Testamento biologico così da oggi le iscrizioni
di Rory Cappelli
La nuova iniziativa del municipio X, dopo quella del registro delle coppie di fatto, da oggi diventerà attiva. Si tratta dell`iscrizione nel registro del testamento biologico, presentato qualche giorno fa dal presidente del X, Sandro Medici, insieme a Mina Welby, moglie di quel Piergiorgio Welby che lottò fino all`ultimo perché diventasse libera la decisione di accettare o meno terapie invasive in caso di morte cerebrale odi situazioni irreversibili. La Welby l`8 aprile scorso, dopo la presentazione ufficiale del nuovo registro, lo ha simbolicamente firmato per prima. E da oggi tutti i cittadini romani, presso la sede del municipio X, in piazza di Cinecittà 11 (IV piano, stanza 147), e poi tutti i mercoledì dalle 15 alle 17, previa prenotazione all`ufficio relazioni con il pubblico, potranno firmarlo e lasciare scritte le proprie volontà. Il modello di testamento dovrà essere compilato alla presenza degli impiegati incaricati: dovranno essere presenti dichiarante e fiduciario, con documento di riconoscimento valido e una sua fotocopia. Il testamento e le fotocopie saranno chiusi in un busta che poi verrà sigillata: il testamento, che avrà un numero progressivo, verrà annotato su un registro. Lo stesso numero comparirà sulla busta chiusa e sulla ricevuta. L`unica spesa sarà quella della dichiarazione sostitutiva di atto notorio (0,26 euro), necessaria al deposito della busta.
Repubblica 15.4.09
Confucio al posto di Mao /1
Nella Cina che riscopre il Saggio
di Timothy Garton Ash
Ma il modello cinese è un mix tra confucianesimo leninismo, taoismo, consumismo occidentale e socialismo
Verrà anche girato un film. Il protagonista sarà Chow Yun-Fat, il duro di tante pellicole di gangster di Hong Kong
Pechino. Da bambino la Cina per me era un cinese un po´ buffo, con i baffi lunghi e sottili una tunica di seta ricamata e un cappello a cono di paglia che con uno strano accento esclamava: «Dice il saggio…». In seguito furono le foto in bianco e nero del gruppo di sculture di epoca maoista "Corte per la riscossione della mezzadria" mostratemi con entusiasmo da un insegnante di inglese. Dopo ancora fu la follia ingenuamente travisata della rivoluzione culturale e delle Guardie Rosse. (Ho ancora la copia del libretto di Mao di quando ero studente). Oggi infine è un accademico cinese che ha studiato in America, in abito scuro, che mi dice in un ottimo inglese, «Dice il Saggio…».
È risaputo che in Cina è in atto un revival del confucianesimo. Le massime del Saggio, adattate per il vasto pubblico da una docente universitaria cinese attenta alle esigenze della a comunicazione di massa, Yu Dan, ha venduto più di dieci milioni di copie, di cui circa sei milioni, pare, in edizione pirata. Il libro è intitolato "Zuppa di pollo cinese per l´anima".
Il campus della prestigiosa Università Tsinghua di Beijing un tempo ospitava una statua del presidente Mao. Oggi vi troneggia Confucio. Una casa di produzione statale finanzierà un film su Confucio. Il Saggio sarà interpretato da Chow Yun-Fat, il duro di tanti film di gangster di Hong Kong. Esistono inoltre scuole private esplicitamente ispirate al confucianesimo.
Questo ritorno di Confucio ha una valenza sia privata che pubblica, tanto sociale che di partito. «Disse il saggio: l´armonia è un bene da tener caro», rimarcò il presidente Hu Jintao nel febbraio 2005, facendosi promotore dell´obiettivo proclamato del partito comunista di perseguire l´armonia nella società e nel mondo. «Da Confucio a Sun Yat-sen», dichiarò il premier Wen Jiaobao qualche anno dopo , «La cultura tradizionale della nazione cinese vanta numerosi elementi preziosi», tra cui citava «spirito comunitario, armonia tra diverse concezioni e condivisione del mondo comune». In un saggio sul nuovo confucianesimo cinese il politologo Daniel A. Bell ironizza sul fatto che il Partito Comunista Cinese (PCC) potrebbe un giorno essere ribattezzato Partito Confuciano Cinese.
In occasione di una mostra allestita nel più grande tempio confuciano di Pechino, è stata esposto un tabellone su cui erano evidenziate le sedi dell´Istituto Confucio nel mondo. L´Istituto Confucio è l´equivalente cinese, relativamente recente, del Goethe Institute tedesco e del British Council britannico. Attualmente le varie sedi estere si dedicano soprattutto all´insegnamento della lingua cinese, ma il messaggio esplicito della mostra è che il mondo potrebbe trarre vantaggio da una miglior conoscenza del pensiero di Confucio.
Si può dare di questa rinascenza del confucianesimo una lettura semplicistica, o più interessante. La lettura semplicistica sta nel cercare nel confucianesimo la chiave per comprendere la società, la politica e persino la politica estera della Cina di oggi. Si tratta di un esempio di Huntingtonismo volgare, come l´ho definito, ossia una versione di basso livello del determinismo culturale presente nella teoria dello Scontro di civiltà di Samuel Huntington. I cinesi sono confuciani per cui si comporteranno così�
Tanto per cominciare esistono molte versioni contrastanti di confucianesimo. Bell individua un confucianesimo progressista, un confucianesimo ufficiale o conservatore, un confucianesimo di sinistra e un confucianesimo popolare non politicizzato (la zuppa di pollo di Yu Dan). Cosa ancor più importante il confucianesimo è solo uno degli ingredienti dell´eclettico mix che contraddistingue la Cina di oggi. Molte caratteristiche della società e del sistema politico cinese possono essere definite senza riferimento alcuno al confucianesimo, e certe farebbero rivoltare il Saggio nella tomba. Accanto al confucianesimo si distinguono elementi di leninismo, capitalismo, taoismo, consumismo occidentale, socialismo, il legalismo di tradizione imperiale cinese e altri ancora.
E´ proprio questo mix che identifica il modello cinese, peraltro non ancora pienamente compiuto. Perché la Cina resta un paese in via di sviluppo in ogni senso del termine. Sapremo con precisione qual è il modello cinese quando avrà raggiunto un grado superiore di sviluppo. Nel frattempo, dovendo dare un´etichetta alla Cina di oggi il confezionismo sarebbe un miglior candidato rispetto al confucianesimo. Il segreto sta nella confezione.
Ne consegue che è un grave errore concepire la conversazione politica e intellettuale con la Cina come "dialogo tra civiltà". In questa accezione noi occidentali mettiamo in tavola i nostri cosiddetti "valori occidentali" , i cinesi i loro cosiddetti "valori cinesi" e poi si vede quali pezzi corrispondono e quali no.
Sciocchezze. Non esiste una civiltà occidentale o cinese pura, incontaminata, a parte. Da secoli tutti ci mescoliamo e soprattutto negli ultimi due. La purezza culturale è un ossimoro. È vero, il confucianesimo è più importante del cattolicesimo in Cina, e il cattolicesimo è più importante del confucianesimo in California, ma in oriente c´è più occidente e in occidente più oriente di quanto in genere si immagini. Inoltre già 2500 anni fa, quando la Cina e l´Europa erano davvero due mondi separati, certe tematiche affrontate da Confucio erano le stesse di Platone e Sofocle , perché sono tematiche universali. Non sono questioni "orientali" o "occidentali", sono questioni umane.
L´approccio interessante al confucianesimo da parte occidentale - nell´ambito di un dialogo che gli istituti Confucio farebbeno bene a sostenere - è del tutto diverso. Parte da una tesi semplice: Confucio era un grande pensatore che ancora oggi ha qualcosa da insegnarci. Nel corso di duemila anni e più numerose scuole hanno reinterpretato il pensiero di Confucio nelle varie epoche ma non solo, hanno anche aggiunto farina del loro sacco. Dovremmo leggere Confucio, e queste interpretazioni come leggiamo Platone, Gesù , Buddha o Charles Darwin, e tutti i loro interpreti. Non si tratta di un dialogo tra civiltà, bensì di un dialogo interno alla civiltà. La civiltà umana , vale a dire, ciò che ci rende migliori delle bestie.
Per condurre questo dialogo la maggior parte di noi dipende dai traduttori. Qui a Pechino ho riletto la traduzione di Simon Leys dei "Detti di Confucio" con le note dense di robusti riferimenti ad autori occidentali (il gentiluomo colto di Confucio paragonato all´ honnete homme di Pascal e così via). Grazie a Leys, trovo i Detti infinitamente più accessibili, godibili e gratificanti rispetto al testo principale di un´altra tradizione culturale con cui noi europei dobbiamo confrontarci: il Corano. Ovviamente certi passaggi sono oscuri e anacronistici , mentre altri - che esaltano il governo degli uomini invece del governo del diritto, ad esempio - si pongono in forte contrasto con il liberalismo contemporaneo. Ma molti dei detti attribuiti a Confucio emanano un umanesimo laico di grande attualità.
Preferisco la formulazione confuciana della regola d´oro della reciprocità - «Non imporre agli altri quello che tu stesso non desideri» - a quella cristiana. Qual è il compito del governo? «Dare la felicità alla gente del luogo e attrarre migranti da lontano». Come servire al meglio il nostro capo politico? «Ditegli la verità, anche se lo offende». E la massima migliore: «Si può privare un esercito del suo comandante in capo, ma non si può privare il più umile degli uomini della sua libera volontà».
Ma se queste sono riflessioni familiari in un contesto inconsueto, i detti di Confucio contengono anche accenti del tutto particolari, ad esempio esaltano una sorta di responsabilità familiare allargata alle generazioni sia passate che future. Non è una cattiva idea questa, oggi che violentiamo il pianeta lasciatoci in eredità dai nostri avi. Qualche mese fa uno dei sottosegretari britannici all´istruzione si è attirato qualche frecciata satirica per aver dichiarato che agli scolari inglesi non farebbe male studiare Confucio. Non potremmo farlo tutti? Non solo impareremmo qualcosa dei cinesi, ma anche qualcosa di noi stessi.
www.timothygartonash.com. Traduzione di Emilia Benghi
Repubblica 15.4.09
Confucio al posto di Mao /2
Il paese ritrova la autostima e il suo filosofo guida
Maestro Kung e la rivincita sui comunisti
di Federico Rampini
Nel ceto medio cinese esplode un fenomeno editoriale, il best-seller intitolato La Cina scontenta. Un libro dai toni sciovinisti, che imputa all´Occidente un bilancio fallimentare. Plebiscitato dalla gioventù cosmopolita di Pechino e Shanghai, il saggio dà sfogo a un risentimento represso, incita i cinesi a liberarsi dei complessi d´inferiorità e a occupare il posto che gli spetta nel mondo. Secondo Wang Xiaodong, uno degli autori, la recessione dimostra che gli Stati Uniti non possono più offrire al mondo una leadership adeguata. «Noi possiamo fare meglio di loro», è la sua conclusione.
Era dai tempi di Mao Zedong che non si vedeva una Repubblica Popolare decisa a esportarsi come modello. Ma oggi l´ideologia su cui poggia il neo-espansionismo cinese non è più rivoluzionaria, sovversiva e antagonista. Al posto di Mao c´è Confucio, il filosofo vissuto dal 551 al 479 avanti Cristo, che la classe dirigente cinese rivaluta come il guardiano dell´ordine sociale e della stabilità.
Kong Fuzi (Maestro Kung, latinizzato in Confucio dal gesuita Matteo Ricci) è al centro di una riabilitazione orchestrata nei minimi dettagli. Il segnale più potente è la proliferazione degli Istituti Confucio nel mondo, promossi dal governo di Pechino per diffondere lo studio del mandarino. La scelta del nome è rivelatrice di un ribaltamento clamoroso. Negli anni del maoismo Confucio fu messo al bando come un pensatore reazionario, simbolo dell´epoca imperiale. L´odio per Confucio non era una prerogativa dei soli comunisti, univa le élite progressiste nella Cina del Novecento. Ma quel secolo fu segnato dai complessi d´inferiorità; l´Occidente era il modello per ogni progetto modernizzatore. Il rilancio del confucianesimo coincide con una nuova autostima, spiega lo storico cinese Wang Gungwu della National University di Singapore. Wang descrive l´attuale rafforzamento della Cina come la quarta ascesa in duemila anni di storia, dopo l´unificazione imperiale (terzo secolo prima di Cristo), il consolidamento avvenuto nel VII e VIII secolo dopo Cristo in risposta alla minaccia di invasioni dall´Asia centrale, e infine l´espansione iniziata nel XIV secolo e culminata 400 anni dopo sotto la dinastia mancese dei Qing. Ma la "quarta ascesa", quella attuale, è la prima che proietta l´influenza cinese sul mondo intero. Il ribaltamento di prospettiva è profondo, secondo Wang. Negli anni precedenti erano europei e americani a mettere sotto pressione i cinesi perché passassero degli esami: «L´Occidente si attendeva dalla Cina ulteriori progressi nell´uniformarsi alle regole che considerava le più adatte per garantire il futuro della globalizzazione. Ora la Cina ha acquistato una nuova coscienza di sé, e rimette in discussione la validità delle pretese occidentali. La profondità della crisi economica ha scardinato la credibilità dell´Occidente come portatore di soluzioni per lo sviluppo mondiale».
Oggi è Confucio il pensatore più citato dai leader di Pechino quando noi occidentali invochiamo la necessità di riforme democratiche in Cina. A differenza che ai tempi di Mao, non è più di moda ribatterci che la nostra è una democrazia borghese, ipocrita e fasulla, che fa velo all´oppressione del proletariato. Oggi si fa ricorso al relativismo etnico-culturale. La Cina è una società segnata dal confucianesimo, dove il gruppo conta più dell´individuo, dove le relazioni sociali sono "organiche", strutturate sull´obbedienza gerarchica e sul perseguimento di obiettivi collettivi. Questo tipo di società asiatica va governata come una famiglia, con il rispetto dell´autorità paterna, e d´altra parte carica sul paterfamilias la responsabilità di garantire il benessere dei propri familiari.
I leader di Pechino hanno utilizzato Confucio dapprima in chiave difensiva, contro le "ingerenze" occidentali sui diritti umani. Un esempio è il discorso tenuto da Zhang Weiwei al Marshall Forum a Monaco di Baviera: «Voi occidentali definite la democrazia secondo il principio che ogni cittadino deve avere il diritto al voto, e nel suffragio universale diversi partiti devono competere per l´alternanza al governo. Fino a oggi è impossibile trovare un solo caso di un Paese emergente che sia riuscito a modernizzarsi con successo dopo avere adottato questo modello di democrazia. Che cosa succederebbe oggi in Cina se adottassimo una democrazia del vostro tipo? Ammesso che il Paese non sprofondi nella guerra civile o nella disgregazione, potremmo eleggere un governo di contadini, visto che i contadini sono la stragrande maggioranza della nostra popolazione. Non ho nulla contro di loro, ma è chiaro che non sarebbero capaci di guidarci nella modernizzazione. Negli ultimi trent´anni la Repubblica Popolare ha decuplicato la sua ricchezza economica, ha migliorato le condizioni di vita dei suoi cittadini, mantenendo la stabilità».
Ora la rivincita del Maestro Kung fa un passo più avanti: lo trasforma in un pensiero politico da esportare. A tutta l´Asia la Cina si propone come un modello di solidità e di tenuta, mentre l´Occidente sbanda. La decisione di dedicare un film alla vita di Confucio - con la benedizione delle autorità - assegnando il ruolo di protagonista a Chow Yun-Fat, divo dei film di arti marziali e kung-fu, è il segnale più divertente della nuova fase. L´antico teorico della «società armoniosa» adesso mostrerà anche i muscoli.
Repubblica 15.4.09
Addio a Franco Volpi
Da Nietzsche a Heidegger la filosofia come passione critica
di Sergio Givone
Ha tenuto lezioni da Padova agli Usa Tra i suoi volumi quello dedicato al nichilismo
Il suo lavoro ha permesso l´edizione di testi fondamentali
Studioso, curatore, esegeta dei maestri della modernità È scomparso ieri, vittima di un incidente stradale
Raramente, come in Franco Volpi, il filosofo italiano a cui tutti dobbiamo tantissimo, sia come esegeta e curatore di grandi testi del pensiero moderno e contemporaneo, sia come indagatore di problemi storici e di questioni speculative, la passione e l´intelligenza si intrecciano così bene nel difficile lavoro dell´interpretazione. In lui l´acribia più rigorosa è tutt´uno con lo sguardo capace di portare alla luce non solo l´intenzione profonda dell´autore ma, al di là di essa, la parola non detta, la domanda nascosta, l´apertura di un nuovo orizzonte critico. Esemplari sono le sue curatele, per Adelphi, di molte delle più importanti opere heideggeriane, alcune delle quali, e in particolare Segnavia, L´essenza della verità, e, in ultimo, i Contributi alla filosofia, rappresentano un modello insuperato di edizione da tutti i punti di vista: traduzione, note, apparati. Geniali le sue proposte, sempre per Adelphi, di opere minori di Schopenhauer, da cui ha saputo trar fuori quella accattivante miscela di filosofia popolare e filosofia alta che era nascosta in esse. Preziosa la sua monografia per Villegas Editores che accompagna l´Opera Omnia di un eccentrico di talento come Nicolás Gómez Dávila.
Allievo di Giuseppe Faggin, l´indimenticato studioso di Plotino, Volpi ha imparato fin dagli anni del liceo che quanto più si è interpreti fedeli e attenti, tanto più si è pensatori originali e in proprio. Appunto secondo l´esempio fornito da colui che più e meglio di chiunque altro trasmise all´occidente cristiano il lascito della filosofia classica. Plotino, che era greco di formazione, insegnava a Roma. Le sue lezioni si svolgevano per lo più in forma di commento e discussione delle tesi dei maestri del passato. Ma da quel suo esporre il pensiero altrui senza presunzione d´originalità sapeva ricavare approfondimenti che lasciano stupefatti per forza innovativa e capacità di penetrazione. Qualcosa di simile si deve dire di Volpi. Ovunque egli tenesse cattedra (titolare in quelle di Padova e di Witten/Herdecke, oltre che visiting professor in alcune delle principali università europee e nordamericane), sempre si presentava quale in effetti era: storico della filosofia. Verrebbe da dire: filologo della filosofia. Ma filologo che sa la potenza e lo smalto della parola, oltre che la sua fallibilità: ciò che impone un di più di scrupolo, di dedizione, di "amore per il logos". Sono precisamente questi i tratti che caratterizzano l´impegno di Volpi, il suo limpido argomentare, il suo instancabile leggere e rileggere i testi. Ciò di cui il suo Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori) è un´eloquente testimonianza.
E quando gli accade di confrontarsi con i grandi temi che abbracciano intere epoche storiche, allora il risultato inevitabilmente è di quelli che costringono a sostare e a riflettere. Si potrà non essere d´accordo con lui. Impossibile però ignorare le sue indicazioni.
Prendiamo ad esempio il volume da lui dedicato ormai qualche anno fa a Il nichilismo (Laterza). È ancora attualissimo. Volpi sa bene che il nichilismo è un fenomeno tipicamente moderno, sviluppatosi quasi interamente fra Ottocento e Novecento, e in quanto tale da indagare specialmente lungo l´asse Nietzsche-Heidegger. Ma sa anche che questo fenomeno viene da lontano, visto che alla sua radice c´è l´esperienza del nulla. Si può ignorare questa esperienza? O chi la ignorasse - chiede Volpi citando uno dei suoi maestri - non si metterebbe senza speranza fuori della filosofia?
C´è tutto Volpi, in questo rilanciare le grandi questioni. E cioè nel suo restare in ascolto delle voci parlano dalle profondità di una tradizione tutt´altro che finita. Ma anche nel suo coraggioso riproporcele. E pensando a lui, al suo pensiero così aperto e vero, ci viene naturale farlo al presente, non al passato.
Repubblica 15.4.09
Spirito inquieto e anti-accademico
Cinquantasette anni, visse l’università con insofferenza, estraneo al potere
di Antonio Gnoli
Cominciò a collaborare a "Repubblica" con un articolo sull´autore dello "Zarathustra"
Franco Volpi è morto. E il primo pensiero va alla lunga amicizia che ci ha legato nel corso degli anni. Guardo con gratitudine a quel legame che è stato intenso e singolare. Il professore e il giornalista. C´eravamo conosciuti in occasione di una polemica che aveva diviso la scena filosofica italiana e che riguardava Nietzsche e il suo presunto testo La volontà di potenza. Mi colpì l´intervento che Volpi fece su queste pagine: demoliva i colpevolisti - coloro che imputavano a Nietzsche la sciocchezza di essere un nazista ante litteram - con garbo e competenza. Dietro lo stile preciso e l´argomentazione esauriente si scorgeva un´inquietudine antiaccademica che col tempo imparai a conoscere. Gli chiesi se avesse voglia di collaborare con Repubblica e mi rispose che per lui sarebbe stato come evadere da una gabbia.
Visse l´università con insofferenza: si sentiva estraneo alle beghe accademiche, ai rapporti di potere, ai programmi normalizzanti. Eppure era all´apparenza un tradizionalissimo filosofo venuto su con il pane di Aristotele e di Plotino, con i timidi affacci in Germania, dove aveva cominciato a specializzarsi su Heidegger. Del filosofo della Selva Nera sapeva tutto, aveva letto tutto, frugato negli archivi, conosciuto le persone che gli erano state vicine e che potevano offrire una testimonianza di prima mano. Come il figlio Hermann, che andammo a trovare in una giornata di sole pallido, mentre tornavamo da Wilflingen, dove il giorno prima avevamo incontrato Ernst Jünger. Lungo la strada Volpi mi disse: «Sai, da queste parti abita il figlio di Heidegger. Non c´entra nulla con la filosofia, però gestisce l´intera eredità spirituale del padre». Gli chiesi se si poteva intervistare. Rispose che era molto difficile, e che aveva sempre rifiutato di incontrare i giornalisti. «Forse farà un´eccezione se sei tu a chiederglielo», replicai. Ci fermammo a pochi chilometri da Friburgo davanti a una cabina telefonica. Volpi lo chiamò e, con sorpresa di entrambi, Hermann Heidegger ci ricevette il giorno dopo. Quell´intervista fece il giro del mondo.
Se ripenso ai nostri viaggi, in Germania, in Francia, in Italia, mi torna in mente la sua velocità di pensiero. Sembrava un elfo contagiato dall´inquietudine. Credo si sentisse libero solo in movimento. Poteva coprire in macchina migliaia di chilometri su e giù per l´Europa - ha insegnato in molte università - o in aereo al di qua e al di là degli oceani, senza risentirne. Non so come facesse: un seminario a Nizza, una lezione a Jena, un convegno a Buenos Aires. Era un filosofo poliglotta. Non ho mai conosciuto nessuno che avesse la versatilità per le lingue che aveva Volpi.
Di tutti i viaggi fatti, di tutte le persone incontrate, di tutte le esperienze condivise - i luoghi, gli individui, i libri - mi resta chiarissima una frase che amava ripetere: «Sbagliano quelli che pensano che la vita si spiega con la filosofia. Per quanti sforzi il pensiero faccia, il risultato è sempre lo stesso: la filosofia arranca dietro la vita che se la ride». Volpi pensava da filosofo, ma agiva da uomo che vede il mondo andare in tutt´altra direzione. Era convinto che i filosofi avessero perso la curiosità, il gusto di meravigliarsi, di lasciarsi sorprendere, di gioire del nuovo. Credevano di avere in pugno il mondo e avevano in pugno solo se stessi.
Pochi giorni fa ci sentimmo per un articolo sulle posizioni espresse dal Papa su Nietzsche. Fu puntuale come al solito. La nostra amicizia cominciò con Nietzsche e si è interrotta con lui. Continueremo a seguire da lontano gli amici che se ne vanno. La loro morte è parte della nostra morte che si annuncia attraverso il lutto e il dolore. Ma è anche la vita che ci donano come esempio e ricordo. È l´immagine che si fa traccia, che supera il pianto e ci fa dire: ho avuto la fortuna di conoscerti.
Corriere della Sera 15.4.09
Franco Volpi, la filosofia al di là del nichilismo
di Armando Torno
Lo studioso di Heidegger, travolto in bicicletta da un’auto, si è spento ieri sera a Vicenza
Franco Volpi era nato a Vicenza nel 1952 e insegnava Storia della filosofia all’Università di Padova. È morto in un incidente stradale (lunedì era in bicicletta sui monti Berici, è stato travolto da un’auto), come Roland Barthes. Al suo nome sono legati, oltre a libri di alta e buona divulgazione, gli studi sul nichilismo, sul pensiero tedesco moderno e contemporaneo, e soprattutto il corpus delle opere di Martin Heidegger pubblicate da Adelphi. Volpi ha fatto molto per la cultura italiana e per la diffusione della filosofia in un periodo in cui l’antica disciplina di Platone e Aristotele è diventata una passione popolare. Cerchiamone il ritratto aprendo semplicemente i suoi libri.
Fu uno dei migliori allievi dell’«aristotelico» Enrico Berti, anzi è stato il più contemporaneista tra loro: ha esordito con il saggio Heidegger e Brentano (Cedam, 1976) e con il suo maestro ha firmato il terzo volume di una Storia della filosofia (Laterza, 1991) che conobbe una certa fortuna nei licei italiani. Aveva la vocazione dell’organizzatore oltre che quella dello studioso. Sotto questo aspetto va elogiato per il Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori, 2000) che reca il suo nome al frontespizio, ma si avvale di decine e decine di collaboratori per le singole voci. Di più: Volpi, insieme ad altri, curò nel 1988 l’edizione tedesca di questo Lexicon der philosophischen Werke, poi ampliata nel 1999; infine la sistemò per gli italiani. Le polemiche corse all’uscita sono ormai evaporate e oggi ci rendiamo conto che l’aver dimenticato — o volutamente non ospitato — i Principles of Mathematics di Bertrand Russell, non è peccato che richiede assoluzioni speciali. Del resto, la sua eccellente conoscenza del tedesco lo portò a realizzare l’edizione italiana di alcune tra le più importanti opere di Heidegger. Se oggi riusciamo a leggere — e in Italia i professori che possono permettersi la lingua originale sono davvero pochi — pagine fondamentali di questo filosofo, dobbiamo ringraziare Franco Volpi. Senza di lui non avremmo nella prestigiosa «Biblioteca filosofica» Adelphi opere di Heidegger quali Segnavia, Parmenide, L’essenza della verità. Sul mito della caverna e sul «Teeteto » di Platone, gli importanti Contributi alla filosofia o I concetti fondamentali della filosofia antica.
Certo, c’è stato anche un Volpi che si impegnava a diffondere, attraverso la collaborazione a Repubblica, le idee filosofiche (e con Antonio Gnoli firmò, tra l’altro, L’ultimo sciamano, Bompiani) o quello che si concedeva il lusso di arricciare il naso dinanzi alla nuova traduzione di Essere e tempo di Heidegger realizzata da Alfredo Marini (Mondadori), e riproponeva la vecchia versione di Pietro Chiodi, limitandosi ad aggiungere degli apparati critici alla fine.
Franco Volpi rimarrà per il suo saggio su Il nichilismo (Laterza). Si legge facilmente e insegna che la crisi della ragione, la perdita del centro, la decadenza dei valori si presentano a noi ogni giorno con il proprio nome o sotto altre sembianze. Nietzsche definiva tutto ciò «ospite inquietante». Si aggira in casa nostra ed è quasi impossibile metterlo alla porta. Anche se Volpi era convinto che prima o poi se ne sarebbe andato e preparava, per questo, una prospettiva «oltre il nichilismo».
Repubblica 15.4.09
Il Forum Palestina (e Vattimo) contro il Salone del Libro di Torino
"Egitto come Israele boicottiamo la fiera"
Torino. Il copione che sta per andare in scena alla Fiera internazionale del Libro di Torino, a un mese esatto dal suo inizio, è uguale a quello dell´anno scorso. Si riassume in una sola e inequivocabile parola d´ordine: boicottaggio. Nel mirino, nel 2008, era finito lo stato di Israele, invitato d´onore alla kermesse del Lingotto, che era stato contestato per la sua politica nei confronti del popolo palestinese. Questa volta, a perfetto contraltare, di mezzo ci va invece un Paese di lingua araba, ossia l´Egitto. Ospite di Librolandia 2009, è ritenuto un regime dittatoriale, dove la libertà di espressione è colpita duramente. L´Egitto è accusato inoltre di stringere d´assedio la Striscia di Gaza. Anche i protagonisti del ventilato boicottaggio sono i medesimi di dodici mesi fa. Vale a dire l´Ism (International Solidarity Movement) e il Forum Palestina, associazioni della sinistra radicale, che ieri hanno invitato alla mobilitazione contro la presenza al salone torinese della nazione del Cairo, dove «da decenni sono in vigore leggi d´emergenza, il sistema è totalitario e brutale, e gli oppositori sono torturati».Non cambia nemmeno l´avallo autorevole alla protesta da parte del mondo della cultura, che, come un anno orsono, si replica nella persona di Gianni Vattimo. Pur spiegando che il suo impegno come candidato alle elezioni europee (per l´Italia dei Valori) renderà meno assidua l´adesione alla protesta annunciata, il filosofo non ha dubbi. Tanto che afferma: «Sapevo che qualcosa si stava muovendo. In ogni caso sono fondamentalmente d´accordo con il boicottaggio dell´Egitto, sostenuto dall´Ism e dal Forum Palestina». In Egitto, prosegue Vattimo, «c´è un regime poliziesco, che reprime e censura non soltanto gli intellettuali, ma l´intera popolazione. È giusto che lo si contesti, come si è fatto nel 2008 nei confronti di Israele. Pertanto do la mia adesione a una campagna con cui si vuole boicottare, pacificamente, la presenza egiziana alla manifestazione di maggio». È un po´ singolare, però, fa notare ancora il filosofo, «che ormai la Fiera del Libro scelga in modo sistematico Paesi ospiti in cui i diritti, la democrazia, sono negati. Se fosse ancora vivo il dittatore Bokassa, a questo punto, potrebbe aspirare anche lui a un invito al Lingotto?».La provocazione di Vattimo, la mobilitazione antiEgitto e le dichiarazioni di Alfredo Tradardi, esponente di rilievo dell´Ism, sulla «ennesima fiera delle vanità», non sembrano, almeno per ora, scuotere più di tanto i promotori della rassegna libraria di Torino. Anche perché le polemiche del 2008, tutto sommato, non fecero altro che accrescere la visibilità mediatica di Librolandia, che finì addirittura sulle pagine del New York Times. Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il libro, la musica e la cultura, che genera il salone, vorrebbe non commentare. Questa mattina, d´altronde, viene presentato ufficialmente il programma dell´edizione che aprirà i battenti il 14 maggio. Poi, però, qualcosa dice: «Non capisco queste proteste. Abbiamo accolto alcune delle loro richieste. E, infatti, alla Fiera abbiamo invitato gli intellettuali palestinesi e uno storico come Ilan Pappe, un israeliano che non esita ad accusare il governo del suo Paese di pulizia etnica della Palestina. Che cosa vogliono di più?». Certo. L´Egitto, tuttavia, qualche problema ce l´ha, no? Picchioni la prende larga: «Ma non possiamo fare mica l´esame del sangue a ogni nazione! Quante vere democrazie si salverebbero, allora?».
Repubblica 15.4.09
Che cosa si sogna nella pancia della mamma
In quelle scariche elettriche, prodotte dal cervello, non ci sono immagini La scoperta apre la strada a futuri studi neurologici
di Cristina Nadotti
Alcuni scienziati tedeschi sono riusciti a fare un elettroencefalogramma a un feto di pecora di 106 giorni Così è stata registrata un´attività cerebrale che, benché immatura, comprende cicli di sonno in fase onirica
Non c´è ancora il movimento rapido degli occhi, rivelatore di quel sonno profondo in cui la mente si abbandona a immagini fantastiche, voli sopra la città o incubi orrendi. Eppure una scarica elettrica ha fatto dire agli scienziati che il sogno è una delle prime attività che si sviluppano nel cervello. Che si fosse in grado di sognare ancor prima di nascere, la scienza l´aveva accertato proprio grazie al rilevamento della fase Rem del sonno, quella del "rapid eye movement", in feti di sette mesi. In questo stadio di sviluppo, il feto è addormentato per la maggior parte del tempo e la sua attività cerebrale alterna cicli regolari di fase Rem e non Rem, proprio come negli adulti.
Poco di più si sapeva su ciò che nel cervello accade prima, perché la misurazione diretta dell´attività cerebrale di un feto umano appariva impossibile. Elettroencefalogrammi eseguiti su neonati di cinque mesi hanno mostrato la comparsa del sonno profondo, ma tali esami sono comunque giudicati difficili dal punto di vista tecnico e pieni di errori. I neuroscienziati si interrogano perciò se prima di 20 settimane il cervello abbia cicli di sonno o sia inattivo. Dare una risposta a tale quesito non significa solo confermare un´ipotesi che scienze quali psicoanalisi e psicologia, attraverso lo studio dei sogni, hanno già avanzato, ma trovare i mezzi per studiare lo sviluppo del cervello e individuarne i momenti più importanti, quelli in cui possono avere origine patologie dell´età adulta.
Per entrare nel cervello di un feto a uno stadio ancora immaturo un gruppo di neuroscienziati della Friedrich Schiller University di Jena, in Germania, ha pensato di osservare cosa accade in un animale con uno sviluppo fetale simile a quello umano. La scelta è caduta sulla pecora, i cui piccoli sono di solito uno o, al massimo, due e i cui tempi di crescita sono molto simili ai nostri, ma nell´arco di 150 giorni invece che 280. L´esperimento poteva contare su certezze già acquisite sulla somiglianza tra sonno animale e sonno umano, poiché nei mammiferi la proporzione di fasi Rem e non Rem riflette, come negli umani, l´età, lo stile di vita e la maturità alla nascita.
I neuroscienziati sono riusciti a fare un elettroencefalogramma a un feto di pecora di appena 106 giorni e l´attività cerebrale registrata ha confermato che, seppure ancora immatura, questa comprende cicli di sonno simili a quelli delle età successive, sebbene più brevi. In un feto più sviluppato i cicli tra sonno Rem e non Rem fluttuano tra i 20 e i 40 minuti, mentre in quello di 106 giorni si è scoperta una durata compresa tra i 5 e i 10 minuti, con un lento cambiamento mano a mano che prosegue lo sviluppo. Non è facile immaginare che cosa il feto percepisca durante questi primi sogni, almeno non nei termini in cui noi lo concepiamo da adulti. Sono sensazioni più che immagini, impulsi elettrici di attività neuronali, come se in qualche modo il cervello si stesse allenando a operazioni più complesse, come un´orchestra che accorda gli strumenti e prova qualche nota prima di arrivare all´esecuzione della sinfonia. Gli scienziati sono tuttavia esaltati dalla scoperta di un´attività neuronale così precoce, un punto di osservazione essenziale per scorgere i primi passi dell´organo più complesso e ancora più sconosciuto del nostro corpo.
Liberazione 15.4.09
Gruppi di supporto ai terremotati ma anche ai soccorritori. «Bisogna parlare e non isolarsi»
«Il terremoto è dentro di noi»
Psicologi al lavoro tra le tende
di Checchino Antonini
«Il terremoto è dentro di noi», dice a Liberazione Francesca Romana Martini, maestra delle elementari di 42 anni e 2 figli, dopo otto notti passate in macchina a scrutare i rumori della terra, a vibrare con lo sciame sismico. Poco prima di mezzanotte un'altra schìcchera, lunga e potente stavolta, a segnalare che non è ancora finito lo stillicidio di scosse.
L'Aquila - nostro inviato. L'emergenza che si dilata. Nei comuni della Marsica, del Cicolano, della Valle Peligna, dell'Altopiano delle Rocche - i meno danneggiati - chi aveva trovato il coraggio di tornare a casa deve fuggire ancora verso baracche, automobili e tende. L'Aquila è la città più fredda d'Italia, la pioggia si impasta con il brecciolino su cui sono state issate le tende. Dopo le giornate di pasqua, con il loro carico di affetti festivi, le tendopoli ripiombano in un'atmosfera plumbea. Di fronte a una tenda verde a Piazza d'Armi, 1300 abitanti, un cartello avverte: "Supporto psicologico, colloquio in corso, non disturbare". «Quel boato è ormai dentro tutti», conferma Carla Pompilii, 34 anni, teramana, psicoterapeuta della Pea, l'associazione regionale di psicologia d'emergenza. Sono decine di professionisti che si formano per agire da volontari nelle catastrofi. Per la giovane associazione, il battesimo del fuoco è cominciato alle prime luci dell'alba del 6 aprile. Sono disseminati per i campi per aiutare ad affrontare le reazioni al trauma. «Alcune possono presentarsi anche mesi dopo», specifica la collega pescarese, Valentina D'Ascanio.
Si chiama Disturbo post-traumatico da stress, in gergo Dpts. Lo stesso che perseguita chi sopravvive a una guerra o a uno stupro. Su un volantino che circola negli accampamenti c'è l'elenco impressionante dei sintomi: ansia, paura per sé o per i propri cari, tristezza, colpevolezza per essere sopravvissuti, vergogna della propria vulnerabilità, stanchezza, insonnia, incubi, affaticamento mentale, palpitazioni, vertigini, tremori, diarrea, mal di testa, disfunzioni sessuali o del ciclo mestruale, costrizioni al petto e alla gola, tensioni muscolari, pensieri invadenti ricorrenti. «Parlarne può aiutare, non bisogna isolarsi», spiegano alla tenda verde e dice anche Vincenzo Irace, funzionario dei vigili del fuoco della squadra di intervento rapido per il supporto psicologico dei soccorritori, mentre opera alla Ulc, unità locale di comando, della Fontana Luminosa, alle porte del centro storico. E' qui che i cittadini si mettono in contatto per procedere al recupero degli effetti personali. Centinaia di interventi al giorno assieme a persone che hanno perduto tutto o quasi tutto e devono rivedere le rovine della propria dimora. «Non tutti hanno il coraggio di farlo, e questo è uno dei problemi», continua Pompilii. «La terra è il nostro punto fermo e invece trema». Ecco l'inizio della fine del mondo. Con la città sgretolata, nel territorio sconnesso si «disperdono identità e radici», aggiunge D'Ascanio. Ogni giorno, dalle tendopoli ai margini del centro si assiste allo skyline deformato della città. Carla e Valentina hanno incontrato bambini ammutoliti per giorni, molti fanno la pipì a letto, hanno incubi. «Fondamentale - dicono - il gran daffare dei clown dottori e le iniziative che permettono loro di recuperare una dimensione ludica. Devono giocare, devono disegnare». E' aperto il dibattito sull'utilità di una tempestiva riapertura delle scuole. C'è chi sostiene che potrebbe essere fonte di stress e improduttività per i fanciulli che hanno subito profondi cambiamenti nella realtà personale, per i luoghi affettivi distrutti, per le persone scomparse, per il tempo interiore che ora ha una scansione diversa.
Anche per i grandi è necessario «condividere - intervene Irace - non sentirsi unici, non isolarsi».
E poi ci sono le problematiche di ambientazione, la gestione dei conflitti in questi giganteschi condomini blu, il colore delle tende della protezione civile: «è difficile l'accettazione della perdita dei propri spazi - raccontano le psicologhe - sono più facili le reazioni aggressive ma, in qualche modo, la rabbia è una reazione sana. C'è chi ha difficoltà ad accettare, per la prima volta nella sua vita, vestiti dalla Caritas e allora dobbiamo intervenire per fornire un quadro della straordinarietà dell'evento». E' un lavoro di totale condivisione con gli sfollati. I turni non hanno soluzione di continuità, gli psicologi dormono nei campi. Agli incontri di gruppo si alternano i colloqui individuali e i gruppi con i soccorritori perché «è fondamentale elaborare quello che si vive. Chi ha tirato fuori i corpi dalle macerie deve poter tirare fuori il proprio vissuto».
Il gruppo di supporto psicologico dei vigili del fuoco si focalizza proprio su questo aspetto: «I pompieri aquilani vivono la duplice condizione di soccorritori e terremotati, a volte vivono il conflitto con l'assenza dalle loro famiglie - spiega Irace - il supporto è tra pari, il rapporto orizzontale, scompaiono i gradi, il "lei"». Si comincia al cambio turno delle 8 con l'incontro con le squadre impegnate negli scavi, si pranza e si cena insieme perché così «si fa famiglia». Ascolto e dialogo servono alla ricostruzione del vissuto professionale, all'emersione di un livello di consapevolezza, «di coscienza viva». E il supporto psicologico è stato fondamentale per rintracciare uno studente greco ritenuto disperso dopo la grande scossa. Irace racconta la storia di Giovanni che la notte della domenica delle Palme era restato a dormire dalla ragazza, vicino alla facoltà di Lettere. Dopo il crollo aveva chiamato aiuto e, dai piani sottostanti s'era sentito rispondere di stare tranquillo che sarebbero arrivati i soccorsi. Anche la "voce" era intrappolata. Poi la seconda scossa, un nuovo crollo. Giovanni e la fidanzata ce la fanno arrampicandosi lungo le tubature. Ma quella voce rassicurante gli era restata dentro, come un tarlo, in bilico tra dubbio e certezza. Dopo alcuni giorni Giovanni verrà aiutato nel recupero della memoria e guiderà i vigili del fuoco nel lavoro di scavo. Le tracce corrispondevano alla ricostruzione, c'era una tovaglia insanguinata, il pavimento era sprofondato ma non fu trovato nessuno. Più tardi si saprà che quello studente greco era salvo all'ospedale di Avezzano.
E ora, senza città, né casa, né lavoro? «Si ricomincia da capo - dice Carla Pompilii - se hai dei pezzetti te li porti dietro, si ricomincia da sé. Attivarsi significa già ricominciare».
Liberazione Lettere 15.4.09
L'Aquila è il nuovo Vajont
Caro Dino, invece di guardare al futuro basterebbe dare un'occhiata al passato: paghiamo l'irresponsabilità di aver conferito deleghe in bianco a una classe politica miope e avida, incomprensibilmente zelante quando si tratta di legiferare sull'embrione, sul sondino o sulla prescrizione dei reati, ma totalmente incurante delle reali esigenze dei cittadini; interessata più alla stabilità del bipartitismo che alla stabilità degli edifici, affidata esclusivamente alle benedizioni dei vescovi. Sono spariti i temi che una volta infiammavano il dibattito politico e che riguardavano i diritti che ogni cittadino ha di vivere con dignità, compreso il diritto di non morire come un cane sotto la propria casa, per trovarci in mano quel pugno di mosche che è la politica spicciola della new town, la libertà senza lacciuoli per le imprese di saccheggiare le vite degli uomini in favore del profitto: la malattia come cura della malattia. L'Aquila è il nuovo Vajont, la nuova Eternit, il compendio di mesi di morti sul lavoro. Evidentemente in questa fabbrica di stragi che è diventata l'Italia torna più utile piangere i morti che rallegrarsi dei vivi.
Roberto Martina via e-mail