi come ieri, il reazionario
Gattopardo); delle sottovalutazioni (Elsa Morante); delle preclusioni di genere (la saggistica di Chiaromonte, La Capria, Carlo Ginzburg, Calasso); e poi le sopravvalutazioni (tipo Melania Mazzucco) e i luoghi comuni (l'«idolo» scoperto tardivamente, Italo Calvino). Non manca neppure il gioco irridente di rivoltare la passione per Michelstaedter, giacché lo scrittore goriziano prediletto da Asor Rosa viene chiamato a denunciarne il ruolo di puro «gestore e amministratore dello spazio letterario».
Ma se la critica ritorna agli antichi veleni, vorranno farlo anche i suoi esponenti più in vista? Sembra proprio che sia così, a giudicare dalle numerose reazioni suscitate dall'articolo di Berardinelli. Di simpatia e divertimento, come nel caso dello storico non letterario Giovanni Belardelli. Di consenso altrettanto divertito nei confronti del critico, da parte di Giulio Ferroni, che tuttavia preferisce non affondare troppo la lama per noblesse oblige, dal momento che ha in corso una vertenza giudiziaria con Asor Rosa, a suon di accuse per diffamazione. Comunque, Ferroni plaude a Berardinelli («la sua è una di quelle recensioni che da tempo non si leggevano più sui giornali») e annuncia l'uscita di un suo libretto da Laterza ( Prima lezione di letteratura italiana), che ha tutta l'aria d'essere una confutazione globale del pensiero di Asor Rosa (compresa la parte che riguarda l'identità europea della nostra letteratura).
Sul fronte opposto, un decano della letteratura militante come Edoardo Sanguineti si concede una battuta: «Anziché chiedermi se Asor Rosa sia un vero critico, mi domando se lo sia Berardinelli. Non per ritorcergli contro le accuse, ma perché chiunque pratichi questo strano mestiere appartiene a una categoria larghissima, all'interno della quale può entrare di tutto. E poi fra coloro che non amano questa definizione di "critico" non è compreso lo stesso Berardinelli?». C'è poi un aspetto dell'articolo che Sanguineti non riesce a digerire, e cioè il conteggio delle righe destinate da Asor Rosa a questo o quell'altro autore. «Eh no, andar per righe mi sembra un sistema fra i più poveri», obietta. E dopo una disquisizione più ampia sull'identità occidentale in letteratura, Sanguineti conclude con una sonora invocazione: «Facciamola finita con le lezioni magistrali! ».
Più soft, ma altrettanto rigorosa la scelta di campo di Cesare Segre: sta dalla parte di Asor Rosa anche per una questione di principio, giacché «l'articolo di Berardinelli sa troppo di attacco personale, e tuttavia dimostra di essere riuscito a polarizzare l'attenzione, cosa sicuramente fra i suoi obiettivi». Nella sostanza, poi, Segre difende l'opera di Asor Rosa: «Anziché dedicargli affermazioni astratte, sarebbe giusto esaminare il suo lavoro concreto, che è notevole e certo non di sola compilazione. Se si avvia un discorso critico, lo si deve fare oggettivamente, mentre in Berardinelli di oggettivo non c'è nulla». Su un solo punto Segre dà ragione a quest'ultimo, là dove rimprovera ad Asor Rosa un europeismo di pura facciata: «L'impressione, in effetti, è che in lui non ci sia un vero rovesciamento di prospettiva a favore dell'Europa». Chiusura completa, invece, al gioco dei promossi e bocciati e delle righe dedicate a ciascuno: «Io l'ho sempre condannato, perché la libertà del critico sta proprio nello scegliere gli oggetti del suo discorso».
Restia a schierarsi è Carla Benedetti: «Non amo in genere le storie della letteratura cucite con il filo della necessità storica, ma d'altra parte tesi come quelle di Berardinelli avrebbero dovuto essere espresse in un saggio». In passato, alla Benedetti, non sono piaciute le critiche di Asor Rosa a Pasolini («gli ha affibbiato l'etichetta di populista »), ma «da qui a dire che non è un vero critico ce ne passa».
Tocca infine al più giovane della compagnia, Massimo Onofri, spezzare l'ultima lancia in favore di Berardinelli: «Dov'è lo specifico letterario in Asor Rosa? Mi sembra che ritorni a fare una storia della cultura, mettendo uno accanto all'altro, allo stesso titolo, Paolo Sarpi e Torquato Tasso, Galileo e Lodovico Ariosto». Insomma, quei volumi dal titolo altisonante, Storia europea della letteratura italiana, insisterebbero in modo sterile sul concetto di «identità», un «ritorno regressivo al disamato Francesco De Sanctis». «D'altro canto», conclude, «questo disinteresse assoluto per la critica letteraria in quanto tale è dimostrato dal fatto che sono del tutto assenti i più grandi critici del '900, da Debenedetti a Baldacci a Garboli».

il manifesto 10.3.09
Intervista a Elena Cattaneo: "Solo l'Europa può aiutarci l'Italia è sempre più indietro"
di Monica Soldano


Se facciamo fuori la ricerca sulle staminali embrionali, non si può andare avanti neanche sul- le altre linee di ricerca», quelle che il Vaticano considera «etiche». E molto chiaro il pensiero di Elena Cattaneo, direttore del centro di ricerca sulle staminali all`Università di Milano, incontrata a Bruxelles durante la tre giorni del II Congresso mondiale per la libertà di ricerca organizzato dall`associazione Luca Coscioni. Ieri l`Osservatore romano l`ha riconfermato: per il Vaticano l`embrione non si tocca, è già uno di noi, fin dal concepimento. Un`anatema noto, che va diritto al cuore della ricerca sulle cellule staminali embrionali. Un veto, anticipato qualche settimana fa, clamorosamente, anche da un documento del ministro del welfare Maurizio Sacconi. Che nel nuovo bando per i progetti di ricerca sulle cellule staminali approvato qualche settimana fa ha posto un veto esplicito alla ricerca sulle embrionali. Quelle cellule, cioè, prelevate dagli embrioni soprannumerari o scartati durante le fasi della fecondazione artificiale. «La linea di ricerca più promettente per studiate i meccanismi cellulari», secondo la professoressa Elena Cattaneo.
Perché le cellule staminali embrionali sono così importanti?
Perché sono pluripotenti, ogni cellula può fare tutto. Sono fonte di conoscenza, ma vanno considerate ancora terra di frontiera. Limitare o escludere questa linea di ricerca è ipocrita. Vuol dire ostacolare anche gli sviluppi di quella che oggi si definisce "etica".
Si riferisce alla possibilità di riprogrammare le cellule adulte, facendole ripartire? Ci può spiegare in cosa consiste questa linea di ricerca?
Esattamente, mi riferisco alla riprogrammazione delle cellule adulte. Da due anni si sta portando avanti questo studio e con successo. Da una sola cellula adulta si possono riprogrammare sia cellule della pelle che cellule cerebrali. Detto in altre parole, si può far tornare "indietro" una cellula adulta fino a riportarla allo stato embrionale, chiamate "surrogate" o "indotte". Ma per andare avanti sulle "surrogate" o sulle "indotte" devo poterle confrontare. Nella ricerca occorre laicità, non ideologia. L`applicazione clinica riguarda poche malattie.
A che punto siamo con l`applicazione clinica? Quali malattie si possono curare con le cellule staminali?
Ancora poche. Perlopiù alcune forme di leucemia che necessitano del trapianto di midollo e le malattie che hanno bisogno del trapianto della cornea. Per tutte le altre siamo ancora in una fase sperimentale.
Come ricercatrice italiana si sente penalizzata?
Molto. La legge 40, quella sulla fecondazione assistita, vietava la produzione di embrioni a scopo di ricerca, ma io ho sempre continuato a lavorare sulle cellule embrionali importate dall`estero. Il nuovo bando per la ricerca emanato dal Ministero del Welfare supera addirittura i limiti della legge stessa. Impedirà, cioè, di utilizzare finanziamenti per continuare a studiare anche le cellule embrionali importate.
Cosa farete quindi adesso?
Solo l`Europa può darci la forza di andare avanti.
Come?
L`Europa rispetta gli stati membri, ma può finanziare progetti scientifici di valore che abbiano superato il vaglio etico di un organismo terzo rispetto all`Europa: lo European Group of Ethics, formato da un panel di studiosi in varie discipline. Dopo l`anno di moratoria del 2003 in cui i ministri europei non riuscirono a decidere le regole, si è mossa la Commissione europea che ha stabilito un procedimento per il distribuzione dei fondi. Si possono ricevere finanziamenti su progetti validi, se si superano alcune valutazioni. La prima è nel proprio Paese, poi presso l` ente che svolge il progetto e ancora di nuovo nelle istituzioni europee.
Bernat Soria, il ministro spagnolo della salute, al congresso di Bruxelles, ha presentato la sua ricetta, sembra vincente per l`economia In tempi di crisi. Finanziamenti, formazione, ma soprattutto valutazione del merito...
La valutazione dei progetti sul merito è il cuore della ricerca. Sei finanziamenti si attribuiscono ai singoli o ai dipartimenti sulla base di clientele o favori personali, si uccide la ricerca. Occorre mettere in competizione pubblicamente le idee migliori. Il governo italiano che vietala ricerca sulle cellule staminali embrionali dovrebbe prendersi la responsabilità di spiegare pubblicamente le conseguenze nefaste di questa scelta sul futuro dei suoi cittadini.

lunedì 9 marzo 2009

Corriere della Sera 9.3.09
La denuncia del papà di Eluana
Padre Lombardi: la Santa Sede interviene con altre modalità
Il Vaticano su Barragán: parole personali
di Gian Guido Vecchi


CITTÀ DEL VATICANO — C'è una cosa che accomuna le uscite recenti, seppure diversissime, di cardinali come Renato Raffaele Martino e Javier Lozano Barragán o dell'arcivescovo Agostino Marchetto. Personalità autorevoli della Curia romana, amatissimi dai giornalisti perché disponibili a parlare senza veli e insieme capaci di diffondere ansia ai piani alti della Santa Sede: le loro parole, fatalmente, diventano all'istante la posizione del «Vaticano». Il che costringe poi a spiegare che si tratta di posizioni «personali» magari «non in linea con la Segreteria di Stato». È successo anche con le parole sillabate a più riprese da Lozano Barragán su Eluana: «È un assassinio», «fermate quella mano assassina», «è inconcepibile uccidere così una persona», «che Dio li perdoni per quello che hanno fatto», e insomma tutto ciò che ha fatto dire a Beppino Englaro di voler denunciare il «ministro della Salute» vaticano. Il cardinale aveva già replicato dopo che la Procura di Udine ha indagato il papà di Eluana: «In una conversazione con lui ha reagito in modo molto arrabbiato, dicendo che lo catalogavo come assassino, ma io dico solo che il Quinto comandamento dice di non uccidere e chi uccide una persona innocente commette un crimine. Se ha ammazzato lui la figlia è un omicida, se non l'ha ammazzata lui allora non lo è. Penso che non sia un ragionamento polemico, ma logico». Eppure non è così semplice, il che spiega il silenzio che nella Santa Sede ha accompagnato l'uscita di Beppino Englaro mentre il cardinale messicano era in viaggio per Monterrey. Un po' c'è il fatto che non esiste ancora una denuncia. E un po' che il caso Eluana è affidato alla Cei: fa testo ciò che dice il cardinale Angelo Bagnasco, non Lozano Barragán. Quando l'arcivescovo Marchetto attaccò il governo sul decreto anti-ronde, al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, toccò chiarire che «la Santa Sede, quando intende esprimersi autorevolmente usa mezzi propri e modi consoni: comunicati, note, dichiarazioni. Ogni altro pronunciamento non ha lo stesso valore». E ancora: «Anche di recente si sono verificate attribuzioni non opportune». La cosa, si spiega in Vaticano, valeva pure per Lozano Barragán.
Il problema non è il giudizio sulla sospensione di alimentazione e idratazione: non si può, mai, la posizione della Chiesa è chiara e netta. Il problema è lo stile, che in questi casi diventa sostanza. Così le parole del cardinale messicano sono giudicate «personali », e quindi «non esprimono la linea della Santa Sede». Del resto la posizione del Vaticano, chiara sul principio, è sempre stata attenta a non usare espressioni offensive verso la famiglia. Nel pieno della polemica politica, si è arrivati ad accusare l'Osservatore
romano di «tiepidezza». Ma il direttore Giovanni Maria Vian ha spiegato: «Abbiamo ritenuto che la via migliore fosse un cammino di attenzione vivissima e allo stesso tempo discreta. Le parole che più sono entrate nel cuore di tutti sono quelle del Papa, la sua delicatezza. Insieme a quelle del vescovo di Eluana, il cardinale Tettamanzi, di cui abbiamo pubblicato la bellissima lettera alle suore di Lecco: a loro che hanno cercato di rispettare fino all'ultimo la discrezione, il silenzio, il pudore». E poi basterebbero gli ultimi interventi di Benedetto XVI, nettissimo nell'affermare che «l'eutanasia» è una «falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell'uomo», che «la vita dell'uomo non è un bene disponibile », e insieme attento al dolore di tutti: «Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio».

Corriere della Sera 9.3.09
Firenze Democratici divisi, oggi la decisione
Cittadinanza a Englaro, no di Renzi
di Marco Gasperetti


Non è una proposta seria, ma una provocazione. Non mi piace la voglia di mettere la bandierina su una vicenda come quella di Eluana. Allora diamolo anche ai 2.500 che assistono persone nelle stesse condizioni

Oggi il Consiglio comunale di Firenze deve decidere se concedere la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro, il padre di Eluana. Ma si annunciano contrasti. Presentata dal socialista Alessandro Falciani, la proposta non registra solo il «no» compatto dell'opposizione di centro destra ma anche di una parte del Pd, a cominciare dalla capogruppo Rosa di Giorgi. Contrario anche il vincitore delle primarie democratiche, il cattolico Matteo Renzi: «E' una provocazione, non mi piace la voglia di mettere una bandierina su questa vicenda».

FIRENZE — A far soffiare di nuovo nel Pd toscano il ventaccio gelido della divisione è stato un socialista. Al secolo Alessandro Falciani, 55 anni, direttore dell'Associazione dei volontari del sangue toscana e capogruppo del Psi nell'inquieto consiglio comunale di Firenze. Una decina di giorni fa, Falciani ha presentato una delibera con la quale ha proposto la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro, il papà di Eluana. E, inevitabilmente, ha rigenerato nei turbolenti democratici fiorentini la mai sopita sindrome genetica dei guelfi e dei ghibellini. Una frattura che, stavolta, non riguarda le due anime del partito, ma è trasversale e atipica. Con ex Margherita contrari alla cittadinanza, ma favorevoli alla battaglia di Beppino Englaro, ed ex diesse che annunciano votazioni all'antitesi l'uno con l'altro.
Dopo essere passata in commissione (tre consiglieri pd hanno votato a favore e uno contrario), alle 15.30 di oggi la delibera Falciani va in consiglio comunale. E a Palazzo Vecchio si annunciano scintille per un voto che potrebbe riservare anche sorprese clamorose. Non nell'opposizione di centrodestra, schierata compatta sul no e nella sinistra radicale decisa per il «sì», ma nel Pd, appunto.
Tanto è vero che il capogruppo del partito, Rosa Di Giorgi (area Margherita), ricercatrice del Cnr, contraria alla cittadinanza, discuterà la questione in mattinata durante la riunione del gruppo consiliare per capire l'orientamento dei compagni di partito. «Liberi di votare come credono — premette Di Giorgi —, perché questo è anche un caso di coscienza e non può esistere una disciplina di partito. Io, per esempio, sono d'accordo con ciò che ha deciso il signor Englaro, che stimo e apprezzo per la sua battaglia civile, democratica e legale. Ma per conferire una cittadinanza onoraria è necessaria l'unità, un voto all'unanimità, e invece questa è una vicenda che divide la politica e i cittadini. E anche il mio partito».
Il socialista Falciani ribatte che l'unità c'entra poco e chiede una scelta coraggiosa: «In passato sono state conferite cittadinanze votate non all'unanimità. Firenze è sempre stata vicina a personaggi di grande spessore morale al di là del voto finale. Il signor Englaro ha combattuto per la legalità e per la Costituzione ed è un onore averlo come concittadino: i fiorentini possono esserne orgogliosi».
Tra i favorevole all'iniziativa socialista c'è invece il vice capogruppo del Pd, Gianni Amunni, oncologo, direttore dell'Istituto toscano tumori. «Ho firmato la delibera di Falciani — spiega —, perché ritengo giusta e meritoria la battaglia civile e morale di Beppino Englaro. Le divisioni nel partito? Credo che il dibattito interno sia una ricchezza. Ognuno voterà secondo coscienza, ma a me non sembra un problema».
Mentre il sindaco uscente, Leonardo Domenici, preferisce il silenzio, il vincitore delle primarie del Pd, il cattolico Matteo Renzi, si schiera decisamente per il «no». Lui non voterà a Palazzo Vecchio perché è presidente della Provincia, ma il suo è un parere che conta, moltissimo, soprattutto da quando c'è chi lo ha osannato dopo la vittoria alle primarie come l'«Obama del Pd».
«Sono contrario — dice Renzi — perché questa non è una proposta seria, ma soltanto una provocazione. Firenze ha sempre cercato un dialogo, e personaggi come La Pira lo testimoniano. Non mi piace la voglia di mettere la bandierina su una vicenda particolare come quella di Eluana per radicalizzare lo scontro. Se si concedesse la cittadinanza onoraria al signor Englaro, dovremmo conferirla anche a quelle 2.500 persone che stanno assistendo persone care nelle stesse condizioni di Eluana».
E l'opposizione? Unita per il no. «Se fossi Beppino Englaro la rifiuterei per mettere la parola fine a questa drammatica vicenda e lasciar riposare in pace Eluana», dice Mario Razzanelli, ex capogruppo dell'Udc e candidato a sindaco per una lista civica di centrodestra. Oggi l'ultimo verdetto nel Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio.

Corriere della Sera 9.3.09
Berlusconi: sul «fine vita» libertà di coscienza
«C'è un vuoto da colmare, nel Pdl scelta senza vincoli». Pd d'accordo. L'Udc: torna l'anarchia sui valori
di Paola Di Caro


Il premier: il governo ha il dovere di prendere delle decisioni e al Parlamento spetta il compito di fare una legge

ROMA — La legge sul testamento biologico va fatta, perché in Italia esiste un «vuoto normativo» che va colmato, ma i parlamentari del Pdl hanno «la libertà di votare secondo coscienza». La conferma autorevole di una linea rimasta sottotraccia nel centrodestra, perché niente affatto facile da mettere in pratica, arriva da Silvio Berlusconi. Che, in un'intervista al quotidiano spagnolo El Mundo torna sul caso Eluana, per spiegare che «un governo democraticamente eletto ha il diritto e il dovere di prendere delle decisioni.
La morale può essere soggettiva, la legge no. Soprattutto su temi fondamentali come quelli che implicano la vita e la morte, non si possono lasciare vuoti normativi, perché è in quel vuoto che nasce il problema». «La magistratura — continua il premier — a differenza del Parlamento, non ha il potere di fare leggi, ha invece l'onere e l'onore di applicarle. Se c'è un vuoto, il compito di colmarlo con una legge spetta al Parlamento. Ma poiché questa legge sul "fine vita" in Italia non c'era, noi abbiamo naturalmente portato in Parlamento la nostra proposta, con la libertà per i nostri parlamentari di votare secondo coscienza». Una dichiarazione di princìpio già fatta in casi simili dal premier, che ha sempre lasciato libertà ai suoi sui temi eticamente sensibili, ma che stavolta fa discutere perché proprio questo governo ha tentato di intervenire con decreto per evitare che fosse staccato il sondino ad Eluana Englaro.
Se sul lasciare «totale libertà di coscienza» è assolutamente d'accordo il leader del Pd Dario Franceschini, perché «su questi temi non ci può essere disciplina di partito », c'è però chi come l'udc Luca Volontè si indigna: «Siamo tornati all'anarchia del Pdl sui valori non negoziabili ». Ma un laico convinto come Benedetto Della Vedova replica duro: «Bene ha fatto, invece, Berlusconi a ribadire che sui temi della bioetica sarebbe insensato, oltreché impossibile, imporre ai parlamentari di un grande partito moderato e liberale un voto contro coscienza».
Un po' il discorso che fa il capogruppo vicario del Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello: «Siamo un partito del 40%, è normale che su certi temi possano esserci posizioni diverse, come al Senato quelle di Saro, Malan e Paravia. Poi certo, noi non siamo un albergo spagnolo, una linea ben chiara di gruppo c'è e se non la sia accetta bisogna spiegare con chiarezza perché e comportarsi con lealtà, ma il voto di coscienza è sempre rispettato, per questo non vediamo la necessità di ricorrere al voto segreto».
Intanto, sul testamento biologico domani, in Commissione Sanità del Senato, cominceranno le votazioni agli emendamenti al ddl. E si partirà con un'intesa di massima tra Pdl e Pd sul «consenso informato », intesa che dovrebbe almeno evitare il ricorso all'ostruzionismo e permettere al provvedimento di approdare all'esame dell'Aula nei tempi previsti, e cioè il 18 marzo.

Corriere della Sera 9.3.09
Iniziativa di Radicali e giovani Pdci
Ratzinger in Campidoglio Pronta la contestazione
di Ernesto Menicucci


Gianni Alemanno riceverà oggi in Campidoglio la visita di Papa Benedetto XVI.
Su «Facebook» si annuncia una contromanifestazione di «Laici per Roma»

ROMA — In piazza, questa mattina, non ci saranno solo le associazioni cattoliche, Sant'Egidio e la Caritas, le suore di Madre Teresa di Calcutta e le Acli. Per la visita di Benedetto XVI al Comune di Roma, sulla piazza del Campidoglio, è annunciata anche una contromanifestazione. Su Facebook, infatti, da giorni c'è un nuovo gruppo: «Laici a Roma il 9 marzo». E anche se il luogo e l'ora dell'appuntamento non sono fissati, la coincidenza è quantomeno «sospetta». «Il sindaco Alemanno e i consiglieri possono invitare chi vogliono, ma la storia della Roma papale è anche quella delle distruzioni iconoclaste delle vestigia classiche, del rogo di Giordano Bruno, delle discriminazioni contro gli ebrei, delle fucilazioni ed impiccagioni di patrioti durante il Risorgimento e del concordato clerico-fascista». E il promotore dell'iniziativa Antonio Stango, dei Radicali, aggiunge: «Spero che Alemanno ricordi al Papa le vittime, fisiche e morali, della chiesa. La manifestazione?
Sarà non violenta». Ieri, in città, ad alcuni manifesti sull'evento la Fgci (organizzazione giovane del Pdci) ha attaccato delle scritte: «Non alle ingerenze vaticane» e «Libera chiesa in libero stato», i messaggi.

Corriere della Sera 9.3.09
Il segretario sulla piccola brasiliana rimasta incinta dopo l'abuso
«Bimba violentata, sì all'aborto» E Franceschini agita il Pd
di Lorenzo Salvia


Cattolici divisi. Carra: giusto. Fioroni: no, è un'altra violenza
Il segretario del Partito democratico difende la scelta della madre della piccola di interrompere la gravidanza

ROMA — «Credo sia una scelta che dobbiamo rispettare. Probabilmente è stata la scelta giusta». Dario Franceschini, intervistato in tv da Lucia Annunziata, parla così della vicenda della bambina brasiliana di 9 anni che, vittima di uno stupro e rimasta incinta, ha abortito per scelta della madre. Certo, il caso è davvero limite, anche se il vescovo di Recife non ha esitato a scomunicare i medici che hanno interrotto quella gravidanza. Ma resta il fatto che il segretario del Pd, cattolico ed ex Dc, non dice di no all'aborto. E nell'area cattolica del Partito democratico i pareri non sono tutti consonanti.
«Indubbiamente siamo in presenza di un dramma che chiede il massimo rispetto— dice Giuseppe Fioroni — ma è innegabile che per un credente ad una violenza non si può rispondere con un'altra violenza». Sulla stessa linea, anche se «molto tormentato », Renzo Lusetti: «La coscienza si gira e rigira senza trovare pace, ma resto contrario all'aborto anche in un caso limite come questo. Però quella scomunica mi sembra eccessiva. Ne potevano fare a meno». Non entra nemmeno nel merito della questione Paola Binetti, colonna di quella corrente di cattolici di ferro che nel Pd ha preso il nome di teodem. Stavolta sembra un po' imbarazzata: «La cosa sconvolgente è che questi bambini sono fatti oggetto di una violenza che viola la loro innocenza e li espone ad una vita che sarà sempre ferita». D'accordo, ma se la violenza c'è stata, come per la bambina brasiliana, che fare? «Non mi tirerà fuori un giudizio su questo episodio. Sarebbe sbagliato perché daremmo una falsa risposta a un dramma terribile». Fin qui quelli che non condividono le parole di Franceschini. Ma per trovare chi la pensa come il segretario non bisogna andare molto lontano. Anche Enzo Carra appartiene all'area dei teodem, eppure: «In casi come questi bisogna mettere da parte le questioni di principio. Questa è una vicenda talmente eccezionale che richiede un intervento eccezionale. Franceschini ha fatto bene: senza toccare i pilastri della fede stavolta non bisogna aprire il codice morale ma il codice della misericordia umana». Anche un'altra teodem come Dorina Bianchi condivide le parole del segretario Pd: «È una violenza così terribile che non mi sento di esprimere un giudizio negativo sulla scelta della madre di quella povera bambina. A lei va la mia vicinanza e la mia comprensione».
Dalla sponda cattolica del partito, quindi, stavolta arrivano anche parole simili a quelle dell'area diessina: «Credo che Franceschini — osserva Marina Sereni, vice capogruppo del Pd alla Camera— abbia espresso con cautela una posizione di grande buon senso. Anche in Italia, nel rispetto della legge, l'aborto è diventato per tante persone credenti non un diritto o una libertà, ma una scelta in alcuni casi dolorosa ma indispensabile per contrastare il dramma ancora più nero degli aborti clandestini». Cattolici favorevoli all'aborto? «Da almeno 30 anni — dice Marco Cappato — buona parte dei credenti sta dalla nostra parte, dalla parte dei radicali che con la prevenzione e l'informazione vogliono sconfiggere l'aborto clandestino. A restare indietro non sono loro ma le gerarchie vaticane e la politica clericale. Bravo Franceschini. Ma insomma, ha solo detto una cosa di buon senso, nulla di più».

Corriere della Sera 9.3.09
l rapporto I dati dell'Istituto superiore di sanità
Fecondazione assistita. Gravidanze in crescita e boom di tre gemelli
Roccella: alcuni parti a rischio, interverremo
di Margherita De Bac


Il sottosegretario: la normativa funziona, le critiche sul crollo dei parti del primo anno dovute alla mancanza di dati

ROMA — Italia sotto il segno dei gemelli. L'alta percentuale di parti con tre bambini, il 2,8% di quelli nati con tecniche in provetta, è uno dei dati sugli esiti della legge 40, che dal 2004 regola il settore della procreazione medicalmente assistita. L'Istituto superiore di sanità li ha appena consegnati al ministero del Welfare. I tecnici del sottosegretario Eugenia Roccella sono al lavoro per presentare al Parlamento entro giugno la terza relazione sullo stato dell'arte delle fecondazione assistita. E di sicuro l'eccesso di trigemini, determinato dall'obbligo di trasferire in utero tutti gli embrioni ottenuti con queste tecniche (per un massimo di tre) sarà uno dei fenomeni da correggere. «Vogliamo intervenire con decisione. I parti plurigemellari sono un rischio per la donna. Renderemo pubblico l'elenco dei centri dove queste percentuali toccano punte inaccettabili, oltre il 7%, contro la media europea dell'1,3%», dice Roccella. Convinta, come suggerirebbero i dati, che laddove le tecniche vengono applicate in modo scrupoloso, i triplici fiocchi si possono ridurre di molto. «In alcune strutture la percentuale è appena del 0,7%, è una questione di scrupolo e attenzione».
I numeri raccolti dall'istituto presieduto da Enrico Garaci e relativi al 2007 evidenziano una controtendenza. Rispetto al 2005, primo anno di rilevamento, più gravidanze, più nascite, più cicli di trattamento, più coppie curate contro la sterilità. Secondo il sottosegretario il quadro è positivo: «La legge 40 funziona. Le critiche derivano dal fatto che il crollo delle gravidanze avuto nel primo anno di rilevamenti non poteva essere confrontato con precedenti indagini scientificamente attendibili in quanto mancava un registro obbligatorio».
Nel 2007 le gravidanze con tecniche cosiddette di 2˚ e 3˚ livello (Fivet e Icsi, quelle che si applicano in provetta, in vitro) sono passate da 6.200 a 7.850. La percentuale di successo è salita da 18% a 19,6%. Le coppie da 43.000 sono diventate circa 55.400. In aumento anche i centri, da 169 a 181. Poco più di 6.486 i nati nel 2007, contro i 3.385 di due anni prima. Oltre novemila contro i circa 5 mila del 2005 se si calcolano anche le tecniche semplici, di inseminazione (con l'embrione che viene concepito direttamente in utero, senza aiuti).
Tra le novità positive, il crollo delle complicanze legate all'iperstimolazione ovarica, con numeri tra i più bassi d'Europa. È aumentata però l'età media delle pazienti. Trentasei anni, contro il 35,4. E il 25,3% hanno più di 40 anni, fase della vita molto avanzata per realizzare progetti riproduttivi.
Secondo la Roccella l'invecchiamento è un grave problema: «Dopo i 40 anni le probabilità di successo si riducono — osserva il sottosegretario alla Salute —. In generale, la donna italiana fa figli tardi perché il desiderio di maternità è ostacolato da difficoltà pratiche. Crisi economica, lavoro, servizi materno-infantili carenti. C'è un tempo per avere bambini e la procreazione assistita non è la soluzione se si decide di rinviare».

l’Unità 9.3.09
È finita. Ecco i tagli ai beni culturali di Berlusconi & Tremonti: 1,4 miliardi in meno in tre anni
La scure. Soprintendenze, musei e tutela paesaggistica in ginocchio in tutta Italia
2009 - 2011. A voi in diretta il massacro Beni culturali
di Vittorio Emiliani


Beni culturali, soprintendenze, la tutela del Bel Paese: si chiude tutto. Mentre Obama e Sarkozy investono, il quadro che si delinea in Italia è disastroso: un miliardo e mezzo in meno in tre anni vuol dire affossare un Paese.

Signori, si chiude. La Cultura, i Beni culturali, le Soprintendenze, la tutela del Belpaese, intendo. Mentre Obama investe, come misura anti-crisi, in cultura, Zapatero pure e Sarkozy alza a 500 milioni di euro i fondi per i restauri, Berlusconi e Tremonti tagliano le risorse ordinarie per i Beni culturali di 1 miliardo e 403 milioni di euro in tre anni (quest’anno si comincia con 498 milioni in meno). Al CIPE di venerdì l’ultimo schiaffo al fido Bondi (dato ormai in uscita dal Collegio Romano): neppure un euro ai Beni culturali dai fondi generosamente elargiti, sulla carta, ad opere grandi e meno grandi. Nel contempo però parte, contro le Soprintendenze e i vari uffici ministeriali, una campagna strumentale sui residui passivi che ammonterebbero a meno di mezzo miliardo (in realtà sono pure di più, se non ci si ferma alle contabilità speciali), comunque risultano addirittura dimezzati rispetto a pochi anni or sono. Intento della campagna? Screditare Ministero dei beni culturali e tecnici che si lamentano dei tagli e non sono neanche buoni a spendere i fondi... «Pura demagogia, una strumentalizzazione propagandistica», la definisce Paolo Leon, docente a Roma 3, uno dei rari economisti a conoscere a fondo i beni culturali. «Quei residui passivi fanno spesso parte di somme stanziate in passato, anni e anni fa, e che sono state già impegnate. Credo che ci siano ancora residui del Fondo investimenti occupazione e addirittura dei Giacimenti culturali di De Michelis...». Quindi roba di una ventina di anni or sono. «E comunque riguardano spese in conto capitale», chiarisce ancora Leon, «cantieri che ci mettono molto ad avviarsi e che vanno per le lunghe, ma che hanno generato opere, restauri, occupazione. Magari attingendo a leggi speciali di difficile utilizzazione». Mentre coi tagli odierni la mannaia cade sulla spesa corrente, quindi su quanto rimane del funzionamento quotidiano dell’Amministrazione, che risulterà sempre più inceppata anche sul versante dei lavori, dei restauri, degli appalti, ecc. Scriveva in modo competente nel luglio scorso Antonello Cherchi sul Sole 24 Ore: «Beninteso, non è certo con tali cifre che si può pensare di risolvere i problemi strutturali del ministero. Né, tantomeno, quelle disponibilità rendono giustificabili gli attuali tagli al budget ministeriale». Ineccepibile. Pur restando l’esigenza di rendere molto più funzionale la macchina senza depotenziarla in corsa.
IL QUADRO DEL DISASTRO
Mercoledì si è tenuto il primo Consiglio superiore del dopo-Settis e i vari direttori generali vi hanno rovesciato le loro doglianze. Ben riassunte in documento della Uil-Bac riassume. Francesco Prosperetti, direttore generale per la Qualità e la tutela del Paesaggio: «La consistenza delle risorse vede una drastica riduzione tra 2008 e 2009 del 46,34 %, con un abbattimento del 35,08 per la tutela e addirittura del 93,97 per la ricerca». Roberto Cecchi, Beni architettonici e storico-artistici: «Le risorse del 2009 non saranno sufficienti a ricoprire le spese legate al quotidiano funzionamento degli Istituti, delle Soprintendenze, e dei Musei». Stefano De Caro, Beni archeologici: «La riduzione dei fondi ha indotto già alcune Soprintendenze, nel corso del 2008, a rappresentare la necessità di ridurre alcuni servizi, fino a prefigurare la chiusura di alcune sedi», cioè di talune Soprintendenze, siti e musei archeologici. Maurizio Fallace, Beni librari: «Indebolimento delle biblioteche pubbliche statali in tema di conservazione, preoccupazione per biblioteche dotate di autonomia come la Nazionale di Firenze e per il Centro per il Libro», a zero fondi. Luciano Scala: «La riduzione riguarda gli affitti di sedi di archivi e di Soprintendenze archivistiche, e gli investimenti”. Antonella Recchia, Formazione del personale: «Colpite le spese per formazione, aggiornamento e perfezionamento e la stessa Scuola di Oriolo Romano». Con la riduzione di questo capitolo fondamentale di spesa a 0,6 centesimi per dipendente. Elemosine.
Cominciano le intimazioni a pagare le bollette inevase pena il distacco della corrente elettrica: succede alla Soprintendenza di Lucca - racconta Gianfranco Cerasoli, segretario della Uil-Bac - debitrice per 90.000 euro che non ha in cassa. Presto negli uffici mancheranno i soldi per gli straordinari, per i telefoni, per la cancelleria, per i francobolli, per la carta delle fotocopie e per quella igienica nei bagni dei musei. Allegria. Mentre si parla a tutto spiano di «valorizzazione» turistica dei Musei. Mentre resta quanto meno opaca la gestione, separata e grassa, di Arcus. Mentre gira insistente la voce che si voglia commissariare, dopo Pompei e (decisione attesa da oltre un mese) dopo Roma e Ostia, Soprintendenze speciali con forti somme in cassa, anche Brera. Dove ad un esperto di recente acquisizione avrebbe dato, si sussurra, molto fastidio la vista dei ponteggi alzati per restaurare (finalmente) l’arioso cortile del Piermarini. Secondo lui, «disturbavano i turisti». Si commissariano le Soprintendenze, magari con personale della Protezione civile svilendole e svuotandole di funzioni. Mercoledì il Consiglio - convocato dal vice-presidente Antonio Paolucci, tuttora in carica - ha votato all’unanimità due mozioni: una per consentire alla Direzione generale per la Qualità e la tutela del Paesaggio di vivere; l’altra per condannare questi tagli feroci che mettono in pericolo la tutela e il funzionamento stesso dei beni culturali. Ma quanto servirà? O non occorrono azioni più incisive, anche contro questa strumentale polemica sui residui passivi?

l’Unità 9.3.09
Da Brooklyn al trono del Crisantemo: è il viaggio narrativo compiuto dallo scrittore
In filigrana la vicenda vera della colta ed emancipata Masako, finita in depressione
Se una borghese sposa il principe azzurro
La fiaba feroce della corte giapponese
di Maria Serena Palieri


Haruko è una ragazza borghese e colta. Nel 1959 sposa il principe azzurro, l’erede al trono. Sulla falsariga della vicenda vera della principessa Masako, un romanzo che entra nel cuore della corte giapponese.

Una delle cose che rendono più affascinante il pianeta Terra è che in una stessa epoca - questa - su di esso convivano tutte le fasi della storia dell’umanità: mentre noi viviamo affacciati a forza sul futuribile, in Cina sopravvive una comunità di cavernicoli e in Amazzonia gruppi di indios difendono la loro enclave protostorica. Una delle cose terribili, sul pianeta Terra, è quando ere diverse sono «costrette» a convivere. E, da questo, nasce un conflitto distruttivo senza possibilità di soluzione. Racconta questo, in fondo, John Burnham Schwartz in Una ragazza comune (Neri Pozza, trad. Massimiliano Morini, pp. 298, euro 17), un romanzo ambientato , tra la fine degli anni ‘50 e oggi, in quel luogo imperscrutabile che è la corte degli imperatori del Giappone: un luogo, come lo dipinge questo romanzo, dove il tempo si torce in una specie di buco nero.
In filigrana scorgiamo la storia vera di Masako, prima borghese - ma anche prima donna con un’eccellente cultura e una propria professione in campo economico-diplomatico - ammessa a far parte della famiglia reale, andata sposa nel 1993 al principe ereditario e in un lustro entrata a rotta di collo in depressione.
Però Haruko, la futura principessa del romanzo, è nata nel 1934. E questo, a Schwartz, permette di descrivere nelle prime pagine del romanzo un Giappone in procinto di perdere la guerra, poi, con una pietas insolita in un americano, le ferite lasciate dalla bomba H: la madre di Haruko quando, a guerra finita, inaugura a Tokio la nuova casa di famiglia, tasta quella strana polvere che si insinua dappertutto e commenta «È triste». Mentre un piccolo amico di Haruko si nasconde al mondo, ridotto alla carne viva dalle ustioni, e lo stesso tutore del Principe, il saggio Watanabe, ha due facce: un lato sfigurato, l’altro a posto. Metafora efficace, per questo Giappone sconfitto ma con un cuore imperiale intatto.
Retrodatare la vicenda permette anche di dilatarla su due generazioni: Haruko da principessa diventerà imperatrice e, a sua volta, accoglierà Keiko, la sposa borghese di suo figlio, poi ne vedrà il rapido appassire e ne pianificherà il ritorno alla vita con un gesto folle, cioè l’unico possibile.
Ma cos’è che ammazza le ragazze giapponesi «comuni», come dice il titolo, quando realizzano lo stereotipo di tutti i sogni, cioè sposano il principe azzurro? Il cerimoniale, certo: il costume nuziale pesa diciotto chili. L’obbligo di generare un figlio maschio, sì: reiette per questo Haruko, finché non ci riesce, e Keiko che non raggiunge lo scopo. Ma ciò che ammazza è, appunto, la torsione del tempo: fuori erano ragazze che lo vivevano come facciamo noi, come una freccia tesa in avanti, dentro la corte si ritrovano a essere l’ultimo fattore, minimo, d’un tempo che in nome della Tradizione si declina al passato. Una ragazza comune non ci dice quello che ci suggeriscono gli sceneggiati sui petrolieri, cioè che «anche i ricchi piangono». Ci mostra piuttosto che la specie umana ha, a tutte le latitudini, una fantasia totale e terribile per punirsi fabbricando supplizi, anche in quelli che, in apparenza, sono i più dorati dei paradisi.

Repubblica 9.3.09
Oggi Obama dà il via libera ai soldi per la ricerca sulle cellule della speranza. Rapporto dalla frontiera più avanzata della medicina. Con qualche sorpresa
di Elena Dusi


WASHINGTON. Si scrive "cellula staminale" ma si legge "pietra filosofale". A passare in rassegna le speranze riposte in questi microscopici pezzi di ricambio del nostro corpo, si trovano paralisi scomparse con una semplice iniezione o rughe cancellate spalmando una pomata. Miraggi finiti a volte nel meccanismo del marketing. O esperimenti ancora troppo arditi per poter approdare alla cura dell´uomo. Eppure la sensazione che il futuro della medicina passi da qui è netta fra gli scienziati, galvanizzati dal successo degli esperimenti degli ultimi anni, dai primi organi in parte ricostruiti in laboratorio e dalla decisione di Obama (prevista per oggi) di sbloccare i fondi pubblici per la ricerca sulle staminali ricavate da embrioni umani dopo il blocco imposto da Bush nel 2001.
Se queste cellule non sono ancora una cassetta degli attrezzi in grado di riparare qualunque organo danneggiato del nostro corpo, sono allo stesso tempo molto di più. Lo ha dimostrato Shinya Yamanaka, un giovane ricercatore giapponese con l´aria da primo della classe.
Nel 2007 ha preso delle normali cellule adulte della pelle e le ha trasformate in staminali "bambine", semplicemente aggiungendo al brodo di cultura delle sostanze chimiche in grado di risvegliare quattro geni "addormentati" dal trascorrere del tempo.
In una mossa, Yamanaka ha fatto un passo piccolissimo ma concreto verso quell´elisir dell´eterna giovinezza su cui gli alchimisti si sono arrovellati per secoli, e verso quella macchina del tempo che solo la fantascienza finora è riuscita a disegnare. I quattro geni su cui lo scienziato ha messo le mani si spengono infatti man mano che una cellula cresce e si specializza. Sono la differenza fra un´entità vivente appena nata e una che è già invecchiata.
Per il momento l´inversione della freccia del tempo da "adulto" a "bambino" è riuscita solo su una manciata di cellule. Ma l´esperimento giapponese apre la porta a un ventaglio incredibile di prospettive. Yamanaka infatti è riuscito a dimostrare che la differenza fra le staminali (prive ancora di una forma definita e per questo potenzialmente in grado di trasformarsi in ogni tipo di tessuto) e le cellule adulte (con il loro compito ormai ben definito e incapaci di ripercorrere all´indietro le tappe del loro sviluppo) sta tutta in una manciata di geni.
Girando le chiavi nella serratura di questi geni, altri scienziati in tutto il mondo hanno seguito le tracce del giapponese e sono riusciti a far tornare bambine le cellule più disparate, saltando a piè pari il problema etico dell´uso degli embrioni umani. Perfino l´inglese Ian Wilmut, il padre della pecora Dolly, ha deciso di abbandonare la strada della clonazione per seguire quella dell´"inversione della freccia del tempo". «La tecnica giapponese offre potenziali molto maggiori», dichiarò alla Bbc all´indomani della scoperta di Kyoto. E la settimana scorsa un gruppo canadese e inglese è riuscito a fare un ulteriore passo avanti, manipolando il poker di geni senza l´aiuto di alcun virus. Questi microrganismi, usati per penetrare nel Dna e modificarlo dall´interno, rischiavano infatti di provocare malattie e rendevano potenzialmente rischiosa la sperimentazione sull´uomo. Lo studio si è guadagnato la pubblicazione sulla rivista scientifica Nature.
«Oggi le complicazioni non mancano. Ma forse in futuro si troveranno delle semplici sostanze chimiche da usare per produrre un farmaco», immagina Elena Cattaneo, che dirige il centro di ricerca sulle staminali all´università di Milano e procede fra mille difficoltà burocratiche nella sperimentazione anche sulle cellule embrionali umane.
Se Washington ha deciso infatti di cambiare rotta, Roma mantiene le redini tirate. L´ultimo bando di ricerca del ministero del Welfare e della Salute destina 8 milioni di euro agli studi sulle staminali, ma escludendo i progetti di ricerca sulle embrionali umane. Eppure questo tipo di ricerca è legale nel nostro Paese, purché le cellule embrionali siano importate dall´estero e non ottenute in Italia. «Da noi si va avanti con l´ipocrisia, proprio ora che dobbiamo affrontare un concorrente come l´America, pronto a viaggiare a tutto vapore», commenta Elena Cattaneo, che anche la domenica è nel suo laboratorio con gli occhi incollati al microscopio. «In fatto di idee, il nostro Paese non è secondo a nessuno. E noi come tutti gli scienziati impegnati nella competizione della ricerca vogliamo vincere su ogni scoperta. Invece finiremo per fare i parassiti. Lasceremo correre gli Stati Uniti davanti a tutti, salvo poi essere i primi ad accaparrarci i frutti delle loro scoperte».
E se fino a ieri le scoperte nate dalle staminali sembravano concentrarsi nel campo di quella "medicina rigenerativa" che promette di riparare organi consumati dall´usura e dal tempo, oggi le potenzialità delle cellule bambine si sono moltiplicate come raggi di luce riflessi in un prisma. Si pensava di iniettare staminali nel cervello di un malato per curare Parkinson o Còrea di Huntington, o nel cuore per riparare i danni di un infarto. «E invece grazie a queste cellule si può risalire più a monte, scoprendo quali sono le vere cause di alcune malattie e aprendo la strada alla scoperta di farmaci assai più semplici da somministrare», spiega la Cattaneo. «Trasformando delle staminali in neuroni riusciamo a ricreare quel microcosmo che è il cervello in un piattino per le culture». Ai trapianti di organi ricostruiti in laboratorio si è sostituita una strada nuova: iniettare delle staminali del midollo osseo per rieducare il sistema immunitario e ridurre il rigetto. E le stesse cellule bambine, laddove la malattia è di origine genetica, possono essere riparate nel cuore del loro Dna e poi iniettate di nuovo nell´organismo.
Ma accanto alle promesse, la pietra filosofale delle cellule staminali soffre anche di una maledizione. Le persone effettivamente curate con questa tecnica si contano sulla punta delle dita. E sono sicuramente surclassate, in fatto di numeri, da quelle rovinate da laboratori senza scrupoli che pubblicizzano miracoli in Paesi dove la legislazione è poco stringente. Accanto al dottor Jekyll esiste infatti anche un signor Hyde, e proprio per la loro capacità di dividersi instancabilmente, le staminali si sono rivelate la benzina di cui si nutrono molti tumori.
La rivista Public Library of Science il 18 febbraio ha pubblicato il caso di un bambino israeliano colpito da una malattia genetica che impedisce movimento e parola. Nel 2001, all´età di 9 anni, fu trattato con un´iniezione di staminali prelevate da un feto abortito in una clinica russa. Quattro anni più tardi si scoprì che i suoi frequenti mal di testa erano causati da alcuni tumori al cervello e al midollo spinale. «Si parla del problema etico della distruzione degli embrioni - spiega la Cattaneo - ma nessuno si preoccupa del rischio di incappare in cure fallaci e pericolose in giro per il mondo».
C´è chi pensa che per raggiungere la Luna basti sparare una palla con un cannone. E invece servono quantità incredibili di calcoli e ricerche, è il motto della ricercatrice di Milano. «Così non basta prendere una siringa e iniettare delle staminali per curare una malattia. Anzi, così si rischiano guai seri». Croce e delizia di queste cellule, conclude la Cattaneo: «Hai sempre la sensazione di essere a un passo dalla cura, ma quanti anni di laboratorio servono per raggiungerla».

l’Unità 9.3.09
Ricerca: anche la Gran Bretagna aumenta i finanziamenti
di Pietro Greco


Giovedì 5 marzo è stato un giorno importante per l’università e la ricerca scientifica in Europa. In Francia scienziati, docenti universitari e studenti sono ritornati in piazza per protestare contro la riforma voluta dal conservatore Sarkozy. Mentre in Gran Bretagna il governo laburista ha annunciato che il finanziamento pubblico per le università nell’anno accademico 2009/2010 ammonterà a circa 8,9 miliardi di euro.
Le notizie sono in apparenza diverse, ma hanno almeno due tratti in comune. Il primo riguarda la quantità del finanziamento pubblico all’alta educazione e alla ricerca in un periodo di crisi. In entrambi i paesi la spesa pubblica per il «pacchetto conoscenza» aumenta. Di 5 miliardi di euro in Francia (di soli 800 milioni, secondo gli oppositori). Del 4% netto (360 milioni di euro) rispetto all’anno accademico precedente in Gran Bretagna. Ma questo incremento riguarderà tutti gli anni a venire, fino al 2014. Analogo andamento avrà la spesa pubblica per l’università e la ricerca nei prossimi anni anche negli Stati Uniti di Barack Obama, nella Germania di Angela Merkel, nella Svezia del conservatore John Fredrik Reinfeldt. Quanta differenza rispetto all’Italia, dove la spesa pubblica nelle università e nella ricerca potrebbe diminuire - addirittura di 1,6 miliardi - nei prossimi anni. La seconda notizia riguarda la qualità della spesa. In Gran Bretagna la maggioranza dei finanziamenti viene assegnata, anche quest’anno, sulla base del merito didattico e scientifico della università. La riforma Sarkozy intende andare nella stessa direzione e utilizzare un metodo analogo. Ma in Francia è scoppiata la protesta di ricercatori, docenti e studenti. In realtà il metodo di finanziamento basato sul merito tende a favorire pochi grandi atenei e sfavorire tutti gli altri. E non tiene conto delle condizioni al contorno. Se applicato tal quale in Italia, per esempio, favorirebbe le grandi università del Nord e penalizzerebbe tutte quelle del Sud. Il merito va garantito. Ma va anche valutato (e premiato) rispetto al contesto.

Repubblica 9.3.09
Il ritratto era custodito in una antica dimora solo ora gli esperti scoprono che è autentico
Shakespeare. Risolto il mistero Londra svela il suo vero volto
di Enrico Franceschini


LONDRA. Trentotto opere teatrali lo hanno reso immortale, ma il giallo che ci ha lasciato dopo la sua morte potrebbe avere finalmente una soluzione. Di William Shakespeare, considerato il più grande drammaturgo di tutti i tempi e il poeta dell´animo umano, si ignora molto, al punto che circolano teorie secondo cui non fu lui l´autore dei testi che gli vengono attribuiti, o che addirittura non sia mai esistito. Il mistero è accresciuto dal fatto che finora non si era mai saputo con certezza nemmeno quale fosse il suo volto: uno dei suoi ritratti più famosi è stato identificato come un falso, su altri esistono forti dubbi che la persona che vi appare sia il Bardo di Stratford-upon-Avon. Ma ora, quasi quattrocento anni dopo la sua scomparsa, un quadro dimenticato per secoli nella magione di campagna di un´aristocratica famiglia inglese potrebbe contenere l´ultimo segreto dell´autore dell´"Amleto". Secondo coloro che lo hanno scoperto e identificato, si tratta dell´unico ritratto di Shakespeare dipinto quando lo scrittore era ancora in vita, e per il quale è dunque verosimile che abbia posato. Ed è grazie all´immagine di questo quadro che il mondo può dunque conoscere la sua vera faccia.
Il quadro in questione giaceva da tre secoli nelle residenze di campagna dei Cobbe, una famiglia inglese di sangue blu, che recentemente lo aveva trasferito nel suo più bel maniero, ad Hatchlands, nel Surrey, un edificio amministrato dal National Trust per il suo valore architettonico e artistico. Del quadro era noto l´anno in cui è stato dipinto, il 1610, epoca in cui Shakespeare aveva 46 anni: sarebbe morto sei anni più tardi, nel 1616. Ma i Cobbe non avevano idea di chi fosse il personaggio ritratto nell´antico dipinto, sebbene inclini a pensare che si trattasse di sir Walter Raleigh, un poeta contemporaneo di Shakespeare, al quale alcuni attribuiscono la paternità delle opere del Bardo. Tutto ciò sarebbe rimasto a far parte di discussioni davanti a un caminetto, se Alec Cobbe, membro della famiglia e di professione restauratore d´arte, non avesse visitato la mostra intitolata "Searching Shakespeare" (Alla ricerca di Shakespeare), allestita nel 2006 dalla National Portrait Gallery di Londra. L´esibizione raccoglieva da mezzo mondo alcuni dei più famosi ritratti, o meglio presunti ritratti, di Shakespeare, appunto per cercare di dare un volto sicuro al grande scrittore. C´era il Flowers Portrait, l´immagine più nota di Shakespeare, poi risultata un falso, perché il giallo ocra usato nel quadro è stato inventato solo nel 1814. C´era il Chandos Portrait, dipinto attorno al 1610, ma poi risultato non avere nulla a che fare con il Bardo. E c´era il Janssen Portrait, un ritratto meno conosciuto, opera di un pittore fiammingo che lavorò in Inghilterra nella prima metà del 17esimo secolo.
Davanti a quest´ultimo quadro, Alec Cobbe rimase interdetto, notando la somiglianza con il dipinto di proprietà della sua famiglia. Seguì un confronto tra i due quadri presso la National Gallery, e poi una serie di test di ogni genere, infine suffragati dal parere del professor Stanley Wells, docente di studi shakesperiani alla Birmingham University, curatore della sua opera magna, considerato il massimo esperto di Shakespeare al mondo. La tesi è la seguente: il quadro di Janssen, eseguito dopo la morte di Shakespeare, fu ispirato dal quadro di proprietà dei Cobbe. Che, prima di finire nelle loro mani, apparteneva al terzo conte di Southampton, uno dei mecenati che finanziarono la messa in scena delle opere di Shakespeare. Il vero volto del Bardo sarà mostrato al pubblico per la prima volta stamane a Londra. Il mistero sembra risolto. "Essere o non essere", continueremo a chiederci, ma almeno sapremo che faccia aveva colui che scrisse quelle parole.

Repubblica 9.3.09
Giotto. Il linguaggio e i gesti del moderno
di Antonio Pinelli


Esposti a Roma molti suoi capolavori (ma alcuni di dubbia attribuzione) oltre a opere di Cimabue, Cavallini, Martini, dei Lorenzetti e di Arnolfo. Dalla rassegna emerge il profilo rivoluzionario di una cultura figurativa
Disegna spazi abitabili dentro i quali fa muovere figure dalla corposa fisicità
L´esperienza dell´antico gli fa superare le convenzioni bizantine
In una "Canzone" polemizza con l´ideale francescano della povertà

ROMA. Giotto, non-Giotto è il titolo di un saggio, pubblicato nel 1939 sul Burlington Magazine, con cui l´autorevole storico dell´arte Richard Offner si schierò tra coloro che negano la paternità giottesca del celeberrimo ciclo con le Storie di San Francesco, affrescato sulle pareti della basilica superiore di Assisi.
Per la folgorante efficacia con cui sintetizza una disputa che ha fatto versare fiumi d´inchiostro - e chissà quanto ancora ne sarà versato, giacché tutt´oggi la querelle divide in due schiere contrapposte noi addetti ai lavori -, questo titolo dilemmatico mi è ronzato a lungo in testa mentre visitavo la grande mostra che ha aperto i battenti in questi giorni al Vittoriano («Giotto e il Trecento. "Il più Sovrano Maestro stato in dipintura"», a cura di Alessandro Tomei, fino al 29 giugno). Per una duplice ragione: in primis, perché nel catalogo rigorosamente bipartisan compaiono saggi equamente divisi tra fautori dell´uno e dell´altro schieramento, e in secondo luogo perché, a dispetto degli squilli di tromba dei comunicati stampa che magnificano la presenza in mostra di ben «20 capolavori eseguiti da Giotto», chi voglia sincerarsi se tale affermazione risponde a verità, potrà constatare che almeno la metà di quei 20 capolavori pende, ahimè, verso il corno «non- Giotto» del dilemma.
Detto questo per amore di verità e in pacata polemica, non con il curatore, che non ne ha colpa (schede e cartellini registrano fedelmente tutti i dubbi attributivi), ma con la macchina mediatica del mostrificio, che sembra incapace di affrancarsi da questo genere di chiassoso imbonimento, non credo di smentirmi se affermo che lo sforzo compiuto dagli organizzatori è stato imponente e che la rassegna merita senz´altro di essere visitata. Ne vale la pena innanzitutto per la quantità (più di 150) e la qualità delle opere esposte: oltre a quattro o cinque capolavori di Giotto, tra cui spicca il Polittico di Badia restaurato per l´occasione, basterà menzionare, tra le tante, opere insigni di Cimabue, Jacopo Torriti, Pietro Cavallini, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, Nicola, Giovanni e Andrea Pisano, Arnolfo di Cambio.
Ma la mostra merita di essere apprezzata anche per il suo disegno innovativo, che mira a sottolineare l´importanza del ruolo svolto da Roma, con la sua cultura figurativa e i suoi antichi monumenti, nella formazione del linguaggio giottesco, e al contempo ambisce a illustrare con esempi prelevati ad hoc dai più svariati ambiti tecnici (miniatura ed arti suntuarie comprese) e dai più diversi contesti geografici (Firenze, Roma, Assisi, Rimini, Padova, Napoli, Milano..), quanto la rivoluzione operata da Giotto abbia segnato in profondità il panorama artistico del suo tempo e determinato, direttamente o attraverso i suoi seguaci, il corso dell´arte occidentale per secoli.
All´alba del ´400, Cennino Cennini coniò per tale sconvolgimento una definizione insuperabile: «Giotto rimutò l´arte di greco in latino, e la ridusse al moderno», spiegando l´essenza di un linguaggio che seppe riconquistare, sull´esempio dell´antico, la capacità di infondere all´immagine una tangibile concretezza, fisica e spaziale, abbandonando la piatta bidimensionalità e le astratte convenzioni grafiche della tradizione bizantina (la «maniera greca»): spazi «abitabili», entro cui si accampano figure con una propria corposa fisicità, modellate da un lume «vero» e indagate nella varietà di forme, gesti e fisionomie, che ne rappresentano la specificità individuale e la cangiante gamma espressiva dei sentimenti.
Che il geniale protagonista di questo nuovo corso sia nato e cresciuto a Firenze, dove da tempo si andava sviluppando una borghesia mercantile che badava al sodo ed aveva un concreto orizzonte terreno da coltivare ed ampliare a misura delle proprie ambizioni, non è certo un caso, così come non è un caso che Giotto abbia saputo rendere ottimo il proprio talento, organizzando con spirito imprenditoriale la propria bottega e facendola funzionare a pieno ritmo come una vera e propria manifattura (di qui l´ampiezza del problema attributivo «Giotto, non-Giotto»).
Ma non è tutto: copiose sono le testimonianze che ci parlano dei suoi accorti investimenti (telai affittati a lavoranti a domicilio, acquisto di terreni, poi dati in affitto agli antichi proprietari per spuntare pingui interessi aggirando le leggi contro l´usura); conosciamo perfino una sorprendente Canzone scritta di suo pugno, in cui si polemizza con l´ideale francescano della povertà, contestando il luogo comune della ricchezza come fonte di corruzione e definendo «cosa bestial» la miseria.
Ciò non mi induce a schierarmi tra coloro (per la verità, sempre meno) che giudicano non sue le Storie francescane di Assisi, ma mi persuade invece circa la perfetta aderenza di quelle Storie agli ideali revisionisti della corrente francescana dei «Conventuali», impegnata a polemizzare contro l´estremismo pauperista degli «Spirituali». Ma questo è solo uno dei tanti, affascinanti aspetti, su cui questa mostra - e il suo ottimo catalogo - offrono spunti di riflessione.

Repubblica 9.3.09
Di Vittorio, la fiction
Epifani: il nostro maestro di solidarietà
Si oppose a Togliatti e sapeva a memoria Leopardi La sua storia è una lezione morale
di Silvia Fumarola


Abbiamo visto con il segretario della Cgil il film di Negrin sul padre del sindacalismo italiano e dirigente del Pci che andrà in onda domenica su RaiUno, protagonista Pierfrancesco Favino. Domani l´anteprima alla Camera

Ci sono tanti mondi nel racconto della sua vita: la politica e il privato Dickens e De Amicis
La memoria è un valore e questo film è la prova di quello che la tv di Stato può fare
Cominciò insegnando ai braccianti pugliesi che l´unione fa la forza

ROMA. «Tutti i valori della Cgil di oggi risiedono nelle scelte di Giuseppe Di Vittorio, aveva la capacità di fare progetto e stare in mezzo alle persone. Ecco, questo senso della solidarietà a me pare importante in una società sempre più egoista». Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani è il primo spettatore entusiasta di «una storia che ci riguarda tutti. Pane e libertà è emozionante». Nel suo studio affacciato su Villa Borghese è appeso il ritratto dipinto da Carlo Levi del «compagno sbagliato» Giuseppe Di Vittorio, il padre del sindacato che conosceva a memoria le poesie di Leopardi e si oppose a Togliatti. «Ce n´è anche un altro, ma a Di Vittorio non piaceva: sembrava che la cravatta lo strozzasse». Nelle prime scene di Pane e libertà, la fiction di Alberto Negrin dedicata alla vita di Di Vittorio (domenica e lunedì su RaiUno), sembra che il Quarto Stato, il quadro di Pellizza da Volpedo, prenda vita. Nei giorni della crisi, in pieno braccio di ferro col governo sui licenziamenti, è di grande attualità: sarà presentato domani alla Camera, su invito di Gianfranco Fini (alla presenza di Baldina Di Vittorio e Silvia Berti, figlia e nipote di Di Vittorio), mentre venerdì Epifani sarà ricevuto dal presidente della Repubblica Napolitano.
«Le parole ti insegnano la dignità, e se uno tiene la dignità tiene anche il rispetto» dice Peppino Di Vittorio. Per comprare il libro "con le parole del mondo", che costa tre soldi, dà in cambio le scarpe; ha visto morire il padre sui campi, anche lui, che è solo un bambino, lavora «da sole a sole». Nelle pagine di quel dizionario troverà le parole per spiegare che «nessuno dovrà più morire di lavoro». I cafoni combattono per due gocce di olio sul pane e l´acqua; il barone che li sfrutta non cede: «Dovranno imparare che il padrone può sempre resistere un giorno di più di un qualsiasi cafone». Il lavoro continua a uccidere nelle fabbriche e nei cantieri, in tempi di antipolitica la battaglia per i diritti di Di Vittorio, nato a Cerignola nel 1892 - nelle case di mezza Puglia c´era la sua immagine accanto a quella della Madonna - è una lezione morale. Epifani riflette a voce alta: «È una lezione anche la scena in cui si presenta in Parlamento, perché ha rispetto del luogo che lo ospita. Pierfrancesco Favino è bravissimo e ha una faccia vera, restituisce tutta la fatica e la passione. La fiction racconta com´è nato il sindacato, le condizioni disumane dei lavoratori, l´arroganza dei proprietari terrieri. La nuova generazione non è cosciente del fatto che i diritti sono stati conquistati a costo di sacrifici enormi».
La figura di Di Vittorio è epica: autodidatta, un solo cappotto tutta la vita, guida i contadini pugliesi, si lega ai socialisti, è vittima dei fascisti, conosce la galera, combatte in Spagna. «Ci sono tanti mondi nel racconto della sua vita» continua Epifani «lo sfruttamento e il riscatto, gli ideali e la sconfitta: c´è la politica e il privato, Dickens e De Amicis. È l´ultimo a fianco degli ultimi, non dimenticherà mai da dove viene». Un uomo forte come un albero, con la faccia larga, che recita A Silvia al figlio malato e risponde al barone in Parlamento («Pure i cafoni vengono qui»): «Questo titolo mi onora. Se sono qui lo devo ai miei braccianti analfabeti che hanno mangiato pane e olio. Il padrone è uguale dappertutto». Epifani annuisce: «I braccianti di oggi sono gli emigrati sfruttati nel Sud, calpestati nella dignità e nei diritti... C´è ancora da fare». Di Vittorio dice: «Quando i lavoratori si dividono perdono sempre». «È così», sospira il segretario della Cgil «la tecnica, da parte del governo, è sempre la stessa, dividendo può gestire meglio». In una scena Togliatti rimprovera il sindacalista («Non farti condizionare dai sentimenti»), e nel 1956 Di Vittorio viene censurato perché contesta l´invasione dell´Ungheria: «Si sta con il partito anche quando questo sbaglia». È così, Epifani? «Quello era il grande partito-chiesa che aveva il primato della verità, è una stagione che non c´è più, perché non c´è più quel partito». Cos´è rimasto della lezione di Di Vittorio? «I suoi valori sono i nostri. Di Vittorio è stato il grande difensore degli sfruttati, ha ridato voce agli esclusi. La memoria è un valore, siamo molto contenti che la Rai abbia accettato di farlo conoscere. È la prova di quello che può fare la tv pubblica: se ne dice sempre male, ma sa parlare alle generazioni future».

Corriere della Sera 9.3.09
Contro il Futurismo dell'enfasi gradassa
di Pierluigi Battista


Quelle vette macchiettistiche del fanfarone italiano, petto in fuori e testa calda

Adesso che, a cent'anni dalla nascita, il Futurismo italiano è stato finalmente sdoganato e anzi consacrato. Adesso che i pionieri della passione e degli studi futuristi — da Mario Verdone a Gino Agnese, da Claudia Salaris a Pablo Echaurren — non sono più messi ai margini dai saccenti sacerdoti del perbenismo culturale antifascista che scagliarono l'anatema postumo sul Marinetti in camicia nera. Adesso che il piedistallo futurista viene imperiosamente eretto nel pantheon della memorie patrie, è così inopportuno e riprovevole affermare che il Futurismo, chissà, è stata una boiata pazzesca?
Perché è vero che dobbiamo inorgoglirci del dinamismo audace racchiuso nelle opere di Boccioni, Carrà e Balla e nelle architetture temerarie delle città di Sant'Elia. Ed è vero, come scrive Giampiero Mughini nel monumento alla sua mania e «bibliofollia» novecentista La collezione,
che la creatività futurista «aveva afferrato per la collottola e dimenato a più non posso la poesia, la pittura, l'architettura, l'arte tipografica, la fotografia, il teatro, la pubblicità, la filosofia del cucinare, la musica e persino "la radia", ovverossia la radio». Ma come non cogliere nell'esibizionismo frenetico, nell'enfasi gradassa, nella posa manesca ed esagitata di cui è intriso il marinettismo un tratto un po' patetico, un inno compiaciuto alla teatralità antropologica dell'adolescenza italiana?
In quale altra avanguardia europea che «dimenò» con altrettanta incisività la tradizione e le convenzioni passatiste si raggiunsero quelle vette un po' macchiettistiche del fanfarone italiano, petto in fuori e testa calda, così caratteristiche della sceneggiata futurista? La puerile filastrocca «Zang Tumb Tumb» di cui il mondo intero avrebbe dovuto menare scandalo. L'estasi dello «schiaffo» e del «pugno ». Lo spirito alticcio da attaccabrighe delle risse in cui si risolvevano le turbolente serate futuriste. Il sesso fantasticato dell'«alcova d'acciaio». Le millanterie del Come si seducono le donne in cui Marinetti (apprezzato dal suo biografo Giordano Bruno Guerri) vantava le innumerevoli dame sedotte dal suo irresistibile charme futurista e ripagate con amplessi futuristicamente rapidi e sbrigativi. E la guerra «sola igiene» del mondo. E il kitsch dell'«entusiastico fervore degli elementi primordiali». E la «gloria della pelle umana straziata dalla mitraglia!». E l'incontenibile profluvio di punti esclamativi. E la declamazione facinorosa del cazzotto. E le ricette gastro-goliardiche del «risotto d'imene al peccato d'amore». Tutta una esibizione spaccona di un modo di fare violento, bastonatore, condito con l'immancabile e smargiasso «sprezzo del pericolo».
Non sarà davvero una boiata pazzesca tutta questa sovrastruttura finto-machista semplicemente sconosciuta tra le avanguardie europee che pure misero liberatoria dinamite nel tempio sacro delle tradizioni ereditate? Se Lukács definiva il romantico bohémien nient'altro che «un piccolo borghese sovreccitato», è stravagante ipotizzare che anche il Futurismo sia stato l'epopea del solito italiano medio, ma elettrizzato? Ora che i futuristi hanno traslocato dalle cantine ai saloni di rappresentanza forse si può dire: cento anni non sono passati invano.