L'egemonia perduta
di Stefano Rodotà
Un mondo vastissimo, compresi molti cattolici, è rimasto sbalordito di fronte ad alcune affermazioni del Papa, governo e istituzioni internazionali hanno protestato e i vescovi italiani, invece di interrogarsi seriamente e criticamente su una vicenda così grave, la trasformano in un pretesto per lanciare un proclama intimidatorio, un vero e proprio diktat al quale Parlamento e politica italiana dovrebbero inchinarsi. Non è nuova l´arroganza di una politica vaticana che, debole nel mondo, cerca occasioni di rivincita nel giardino di casa, in questa povera Italia che, presentata come il luogo dal quale doveva partire la riconquista cattolica del mondo, appare sempre di più come un fortilizio dove una gerarchia disorientata cerca di rassicurare se stessa alzando la voce. Con parole forti si vuole imporre l´approvazione di una legge sul testamento biologico sgangherata e incostituzionale, lesiva dei diritti delle persone.
Si urla contro una deriva verso l´eutanasia mentre il Senato sta discutendo un disegno di legge lontanissimo dall´apertura che, su questo tema, hanno mostrato le conferenze episcopali di Germania e Spagna.
Siamo di fronte ad una prova di forza, alla volontà vaticana di sottomettere il Parlamento. Sono in gioco proprio la sovranità parlamentare e, con essa, l´autonomia dello Stato. Una inerzia colpevole, una pavidità delle istituzioni lascerebbero oggi un segno profondo sulla stessa democrazia. E un intervento così diretto può addirittura far venire il sospetto che si voglia incidere sulle dinamiche interne del nascente Pdl, chiudendo ogni spiraglio di laicità e autonomia
I governi di Francia e Germania, l´Unione europea, il Fondo monetario internazionale avevano criticato le parole del Papa sull´uso del preservativo, con una presa di distanza che metteva in discussione il ruolo internazionale della Chiesa. Il governo tedesco è guidato da una donna cattolica, Benedetto XVI aveva compiuto un viaggio in Francia accompagnato da parole impegnative del presidente Sarkozy sulla necessità di passare ad una laicità "positiva", parole che lo stesso presidente aveva già pronunciato in occasione della sua visita ufficiale a Roma. Assume grande significato, allora, la decisione di governi "amici" di non riconoscersi nelle posizioni della Chiesa. A ciò dev´essere aggiunta la decisione di Obama di firmare la dichiarazione sui diritti degli omosessuali, proposta all´Onu proprio dalla Francia e che aveva suscitato una durissima reazione del Vaticano. Viene così respinta la pretesa vaticana di dettare al mondo la linea etica su grandi temi della vita, ed emerge un isolamento che non è solo diplomatico, ma rivela una perdita di egemonia culturale.
Ora il tema del conflitto è costituito dalla legge sul testamento biologico. Tardivamente ci si è accorti di quanto fosse saggia la richiesta di moratoria, di un tempo di riflessione che allontanasse emozioni e strumentalizzazioni nell´affrontare un tema che riguarda la libertà stessa delle persone. Forse anche i cento "ribelli" del Pdl che hanno firmato contro i medici-spia dovrebbero rendersi conto che quella legge è anch´essa profondamente negatrice di diritti e che è necessaria una riflessione più profonda sui rischi di un uso sbrigativo e autoritario dello strumento giuridico. Riflessione, peraltro, che dovrebbe essere estesa ad altre materie, anch´esse affrontate finora in modo sbrigativo. Non ci si è accorti dei rischi dello stillicidio di norme che riducono la tutela della privacy, della pericolosità di proposte che vogliono introdurre controlli e censure per Internet, della disinvoltura con la quale sono state approvate in prima lettura le norme sulla banca del Dna. Se la nuova sensibilità per la dimensione dei diritti non è solo una fiammata, di tutto questo è bene che si cominci a discutere seriamente e fino in fondo.
Moratoria o non moratoria, è indispensabile ribadire in ogni momento che il testo della maggioranza sul testamento biologico è un ammasso di incostituzionalità, di regressioni normative, di piccoli deliri burocratici e linguistici, di procedure che produrranno nuove contraddizioni e nuove angosce. Non vi sono astuzie parlamentari che possano redimere quel testo dai suoi peccati. Ricordiamo che appena ieri, a fine dicembre dunque già nel fuoco della polemica sul caso Englaro, la sentenza 438 della Corte costituzionale ha riconosciuto che l´autodeterminazione costituisce un "diritto fondamentale" della persona. Come si concilia con questo diritto la pratica cancellazione del consenso informato, la sua degradazione da manifestazione di volontà a semplice "orientamento", come fa il testo di maggioranza? Come non vedere che, dietro una versione assai fumosa della formula dell´"alleanza terapeutica" tra medico e paziente, il potere sul morire viene consegnato ai medici, facendo enormemente e impropriamente crescere la loro responsabilità? Come non vedere che il rifiuto da parte del medico di dare attuazione alle direttive anticipate creerà nuovi drammi, nuove rappresentazioni pubbliche del dolore e ricorsi che trasferiranno al giudice la decisione finale sul morire, cioè esattamente quello su cui si è tanto polemizzato?
Sono interrogativi provocati da pervicacia politica e incultura, dal fatto che la dimensione costituzionale non appartiene a questo governo e questa maggioranza, che vogliono cogliere ogni occasione per cercar di liberarsene. Proprio per questo si cerca di costruire una Costituzione abusiva, dove la possibilità di imporre per legge trattamenti obbligatori è svincolata dall´unica sua premessa costituzionalmente corretta, il rischio per la salute pubblica, come hanno sempre messo in evidenza gli studiosi (venerata ombra di Costantino Mortati, grande costituente cattolico, manifestati!); dove si propongono indecorosi pasticci tra rifiuto delle cure e vendita di organi; dove il rispetto della dignità è convertito in strumento per imporre una misura della dignità in conflitto con la libertà di scelta della persona.
Una vigile attenzione per i diritti dovrebbe segnare la discussione politica, il primo passo dovrebbe essere appunto il ritorno pieno nella dimensione costituzionale. E, insieme ad esso, i legislatori dovrebbero interrogarsi sui limiti della legge, su quanto si addica alla vita "l´ipotesi del non diritto", che attribuisce alla norma giuridica non un illimitato potere di ingerenza, ma la funzione di costruire le condizioni necessarie perché ciascuno possa decidere liberamente.
Repubblica 24.3.09
"Il Papa è stato deriso e offeso" vescovi al contrattacco sull´Aids
"Subito la legge sul biotestamento, basta tentennare"
di Orazio La Rocca
CITTÀ DEL VATICANO - Una legge sul testamento biologico che - «senza lungaggini o strumentali tentennamenti» - eviti «almeno» il ripetersi di nuovi casi Englaro. Ma, soprattutto, una ampia ed appassionata difesa del Papa dagli «attacchi pretestuosi, discutibili e insolenti» di quanti - nei media e persino in ambito ecclesiale - lo hanno «irriso» per aver sostenuto che il preservativo è «inutile» per la lotta all´Aids e per aver tolto la scomunica al vescovo negazionista Williamson.
Difesa a tutto campo del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, per papa Ratzinger e per le opzioni morali cattoliche, aprendo - ieri pomeriggio - il Consiglio permanente Cei, il «governo» vescovile della Chiesa italiana. Il porporato parla, brevemente, anche dell´attuale recessione economica per la quale invita «le istituzioni» a varare provvedimenti in difesa dei soggetti più deboli, «in particolare le famiglie in difficoltà, i disoccupati, i giovani». Vero e proprio «allarme sociale» contro il quale chiede che le diocesi italiane varino «fondi di garanzia per aiutare i nuclei familiari bisognosi». Una proposta subito definita «importantissima» dal segretario del Pd Enrico Franceschini, che parla di «segno di concretezza e di grande consapevolezza della crisi da parte della Chiesa».
Durissimo il riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, che il cardinale inquadra in una sorta di lotta tra «chi ha nella vita il bene più grande di Dio» e chi, invece, pensa che l´esistenza sia solo frutto di «casuale» evoluzionismo. «Benchè quella povera ragazza non fosse attaccata ad alcuna macchina, s´è voluto decretare - accusa Bagnasco - che a certe condizioni poteva morire... contraddicendo una intera civiltà basata sul rispetto incondizionato della vita umana e smentendo un lungo processo storico che ci aveva portato ad affermare l´indisponibilità di qualunque esistenza, non solo a fronte di soprusi o violenze, ma anche di fronte a condanne penali quali la pena di morte». Si è messo, così, in moto «una operazione tesa ad affermare un �diritto´ di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire, cioè a darsi la morte in talune situazioni da definire». Nell´invitare a pregare per l´anima di Eluana e per «il dolore dei parenti», il cardinale si augura che «almeno ora la politica sappia fare la sua parte, varando un inequivoco dispositivo di legge che, in seguito al pronunciamento della Cassazione, preservi il Paese da altre analoghe avventure, favorendo le cure palliative per i malati e l´aiuto alle famiglie attraverso le Regioni».
Altrettanto severo il richiamo al caso Williamson, una vicenda che, lamenta il porporato, «si è prolungata oltre ogni buon senso», a causa di «un lavorìo di critica dall´Italia e soprattutto dall´estero nei riguardi del nostro amatissimo Papa». Con la stessa determinazione Bagnasco respinge gli attacchi a cui è stato sottoposto Benedetto XVI all´inizio del viaggio africano - concluso proprio ieri dopo la visita in Angola - , un pellegrinaggio che «fin dall´inizio è stato sovrastato nell´attenzione degli occidentali da una polemica, sui preservativi, che francamente non aveva ragione d´essere. Non a caso sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse... ».
l'Unità 24.3.09
L’inviato Onu per i diritti umani nei Territori: i bombardamenti su aree molto popolate sono illegali, c’erano alternative diplomatiche
«Chiedere la verità su Gaza non è antisemitismo»
Intervista a Richard Falk di U.D.G
Un’inchiesta di esperti per determinare se fosse possibile per i soldati israeliani distinguere tra la popolazione civile e obiettivi militari durante l’offensiva a Gaza e per stabilire quindi se sia stato commesso un crimine di guerra. A proporlo è Richard Falk, dal marzo 2008 Relatore Speciale Onu per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati. «In me e nel team che ha redatto il rapporto (discusso ieri a Ginevra nel Consiglio dei diritti umani, ndr.) non c’è alcuna volontà persecutoria verso Israele. A muoverci c’è la determinazione a stabilire la verità. È quanto dobbiamo alle vittime di Gaza. Verità e giustizia», dice Falk a l’Unità. Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton e membro del Foro di New York, non intende pronunciare alcuna «sentenza». Ma non è neanche reticente su quanto fin qui assunto nel rapporto: «Ci sono motivi per concludere che l’offensiva militare a Gaza costituisca un crimine di guerra». Secondo il relatore speciale dell’Onu per i Territori, il «ricorso alla forza» da parte di Israele per far cessare il lancio di razzi palestinesi sul suo territorio - causa scatenante del conflitto per lo Stato ebraico - non è «giustificato dal punto di vista legale considerate le alternative diplomatiche disponibili».
Professor Falk, nel rapporto presentato oggi (ieri, ndr.) al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Lei ha perorato l’istituzione di una commissione d’inchiesta che faccia piena luce sull’offensiva militare israeliana a Gaza. Su che basi fonda questa richiesta?
«Sulle norme del Diritto umanitario internazionale e su quelle della Convenzione di Ginevra. Le ricerche da noi effettuate offrono materiale sufficiente per affermare che se in un teatro d’operazione militare non è possibile distinguere tra obiettivi civili e militari, l’operazione è un’attività totalmente illegale e sembra costituire un crimine di guerra della maggiore gravità secondo il Diritto internazionale. Ebbene, sulla base di elementi di prova attualmente disponibili, ci sono fondati motivi per ritenere che gli attacchi (israeliani) risultano illegali di per sè e sembrano costituire un crimine di guerra della più grande portata in base al Diritto internazionale» .
Professor Falk, in passato le autorità israeliane l’hanno accusato più volte di un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti dello Stato ebraico».
«Sono accuse che respingo con la massima fermezza e con sdegno. Chiedere verità e giustizia per i civili uccisi a Gaza, denunciare l’assoluta illegalità, oltre che la disumanità, delle punizioni collettive inflitte ad una popolazione stremata dall’embargo, tutto ciò non ha nulla a che fare con l’antisemitismo. A Gaza sono state colpite aree densamente popolate. Ciò è incontestabile. Alla popolazione non è stata data possibilità di fuggire dal teatro di guerra. Occorre accertare le responsabilità e punire i responsabili. Chiedere l’accertamento della verità è essere “pregiudizialmente ostile” a Israele?. Da democratico e da ebreo mi ribello a questo assunto».
Le autorità israeliane sostengono che l’Operazione Piombo Fuso si configura come un esercizio di autodifesa?
«I bombardamenti sistematici su aree densamente popolate non possono essere giustificati dal punto di vista legale. Si tratta di un crimine di guerra. E come tale va perseguito».
Repubblica 24.2.09
L'Onu: Israele a Gaza ha usato scudi umani
Rapporto sulla guerra: un ragazzino palestinese costretto a fare da apripista ai militari
Un rapporto di 43 pagine analizza i crimini ai danni di bambini. Anche Hamas sotto accusa
di Alberto Stabile
GERUSALEMME - Non s´era ancora spenta l´eco delle gravi ammissioni fatte da alcuni soldati sul trattamento riservato ai civili durante la guerra contro Hamas a Gaza, che una nuova, sconvolgente accusa arriva dalle Nazioni Unite.
Un ragazzino palestinese di 11 anni sarebbe stato utilizzato come scudo umano da un´unità dell´esercito israeliano. Nelle 43 pagine del rapporto voluto dalla segreteria generale per la protezione dell´infanzia si dà conto di altri crimini commessi ai danni di bambini. Il che rende ancora più discutibile l´affermazione del Capo di Stato Maggiore, Gabi Ashkenazi, secondo cui le Forze armate israeliane sono «l´esercito più morale del mondo».
Era il 15 gennaio quando i carri armati israeliani sono entrati sparando nel quartiere Tel al-Hawa, a Gaza. Radhika Coomaraswamy, a capo di un gruppo di nove esperti inviati dall´Onu per indagare sulle violazioni commesse a Gaza, ricostruisce nel suo rapporto l´accaduto. In breve, le truppe di Tsahal hanno intimato al ragazzino palestinese di camminare di fronte a loro e di entrare per primo nelle case dove si sospettava la presenza di miliziani. E non basta. Secondo il rapporto, soldati israeliani hanno sparato sui bambini; una casa, con dentro una donna e un bambino, è stata abbattuta dai bulldozer; un edificio dove, il giorno prima, erano stati costretti ad entrare dei civili, è stato bombardato. Sono questi - ha detto Radhika Coomaraswamy - «soltanto pochi esempi su centinaia di incidenti che sono stati documentati e verificati».
Non poche denunce di gravi violazioni dei diritti umani riguardano anche Hamas. I miliziani islamici sono stati accusati di aver ucciso o gambizzato avversari politici, nonché di aver essi stessi fatto uso di scudi umani. Ma le Nazioni Unite, hanno detto gli esperti, devono ancora verificare queste accuse.
Quanto alle Forze amate israeliane, ieri, prima che scoppiasse il caso del ragazzino di Tel al-Hawa, era stata l´organizzazione umanitaria israeliana Medici per i Diritti Umani (Phr) a denunciare l´esercito di aver «palesemente violato il codice etico», non soltanto «non evacuando famiglie di civili assediate e ferite», ma anche «impedendo ai soccorritori palestinesi di raggiungere i feriti».
Gli stessi medici del Phr, una Ong che collabora con analoghe organizzazioni palestinesi, sono stati testimoni diretti di alcune di queste violazioni. E le raccontano. Il 3 gennaio, per esempio, la casa della famiglia Al Aaidi, nel rione Jahar Adik, venne attaccata dai soldati. Sei dei suoi venti componenti furono feriti. Il giorno dopo, in seguito alla richiesta di aiuto degli Al Aaidi, Phr si rivolse all´esercito. «Ma per sei giorni - si legge nel dossier - l´Idf ha impedito alle ambulanze di passare». Soltanto 10 giorni dopo sono stati permessi i soccorsi.
Un altro caso è quello del 16 gennaio, quando Mahmud Shar e i suoi due figli, abitanti nel quartiere Algharahi, usciti in cerca di cibo durante le due ore di cessate il fuoco umanitario, furono colpiti dal fuoco di una mitragliatrice. Uno dei due figli morì subito dopo l´attacco. L´altro fu ferito ad una gamba. Il padre subì lievi ferite da schegge. Le richieste avanzate dal Phr di soccorrere i feriti «non vennero raccolte». Risultato: anche il secondo figlio morì, dissanguato. In generale, sostengono i Medici per i Diritti Umani, l´esercito non ha mostrato rispetto per i soccorritori e per le istituzioni mediche. In guerra 16 medici e infermieri sono stati uccisi, e 25 feriti mentre facevano il loro dovere. 34 centri sanitari sono stati bombardati.
Repubblica 24.3.09
La rivoluzione del sangue artificiale "Sicuro e per tutti grazie alle staminali"
I medici britannici lo produrranno in laboratorio. "Trasfusioni fra 3 anni"
di Enrico Franceschini
Il sangue sintetico potrà essere usato quando occorre la trasfusione di emergenza
Si cercherà di riprodurre la tipologia del gruppo «0» dei donatori universali
LONDRA - È il carburante della vita, la linfa senza la quale non possiamo respirare, pensare, muoverci. È il liquido prezioso che può salvare le vittime di incidenti stradali, guerre, sciagure naturali. E fino ad ora è sempre stato difficile procurarselo, per almeno tre ragioni: la sua disponibilità dipende dall´offerta spontanea di donatori umani; è complicato trovare il tipo giusto per ciascun individuo; e bisogna stare attenti al pericolo che sia infetto. Ma adesso tutti questi problemi potrebbero essere spazzati via grazie alla creazione di sangue artificiale: in quantità illimitate, di un tipo che va bene per tutti e privo del rischio di infezioni. Scienziati britannici saranno infatti in grado di produrre sangue sintetico da cellule staminali embrionali: l´annuncio ufficiale è previsto per i prossimi giorni, ma la notizia è stata anticipata ieri dal quotidiano Independent. Entro tre anni, i ricercatori impegnati nel progetto contano di effettuare il primo test su un volontario umano: la prima trasfusione di sangue che non proviene da un uomo o una donna, ma è stato creato in laboratorio. Guidata dal professor Marc Turner dell´ università di Edimburgo, l´iniziativa promette di rivoluzionare i metodi di trasfusione sanguigna, che attualmente dipendono in ogni paese del mondo da una rete di donatori di sangue fresco. L´obiettivo degli studiosi britannici è di stimolare cellule staminali ricavate da embrioni "dimenticati", ossia da quegli embrioni creati in eccedenza nei processi di fecondazione assistita, affinché queste si sviluppino in mature cellule sanguigne portatrici di ossigeno, da utilizzare appunto per tutte le trasfusioni di emergenza. Gli scienziati cercheranno tra le staminali degli embrioni quelle in grado di produrre sangue del gruppo «O», il gruppo donatore universale che può essere trasfuso senza problemi a qualunque paziente, anche coloro che hanno altri gruppi sanguigni, senza alcun timore di un rigetto. Questo genere di sangue è piuttosto raro: lo possiede solo il 7 per cento degli esseri umani.
Raccoglierlo attraverso le donazioni è dunque complicato. Ma utilizzando le staminali embrionali, che hanno la capacità di moltiplicarsi all´infinito in laboratorio, il sangue di gruppo «O» potrà essere prodotto in quantità illimitate. Produrre sangue sintetico, inoltre, avrebbe il vantaggio di non essere a rischio di infezioni da virus dell´Aids, epatiti o altre malattie.
Sviluppare sangue artificiale susciterà certamente polemiche di carattere etico. Le associazioni per la difesa della vita saranno contrarie per principio alla distruzione di embrioni, sebbene si tratterebbe delle rimanenze inutilizzate per la fecondazione artificiale. E poi potrebbe nascere la delicata questione filosofica relativa al fatto che quel sangue proviene da una non-persona, da qualcuno che non è mai esistito: la linfa della vita, dono di Dio per i credenti, verrebbe prodotta in laboratorio. È verosimile che anche per questo l´annuncio ufficiale del progetto sia per il momento rinviato: per complesse «ragioni legali», affermano fonti dei centri di ricerca coinvolti tra cui, la Nhs Blood and Transplant e il Wellcome Trust. All´iniziativa partecipa anche la Roslin Cells, una società emersa dal famoso Roslin Institute dove nel 1996 venne clonata la pecora Dolly.
Ricerche analoghe sono in corso in Svezia, Francia, Australia, e lo scorso anno un gruppo statunitense, l´Advanced Cell Technology, aveva reso noto di essere in grado di produrre miliardi di cellule sanguigne dalle staminali, ma aveva poi abbandonato il progetto per l´interruzione dei finanziamenti decisa dall´amministrazione Bush: limitazioni che il presidente Obama ha ora rimosso.
Repubblica 24.3.09
Quei maldestri tentativi di riscrivere la storia
risponde Corrado Augias
Gentile dottor Augias, giorni fa mi sono recato con i miei studenti ad un convegno presso il milanese Liceo scientifico Vittorio Veneto. Tema: "La nascita della Repubblica". Numerosi i relatori: il preside del liceo Michele D'Elia, il prof. Massimo De Leonardis dell'Università Cattolica, il giornalista e scrittore Romano Bracalini, altri. Da numerosi interventi è risultato che dopo il 25 luglio, passando per l'8 settembre, la monarchia aveva salvato l'unità del paese, che il regio esercito ricostituito attraversò l'Italia salvando l'onore patrio, che la monarchia non era responsabile delle colpe del fascismo, ecc. Alcuni esperti hanno poi trattato il tema dei brogli e la falsa vittoria della Repubblica al referendum del 2 giugno, quando il senso di responsabilità di Umberto II evitò la guerra civile. Solo un giornalista ha fatto una timida difesa della Repubblica. Alcuni miei studenti, sconcertati, mi hanno chiesto come sia possibile difendere, oggi, tali tesi da loro definite addirittura "negazioniste". A me resta l'amarezza di constatare che in un periodo in cui chi guida il paese definisce "sovietica" la Costituzione, si tenti di delegittimare le istituzioni all'interno di un'istituzione della Repubblica.
Prof. Giovanni Ribaldone
Il giudizio sulla monarchia e su Vittorio Emanuele III è quasi unanime. Le opinioni espresse nel convegno milanese sono marginali, ispirate da fonti lacunose o di parte. Il re negli anni terribili dal 1919 al 1922 non difese lo Stato contro le aggressioni fasciste. Non lo difese nell'ottobre del 1922 quando Mussolini organizzò la Marcia su Roma. Rimase soggetto per vent'anni al Duce contento di potersi fregiare del titolo di "imperatore" dopo le conquiste africane. Non difese i suoi sudditi ebrei nel 1938 promulgando le infami leggi razziali. Vero che dopo il 25 luglio fece arrestare Mussolini. I giochi però erano ormai fatti ed erano stati gli stessi gerarchi a mettere il Duce in minoranza, la sua vita politica finì nel momento in cui il famoso Ordine del Giorno Grandi venne votato dal Gran Consiglio. L'8 settembre il re, la corte, alcuni alti ufficiali fuggirono vergognosamente mettendosi in salvo a Brindisi lasciando i romani preda della vendetta nazista. Per un comportamento regale molto diverso si veda quanto fece la regina inglese nei mesi tremendi dei martellanti bombardamenti tedeschi su Londra. I brogli in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno sono una vecchia leggenda che si credeva ormai spenta. Vero invece che Umberto, il re di maggio, si comportò con correttezza. Appresa la vittoria della Repubblica signorilmente si eclissò. Uno dei pochi Savoia, del passato e del futuro, a sapere come agisce un sovrano nel momento in cui la sua funzione appare superata dalla Storia. Quella vera.
Repubblica 24.3.09
Destra. Le due identità del partito conservatore
Un lavoro enorme attende la sinistra italiana: la ricostruzione di un patrimonio ideale degno di questo nome. E dovrà intercettare le tendenze che usciranno dalla crisi
di Aldo Schiavone
Nella storia politica del nostro Paese non è mai esistito una forza politica di questo tipo. La Dc era un´altra cosa, e l´Msi era saldamente radicato nel neofascismo
Con la fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale potrebbe nascere quel partito conservatore di massa che è sempre mancato nel nostro paese. Prospettive e rischi di un'operazione politica
Un paradosso stringe oggi da vicino la destra italiana. Il berlusconismo le ha consentito un successo clamoroso e insperato. Ma dal berlusconismo dovrà subito uscire, se vuole darsi una prospettiva che regga al futuro.
Nella storia politica del nostro Paese non è mai esistito, finora, un partito conservatore di massa. Un partito, cioè, schierato in modo conseguente sia a destra, sia sul terreno della democrazia. La Dc era un´altra cosa, anche se nel suo amalgama la destra rappresentava una componente essenziale. E un´altra cosa, naturalmente, era l´Msi, intrinsecamente minoritario, e saldamente radicato nel neofascismo fino agli inizi degli anni novanta.
Questa assenza � un´anomalia assoluta rispetto alle altre grandi democrazie dell´Occidente � si spiega con i traumi subiti dall´Italia nella prima parte del suo Novecento: un´epoca di ferro e di fuoco, in cui abbiamo inventato, insieme, il fascismo e la forma europea del comunismo, nel tentativo di venire a capo di un durissimo scontro di classe; abbiamo combattuto due guerre mondiali, e ci siamo dilaniati in un sanguinoso conflitto civile di liberazione nazionale.
Il prezzo lo abbiamo pagato ingessando per i quarant´anni successivi la nostra politica e la stessa democrazia faticosamente riconquistata, immobilizzate entrambe intorno all´ininterrotto primato del centrismo democristiano: in un primo tempo, in una condizione di vera e propria "guerra fredda civile" (negli anni cinquanta); più tardi, in un consociativismo sempre più spinto (legittimato dalla strategia del "compromesso storico"), durato sino alla fine degli anni Ottanta.
E´ stato solo il collasso del comunismo e il crollo dell´impero sovietico che ha spazzato via tutto questo, creando le condizioni per una nostra piena "normalizzazione" democratica. Il processo è stato tuttavia più faticoso del previsto, e su di esso (come ha scritto Ezio Mauro) ha messo ben presto il suo "sigillo" Silvio Berlusconi, con le ben note conseguenze.
Egli si era trovato d´improvviso un´autostrada vuota spalancata innanzi, e si è imposto in un´Italia socialmente, politicamente e culturalmente decostruita da una duplice transizione, post-industriale e post-democristiana; un Paese ansioso di voltar pagina, cui ha saputo offrire uno specchio in cui riconoscersi, una facile ideologia acquisitiva e mercatista che sembrava al passo con i tempi, e un´interpretazione scarnificata e leaderistica della democrazia, ai limiti del sovversivismo, in sintonia con alcuni caratteri profondi della nostra identità. Non è riuscito a imporre un´autentica egemonia sul Paese, ma ci è andato vicino, e soprattutto è stato capace di incunearsi nel rapporto fra sinistra e modernizzazione, che si era già spezzato negli anni Ottanta, e a interporre, nel varco che si era creato, la propria narrazione, i propri simboli, la propria messa in scena, ricongiungendo � nel sentire della maggioranza degli italiani �nuova destra e nuova modernità, antistatalismo e leggerezza consumistica.
Ma ora anche questa stagione sta finendo. La crisi sta disegnando per noi un altro orizzonte, ben lontano dall´orgia di mercato che abbiamo finora vissuto. Nell´Europa e nel mondo che usciranno dalla recessione, quello che abbiamo conosciuto e identificato finora come "berlusconismo" non avrà più spazio. È irrimediabilmente la canzone di un´altra età, di quell´Italia liquefatta dall´impeto della deindustrializzazione e stordita dalla scomparsa del vecchio sistema dei partiti, che ormai ci stiamo lasciando alle spalle. Può darsi che il vecchio leader riesca, con un colpo di teatro, a sopravvivere politicamente alla sua stessa creatura, improvvisando non saprei quale metamorfosi. Sarà tuttavia molto difficile.
Oggi la prospettiva di una nuova destra � di un partito conservatore di massa come elemento decisivo della normalizzazione democratica italiana � passa per un´altra strada. Quella di Burke e non di de Maistre, come ha scritto Eugenio Scalfari su questo giornale. La tradizione, la terra, la nazione certo; e poi innesti nuovi: la Costituzione, il presidenzialismo, la riscoperta dello Stato. Ma qui le strade si dividono, e gli eredi del berlusconismo cominciano a manifestare idee diverse, e non facilmente componibili.
C´è la visione di Fini, che ormai guarda esplicitamente oltre Berlusconi, e mette in guardia con parole forti dai rischi del leaderismo in nome di una concezione più pluralista, più laica (che non rinuncia a un filone illuministico: ancora Scalfari). E quella invece di Tremonti, che sembra avere in mente un´Italia ripiegata nel suo guscio, meno "globale" e più "locale", municipalizzata, dichiaratamente "neoguelfa", pronta a essere accolta sotto le bandiere della Chiesa.
Di fronte, un lavoro enorme attende la sinistra italiana: la ricostituzione di un patrimonio ideale degno di questo nome. Può riuscirvi. Il Paese aspetta un´indicazione forte, all´altezza della gravità del momento. Dalla recessione non si esce arretrando. La globalizzazione è senza ritorno, come lo è il rapporto fra tecnica, vita e mercato. Ma bisogna elaborane una forma più matura. La sinistra può vincere se saprà intercettare le tendenze che usciranno dalla crisi. La destra farà fatica a farlo. Non è dalle sue parti che ha mai abitato la razionalità sociale di cui abbiamo bisogno. Cerchiamo di ricordarlo.
Repubblica 24.3.09
Logica del profitto
Mercatisti senza identità
Intervista al filosofo Alain de Benoist
Esistono molte destre, ma tutte accomunate dall´adesione al liberismo mercantile. Quella attuale è senz´anima e senza idee, ma dominata dal denaro. Vedo solo elementi negativi
PARIGI. «Quella attuale è una destra senz´anima e senza idee, ma dominata dal denaro». Alain de Benoist, filosofo francese considerato uno dei teorici della nuova destra, non usa mezzi termini. «Esistono molte destre, ma tutte accomunate dall´adesione al liberalismo mercantile», spiega lo studioso. «Quelle correnti della destra che in passato guardavano con sospetto il denaro, l´individualismo e il dominio dell´economia sulla politica oggi hanno pienamente accettato questa prospettiva, aderendo in toto al capitalismo e al mercato».
In passato l´antimodernismo era un dato caratteristico della destra. È ancora vero?
«No. Paradossalmente, oggi l´idea del progresso appartiene più alla destra che alla sinistra. La critica delle forme del progresso è esercitata soprattutto dai verdi, che di solito sono collocati a sinistra. La destra ha anche aderito più apertamente alla globalizzazione e alla logica del profitto che la sottende».
La globalizzazione però rimette in discussione un principio fondatore della destra, vale a dire l´attaccamento al territorio e alla nazione...
«In effetti, nasce da qui la sua schizofrenia. Sul piano della retorica, la destra non abbandonato il legame con il territorio e la nazione, ma nella pratica essa aderisce a un sistema economico che rimette in discussione radicalmente queste nozioni, mirando a sopprimere le frontiere e le identità nazionali. Insomma, la destra difende un sistema che progressivamente distrugge tutto ciò che essa vorrebbe conservare».
Ciò spiega la sopravvivenza al suo interno di una componente estremista, spesso xenofoba e razzista?
«Solo in parte. In realtà, la destra più dura vuole salvare l´identità nazionale, pensando che la minaccia venga innanzitutto dagli immigrati. In realtà, la vera minaccia viene dal capitalismo stesso, il cui enorme mercato globale minaccia i modi di vita locali e popolari molto di più dell´immigrazione».
L´antiegualitarismo fa ancora parte dell´apparato concettuale della destra?
«Ormai non è più una discriminante forte nei confronti della sinistra. La destra ammette senza difficoltà l´eguaglianza dei diritti politici e delle opportunità. Ha anche pienamente adottato i diritti dell´uomo. Sul piano delle libertà però, tende difendere soprattutto la libertà del mercato, da qui la difficoltà di fronte all´attuale crisi economica. In realtà, oggi non esistono più un pensiero, una filosofia o una visione del mondo di destra. Le trasformazioni degli ultimi vent´anni hanno travolto le identità ideologiche e uno dei grandi problemi della destra è proprio quello di sapere cosa significhi oggi essere di destra».
Come fare allora per tentare una definizione?
«Io vedo solo elementi negativi. La destra è diventata una coalizione di interessi, che sul piano internazionale fa parte del grande club occidentale contrapposto al resto del mondo. Ciò spiega ad esempio l´enorme successo tra le sue fila del tema dello scontro di civiltà tanto caro a Huntington».
La differenza tra destra radicale e destra di governo è ancora importante?
«Tende a stemperarsi. Lo ha mostrato ad esempio la campagna elettorale di Sarkozy. Tuttavia l´esistenza dei movimenti di estrema destra fa parecchio comodo alla destra di governo, perché ne mostra per contrasto la rispettabilità. Per la destra, quindi, questi movimenti sono politicamente ininfluenti, ma molto utili».
Repubblica 24.3.09
La parabola dei neofascisti italiani
Dai covi neri alle auto blu
di Filippo Ceccarelli
Una storia fatta di fughe in avanti e sconvolgimenti, corse all´indietro e pentimenti. Accadeva qualcosa di grosso, di serio e d´imprevisto
Al congresso di scioglimento di Alleanza nazionale, in uno degli stand più vivi e frequentati, quello della Fondazione FareFuturo raccolta attorno a Gianfranco Fini, era in distribuzione un utile libricino, La destra nuova, a cura di Alessandro Campi e Angelo Mellone, che nel titolo ricalcava, adeguava e insieme superava e rovesciava, senza nemmeno troppa arroganza, l´esperienza e le suggestioni, molto anni Ottanta, della cosiddetta "Nuova destra", ormai invecchiata.
Ecco, anche solo a sfogliare questo elegante volumetto che spiega molto sull´evoluzione di Fini guardando all´esperienza di Sarkozy, del britannico Cameron e dei "nuovi moderati" svedesi, veniva voglia di entrare nella macchina del tempo: per vedere che faccia avrebbero fatto se fosse finito nelle mani di certi personaggi del Msi degli anni Cinquanta, o Sessanta, o Settanta, e pure Ottanta. Gente davvero parecchio stramba: sospetti figli naturali del Duce, aristocratici decaduti nel paracadutismo, profeti macilenti, ex promesse del regime ridotte alla fame, fascistoni tipo Tognazzi ne Il federale e poi avventurieri, mutilati, pugilatori, anarchici, pazzi. Ma anche molti altri che non si volevano riconoscere come fascisti. "Esuli in patria" vennero qualificati, ma solo tanti e tanti anni dopo.
Nello scritto introduttivo Campi e Mellone presentano questa "destra nuova", appunto, come «riformista, pragmatica, postideologica, laica, modernizzatrice»; ma proseguendo nell´analisi e calandosi nella realtà delle scelte è chiaro che si tratta di una cultura politica assai più che rispettabile, almeno per chi abbia a cuore non solo il valore, ma soprattutto l´efficacia della democrazia.
Ecco. I nonni e i padri di quell´antica destra avrebbero probabilmente pensato a uno scherzo. Oltretutto, intriso com´era di spirito tra la goliardia e I tre moschettieri, quel mondo di reduci e nostalgici adorava le beffe. In un comizio di De Gasperi, a Napoli, per dire, gli attivisti missini liberarono centinaia di topi. Però si trattava anche di una comunità compiaciuta della propria necrofilia, come documentano arredi, simboli, grafica, labari e canzoni.
Il punto è che rimanendosene pigramente a sinistra a volte si perdono non solo le prospettive, ma spesso anche il senso della topografia politica. Così circa quarant´anni orsono, in un tempo di clamori e dissennatezze, risuonò nelle vie uno slogan che intimava: «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!». Ecco: con il senno di poi occorrerà riconoscere che quell´appello, oltre che molto incivile, era pure sbagliatissimo, nel senso che non si trattava di fogne, ma di un´intera città sotterranea.
Non che là sotto mancassero pozzi neri maleodoranti e fiumi pericolosi. Ma oltre alle catacombe ed ad altri luoghi di culto, c´erano ambulacri, piazze, scuole, stadi, palestre, biblioteche, teatri, anche piuttosto frequentati. E laggiù non viveva un unico popolo, ma un numero abbondante di tribù, alcune perfino in guerra fra loro.
Questa era insomma la destra, quella emersa nei suoi tratti truculenti, e quella più inesplorata che misteriosa dell´ipogeo. Poi anche qui, e lì sotto, deve essere accaduto qualcosa di grosso, di serio e d´imprevisto. Fughe in avanti e sconvolgimenti, corse all´indietro e pentimenti. Un´intera cultura politica salutava il passaggio di secolo con rassegnata fiducia e trepido disincanto. L´identità diventava retorica, l´utopia saliva a bordo di un´auto blu; e tra "nuova destra" e "destra nuova" la novità è tale da non potersi più forse nemmeno nominare destra, ma in qualche altro modo per cui ancora manca la parola.
Repubblica 24.3.09
Sylvia Plath. Il fantasma di una madre
Il suicidio di Nicholas Hugues
di Tommaso Pincio
Quarantasei anni dopo il suicido di sua madre, la poetessa Sylvia Plath, Nicholas Hughes si è impiccato nella sua casa in Alaska. Da anni combatteva contro la depressione. Aveva lasciato la cattedra di Scienze oceaniche all´università di Fairbanks per mettere su una fabbrica di ceramiche. Nicholas Hughes era nato 47 anni fa dal matrimonio fra la Plath e Ted Hughes, anche lui poeta. Non era sposato e non aveva figli. Si è ucciso il 16 marzo scorso, ma la notizia è stata diffusa l´altro ieri sul Times dalla sorella Frieda.
Sylvia Plath si uccise nel 1963 con il gas. Sei anni dopo anche la nuova compagna di Ted Hughes, Assia Wevill, si tolse la vita allo stesso modo e morì anche la figlioletta della coppia. Sul poeta britannico cadde la colpa di aver spinto entrambe le donne al suicidio con i suoi adulteri. La sua versione dei fatti fu raccontata poco prima della morte, nel 1998, in Lettere di compleanno.
Il figlio della grande poetessa viveva in Alaska Quando sua madre si tolse la vita aveva solo un anno
Un mese dopo l´uscita della "Campana di vetro" la scrittrice si uccise con il gas
Aveva 47 anni, insegnava scienze oceaniche, una passione ereditata da suo padre
Non deve essere facile trovare un posto nel mondo sapendo che tua madre si è tolta la vita quando tu eri poco più di un neonato. Ancor meno deve esserlo se lei lo ha fatto in cucina, infilando la testa nel forno mentre tu, ignaro, dormivi nella camera accanto insieme alla sorellina di due anni. Se poi il gesto estremo diventa un mito della letteratura moderna e trasforma tua madre in un oggetto di culto, vivere può rivelarsi intollerabile.
Nicholas Hughes, figlio di Sylvia Plath, si è impiccato la scorsa settimana. Viveva immerso nei paesaggi aspri e selvaggi dell´Alaska. Aveva ereditato la passione per il mare e i pesci dal padre Ted che amava esaltare la potenza della natura nei suoi versi. Pare che nonostante tutto avesse mantenuto un entusiasmo e un´innocenza quasi infantili. Ma il difficile equilibrio deve essersi spezzato. I fantasmi del passato hanno preso il sopravvento. «Ha lottato per qualche tempo contro la depressione» spiega la sorella Frieda.
Si dice spesso che la tendenza al suicidio sia ereditaria. Il caso di Sylvia Plath è però assai aggrovigliato e non può essere ridotto a una questione di tara genetica. Che la scrittrice soffrisse di manie depressive è fuor di dubbio, così com´è certo che i tre elettroshock cui fu sottoposta da ragazza non l´hanno aiutata. Furono tuttavia altre le questioni sollevate all´indomani del ritrovamento del cadavere, l´11 febbraio 1963. Si parlò di pene d´amore, di tradimento, di un celebrato quanto egoista poeta inglese che aveva abbandonato una dotata quanto fragile poetessa americana per un´altra donna.
Sylvia e Ted si erano conosciuti sette anni prima, a Cambridge. Nata a Boston, Sylvia era una studentessa brillante con una sfrenata ambizione di imporsi nel mondo letterario. Ted era invece un giovanotto inglese dai progetti ancora confusi ma aveva comunque pubblicato alcune poesie, oggetto d´ammirazione per Sylvia. Al loro primo incontro lui rimase abbagliato dalla frangetta alla Veronica Lake di lei. Lei gli recitò a memoria i suoi versi. Si trovavano a una festa. Lui la invitò a ballare. Si ubriacarono e si baciarono. E con ciò giunse il momento poi diventato leggenda: i denti di lei affondarono a tal punto nella guancia di lui da farla sanguinare. Nei castigati anni Cinquanta si veniva chiacchierati per molto meno.
Nel giro di pochi mesi la coppia finisce all´altare. All´inizio è una luna di miele, uniti dalla passione per la letteratura i due fanno avanti e indietro tra l´America e il vecchio continente. Con la nascita dei figli arrivano però i problemi, e alla frustrante routine della maternità si aggiungono le scappatelle di Ted, che alla fine preferirà gettarsi tra le braccia di un´altra, Assia Wevill. Per Sylvia inizia un periodo di ristrettezze economiche ma anche di intensa attività che culmina nel 1963 con la pubblicazione sotto pseudonimo del romanzo La campana di vetro. L´accoglienza, pur non del tutto negativa, è tiepida e comunque inferiore alle speranzose attese dell´autrice, che sentiva la propria sensibilità schiacciata tra la voglia di affermarsi e il ruolo che la società del tempo imponeva a una donna. In capo a un mese, mette in camera i figli, sigilla porte e finestre della cucina, scrive un´ultima poesia e infila la testa nel forno.
La tragedia ha un´assurda replica qualche tempo dopo. Perché il 23 marzo 1969, anche Assia Wevill si toglie la vita alla stessa maniera: con il gas del forno. Diversamente da Sylvia, però, decise di uccidere pure la figlia di quattro anni. L´ignominia si abbatté fatalmente su Ted Hughes. Il poeta fu accusato di essere un uomo dal cuore di pietra che aveva indotto due donne al suicidio; qualcuno tirò via a colpi di scalpello il suo cognome dalla tomba di Sylvia Plath. Lui si è chiuso in un impenetrabile silenzio finché non diede la propria versione dei fatti in una raccolta di poesie che fece scalpore. In una di queste, ricordando il primo momento d´amore con Sylvia, scrive: «Eri sottile, sinuosa, sfuggente come un pesce».
Sinuosa e sfuggente come le creature amate da suo figlio Nicholas, verrebbe da aggiungere col senno di poi. Ma la catena dei suicidi è più lunga ancora. Nel 1974 si uccide con il gas Anne Sexton, amica di gioventù di Sylvia. Anni addietro, quando erano entrambe poetesse alle prime armi, si divertivano a chiacchierare al bar delle loro inclinazioni suicide. Chiacchierate che la Sexton ha rievocato in versi dopo la scomparsa di Sylvia: «Come hai potuto scivolare giù da sola /nella morte che così tanto e così a lungo ho desiderato /... la morte di cui così tanto parlavamo a Boston /mentre ci scolavamo tre martini extra dry». I gas con cui anche lei, in seguito, si tolse la vita furono però quelli di scarico di un´automobile. Con macabra ironia qualcuno ha commentato che fu costretta a optare per il garage perché in America i forni erano ormai tutti elettrici.
L´amante del marito, l´amica, il figlio. Un cerchio inquietante che trascende i legami di sangue. Cos´è dunque il suicidio? Una malattia contagiosa, una perversa tentazione che si trasmette alla maniera dei virus? Le paurose ragioni che spingono un essere umano a rincorrere un suo simile verso l´eterna notte sono fatte di mistero, ma devono somigliare molto alle parole che Sylvia Plath appuntò in un gelido giorno d´inverno: «Parlo a Dio ma il cielo è vuoto».
Repubblica 24.3.09
Parla Eugenio Borgna
Una famiglia stregata dalla morte
di Luciana Sica
Il dolore di vivere - nei libri di Eugenio Borgna - assume spesso volti indimenticabili, la sua conoscenza delle esperienze psicotiche rimanda ai grandi testi della filosofia e della letteratura, soprattutto della poesia. Ne Le intermittenze del cuore (titolo proustiano per un saggio uscito anni fa da Feltrinelli), Borgna ha scritto diffusamente della "smania di morire" di Sylvia Plath e di come - attraverso i suoi scritti - si colgano gli abissi più terrificanti della vita psichica.
Borgna è primario emerito di psichiatria all´Ospedale maggiore di Novara. Ma qui è anche da fine conoscitore della Plath che parla del figlio della poetessa, di Nicholas Hughes: suicida come la madre. Si potrebbe ipotizzare una "coazione a ripetere" nella drammatica conclusione di un´esistenza segnata dalla solitudine e dalla depressione. Oppure fare ricorso al modello imitativo che spesso caratterizza le condotte suicidarie.
«Intanto - dice Borgna - non sappiamo se si possa attribuire al figlio della Plath una qualche psicopatologia. Sappiamo invece che Nicholas aveva solo un anno quando ha perso sua madre e che ha potuto conoscerla solo attraverso le poesie, le lettere, i diari o anche quel romanzo - La campana di vetro - in cui la Plath descrive la catastrofica esperienza dell´elettroshock praticato senza anestesia... Sono scritti riempiti di deliri, allucinazioni, angosce, paure, disperazioni. Testimoniano di un nocciolo psicotico più forte di ogni altra possibilità di vita, di una assoluta volontà di morire. Sono testi che avranno costituito una tragica forma di richiamo - sia pure per un lungo tratto respinto o almeno arginato - verso un´identificazione profonda e radicale con il destino della madre».
Borgna non parla dunque tanto di mimesi, di un processo di imitazione, quanto proprio di immedesimazione - di meccanismi di natura inconscia che possono entrare in gioco all´interno di un gruppo familiare. Tanto più se si pensa al ruolo complesso e ambiguo di Ted Hughes, l´uomo che favorisce il suicidio di Sylvia Plath e determina quello della sua nuova compagna, Assia Wevill. Un padre che Nicholas difficilmente avrà mai perdonato. «Evitiamo invece - conclude Borgna - quel corto circuito per cui ogni esperienza psicotica si trasmetterebbe ereditariamente: una tesi inaccettabile e scientificamente falsa. Di Nicholas Hughes, del suo destino stregato dalla morte, colpisce piuttosto l´equivalenza psicologica e umana con la solitudine radicale della madre... E anche quel modo determinato, maschile, di togliersi la vita, impiccandosi. Senza lasciare alcuna breccia alla speranza, cancellata dai morsi di un malessere stratificato nel tempo a cui alla fine si è abbandonato».
Corriere della Sera 24.3.09
Tutti scrittori, ecco i libri fai da te
Nel 2008 sono stati pubblicati in Italia 180 titoli al giorno. Offerta online.
Le cifre. L'84% dei volumi pubblicati in Italia vende meno di 500 copie. Con 99 euro si stampano 20 copie di un testo di 96 pagine
Gli autori «La produzione di opere cartacee è in continuo aumento». Il fenomeno incontrollato di quelle non registrate
Editoria universitaria: una copia per volta
di Armando Torno
Dopo la nascita di Kindle2, prodotto da Amazon, sappiamo che una macchinetta di tre etti può contenere le notizie, i dati o le storie di circa 1500 libri. È una biblioteca portatile che verrà sempre più perfezionata e ampliata. È capace di nuove funzionalità, ha un disegno grazioso — il primo Kindle era più brutto dell'anatroccolo delle fiabe — nonché un rinnovato sistema di navigazione, sedici tonalità di grigio e alta risoluzione. Insomma, è più «umana».
Altre biblioteche simili sono allo studio e in via di perfezionamento e tra non molto saranno in grado di interagire in rete con infinite possibilità. Un nuovo scenario tecnologico nel quale si inserisce il momento d'oro in atto per il libro fai-da-te; è, per dirla in soldoni, scoppiato il caso self-publishing. Se si desidera dare alla luce un'opera senza rivolgersi a una tradizionale tipografia o tentare le consuete vie editoriali, niente è più semplice. Decine di siti — dagli internazionali a quelli appena nati in casa nostra — offrono la possibilità di farlo a cifre modestissime. In particolare, da noi sta vivendo una stagione fiorente la casa editrice Lampi di Stampa, che pubblica anche opere a bassa tiratura (persino in una sola copia), personalizzandole ai bisogni. Ma per non rimanere nel vago, entriamo meglio nella questione, dopo aver ricordato che il self-publishing e Kindle rappresentano un'editoria che passa dalla creazione alla lettura riducendo al minimo, se non azzerando, la macchina della distribuzione e mettendo in crisi gli intermediari tradizionali. Del resto, il dossier Patino, consegnato al governo francese alla fine del 2008, prevede a medio termine la morte delle librerie. A meno che le stesse non si riorganizzino alternando novità a modernariato o antiquariato o a prodotti multimediali. Che fine sta facendo il libro? È giunto il momento di porsi questa domanda.
L'abbiamo rivolta in prima battuta a Giuliano Vigini, fondatore dell'Editrice Bibliografica e docente di sociologia dell'editoria contemporanea. Ricorda che la stampa digitale, ormai attiva da un decennio, «realizza mille pagine al minuto», ovvero occorre più tempo per distribuire un libro che per editarlo. «La produzione di opere cartacee — sottolinea Vigini — è continuamente in aumento e costa sempre meno. Oggi sono in crescita quelle stampate in proprio, anche se non è facile quantizzarle, giacché moltissime non sono registrate e hanno un utilizzo limitato, domestico». Le pubblicazioni fai-da-te, se sono fornite del numero Isbn, il codice a barre, possono essere messe in vendita attraverso i canali normali; quelle, invece, senza la registrazione sono fuori controllo, come i libri alla macchia dei secoli scorsi. Nel 2008 si sono pubblicati in Italia — tra novità, riedizioni e ristampe — circa 180 libri al giorno, praticamente 7 e mezzo all'ora. La tiratura media di ogni opera è intorno alle 4.364 copie, edizioni scolastiche comprese (dati Istat); scende a 3.524 se si tolgono i libri di scuola. Ma quel che fa più impressione — ricorda Roberto Miglio, direttore generale delle Messaggerie, la grande catena che distribuisce tra l'altro Garzanti, Longanesi, Vallardi e la stessa Lampi di Stampa — è che l'84% dei titoli in Italia vende meno di 500 copie e che da noi i lettori di almeno un libro al mese sono soltanto 3,2 milioni (24 milioni, nel 2007, sono quelli di un libro l'anno). Agli editori, sottolinea Vigini, «arrivano annualmente circa 300 mila manoscritti (cifra che deve tener conto anche di più spedizioni di una stessa opera); una media casa editrice ne riceve circa 800-1000». Con tali numeri non occorrono particolari teorie per dedurre che il libro fai-da-te avrà sempre più spazio, con un pubblico vastissimo che diventa contemporaneamente autore e lettore.
Lampi di Stampa è una casa nata per conservare in catalogo una certa opera e anche per microtirature. Se un libro sta esaurendosi, se ne ripropongono alcune decine di esemplari evitando la scomparsa; oppure, grazie al digitale, è possibile ripescare un titolo introvabile e rioffrirlo in poche copie. Mariano Settembri, il direttore editoriale, fa un esempio: «Da noi 20 copie di 96 pagine costano 99 euro e sono dotate del codice Isbn; sono libri a tutti gli effetti, entrano quindi nel circuito nazionale». Lampi di Stampa, per dirla in breve, alterna un'editoria tradizionale al servizio di microtiratura e al fai-da-te; è una specie di ponte tra l'editoria del passato e quella che potrebbe nascere. Ha in catalogo, tra l'altro, il romanzo storico di Petta e Colavito Ipazia scienziata alessandrina, che ha venduto quasi 5 mila copie in diverse edizioni; nel suo sito si trova un foglio word, «Tuttiautori», che offre un preventivo di costi, le indicazioni per impaginare e realizzare il libro da soli. Settembri confida: «Nel volgere di due, tre anni ci saranno in Italia almeno sette-ottomila persone che ricorreranno a "Tuttiautori" per la propria opera. Noi, per taluni aspetti, siamo ancora degli editori perché offriamo a chi lo desidera un servizio di editing e respingiamo opere oscene o plagi».
Ma il fai-da-te è ormai anche una soluzione per l'editoria universitaria. Roberto Radice, ordinario di Filosofia Antica alla Cattolica di Milano, ha lavorato per Mondadori, Bompiani, Vita & Pensiero, Bibliopolis e altri editori nazionali, ma i suoi importanti lessici li realizza in microtirature. Dopo quelli di Platone, Plotino, Aristotele e Stoici, Radice è pronto con due volumi dedicati a Filone e il Pentateuco. «Ne tirerò — dichiara — dieci copie con la sigla di Biblia (autore del software), poi si procederà come nei precedenti casi: a richiesta. Ne stampiamo una copia alla volta, per una biblioteca, un privato o una libreria. La maggior parte è stata venduta online, anzi addirittura qualcuno ha chiesto il solo cd».
Questi lessici sono quanto di più avanzato sia stato tentato su tali autori (gli Stoici erano in vetrina alle Belles Lettres, a Parigi; una copia di Platone e Aristotele si possono trovare a Milano da Hoepli e da Cortina, o a Napoli da Guida), ma ormai l'università non può adottare opere del genere, soprattutto dopo la riforma e i moduli. Precisa Radice: «Anche l'editoria accademica tradizionale è mutata. Pubblica senza remunerazione testi pronti in forma editoriale già definitiva, richiede il finanziamento o una quota di adozione o anche entrambe. È finita l'epoca crociana in cui un libro utilizzato in un corso era poi diffuso tra il pubblico colto delle librerie con una sigla prestigiosa, ormai siamo all'editoria curtense. Le tirature? Trecento, se va bene quattrocento copie. E non mancano casi con rese superiori alle cifre dichiarate».
Insomma, con la rete è possibile stampare una propria opera senza stare con il cappello in mano nelle anticamere degli editori; l'università, dopo non illuminanti riforme, è arrivata al fai-da-te; i siti si organizzano giacché le microtirature rappresentano l'avvenire. Gutenberg è morto? Non ancora, ma soffre di una strana malattia, dai sintomi sconosciuti. Che fare? Per non correre rischi, qualcuno gli ha inviato l'estrema unzione e altri hanno già scritto il necrologio. In rete, ovviamente.
Armando Torno
Corriere della Sera 24.3.09
Un accordo politico consente oggi l'apertura della mostra sui capolavori toscani, ma è solo una tregua
Il Lippi dei veleni, guerra a Parigi
I curatori italiani contro il gestore del Luxembourg, inchiesta in Francia
di Massimo Nava
PARIGI — Fra veleni, sospetti e carte bollate, si apre oggi, al Palais de Luxembourg, sede del Senato francese, la mostra dedicata a Filippo e Filippino Lippi, con il sottotitolo La renaissance à Prato, luogo di origine degli artisti e di provenienza di alcuni dei capolavori esposti. L'omaggio all'arte italiana è oscurato infatti da una più prosaica faccenda di gestione di fondi e rivalità fra curatori che il presidente del Senato francese Gérard Larcher e il ministro per i Beni culturali italiano Sandro Bondi hanno faticosamente messo fra parentesi almeno per riuscire a far aprire i battenti. Ma è solo una tregua: i grandi progetti per il futuro sono per il momento azzerati.
Stamane, il pubblico si metterà in coda per ammirare, forse per l'ultima volta, i frutti di una collaborazione che, negli ultimi anni, ha portato a Parigi Raffaello, Botticelli, Veronese, Tiziano e Arcimboldo e che ha fruttato anche diversi milioni di incassi al museo. Ed è proprio dalla ripartizione degli utili che sono scoppiati contrasti fra curatori e gestori, al punto da raffreddare le relazioni culturali fra Italia e Francia e mettere in discussione progetti per altre grandi esposizioni.
Fino all'ultimo, la querelle ha messo in pericolo anche l'esposizione di Lippi, salvata in extremis da una sorta di accordo fra autorità francesi e italiane per salvare il salvabile ed evitare una rottura controproducente per tutti. Ma strette di mano e discreti contatti fra ministeri e ambasciate hanno soltanto messo la sordina su rivalità e oscuri retroscena sulla gestione delle precedenti esposizioni, attualmente sotto inchiesta.
La diatriba del Luxembourg scoppiò nella primavera scorsa quando la curatrice italiana, Patrizia Nitti, fu costretta a lasciare l'incarico per contrasti sulla gestione artistica e dei fondi con Sylvestre Verger, l'organizzatore delle mostre, diventato il factotum del museo. L'avvocato della Nitti ha parlato di «quattro milioni» di danni, il che dà un'idea del giro d'affari del museo. Al di là delle cifre, il contrasto riguarderebbe la ripartizione delle commissioni pattuite per le precedenti esposizioni e il numero effettivo di visitatori su cui si stabiliscono le commissioni stesse. Sulla vicenda, il nuovo presidente del Senato, Gérard Larcher, ha sollecitato un'inchiesta. In una lettera all' «Express», Verger, titolare di una società di gestione delle esposizioni, sotto contratto con il Senato, ha respinto le insinuazioni e sostiene che l'incarico alla Nitti era in scadenza. «La mia società, con oltre cinque milioni di visitatori, ha assicurato il successo di un museo dimenticato e divenuto uno dei luoghi più popolari della capitale ». La prima conseguenza dell'uscita di scena della Nitti furono a settembre le dimissioni dei cinque membri italiani del comitato scientifico, alcuni fra i più noti curatori del nostro patrimonio : Antonio Paolucci, direttore generale dei Musei vaticani; Francesco Buranelli, segretario della commissione pontificia per i beni della Chiesa; Giandomenico Romanelli, direttore dei musei veneziani; Nicola Spinosa, soprintendente a Napoli e Claudio Strinati, soprintendente del polo museale di Roma, il quale ricorda le ragioni del gesto: «Siamo stati chiamati dalla Nitti e la nostra presenza era diventata incompatibile. È stato un gesto di sincera solidarietà».
La seconda conseguenza è stata l'annullamento del grande progetto di esposizione del «Tesoro dei Medici» e il prevedibile congelamento di iniziative future che potrebbero privare il pubblico dei grandi capolavori italiani. Le mostre al Luxembourg, dedicate all'Italia e in passato inaugurate dai presidenti Ciampi e Napolitano, erano infatti diventate una sorta di appuntamento stagionale.
La mostra dedicata a Lippi lascia aperto uno spiraglio, anche se da più parti vengono espresse riserve sull'effettiva importanza (almeno per numero) dei capolavori esposti. I retroscena della vicenda non lasciano ben sperare per il futuro. Da fonti italiane si fa notare che Sylvestre Verger avrebbe portato a Parigi la mostra su Lippi già allestita a Prato, integrata con prestiti sollecitati alle autorità italiane dal presidente del Senato francese per assicurare comunque un buon livello dell'iniziativa. Il presidente del Senato si sarebbe fatto garante dei prestiti stessi, concessi dai musei di Prato e di Firenze.
Si sa inoltre che i ministri dei Beni culturali italiani — prima Francesco Rutelli, oggi Sandro Bondi — avevano espresso perplessità, rimaste senza risposta, al presidente del Senato e al suo predecessore Christian Poncelet. Sulla vicenda ha alzato la voce anche l'opposizione con un'interrogazione del senatore del Pd, Luigi Zanda, il quale ha chiesto al ministro di conoscere le ragioni delle dimissioni dei cinque membri italiani; si domanda inoltre se, in assenza di adeguato presidio scientifico, non siano venute meno le ragioni di prestiti di grande importanza, tenendo anche conto di esigenze di assoluta sicurezza nelle fasi di trasporto e esposizione.
«È stato un atto di cortesia nei confronti della presidenza del Senato, in attesa di una ripresa dei rapporti su basi nuove», spiegano al ministero dei Beni culturali.