martedì 24 marzo 2009

Repubblica 24.3.09
L'egemonia perduta
di Stefano Rodotà


Un mondo vastissimo, compresi molti cattolici, è rimasto sbalordito di fronte ad alcune affermazioni del Papa, governo e istituzioni internazionali hanno protestato e i vescovi italiani, invece di interrogarsi seriamente e criticamente su una vicenda così grave, la trasformano in un pretesto per lanciare un proclama intimidatorio, un vero e proprio diktat al quale Parlamento e politica italiana dovrebbero inchinarsi. Non è nuova l´arroganza di una politica vaticana che, debole nel mondo, cerca occasioni di rivincita nel giardino di casa, in questa povera Italia che, presentata come il luogo dal quale doveva partire la riconquista cattolica del mondo, appare sempre di più come un fortilizio dove una gerarchia disorientata cerca di rassicurare se stessa alzando la voce. Con parole forti si vuole imporre l´approvazione di una legge sul testamento biologico sgangherata e incostituzionale, lesiva dei diritti delle persone.
Si urla contro una deriva verso l´eutanasia mentre il Senato sta discutendo un disegno di legge lontanissimo dall´apertura che, su questo tema, hanno mostrato le conferenze episcopali di Germania e Spagna.
Siamo di fronte ad una prova di forza, alla volontà vaticana di sottomettere il Parlamento. Sono in gioco proprio la sovranità parlamentare e, con essa, l´autonomia dello Stato. Una inerzia colpevole, una pavidità delle istituzioni lascerebbero oggi un segno profondo sulla stessa democrazia. E un intervento così diretto può addirittura far venire il sospetto che si voglia incidere sulle dinamiche interne del nascente Pdl, chiudendo ogni spiraglio di laicità e autonomia
I governi di Francia e Germania, l´Unione europea, il Fondo monetario internazionale avevano criticato le parole del Papa sull´uso del preservativo, con una presa di distanza che metteva in discussione il ruolo internazionale della Chiesa. Il governo tedesco è guidato da una donna cattolica, Benedetto XVI aveva compiuto un viaggio in Francia accompagnato da parole impegnative del presidente Sarkozy sulla necessità di passare ad una laicità "positiva", parole che lo stesso presidente aveva già pronunciato in occasione della sua visita ufficiale a Roma. Assume grande significato, allora, la decisione di governi "amici" di non riconoscersi nelle posizioni della Chiesa. A ciò dev´essere aggiunta la decisione di Obama di firmare la dichiarazione sui diritti degli omosessuali, proposta all´Onu proprio dalla Francia e che aveva suscitato una durissima reazione del Vaticano. Viene così respinta la pretesa vaticana di dettare al mondo la linea etica su grandi temi della vita, ed emerge un isolamento che non è solo diplomatico, ma rivela una perdita di egemonia culturale.
Ora il tema del conflitto è costituito dalla legge sul testamento biologico. Tardivamente ci si è accorti di quanto fosse saggia la richiesta di moratoria, di un tempo di riflessione che allontanasse emozioni e strumentalizzazioni nell´affrontare un tema che riguarda la libertà stessa delle persone. Forse anche i cento "ribelli" del Pdl che hanno firmato contro i medici-spia dovrebbero rendersi conto che quella legge è anch´essa profondamente negatrice di diritti e che è necessaria una riflessione più profonda sui rischi di un uso sbrigativo e autoritario dello strumento giuridico. Riflessione, peraltro, che dovrebbe essere estesa ad altre materie, anch´esse affrontate finora in modo sbrigativo. Non ci si è accorti dei rischi dello stillicidio di norme che riducono la tutela della privacy, della pericolosità di proposte che vogliono introdurre controlli e censure per Internet, della disinvoltura con la quale sono state approvate in prima lettura le norme sulla banca del Dna. Se la nuova sensibilità per la dimensione dei diritti non è solo una fiammata, di tutto questo è bene che si cominci a discutere seriamente e fino in fondo.
Moratoria o non moratoria, è indispensabile ribadire in ogni momento che il testo della maggioranza sul testamento biologico è un ammasso di incostituzionalità, di regressioni normative, di piccoli deliri burocratici e linguistici, di procedure che produrranno nuove contraddizioni e nuove angosce. Non vi sono astuzie parlamentari che possano redimere quel testo dai suoi peccati. Ricordiamo che appena ieri, a fine dicembre dunque già nel fuoco della polemica sul caso Englaro, la sentenza 438 della Corte costituzionale ha riconosciuto che l´autodeterminazione costituisce un "diritto fondamentale" della persona. Come si concilia con questo diritto la pratica cancellazione del consenso informato, la sua degradazione da manifestazione di volontà a semplice "orientamento", come fa il testo di maggioranza? Come non vedere che, dietro una versione assai fumosa della formula dell´"alleanza terapeutica" tra medico e paziente, il potere sul morire viene consegnato ai medici, facendo enormemente e impropriamente crescere la loro responsabilità? Come non vedere che il rifiuto da parte del medico di dare attuazione alle direttive anticipate creerà nuovi drammi, nuove rappresentazioni pubbliche del dolore e ricorsi che trasferiranno al giudice la decisione finale sul morire, cioè esattamente quello su cui si è tanto polemizzato?
Sono interrogativi provocati da pervicacia politica e incultura, dal fatto che la dimensione costituzionale non appartiene a questo governo e questa maggioranza, che vogliono cogliere ogni occasione per cercar di liberarsene. Proprio per questo si cerca di costruire una Costituzione abusiva, dove la possibilità di imporre per legge trattamenti obbligatori è svincolata dall´unica sua premessa costituzionalmente corretta, il rischio per la salute pubblica, come hanno sempre messo in evidenza gli studiosi (venerata ombra di Costantino Mortati, grande costituente cattolico, manifestati!); dove si propongono indecorosi pasticci tra rifiuto delle cure e vendita di organi; dove il rispetto della dignità è convertito in strumento per imporre una misura della dignità in conflitto con la libertà di scelta della persona.
Una vigile attenzione per i diritti dovrebbe segnare la discussione politica, il primo passo dovrebbe essere appunto il ritorno pieno nella dimensione costituzionale. E, insieme ad esso, i legislatori dovrebbero interrogarsi sui limiti della legge, su quanto si addica alla vita "l´ipotesi del non diritto", che attribuisce alla norma giuridica non un illimitato potere di ingerenza, ma la funzione di costruire le condizioni necessarie perché ciascuno possa decidere liberamente.

Repubblica 24.3.09
"Il Papa è stato deriso e offeso" vescovi al contrattacco sull´Aids
"Subito la legge sul biotestamento, basta tentennare"
di Orazio La Rocca


CITTÀ DEL VATICANO - Una legge sul testamento biologico che - «senza lungaggini o strumentali tentennamenti» - eviti «almeno» il ripetersi di nuovi casi Englaro. Ma, soprattutto, una ampia ed appassionata difesa del Papa dagli «attacchi pretestuosi, discutibili e insolenti» di quanti - nei media e persino in ambito ecclesiale - lo hanno «irriso» per aver sostenuto che il preservativo è «inutile» per la lotta all´Aids e per aver tolto la scomunica al vescovo negazionista Williamson.
Difesa a tutto campo del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, per papa Ratzinger e per le opzioni morali cattoliche, aprendo - ieri pomeriggio - il Consiglio permanente Cei, il «governo» vescovile della Chiesa italiana. Il porporato parla, brevemente, anche dell´attuale recessione economica per la quale invita «le istituzioni» a varare provvedimenti in difesa dei soggetti più deboli, «in particolare le famiglie in difficoltà, i disoccupati, i giovani». Vero e proprio «allarme sociale» contro il quale chiede che le diocesi italiane varino «fondi di garanzia per aiutare i nuclei familiari bisognosi». Una proposta subito definita «importantissima» dal segretario del Pd Enrico Franceschini, che parla di «segno di concretezza e di grande consapevolezza della crisi da parte della Chiesa».
Durissimo il riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, che il cardinale inquadra in una sorta di lotta tra «chi ha nella vita il bene più grande di Dio» e chi, invece, pensa che l´esistenza sia solo frutto di «casuale» evoluzionismo. «Benchè quella povera ragazza non fosse attaccata ad alcuna macchina, s´è voluto decretare - accusa Bagnasco - che a certe condizioni poteva morire... contraddicendo una intera civiltà basata sul rispetto incondizionato della vita umana e smentendo un lungo processo storico che ci aveva portato ad affermare l´indisponibilità di qualunque esistenza, non solo a fronte di soprusi o violenze, ma anche di fronte a condanne penali quali la pena di morte». Si è messo, così, in moto «una operazione tesa ad affermare un �diritto´ di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire, cioè a darsi la morte in talune situazioni da definire». Nell´invitare a pregare per l´anima di Eluana e per «il dolore dei parenti», il cardinale si augura che «almeno ora la politica sappia fare la sua parte, varando un inequivoco dispositivo di legge che, in seguito al pronunciamento della Cassazione, preservi il Paese da altre analoghe avventure, favorendo le cure palliative per i malati e l´aiuto alle famiglie attraverso le Regioni».
Altrettanto severo il richiamo al caso Williamson, una vicenda che, lamenta il porporato, «si è prolungata oltre ogni buon senso», a causa di «un lavorìo di critica dall´Italia e soprattutto dall´estero nei riguardi del nostro amatissimo Papa». Con la stessa determinazione Bagnasco respinge gli attacchi a cui è stato sottoposto Benedetto XVI all´inizio del viaggio africano - concluso proprio ieri dopo la visita in Angola - , un pellegrinaggio che «fin dall´inizio è stato sovrastato nell´attenzione degli occidentali da una polemica, sui preservativi, che francamente non aveva ragione d´essere. Non a caso sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse... ».

l'Unità 24.3.09
L’inviato Onu per i diritti umani nei Territori: i bombardamenti su aree molto popolate sono illegali, c’erano alternative diplomatiche
«Chiedere la verità su Gaza non è antisemitismo»
Intervista a Richard Falk di U.D.G


Un’inchiesta di esperti per determinare se fosse possibile per i soldati israeliani distinguere tra la popolazione civile e obiettivi militari durante l’offensiva a Gaza e per stabilire quindi se sia stato commesso un crimine di guerra. A proporlo è Richard Falk, dal marzo 2008 Relatore Speciale Onu per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati. «In me e nel team che ha redatto il rapporto (discusso ieri a Ginevra nel Consiglio dei diritti umani, ndr.) non c’è alcuna volontà persecutoria verso Israele. A muoverci c’è la determinazione a stabilire la verità. È quanto dobbiamo alle vittime di Gaza. Verità e giustizia», dice Falk a l’Unità. Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton e membro del Foro di New York, non intende pronunciare alcuna «sentenza». Ma non è neanche reticente su quanto fin qui assunto nel rapporto: «Ci sono motivi per concludere che l’offensiva militare a Gaza costituisca un crimine di guerra». Secondo il relatore speciale dell’Onu per i Territori, il «ricorso alla forza» da parte di Israele per far cessare il lancio di razzi palestinesi sul suo territorio - causa scatenante del conflitto per lo Stato ebraico - non è «giustificato dal punto di vista legale considerate le alternative diplomatiche disponibili».
Professor Falk, nel rapporto presentato oggi (ieri, ndr.) al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Lei ha perorato l’istituzione di una commissione d’inchiesta che faccia piena luce sull’offensiva militare israeliana a Gaza. Su che basi fonda questa richiesta?
«Sulle norme del Diritto umanitario internazionale e su quelle della Convenzione di Ginevra. Le ricerche da noi effettuate offrono materiale sufficiente per affermare che se in un teatro d’operazione militare non è possibile distinguere tra obiettivi civili e militari, l’operazione è un’attività totalmente illegale e sembra costituire un crimine di guerra della maggiore gravità secondo il Diritto internazionale. Ebbene, sulla base di elementi di prova attualmente disponibili, ci sono fondati motivi per ritenere che gli attacchi (israeliani) risultano illegali di per sè e sembrano costituire un crimine di guerra della più grande portata in base al Diritto internazionale» .
Professor Falk, in passato le autorità israeliane l’hanno accusato più volte di un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti dello Stato ebraico».
«Sono accuse che respingo con la massima fermezza e con sdegno. Chiedere verità e giustizia per i civili uccisi a Gaza, denunciare l’assoluta illegalità, oltre che la disumanità, delle punizioni collettive inflitte ad una popolazione stremata dall’embargo, tutto ciò non ha nulla a che fare con l’antisemitismo. A Gaza sono state colpite aree densamente popolate. Ciò è incontestabile. Alla popolazione non è stata data possibilità di fuggire dal teatro di guerra. Occorre accertare le responsabilità e punire i responsabili. Chiedere l’accertamento della verità è essere “pregiudizialmente ostile” a Israele?. Da democratico e da ebreo mi ribello a questo assunto».
Le autorità israeliane sostengono che l’Operazione Piombo Fuso si configura come un esercizio di autodifesa?
«I bombardamenti sistematici su aree densamente popolate non possono essere giustificati dal punto di vista legale. Si tratta di un crimine di guerra. E come tale va perseguito».

Repubblica 24.2.09
L'Onu: Israele a Gaza ha usato scudi umani
Rapporto sulla guerra: un ragazzino palestinese costretto a fare da apripista ai militari
Un rapporto di 43 pagine analizza i crimini ai danni di bambini. Anche Hamas sotto accusa
di Alberto Stabile


GERUSALEMME - Non s´era ancora spenta l´eco delle gravi ammissioni fatte da alcuni soldati sul trattamento riservato ai civili durante la guerra contro Hamas a Gaza, che una nuova, sconvolgente accusa arriva dalle Nazioni Unite.
Un ragazzino palestinese di 11 anni sarebbe stato utilizzato come scudo umano da un´unità dell´esercito israeliano. Nelle 43 pagine del rapporto voluto dalla segreteria generale per la protezione dell´infanzia si dà conto di altri crimini commessi ai danni di bambini. Il che rende ancora più discutibile l´affermazione del Capo di Stato Maggiore, Gabi Ashkenazi, secondo cui le Forze armate israeliane sono «l´esercito più morale del mondo».
Era il 15 gennaio quando i carri armati israeliani sono entrati sparando nel quartiere Tel al-Hawa, a Gaza. Radhika Coomaraswamy, a capo di un gruppo di nove esperti inviati dall´Onu per indagare sulle violazioni commesse a Gaza, ricostruisce nel suo rapporto l´accaduto. In breve, le truppe di Tsahal hanno intimato al ragazzino palestinese di camminare di fronte a loro e di entrare per primo nelle case dove si sospettava la presenza di miliziani. E non basta. Secondo il rapporto, soldati israeliani hanno sparato sui bambini; una casa, con dentro una donna e un bambino, è stata abbattuta dai bulldozer; un edificio dove, il giorno prima, erano stati costretti ad entrare dei civili, è stato bombardato. Sono questi - ha detto Radhika Coomaraswamy - «soltanto pochi esempi su centinaia di incidenti che sono stati documentati e verificati».
Non poche denunce di gravi violazioni dei diritti umani riguardano anche Hamas. I miliziani islamici sono stati accusati di aver ucciso o gambizzato avversari politici, nonché di aver essi stessi fatto uso di scudi umani. Ma le Nazioni Unite, hanno detto gli esperti, devono ancora verificare queste accuse.
Quanto alle Forze amate israeliane, ieri, prima che scoppiasse il caso del ragazzino di Tel al-Hawa, era stata l´organizzazione umanitaria israeliana Medici per i Diritti Umani (Phr) a denunciare l´esercito di aver «palesemente violato il codice etico», non soltanto «non evacuando famiglie di civili assediate e ferite», ma anche «impedendo ai soccorritori palestinesi di raggiungere i feriti».
Gli stessi medici del Phr, una Ong che collabora con analoghe organizzazioni palestinesi, sono stati testimoni diretti di alcune di queste violazioni. E le raccontano. Il 3 gennaio, per esempio, la casa della famiglia Al Aaidi, nel rione Jahar Adik, venne attaccata dai soldati. Sei dei suoi venti componenti furono feriti. Il giorno dopo, in seguito alla richiesta di aiuto degli Al Aaidi, Phr si rivolse all´esercito. «Ma per sei giorni - si legge nel dossier - l´Idf ha impedito alle ambulanze di passare». Soltanto 10 giorni dopo sono stati permessi i soccorsi.
Un altro caso è quello del 16 gennaio, quando Mahmud Shar e i suoi due figli, abitanti nel quartiere Algharahi, usciti in cerca di cibo durante le due ore di cessate il fuoco umanitario, furono colpiti dal fuoco di una mitragliatrice. Uno dei due figli morì subito dopo l´attacco. L´altro fu ferito ad una gamba. Il padre subì lievi ferite da schegge. Le richieste avanzate dal Phr di soccorrere i feriti «non vennero raccolte». Risultato: anche il secondo figlio morì, dissanguato. In generale, sostengono i Medici per i Diritti Umani, l´esercito non ha mostrato rispetto per i soccorritori e per le istituzioni mediche. In guerra 16 medici e infermieri sono stati uccisi, e 25 feriti mentre facevano il loro dovere. 34 centri sanitari sono stati bombardati.

Repubblica 24.3.09
La rivoluzione del sangue artificiale "Sicuro e per tutti grazie alle staminali"
I medici britannici lo produrranno in laboratorio. "Trasfusioni fra 3 anni"
di Enrico Franceschini


Il sangue sintetico potrà essere usato quando occorre la trasfusione di emergenza
Si cercherà di riprodurre la tipologia del gruppo «0» dei donatori universali

LONDRA - È il carburante della vita, la linfa senza la quale non possiamo respirare, pensare, muoverci. È il liquido prezioso che può salvare le vittime di incidenti stradali, guerre, sciagure naturali. E fino ad ora è sempre stato difficile procurarselo, per almeno tre ragioni: la sua disponibilità dipende dall´offerta spontanea di donatori umani; è complicato trovare il tipo giusto per ciascun individuo; e bisogna stare attenti al pericolo che sia infetto. Ma adesso tutti questi problemi potrebbero essere spazzati via grazie alla creazione di sangue artificiale: in quantità illimitate, di un tipo che va bene per tutti e privo del rischio di infezioni. Scienziati britannici saranno infatti in grado di produrre sangue sintetico da cellule staminali embrionali: l´annuncio ufficiale è previsto per i prossimi giorni, ma la notizia è stata anticipata ieri dal quotidiano Independent. Entro tre anni, i ricercatori impegnati nel progetto contano di effettuare il primo test su un volontario umano: la prima trasfusione di sangue che non proviene da un uomo o una donna, ma è stato creato in laboratorio. Guidata dal professor Marc Turner dell´ università di Edimburgo, l´iniziativa promette di rivoluzionare i metodi di trasfusione sanguigna, che attualmente dipendono in ogni paese del mondo da una rete di donatori di sangue fresco. L´obiettivo degli studiosi britannici è di stimolare cellule staminali ricavate da embrioni "dimenticati", ossia da quegli embrioni creati in eccedenza nei processi di fecondazione assistita, affinché queste si sviluppino in mature cellule sanguigne portatrici di ossigeno, da utilizzare appunto per tutte le trasfusioni di emergenza. Gli scienziati cercheranno tra le staminali degli embrioni quelle in grado di produrre sangue del gruppo «O», il gruppo donatore universale che può essere trasfuso senza problemi a qualunque paziente, anche coloro che hanno altri gruppi sanguigni, senza alcun timore di un rigetto. Questo genere di sangue è piuttosto raro: lo possiede solo il 7 per cento degli esseri umani.
Raccoglierlo attraverso le donazioni è dunque complicato. Ma utilizzando le staminali embrionali, che hanno la capacità di moltiplicarsi all´infinito in laboratorio, il sangue di gruppo «O» potrà essere prodotto in quantità illimitate. Produrre sangue sintetico, inoltre, avrebbe il vantaggio di non essere a rischio di infezioni da virus dell´Aids, epatiti o altre malattie.
Sviluppare sangue artificiale susciterà certamente polemiche di carattere etico. Le associazioni per la difesa della vita saranno contrarie per principio alla distruzione di embrioni, sebbene si tratterebbe delle rimanenze inutilizzate per la fecondazione artificiale. E poi potrebbe nascere la delicata questione filosofica relativa al fatto che quel sangue proviene da una non-persona, da qualcuno che non è mai esistito: la linfa della vita, dono di Dio per i credenti, verrebbe prodotta in laboratorio. È verosimile che anche per questo l´annuncio ufficiale del progetto sia per il momento rinviato: per complesse «ragioni legali», affermano fonti dei centri di ricerca coinvolti tra cui, la Nhs Blood and Transplant e il Wellcome Trust. All´iniziativa partecipa anche la Roslin Cells, una società emersa dal famoso Roslin Institute dove nel 1996 venne clonata la pecora Dolly.
Ricerche analoghe sono in corso in Svezia, Francia, Australia, e lo scorso anno un gruppo statunitense, l´Advanced Cell Technology, aveva reso noto di essere in grado di produrre miliardi di cellule sanguigne dalle staminali, ma aveva poi abbandonato il progetto per l´interruzione dei finanziamenti decisa dall´amministrazione Bush: limitazioni che il presidente Obama ha ora rimosso.

Repubblica 24.3.09
Quei maldestri tentativi di riscrivere la storia
risponde Corrado Augias


Gentile dottor Augias, giorni fa mi sono recato con i miei studenti ad un convegno presso il milanese Liceo scientifico Vittorio Veneto. Tema: "La nascita della Repubblica". Numerosi i relatori: il preside del liceo Michele D'Elia, il prof. Massimo De Leonardis dell'Università Cattolica, il giornalista e scrittore Romano Bracalini, altri. Da numerosi interventi è risultato che dopo il 25 luglio, passando per l'8 settembre, la monarchia aveva salvato l'unità del paese, che il regio esercito ricostituito attraversò l'Italia salvando l'onore patrio, che la monarchia non era responsabile delle colpe del fascismo, ecc. Alcuni esperti hanno poi trattato il tema dei brogli e la falsa vittoria della Repubblica al referendum del 2 giugno, quando il senso di responsabilità di Umberto II evitò la guerra civile. Solo un giornalista ha fatto una timida difesa della Repubblica. Alcuni miei studenti, sconcertati, mi hanno chiesto come sia possibile difendere, oggi, tali tesi da loro definite addirittura "negazioniste". A me resta l'amarezza di constatare che in un periodo in cui chi guida il paese definisce "sovietica" la Costituzione, si tenti di delegittimare le istituzioni all'interno di un'istituzione della Repubblica.
Prof. Giovanni Ribaldone

Il giudizio sulla monarchia e su Vittorio Emanuele III è quasi unanime. Le opinioni espresse nel convegno milanese sono marginali, ispirate da fonti lacunose o di parte. Il re negli anni terribili dal 1919 al 1922 non difese lo Stato contro le aggressioni fasciste. Non lo difese nell'ottobre del 1922 quando Mussolini organizzò la Marcia su Roma. Rimase soggetto per vent'anni al Duce contento di potersi fregiare del titolo di "imperatore" dopo le conquiste africane. Non difese i suoi sudditi ebrei nel 1938 promulgando le infami leggi razziali. Vero che dopo il 25 luglio fece arrestare Mussolini. I giochi però erano ormai fatti ed erano stati gli stessi gerarchi a mettere il Duce in minoranza, la sua vita politica finì nel momento in cui il famoso Ordine del Giorno Grandi venne votato dal Gran Consiglio. L'8 settembre il re, la corte, alcuni alti ufficiali fuggirono vergognosamente mettendosi in salvo a Brindisi lasciando i romani preda della vendetta nazista. Per un comportamento regale molto diverso si veda quanto fece la regina inglese nei mesi tremendi dei martellanti bombardamenti tedeschi su Londra. I brogli in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno sono una vecchia leggenda che si credeva ormai spenta. Vero invece che Umberto, il re di maggio, si comportò con correttezza. Appresa la vittoria della Repubblica signorilmente si eclissò. Uno dei pochi Savoia, del passato e del futuro, a sapere come agisce un sovrano nel momento in cui la sua funzione appare superata dalla Storia. Quella vera.

Repubblica 24.3.09
Destra. Le due identità del partito conservatore
Un lavoro enorme attende la sinistra italiana: la ricostruzione di un patrimonio ideale degno di questo nome. E dovrà intercettare le tendenze che usciranno dalla crisi
di Aldo Schiavone


Nella storia politica del nostro Paese non è mai esistito una forza politica di questo tipo. La Dc era un´altra cosa, e l´Msi era saldamente radicato nel neofascismo
Con la fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale potrebbe nascere quel partito conservatore di massa che è sempre mancato nel nostro paese. Prospettive e rischi di un'operazione politica

Un paradosso stringe oggi da vicino la destra italiana. Il berlusconismo le ha consentito un successo clamoroso e insperato. Ma dal berlusconismo dovrà subito uscire, se vuole darsi una prospettiva che regga al futuro.
Nella storia politica del nostro Paese non è mai esistito, finora, un partito conservatore di massa. Un partito, cioè, schierato in modo conseguente sia a destra, sia sul terreno della democrazia. La Dc era un´altra cosa, anche se nel suo amalgama la destra rappresentava una componente essenziale. E un´altra cosa, naturalmente, era l´Msi, intrinsecamente minoritario, e saldamente radicato nel neofascismo fino agli inizi degli anni novanta.
Questa assenza � un´anomalia assoluta rispetto alle altre grandi democrazie dell´Occidente � si spiega con i traumi subiti dall´Italia nella prima parte del suo Novecento: un´epoca di ferro e di fuoco, in cui abbiamo inventato, insieme, il fascismo e la forma europea del comunismo, nel tentativo di venire a capo di un durissimo scontro di classe; abbiamo combattuto due guerre mondiali, e ci siamo dilaniati in un sanguinoso conflitto civile di liberazione nazionale.
Il prezzo lo abbiamo pagato ingessando per i quarant´anni successivi la nostra politica e la stessa democrazia faticosamente riconquistata, immobilizzate entrambe intorno all´ininterrotto primato del centrismo democristiano: in un primo tempo, in una condizione di vera e propria "guerra fredda civile" (negli anni cinquanta); più tardi, in un consociativismo sempre più spinto (legittimato dalla strategia del "compromesso storico"), durato sino alla fine degli anni Ottanta.
E´ stato solo il collasso del comunismo e il crollo dell´impero sovietico che ha spazzato via tutto questo, creando le condizioni per una nostra piena "normalizzazione" democratica. Il processo è stato tuttavia più faticoso del previsto, e su di esso (come ha scritto Ezio Mauro) ha messo ben presto il suo "sigillo" Silvio Berlusconi, con le ben note conseguenze.
Egli si era trovato d´improvviso un´autostrada vuota spalancata innanzi, e si è imposto in un´Italia socialmente, politicamente e culturalmente decostruita da una duplice transizione, post-industriale e post-democristiana; un Paese ansioso di voltar pagina, cui ha saputo offrire uno specchio in cui riconoscersi, una facile ideologia acquisitiva e mercatista che sembrava al passo con i tempi, e un´interpretazione scarnificata e leaderistica della democrazia, ai limiti del sovversivismo, in sintonia con alcuni caratteri profondi della nostra identità. Non è riuscito a imporre un´autentica egemonia sul Paese, ma ci è andato vicino, e soprattutto è stato capace di incunearsi nel rapporto fra sinistra e modernizzazione, che si era già spezzato negli anni Ottanta, e a interporre, nel varco che si era creato, la propria narrazione, i propri simboli, la propria messa in scena, ricongiungendo � nel sentire della maggioranza degli italiani �nuova destra e nuova modernità, antistatalismo e leggerezza consumistica.
Ma ora anche questa stagione sta finendo. La crisi sta disegnando per noi un altro orizzonte, ben lontano dall´orgia di mercato che abbiamo finora vissuto. Nell´Europa e nel mondo che usciranno dalla recessione, quello che abbiamo conosciuto e identificato finora come "berlusconismo" non avrà più spazio. È irrimediabilmente la canzone di un´altra età, di quell´Italia liquefatta dall´impeto della deindustrializzazione e stordita dalla scomparsa del vecchio sistema dei partiti, che ormai ci stiamo lasciando alle spalle. Può darsi che il vecchio leader riesca, con un colpo di teatro, a sopravvivere politicamente alla sua stessa creatura, improvvisando non saprei quale metamorfosi. Sarà tuttavia molto difficile.
Oggi la prospettiva di una nuova destra � di un partito conservatore di massa come elemento decisivo della normalizzazione democratica italiana � passa per un´altra strada. Quella di Burke e non di de Maistre, come ha scritto Eugenio Scalfari su questo giornale. La tradizione, la terra, la nazione certo; e poi innesti nuovi: la Costituzione, il presidenzialismo, la riscoperta dello Stato. Ma qui le strade si dividono, e gli eredi del berlusconismo cominciano a manifestare idee diverse, e non facilmente componibili.
C´è la visione di Fini, che ormai guarda esplicitamente oltre Berlusconi, e mette in guardia con parole forti dai rischi del leaderismo in nome di una concezione più pluralista, più laica (che non rinuncia a un filone illuministico: ancora Scalfari). E quella invece di Tremonti, che sembra avere in mente un´Italia ripiegata nel suo guscio, meno "globale" e più "locale", municipalizzata, dichiaratamente "neoguelfa", pronta a essere accolta sotto le bandiere della Chiesa.
Di fronte, un lavoro enorme attende la sinistra italiana: la ricostituzione di un patrimonio ideale degno di questo nome. Può riuscirvi. Il Paese aspetta un´indicazione forte, all´altezza della gravità del momento. Dalla recessione non si esce arretrando. La globalizzazione è senza ritorno, come lo è il rapporto fra tecnica, vita e mercato. Ma bisogna elaborane una forma più matura. La sinistra può vincere se saprà intercettare le tendenze che usciranno dalla crisi. La destra farà fatica a farlo. Non è dalle sue parti che ha mai abitato la razionalità sociale di cui abbiamo bisogno. Cerchiamo di ricordarlo.

Repubblica 24.3.09
Logica del profitto
Mercatisti senza identità
Intervista al filosofo Alain de Benoist


Esistono molte destre, ma tutte accomunate dall´adesione al liberismo mercantile. Quella attuale è senz´anima e senza idee, ma dominata dal denaro. Vedo solo elementi negativi

PARIGI. «Quella attuale è una destra senz´anima e senza idee, ma dominata dal denaro». Alain de Benoist, filosofo francese considerato uno dei teorici della nuova destra, non usa mezzi termini. «Esistono molte destre, ma tutte accomunate dall´adesione al liberalismo mercantile», spiega lo studioso. «Quelle correnti della destra che in passato guardavano con sospetto il denaro, l´individualismo e il dominio dell´economia sulla politica oggi hanno pienamente accettato questa prospettiva, aderendo in toto al capitalismo e al mercato».
In passato l´antimodernismo era un dato caratteristico della destra. È ancora vero?
«No. Paradossalmente, oggi l´idea del progresso appartiene più alla destra che alla sinistra. La critica delle forme del progresso è esercitata soprattutto dai verdi, che di solito sono collocati a sinistra. La destra ha anche aderito più apertamente alla globalizzazione e alla logica del profitto che la sottende».
La globalizzazione però rimette in discussione un principio fondatore della destra, vale a dire l´attaccamento al territorio e alla nazione...
«In effetti, nasce da qui la sua schizofrenia. Sul piano della retorica, la destra non abbandonato il legame con il territorio e la nazione, ma nella pratica essa aderisce a un sistema economico che rimette in discussione radicalmente queste nozioni, mirando a sopprimere le frontiere e le identità nazionali. Insomma, la destra difende un sistema che progressivamente distrugge tutto ciò che essa vorrebbe conservare».
Ciò spiega la sopravvivenza al suo interno di una componente estremista, spesso xenofoba e razzista?
«Solo in parte. In realtà, la destra più dura vuole salvare l´identità nazionale, pensando che la minaccia venga innanzitutto dagli immigrati. In realtà, la vera minaccia viene dal capitalismo stesso, il cui enorme mercato globale minaccia i modi di vita locali e popolari molto di più dell´immigrazione».
L´antiegualitarismo fa ancora parte dell´apparato concettuale della destra?
«Ormai non è più una discriminante forte nei confronti della sinistra. La destra ammette senza difficoltà l´eguaglianza dei diritti politici e delle opportunità. Ha anche pienamente adottato i diritti dell´uomo. Sul piano delle libertà però, tende difendere soprattutto la libertà del mercato, da qui la difficoltà di fronte all´attuale crisi economica. In realtà, oggi non esistono più un pensiero, una filosofia o una visione del mondo di destra. Le trasformazioni degli ultimi vent´anni hanno travolto le identità ideologiche e uno dei grandi problemi della destra è proprio quello di sapere cosa significhi oggi essere di destra».
Come fare allora per tentare una definizione?
«Io vedo solo elementi negativi. La destra è diventata una coalizione di interessi, che sul piano internazionale fa parte del grande club occidentale contrapposto al resto del mondo. Ciò spiega ad esempio l´enorme successo tra le sue fila del tema dello scontro di civiltà tanto caro a Huntington».
La differenza tra destra radicale e destra di governo è ancora importante?
«Tende a stemperarsi. Lo ha mostrato ad esempio la campagna elettorale di Sarkozy. Tuttavia l´esistenza dei movimenti di estrema destra fa parecchio comodo alla destra di governo, perché ne mostra per contrasto la rispettabilità. Per la destra, quindi, questi movimenti sono politicamente ininfluenti, ma molto utili».

Repubblica 24.3.09
La parabola dei neofascisti italiani
Dai covi neri alle auto blu
di Filippo Ceccarelli


Una storia fatta di fughe in avanti e sconvolgimenti, corse all´indietro e pentimenti. Accadeva qualcosa di grosso, di serio e d´imprevisto

Al congresso di scioglimento di Alleanza nazionale, in uno degli stand più vivi e frequentati, quello della Fondazione FareFuturo raccolta attorno a Gianfranco Fini, era in distribuzione un utile libricino, La destra nuova, a cura di Alessandro Campi e Angelo Mellone, che nel titolo ricalcava, adeguava e insieme superava e rovesciava, senza nemmeno troppa arroganza, l´esperienza e le suggestioni, molto anni Ottanta, della cosiddetta "Nuova destra", ormai invecchiata.
Ecco, anche solo a sfogliare questo elegante volumetto che spiega molto sull´evoluzione di Fini guardando all´esperienza di Sarkozy, del britannico Cameron e dei "nuovi moderati" svedesi, veniva voglia di entrare nella macchina del tempo: per vedere che faccia avrebbero fatto se fosse finito nelle mani di certi personaggi del Msi degli anni Cinquanta, o Sessanta, o Settanta, e pure Ottanta. Gente davvero parecchio stramba: sospetti figli naturali del Duce, aristocratici decaduti nel paracadutismo, profeti macilenti, ex promesse del regime ridotte alla fame, fascistoni tipo Tognazzi ne Il federale e poi avventurieri, mutilati, pugilatori, anarchici, pazzi. Ma anche molti altri che non si volevano riconoscere come fascisti. "Esuli in patria" vennero qualificati, ma solo tanti e tanti anni dopo.
Nello scritto introduttivo Campi e Mellone presentano questa "destra nuova", appunto, come «riformista, pragmatica, postideologica, laica, modernizzatrice»; ma proseguendo nell´analisi e calandosi nella realtà delle scelte è chiaro che si tratta di una cultura politica assai più che rispettabile, almeno per chi abbia a cuore non solo il valore, ma soprattutto l´efficacia della democrazia.
Ecco. I nonni e i padri di quell´antica destra avrebbero probabilmente pensato a uno scherzo. Oltretutto, intriso com´era di spirito tra la goliardia e I tre moschettieri, quel mondo di reduci e nostalgici adorava le beffe. In un comizio di De Gasperi, a Napoli, per dire, gli attivisti missini liberarono centinaia di topi. Però si trattava anche di una comunità compiaciuta della propria necrofilia, come documentano arredi, simboli, grafica, labari e canzoni.
Il punto è che rimanendosene pigramente a sinistra a volte si perdono non solo le prospettive, ma spesso anche il senso della topografia politica. Così circa quarant´anni orsono, in un tempo di clamori e dissennatezze, risuonò nelle vie uno slogan che intimava: «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!». Ecco: con il senno di poi occorrerà riconoscere che quell´appello, oltre che molto incivile, era pure sbagliatissimo, nel senso che non si trattava di fogne, ma di un´intera città sotterranea.
Non che là sotto mancassero pozzi neri maleodoranti e fiumi pericolosi. Ma oltre alle catacombe ed ad altri luoghi di culto, c´erano ambulacri, piazze, scuole, stadi, palestre, biblioteche, teatri, anche piuttosto frequentati. E laggiù non viveva un unico popolo, ma un numero abbondante di tribù, alcune perfino in guerra fra loro.
Questa era insomma la destra, quella emersa nei suoi tratti truculenti, e quella più inesplorata che misteriosa dell´ipogeo. Poi anche qui, e lì sotto, deve essere accaduto qualcosa di grosso, di serio e d´imprevisto. Fughe in avanti e sconvolgimenti, corse all´indietro e pentimenti. Un´intera cultura politica salutava il passaggio di secolo con rassegnata fiducia e trepido disincanto. L´identità diventava retorica, l´utopia saliva a bordo di un´auto blu; e tra "nuova destra" e "destra nuova" la novità è tale da non potersi più forse nemmeno nominare destra, ma in qualche altro modo per cui ancora manca la parola.

Repubblica 24.3.09
Sylvia Plath. Il fantasma di una madre
Il suicidio di Nicholas Hugues
di Tommaso Pincio


Quarantasei anni dopo il suicido di sua madre, la poetessa Sylvia Plath, Nicholas Hughes si è impiccato nella sua casa in Alaska. Da anni combatteva contro la depressione. Aveva lasciato la cattedra di Scienze oceaniche all´università di Fairbanks per mettere su una fabbrica di ceramiche. Nicholas Hughes era nato 47 anni fa dal matrimonio fra la Plath e Ted Hughes, anche lui poeta. Non era sposato e non aveva figli. Si è ucciso il 16 marzo scorso, ma la notizia è stata diffusa l´altro ieri sul Times dalla sorella Frieda.
Sylvia Plath si uccise nel 1963 con il gas. Sei anni dopo anche la nuova compagna di Ted Hughes, Assia Wevill, si tolse la vita allo stesso modo e morì anche la figlioletta della coppia. Sul poeta britannico cadde la colpa di aver spinto entrambe le donne al suicidio con i suoi adulteri. La sua versione dei fatti fu raccontata poco prima della morte, nel 1998, in Lettere di compleanno.

Il figlio della grande poetessa viveva in Alaska Quando sua madre si tolse la vita aveva solo un anno
Un mese dopo l´uscita della "Campana di vetro" la scrittrice si uccise con il gas
Aveva 47 anni, insegnava scienze oceaniche, una passione ereditata da suo padre

Non deve essere facile trovare un posto nel mondo sapendo che tua madre si è tolta la vita quando tu eri poco più di un neonato. Ancor meno deve esserlo se lei lo ha fatto in cucina, infilando la testa nel forno mentre tu, ignaro, dormivi nella camera accanto insieme alla sorellina di due anni. Se poi il gesto estremo diventa un mito della letteratura moderna e trasforma tua madre in un oggetto di culto, vivere può rivelarsi intollerabile.
Nicholas Hughes, figlio di Sylvia Plath, si è impiccato la scorsa settimana. Viveva immerso nei paesaggi aspri e selvaggi dell´Alaska. Aveva ereditato la passione per il mare e i pesci dal padre Ted che amava esaltare la potenza della natura nei suoi versi. Pare che nonostante tutto avesse mantenuto un entusiasmo e un´innocenza quasi infantili. Ma il difficile equilibrio deve essersi spezzato. I fantasmi del passato hanno preso il sopravvento. «Ha lottato per qualche tempo contro la depressione» spiega la sorella Frieda.
Si dice spesso che la tendenza al suicidio sia ereditaria. Il caso di Sylvia Plath è però assai aggrovigliato e non può essere ridotto a una questione di tara genetica. Che la scrittrice soffrisse di manie depressive è fuor di dubbio, così com´è certo che i tre elettroshock cui fu sottoposta da ragazza non l´hanno aiutata. Furono tuttavia altre le questioni sollevate all´indomani del ritrovamento del cadavere, l´11 febbraio 1963. Si parlò di pene d´amore, di tradimento, di un celebrato quanto egoista poeta inglese che aveva abbandonato una dotata quanto fragile poetessa americana per un´altra donna.
Sylvia e Ted si erano conosciuti sette anni prima, a Cambridge. Nata a Boston, Sylvia era una studentessa brillante con una sfrenata ambizione di imporsi nel mondo letterario. Ted era invece un giovanotto inglese dai progetti ancora confusi ma aveva comunque pubblicato alcune poesie, oggetto d´ammirazione per Sylvia. Al loro primo incontro lui rimase abbagliato dalla frangetta alla Veronica Lake di lei. Lei gli recitò a memoria i suoi versi. Si trovavano a una festa. Lui la invitò a ballare. Si ubriacarono e si baciarono. E con ciò giunse il momento poi diventato leggenda: i denti di lei affondarono a tal punto nella guancia di lui da farla sanguinare. Nei castigati anni Cinquanta si veniva chiacchierati per molto meno.
Nel giro di pochi mesi la coppia finisce all´altare. All´inizio è una luna di miele, uniti dalla passione per la letteratura i due fanno avanti e indietro tra l´America e il vecchio continente. Con la nascita dei figli arrivano però i problemi, e alla frustrante routine della maternità si aggiungono le scappatelle di Ted, che alla fine preferirà gettarsi tra le braccia di un´altra, Assia Wevill. Per Sylvia inizia un periodo di ristrettezze economiche ma anche di intensa attività che culmina nel 1963 con la pubblicazione sotto pseudonimo del romanzo La campana di vetro. L´accoglienza, pur non del tutto negativa, è tiepida e comunque inferiore alle speranzose attese dell´autrice, che sentiva la propria sensibilità schiacciata tra la voglia di affermarsi e il ruolo che la società del tempo imponeva a una donna. In capo a un mese, mette in camera i figli, sigilla porte e finestre della cucina, scrive un´ultima poesia e infila la testa nel forno.
La tragedia ha un´assurda replica qualche tempo dopo. Perché il 23 marzo 1969, anche Assia Wevill si toglie la vita alla stessa maniera: con il gas del forno. Diversamente da Sylvia, però, decise di uccidere pure la figlia di quattro anni. L´ignominia si abbatté fatalmente su Ted Hughes. Il poeta fu accusato di essere un uomo dal cuore di pietra che aveva indotto due donne al suicidio; qualcuno tirò via a colpi di scalpello il suo cognome dalla tomba di Sylvia Plath. Lui si è chiuso in un impenetrabile silenzio finché non diede la propria versione dei fatti in una raccolta di poesie che fece scalpore. In una di queste, ricordando il primo momento d´amore con Sylvia, scrive: «Eri sottile, sinuosa, sfuggente come un pesce».
Sinuosa e sfuggente come le creature amate da suo figlio Nicholas, verrebbe da aggiungere col senno di poi. Ma la catena dei suicidi è più lunga ancora. Nel 1974 si uccide con il gas Anne Sexton, amica di gioventù di Sylvia. Anni addietro, quando erano entrambe poetesse alle prime armi, si divertivano a chiacchierare al bar delle loro inclinazioni suicide. Chiacchierate che la Sexton ha rievocato in versi dopo la scomparsa di Sylvia: «Come hai potuto scivolare giù da sola /nella morte che così tanto e così a lungo ho desiderato /... la morte di cui così tanto parlavamo a Boston /mentre ci scolavamo tre martini extra dry». I gas con cui anche lei, in seguito, si tolse la vita furono però quelli di scarico di un´automobile. Con macabra ironia qualcuno ha commentato che fu costretta a optare per il garage perché in America i forni erano ormai tutti elettrici.
L´amante del marito, l´amica, il figlio. Un cerchio inquietante che trascende i legami di sangue. Cos´è dunque il suicidio? Una malattia contagiosa, una perversa tentazione che si trasmette alla maniera dei virus? Le paurose ragioni che spingono un essere umano a rincorrere un suo simile verso l´eterna notte sono fatte di mistero, ma devono somigliare molto alle parole che Sylvia Plath appuntò in un gelido giorno d´inverno: «Parlo a Dio ma il cielo è vuoto».

Repubblica 24.3.09
Parla Eugenio Borgna
Una famiglia stregata dalla morte
di Luciana Sica


Il dolore di vivere - nei libri di Eugenio Borgna - assume spesso volti indimenticabili, la sua conoscenza delle esperienze psicotiche rimanda ai grandi testi della filosofia e della letteratura, soprattutto della poesia. Ne Le intermittenze del cuore (titolo proustiano per un saggio uscito anni fa da Feltrinelli), Borgna ha scritto diffusamente della "smania di morire" di Sylvia Plath e di come - attraverso i suoi scritti - si colgano gli abissi più terrificanti della vita psichica.
Borgna è primario emerito di psichiatria all´Ospedale maggiore di Novara. Ma qui è anche da fine conoscitore della Plath che parla del figlio della poetessa, di Nicholas Hughes: suicida come la madre. Si potrebbe ipotizzare una "coazione a ripetere" nella drammatica conclusione di un´esistenza segnata dalla solitudine e dalla depressione. Oppure fare ricorso al modello imitativo che spesso caratterizza le condotte suicidarie.
«Intanto - dice Borgna - non sappiamo se si possa attribuire al figlio della Plath una qualche psicopatologia. Sappiamo invece che Nicholas aveva solo un anno quando ha perso sua madre e che ha potuto conoscerla solo attraverso le poesie, le lettere, i diari o anche quel romanzo - La campana di vetro - in cui la Plath descrive la catastrofica esperienza dell´elettroshock praticato senza anestesia... Sono scritti riempiti di deliri, allucinazioni, angosce, paure, disperazioni. Testimoniano di un nocciolo psicotico più forte di ogni altra possibilità di vita, di una assoluta volontà di morire. Sono testi che avranno costituito una tragica forma di richiamo - sia pure per un lungo tratto respinto o almeno arginato - verso un´identificazione profonda e radicale con il destino della madre».
Borgna non parla dunque tanto di mimesi, di un processo di imitazione, quanto proprio di immedesimazione - di meccanismi di natura inconscia che possono entrare in gioco all´interno di un gruppo familiare. Tanto più se si pensa al ruolo complesso e ambiguo di Ted Hughes, l´uomo che favorisce il suicidio di Sylvia Plath e determina quello della sua nuova compagna, Assia Wevill. Un padre che Nicholas difficilmente avrà mai perdonato. «Evitiamo invece - conclude Borgna - quel corto circuito per cui ogni esperienza psicotica si trasmetterebbe ereditariamente: una tesi inaccettabile e scientificamente falsa. Di Nicholas Hughes, del suo destino stregato dalla morte, colpisce piuttosto l´equivalenza psicologica e umana con la solitudine radicale della madre... E anche quel modo determinato, maschile, di togliersi la vita, impiccandosi. Senza lasciare alcuna breccia alla speranza, cancellata dai morsi di un malessere stratificato nel tempo a cui alla fine si è abbandonato».

Corriere della Sera 24.3.09
Tutti scrittori, ecco i libri fai da te
Nel 2008 sono stati pubblicati in Italia 180 titoli al giorno. Offerta online.
Le cifre. L'84% dei volumi pubblicati in Italia vende meno di 500 copie. Con 99 euro si stampano 20 copie di un testo di 96 pagine
Gli autori «La produzione di opere cartacee è in continuo aumento». Il fenomeno incontrollato di quelle non registrate
Editoria universitaria: una copia per volta
di Armando Torno


Dopo la nascita di Kindle2, prodotto da Amazon, sappiamo che una macchinetta di tre etti può contenere le notizie, i dati o le storie di circa 1500 libri. È una biblioteca portatile che verrà sempre più perfezionata e ampliata. È capace di nuove funzionalità, ha un disegno grazioso — il primo Kindle era più brutto dell'anatroccolo delle fiabe — nonché un rinnovato sistema di navigazione, sedici tonalità di grigio e alta risoluzione. Insomma, è più «umana».
Altre biblioteche simili sono allo studio e in via di perfezionamento e tra non molto saranno in grado di interagire in rete con infinite possibilità. Un nuovo scenario tecnologico nel quale si inserisce il momento d'oro in atto per il libro fai-da-te; è, per dirla in soldoni, scoppiato il caso self-publishing. Se si desidera dare alla luce un'opera senza rivolgersi a una tradizionale tipografia o tentare le consuete vie editoriali, niente è più semplice. Decine di siti — dagli internazionali a quelli appena nati in casa nostra — offrono la possibilità di farlo a cifre modestissime. In particolare, da noi sta vivendo una stagione fiorente la casa editrice Lampi di Stampa, che pubblica anche opere a bassa tiratura (persino in una sola copia), personalizzandole ai bisogni. Ma per non rimanere nel vago, entriamo meglio nella questione, dopo aver ricordato che il self-publishing e Kindle rappresentano un'editoria che passa dalla creazione alla lettura riducendo al minimo, se non azzerando, la macchina della distribuzione e mettendo in crisi gli intermediari tradizionali. Del resto, il dossier Patino, consegnato al governo francese alla fine del 2008, prevede a medio termine la morte delle librerie. A meno che le stesse non si riorganizzino alternando novità a modernariato o antiquariato o a prodotti multimediali. Che fine sta facendo il libro? È giunto il momento di porsi questa domanda.
L'abbiamo rivolta in prima battuta a Giuliano Vigini, fondatore dell'Editrice Bibliografica e docente di sociologia dell'editoria contemporanea. Ricorda che la stampa digitale, ormai attiva da un decennio, «realizza mille pagine al minuto», ovvero occorre più tempo per distribuire un libro che per editarlo. «La produzione di opere cartacee — sottolinea Vigini — è continuamente in aumento e costa sempre meno. Oggi sono in crescita quelle stampate in proprio, anche se non è facile quantizzarle, giacché moltissime non sono registrate e hanno un utilizzo limitato, domestico». Le pubblicazioni fai-da-te, se sono fornite del numero Isbn, il codice a barre, possono essere messe in vendita attraverso i canali normali; quelle, invece, senza la registrazione sono fuori controllo, come i libri alla macchia dei secoli scorsi. Nel 2008 si sono pubblicati in Italia — tra novità, riedizioni e ristampe — circa 180 libri al giorno, praticamente 7 e mezzo all'ora. La tiratura media di ogni opera è intorno alle 4.364 copie, edizioni scolastiche comprese (dati Istat); scende a 3.524 se si tolgono i libri di scuola. Ma quel che fa più impressione — ricorda Roberto Miglio, direttore generale delle Messaggerie, la grande catena che distribuisce tra l'altro Garzanti, Longanesi, Vallardi e la stessa Lampi di Stampa — è che l'84% dei titoli in Italia vende meno di 500 copie e che da noi i lettori di almeno un libro al mese sono soltanto 3,2 milioni (24 milioni, nel 2007, sono quelli di un libro l'anno). Agli editori, sottolinea Vigini, «arrivano annualmente circa 300 mila manoscritti (cifra che deve tener conto anche di più spedizioni di una stessa opera); una media casa editrice ne riceve circa 800-1000». Con tali numeri non occorrono particolari teorie per dedurre che il libro fai-da-te avrà sempre più spazio, con un pubblico vastissimo che diventa contemporaneamente autore e lettore.
Lampi di Stampa è una casa nata per conservare in catalogo una certa opera e anche per microtirature. Se un libro sta esaurendosi, se ne ripropongono alcune decine di esemplari evitando la scomparsa; oppure, grazie al digitale, è possibile ripescare un titolo introvabile e rioffrirlo in poche copie. Mariano Settembri, il direttore editoriale, fa un esempio: «Da noi 20 copie di 96 pagine costano 99 euro e sono dotate del codice Isbn; sono libri a tutti gli effetti, entrano quindi nel circuito nazionale». Lampi di Stampa, per dirla in breve, alterna un'editoria tradizionale al servizio di microtiratura e al fai-da-te; è una specie di ponte tra l'editoria del passato e quella che potrebbe nascere. Ha in catalogo, tra l'altro, il romanzo storico di Petta e Colavito Ipazia scienziata alessandrina, che ha venduto quasi 5 mila copie in diverse edizioni; nel suo sito si trova un foglio word, «Tuttiautori», che offre un preventivo di costi, le indicazioni per impaginare e realizzare il libro da soli. Settembri confida: «Nel volgere di due, tre anni ci saranno in Italia almeno sette-ottomila persone che ricorreranno a "Tuttiautori" per la propria opera. Noi, per taluni aspetti, siamo ancora degli editori perché offriamo a chi lo desidera un servizio di editing e respingiamo opere oscene o plagi».
Ma il fai-da-te è ormai anche una soluzione per l'editoria universitaria. Roberto Radice, ordinario di Filosofia Antica alla Cattolica di Milano, ha lavorato per Mondadori, Bompiani, Vita & Pensiero, Bibliopolis e altri editori nazionali, ma i suoi importanti lessici li realizza in microtirature. Dopo quelli di Platone, Plotino, Aristotele e Stoici, Radice è pronto con due volumi dedicati a Filone e il Pentateuco. «Ne tirerò — dichiara — dieci copie con la sigla di Biblia (autore del software), poi si procederà come nei precedenti casi: a richiesta. Ne stampiamo una copia alla volta, per una biblioteca, un privato o una libreria. La maggior parte è stata venduta online, anzi addirittura qualcuno ha chiesto il solo cd».
Questi lessici sono quanto di più avanzato sia stato tentato su tali autori (gli Stoici erano in vetrina alle Belles Lettres, a Parigi; una copia di Platone e Aristotele si possono trovare a Milano da Hoepli e da Cortina, o a Napoli da Guida), ma ormai l'università non può adottare opere del genere, soprattutto dopo la riforma e i moduli. Precisa Radice: «Anche l'editoria accademica tradizionale è mutata. Pubblica senza remunerazione testi pronti in forma editoriale già definitiva, richiede il finanziamento o una quota di adozione o anche entrambe. È finita l'epoca crociana in cui un libro utilizzato in un corso era poi diffuso tra il pubblico colto delle librerie con una sigla prestigiosa, ormai siamo all'editoria curtense. Le tirature? Trecento, se va bene quattrocento copie. E non mancano casi con rese superiori alle cifre dichiarate».
Insomma, con la rete è possibile stampare una propria opera senza stare con il cappello in mano nelle anticamere degli editori; l'università, dopo non illuminanti riforme, è arrivata al fai-da-te; i siti si organizzano giacché le microtirature rappresentano l'avvenire. Gutenberg è morto? Non ancora, ma soffre di una strana malattia, dai sintomi sconosciuti. Che fare? Per non correre rischi, qualcuno gli ha inviato l'estrema unzione e altri hanno già scritto il necrologio. In rete, ovviamente.
Armando Torno

Corriere della Sera 24.3.09
Un accordo politico consente oggi l'apertura della mostra sui capolavori toscani, ma è solo una tregua
Il Lippi dei veleni, guerra a Parigi
I curatori italiani contro il gestore del Luxembourg, inchiesta in Francia
di Massimo Nava


PARIGI — Fra veleni, sospetti e carte bollate, si apre oggi, al Palais de Luxembourg, sede del Senato francese, la mostra dedicata a Filippo e Filippino Lippi, con il sottotitolo La renaissance à Prato, luogo di origine degli artisti e di provenienza di alcuni dei capolavori esposti. L'omaggio all'arte italiana è oscurato infatti da una più prosaica faccenda di gestione di fondi e rivalità fra curatori che il presidente del Senato francese Gérard Larcher e il ministro per i Beni culturali italiano Sandro Bondi hanno faticosamente messo fra parentesi almeno per riuscire a far aprire i battenti. Ma è solo una tregua: i grandi progetti per il futuro sono per il momento azzerati.
Stamane, il pubblico si metterà in coda per ammirare, forse per l'ultima volta, i frutti di una collaborazione che, negli ultimi anni, ha portato a Parigi Raffaello, Botticelli, Veronese, Tiziano e Arcimboldo e che ha fruttato anche diversi milioni di incassi al museo. Ed è proprio dalla ripartizione degli utili che sono scoppiati contrasti fra curatori e gestori, al punto da raffreddare le relazioni culturali fra Italia e Francia e mettere in discussione progetti per altre grandi esposizioni.
Fino all'ultimo, la querelle ha messo in pericolo anche l'esposizione di Lippi, salvata in extremis da una sorta di accordo fra autorità francesi e italiane per salvare il salvabile ed evitare una rottura controproducente per tutti. Ma strette di mano e discreti contatti fra ministeri e ambasciate hanno soltanto messo la sordina su rivalità e oscuri retroscena sulla gestione delle precedenti esposizioni, attualmente sotto inchiesta.
La diatriba del Luxembourg scoppiò nella primavera scorsa quando la curatrice italiana, Patrizia Nitti, fu costretta a lasciare l'incarico per contrasti sulla gestione artistica e dei fondi con Sylvestre Verger, l'organizzatore delle mostre, diventato il factotum del museo. L'avvocato della Nitti ha parlato di «quattro milioni» di danni, il che dà un'idea del giro d'affari del museo. Al di là delle cifre, il contrasto riguarderebbe la ripartizione delle commissioni pattuite per le precedenti esposizioni e il numero effettivo di visitatori su cui si stabiliscono le commissioni stesse. Sulla vicenda, il nuovo presidente del Senato, Gérard Larcher, ha sollecitato un'inchiesta. In una lettera all' «Express», Verger, titolare di una società di gestione delle esposizioni, sotto contratto con il Senato, ha respinto le insinuazioni e sostiene che l'incarico alla Nitti era in scadenza. «La mia società, con oltre cinque milioni di visitatori, ha assicurato il successo di un museo dimenticato e divenuto uno dei luoghi più popolari della capitale ». La prima conseguenza dell'uscita di scena della Nitti furono a settembre le dimissioni dei cinque membri italiani del comitato scientifico, alcuni fra i più noti curatori del nostro patrimonio : Antonio Paolucci, direttore generale dei Musei vaticani; Francesco Buranelli, segretario della commissione pontificia per i beni della Chiesa; Giandomenico Romanelli, direttore dei musei veneziani; Nicola Spinosa, soprintendente a Napoli e Claudio Strinati, soprintendente del polo museale di Roma, il quale ricorda le ragioni del gesto: «Siamo stati chiamati dalla Nitti e la nostra presenza era diventata incompatibile. È stato un gesto di sincera solidarietà».
La seconda conseguenza è stata l'annullamento del grande progetto di esposizione del «Tesoro dei Medici» e il prevedibile congelamento di iniziative future che potrebbero privare il pubblico dei grandi capolavori italiani. Le mostre al Luxembourg, dedicate all'Italia e in passato inaugurate dai presidenti Ciampi e Napolitano, erano infatti diventate una sorta di appuntamento stagionale.
La mostra dedicata a Lippi lascia aperto uno spiraglio, anche se da più parti vengono espresse riserve sull'effettiva importanza (almeno per numero) dei capolavori esposti. I retroscena della vicenda non lasciano ben sperare per il futuro. Da fonti italiane si fa notare che Sylvestre Verger avrebbe portato a Parigi la mostra su Lippi già allestita a Prato, integrata con prestiti sollecitati alle autorità italiane dal presidente del Senato francese per assicurare comunque un buon livello dell'iniziativa. Il presidente del Senato si sarebbe fatto garante dei prestiti stessi, concessi dai musei di Prato e di Firenze.
Si sa inoltre che i ministri dei Beni culturali italiani — prima Francesco Rutelli, oggi Sandro Bondi — avevano espresso perplessità, rimaste senza risposta, al presidente del Senato e al suo predecessore Christian Poncelet. Sulla vicenda ha alzato la voce anche l'opposizione con un'interrogazione del senatore del Pd, Luigi Zanda, il quale ha chiesto al ministro di conoscere le ragioni delle dimissioni dei cinque membri italiani; si domanda inoltre se, in assenza di adeguato presidio scientifico, non siano venute meno le ragioni di prestiti di grande importanza, tenendo anche conto di esigenze di assoluta sicurezza nelle fasi di trasporto e esposizione.
«È stato un atto di cortesia nei confronti della presidenza del Senato, in attesa di una ripresa dei rapporti su basi nuove», spiegano al ministero dei Beni culturali.
Agi 21.3.09
EDITORIA: PRESENTATO "FANTASIA DI SPARIZIONE" DI FAGIOLI
(AGI)- Chieti, 21 mar.- "La fantasia di sparizione e' una scoperta scientifica, non un'opinione". E' quanto ha affermato Marco Pettini, fisico teorico, docente presso l'Universita' Aix Marseille II, questa mattina in occasione della presentazione nell'aula magna dell'Universita' degli studi G. D'Annunzio di Chieti del nuovo libro (l'ottavo) di Massimo Fagioli, lo psichiatra della Teoria della nascita e dell'Analisi Collettiva. Il volume, "Fantasia di sparizione", edito da una nuova casa editrice: L'Asino d'Oro, dal racconto di Apuleio, di Matteo Fago e Lorenzo Fagioli, dal 20 marzo in tutte le librerie d'Italia, raccoglie le lezioni tenute nel 2007 da Fagioli che insegna all'ateneo chietino dal 2002, e verte sulla scoperta della nascita umana. "Questo e' un libro ad alta densita' di pensiero", - ha spiegato il professor Pettini di fronte all'autore seduto in prima fila, in un'aula magna gremita da centinaia di persone, sottolineando che "il metodo deduttivo e' assolutamente centrale nella scienza moderna, in particolare nella fisica teorica". "La realta' mentale sorge dalla realta' biologica - ha insistito - come afferma la Teoria della nascita di Fagioli: il pensiero per immagini, irrazionale, e' una peculiarita' umana e segna una cesura, una discontinuita' qualitativa nell'uomo rispetto al mondo animale". "La teoria di Fagioli propone un discorso culturale nuovo, una cultura diversa che si scontra con il cattolicesimo", ha detto Anna Homberg, psichiatra e psicoterapeuta, docente di Pari Opportunita' all'Universita' di Foggia, che insieme al professor Pettini ha presentato "Fantasia di sparizione". "In questo libro il pensiero mostra il suo farsi", ha aggiunto. "A partire dal 2002 - ha spiegato Massimo Fagioli, riferendosi anche ad altri tre volumi che raccolgono le lezioni svolte a Chieti - questi libri sono legati all'universita' e alla ricerca universitaria. Una universalita' della scienza tuttavia si puo' scoprire solo nel rapporto umano, e' difficile pensare che la trasformazione interiore si
possa insegnare, occorre un linguaggio particolare, quello del setting: il cardine e' la frustrazione - ha spiegato -, il confronto che rivela il non umano nell'altro: la risposta dovrebbe essere la fantasia di sparizione, appunto, di proprie realta' interiori, piu' o meno patologiche, piu' o meno carenti, per essere un essere umano". "Questa teoria oggi sembra essere l'unico pensiero antagonista rispetto a quello di un altro gigante, che e' la chiesa", ha concluso il preside Bonetta, promettendo nuovi incontri con il professor Fagioli all'Universita' di Chieti.(AGI)

"Fantasia di sparizione"
CHIETI - "Fantasia di sparizione" è il titolo del volume pubblicato dal professor Massimo Fagioli, neuropsichiatra e docente dell'Università degli studi " Gabriele D'Annunzio" di Chieti-Pescara. Un testo di 7 capitoli , pubblicato dalla casa editrice " L'asino doro" che riassume le affollatissime lezioni tenute dal prof Fagioli alla D'Annunzio così come è stata la presentazione dello stesso nell'auditorium dell'Ex Rettorato a Chieti. Ad attirare l'attenzione di tanta moltitudine oltre alla personalità del geniale neuropsichiatra è sicuramente il tema affrontato: la teoria della nascita.Il prof Fagioli parla dell'assunto che il pensiero sorge alla nascita con la luce che impressiona la retina ed attiva così le percerzioni. Se c'è assenza di pensiero non c'è più essere umano. La teoria inevitabilmente ci porta a pensare al caso Englaro e ad altri casi analoghi che hanno animano il dibattito a livello internazionale . Il prof Fagioli un pò sorpreso ci ha detto di averla elaborata circa 40 anni fa ma solo di recente ha avuto tutta questa eco. "La spiegazione - ci ha detto - potrebbe essere collegata ai cambiamenti legati alla cultura, ai rapporti con il Cristianesimo e forse anche con la politica. (rete8.it 21.3.09)

Fagioli a Chieti
Chieti. Massimo Fagioli lo psichiatra della teoria della nascita e dell'analisi collettiva, sarà questa mattiona alle 10.30 a chieti, all'auditorium della palazzina dell'ex rettorato dell'università D'Annunzio. L'incontro, organizzato dalla facoltà di Scienze della formazione, prevede la presentazione del nuovo libro di Fagioli: "Fantasia di spoarizione" (L'asino d'oro)
(Il Centro 21.3.09)

ANSA 20.03.09
LIBRI: BIOTESTAMENTO, SAGGIO FAGIOLI CON NUOVA CASA EDITRICE
Massimo Fagioli, 'Fantasia di sparizione' (L'Asino d'Oro), ottavo libro del discusso psicanalista Massimo Fagioli, è pubblicato da una nuova casa editrice che prende il nome dal romanzo di Apuleio. Il saggio ha come tema centrale la scoperta della nascita umana e la definizione della differenza tra fantasia di sparizione e pulsione di annullamento e quindi può essere interessante dopo le tante discussioni sul caso Englaro.
Il giovane intraprendente Lucio, mutato in asino per magia, vive storie fantastiche tra voluttà ed eccessi, con lo sguardo sempre alla ricerca di un cespuglio di rose: soltanto se riesce a mangiarne, infatti, potrà riprendere sembianze umane, ma la primavera è lontana e l'inverno irto di ostacoli.
L'Asino d'Oro, il capolavoro di Apuleio, altrimenti noto come Il libro delle Metamorfosi, è il nome scelto da una nuova casa editrice romana, fondata da Matteo Fago e Lorenzo Fagioli, il cui esordio è previsto oggi con l'uscita appunto di questo ultimo saggio di Fagioli, lo psichiatra della Teoria della nascita e dell'Analisi Collettiva. Il libro reca in copertina l'immagine scultorea di Amore e Psiche del Canova, favola narrata nell'Asino d'Oro dallo stesso Apuleio, e raccoglie il contenuto delle lezioni svolte due anni fa da Fagioli all'Università D'Annunzio di Chieti.

Adnkronos 18.3.09
ARRIVA 'FANTASIA DI SPARIZIONE' DI MASSIMO FAGIOLI
Chieti - La scoperta della nascita umana: arriva "Fantasia di sparizione", il nuovo (ottavo) libro dello psichiatra Massimo Fagioli, edito da una nuova casa editrice romana, "L'asino d'oro". Il libro, dal 20 marzo in tutte le librerie, sarà presentato dall'autore all'Università di Chieti, il 21 marzo. Il volume, che ripercorre momenti fondamentali dell’attività dell’autore, si sofferma in particolare sulla scoperta della nascita umana definendo la differenza tra fantasia di sparizione e pulsione di annullamento. (qui)

In libreria, “Fantasia di sparizione”
Sabato 20 marzo la presentazione alle ore 10,30 presso l'Università D'Annunzio, il libro è stato redatto dal prof. Massimo Fagioli
CHIETI - Un grande evento, grande anche per l’annunciata partecipazione di una gran folla di appassionati e ammiratori da ogni parte d’Italia, è previsto per sabato prossimo, 21 marzo 2009, alle ore 10,30, presso l’Auditorium della Palazzina ex-Rettorato, nel Campus Universitario di Madonna della Piane a Chieti. Ci sarà, infatti, l’attesissima presentazione del libro “Fantasia di sparizione” del prof. Massimo Fagioli, edito dalla nuova casa editrice “L’asino d’oro”. Si tratta dell’ottavo libro del prof. Fagioli (il cui primo volume “Istinto di morte e conoscenza” è giunto alla 12esima edizione), lo psichiatra della Teoria della nascita e dell’Analisi Collettiva, che dal 2002 tiene proprio all’Università di Chieti corsi affollatissimi ai quali partecipano centinaia di persone. Il volume che verrà presentato sabato prossimo è il frutto della trascrizione delle lezioni tenute dal prof. Fagioli nel 2007 presso la Facoltà di Scienze della Formazione della “G. d’Annunzio”
Il libro “Fantasia di sparizione” verrà presentato, alla presenza del prof. Gaetano Bonetta, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione della “G. d’Annunzio”, a cura della dott.ssa Anna Homberg, psichiatra e docente di pari opportunità all’Università di Foggia, e del professor Marco Pettini, docente di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille II.
“Fantasia di sparizione”, che si sofferma in particolare “sulla scoperta della nascita umana, definendo la differenza tra fantasia di sparizione e pulsione di annullamento”, è per il suo contenuto un libro di stringente attualità.
(pagineabruzzo.it 18.3.09)

Chieti, sabato presentazione di “Fantasia di sparizione”
Chieti - Sabato, alle 10.30, presso l’Auditorium della Palazzina ex-Rettorato, nel Campus Universitario di Madonna della Piane a Chieti, si terrà la presentazione del libro “Fantasia di sparizione” del professor Massimo Fagioli, edito dalla nuova casa editrice “L’asino d’oro”. Si tratta dell’ottavo libro del professor Fagioli (il cui primo volume “Istinto di morte e conoscenza” è giunto alla 12esima edizione), lo psichiatra della Teoria della nascita e dell’Analisi Collettiva, che dal 2002 tiene proprio all’Università di Chieti alcuni corsi. Il volume che verrà presentato sabato è il frutto della trascrizione delle lezioni tenute dal professor Fagioli nel 2007 presso la Facoltà di Scienze della Formazione della “G. d’Annunzio” Il libro “Fantasia di sparizione” verrà presentato, alla presenza del prof. Gaetano Bonetta, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione della “G. d’Annunzio”, a cura della dott.ssa Anna Homberg, psichiatra e docente di pari opportunità all’Università di Foggia, e del professor Marco Pettini, docente di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille II.
(agenziastra.it 17.3.09)

segnalazioni - fra le altre - di Giovanni Senatore Carlo Patrignani e Roberto Martina

lunedì 23 marzo 2009

l'Unità 23.3.09
L’era Bush È tramontato lo spirito di scontro religioso che ha animato gli ultimi 8 anni
L’era Obama Gli americani, secondo un sondaggio, si fidano più della scienza che della fede
America: Staminali gay, aborto La crisi spazza via le crociate
di Roberto Rezzo

Staminali, aborto, nozze tra gay, uso terapeutico della marijuana, tutti questi temi scivolosi per Bill Clinton e ossessionanti per Bush sono stati spazzati via dalla crisi economica. L’America non ha più voglia di fare crociate.

Spariti all’improvviso dalle pagine di giornali e notiziari gli embrioni congelati, i feti da tutelare, le coppie da santificare. Negli Usa la crisi finanziaria fa dimenticare seni scoperti, viodeogiochi violenti, gay impenitenti. L’acceso dibattito sulla questioni morali che si strascinava dagli anni di Bill Clinton e che sotto George W. Bush aveva assunto toni da crociata non interessa più a nessuno. Le guerre culturali sembrano diventate un lusso che gli americani non possono più permettersi. E persino i conservatori sembrano infischiarsene. Una svolta incredibilmente repentina.
Il 9 agosto del 2001, tre giorni dopo aver ricevuto un rapporto dei servizi segreti su un imminente attacco di Bin Laden, Bush pronuncia il suo primo discorso alla nazione. Il tema – pomposamente definito dalla Casa Bianca come «uno dei più profondi del nostro tempo», sono le cellule staminali. E ancora nell’estate del 2006 Michael Steele, allora presidente del Partito repubblicano, in campagna elettorale paragona la ricerca sugli embrioni agli esperimenti medici dei nazisti nei lager. Obama due settimane fa ha cancellato per decreto le restrizioni sulla ricerca imposte dal suo predecessore. Via libera ai finanziamenti pubblici per trovare una cura contro patologie come l’Alzheimer e il Parkinson. La reazione dei vertici repubblicani? Silenzio assoluto.
LA MINISTRA ALLA SALUTE
Quando Obama ha scelto come segretario alla Salute Kathleen Sebelius, la governatrice del Kansas che pur essendo cattolica difende il diritto di scelta delle donne sull’interruzione di gravidanza, Tony Perkins, leader di Family Research Council, ha tuonato: «Se i repubblicani non insorgono ora, quando mai lo faranno?». Non lo hanno fatto. La ratifica di Sebelius al Senato è passata anche con il voto a favore di due noti anti abortisti: Sam Brownback e Pat Roberts.
Gli storici assicurano che oggi si sta ripetendo esattamente la stessa dinamica che gli Usa hanno vissuto tra gli anni ’20 e gli anni ‘30. Praticamente da Al Capone al New Deal passando per la Grande depressione. Quando Franklin Delano Roosevelt entra per la prima volta alla Casa Bianca, i paladini della morale sono concentrati sul proibizionismo delle bevande alcoliche, causa assoluta di tutti i mali della società. La Anti Saloon League ha consenso e potere sufficiente da scoraggiare qualsiasi iniziativa del presidente contro i ben pensanti. È solo con il tracollo di Wall Street del 1929 che il governo interrompe la caccia a mescite e distillerie clandestine. E Roosevelt viene rieletto contro Hoover, schierato con I proibizionisti.
Il gesto di Roosevelt per molti americani fu una rassicurazione: il presidente non solo aveva a cuore il loro benessere economico, ma si preoccupava di liberarli dalle indebite intromissioni del governo nella loro vita privata. «Avendone persa molta durante la depressione – come spiega Michael Lerner, autore di Dry Manhattan, storia del proibizionismo a New York - la gente non ha intenzione di perdere altri pezzi di libertà per compiacere una vociante minoranza che si picca di voler chiudere i bar».La vera crociata americana dell’ultimo decennio, prima della guerra globale al terrorismo, è stata quella contro la droga. Combattuta specialmente contro consumatori e campesinos. Nel primo caso il risultato è stato quello d’ingolfare i tribunali e di riempire le patrie galere. Nel secondo, di mettere a repentaglio la sopravvivenza d’intere popolazioni andine, dispiegando truppe speciali dell’esercito e cargo dell’aviazione imbottiti di pesticidi contro i coltivatori di coca in Colombia. La svolta si preannuncia drastica anche su questo fronte.
LE MAFIE DEI NARCOS
L’amministrazione Obama ha deciso di affrontare di petto le mafie dei narcotrafficanti e di ragionare sul controllo delle diverse sostanze classificate come stupefacenti in base a criteri scientifici e non più ideologici. Il primo atto è stato quello del segretario alla Giustizia Eric Holder che annuncia la fine dei raid della polizia federale contro i dispensari di marijuana per uso medico autorizzati con leggi locali in diversi Stati dell’Unione. Una decisione che sconfessa l’indirizzo della Corte suprema motivate con logica disarmante: «È l’ora di finirla di perseguitare i malati la gente che non fa danno a nessuno». In California e Vermont sono in discussione due disegni di legge per legalizzare coltivazione e vendita di cannabis, con relativa imposta fiscal.
Frederick Lewis Allen, storico e sociologo, nota che come negli anni della Grade depressione sarebbe stato facile immaginare un arroccamento degli americani su posizioni ideologiche dettate dalla fede. Ma oggi come allora sta accadendo esattamente il contrario. Di fronte alla crisi la gente non si rifugia nelle chiese ma si aspetta e pretende un approccio razionale da parte di chi la governa. Teoria ampiamente confermata dall’ultimo autorevole sondaggio condotto da General Social Survey. Gli americani che hanno fiducia nella scienza sono il doppio di quelli che si affidano alla religione.

l'Unità 23.3.09
Ecco i conflitti ideologici superati

Cellule staminali
Obama cancella il bando ai finanziamenti pubblici alla ricerca sulle staminali. Il decreto viene subito chiamato Legge Superman, in omaggio allo scomparso attore Reeve. Il bando imposto da Bush per compiacere la destra religiosa aveva aperto una spaccatura anche fra i repubblicani. Una delle più celebri dissidenti era stata Nancy Reagan. Il 60% degli americani è favorevole alla decisione di Obama.
Diritti dei gay
L’amministrazione Obama non impugna la sentenza che in California riconosce i benefit per i coniugi dello stesso sesso ai dipendenti del governo federale. Il referendum che nello scorso novembre ha bandito i matrimoni fra gay è all’esame della Corte suprema statale per vizio di costituzionalità. I sondaggi dicono che al 55% va bene che i gay possano sposarsi o avere un riconoscimento attraverso le unioni civili. Il 75% è favorevole ai gay nelle Forze armate.
Religioni
La crisi allontana gli americani dalla religione. Nell’ultimo sondaggio condotto da American Religious Identification Survey gli interpellati che non si identificano in nessuna confessione balzano dall’8 al 15%. E diventano la terza denominazione negli Usa dopo cattolici e battisti. Questo non significa necessariamente un abbandono della spiritualità ma piuttosto un allontanamento dalle Chiese organizzate.
Guerra alla droga
Il Dipartimento alla Giustizia annuncia la sospensione con effetto immediate dei raid contro i dispensari di marijuana per uso terapeutico, ignorando una sentenza dei giudici della Corte suprema nominate da Bush. In California e Vermont sono in discussione due disegni di legge per la legalizzazione della coltivazione e della vendita di cannabis per sottrarre risorse alla criminalità organizzata, tutelare i consumatori e aumentare il gettito fiscale.
Aborto
Ribaltare la storica sentenza della Corte suprema a favore della libertà di scelta in materia di interruzione di gravidanza era stata l’ultima promessa di Bush alla destra religiosa. L’argomento è sparito dal dibattito politico e la nomina di Kathleen Sebelius, una cattolica a favore dell’attuale legge sull’aborto, a capo del dipartimento alla Sanità non incontra alcuna opposizione da parte repubblicana.

l'Unità 23.3.09
Rivelazioni e magliette shock
I dubbi di Israele sull’etica dei soldati
di Umberto De Giovannangeli

Dopo le testimonianze, le t-shirt della vergogna. Quelle indossate da soldati israeliani. Con immagini di bambini trucidati, madri in lacrime sulla tomba dei loro figli, foto di ragazzini con una pistola puntata alla testa...

Testimonianze drammatiche. T-shirt agghiaccianti. Non si spegne la polemica in Israele sui sospetti di violenze gratuite su civili da parte di militari impegnati nell’operazione Piombo Fuso contro Hamas, nella Striscia di Gaza. Sospetti riportati con evidenza dai media sulla base di racconti fatti da reduci durante i corsi del «Seminario militare Rabin», istituzione vicina al movimento dei kibbutz. L'esercito ha fatto filtrare ieri i primi esiti di «accertamenti interni» secondo cui una parte dei racconti più sconvolgenti non sarebbe attendibile. Ma il giornale Haaretz, sulle cui colonne sono comparse le prime rivelazioni, rilancia denunciando la scoperta di elementi stando ai quali - asserisce - almeno un'unità si sarebbe ritenuta autorizzata a far fuoco finanche sui soccorritori della Croce Rossa o della Mezzaluna Rossa nei 22 giorni di guerra di Piombo Fuso ( oltre 1.400 morti secondo stime palestinesi).
IL DEGRADO
Per Gideon Levy, firma di punta di Haaretz il quadro generale rivela l’immagine di giovani soldati che a casa «hanno una morale», ma a Gaza «cambiano codice di comportamento» essendo ormai «addestrati a pensare che la vita e i beni dei Palestinesi non abbiano alcun valore». L'immagine di un esercito che a suo dire «ha cessato da lungo tempo d’essere il più morale al mondo» E dal quale non c’è da attendersi «alcuna seria investigazione».
Bambini palestinesi trucidati, madri in lacrime sulla tomba dei loro figli, foto di ragazzini con una pistola puntata alla testa, moschee bombardate.
SCRITTE MACABRE
Sono queste le macabre immagini che soldati israeliani chiedono di stampare sulle magliette, accompagnate da slogan che fanno rabbrividire. «On shot, two kills» (un colpo. due morti) è l’inquietante frase stampata sulla t-shirt di un militare in borghese, ripreso di spalle da Haaretz. Sopra la scritta, la foto di una donna palestinese incinta, centrata in un mirino. Gli uffici di «Adiv», il negozio di magliette nella zona sud di Tel Aviv, stanno ricevendo un numero crescente di richieste da parte di militari israeliani. Una maglietta appena uscita dalla stampante è stata prenotata da un cecchino di Tsahal. Sotto la foto del corpo di un bambino palestinese, con accanto la madre in lacrime, campeggia la scritta «Better use Durex» (meglio usare il profilattico»). «Scommetti che sarai violentata?», è la domanda stampata sulla maglia di un altro soldato, accanto all’immagine di una ragazza piena di lividi. Diverse magliette portano la scritta «conforming the kill» (verifica di avere ucciso), con l’invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. Su altre t-shirt, le immagini di moschee bombardate. Poi, cadaveri e devastazioni.
In attesa di formalizzare «l'inchiesta approfondita» promessa venerdì, lo Stato maggiore ha lasciato trapelare sul quotidiano Maariv anticipazioni che provano a ridimensionare l'accaduto, sostenendo che alcuni dei fatti più gravi denunciati (come l’uccisione a sangue freddo di un'anziana donna) non risultano mai avvenuti. E sarebbero solo «voci» di seconda mano. Ma Haaretz non si ferma. E ieri ha denunciato, attraverso un reporter inviato a Gaza, il ritrovamento in una casa occupata a suo tempo da militari israeliani di un inquietante biglietto in ebraico in cui si legge: «Regole di ingaggio: fuoco anche sui soccorritori. Non su donne e bambini».
Riflette Amy Ayalon, già capo di Shin Bet (il servizio segreto interno d’Israele): «Un tempo Tsahal era fondato su etica e sacrificio, mentre oggi, dopo l’offensiva contro Gaza, si basa solo sulla forza». Una forza senza regole né pietà.

l'Unità 23.3.09
T-shirt con bambini morti e donne violentate

Un negozio di Tel Aviv sta facendo affari producendo magliette con foto di bambini palestinesi trucidati o moschee bombardate. Con scritte non meno scioccanti. Tipo: «Scommetti che sarai violentata?»; «Verifica di aver ucciso», con l’invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. E ancora: «Un colpo, due morti», con la foto di una donna palestinese incinta, centrata in un mirino

l'Unità 23.3.09
I «refusnik»

Hanno combattuto in prima linea. A Gaza. In Cisgiordania. Poi hanno detto basta. Basta a essere «strumento» di oppressione. Sono i «refusnik»: soldati e graduati, riservisti, di Tsahal che hanno deciso di unire la loro protesta individuale trasformandola in un «signor no» collettivo. Per essersi rifiutati di prestare servizio militare nei Territori, diversi riservisti hanno conosciuto il carcere. Ma la loro protesta non si è arrestata. Il loro movimento è divenuto parte integrande del movimento pacifista israeliano. Coscienza critica di Tsahal.

Repubblica 23.3.09
Gli strani silenzi sul Papa e i profilattici
di Marc Lazar

Le recenti affermazioni del papa, secondo cui «il problema dell´Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi, che anzi lo aggravano» hanno sollevato in Francia un uragano di proteste, mentre in Italia regna un silenzio assordante. È dunque forte la tentazione di vedere in questo sconcertante contrasto un ulteriore esempio dell´antica contrapposizione tra una Francia ostinatamente laica e un´Italia profondamente cattolica. In verità, la situazione è più complessa. La difformità delle reazioni va certo ascritta al peso delle differenze storiche tra questi due Paesi, ma anche a scelte politiche divergenti.
In Francia le reazioni più virulente sono state quelle dei rappresentanti del governo di destra. Il portavoce del ministro degli Affari esteri ha espresso la sua «viva preoccupazione per le conseguenze delle parole di Benedetto XVI», le quali « mettono a repentaglio le politiche di sanità pubblica e gli imperativi di tutela della vita umana». Si potrebbe obiettare che quel ministero è affidato a Bernard Kouchner, uno dei rappresentanti dell´apertura a sinistra del presidente Sarkozy, che ama ricordare di non aver cambiato le proprie idee. Ma anche Roselyne Bachot, ministra della Salute responsabile dell´Ump (il partito di Sarkozy) ha giudicato quelle parole «assolutamente catastrofiche e totalmente irresponsabili».
Quanto ad Alain Juppé, già primo ministro di Jacques Chirac e grande dirigente gollista, a suo giudizio «Benedetto XVI vive in una situazione di totale autismo». «Questo Papa», ha poi aggiunto, «incomincia a diventare un vero problema». Queste fragorose condanne da parte di eminenti rappresentanti della destra hanno eclissato quelle, più consuete, provenienti dalla sinistra e dagli ambienti massonici. La destra si è dunque definitivamente convertita alla laicità? Sì, ma solo in parte. Dopo averla combattuta, in particolare tra la fine del XIX secolo e l´inizio del XX, dagli anni ´60 l´ha fatta propria. Tuttavia Nicolas Sarkozy (che peraltro non si è espresso sulle parole del Papa) è stato il primo presidente della Repubblica a dichiarare «esaurita» ed «esposta al fanatismo» quella laicità francese che il suo predecessore Jacques Chirac aveva definito «monumento inviolabile». E il 20 luglio 2007, a San Giovanni in Laterano, Sarkozy ha proclamato che «le radici della Francia sono essenzialmente cristiane», tessendo gli elogi «dei sacerdoti e dei credenti»; e ha ribadito questo concetto nel gennaio 2008 a Ryad. Da tempo il presidente francese postula una «laicità positiva», più rispettosa delle libertà religiose, secondo una filosofia a un tempo più liberale e più comunitarista, rompendo così la tradizione repubblicana francese. Come interpretare queste diverse posizioni in seno alla destra? Differenze ideologiche personali? O ripartizione dei ruoli, col presidente Sarkozy più proteso verso i cattolici praticanti, che rappresentano una parte consistente del suo elettorato, e i suoi amici impegnati ad attirare altre fasce di elettori? O forse la destra fa ormai una distinzione chiara tra la funzione spirituale delle religioni, in quanto dispensatrici di senso in un mondo sempre più incerto, e le responsabilità dei politici - e ciò può indurli a contestare le posizioni delle autorità religiose, a incominciare da quelle incarnate dal Papa, quando contrastano col buon senso e indispongono l´opinione pubblica, non esclusa quella cattolica? Tutti questi interrogativi restano aperti. Ma le prese di posizione della destra francese hanno il merito di alimentare un vero dibattito pubblico.
Per converso, il mutismo dei politici italiani è stupefacente. Il ministro degli Esteri non ha voluto commentare «le parole del Papa». Il presidente del Consiglio Berlusconi si è limitato a dire: «Ciascuno svolge la sua missione in coerenza col suo ruolo», dichiarando poi di difendere la libertà della Chiesa anche quando proclama principi e concetti «difficili e impopolari». Al di là della sua discrezione su questa questione, la destra italiana è vicina alla Chiesa; la quale se ne rallegra, pur criticando talune misure del governo, in particolare per quanto riguarda l´immigrazione. Questa differenza di posizione rispetto alla destra francese ha varie spiegazioni. La prima è storica: in Italia la Chiesa occupa un posto assai più importante che in Francia, benché anche qui sia esposta al movimento di secolarizzazione e a una seria crisi delle vocazioni. Sul piano sociologico, benché i cattolici italiani siano ormai dispersi, i praticanti regolari sono assai più numerosi che in Francia e votano largamente in favore del centro-destra. Infine, all´interno di quest´area hanno avuto la meglio i teocon, o atei devoti, che si sforzano di dare un´identità cristiana non solo alla destra, ma all´Italia e magari all´Europa. In breve, la destra italiana ha fatto una scelta più conservatrice di quella francese.
Ma in Italia le maggiori sorprese vengono dal centro-sinistra. Dario Franceschini si è limitato a dire che il profilattico «èindispensabile per combattere la malattia in Africa e nei paesi poveri». Una dichiarazione quanto mai timida, che a confronto con i toni degli esponenti della destra francese li fa apparire come temibili avversari del papato. I motivi di questa prudenza sono chiari. Il Pd ospita nel suo seno diverse sensibilità, e data la crisi che attraversa, i suoi dirigenti evitano di aprire nuove polemiche interne per non indebolire ulteriormente il partito. Molti dei cattolici che militano nei suoi ranghi sono estremamente vigili su questi temi. Dal canto loro, gli ex Ds perpetuano una tradizione comunista che consiste nel cercare in ogni modo di non mettersi in urto con la Chiesa cattolica. È sostenibile questa politica dello struzzo? Oggi gli italiani di sinistra, siano essi laici, agnostici, atei, oppure cattolici tendenti al «fai da te», nel tentativo di conciliare le proprie convinzioni profonde con le raccomandazioni della Chiesa e delle sfide quotidiane della modernità, sono senza dubbio più avanti di quanto pensi il Pd. Infine e soprattutto, Benedetto XVI ha precisato più volte che esistono valori «non negoziabili», tra cui ad esempio la vita e la bioetica. In altri termini, il Pd dovrà scegliere e prendere posizione, soprattutto in un Paese in cui la Chiesa è in prima linea. Quanto più rinvierà questa scadenza, tanto più grave sarà la sua crisi di identità.
Traduzione di Elisabetta Horvat

Repubblica 23.3.09
Quando la madonna assomiglia alla regina di Saba
L´esposizione "Nigra sum sed formosa" a Ca´ Foscari
di Paolo Rumiz

A Venezia l´arte di quel mondo cristiano isolato per secoli e ricco di tradizioni altrove scomparse
Una varietà infinita di croci, che si impugnano come ostensori o spade
Sono immagini antichissime che sposano Bisanzio e negritudine

VENEZIA. Madonne sensuali come regine di Saba, vestite in fascinose tuniche fucsia e blu oltremare. Pupille dilatate di santi che sbucano dalla penombra, icone che non svelano Dio ma favole vecchie di secoli, formule magiche contro demoni e malattie. E ancora croci come talismani, alberi della vita che gemmano all´infinito, si arrampicano nello spazio in direzioni ortogonali fino a diventare misura del mondo. E poi mappamondi veneziani che, già prima della scoperta dell´America, disegnano l´Africa fino alle misteriose sorgenti del Nilo e ai monasteri della prima nazione cristiana della storia.
E che dire del viaggio dei frati esploratori che battono gli altopiani del mitico "Prete Gianni" e insegnano ai popoli nomadi l´uso delle icone portatili, perfette per la loro vita pellegrinante. O di quel Gesù dipinto su legno che scende negli Inferi, prende teneramente per mano i progenitori, Eva e Adamo, e li porta alla luce in una resurrezione che non discrimina buoni e cattivi, ma porta l´umanità intera fuori dalla tenebra. Che cristianesimo vitale, carico di forza primitiva, quello che si scopre nella mostra inaugurata alla Ca´ Foscari di Venezia - al motto "Nigra sum sed formosa"- su sacro e bellezza nell´arte dell´Etiopia cristiana. La prima in Italia dedicata all´argomento.
Altro che radici occidentali del cristianesimo. La fonte la trovi qui, meglio ancora che a Gerusalemme, in questo viaggio fascinoso, provocatorio e multimediale all´università di Venezia. «Abbiamo dato un taglio alle mostre, vagamente colonialiste, sull´Etiopia dalla stele di Aksum allo scacciamosche di Menelik» sorride il professor Giampaolo Fraccadori, ordinario di storia dell´arte della tarda antichità e del medioevo alla Statale di Milano. «Stavolta abbiamo dato uno sguardo specifico a un mondo cristiano che prima, con l´espansione islamica, è rimasto isolato per secoli sugli altopiani rielaborando all´infinito tradizioni scomparse altrove, senza conoscere mai l´iconoclastia. Un mondo che poi si è aperto, stabilendo contatti fecondi con il Mediterraneo, e in particolare con Venezia».
Ed ecco che le pitture su tavola rilanciano con tecniche nuove - imparate dal francescano Niccolò Brancaleon, rimasto in Etiopia per quarant´anni alla fine del Quattrocento - immagini antichissime che sposano Bisanzio e negritudine con un taglio veterotestamentario che all´occhio europeo pare tanto ebraismo. Il patto di misericordia di Cristo con la Madonna; l´onnipresenza di San Giorgio come grande mallevadore di intercessione presso i primi due; la centralità assoluta di Maria come grande benefattrice dei viventi e implacabile nemica del diavolo.
E poi le croci, in una varietà infinita, illuminate dalla luce di marzo che filtra dai finestroni sul Canal Grande. «In nessun altro posto al mondo ce ne sono di così diverse - spiega appassionato Mario Di Salvo, massimo esperto italiano sul tema - noi in Europa al massimo ne abbiamo qualche povera variante». Croci prolifiche, fitomorfe, che nascono dalla tomba di Adamo; croci iscritte nel cerchio, croci in legno e in bronzo, scolpite o coperte di iscrizioni; croci spesso senza Cristo, perché Dio non può soffrire; croci che si impugnano come ostensori o si innalzano come spade di luce. «L´Etiopia cristiana svela un mondo straordinario, di cui l´Europa non si è occupata fino a venti, trenta anni fa» si entusiasma Valeria Finocchi, curatrice multimediale e segretaria scientifica della mostra. «Io stessa ne sapevo poco, e ora non vedo l´ora di andare anch´io sugli altopiani per capire di più», e mostra le straordinarie acqueforti sulla Gerusalemme etiope - Lalibela - disegnate dal trevigiano Lino Bianchi Barriviera nella spedizione scientifica del �38-´39 a seguito dell´impresa coloniale fascista.
Baricentro della mostra è il favoloso mappamondo di Fra´ Mauro, domenicano in Venezia, che alla metà del Quattrocento costruisce una raffigurazione quasi perfetta dell´Eurasia e dell´Africa, con quest´ultima già circumnavigabile e la prima che spazia fino al Mar del Giappone. Prestato con qualche resistenza dalla contigua Biblioteca Marciana, esso contiene, in un cerchio di meno di due metri di diametro, quasi tremila toponimi, maniacalmente esatti, e una morfologia dei fiumi, delle pianure e delle montagne che tiene conto delle relazioni di tutti i grandi viaggiatori passati all´epoca per Venezia.
In alto a destra (il mappamondo ha il Nord in basso) ecco l´Etiopia, piena di dettagli come la sorgente del Nilo, il Lago Tana, il castello del Prete Gianni e le terre della Regina di Saba. Google-Earth non accende la fantasia meglio di questo straordinario planisfero. «Fra Mauro raccolse tutti questi dati topografici da una delegazione etiope giunta in Italia nel 1439, per gli stati generali della cristianità a Firenze», racconta Giuseppe Barbieri, insegnante di metodologia della ricerca storico-artistica alla Ca´ Foscari. Ma tutto nel mappamondo è frutto di notizie di prima o seconda mano: dalle fonti arabe al racconto di Marco Polo, fondamentale per la ricostruzione dell´Asia Centrale.
Poi accade che nelle sale venerande dell´università veneziana ti appaia in più punti - da un caminetto o una nicchia - la figura tridimensionale viva del novantaquattrenne Stanislaw Choynacki, il polacco dalla vita romanzesca che nel secondo dopoguerra fu capo della biblioteca di Addis Abeba e poi patriarca dei cultori d´Etiopia nel mondo, il quale ti porta alle sorgenti del Nilo e della cristianità in poche frasi folgoranti (in perfetto italiano) che ti schiudono il senso del tuo viaggio nel tempo nei mille metri quadrati della mostra. Nel vestibolo d´ingresso, proiettato sul soffitto, uno di quei rotoli magici apparentemente simili alla Torah degli ebrei, che contiene le preghiere terapeutiche. Prima un lungo testo di scongiuri in lingua liturgica, poi una sfolgorante parte figurata con presenze in bilico tra il sacro e il profano - come l´angelo della vigilanza, i demoni in catene, Alessandro il Grande, gli apostoli, San Giorgio, il re Davide, Mosè.
Davvero un altro mondo, che varrebbe la pena di conoscere meglio anche per evitare che l´offensiva dell´Islam wahabita - favorito dalla nostra distrazione - abbia la meglio anche qui, nella culla della cristianità.

Corriere della Sera 23.3.09
La provocazione Tranfaglia d'accordo con D'Orsi: rischi autoritari. Ma Cacciari e De Giovanni: la democrazia è salda
Archiviare l'antifascismo? Ed è subito dibattito
di Pa. Fo.

Storico. Nicola Tranfaglia: «Rischio autoritarismo»
Filosofo. Massimo Cacciari: «Nulla è eterno»
Analisi. Biagio De Giovanni: «Non ci sono rischi»

ROMA — «Archiviato quel che del fascismo rimaneva, si può archiviare l'antifascismo? »: è la domanda posta ieri dallo storico Angelo D'Orsi sulle pagine del quotidiano comunista Liberazione, nel giorno dello scioglimento di An. E la risposta data da lui stesso è netta: «No chiaro e tondo». L'antifascismo dunque secondo D'Orsi non deve andare in soffitta, per almeno due motivi: perché l'assorbimento di Alleanza nazionale nel Pdl «intensificherà la nascita di gruppi fascisti duri e puri». E perché «lo scioglimento di An nel Pdl appare un atto formale che si inserisce nel quadro del passaggio alla postdemocrazia che è il volto del nuovo fascismo». Una tesi che ha subito diviso gli intellettuali di sinistra.
«Ha ragione Angelo D'Orsi — ha commentato lo storico Nicola Tranfaglia — ma non tanto perché c'è il rischio concreto di un ritorno al fascismo, che come tale è un fenomeno superato e non potrà mai tornare. Ma perché c'è il rischio di un consolidamento del modello di autoritarismo populista mediatico che con Berlusconi già abbiamo e che è molto sviluppato, per esempio, in Francia con Sarkozy o in Venezuela con Chávez. E' giusto vigilare prendendo come riferimento i valori dell'antifascismo per evitare derive di questo tipo, che sono una nuova forma di fascismo per molti versi ».
Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia, è invece in disaccordo: «Nulla è eterno e anche la democrazia come la intendiamo noi oggi un giorno non ci sarà più, come del resto era caduto l'Impero romano che sembrava invincibile. Il rischio di un ritorno al fascismo però non esiste nel quadro politico attuale e con gli attuali leader politici. Certo, è giusto vigilare contro gli autoritarismi e semmai intervenire con prontezza, ma in Italia la democrazia non è in pericolo ». Posizione condivisa dallo storico Biagio De Giovanni: «L'antifascismo come categoria filosofica non va in pensione e deve essere presente nella memoria storica di tutti, perché ha segnato in maniera importante il secolo scorso. Ma adesso non è il caso di scomodare l'antifascismo, non c'è alcun rischio di deriva anti-democratica nel nostro Paese».

Corriere della Sera 23.3.09
La giornata mondiale L'Onu: dal 2030 metà della popolazione della Terra potrebbe essere al di sotto della soglia minima
Accordo fallito, l'acqua non diventa diritto
Per il forum di Istanbul è solo un «bisogno». Impegni generici nel documento finale
di Mario Porqueddu

Si è concluso il vertice tra le polemiche di Francia, Spagna e di molti Stati sudamericani e africani

MILANO — L'acqua è una «necessità umana fondamentale ». Un bisogno riconosciuto. Nessuno, però, ha «diritto » all'acqua. Le aspettative di tante Ong e agenzie internazionali, di Paesi africani e latinoamericani, ma anche di Spagna e Francia, sono andate deluse. Nella dichiarazione finale del V Forum mondiale sull'acqua, che si è chiuso ieri a Istanbul, la nozione di «diritto dell'accesso all'acqua» non ha trovato posto. «Siamo rattristati. Ci è stato impedito di apportare modifiche al documento » protesta la delegazione etiope. Ed esce sconfitto anche il ministro dell'Ambiente transalpino, Chantal Jouanno, che venerdì scorso aveva chiaramente chiesto che il testo conclusivo fosse rafforzato in quella direzione: «Come si può parlare di diritti dell'uomo — domandava polemicamente — se non si parla di diritto all'accesso all'acqua? È il diritto che condiziona tutti gli altri».
Per una settimana sul Bosforo si sono confrontate 25.000 persone, capi di Stato e di governo e delegati provenienti da 155 Paesi. Alla fine, nella dichiarazione presentata da 95 tra ministri e vice-ministri, si concorda sulla necessità di «migliorare l'accesso all'acqua e l'azione di bonifica in tutto il mondo», di «economizzare l'acqua» in particolare nel settore agricolo, e di «contrastare l'inquinamento, di fiumi e falde». Tutti d'accordo anche su un altro punto: è urgente. Perché ogni anno sono attribuite alla carenza di acqua e servizi igienico-sanitari 8 milioni di morti. Perché sono più di 1 miliardo le persone che hanno limiti di accesso all'acqua potabile. E perché secondo il rapporto Onu presentato in parallelo al Forum, il rischio è che nel 2030 metà della popolazione mondiale resti assetata.
Sono gli «impatti umani diretti » di cui ha parlato, tra gli altri, Jonathan Greenblatt, professore alla University of California di Los Angeles e consulente al team di transizione alla Casa Bianca di Barack Obama. «Credo che l'acqua debba diventare parte dell'agenda dei legislatori — ha detto Greenblatt — e di chi decide in politica». Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità sarebbe un gioco a somma positiva. Ogni dollaro speso in acqua e misure igieniche, calcola l'Oms, può portare un beneficio economico tra i 7 e 12 dollari. Su scala mondiale questo significa che le agenzie sanitarie potrebbero risparmiare 7 miliardi di dollari all'anno. Più acqua vorrebbe dire più istruzione: si registrerebbero 272 milioni di giorni in più di frequenza scolastica all'anno. E migliori condizioni di salute: si conterebbero più di 1 miliardo e mezzo di giornate di buona salute per i bambini con meno di 5 anni.
Due miliardi e mezzo di cittadini del mondo sono privi di acqua per uso igienico. E a sottolineare quanto sia stretto il legame tra acqua e salute è Rose George, autrice del saggio «The Big Necessity». Il libro parla di quello che di solito si cerca di tenere il più possibile a distanza: le deiezioni umane. «È come la lotta per togliere la sordina ai rischi di contagio dell'Aids negli anni '80 — dice la George —. Oggi poche celebrità e pochi esponenti politici accetterebbero di sposare una campagna sui problemi igienico-sanitari, facendosi fotografare davanti a una latrina». Ma ormai più della metà della popolazione mondiale vive in città e si calcola che quasi 3 miliardi di persone abitino in case prive di sistema fognario. «Pochi si rendono conto del ruolo cruciale di questa battaglia» spiega David Trouba, del Water Supply and Sanitation Collaborative Council, una Ong di Ginevra. Stima che 1,2 miliardi di persone, più della metà in India, defechino all'aperto. E non succede solo a Mumbai: ci sono 140 milioni di europei che non hanno accesso ad acqua pulita e servizi sanitari. In Albania e Georgia, in Montenegro e in Macedonia. Gli investimenti in questo campo, però, non superano lo 0,3 del Pil mondiale.

Corriere della Sera 23.3.09
Michael C. Corballis e Philip Lieberman ribaltano molti dati e inquadrano il linguaggio al termine di un processo evolutivo a lungo dominato dai gesti
E l'uomo un giorno incominciò a parlare
Così gli organi della respirazione e deglutizione sono stati «riconvertiti»
di Sandro Modeo

Le muraglie più resistenti, a livello di pregiudizio culturale, sono spesso le più eteree e impalpabili. Così per il linguaggio umano, unicum dell'universo che Cartesio riteneva spiegabile solo come «dono divino»; e che i «neocartesiani» — costellazione vasta e composita, comprensiva di filosofi, linguisti e psicanalisti — continua a inquadrare più o meno come un'entità platonica e astratta, irriducibile alla matassa prosaica del nostro cervello.
Un libro dello psicologo australiano Michael C. Corballis, uscito nel 2002 e appena tradotto da Raffaello Cortina, intitolato Dalla mano alla bocca, può servire non solo a rovesciare la prospettiva, inquadrando nel linguaggio umano uno degli esiti più complessi dell'evoluzione, ma rilancia anche un'ipotesi audace (abbozzata già da Étienne Bonnot de Condillac) che vedrebbe nella parola l'approdo conclusivo di un percorso a lungo dominato dalla gestualità, e per un tratto connotato dal condominio delle due modalità comunicative, come mostrerebbe la nostra abitudine «residuale» di gesticolare conversando, anche al telefono.
Corballis articola la sua tesi per sequenze incalzanti. Vede nell'acquisizione della postura bipede, intorno a 5 o 6 milioni di anni fa (non si sa se in un habitat di savana crescente, con nuove pressioni di fuga e predazione, o in siti semiacquatici, con la camminata conseguente al nuoto) la possibilità di «liberare» gli arti superiori incanalandoli verso la prensione e il lancio, premesse per un salto di manualità tecnologica. Quindi, individua nella «lateralizzazione» emisferica cerebrale a sinistra — specie nella famosa «area di Broca» — la svolta neuroanatomica decisiva nella scrematura delle funzioni comunicative, in quanto responsabile sia delle «vocalizzazioni» di tante specie animali (da quelle delle scimmie a quelle vertiginose degli uccelli), sia, appunto, del linguaggio gestuale umano, sviluppato a partire da schemi basici quali «l'additare» (per esempio un nemico, una belva, un compagno). E infine, delinea la genesi della parola (anticipata da ansiti e grugniti) e la sua emancipazione dal gesto dopo dettagliati mutamenti anatomici e neurofisiologici, in un processo graduale giunto a compimento circa 175 mila anni fa: l'abbassamento della laringe, l'allungamento del tratto sopralaringeo e le modificazioni cerebrali (non solo quantitative) legate alla necessità di leggere e decifrare un ambiente carico di nuove e diverse pressioni selettive.
Secondo Corballis, insomma, a un certo punto la matrice «iconica» del linguaggio gestuale (che pure può coprire molte sfumature espressive, come mostrano i 4.500 segni impiegati dai sordi) ha dovuto lasciare il passo a quella «simbolica » della parola, coi suoi molteplici vantaggi adattativi: l'arbitrarietà (e quindi la maggior precisione, per esempio nel nominare frutti e animali), l'impiego al buio e a distanza (capitale nel comunicare stati di allarme) e, viceversa, la graduazione fonetica (il sussurro per non farsi udire). Ma — ecco il punto — l'incontestabilità di questa successione filogenetica gesto-parola, per Corballis, sarebbe dimostrata dalla controprova ontogenetica del linguaggio infantile: i bambini, infatti — nella loro poderosa scrematura costruttiva, con 10-15 mila vocaboli acquisiti tra l'anno e mezzo e i cinque anni, cioè uno per ogni ora di veglia — impiegano i gesti due o tre mesi prima delle parole.
Per quanto corretto (e seducente) nel dimostrare la sua tesi, Corballis è però parziale nel rendere le origini del linguaggio nell'insieme. Un'utile integrazione viene così da un libro (2006) di Philip Lieberman, docente di scienze cognitive alla Brown University: Toward an Evolutionary Biology of Language («Verso una biologia evoluzionistica del linguaggio», da tradurre al più presto).
Infoltendo e affinando i risultati dei lavori precedenti, Lieberman condivide con Corballis la svolta «cronologica» del linguaggio umano (intorno a 150 mila anni fa), valutandola però più come un'accelerazione in cui diverse strutture fisiologiche preesistenti (cerebrali in particolare) si «riconfigurano» interagendo tra loro in rapporto ai nuovi stimoli, ed esaltando così la facoltà ricombinatoria di quello che François Jacob chiamava il «bricolage» evolutivo. Lo mostra bene — motivo accennato anche da Corballis — la conversione di organi deputati a funzioni primarie quali la deglutizione o la respirazione (dalla lingua alla laringe stessa) in strumenti di emissione e articolazione della parola.
Sono due, per Lieberman, i passaggi decisivi. Il primo è l'incidenza linguistica del cervello antico o «rettiliano», coi «gangli basali» deputati a molte funzioni motorie umane (camminare, correre, danzare, ma anche alla coordinazione delle zampe negli insetti o al trotto-galoppo nei cavalli), dalle quali si sarebbe sviluppata una «sintassi di base», ovviamente in interazione con aree sensoriali-cognitive della corteccia (Broca e Wernicke incluse) e con la memoria (nell'ippocampo). Prova di tale incidenza sono i malati di Parkinson, il cui deficit di dopamina nei gangli basali comporta disturbi cinetici, sintattico- verbali e cognitivi (pensiero rallentato). Il secondo passaggio è l'azione del gene regolatore FOXP2, a partire, forse, da 100 mila anni fa: gene non specifico dell'uomo (si trova in topi e scimpanzé) né del cervello (viene espresso anche nei polmoni), ma decisivo nel coordinare una dinamica, fondata proprio sui gangli basali, alla base dell'elaborazione del linguaggio. Tutti e due i casi confermano nell'evoluzione (nella selezione) un processo ad altissima flessibilità, in cui ogni struttura — insieme generale e specifica — è coinvolta in più funzioni con ruoli variabili (ora prevalente, ora gregaria, ora addirittura inibita e silente), così come uno strumento, in un'orchestrazione, può essere voce solista, parte della polifonia o «in pausa».
Correggendo e integrando Corballis (vedi la notevole analisi su come il cervello discrimini suono e senso di una voce dall'intricato spettro di segnali acustici del mondo esterno), Lieberman ne rinsalda alla fine le acquisizioni polemiche: sull'inesistenza, per esempio, di una «grammatica universale», smentita sia a livello di linguaggi «segnati» (spesso molto diversi tra loro) sia a livello di lingua parlata (ci sono lingue, come il dialetto indonesiano Riau, che non distinguono nomi, verbi, aggettivi). E più estesamente, i due libri vedono nel linguaggio — sottratto a ogni dimensione trascendente — una lenta, laboriosa conquista del sapiens per riuscire a comunicare, anche a se stesso, i paesaggi emotivi e cognitivi, consci e inconsci, estesi nel rapporto tra il cervello e il mondo.

Corriere della Sera 23.3.09
Kierkegaard fidanzato impossibile
di Armando Torno

Søren Kierkegaard fu un moroso difficile da gestire per la povera Regina Olsen. Quello che per la storia resta un grande filosofo, per la donna si trasformò in una disperazione. Convinto che esista un fidanzamento celeste, presso il Padre, e un altro visibile, tangibile, che si consuma sulla terra con baci, carezze e quel che è necessario, il giorno dopo essersi promesso alla diciassettenne signorina — era il 10 settembre 1840 — il ventisettenne pensatore si pentì, considerandosi incapace di una vera passione umana. E poi Regina gli pareva troppo vanitosa, incline alle cose del mondo, senza una vera disposizione religiosa. La faccenda finì con la restituzione dell'anello alla signorina (11 agosto 1841), quindi con la rottura definitiva (11 ottobre). L'«antiamore» cristiano e la sicurezza erotica non riuscirono ad abbracciarsi, come testimonia Kierkegaard in queste Lettere del fidanzamento (a cura di Gianni Garrera, Editrice Morcelliana, pp. 118, e 10). Un libro delizioso che precede, sempre da Morcelliana, la nuova edizione del Diario in due ponderosi tomi. Il primo dei quali uscirà a maggio.