L’ex leader di Potere operaio sulla rivista della fondazione di D’Alema e Amato
E Toni Negri scrive per «ItalianiEuropei»
ROMA — ( al.t. ) È il primo intervento della rivista, si intitola «Sul futuro delle socialdemocrazie europee» e lo firma Antonio Negri ( foto ). Debutta così su ItalianiEuropei il discusso fondatore di Potere Operaio, che dopo le vicissitudini degli anni ’70 e gli arresti, è diventato un intellettuale noto grazie ai saggi sulla globalizzazione «Impero» e «Moltitudine». «Ho letto sei mesi fa una articolo sul New Yorke r — spiega il direttore della rivista Massimo Bray — e ho pensato che sarebbe stato utile un suo contributo nel dibattito sulla socialdemocrazia». D’Alema e Amato lo sapevano? «Abbiamo una nostra autonomia editoriale» risponde Bray. E Roberto Gualtieri, che fa parte comitato della rivista: «Ospitarlo non vuole dire riabilitarlo o condividere quello che scrive. Però sono d’accordo sul fatto che il deficit di Europa sia una delle cause della crisi della socialdemocrazia». Negri, nel saggio, sostiene che è stato un errore grave non aver rotto il vincolo atlantico. Spiega anche: «Sarà utile programmare uno scontro sul terreno sociale (dal punto di vista politico)». E ricorda che senza il luglio 1960, i moti contro Tambroni, «le socialdemocrazie non si sarebbero mai risollevate dall’aprile del ’48».
l’Unità 14.10.09
VERSO IL 17
«Dall’Italia all’Irlanda, si diffonde l’epidemia dei migranti-schiavi»
L’allarme Osce: è un fenomeno ormai globale quello dello sfruttamento degli immigrati, sempre più sottomessi ai loro “caporali”. Per combatterlo occorre una legge. Che nel nostro Paese ancora non c’è
di Alessandro Leogrande
Alcuni settori della nostra economia globale si fondano ormai sul lavoro di nuovi schiavi. E un recente rapporto dell'Osce sul “lavoro forzato” nel settore agricolo (Human Trafficking for Labour Exploitation in the Agricultural Sector in the Osce Region) lo conferma. Le nuove schiavitù nascono dall'incrocio di vari fattori: vulnerabilità dei lavoratori migranti (che costituiscono in ogni paese dell'Osce, anche in quelli meno ricchi, la base del nuovo bracciantato), brutalità dei rapporti di lavoro, assenza di tutele, bassi salari. Ma benché nasca da queste premesse, il “lavoro forzato” costituisce un salto ulteriore verso l'inferno, una tipologia di sfruttamento che le legislazioni di molti paesi fanno fatica a cogliere, e quindi a combattere: riguarda tutti quei casi in cui al grave sfruttamento lavorativo si aggiunge il controllo feroce sulla nuda vita da parte dei caporali o dei padroni. In Italia, le pesanti condanne
emesse contro 20 caporali del foggiano, che avevano sfruttato centinaia di schiavi polacchi, sono state confermate in secondo grado. Ma il fenomeno è globale, non riguarda solo il nostro paese. Il rapporto Osce racconta di decine di casi simili: rom greci in Inghilterra, giamaicani in New Hampshire o messicani in South Carolina, estoni in Irlanda, romeni in Belgio, uzbeki in Russia, lituani in Portogallo... In tutti i casi riportati, i braccianti stranieri lavoravano a centinaia dall'alba al tramonto quasi sempre senza essere pagati, vivevano a decine in pochi metri quadri e in condizioni igienico-sanitarie degradanti, venivano severamente puniti, picchiati (e in alcuni casi eliminati) ogni qualvolta protestavano. Scappare era impossibile. Il rapporto introduce il concetto di multidipendenza (“multiple dependency”) per descrivere situazioni in cui il lavoratore dipende dal suo sfruttatore per più aspetti essenziali. Non solo il lavoro, ma anche l'alloggio, il cibo, il trasporto.
Queste forme, dice l'Osce, sono epidemiche. E poiché producono – per dirla con un eufemismo – una concorrenza sleale, rischiano di estendersi ulteriormente a macchia d'olio. Sono un fenomeno che nasce nell'agricoltura (benché non riguarda tutto il settore agricolo) e che riguarda gli immigrati (benché non tutti gli immigrati che lavorano in nero siano ridotti in schiavitù). Per combatterle occorre un'azione composita: processi contro i trafficanti e i caporali, tutela delle vittime e reintegrazione sociale, nuove forme di associazioni tra i lavoratori. Alcuni paesi (come il Belgio, l'Olanda e gli Stati Uniti) hanno deciso di inasprire le leggi contro il lavoro forzato e per la tutela delle vittime. In Italia, una legge sul caporalato non è stata ancora fatta, e l'art. 18 della 286 non viene ancora esteso pienamente agli “schiavi da lavoro”. La magistratura nostrana, per condannare i caporali, è ricorsa al reato di riduzione in schiavitù. Ma questo rende i processi più difficili.
Una recente inchiesta curata da Gianluigi De Vito (Tutti giù per terre, Levante editori) conferma come in Puglia, nonostante le maggiori attenzioni contro il caporalato e la legge regionale per l'emersione del lavoro nero, lo sfruttamento del lavoro migrante è ancora la regola. Ci sono (ancora) rumeni ridotti in schiavitù, marocchini che pagano 6.000 euro per avere un permesso di soggiorno dagli stessi padroni da cui percepiscono, se va bene, meno di 20 euro al giorno. E migliaia di casi in cui, quanto meno, non viene applicato alcun contratto.
La Bossi-Fini, che lega rigidamente il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, nel mondo nero dell' agricoltura è uno straordinario produttore di clandestinità. Con il nuovo pacchetto sicurezza, la vulnerabilità del lavoratore “clandestino” è accresciuta: chi denuncerebbe mai il proprio caporale, se corre il rischio di finire per 6 mesi in un cie? Lo sfruttamento riguarda anche i comunitari, specie se stagionali. L'economia di Canosa, ad esempio, paesone agricolo pugliese, si fonda sullo sfruttamento dei bulgari e dei romeni. E la piazza centrale restituisce l'apartheid di fatto. I romeni e i bulgari da una parte, gli italiani dall'altra: questo per fare in modo che il datore di lavoro possa sapere subito come comprare manodopera a basso costo. ❖
l’Unità 14.10.09
Zero in laicità è il voto che le dà Donatella Poretti. Dieci, invece, in clericalismo bigotto
Gli studenti «L’ora di religione è un residuo medievale, già oggi chi non la fa è discriminato
Gelmini: mettiamo il voto in religione Pd: è propaganda contro lo stato laico La Consulta ha già stabilito che è un insegnamento facoltativo. E, con il ministro Carfagna vuole vietare il velo, «per identificare le ragazze». Il collega Pdl Consolo: «Si impegnino contro le mutilazioni femminili»
di Jolanda Bufalini
Visto che alla Gelmini piacciono tanto i voti «le diamo zero in laicità e dieci in clericalismo bigotto e baciapile». La battuta è della senatrice radicale-Pd Donatella Poretti. Il ministro infatti se ne è uscita con un’altra spallata all’impianto della scuola pubblica che dovrebbe garantire l’eguaglianza delle diverse religioni o dei non credenti. Ed ha annunciato la reintroduzione del voto in religione: «La mia opinione è che essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie questo debba valere anche per l'insegnamento della religione», Poi ha messo le mani avanti: «Chiederò un parere al consiglio di Stato».
Ma non si vede perché rendere uniforme in pagella ciò che non è uniforme nel merito, visto che l’ora di religione è facoltativa in forza di quel trattato internazionale che va sotto il nome di Concordato, articolo 9, comma 2: «Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento... senza dar luogo ad alcuna forma di discriminazione». E quindi non può fare media.
Quasi incredule le reazioni. «Cosa fa propaganda?» chiedono dal Pd Manuela Ghizzoni e Maria Coscia, oppure, ipotizzano, «non sa di cosa parla»: c’è una sentenza recente della Corte Costituzionale che «ha già stabilito il principio di facoltatio, nel rispetto della laicità dello Stato e della pari dignità ai ragazzi di ogni culto». «L'ora di religione spiega Mimmo Pantaleo, segretario della Flc Cgil non può determinare vantaggi di alcun genere, a cominciare dai crediti formativi e, quindi, non può essere valutata come una normale materia curriculare». Pantaleo e il collega della Cisl Francesco Scrima ne approfittano per ricordare che i pesanti tagli hanno falcidiato le ore alternative. Per Scrima, però, «tutto ciò che si fa a scuola, opzionale o obbligatorio, deve fare parte del curricolo e «devono essere garantite alternative altrettanto significative e valide».
DISCRIMINAZIONI
A denunciare che già oggi c’è un atteggiamento discriminatorio sono gli studenti della Rete. L’ora di religione dicono «è un residuo medievale che ha corrispettivi solo nei regimi teocratici» e «va risolto il trattamento già oggi discriminatorio riservato a chi non si avvale dell'ora di religione». Altrettanto duro il responsabile Pdci della scuola Piergiorgio Bergonzi: «Si ricordi di essere un ministro della Repubblica e non un portavoce dell Stato Vaticano, l’ora di religione non dovrebbe proprio esistere».
Ma non è finita qui, perché il ministro ha pure espresso la propra contrarietà non solo al burqa ma anche al velo e al chador a scuola. Non in nome della libertà delle ragazze ma perché «devono poter essere identificate». Per la verità solo il burqa impedisce di vedere il volto. Dice Luca De Zolt della Rete degli studenti: «Sono modi xenofobi» mentre a scuola «non si fa nulla per l’integrazione».❖
Repubblica 14.10.09
Tarquinio Prisco. Ecco la tomba degli antenati etruschi del re di Roma
di Orazio La Rocca
Ritrovato a Tarquinia un grande complesso funerario che apparteneva ad una famiglia regale romana A questa era legato anche il padre del sovrano, un ricco mercante che sarebbe stato sepolto in questa zona
"Questo sepolcro si è rivelato come la più grande struttura a tumulo finora nota in queste zone"
ROMA. Scoperta a Tarquinia la più grande tomba etrusca a tumulo risalente al settimo secolo avanti Cristo. Un complesso sepolcrale di epoca preromana, per tratti, caratteri e stili architettonici, appartenente ad una importante famiglia regale alla quale, secondo i responsabili degli scavi archeologici, molto probabilmente era legato anche uno dei sette re di Roma, Tarquinio Prisco. Ma a rendere ancora più originale questo nuovo sito funerario etrusco è la sorprendente somiglianza che è emersa tra la struttura tombale tarquinense e altre tombe reali caratterizzate da influssi stilistici orientali rinvenute nell´isola di Cipro e, persino, in Bulgaria, nell´antica Tracia, tutte databili intorno all´ottavo-settimo secolo a. C.
L´annuncio è stato dato nel corso del convegno internazionale di etruscologia di Tarquinia, «Confronto tra mondo etrusco e mondo tracio: storia, arte, archeologia», coordinato dalla scrittrice Anna Maria Turi. Presenti, tra gli altri, il massimo esperto di etruscologia, Mario Torelli, docente dell´università di Perugia, la professoressa Julia Valeva dell´Accademia delle Scienze bulgara, il professor Alessandro Mandolesi, dell´Università di Torino ed un nutrito gruppo di archeologi e studiosi provenienti da diverse università europee. E´ stato proprio Mandolesi a rivelare le ultime novità degli scavi di Tarquinia nella veste di responsabile dei lavori alla Doganaccia, l´area ha spiegato dove «è stato individuato un sepolcreto antichissimo appartenente ai principi o re di Tarquinia del settimo secolo a. C». Vale a dire proprio l´epoca in cui, «le antiche fonti citano la presenza a Tarquinia di importanti personaggi stranieri, tra cui il padre di Tarquinio Prisco, un ricco mercante greco, Demorato di Corinto che sposò una nobile del posto», che non è da escludere ebbe sepoltura con la famiglia proprio nel sepolcreto reale della Doganaccia. E forse proprio per questo nell´area ci sono 2 grandi complessi funerari denominati «Tumulo del Re» e «Tumulo della Regina». Il primo complesso, quello del Re, fu riportato alla luce con gli scavi del 1928. Quello della Regina è attualmente al vaglio degli scavi dell´Università di Torino e della Sovrintendenza per i Beni archeologici dell´Etruria Meridionale. «Questo sepolcro a detta di Mandolesi si è rivelato come la più grande struttura a tumulo di Tarquinia finora nota». La monumentale tomba ha conservato «nella parte anteriore un largo accesso per le celebrazioni e gli spettacoli in omaggio al nobile defunto». Gli scavi è stato rivelato al convegno internazionale di Tarquinia hanno riportato alla luce una imponente struttura architettonica del diametro di circa 40 metri, certamente appartenuta «a un personaggio di spicco all´interno della comunità tarquinense, di rango aristocratico e di ruolo probabilmente regale, vicino alla figura dei re etruschi, detti lucumoni». Lo stile architettonico del sepolcro richiama «sorprendentemente la necropoli regale di Salamina, sull´isola di Cipro, dove assicura Mandolesi sono presenti tombe con ricchissimi arredi funebri confrontabili direttamente con quelle di Tarquinia». Ma vicino al grande Tumulo della Regina è stata scoperta anche una rarissima tomba a doppia camera che, a parere degli archeologi, era destinata ad ospitare coppie di persone imparentate con il principe o il re (lucumone) sepolto nella necropoli etrusca. Altro importante indizio che avvalorerebbe la suggestiva ipotesi che l´area sepolcrale abbia ospitato anche gli antenati del re Tarquinio Prisco. «Ma le indagini e le ricerche continuano», puntualizza l´etruscologo Mandolesi.
Repubblica 14.10.09
Hopper. Il volto nascosto di quei silenzi
In evidenza gli aspetti meno noti della sua opera, dalle incisioni agli acquerelli
Non c´è solo il cantore della solitudine e degli interni spogli e desolati
Una mostra a Palazzo Reale di Milano ribalta l´immagine più stereotipata del pittore americano
Senza memoria e immaginazione le sue opere restano intrappolate nel voyeurismo
MILANO. La mostra dedicata a Edward Hopper, a Palazzo Reale di Milano, ha il merito di liberare il pittore dall´immagine stereotipata. Non è colpa di Hopper se alcuni dei suoi quadri sono diventati materia di merchandising. L´esposizione evidenzia proprio gli aspetti meno conosciuti dell´opera del pittore: l´acquerello, l´incisione, e il legame tra i disegni preparatori e i dipinti. La genesi di Morning Sun sta tutta in uno straordinario trittico di disegni preparatori, Study for Morning Sun. Divisa in sette sezioni fortunatamente non in ordine cronologico l´esposizione segue un filo tematico che parte con gli autoritratti e il periodo parigino, per arrivare alla sezione dedicata all´essenza dell´artista: tempo, luogo e memoria.
Nyack ha settemila abitanti, dista quaranta chilometri da New York. Al numero 82 di North Broadway, c´è una casa singola ottocentesca, due piani più mansarda. Un cartello marrone ricorda che lì non lontano dai cantieri navali è nato Edward Hopper. Il giovane Hopper vedeva il fiume Hudson dalle finestre di casa. To make it home, direbbe il fotografo americano Robert Adams. Rendilo domestico. Ma gli Stati Uniti sono diventati l´opera di Hopper solo dopo alcuni lunghi viaggi in Francia, nel 1906 e nel 1909 («ai miei tempi dovevi andare a Parigi. Oggi puoi andare anche a Hoboken, va bene lo stesso»). Ritornato negli Stati Uniti, ha continuato nella direzione indicata da Robert Henri, ma ha rifiutato il carattere sociale della pittura del suo maestro. Ha dialogato con altre arti, così da assorbire e influenzare a sua volta la fotografia, il cinema. Chi ha vissuto a Parigi all´inizio del XX secolo e ha acquistato, come Hopper, una macchina fotografica, non può aver ignorato Eugene Atget; chi ha dipinto Gas nel 1940, le pompe americane di benzina, conosceva bene il lavoro di Walker Evans; così come è chiara l´influenza del pittore su generazioni di artisti, fotografi, registi, scrittori: «Le mie costanti sono l´amore per la luce e la decisione di tracciare una catena morale dell´essere». Sembra Hopper, invece è John Cheever.
Hopper ha fatto quello che doveva. Sta a noi superare la barriera della mercificazione, e vedere Hopper. Nell´attraversare le 160 opere esposte ci si sente come in uno dei primi film di Wenders, quando il protagonista di Falso movimento rompe con un pugno la finestra dalla quale guarda una piazza. Vedere è sempre un momento conoscitivo perfino violento, senza compromessi, in cui siamo disposti anche a perdere qualcosa, non solo ad assimilare.
Dovremmo, almeno per un istante, accantonare l´Hopper ufficiale: il cantore del silenzio, della solitudine in interni spogli dimessi, verande assolate, desolate; il cantore dell´alienazione cittadina e suburbana meglio ancora se il suburbano è illuminato dalla luce peninsulare e marina di Cape Cod; il cantore delle piccole cose, delle tavole calde, degli uffici, dei teatri, dei cinema, dei letti sfatti, dei dettagli insignificanti, epici grazie al colore, al taglio di ombra e luce. Hopper non dimentica cosa ci ha condotto là: il fervore vitale e distruttivo, il capitalismo così necessario e capace di rigenerarsi attraverso due guerre mondiali e crisi economiche decennali.
Ecco allora nei quadri la conquista del territorio come parte integrante di un´era: le merci su pescherecci e battelli (l´Hudson d´infanzia); i ponti d´acciaio, le ferrovie e le case lungo le ferrovie, i pali della luce, in legno, topos di tanta fotografia americana; i bovini che attraversano i binari; una strana per l´Hopper più noto moltitudine in attesa, alla stazione ferroviaria. E poi il mare, che quasi mai entra nei quadri di Hopper, se non lateralmente, tipo in Rooms by the sea, dove un appartamento è sospeso sull´acqua, la porta aperta proprio a picco sull´Atlantico: eppure il mare mimetizzato nei quadri attraverso la luce è qualcosa che sta intorno, sembra il punto di vista, la fonte della pittura, così che ogni quadro, anche quello di una stanzetta newyorkese, pare l´approdo dall´acqua alla terra. I personaggi di Hopper sono su una soglia, delimitata da spazi fisici, mentali, definiti da tagli di luce sui muri, in uno stato quasi di ipnosi.
In A woman in the sun, una donna, nuda, in piedi, con la sigaretta accesa, guarda verso la fonte di luce ed è incorniciata da una striscia sottile di sole. I nudi di Hopper non rimandano all´odierna essenza pubblicitaria dei corpi. Forse una delle fortune di Hopper, in questi anni, si è basata su un equivoco: la sensazione di guardare in modo indiscreto qualcuno che non immagina di essere guardato. Ma senza il lavoro di osservazione, immaginazione e memoria, le opere di Hopper rimarrebbero intrappolate nel voyeurismo dilettantesco o pubblicitario. E poi c´è una distrazione nella nudità, che toglie al corpo ogni sottinteso. L´ossessione del particolare, l´intelligenza del dettaglio produce «una deformazione che sembra vera, non una verità che sembra deformata», aveva detto il pittore a proposito di John Sloan. Sotto il letto di A woman in the sun, c´è un paio di scarpe nere con il tacco. La scarpa sinistra è rovesciata su un lato, mostra la suola e comunica il movimento, qualcosa che è appena accaduto, un tonfo lieve, anonimo.
Ecco, se il rumore di una strada cittadina è la somma di tanti suoni: le rotaie scintillanti del tram, l´imprecazione di un uomo che scarica uno scatolone, la sgommata di un alienato, il vento o il tintinnio della pioggia, la musica commerciale di un bar, il ritmo dolente e tragico con cui le tazzine vengono servite sui banconi, il modo scomposto con cui i cucchiaini affondano nel caffè e ruotano, fino alla pazzia e alla grazia, quando tornano nelle lavastoviglie; se il rumore è questo insieme di suoni, e di tutto il nostro attraversare collettivo per quanto disperso, disciolto nell´individuo allora anche la quiete solitaria, silenziosa, può avere un´origine simile. La tranquillità del mondo, di Hopper, la nostra quiete, è custodita nella gigantesca concatenazione di quiete e silenzio di ciascuno: in questa concatenazione collimano la nostra salvezza, e condanna: non essere mai veramente quieti, e soli.
Liberazione 13.10.09
Verdi, Bonelli nuovo segretario
Ha vinto l'ousider "identitario"
di Enrico Colorni
Era entrato a congresso da sconfitto. Sui giornali - quei pochi che si erano occupati della cosa - veniva descritto come un identitario: un poveraccio, insomma. Magari "mite", ma duro e puro, cioè "fuori tempo massimo". Votato alla sconfitta, e per definizione. Qualcuno gli aveva anche detto: senti, caro, sai che c'è? Lascia perdere. Passa la mano. Non è più il tempo per vetusti "richiami della foresta", identità "vetero", tematiche "definite". Oggi come oggi, urge essere "moderni" (anzi, meglio: contemporanei), necessita dimostrarsi "liberi" e "liberati", scevri da condizionamenti (i quali, chissà come mai, son sempre "ideologici"). Insomma, il tempo è adesso. Molla gli ormeggi, salpa con noi, nella fantastica, meravigliosa, nave che punta dritto per dritto al futuro. Alla modernità. Per costruire una Sinistra che sarà, ça va sans dire , "senza aggettivi". "Moderna", appunto. Lui, però, testardo e coriaceo, con quel suo carattere scontroso, quell'aria da valligiano di montagna, neanche vestito à la page come sarebbe d'uopo, non ha proprio voluto ascoltarli. Ha tirato dritto, sulla sua strada. Strada che, guarda caso, era anche di molti di quelli che l'avevano votato, nei congressi di circolo, pur senza avere la maggioranza assoluta dei voti, e pure di quelli "trovati" dentro il congresso. Da lui convinti e richiamati all'orgoglio - che male c'è? - di partito. E galvanizzati a tal punto che hanno deciso di offrire a lui, "dentro" il congresso, e cioè nell'organo deputato, da quando mondo è mondo (con l'eccezione del Pd di adesso, ma il Pd, si sa, è animale strano), a decidere "chi" deve fare il segretario, la maggioranza. E la vittoria. Lasciando, con un palmo di naso, tutti gli altri. Quelli che godevano del supporto organizzato - e organizzato come in uno stadio, settore curva Sud - dei commenti della stampa cd. "borghese"? I quali, silenti, e attoniti, poveretti, subito dopo aver preso la sonora batosta, però, dopo il primo momento di sconforto personale misto a disprezzo verso quei "poveretti" che non ne hanno voluto intendere lo slancio ideale, subito tornavano, come se proprio nulla fosse successo, a dire, anzi a chiedere (anzi: a pretendere) che il cammino così repentinamente interrotto (forse causa il destino, "cinico e baro" di suo, come si sa) riprendesse con nuova e rinnovata lena verso il loro - particolarissimo - "sol dell'avvenire". Ecco, si diranno i nostri venticinque lettori: Liberazione , dopo che è passato più di un anno, quasi un anno e mezzo, si mette a tessere le lodi - e a "imbrodare" - Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione comunista. No, a dire la verità parlavamo - e parliamo - di Angelo Bonelli "il mite", e cioè dell'ex capogruppo alla Camera dei Verdi, laziale doc, che ha vinto - a onta e disdoro di tutti i pronostici che si accavallavano, negli ultimi mesi, più che settimane e giorni - la contesa a successore di Grazia Francescato, e contro Loredana De Petris, candidata alla segreteria di quest'ultima (cioè della Francescato medesima) nel congresso "federale" di Fiuggi, congresso che si è svolto lo scorso fine settimana, dal 9 all'11 ottobre, tra spintoni, urla, sventolii di bandiere, molto discutere e dibattere, qualche clamore … I Verdi sono, appunto, un partito "federale" - oltre che, ad oggi, il simbolo più "vecchio" presente sulle schede elettorali d'Italia, visto che si sono presentati la prima volta nel 1987, ai tempi della Prima Repubblica - e cioè un partito che offre (e chiede) molte garanzie e garantisce molti diritti, ai "territori". Un partito strutturato, nel suo piccolo. Si chiama, invece, Loredana De Petris, ed è, appunto, una donna - come la Francescato, di cui è la pupilla, oltre che un'ex senatrice - la candidata che avrebbe dovuto guidare i Verdi allo scioglimento (definitivo) dentro S&L. La De Petris era fortemente voluta non solo dalla Francescato, ma da tutta quell'area dei Verdi che - ex onorevole Paolo Cento "Er Piotta", in testa - non vedeva l'ora di sciogliersi. Come neve fresca, libera e giovane, s'intende, ma sciogliersi. Subito, presto, prestissimo: il "cantiere" della Nuova Sinistra Unita (Sinistra e Libertà, appunto) non poteva (né può?) aspettare. Beh, che dire? Toccherà che aspetti. Almeno un pochino, ecco. Infatti, ha vinto Bonelli. Ribaltando tutti i pronostici della vigilia, certo. Raccogliendo la maggioranza dei voti non "prima" del congresso (non aveva neppure quella relativa …), ma "durante" il congresso (anche qui: se la democrazia collegiale ha un senso, oltre che una storia, che male c'è?), certo. Alleandosi da subito con alcuni storici "senatori" del partito, come l'ex senatore (e antico ex leader di Lotta Continua) Marco Boato, veneto, certo. E, infine, con la terza mozione che pure s'è presentata al congresso, quella dei Verdi-Verdi (pure loro? Sì, pure loro …) diffusi sul territorio, specialmente in due "regioni-chiave" (per i Verdi ma mica solo per loro) come la Campania e il Lazio. Mozione capeggiata da due "giovinotti", Gianluca Carrabs e Francesco Borrelli, entrambi napoletani ed entrambi, a dir la verità, sospettati dai più di essere, "nel" congresso, la longa manus del "convitato di pietra" di ogni congresso dei Verdi dall'inizio degli anni Duemila ad oggi. E cioè dell'ex ministro (Agricoltura prima, Ambiente poi) Alfonso Pecoraro Scanio. Com'è, come non è, Bonelli ha chiamato "banco" ed ha tirato fuori l'asso, facendo poker, anche se i suoi competitor erano già ebbri, forti del loro full. E, appunto, è stato eletto lui, segretario. Ora, o' mutos delòi (viene dal greco e vuol dire: "la favola dimostra che") dimostra che se hai un programma chiaro, serio, ben convincente e se la "tua" identità la rivendichi, invece di vergognartene, finisce che convinci. E, alla fine, vinci. Il fatto è un male, ci si chiede? Sì, certo, per alcuni sì. E cosa dovrebbe fare chi vede in ciò un male indicibile, neppure necessario? Formare un nuovo partito, ovvio. Dall'identità light, però, talmente light che se ne perdono confini, mappe, idee e ideali. Ecco, per far quello, però, ci permettiamo - sempre molto sommessamente di dire - la "casa" è già bella che pronta. Si chiama il Pd. Ha braccia larghe. E pronte ad accogliere chicchessia. Alcuni verdi - tipo quelli lombardi, dai consiglieri regionali Carlo Monguzzi e Marcello Saponaro fino a quello milanese, Maurizio Baruffi - l'hanno capito così bene che proprio nel Pd finiranno. Gli altri, vecchi e identitari, vorrebbero solo fare i Verdi. Non è un peccato capitale.
Europa 14.10.09
Sinistra e Libertà, tutti appesi a Nencini
di Gianni Del Vecchio
Nessuno l’avrebbe detto qualche tempo fa. Eppure è così: il futuro del progetto di Sinistra e libertà è tutto nelle mani di Riccardo Nencini, segretario dei socialisti.
Per capire il perché bisogna fare un passo indietro e partire da quello che è successo sabato sera a Fiuggi, al congresso dei Verdi. Lì la favorita della vigilia, Loredana De Petris, è stata sconfitta a sorpresa da Angelo Bonelli. Ha perso la mozione che vedeva un futuro ecologista nella costituzione di Sinistra e libertà dopo le prossime regionali mentre è stata premiata la linea più identitaria e autonomista dell’ex capogruppo alla camera.
Un vero dramma per Vendola e compagni, che si sono visti sfilare in un attimo uno dei soggetti fondatori nonché un bel pezzo di quel 3,1 per cento preso alle ultime europee.
Tanto da costringere il governatore pugliese ad accelerare e chiedere il congresso anticipato, da fare possibilmente a dicembre invece che dopo le regionali, come pattuito all’assemblea nazionale di Bagnoli un mese fa. Ma l’accelerazione non è stata presa bene da tutti. In particolare da Nencini, che da New York, dove è in missione, ha fatto sapere di non essere d’accordo. Il leader dei socialisti ritiene che non è precipitando i tempi che si possono risolvere i mali antichi della sinistra italiana. Secondo lui, infatti, non ci sarebbero le condizioni per modificare un percorso già stabilito né tanto meno improvvisare un congresso su due piedi. Insomma, un niet deciso, che fa nascere più di un sospetto fra le fila dei vendoliani che i socialisti stiano cominciando a ripensare al percorso unitario.
Certamente il risultato del congresso verde rafforza tutta quell’area da sempre scettica della confluenza in Sl, che ha già prodotto la fuoriuscita di gente come Bobo Craxi e Saverio Zavettieri. E un’eventuale defezione del Psi sarebbe un colpo quasi mortale per il nuovo soggetto della sinistra. Infatti ciò che rimarrebbe sarebbe solo un gruppo di dirigenti perdenti, che hanno abbandonato il loro partito di origine a seguito di una battaglia congressuale finita male: gli ex Ds di Fava e Mussi, gli ex Prc di Vendola e Giordano, gli ex Pdci di Guidoni e Belillo, gli ex Verdi (forse) di Francescato e Cento. Non a caso tutti sperano ancora di convincere Nencini a fare il congresso anticipato.
Domani il segretario torna dall’America e ci sarà una riunione fra tutti i “costituenti” di Sl. Solo allora si capirà che aria tira. Anche perché c’è già chi fantastica nuovi inattesi ricongiungimenti. L’ex capogruppo alla camera di Rifondazione, Gennaro Migliore, in un’intervista a L’altro rispolvera «la necessità di un dialogo» con gli odiati fratellicoltelli di Lista comunista, Ferrero e Diliberto.
La vittoria di Bonelli però non è un affare che riguarda solo ciò che si muove a sinistra del Pd. La strategia dei nuovi Verdi è lanciare una costituente ecologista rivolta a tutti quelli che ci stanno, in maniera trasversale, da destra a sinistra.
Un occhio di riguardo però va a proprio al Partito democratico.
Ieri Bonelli ha lanciato un appello agli ecodem affinché escano dal Pd per costruire assieme un forte soggetto ambientalista. Prospettiva questa abbastanza velleitaria nel caso alle primarie venisse eletto Franceschini, appoggiato proprio da Realacci e gli altri. Ma se vincesse Bersani? Le sirene di Bonelli diverrebbero più suadenti? Intanto, della partita fanno parte anche i Radicali. Marco Pannella, il cui (non) intervento di Fiuggi è stato determinante per far pendere la bilancia a favore di Bonelli, ha ribadito «l’oggettiva identità comune fra il simbolo del Sole che ride e quello della non-violenza radicale».
Qualcosa di più di un semplice corteggiamento.
D di Repubblica sabato 10.10.09
La follia che ci abita
risponde Umberto Galimberti
Scrive Kant: "La ragione è un isola piccolissima nell'oceano dell'irrazionale"
Ennesimo dramma della follia: a Varese un uomo uccide la moglie e i due figli per poi togliersi la vita. A parte l'incremento esponenziale di drammi familiari pubblicati dai giornali, non posso fare a meno di notare un generale sproloquio medlatlco, una abuso linguistico e antropologico di termini quali follia, pazzia, tragedia.
Nella maggior parte dei casi di omicidio familiare sembra che non si riesca a trovare altro movente se non quello della pazzia: le madri come novelle Agavi euripidee, invasate da un perverso Dioniso, fanno fuori Pentei infanti, e così via in un grandguignolesco teatro della pazzia.
L'opinione pubblica sembra ripudiare l'idea che una madre, un padre, un familiare stretto possa ucciderne un altro con coscienza, preferendo attribuire il gesto a un non ben definito raptus di follia. Ma è davvero così? Perché ci si rifiuta di ammettere che l'omicidio cosciente e intenzionale può travalicare anche i confini della parentela, specie quando il parente è il proprio figlio o il proprio genitore?
Il grande Michel Foucault nel suo lo Pierre Riviere ... abbatte quella viscida patina di sacralità che pervade il concetto di "famiglia" mostrando come un essere umano possa uccidere un padre, una madre, una sorella, un fratello o perché no, tutti quanti assieme, con lucida cognizione del gesto, e in perfetta sanità mentale, senza che alcun Dioniso debba scomodarsi per invasarlo.
Sia concesso pure che nella fattispecie quel gesto, per quanto non giustificablle, concedeva numerose attenuanti e il giovane Riviere, considerato da tutti il classico "scemo del villaggio" giustificò il massacro del 1835 con l'intento di "liberare" il padre (così disse) dalle persecuzioni della moglie. Arrestato dopo un mese di latitanza, bollato di pazzia e condannato al carcere a vita, concluse la sua esistenza impiccandosi il 20 ottobre 1840. Durante gli anni di prigionia scrisse le sue memorie, fogli di carta che tradiscono i sentimenti di un uomo che tutto può essere definito, fuorché pazzo. Narrano invece di un uomo povero, schiacciato dal consorzio civile prima e dalle grandi istituzioni custodialistiche poi: in nome del primo aveva ucciso, in nome delle seconde si era tolto la vita.
E infine, che tragedie sono queste, dove i drammi satireschi a chiusura di sipario sono ridotti a siparietti da talk show con disgustosi plastici e sedicenti criminologi da dare in pasto a spettatori affamati che la catarsi non sanno nemmeno cosa sia. Cosa ne pensa, professore? Un saluto da un giovane studente nonché suo affezionato lettore!
L'umanità ha sempre riferito tutto ciò che fuoriesce dall'ordine razionale a potenze superiori a cui attribuirne la responsabilità, forse allo scopo di salvaguardare la comunità dagli eccessi di violenza e garantirne l'ordinata convivenza, Valga per tutti l'esempio di Agamennone che, per rifarsi della perdita della propria concubina, sottrae ad Achille la sua, Quando si ravvede così si giustifica: "Ma io non ho colpa, bensì Zeus e il destino e le Erinni viaggiatrici nelle tenebre, essi che nell'assemblea mi gettarono nel senno un grande obnubilamento, quel giorno in cui tolsi ad Achille la sua schiava, Ma che potevo io fare? È un Dio che manda a termine tutte le cose", Non è una giustificazione di comodo perché Achille così risponde: "Conosco quanto tremende sono le rovine che gli dèi infliggono alle menti degli uomini, altrimenti mai Agamennone mi avrebbe sottratto la fanciulla" (lliade XIX, 86-137),
Con l'avvento della religione cristiana quanto i Greci riferivano agli dèi viene attribuito al diavolo, e perciò nascono le pratiche esorcistiche per liberare l'anima da tale possessione, Con la nascita della scienza moderna ci si congeda da demoni e dèi, per attribuire quanto di orribile gli uomini possono fare alla follia, Nozione non ben precisata, se è vero che ancora nell'Ottocento gli psichiatri, nel congedare i pazienti dai manicomi apponevano, accanto alla loro firma, la sigla "D.c." (Deo concedente), se il dio concede di abbandonare la mente di qust'uomo, non sarà più necessario un ricovero.
Siamo soliti ritenerci ragionevoli, dimenticando che la ragione è una piccolissima zattera su cui galleggiamo finché la furia delle onde non ia travolge, E allora è la follia e non la ragione il nostro habitat abituale, a cui l'umanità ha cercato di porre degli argini prima con i riti, poi con le religioni, infine con regole di convivenza, leggi, istituzioni, Finché queste strategie tengono, Basta infatti che le pratiche razionali si sospendano, C'ome nel sonno, o sotto l'effetto dell'alcol o della droga, che il teatro della follia, che costantemente ci abita, apre il suo sipario truce e abissale nelle forme della sua devastazione.