Le donne condannate ad abortire nel dolore
risponde Corrado Augias
Caro Augias, ho letto giorni fa la lettera della signora costretta ad abortire in un corridoio di ospedale. Anche a me è successo qualcosa di simile. Ero quasi al quarto mese e avevo «perso le acque», senza più speranze di portare a termine la gravidanza. Mi hanno ricoverata al Fatebenefratelli di Milano; non dimenticherò mai quell'esperienza! Mi hanno messa in uno «sgabuzzino» con la flebo che avrebbe dovuto provocare la dilatazione, poiché avrei dovuto partorire «naturalmente» (vietato l'aborto). Per 24 ore ho avuto dolori atroci e, ogni 3/4 ore, arrivava un medico (sempre diverso) che, senza nemmeno guardarmi, mi infilava una mano per controllare la dilatazione (ha presente le mucche?). Alla fine, esausta, mi hanno portato in sala parto e mi dicevano di spingere, non avevo più energie ma sono riuscita a espellere il feto. Poi mi hanno «sistemata» in una stanza vicino ad una madre che allattava e per finire in bellezza è arrivata un'infermiera a chiedermi come lo avrei chiamato. Per qualche secondo ho pensato che fosse vivo, ma no, mi diceva che doveva essere registrato in Comune.
Lettera firmata
Dopo la lettera pubblicata qualche giorno fa con la penosa esperienza di una signora lasciata ai suoi dolori perché in un ospedale romano non c'era nemmeno un medico non obiettore, sono arrivate molte altre lettere. Quella di oggi è un esempio. Roma e Milano unite nella vergogna di un paese che non sa tutelare la salute e le scelte secondo legge delle sue cittadine. Salvo infiocchettarsi di mimose ad ogni 8 marzo. Mi ha scritto il signor Roberto Martina (robertomartina@yahoo. it): «La cosa che mi stupisce sempre è che le vittime dell'accanimento degli obiettori siano sempre esclusivamente le donne. Non ho mai letto sui giornali storie di uomini che non hanno ricevuto adeguata assistenza perché il medico era obiettore. Allora penso che la faccenda della carriera (con gli aborti non si fa carriera, dunque si obietta) sia una comoda scusa accampata per nascondere una vecchia cultura, molto poco medica, che vuole che la donna debba pagare un prezzo sempre più alto per realizzare la propria identità e la propria libertà. E il fantasma della discriminazione sessuale per cui le donne hanno sempre un peccato da scontare, dai tempi di Adamo, e qualcuno, depositario di una moralità divinamente migliore di altre, si erge a giudice ed esecutore di una pena, il dolore, orribile e incivile, che soprattutto non ha niente a che vedere con la professione del medico». Infatti succede solo qui, evidentemente il senso compiuto della cittadinanza in uno Stato moderno stenta ad affermarsi a sud delle Alpi.
l’Unità 15.3.09
Il Pdl minaccia papà Englaro: «Firenze non ti vuole, rinuncia»
di Maria Zegarelli
La destra pretende la revoca della delibera sulla cittadinanza onoraria al papà di Eluana
Il presidente del Consiglio comunale scrive a monsignor Betori: le istituzioni sono laiche
Fitta corrispondenza a Firenze in questi giorni sul caso della cittadinanza onoraria votata dal Consiglio comunale per Beppino Englaro, il papà di Eluana, morta dopo diciassette anni di stato vegetativo lo scorso 9 febbraio. La prima lettera è partita dal presidente del Consiglio Comunale, Eros Cruccoli, diretta all’Arcivescovado. La seconda dall’ufficio della capogruppo Fi-Pdl, Bianca Maria Giocoli, all’indirizzo di Englaro. Una per ribadire la laicità delle istituzioni e l’autonomia della politica dalla Chiesa, L’altra per ribadire l’arroganza di certa politica.
LA LAICITÀ
Scrive il presidente del Consiglio all’arcivescovo Giuseppe Betori: «Il consiglio è sovrano e in piena libertà i suoi membri hanno deciso. Ciascuno ha il diritto di giudicare tale scelta e di considerarla inopportuna e di non condividerla, ma è una scelta fatta dai rappresentanti eletti dalla città a maggioranza e quindi è una scelta che deve essere rispettata in quanto risultato di un chiaro percorso istituzionale, che ribadisce il valore della laicità delle Istituzioni». Così come la decisione di riconoscere la cittadinanza a Englaro aveva spaccato il centrosinistra e trovato l’opposizione del Pdl, anche la discussione sull’invio o meno della lettera al prelato durante la riunione dei capigruppo ha trovato il niet di An e Fi. Ma la replica all’Arcivescovo era stata chiesta da parecchi membri del consiglio comunale dopo aver letto il comunicato di Betori, «che in modo molto netto descriveva la nostra assemblea luogo disordinato in cui una maggioranza sfilacciata commetteva errori imperdonabili. È importante ribadire quanto sia fondamentale nella vita democratica il confronto delle idee, ma nel rispetto dei ruoli e delle reciproche autonomie; quindi, l’espressione sovrana del Consiglio e delle sue decisioni, ancorché prese a maggioranza, non possono che essere considerate come l’espressione della volontà della città. Si può essere d’accordo con esse, ma mai possono essere considerate negative».
STRUMENTALIZZAZIONI
La pidiellina Giocoli, invece, invita Englaro a non accettare la cittadinanza onoraria e annuncia che il centrodestra presenterà a breve una delibera per chiederne la revoca. «Gli chiediamo di ripensarci anche a nome di sua figlia - c’è scritto nella lettera - se è sincero, deve essere lui a dire che non accetta un’onorificenza che non è sentita da tutta la città. Se non si vuole strumentalizzare il nome di Eluana e credo che un padre non lo voglia, lui è l’unico che può dire la parola fine». La delibera è pronta e domani o dopodomani verrà discussa. «Vogliamo vedere come voteranno i consiglieri che l’altra volta hanno votato contro», dice la capogruppo. Anche il senatore Paolo Amato invita Englaro a non farsi strumentalizzare. «Quando si è discusso di dare il Fiorino d’oro a Oriana Fallaci, esponenti del centrosinistra hanno detto “No perché divide”. Allora si discuteva di un riconoscimento a una fiorentina; qui si parla di cittadinanza onoraria ad un signore friulano. Se divideva la Fallaci, a maggior ragione divide Englaro». Al coro si aggiunge la senatrice leghista Rossana Boldi: «Non si capisce quali meriti abbia acquisito Beppino Englaro con parole od opere per avere la cittadinanza onoraria di Firenze o di qualunque altra città italiana».
«Questa è una vicenda che i fiorentini devono risolversi tra di loro - risponde a tutti l’avvocato di Beppino Englaro, Vittorio Angiolini -. Il signor Englaro non ha chiesto nulla, è un cittadino come tutti gli altri, con gli stessi diritti e quindi può avere anche riconoscimenti pubblici.
Per quale motivo dovrebbe tirarsi indietro?». Beppino Englaro preferisce il silenzio.
l’Unità 15.3.09
Al padre di Eluana la tessera dei socialisti «Ma non sarà candidato»
Smentita la notizia secondo cui sarebbe stato testimonial di «Sinistra e libertà»
di M. Ze.
Il Ps di Nencini darà la tessera onoraria a Beppino Englaro per il suo impegno per i diritti civili. La cerimonia il 24 marzo a Lecco. Smentita la notizia secondo cui sarebbe stato testimonial di «Sinistra e libertà».
Beppino Englaro, dopo la cittadinanza onoraria a Firenze, avrà la tessera onoraria del Partito socialista che gli verrà consegnata durante una cerimonia il 24 marzo a Lecco nella sede della federazione locale. La sua adesione al partito era stata comunicata ai membri della Direzione Ps del 5 febbraio scorso da Marco Di Lello. «Beppino è sempre stato vicino ai socialisti, ha sempre apprezzato le nostre battaglie per i diritti civili e gli è sembrato naturale darci la sua adesione», spiega Stefano Romita, capo ufficio stampa del partito. Englaro ha confermato: «Tutto è stato concordato e fatto alla luce del sole. Ho sempre detto che sono socialista e non vedo cosa ci sia di male». Una precisazione arrivata per smentire la notizia apparsa ieri su un quotidiano nella quale il papà di Englaro sarebbe stato «testimonial» di «Sinistra e libertà», il cartello elettorale nato in occasione delle elezioni Europee tra Movimento per la Sinistra, Sinistra democratica, Verdi, Ps e Unire la Sinistra. Nell’articolo si annunciava la presenza di Englaro all’iniziativa elettorale del 21 marzo in piazza Farnese a Roma. Ieri pomeriggio dai vendoliani arrivava anche la notizia di una presunta lettera di Englaro che sarebbe stata letta nel corso della conferenza stampa in programma questa mattina presso la Sala Cristallo dell’Hotel Nazionale. «Il signor Englaro non sa nulla di tutto ciò. Non ha mai dato la sua disponibilità a fare il testimonial di alcuna iniziativa» - ha fatto sapere l’avvocato Vittorio Angiolini.
Anche Romita ha subito fatto sapere che i socialisti non hanno mai parlato di una adesione di Englaro al cartello elettorale. «Non sappiamo chi sia stato a divulgare la notizia, probabilmente alla base di tutto c’è un fraintendimento: Beppino aderisce al Ps e basta». Non ci sarebbe alcuna intenzione di candidarsi alle europee, inoltre, perché «il suo impegno è tutto per la Fondazione in memoria di Eluana» e per la sua battaglia per i diritti civili. Da qui l’iniziativa del Ps - e di Nencini - per fargli ottenere la cittadinanza onoraria di Firenze. «Riteniamo che l'impegno civile di Beppino Englaro in un Paese poco abituato all'impegno laico sia straordinario - ha spiegato Davide De Bella, segretario milanese del Ps - È un esempio. Sapere che questo impegno è stato supportato dalla sua adesione alla storia del socialismo italiano ci ha rafforzato nella decisione di offrirgli la tessera onoraria del partito».
l’Unità 15.3.09
Banca del Dna e diritto alla privacy
di Luigi Manconi e Andrea Boraschi
Il concetto di "privacy" è sempre più frequentemente soggetto ad aggiornamenti e revisioni. Perché sempre nuovi e più potenti sono gli strumenti tecnici e scientifici attraverso cui, istituzioni e soggetti privati, sono in grado di acquisire informazioni sensibili sul conto delle persone; o attraverso cui quelle stesse informazioni possono essere rubate o detenute in forme illecite. La frontiera più avanzata della classificazione di dati personali è, per molti aspetti, quella della schedatura del Dna. I profili genetici sono, tra quelli "personali", i più delicati e meritevoli di tutela: possono essere raccolti con grande facilità (basta un capello, un po' di saliva, un frammento di pelle, una goccia di sangue); forniscono informazioni su tutti gli appartenenti al gruppo biologico della persona alla quale si riferiscono; contribuiscono a definire quale potrà essere l'evoluzione della sua vita.
Un disegno di legge già presentato dal governo Prodi e ripreso, e peggiorato, dal governo Berlusconi, attualmente alla Camera per l'approvazione definitiva, sta per introdurre il prelievo coatto della saliva, dei capelli o dei peli: non soltanto per l'arrestato, l'imputato o l'indagato di un crimine, ma per qualunque persona, pur se non sospettata, per la quale il giudice ritenga indispensabile procedere all'accertamento.
Si tratta di una norma che non ha eguali in tutti gli altri paesi già dotati di una banca dati del Dna, dove il prelievo di materiale organico - per chi non sia sospettato di un crimine - avviene solo previo consenso o addirittura solo spontaneamente. Il disegno di legge in questione è poi costellato di bizzarrie e di fallacie giuridiche, sempre lesive della privacy. Una volta finiti nella banca dati, i profili potrebbero essere cancellati d'ufficio soltanto in seguito ad assoluzione: dimenticando però alcune circostanze (quella per cui "il fatto non costituisce reato" o quella di non luogo a procedere). Il risultato è che per alcuni assolti le informazioni genetiche potrebbero rimanere comunque archiviate; ugualmente dicasi per le vittime di alcuni reati - ad esempio di quelli sessuali - il cui profilo viene comunque elaborato d'ufficio.
Le incongruenze non finiscono qui: ve ne sono altre - molte - legate ad esempio ai diritti di accesso della difesa alle informazioni custodite nella banca, o ai soggetti che la gestiranno. Rimane, più in generale, un problema di equilibrio tra le ragioni della "sicurezza" - qui coincidenti con le istanze di "controllo" - e il diritto alla riservatezza, alla privacy, all'inviolabilità della propria sfera privata. Che la normativa in discussione sembra ignorare grossolanamente.
Scrivere a: info@innocentievasioni.net
l’Unità 15.3.09
Vedova dello scrittore argentino Jorge Luis Borges
Conversando con Maria Kodama
«Mio marito Jorges Luis Borges non voleva che la sua agonia fosse trasformata in spettacolo»
intervista di Laura Lucchini
BERLINO. Da quando aveva 16 anni, María Kodama (Buenos Aires 1945) è stata prima l’allieva, poi la segretaria e infine la sposa e la musa di Jorge Luis Borges. Ha viaggiato con lui per il mondo raccontando i luoghi che lo scrittore non poteva vedere, leggendo i libri che lui non poteva più leggere e scrivendo le parole che lui di notte sognava. Borges aveva perso la vista e lei era diventata i suoi occhi. Dice che per lei Borges è stato quello che Ettore fu per Andromaca, o anche semplicemente «la mia metà». Da 22 anni, questa donna minuta e distante è la memoria vivente dello scrittore argentino e gira il mondo con la missione di diffondere la sua opera. Lo fa con devozione religiosa.
María Kodama si trovava questa settimana a Berlino per presentare all’Istituto Cervantes la mostra El Atlas de Borges (L’Atlante di Borges), un percorso fotografico dei viaggi e degli incontri che insieme fecero in tutto il mondo. Kodama conobbe la malvagità dopo essersi sposata, quando la stampa argentina iniziò a scavare nell’intimo della coppia, scandalizzata per un matrimonio che considerava inopportuno (Borges era molto più vecchio di lei), mentre lei assisteva a Ginevra le ultime settimane dell’autore dell’Aleph. Ora è la proprietaria universale dei diritti d’autore dell’immensa opera dello scrittore e la sua gestione di questo inestimabile patrimonio culturale è stata spesso criticata da persone che furono vicine al maestro. Senz’altro però, la polemica più dolorosa è stato il recente tentativo del governo argentino, di portare le spoglie di Borges al cimitero de la Recoleta a Buenos Aires. Una lobby porteña (di Buenos Aires) insiste che quella di morire a Ginevra non era la volontà dello scrittore.
Kodama perde la pazienza e il suo modo di parlare composto quando si sfiora l’argomento. Le ragioni per cui suo marito scelse di riposare a Ginevra sono chiare: «Alcuni anni prima, l’eterno candidato a presidente in Argentina, Ricardo Balbín, era morto a Buenos Aires e le sue immagini nel letto d’ospedale, intubato, durante la terapia intensiva, erano state date in pasto alla stampa. Lui mi disse che temeva che la sua agonia fosse trasformata in uno spettacolo», spiega, con parole che le è toccato ripetere innumerevoli volte. E a confermarlo ci sono anche le dichiarazioni di un giornalista svizzero a cui Borges chiese di verificare la possibilità di avere la cittadinanza di questo paese. «È possibile che dopo 22 anni una persona venga ancora torturata con questa storia?», si chiede. Poche settimane fa il Governo di Buenos Aires ha accantonato l’assurdo progetto di legge che avrebbe consentito il trasferimento, ma non è detto che qualcuno non lo resusciti in futuro.
Ginevra però fu solo l’ultima tappa dei numerosissimi viaggi che compongono l’Atlante, «furono esperienze meravigliose, che ci aprirono una serie di possibilità di immaginazione enormi, e continue scoperte», ricorda.
Con Borges non c’era routine. «Per giorni interi ci dedicavamo solo al viaggio. Altri giorni aveva delle idee per delle storie, che in genere gli apparivano in sogno e iniziava a dettarmele. Magari dettava un paragrafo, poi il giorno dopo, di sera, mi chiedeva di rileggerlo e cambiava alcune cose», spiega. Di una storia aveva sempre in testa l’inizio e la fine e diceva che era una condizione indispensabile per poter scrivere, poi aggiungeva dettagli.
In ogni posto Kodama raccontava i dettagli del paesaggio, scattava foto o chiedeva ai passanti che ne scattassero. Il suo racconto era poi arricchito da quello dello scrittore, che aggiungeva i ricordi, gli aneddoti e le storie straordinarie di quello che aveva gia vissuto negli stessi posti in viaggi precedenti. Non viveva la cecità come un problema. Ogni giorno era per lui una scoperta e il destino regalava sempre sorprese.
Come una sera nella hall di un hotel in Spagna, quando Mick Jagger si buttò in ginocchio ai piedi di Borges dicendo «maestro, che onore! Ho letto tutti i suoi libri». «Mi dica, chi è lei?», rispose lo scrittore. «Mick Jagger». Borges era stato introdotto alla musica degli Stones dalla sua compagna. Successivamente, sarebbe anche apparso in una immagine nel film Performance. «Quello dei Rolling Stones!», riconobbe, con grande sorpresa di Jagger. Kodama racconta tutt’ora divertita questo scambio di battute.
O come un pomeriggio al Prado quando Kodama e Borges si erano fermati di fronte al capolavoro di Goya “Il cane” e lei riconobbe a distanza un uomo molto alto: era Julio Cortázar. «Non posso dimenticare quest’immagine. Uno dei miei quadri preferiti e di fronte Borges e Cortázar che si danno la mano e si scambiano complimenti». I due scrittori argentini non erano amici, appena si conoscevano, però Borges era stato il primo a pubblicare il racconto Casa Tomada, di Cortázar, quando era direttore della Biblioteca Nacional, negli anni ’50.
In una foto Borges appare con una maschera da lupo. Si trovava in un’università negli Stati Uniti per una conferenza. «Ci venne a chiamare il rettore in stanza vestito da Batman», ricorda Kodama, «era Halloween e disse che c’era una festa, però avremmo potuto partecipare solo travestiti. Decidemmo alla fine di comprare delle maschere. Borges scelse quella del lupo. Alla festa, si divertì a terrorizzare gli studenti gridando ‘homo homini lupus’».
Dell’Italia Borges amava Venezia, più di ogni altra cosa. «Perché è un labirinto, per l’acqua e per il mistero». A Roma, poco prima della morte, incontrarono Pertini e Borges parlò a lungo in un’intervista alla Rai. Ma il ricordo più affettuoso va all’editore italiano Franco Maria Ricci, «tra tutti gli editori lui era un amico, sempre cercava di sorprenderlo e divertirlo», ricorda. In particolare, per l’ottantesimo compleanno di Borges, Ricci gli organizzò un ricevimento nella sala di lettura della New York Public Library, «aveva trasformato tutta questa sala meravigliosa in un salone da pranzo del diciottesimo secolo. Aveva portato i cuochi da Parma perché preparassero i tipi di pasta che a Borges piacevano tanto», ricorda Kodama.
Ora che Borges riposa nel cimitero di Plainpalais accanto a Giovanni Calvino, María Kodama legge e rilegge la sua opera. Sceglie i testi a seconda delle conferenze che sta preparando. Viaggia continuamente. Dice che a volte crede che la sua casa sia un aereo intercontinentale. I testi che le stanno più a cuore sono la poesia La Luna che Borges scrisse per lei, e il breve racconto Ulrica, che, dice, le fu segretamente dedicato.
Che il mondo lo capisca o no, la realtà è che da quando aveva 16 anni, María Kodama ha vissuto per lo scrittore. Ora che lui è morto, il suo destino e la sua missione è quella di tenerlo in vita, ritornando continuamente alla sua opera. Dice che questo la fa sentire bene. «Più che una missione è l’amore, è un piacere, è una presenza continua», spiega, «è la mia decisione, quella che tornerei a prendere, anche sapendo tutto quello che mi aspetta. È la certezza assoluta. Come lui sentiva che scrivere era il suo destino, chissà, il mio forse sia questo. Forse è come in quelle leggende primitive e lui è veramente la mia metà. Nessuno può distruggere questo. È qualcosa che si sente dentro, ed è molto forte».
Famoso per i racconti fantastici, morì nel 1986 a Ginevra
Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986) è stato uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo. Narratore, poeta e saggista, è famoso per i suoi racconti fantastici . Nel 1975 morì sua madre, a novantanove anni. A partire da questo momento Borges effettuò i suoi viaggi insieme a María Kodama, una sua ex-alunna, divenuta sua segretaria e infine, a poche settimane dalla morte, sua seconda moglie, sposata per procura in Uruguay. Nel 1982 condannò l'invasione argentina delle Isole Malvinas. Morì il 14 giugno 1986 nella città di Ginevra, in seguito a un cancro al fegato. Come da lui disposto, i suoi resti riposano al cimitero di Plainpalais (nella parte sud di Ginevra) sotto una lapide grezza di color bianco. Sulla parte superiore si legge semplicemente «Jorge Luis Borges»; più in basso è scritta in inglese antico la frase «And ne forhtedon na» Giammai con timore.
Repubblica 15.3.09
Infanzie interrotte all’altare l’esercito delle spose bambine
In Italia migliaia di piccole straniere costrette a fare le mogli
di Vladimiro Polchi
E nei campi Rom arrivano alcune minorenni "comprate" per i matrimoni
ROMA - Sidra conosce appena quell´uomo, lo trova gentile. L´amico di papà è sempre pieno d´attenzioni e regalini. Sidra ignora le vere intenzioni del padre: lei tredicenne è stata promessa sposa a quell´uomo di 44 anni. Sidra è pakistana e abita in una piccola città del Veneto. Va a scuola, vive "all´italiana" e non vuole piegarsi all´autorità paterna. Il suo destino di "sposa bambina" è però segnato. Poi, un giorno, Sidra sparisce. Che fine ha fatto? Nessuno lo sa. Forse è stata rapita o magari è fuggita, lontana dal padre e da quell´uomo che non voleva sposare.
Pochi giorni fa ha fatto notizia l´arresto di undici cittadini bulgari. L´accusa? Farebbero parte di un´organizzazione criminale, che porta in Italia ragazze minorenni per venderle come spose a clan di nomadi e poi impiegate in furti e borseggi. Le minori "costano" 10 mila euro, ma sono consegnate dalle loro famiglie ai membri dell´organizzazione, in cambio di appena mille euro e la promessa di un matrimonio.
Quella delle "spose bambine" è una vita da diverse: non possono giocare, uscire con i coetanei, studiare. Sono ragazzine predestinate. Un´infanzia rubata: le attende un matrimonio combinato dalla famiglia. Sono tante nel mondo: circa 60 milioni, secondo l´International center for research on women. Dove vivono? In Niger innanzitutto e poi in Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Nepal, Mozambico, Uganda, India ed Etiopia. E in Italia? Secondo gli esperti, sarebbero qualche migliaio.
Da noi, il fenomeno ha un lato oscuro e illegale e un altro alla luce del sole. In base all´articolo 84 del codice civile, infatti, in Italia i minori non si possono sposare, ma c´è una deroga: il sedicenne può essere autorizzato dal tribunale per i minorenni a contrarre matrimonio per gravi motivi. Secondo il Centro nazionale di documentazione per l´infanzia, il numero di spose minorenni si è fortemente ridotto negli anni, passando dalle 1.562 del 1993 alle 209 del 2006; in termini relativi si ha poco più di una sposa minorenne ogni mille matrimoni. All´esiguità del fenomeno si aggiunge una forte concentrazione territoriale. A farla da padrone è il Sud Italia: nella sola Campania si contano più della metà delle spose minorenni (123 nel 2006).
Questa è solo la componente legale del fenomeno, la punta dell´iceberg. Le statistiche non fotografano il sommerso: i matrimoni non riconosciuti dalla legge, i rapporti opachi che si celano all´interno di alcune comunità d´immigrati. Quali? Quelle più impermeabili al mondo esterno: pakistane, indiane, egiziane. E Rom. Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Rom e Sinti insieme ricorda il caso di suo fratello che «si è sposato quando aveva 15 anni, con una ragazza di 14, dopo una fuitina». Sì, perché tra le comunità nomadi «accadeva spesso che ci si sposasse molto piccoli. E il caso delle spose bambine era la normalità. Ora invece è sempre meno frequente, seppure il fenomeno continua a essere presente nei campi».
Paolo Ciani conosce bene la realtà dei campi: è il responsabile dei servizi Rom e Sinti per la comunità di Sant´Egidio. «Molti Rom - racconta - non si interessano del riconoscimento legale delle nozze. Ricordo il caso di un uomo, padre di 11 figli, che durante il censimento romano del 1995 si era infuriato con i vigili urbani perché lo avevano schedato tra i "conviventi". Il suo matrimonio infatti non era mai stato registrato». «Nei campi - prosegue Ciani - si assiste ancora a nozze tra minorenni, soprattutto tra i Rom dell´ex Jugoslavia. Ma i casi tendono a diminuire. Nella nostra esperienza assistiamo a due fenomeni negativi: famiglie che cercano per i propri figli spose di 13 o 14 anni nei Paesi d´origine, perché ritenute più virtuose, e la tratta di minorenni, che vengono fatte sposare e poi impiegate nell´accattonaggio». Ma a parte «questi casi di devianza criminale», il problema di solito è un altro. «Si chiama "mancanza dell´adolescenza". E nasce dal terrore del genitore che figlia quindicenne perda la verginità, così cerca di darla in sposa al più presto».
Un problema avvertito anche all´interno di alcune comunità di immigrati in Italia. «Il fenomeno delle spose bambine è ben presente tra le comunità che arrivano dal mondo rurale del Nord Africa - sostiene Souad Sbai, deputata Pdl e presidente dell´Associazione donne marocchine d´Italia - e accade spesso che le bambine spariscano dopo le elementari, portate nei Paesi d´origine per sposarsi. Questo succedeva con frequenza tra i marocchini, finché una legge del ´95 ha vietato i matrimoni tra minorenni. Alcune ragazze spariscono o scappano, per esempio in Francia, per evitare di sposare il vecchio che il padre gli impone. Per queste ragioni è importante investire sul processo d´integrazione, l´unico antidoto allo sfruttamento delle donne».
Mara Tognetti, docente di politiche migratorie all´università Milano-Bicocca, conferma che «all´interno delle comunità più impermeabili al mondo esterno, i matrimoni combinati, in cui è la sposa a essere di solito minorenne, non sono rari. Spesso le ragazze sono consenzienti. Ma assistiamo anche a richieste di ricongiungimento familiare che ci lasciano perplessi». Un esempio? «Uno zio che chiede di ricongiungersi con una nipote minorenne - risponde la docente - e si scopre invece che dietro si cela un matrimonio». Come può intervenire lo Stato? «L´unica possibilità è che la ragazza stessa denunci i suoi "sfruttatori", padre o marito. Però, è molto raro».
l’Unità 15.3.09
La cultura delle ronde
di Furio Colombo
Senza Bossi, Berlusconi non potrebbe governare. Così, in piena crisi economica
si votano solo le ossessioni della Lega
Posso dire con orgoglio: il primo gesto di difesa dei diritti umani di cittadini non italiani accusati di un delitto odioso, malmenati in carcere e prontamente esposti alla gogna televisiva, quel primo gesto, impopolare e difficile, è venuto da noi, parlamentari del Pd. È vero, ma solo perché un piccolo gruppo di radicali è stato eletto nelle liste Pd. È vero perché, al primo segnale di botte in carcere ai due romeni accusati dello stupro della Caffarella, la deputata Rita Bernardini è andata a vedere, a capire, ad accertare. E ha potuto denunciare le umiliazioni subite dai due presunti colpevoli. Qui sta un primo punto alto di civiltà in una storia che umilia due volte: per ciò che è accaduto in un parco di Roma, e per la concitata confusione con cui sono state condotte le indagini.
Il punto alto di civiltà è che Rita Bernardini è corsa in carcere a difendere due uomini che erano creduti, e apparivano, come responsabili di un ripugnante delitto. La deputata radicale è andata a difendere i diritti umani di due persone, non importa quanto colpevoli, che di quei diritti non possono essere privati mai. In altre parole: è andata a difendere noi, la Repubblica italiana, la nostra immagine internazionale, la nostra Costituzione.
Su tutta la vicenda grava l’atmosfera inquinante della cultura della paura, un torrente in piena di furore, terrore e vendetta, alimentato da due tumultuosi canali: un rozzo nazionalismo vetero-fascista ormai sfuggito alle destre parlamentari; e la spinta fanatica del leghismo claustrofobico.
Quel leghismo continuamente in cerca di nemici da isolare, imprigionare, trattenere senza diritti anche un anno e mezzo e poi espellere dopo, se non si riesce ad affondarli prima, esiste dovunque ai margini di altri Paesi europei e anche negli Stati Uniti. Ma con tre esemplari tratti di identificazione: sono gruppi di destra, lo mostrano e lo vantano, fino a legami estremi con ciò che resta del nazismo; non fanno parte di alcun governo, perché ciò che vogliono (persecuzioni di immigrati, apartheid di diversi, secessione di territori) non è compatibile con alcun Paese democratico; infine le culture democratiche, e i partiti ispirati da queste culture, non li corteggiano, non li apprezzano, non li imitano.
Non scambiano per «sinistra» il triste successo popolare della xenofobia e della superiorità di gruppo («la nostra gente»). E mantengono un rigido isolamento intorno alle sotto culture distruttive dei partiti xenofobi. Le prove? Primo. Sono proibite le classi separate nelle scuole. Le figlie del presidente degli Stati Uniti sono in classe con ragazze e ragazzi cinesi, indiani, coreani, messicani persino se appena arrivati negli Usa. Secondo. A nessun medico viene chiesto di essere spia della polizia e di denunciare i pazienti clandestini. Terzo. Le ronde dei cittadini (le famose «posse» del Sud razzista, prima che la rivoluzione non violenta di Martin Luther King portasse pace e libera convivenza nel Sud degli Stati Uniti) sono proibite. Quarto. Le impronte digitali non possono essere imposte ai bambini o alle persone non imputate per nessuna ragione, salvo che alle frontiere, dove riguardano tutti e non un gruppo separato e indicato come criminogeno. Quinto. Nessuno, mai, per nessuna ragione, può impedire a un altro di pregare o di costruirsi luoghi di preghiera. La moschea di New York occupa un intero isolato di Manhattan. Dopo l’11 Settembre 2001 è stato posto un distaccamento di polizia per difenderla da intrusi o violenti, non per profanarla. Chi dicesse, in un altro Paese europeo, o negli Usa, a credenti di fedi diverse, «vadano a pisciare nelle loro moschee» uscirebbe dalla politica. Negli Usa sarebbe incriminato per violazione dei diritti civili. Come vedete non ho elencato ciò che avviene in squallide periferie ma nel Parlamento italiano. Ho elencato cinque decreti urgenti per ripagare la Lega del suo sostegno al governo. Senza la Lega Berlusconi non avrebbe i voti per governare. E allora, in piena crisi economica, altro non si fa nelle Camere italiane che votare le ossessioni della Lega. Salvo, nel tempo libero, dire un no pronto e secco alla proposta di Franceschini di dare un sostegno, in questo momento disperato, ai disoccupati. Alla Camera italiana, in piena tempesta economica del mondo, stiamo per discutere il “federalismo fiscale” e la moratoria sulla costruzione delle moschee. Nel frattempo i sindaci-sceriffi forzeranno prefetti e questori a inventare rapide indagini leghiste «senza intercettazioni» invece di proteggere, da adulti, i cittadini e il Paese.
l’Unità 15.3.09
L’appello dell’Anpi
un 5 per mille partigiano e antifascista
Un appello politico e morale. È quello che lancia l’Anpi (Associazione nazionale Partigiani d’Italia) da sessanta anni impegnata a promuovere antifascismo, democrazia e pace. A tutti gli antifascisti, e soprattutto in questo momento politico, l’Anpi chiede di sostenere l’associazione con il 5 per mille. Basta apporre una firma nei moduli per la dichiarazione dei redditi (Cud, 730-1, o Unico) nel riquadro che dice «Sostegno del volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni e fondazioni» e scrivere il numero di codice fiscale dell’Anpi: 00776550584.
È un modo «semplice, utilissimo e niente affatto costoso, dice l’associazione partigiana, di dare forza e futuro al nostro e al vostro impegno». Un aiuto e un impegno ulteriore potrebbe essere quello di iscriversi all’Anpi: gli indirizzi sono su www.anpi.it.
l’Unità 15.3.09
5 risposte da Rino Di Meglio
di Maristella Iervasi
1.Il 18 sciopero generale
Ci sarà anche il Gilda degli insegnanti allo sciopero generale della Conoscenza proclamato dalla Flc-Cgil. I tagli alla scuola sono feroci: 47.200 posti di insegnante in un anno solo che scompariranno. I docenti di ruolo perderanno la cattedra e saranno costretti a trasferirsi da una scuola all’altra. Altrettanti precari resteranno disoccupati.
2.Contro la riforma
In tutte le classi della scuola primaria le compresenze spariranno. Ovunque. Le gran parte dei docenti non potrà insegnare sulle stesse classi: questa è la risposta alle famiglie.
3.Gli organici
Il decreto ad oggi non è noto. Non c’è ottimismo. Lo sciopero è una scelta dolorosa ma è l’unica protesta consentita dalla legge.
4.Precari
90mila precari con nomina fino al 31 agosto e 150mila fino al termine delle lezioni. Ho motivo di dubitare delle varie promesse di sistemare qualche migliaia di precari. Al limite ci potrebbero essere un po’ di posti solo per il sostegno.
5.Malattia, ricorsi a pioggia
Il decreto Brunetta sulla malattia discrimina i pubblici dipendenti rispetto agli altri lavoratori. Privare della libertà un cittadino per l’intera giornata dalle 8 alle 20, con una sola «ora d’aria», è contraria al le normative europee.
Repubblica 15.3.09
Dall’economia all’etica, il professore deluso dal partito: rifiuto uno Stato nazi-salutista
E Martino accusa Tremonti statalista "Sembriamo più fascisti che liberali"
di f.bei
ROMA - La bomba nello stagno del Pdl la tira Antonio Martino, intervenendo all´assemblea dei riformatori liberali. Dopo essere rimasto sott´acqua per lungo tempo, l´ex tessera numero due di Forza Italia riemerge dall´apnea in maniera dirompente: «Ho contribuito alla fondazione di Forza Italia nella convinzione che fosse possibile dar vita a un partito liberale di massa. Devo dare atto a Berlusconi di aver sempre parlato di libertà, ma quando sento qualcuno che vuole confluire nel Pdl, io tento di reprimere la tentazione di defluirne». Con chi ce l´ha Martino? Con tutti gli anti-liberisti apparsi nel Pdl come funghi in tempi di crisi e su tutti con il loro nuovo vate: Giulio Tremonti.
Martino, l´allievo di Milton Friedman, non nomina mai il ministro dell´Economia, ma lo fustiga (tra le risate dei presenti) scherzando sulle comuni origini di Sondrio di Tremonti e Della Vedova: «La ragione per cui sono qui sono due prodotti valtellinesi di esportazione, uno positivo l´altro negativo. Quello positivo è Benedetto Della Vedova». Il Pdl, attacca Martino come un fiume in piena, «somiglia a tutto - dal colbertismo al fascismo fino al socialismo - ma non al liberalismo». La platea liberista si spella le mani. Martino tocca en passant anche i temi etici, forte di un sondaggio diffuso ieri da Luigi Crespi secondo il quale il 70,9% degli elettori del Pdl è a favore del diritto del malato di rifiutare il trattamento sanitario nel caso si trovasse in stato di incoscienza. «Io rifiuto - tuona Martino - questo Stato nazi-salutista che vuole legiferare su tutti i problemi umani».
E giù di nuove botte contro chi «imputa falsamente la crisi al fallimento del mercato, mentre la causa di quello che sta succedendo sono gli errori politici dello statalismo». Da parte dei fautori dell´intervento politico sull´economia, sottolinea, «sono stati resuscitati il keynesismo e il corporativismo fascista. Tenteranno di resuscitare pure il vecchio Marx!». Qualcuno dalla platea gli grida: «Tremonti l´ha già fatto». E Martino, con una smorfia: «Per favore, non parliamo di cose tristi».
Mentre Martino chiude mettendo il Pdl in guardia dal «rischio di diventare un fautore di idee stataliste», il suo intervento ringalluzzisce l´anima radical-liberista del centrodestra. Adolfo Urso, sottosegretario al commercio internazionale, sottolinea che «sarebbe sbagliato andare dietro a tentazioni protezionistiche» e «non dobbiamo fare come Roosevelt nel ´29, che sbagliò puntando tutto sugli investimenti pubblici e i sussidi ai disoccupati». Benedetto Della Vedova, pur salvando Tremonti per la «tenuta dei conti pubblici», mette nel mirino il ministro Maurizio Sacconi per la cautela usata sulla riforma delle pensioni: «Invito Sacconi a riflettere sul fatto che in Italia le vere riforme sono state fatte nei momenti di emergenza, come Amato nel ‘92».
Repubblica 15.3.09
Le dame, i cavalieri e il piacere proibito
L’amore carnale nel Medioevo
di Franco Cardini
Nella storiografia divulgativa, quella scritta da "storici" amateurs, ricorre un buffo fenomeno che gli studiosi di professione ben conoscono: la frequente retrodatazione di usi e di tradizioni che appartengono al passato più o meno prossimo e che vengono presentati - e in genere entrano nell´immaginario collettivo - come ben più antichi di quanto non siano. Concorre, a configurare questo bizzarro effetto deformante, una sorta di superstizione progressista: s´immagina la storia come una sequenza di eventi, istituzioni e strutture in costante evoluzione positiva, in progresso; ed è quindi ovvio, se ne deduce, che l´oggi sia migliore dello ieri e che il domani sarà ancora migliore dell´oggi.
In questi ultimi anni, per la verità, tale beata illusione è stata messa a dura prova, e forse nessuno l´adotterebbe per le cose contemporanee. Ma sopravvive per il passato: difatti si parla di un Medioevo nel quale si bruciavano le streghe, che invece poverine andarono piuttosto con i loro roghi a illuminare il già «luminoso» Rinascimento, perché nel «buio Medioevo» erano quasi sconosciute. Oppure, ci s´immagina l´aristocrazia feudale dei secoli Dodicesimo e Tredicesimo come fatta tutta di signorotti a immagine del manzoniano don Rodrigo, la cui nobiliare prepotenza era, invece, del tutto seicentesca, e quattro-cinque secoli prima nessuno l´avrebbe tollerata.
Così accade quando s´immaginano i costumi sessuali. La pruderie ottocentesca discenderebbe dal casto e represso Medioevo, in un rassicurante continuismo che solo di recente avrebbe lasciato il passo a una crescente libertà sessuale. Inutile dire che così non era: tra il Medioevo e il casto romanticismo si è incuneata la cultura libertina, che dà dei punti alle nostre fantasie più osées. Ma che a sua volta, guarda caso, aveva nel Medioevo molti più modelli di riferimento di quanti non ci aspetteremmo.
Medioevo casto e represso. È uno dei più radicati fra i nostri luoghi comuni; come quello d´un Medioevo igienicamente poco raccomandabile, ad esempio. Errore. La nostra età di mezzo pullulava di «bagni» e di «stufe», in parte ereditate dall´età romana - ma anche da certe tradizioni barbariche, ad esempio dal bagno di vapore turcomongolo -, in parte reimportate attraverso il mondo musulmano, a sua volta erede della tradizione bizantina. E nei bagni non ci si limitava a lavarsi: «stufa» era sinonimo di bordello. D´altro canto, lo spettacolo della nudità - aborrito dalla Riforma protestante in poi - era nei secoli di mezzo alquanto comune e consueto.
E allora, il Medioevo mistico, innamorato della Vergine Maria e per il resto tutto onore e gelosia, nel quale circolavano congegni come le cinture di castità? L´amore mistico e spirituale, quello rivolto alla Madonna e passato poi, attraverso trovatori, trovieri e Minnesänger all´amor cortese e al culto della «donna angelicata», costituiva senza dubbio una grande forza spirituale, etica ed estetica. Ma c´era anche ben altro.
L´amore fatale, l´amore-passione travolgente e inestinguibile è, secondo un ormai classico studio di Denis de Rougemont, L´amour et l´Occident (1939), un´invenzione dell´Occidente medievale, i grandi modelli del quale sono uno romanzesco (Tristano e Isotta) e uno storico (Abelardo ed Eloisa). Jack Goody (Il furto della storia, Feltrinelli 2006) ha obiettato che le cose non stanno proprio così: e che anche l´antico Egitto, e poi almeno India, Cina e Giappone la sapessero lunga al riguardo. Certo comunque il Medioevo conosceva bene la lussuria, che Dante tratta come un grave peccato (il più lieve tuttavia tra quelli mortali) e ci mostra condannata nell´Inferno.
Ma eccoci al punto: la poesia cavalleresca e più tardi quella lirica e la novellistica, al pari di certe magari dissimulate forme d´arte plastico-figurativa, sono molto meno avare di quel che siamo abituati a pensare di esempi d´amore fisico anche alquanto spinto: al limite, non di rado, di quel che per noi sarebbe l´erotismo se non addirittura la pornografia.
Il bel libro recente di Florence Colin-Goguel, L´image de l´Amour charnel au Moyen Âge (Seuil 2008, prefazione di Michel Pastoureau) ci dà ampia materia di modificare, a proposito del nostro Medioevo, parecchie idées reçues che pigramente ci portiamo dietro. Zavorrato dall´austera continenza d´origine paolina e poi ascetica, ma insidiato non solo dall´eredità erotica della cultura latina bensì anche da certi modelli biblici (il Cantico dei Cantici...), il Medioevo occidentale ha coltivato un interesse e una propensione per l´amore fisico spesso sconfinato - come nella tradizione goliardica - in forme grottesche, dissacratorie e paradossali, ma alimentato anche da una raffinata tensione intellettuale che si sfogava perfino in un´accurata trattatistica e raggiungeva, invadendola, perfino la teologia morale.
Tempo di gelosia e di segregazione, il Medioevo era anche età di società di soli uomini e di donne sole, dove rapporti omosessuali e autoerotismo avevano modo di espandersi. Dietro le stesse tradizioni cavalleresche e monastiche, chiericali e universitarie, si avverte spesso, e nemmeno troppo nascosto, il brivido dell´androginia e dell´eros "alternativo". Gli stessi cacciatori d´una «repressione della donna» in età medievale avrebbero modo di ricredersi, quanto meno studiando la società aristocratica. in pieno Dodicesimo secolo, corti come quella di Eleonora duchessa d´Aquitania (la madre di Riccardo Cuor di Leone) erano luoghi nei quali si praticava e si teorizzava l´adulterio, mentre più tardi nelle società mercantili l´uso delle more, delle russe e delle circasse tenute come schiave domestiche avrebbe diffuso forme di poligamia pratica e popolato il mondo di bastardi: che sovente avevano anzi un loro ruolo sociale e perfino araldico riconosciuto.
Scorrendo le pagine e le immagini proposte dalla Colin-Goguel, allieva di Le Goff e di Chastel, si resta addirittura stupiti nel constatare come dalla musica ai tornei, dai giochi alle passeggiate in giardino, dagli usi enogastronomici alle stesse metafore religiose, il Medioevo fosse pervaso di erotismo e di attrazione carnale. La stessa eresia catara, che proclamava come il massimo peccato contro Dio fosse la riproduzione, che perpetuava la schiavitù dello spirito entro la prigione carnale, era poi molto meno severa nei confronti delle forme di erotismo che comportassero dispersione del seme e non dessero quindi frutti. E questa considerazione attenua di molto lo stupore di qualcuno, allorché constata quanto il catarismo fosse diffuso in contrade gioiose come la dolce Provenza. Per tacere dei frequenti coiti diabolici. Immaginari, d´accordo, anzi illusori. Ma, dopo il dottor Freud, la sappiamo lunga al riguardo.
Repubblica 15.3.09
Le Goff. "Mille anni di passioni segrete"
intervista di Pietro Del Re
Eva è il demonio. È all´origine dei mali del mondo, perché tentatrice, istigatrice del peccato e colpevole della cacciata dell´umanità dal Paradiso. Con lei, nel Medioevo la donna diventa l´icona del vizio. «Eppure, non si può dire che la società dell´epoca sia stata antifemminista», spiega lo storico francese Jacques Le Goff. «Anche perché i rapporti tra i sessi avevano un carattere ambiguo: l´uomo medievale era spesso una creatura androgina». A ottantacinque anni, Le Goff è uno dei più illustri eredi della École des Annales. L´ultima sua fatica è quasi un instant book: sta scrivendo un libro sui soldi nel Medioevo, «per dimostrare che le banche hanno sempre fallito».
Professore, che cosa sappiamo del comportamento sessuale di quei secoli bui?
«Quasi nulla, perché salvo le espressioni letterarie o artistiche, abbiamo pochi documenti che ci permettono di capire che cosa realmente accadesse nel segreto dell´alcova».
Dopo il matrimonio medioevale, assieme all´uomo e alla donna nel letto nuziale c´è anche Dio. Era legittimo il coito coniugale o era soltanto una concessione alla procreazione?
«Il matrimonio diventa sacramento solo dopo il quarto Concilio lateranense, nel 1215. Fino ad allora non era riuscito a distinguersi da quello che era nell´antichità romana: un contratto. Tuttavia, anche se ci si sposava al di fuori della Chiesa, per essere valido agli occhi del clero, e quindi a quelli di Dio, il matrimonio doveva essere consumato».
Ma godere è sempre peccato?
«Generalmente sì. Nel Duecento, proprio quando la Chiesa inventa il Purgatorio per strappare l´uomo alla tradizionale opposizione Inferno-Paradiso, San Tommaso D´Aquino nega che possa esserci una parte legittima di piacere nel compimento dell´atto sessuale, anche nell´ambito del matrimonio».
All´epoca, il peccato originale era assimilato a quello carnale e l´immagine dell´Inferno spesso rappresentata come il sesso femminile: si può dire che nel Medioevo il Male fosse donna?
«Sì, ma fino a un certo punto. Contrariamente a quando accadeva a Bisanzio, fino all´Undicesimo secolo il culto della Vergine Maria non era celebrato dalla Chiesa. A partire da quel momento si sviluppò invece con forza straordinaria. È anche grazie al culto mariano che la donna è stata rivalutata nelle società medievali».
Contro l´infamia della lussuria e dell´adulterio erano previste punizioni corporali durissime. Queste rendevano l´uomo medievale più "puro" dell´uomo moderno?
«Il castigo ha senza dubbio contribuito a tenere nascosta la lussuria, benché i teologi e i predicatori dicessero che Dio vedesse tutto, compreso quello che si faceva nell´ombra. Tuttavia sul margine dei manoscritti dell´epoca sono spesso raffigurate scene di lussuria, che non esiterei a definire pornografiche: un vescovo sodomita, una donna che coglie falli da un albero o scene di sesso tra uomini e animali. Il Medioevo ammetteva il male, purché si manifestasse al margine della società, lontano dal suo centro sacro. Piuttosto che volerlo sradicare del tutto, il cristianesimo ha sempre cercato di limitare il male attraverso la confessione e il pentimento».
Le prostitute erano tollerate dalla Chiesa?
«Sì, la prostituzione era permessa. Quando il re moralista Luigi IX, detto San Luigi, volle vietarla, il vescovo di Parigi gli disse che era "un male necessario"».
L´amor cortese che sublima la donna è sempre un amore platonico?
«Su questo problema i medievisti sono divisi. Io credo che l´amor cortese sia puramente immaginario. Esiste soltanto nella letteratura. Ciò non significa che l´amore reale sia sempre stato brutale, che ci sia sempre stata una violenta dominazione dell´uomo sulla donna. Ma l´amore in cui la donna diventa il signore e il cavaliere il suo servo, non c´è mai stato. Neanche nelle classi superiori della società. Detto ciò, il Medioevo è durato dal Quinto al Quindicesimo secolo, e in mille anni molte cose sono cambiate. La svolta essenziale si produce nel Duecento, quando i valori del cielo scendono sulla Terra. Da quel momento la felicità non è riservata solo all´aldilà. C´è l´inizio di una possibile soddisfazione del piacere anche per noi mortali. Appaiono, per esempio, i primi trattati di gastronomia. Il lavoro, che era considerato una punizione del peccato originale, diventa invece un valore. È del resto in quell´epoca che si comincia a dire che l´uomo è stato creato a immagine di Dio».
Che cosa cambia con il Rinascimento?
«C´è l´esaltazione della bellezza e, in particolare, della nudità. La Chiesa medievale rifiutava la nudità, e con essa la maggior parte dell´arte antica che, soprattutto nella scultura, rappresentava corpi nudi. Con il Rinascimento in Europa, soprattutto nel Cinquecento, avviene la riscoperta dei nudi. Gli stessi che prima erano rappresentati negli affreschi delle basiliche soltanto nelle scene della resurrezione dei corpi».
Corriere della Sera 15.3.09
Quell'estate mia figlia diventò matta
Un «demone» cattura una ragazza di 15 anni E Oliver Sacks ritrova una vicenda personale
di Oliver Sacks
Il volume. Esce da Rizzoli la storia vera di Sally scritta da suo padre, Michael Greenberg La malattia. Sette settimane di angoscia alle prese con una diagnosi di psicosi maniacale
«Il 5 luglio del 1996 mia figlia è diventata matta». Inizia così, senza preamboli, il libro di Michael Greenberg, Hurry Down Sunshine ( Il giorno in cui mia figlia impazzì), per poi passare a narrare gli eventi con foga quasi torrenziale. La malattia esplode all'improvviso: Sally, la figlia 15enne di Greenberg, da qualche settimana è molto eccitata: ascolta in continuazione le Variazioni Goldberg di Glenn Gould con il walkman, legge un volume di sonetti di Shakespeare quasi tutta la notte.
Greenberg scrive: «Apro il libro a caso e trovo un groviglio di frecce, annotazioni, parole cerchiate. Il tredicesimo sonetto sembra una pagina del Talmud, i margini sono talmente pieni di commenti che il testo al centro quasi scompare». Sally scrive anche delle poesie, che ricordano quelle di Sylvia Plath. Il padre le legge di nascosto e le trova strane, ma non pensa che l'umore o le attività della figlia abbiano tratti patologici. Da bambina Sally ha avuto difficoltà di apprendimento, ma ora le sta trionfalmente superando e sta scoprendo per la prima volta le sue capacità intellettuali. Questa esaltazione è normale in una quindicenne molto dotata — almeno così sembra.
In quel caldo giorno di luglio, però, Sally crolla. Ferma le persone in strada investendole con un fiume di parole, pretendendo di essere ascoltata, scuotendole; poi si butta in mezzo al traffico, convinta di poter fermare le macchine semplicemente con la forza della volontà (un amico pronto di riflessi riesce a trascinarla via appena in tempo). Qualche giorno prima, osservando alcune bambine giocare, Sally ha avuto una visione: si è convinta che abbiamo perso la «genialità» originaria e illimitata che Dio ha dato a ciascuno di noi e crede che la sua missione sia quella di aiutare gli altri a recuperare questo dono. È questa idea che la induce a rivolgersi a sconosciuti per strada; il suo bizzarro comportamento deriva dalla sensazione di avere dei poteri speciali. I suoi genitori lo capiscono quando, il giorno dopo, la interrogano.
Più che dalle sue appassionate convinzioni, però, il padre e sua moglie sono sorpresi dal suo modo di parlare: «Pat e io siamo scioccati, non tanto da quel che dice ma da come lo dice. I suoi pensieri prorompono e si accavallano in una sfilza di parole scombinate; ogni frase si sovrappone alla precedente, lasciandola incompleta. Siamo confusi, abbiamo difficoltà ad assorbire la quantità di energia che sgorga dal suo corpo minuto. Sally gesticola, protende il mento... il suo desiderio di comunicare è così impetuoso da essere un tormento. Ogni parola è per lei come una tossina che deve espellere dal corpo. Più parla più diventa incoerente, e più diventa incoerente più sente l'urgenza di farsi capire! Guardandola mi sento impotente, ma anche galvanizzato dalla sua vitalità».
Si potrebbe chiamare mania, follia o psicosi — uno squilibrio chimico nel cervello — ma si presenta come un'energia primordiale. Greenberg la paragona a «una rara forza della natura, come una bufera o un'alluvione: distruttiva, ma a modo suo anche stupefacente». Questa energia senza freni somiglia a quella che accompagna la creatività, l'ispirazione o il genio, e in effetti è così che Sally la sente in sé — non una malattia, ma l'apoteosi della salute, la liberazione di una parte di sé profonda e fino ad ora repressa.
I genitori di Sally sono sconcertati quanto lei, anzi di più, perché non hanno la sua folle sicurezza. Si chiedono se faccia uso di qualche droga, Lsd o magari peggio; se si tratti di un problema che le hanno trasmesso per via genetica, o se le hanno fatto qualcosa di terribile in una fase critica dello sviluppo. Lo ha sempre avuto dentro di sé, anche se si è scatenato così improvvisamente? Sono le domande che si fecero anche i miei genitori nel 1943, quando mio fratello Michael ebbe a quindici anni un episodio di psicosi acuta. Vedeva «messaggi» dappertutto, pensava che i suoi pensieri venissero letti o trasmessi, aveva eccessi di uno strano riso convulso e credeva di essere stato trasportato in un altro «regno ». Allora gli allucinogeni erano una rarità, quindi i miei genitori, che erano entrambi medici, si chiesero se il suo comportamento fosse causato da una malattia, come una disfunzione tiroidea o un tumore al cervello. Alla fine capirono che mio fratello soffriva di psicosi schizofrenica. Nel caso di Sally i test clinici escludono problemi legati alla tiroide, all'uso di droghe o a tumori. La sua è «solo» una psicosi maniacale, acuta e pericolosa (tutte le psicosi sono potenzialmente pericolose, almeno per l'incolumità del paziente).
Si possono avere episodi di esaltazione maniacale — o di depressione — (avere fissazioni o allucinazioni, perdere di vista la realtà) senza essere psicotici. Sally però ha varcato la soglia, e in quel caldo giorno di luglio è accaduto qualcosa, qualcosa si è spezzato. Improvvisamente è diventata un'altra persona — ha un aspetto diverso, parla in modo diverso. «Tra noi ogni punto di contatto era svanito», scrive il padre. Ora lo chiama «padre», invece di «papà», e parla con «una voce forzata, falsa, come se recitasse battute imparate a memoria»; «i suoi occhi castani di solito caldi sono vitrei e scuri, come ricoperti da una mano di lacca ».
Da principio i genitori si sforzano di credere (come fa anche Sally) che lo stato di eccitazione sia un fatto positivo, non una condizione patologica. La madre prova a vederlo sotto una luce New Age: «Sally sta passando un periodo così, Michael, ne sono sicura; non è una malattia. È una ragazza molto spirituale... Attraversa una fase essenziale della sua evoluzione, è il suo cammino verso un dominio più elevato».
Greenberg la pensa in modo simile, anche se si esprime in termini più prosaici: «Anch'io volevo credere a una cosa del genere, credere che fosse un progresso, una vittoria, l'atteso sbocciare della sua mente. Come si fa però a distinguere tra la "divina follia" di Platone e un discorso senza senso? Tra l'entusiasmo e l'incoerenza? Tra chi è profeta e chi invece è "clinicamente pazzo"?» (Greenberg fa notare che James Joyce si era trovato in una situazione simile con la figlia Lucia, schizofrenica. «Le sue intuizioni sono incredibili», diceva Joyce. «Se c'è in me una scintilla gliel'ho trasmessa, e il suo cervello ne è stato incendiato». Dirà poi a Beckett: «Non è una folle che vaneggia, ma solo una povera bambina che ha cercato di fare troppo, di capire troppo»).
Ma presto diventa chiaro che Sally è davvero psicotica e ha perso il controllo di sé, e i genitori la portano in una clinica psichiatrica. Dapprima lei è contenta, pensando che infermiere, assistenti, psichiatri siano le persone più adatte a capire le sue intuizioni, il suo messaggio. La realtà, però, è brutalmente diversa: Sally viene rinchiusa e sedata con tranquillanti. La descrizione che Greenberg dà del reparto ha i toni densi e ricchi di un romanzo e presenta una serie di personaggi degni di Cechov. All'ospedale non cercano di capire Sally — la sua mania è trattata anzitutto come un problema medico, uno squilibrio chimico del cervello, da affrontare in termini di neurochimica. Purtroppo Sally non risponde al litio, che si è dimostrato fondamentale per molti pazienti con problemi maniaco-depressivi, e i medici devono quindi ricorrere a forti dosi di tranquillanti, che sedano la sua eccitazione ma la lasciano stordita e apatica. Per il padre, vedere la figlia adolescente in quello stato da zombie è quasi altrettanto scioccante che vederla sovraeccitata.
Dopo ventiquattro giorni di questo trattamento, Sally viene dimessa, anche se ha ancora idee fisse e deve continuare a far uso di tranquillanti. Fuori dell'ospedale incontra una terapista eccezionale, che la tratta da essere umano e cerca di capire i suoi pensieri e sentimenti. La dottoressa Lensing si rivolge a lei in modo assolutamente diretto. «Scommetto che senti di avere un leone dentro di te», sono le prime parole che le dice. «Come fa a saperlo?». Sally è stupita e abbandona ogni sospetto. La dottoressa Lensing continua a parlare della sua mania come se fosse una specie di creatura, un altro essere dentro di lei. Cerca di indurre Sally a distinguere la sua psicosi dalla sua vera identità, a distaccarsi dalla psicosi in modo da vedere la complessa e ambigua relazione che ha intessuto con essa. (La psicosi «non è un'identità», le dice seccamente). Ne parla con il padre, perché è necessario che anche lui capisca, se si vuole che Sally migliori.
«Sally non vuole essere isolata, è proiettata verso l'esterno e questo è un fattore estremamente positivo. Desidera essere capita, e non solo da noi: anche lei vuole capirsi». La dottoressa Lensing considera il desiderio di Sally di tornare ad avere dei sinceri contatti con gli altri, di capire e di essere capita, di buon auspicio per il suo ritorno alla salute, il ritorno alla terra. L'abbandono definitivo delle folli altezze della mania è per Sally quasi altrettanto improvviso dello scatenarsi della malattia avvenuto sette settimane prima. Dice Greenberg: «Sally e io siamo in cucina. Ho passato la giornata a casa con lei, lavorando a una sceneggiatura.
"Vuoi una tazza di tè?", le chiedo.
"Sì, mi andrebbe, grazie".
"Con latte?".
"Sì, e miele".
"Due cucchiaini?".
"Sì. Li metto io. Mi piace guardare il miele colare giù dal cucchiaio".
Qualcosa nel suo tono attira la mia attenzione: l'inflessione della voce, il modo diretto e caldo di parlare. Non la sentivo così da mesi. I suoi occhi si sono addolciti. Cerco di essere cauto, per timore di ingannarmi, ma il cambiamento è evidente. È come se fosse avvenuto un miracolo. Il miracolo della normalità, dell'esistenza ordinaria... Mi sembra di aver vissuto per tutta l'estate dentro una favola. Una bella ragazza viene trasformata in una pietra indifferente o in un demone. È separata dalle persone care, dalla lingua, da tutto quel che era suo. Poi l'incantesimo si rompe e lei si risveglia... ».
Dopo l'estate di pazzia, Sally ritorna a scuola — con ansia, ma decisa a riprendersi la sua vita. Dapprima non parla della malattia, e apprezza la compagnia delle tre amiche che nella classe le sono più affezionate. «Spesso — scrive il padre — la sento parlare con loro al telefono, in modo intimo, tagliente, pettegolo: l'atteggiamento allegro di una ragazza sana ». Dopo qualche settimana di scuola, e dopo averne discusso con i genitori, Sally racconta alle amiche della sua psicosi: «Loro la accettano senza problemi. Essere stata in un reparto psichiatrico rende Sally importante. È una sorta di credenziale. È un luogo che le amiche non conoscono. Diventa il loro segreto». Sally riacquista la salute, e qui la storia potrebbe avere fine. La sindrome maniaco- depressiva, però, ha la particolarità di essere ciclica, e in un post-scritto al libro Greenberg dice che Sally ha avuto due ricadute: la prima dopo quattro anni, quando era all'università, la seconda dopo altri sei anni. Non esiste una cura per la sindrome maniaco-depressiva, ma è possibile conviverci valendosi di vari aiuti: le medicine, la comprensione dei suoi meccanismi (in particolare riducendo al minimo le situazioni di stress come la perdita del sonno e facendo attenzione a captare i primi sintomi dell'eccitazione maniacale o della depressione), senza tralasciare la psicoterapia. Per profondità, ricchezza e intelligenza,
Hurry Down Sunshine va considerato un classico del suo genere. Quel che lo rende un libro unico, però, è essere narrato dal punto di vista di un genitore straordinariamente aperto e sensibile, un padre che, senza mai cedere al sentimentalismo, mostra una notevole capacità di capire i pensieri e i sentimenti della figlia e una abilità rara nel trovare le immagini e le metafore giuste per descrivere stati d'animo quasi inimmaginabili.
Decidere di «raccontare» e di pubblicare il resoconto dettagliato della vita di un paziente, di mostrarne la vulnerabilità e la malattia, è una questione moralmente delicata, piena di pericoli di varia natura. La lotta di Sally con la psicosi non dovrebbe rimanere una faccenda privata e personale? Perché suo padre dovrebbe mostrare al mondo le sofferenze della figlia e della sua famiglia? E quale potrebbe essere la reazione di Sally al vedere esposti pubblicamente i suoi tormenti e le sue esaltazioni di adolescente?
Scrivere questo libro non è stata una decisione rapida o scontata né per Sally né per il padre. Greenberg non ha iniziato a scrivere nel 1996, durante la malattia della figlia; ha aspettato, meditato, assorbito l'esperienza. Ha discusso a lungo con Sally e solo dopo più di dieci anni ha sentito di poter trovare l'equilibrio, la distanza e il tono giusti per scrivere Hurry Down Sunshine.
Anche Sally è giunta alla stessa conclusione, esortandolo non solo a scrivere la sua storia, ma anche a usare il suo vero nome, senza pseudonimi. È stata una decisione coraggiosa, considerando il marchio col quale sono ancora bollati i malati mentali.
È un marchio che colpisce molti, perché le malattie maniaco-depressive esistono in tutte le culture e affliggono almeno una persona su cento. In questo momento ci sono al mondo milioni di persone, alcune anche più giovani di Sally, che devono affrontare quel che ha passato lei. Hurry Down Sunshine è un libro lucido, umano, illuminante; è una specie di guida per chi deve avere a che fare con le regioni oscure dell'anima, ed è utile anche ai familiari, agli amici e a tutti coloro che vogliono essere vicini ai loro cari in difficoltà. Forse ci ricorderà anche quanto è stretto il lembo di normalità nel quale ci muoviamo, tra gli abissi della mania e della depressione che si aprono ai suoi lati.
© 2008 by Oliver Sacks (Traduzione di Maria Sepa) JEANLOUP SIEFF, «INA A EAST HAMPTON, NEW YORK» (1963)
Il neurologo autore di bestseller
Oliver Sacks (nella foto di Adam Scourfield / Bbc mentre mostra un modellino in plastica di un cervello) è nato a Londra nel 1933. Neurologo e scrittore, vive tra New York e Los Angeles.
Da un suo famoso libro, «Risvegli» (edito in Italia da Adelphi), è stato tratto un film di successo con Robin Williams e Robert De Niro. Da Adelphi sono usciti anche «L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello», «L'isola dei senza colore», «Un antropologo su Marte» e «Musicofilia»
Corriere della Sera 15.3.09
Ricerca. Servono norme aggiornate: nasce anche in Italia un comitato per la «roboetica»
Uomo Bionico, quali regole?
di Franca Porciani
Molte nuove terapie prevedono connessioni tra l'uomo e le macchine Con quali conseguenze?
Stimolazioni cerebrali, bioibridi, microchip: quali sono i limiti?
Quarantamila impianti nel mondo, ottocento in Italia. Da quando nel 1993 Alim-Louis Benabid, a Grenoble, dimostrò che minuscoli cateteri incuneati nella profondità del cervello hanno la meglio sul tremore e i bizzarri movimenti involontari del Parkinson, la metodica è letteralmente «esplosa». Buoni risultati, affrancamento dai farmaci, ma anche la comparsa e il ripetersi di uno strano fenomeno: dopo l'impianto la personalità cambia, talvolta ad un punto tale da mettere in crisi le relazioni familiari. «Il fenomeno è ben documentato — informa Gianni Pezzoli, direttore del centro Parkinson degli istituti clinici di perfezionamento di Milano — . Nel 20-30 per cento dei malati che si sottopongono alla stimolazione cerebrale profonda (questo il nome della tecnica,
ndr) si manifesta una forma di apatia, un calo di vitalità generalizzato, e si abbassa il tono della voce, in alcuni casi fino al bisbiglio. La causa? Forse è la presenza del catetere nel cervello, forse è la sospensione di farmaci che hanno effetti simili a quelli della cocaina. Non si sa».
Un beneficio importante ottenuto ad un prezzo «esistenziale » alto, talvolta altissimo (fra queste persone non sono infrequenti i suicidi). Prezzo da tenere ben presente ora che le applicazioni della metodica si stanno allargando a macchia d'olio, dall'epilessia alla depressione, dalla cefalea ai cali di memoria, fino all'ultima, gli attacchi di panico. Lo sottolinea sulla rivista
Nature Jens Clausen, dell'istituto di etica e di storia della medicina dell'università di Tubinga. Ricordando che questi «bioibridi » stanno suscitando reazioni inimmaginabili vent'anni fa proprio fra i potenziali «clienti ». Lo dimostra la crescente resistenza nei confronti dei sofisticatissimi impianti cocleari, che nel mondo hanno ridato l'udito a più 100.000 persone, da parte di molti sordi. Allineati sulle posizioni della filosofa Anita Silvers, dell'università della California a San Francisco, che, disabile a sua volta, condanna la «tirannia della normalità » in nome della quale tutti i diversi sono inferiori e infelici.
«Fece discutere nel 2002 il caso di due lesbiche americane. Sorde, per due volte scelsero come donatore di sperma per i bimbi avuti con la fecondazione in vitro un amico con lo stesso handicap, per maggiore sicurezza con cinque generazioni di non udenti nell'albero genealogico. Le donne volevano dimo-strare, fino alla parodia, che la sordità non è una condizione di inferiorità — racconta Andrea Boggio, esperto di bioetica della Bryant university di Providence, negli Stati Uniti — . D'altro canto le neuroprotesi pongono problemi anche sul fronte dell'identità. La funzione che ti fa svolgere la "macchina" è tua oppure appartiene al biobrido con cui convivi? Siamo portati a pensare che l'identità umana sia quella dominante, ma...».
Luca Marini, docente di diritto internazionale all'università La Sapienza di Roma e vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica che sulla roboetica ha creato un gruppo di studio aggiunge: «Non è irragionevole immaginare che in futuro si arrivi al potenziamento delle capacità cerebrali dell'uomo, il cosiddetto enhancement, che unitamente alle nanotecnologie e alle neuroscienze può gettare le basi per una condizione che alcuni definiscono "post-umana"». Scenario non così ipotetico: John Donoghue, neuroscienziato della Brown university, è riuscito a tradurre in realtà l'idea che si possano compiere azioni con la «forza» del pensiero. Un microchip impiantato nel cervello rileva impulsi che un processore traduce in comandi per il cursore del computer: il risultato, già realtà per un piccolo numero di tetraplegici (il primo caso pubblicato su Nature nel 2006), è la possibilità di spedire una email o di giocare con un videogame. Tutto il sistema ha un nome suggestivo, BrainGate, letteralmente «porta» per il cervello.
«Questi dispositivi possono aprire la strada a forme di controllo del tutto nuove che porranno il problema della "privacy cerebrale" — continua Marini — . Sono convinto che la robotica debba essere al centro di un dibattito sull'etica "del nuovo", al di fuori degli schieramenti politici». «La ricerca comunque deve andare avanti — conclude Piergiorgio Strata, direttore scientifico del Brain research institute
Rita Levi Montalcini di Roma — ; fermo restando che al primo posto ci deve essere il pieno consenso, il più possibile "informato", di chi si sottopone a queste sperimentazioni».
Corriere della Sera 15.3.09
Sport. Sulla strada di Pistorius
Dall'handicap ai superatleti
Alzati e cammina, anzi corri. Un tempo era Vangelo, ora la parola passa attraverso la tecnologia. L'uomo scopre di avere possibilità infinite, e le insegue nel nome della Scienza, si batte perché le barriere cadano, perché si possa dire «non ero più in grado, ma ce l'ho fatta». Il caso dell'estate 2008 è stato, in sintesi, un caso anomalo: il nome di Oscar Pistorius ce lo siamo giocato in tanti dibattiti, dividendoci sulla storia di questo ragazzo privo degli arti inferiori che voleva correre grazie a protesi al carbonio in grado di proiettarlo in avanti, passo dopo passo, verso un traguardo impensabile, l'Olimpiade di Pechino. Apriti scandalo: ufficialmente, le polemiche esplosero sulle «lame» che sostituivano le gambe (attive? passive? procurano un vantaggio? non lo procurano?); sotterraneamente, sull'atleta e uomo Pistorius, inteso come disabile, come «mostro» dalla faccia d'angelo che aveva osato pensare di mescolarsi agli atleti «normali».
Sì, lo sport in quei giorni scoprì la paura del diverso, di colui che si alza, cammina e corre fuori dal ghetto in cui lo sport stesso — quello istituzionale, quello dei grandi avvenimenti — ha confinato i «diversamente abili». Hanno creato un'Olimpiade parallela, la Paralimpiade, nome orrendo che già sprigiona l'idea di marginalità: ogni quattro anni, migliaia di uomini e donne sfortunati ma fieri ingaggiano splendide e commoventi battaglie sportive. I giornali ne parlano, la Tv propone qualche storia strappalacrime, un minuto dopo si volta pagina e si cambia canale.
Pistorius volle farsi Spartaco e provò a spezzare le catene. Il Potere gli rispose no. Non poteva passare il concetto che l'atletica — per antonomasia lo sport della bellezza, dell'eleganza del gesto, del culto del corpo - diventasse terreno di esperimenti che ci avrebbero portati chissà dove, magari al braccio meccanico che impugna una racchetta, alla spalla bio-tech che solca l'acqua delle piscine, all'occhio artificiale che punta a un bersaglio. Finì così: finì che, bocciato dalle norme sportive e poi riammesso da un tribunale sull'onda di una massiccia indignazione popolare, Pistorius è rimasto a casa ugualmente perché ai Giochi si va se corri in certo tempo cronometrico e lui quel tempo non era riuscito a centrarlo. Fine della storia. Fine della paura di doversi scontrare con un realtà scomoda e realmente «diversa». Ma il dibattito è solo rimandato alla prossima Olimpiade — dove Pistorius ha promesso di ripresentarsi —, o alla prossima occasione nella quale un altro atleta, sfidando regolamenti che comunque andrebbero rinfrescati, riproverà ad evadere dal ghetto. Verrà il tempo, dicono gli scienziati, in cui il corpo non sarà più considerato in termini di bellezza ma di funzionalità. Vivremo più a lungo e meglio grazie agli apparati bio-tech. Anche gli atleti saranno diversi perché barriere e frontiere saranno spostate un po' più in là. Con una certezza: si scateneranno nuovi dibattiti su etica e sport, proprio come ai tempi di Oscar Pistorius.
E domani, come oggi, non si terrà conto che le protesi in fibra di carbonio possono anche spaventare ma dovrebbero impaurirci ancor di più gli esperimenti clandestini che cambieranno la faccia dello sport: dal 1999 c'è un dottore di Los Angeles, Don Catlin, capo del laboratorio antidoping di Ucla, che avverte dell'ingresso prepotente della genetica nell'area dello sport d'élite. La realtà supera la fantasia: presto potremmo vedere atleti realmente bionici, selezionati da bambini, costruiti in funzione di un determinato sport, con muscoli, ossa e nervi resi elastici, potenti e resistenti dalla terapia genica. Superatleti o mostri?
Corriere della Sera 15.3.09
La testimonianza Un malato di Parkinson si racconta
«Qualcosa è cambiato nel mio cervello manipolato»
Dopo l'intervento mi sento come svuotato. Ma sarei pronto a rifarlo
È difficile raccontarsi ed essere semplici, comprensibili, ma, soprattutto, obiettivi, ma provarci può essere d'aiuto. 1999, 46 anni, diagnosi di Parkinson. 2007, intervento di stimolazione cerebrale. La malattia dopo otto anni cominciava a impedirmi di avere una qualità di vita accettabile; i movimenti involontari, le discinesie e le distonie mi negavano una vita sociale. Ho affrontato l'intervento con la piena consapevolezza che qualunque fosse stato l'esito, la mia malattia non sarebbe stata sconfitta, ma che una pezza, pur se temporanea, ce l'avrei comunque messa. Così è stato ed è tutt'ora a due anni dall'intervento.
Ma questa «manipolazione cerebrale» (perché anche questo è l'intervento di neurostimolazione cerebrale profonda), quanto ha influito sulla mia psiche, sul mio umore, sul mio modo di rapportarmi con gli altri? Certamente la domanda andrebbe posta anche a chi mi è vicino e condivide il mio quotidiano. Per quanto mi riguarda posso solo dire che diversa è la persona che prima affrontava con impeto, rabbia e, forse, incoscienza, il progredire della sua malattia, da quella che ora accetta supinamente, quasi con noncuranza, la propria condizione. Mia moglie, che lo è da 35 anni, mi dice che l'uomo che si trova vicino adesso, quasi senza stimoli, è molto diverso da quello di prima, che non voleva arrendersi.
È questa diversità che maggiormente la spiazza, che la fa soffrire per la mia mancanza di slanci, per la poca voglia di fare qualsiasi cosa, per la difficoltà che incontro nell'esprimermi verbalmente, per la non voglia di proporre qualcosa di piacevole o gratificante, come trovare la gioia di giocare con i nipotini. Tutto questo fa soffrire anche me perché ne sono pienamente consapevole, ma non riesco a fare diversamente; è come se dopo l'intervento mi sentissi svuotato. Nei mesi immediatamente successivi all'operazione, che è stata dura in quanto il tutto si svolge da sveglio, ho avuto una forte depressione che mi ha e ci ha completamente spiazzati; insieme l'abbiamo affrontata e sono uscito dal baratro che avevo davanti. Però, non sono più lo stesso; probabilmente gli elettrodi che mi hanno impiantato vanno a toccare delle aree del mio cervello che mi provocano questi effetti. La letteratura in merito a questo tipo di intervento è ancora troppo poca; lo si effettua da pochi anni.
Nonostante i cambiamenti che ha prodotto in me, credo che lo rifarei perché, d'accordo che, come ho detto, il mio carattere si è modificato in peggio, ma penso che anche il progredire della malattia, se non facevo l'intervento, mi avrebbe modificato e mi avrebbe, probabilmente, portato a chiudermi in casa. È indescrivibile quanto stai male quando non riesci a controllare i tuoi movimenti e sei completamente in balia del tuo corpo, ti senti come una marionetta, e questa non è vita. Ora almeno, pur con poca voglia di fare, esco, sto con gli altri ed ho una qualità di vita maggiormente accettabile. Spero che ci siano meno vincoli nella ricerca e che la cura con le cellule staminali possa essere meno lontana di quanto ora appare.
Corriere della Sera 15.3.09
Psichiatria
L'ecstasy utile contro lo stress post-traumatico
L'Mdma, molecola dell'ecstasy, può aiutare i pazienti colpiti da stress post-traumatico a migliorare la sicurezza emotiva, la capacità di tollerare i ricordi dolorosi e quella di elaborarli. I dati preliminari di due trial clinici in corso in Norvegia sembrano indicare la validità dell'approccio terapeutico di ecstasy abbinata a psicoterapia. La pillola dello sballo aumenta il rilascio di ossitocina, l'«ormone della felicità».
Inoltre la droga agisce in due regioni cerebrali, inibendo la risposta automatica alla paura e aumentando il controllo delle emozioni.
Corriere della Sera 15.3.09
Hiroshige, il monaco
di Giuseppe Conte
A cinquantanove anni, Hiroshige si ritirò dal mondo e divenne monaco buddista. Nel convento compiva riti silenziosi , meditava, pregava. Si era allontanato dalla realtà, lui che della realtà era stato il trascrittore più intenso e più lirico, con cui soltanto Hokusai, fra i pittori giapponesi, poteva reggere il confronto. Ma tutte le immagini che aveva colto e dipinto gli tornavano spesso alla mente. Nella quieta spoglia, rigorosa del convento, rivedeva il fiume Noji Tama, il fiume Mie, il lago Ashi, la sera che scese la neve a Kanbara. Rivedeva quelle onde del mare che a lui erano sembrate tutte fatte di vortici e di fiori, i ponti, i campi sferzati dalla pioggia, gli alberi leggeri e tremanti per il vento. Rivedeva i fiori di pesco su cui posava un passero alla luce della luna, il roseto sotto la neve su cui compariva, variopinta, una anatra selvatica. La natura, gli elementi, le stagioni: gli uomini non potevano che inscriversi nel loro ciclico divenire. Per questo li aveva sempre dipinti così minuti e leggeri. Quando si sentì morire, mormorò i versi di un
haiku, e vide finalmente con i suoi occhi la realtà che sta oltre la realtà, quella dell'eternità, del Paradiso. (Museo Fondazione Roma, sino al 7 giugno. Tel. 06/6975450)
l’Unità Firenze 15.3.09
Il Novecento ci parla con le opere di Modì e Dalì
di Gianni Caverni
Sono 130 gli oggetti d’arte esposti in Palazzo Pitti attraverso i quali i grandi del secolo scorso si confrontano con la grandezza dell’arte antica senza perdere un grammo della loro originalità.
Più di 130 opere al Museo degli argenti di Palazzo Pitti per testimoniare le «Memorie dell'antico nell'arte del Novecento», secondo appuntamento di «Un anno ad arte» organizzato dal Polo museale e dall'Ente CR di Firenze. Fra Picasso, Dalì, Modigliani, Severini, Morandi, De Chirico, Carrà e gli esempi antichi ci ha particolarmente colpito il Vaso ortogonale realizzato da Gio Ponti nel 1923: un esempio straordinario di armonia ed eleganza. Accanto i curatori, Ornella Casazza, direttrice del museo, e Riccardo Gennaioli, hanno messo il Pithos reticolato del VII secolo a.C. che ne è stato la fonte d'ispirazione. Fuori, davanti all'ingresso di Palazzo Pitti la sensuale grande bocca di bronzo di Mitoraj che da sempre dialoga con la scultura classica. «Solo il grande artista non teme il confronto col passato - ha detto Casazza - perché è in grado di accogliere e rielaborare senza timore la lezione degli antichi». Tema non nuovo, certo, ma qui affrontato attraverso lavori di alta qualità e un'importante sezione dedicata alle arti applicate, vetro, ceramica e oreficeria. La nascita dei desideri liquidi di Salvator Dalì, proveniente dal museo Guggenheim di Venezia, fa da logo alla mostra e da copertina del bel catalogo edito da Giunti. Davvero notevoli i De Chirico presenti in mostra e particolarmente interessante ci è sembrato il confronto che Salvatore Fiume, con la sua Cattura di San Francesco volle affrontare con la battaglia di San Romano di Paolo Uccello.
Aperto fino al 12 luglio.
il Riformista 15.3.09
«Berlusconi l'ha sparata. Ma Dario è veramente un catto-comunista»
intervista a Francesco Cossiga
Dossettiani, rodaniani, social-fascisti, clericali, progressisti... Guida esegetica nel mondo degli epiteti politologici e della loro storia. Con una preoccupazione reale per lo scadere del dibattito culturale e di quello intra-ecclesiale.
«Catto-comunista!» «Clerico-fascista!». Parliamo di epiteti politologici con un grande esperto del genere, il presidente emerito della Repubblica senatore
Catto comunista, un insulto o una medaglia?
Nelle intenzioni di Berlusconi sicuramente un insulto. Ma, forse senza saperlo, ci ha azzeccato. Lei però deve permettermi un po' di filologia storica introduttiva, perché ci sono i democristiani di sinistra, i cattolici comunisti, e i catto-comunisti e i dossettiani. I primi erano l'ala sinistra della Dc, la quale a sua volta si biforcava in sinistra sociale e sinistra politica. Della prima prima facevano parte Donat Catti e Marini, il filone Cisl, ed erano decisamente anti-comunisti. Donat Cattin è stato l'ideatore del famoso "preambolo". Nel congresso dc da cui Zaccagnini uscì sconfitto, io parlai a favore del centro-sinistra, Marini intervenne dopo di me chiudendo preventivamente al Pci, questo era il preambolo, e noi perdemmo. La sinistra politica è quella di Marcora, Martinazzoli, Misasi, De Mita, Galloni, mi ci infilo anch'io...
I cattolici comunisti...
Hanno origine storica dalla Resistenza, c'è una scuola romana (quella di Rodano) e una torinese, fatta di aristocratici (il capofila era il filosofo Felice Balbo). Questi cattolici erano dottrinalmente integrali e per motivi teorici e pratici accettavano il marximo come intelligenza della storia e paradigma dell'azione politica; quindi il marxismo storico, non quello dialettico. Rodano era infastidito da certe innovazioni del Vaticano II, lui era un tomista perfetto. I cattolici comunisti fondarono il Partito della sinistra cristiana, Pio XII li condannò e il filone torinese rientrò nei ranghi con un famoso articolo sull'Osservatore Romano che venne chiamato "La resa dei conti", alludento ai quarti di nobiltà dei sottoscrittori. I catto-comunisti ricordano invece i preti patriottici della Polonia e della Cecoslovacchia, per i quali, a parte errori dottrinali, il rinnovamento poteva venire solo dal comunismo. Dossetti invece pensava che il comunismo fosse un'eresia del cristianesimo, non era per niente comunista, la sua scuola potrei definirla quella dei "demoteocratici". Ricordiamoci che durante la Costituente si recava giornalmente in Segreteria di Stato vaticana a prendere ordini e istruzioni scritti e orali.
Invece Dario Franceschini?
Franceschini è stato il promotore dell'iniziativa dei 60 parlamentari cattolici contro il "Non possumus" della Cei sui Dico proposti dalla coppia Bindi-Pollastrini. Quando finì la Dc lui, in un primo momento, voleva confluire con i cristiano-sociali di Gorrieri nel Pds, è catto-comunista fin dall'origine; fu De Mita, il suo vero sponsor, che lo portò nel Ppi.
Allora Berlusconi ha ragione?
Se si priva la parola del suo carattere di insulto, sì. Dario è più a sinistra di Veltroni. Porterà il Pd nel Partito sociale europeo, cosa che Walter non avrebbe fatto.
Non è un dossettiano?
Dossetti, e con lui Prodi, avevano del popolo e della Chiesa una concezione leninista. Franceschini, l'ha ridetto l'altro giorno, pensa che un partito oltre e più che un programma politico debba avere un modello di società, e questo è tipicamente marxista.
Come in tutto questo gioca l'elemento religioso?
Rodano aveva un fermo senso della laicità e un altrettanto fermo senso dell'ortodossia. Franceschini ha un concetto di laicità nel senso di totale indipendenza sul piano politico, le dirò di più, nel Pd sta sorgendo la categoria dei clerico-democratici, con l'aspirazione di diventare un soggetto nella vita della Chiesa.
Il piano dello scontro si sposta.
È quello che io temo. Che lo scontro politico su temi come ad esempio il testamento biologico veda da una parte schierati i cattolici "progressisti" (categoria ad uso dei vaticanisti) alleati con i laici contro i cattolici "tradizionalisti" alleati con i laici devoti, e si radicalizzi in uno scontro intra-ecclesiale in chiave anti-ratzingeriana.
Non le sembra troppo?
I fatti di questi giorni lo documentano. Tutto si gioca nell'interpretazione del Concilio: di rottura o di rinnovamento nella continuità, come dice Benedetto XVI? Kung, la scuola di Lovanio (che da università cattolica ha cambianto il nome in "per i cattolici") e quella di Bologna, che da Alberigo è arrivata a Melloni, stanno dall'altra parte.
Dall'altra parte, in senso politico, c'è invece il "clerico-fascista" Berlusconi...
No. Qui Franceschini ha toppato. Perché Berlusconi non è né fascista né tantomeno clericale. Ricordiamoci che si è definito "eticamente anarchico". Quanto al "fascista", era proprio della Terza internazionale definire fascisti tutti gli avversari del comunismo, che avessero a che fare o meno col fascismo, basta ricordare l'accusa di social-fascisti riservata ai socialisti.
E il cattolico Cossiga dove si mette in queste diatribe?
Io le ho detto i miei timori. Pensi che mio figlio, che a Messa risponde in latino alle invocazioni in italiano del sacerdote, dubita che io sia pienamente nell'ortodossia. Se posso avanzare un'analisi vedo che dopo il Concilio la pastorale e la predicazione della Chiesa si è concentrata molto su temi sociali: la pace, il terzo mondo... ma pensi anche alla crociate contro la guerra di Giovanni Paolo II che certo non era un progressista. Ora si pone il problema delle priorità. Quando in America un prelato non voleva dare la comunione al cattolico Kerry candidato alla presidenza, il prefetto della Fede Joseph Ratzinger scrisse una lettera molto chiara ai vescovi Usa. E oggi c'è un certo imbarazzo per un'Amministrazione in cui l'esponente cattolico più alto in grado, il vicepresidente Biden, è dichiaratamente pro-choice. Certo, con la sua lettera ai vescovi del mondo Papa Benedetto XVI ha dato la dimostrazione di ciò che sia il coraggio dell'umiltà anche nel porre in luce, senza nominarli, gli errori e le manchevolezze di suoi collaboratori.
Liberazione 15.3.09
Ieri l'assemblea nazionale
"Rifondazione per la sinistra" rilancia su lista e congresso Prc
di A. D'A. L.
Una relazione, 25 interventi, una discussione politica approfondita sulle prospettive del Prc e della sinistra come della crisi economico-sociale. Dall'assemblea nazionale dell'area "Rifondazione per la sinistra", svoltasi ieri al Centro Congressi di Via dei Frentani a Roma, esce un'agenda che indica passaggi e avanza proposte su tutti e tre i terreni, cercandone l'intreccio a partire dal rilancio della "bussola" che, a partire dalla relazione di Augusto Rocchi, viene rivendicata come la linea di continuità con gli stessi contenuti della mozione 2 dello scorso congresso di Chianciano. Pur se è Rocchi stesso, che reinterviene al termine del confronto politico dell'assemblea non per «conclusioni formali» e che viene scelto quale «portavoce nazionale» di qui alle europee, a dire che quel congresso drammatico ha segnato «un dibattito falsato»: non a caso con la formazione di una maggioranza «solo sulla base della lotta a chi voleva "sciogliere il partito"». Un quadro che ora sarebbe «superato dai fatti». Stante che l'area "Rifondazione per la sinistra", appunto, ribadisce che la scelta di restare nel Prc - scelta che rivendica raccolta «fra gli iscritti» da circa il 70 per cento dell'ex mozione Vendola - non è «tattica ma strategica». Perché come dice intervenendo Rosi Rinaldi, che modera l'assemblea, «se restare nel partito significa non rassegnarsi alla morte del processo d'innovazione, significa anche non accettare di sostituirlo con l'improvvisazione»: indicata nella scelta operata dal "Movimento per la sinistra" di contribuire ad una lista, quella con Sd Verdi e Socialisti, definita da altri interventi «in dissolvenza dentro una collocazione moderata».
Questi dunque gli assi su cui muove la discussione, generando le proposte dell'area: riaprire «un processo costituente della sinistra» ma «di carattere federativo», obiettivo «tanto più necessario» dopo le europee che si affrontano senza unità e che avrà «più forza» con un «successo della lista a partire dal simbolo del Prc-Sinistra europea», cioè con una presenza «alternativa» nella rappresentanza; e «dare vita ad un movimento di comitati di lotta contro la crisi». Con premesse politiche nette, però: per le elezioni, il vincolo del simbolo del partito, l'indicazione non solo del gruppo del Gue ma del Partito della sinistra europea e soprattutto l'«effettività dell'apertura delle liste ai movimenti, all'associazionismo, alle realtà di lavoro della sinistra sociale, ambientalista, femminista» - oltre al fatto che Rps ricandida Giusto Catania in un posto da capolista. E poi, passaggi conseguenti in prospettiva: un «patto di lavoro» (di eco bertinottiana) «di tutta la sinistra» da elaborare eleggendo a «sede comune» una o più tra le fondazioni di ricerca presenti, non necessariamente legate ai partiti; e dentro il Prc la richiesta di «avviare il percorso verso un congresso» che ridefinisca linea politica e rapporti interni ed esterni.
Non a caso l'assemblea serve anche a registrare le proposte nominali per le integrazioni nel Comitato politico nazionale necessarie dopo la «diaspora», che portano l'area al 31 per cento riconosciutole. Criteri: l'equilibrio di genere (oltre a 2 presenze per i Gc); e «la scelta effettuata dai territori» - da cui si forma anche il «coordinamento provvisorio» di portavoce e dove Rps ha 25 segretari di federazione e 4 regionali, ad oggi.