L’intervista
Giorgio Bocca: “Ormai la sinistra copia la destra
di Gian Piero Calapà
Le parole di Giorgio Bocca, uno degli ultimi grandi del giornalismo italiano, spesso sono come aculei che si conficcano in una ferita già aperta. Come lo scorso agosto, quando scrisse su l’Espresso che in Sicilia i carabinieri "fanno parte fondamentale del patto di coesistenza sul territorio, di controllo del territorio condiviso con la Chiesa e con la mafia". Le sue frasi sono ruvide come può esser ruvido solo un anziano piemontese che ha fatto la Resistenza e che oggi fa fatica a distinguere, neiI’agone politico, il bene dal male. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa parlò di accuse farneticanti, riferendosi a quell'articolo, che Pierferdinando Casini definì "infame". Ora il "caso Marrazzo” e tre uomini dell'Arma arrestati con l'accusa di estorsione. "Sinistra e destra sono senza differenza - spiega Bocca -. Complotto o no, uno che.ricopre un ruolo istituzionale non dovrebbe comportarsi, anche in privato, come ha fallo il governatore del Lazio”.
Forse anche i carabinieri coesistono, ovunque, con una società malata giunta a un punto bassissimo della Storia di questo Paese?
"Ho avuto parecchie noie dopo quell'articolo. Sono stato definito più volte un anti-italiano, preferirei davvero evitare di parlare dei carabinieri. E, aggiungo, se il Fatto pensava, intervistando me sulla vicenda Marrazzo, di voler fare un pezzo di sinistra ha sbagliato a cercare me". .
Nessun intento premeditato da parte nostra. Escludendo i carabinieri dal discorso, non pensa che il governatore sia stato vittima di un complotto?
"Non è questo il punto. Ammesso anche che si sia trattato di un complotto mi pare che Marrazzo fu già vittima di un pedinamento o qualcosa di simile in passato. Il presidente di una Regione dovrebbe essere ben più accorto e assumere dei comportamenti anche consoni al ruolo istituzionale che ricopre. In America non ci sarebbe stato nessun tentennamento sulle dimissioni, qui siamo fatti così”.
Ritiene, quindi, che Marrazzo abbia sbagliato tutto, anche nel comportamento tenuto nelle prime ore a scandalo ormai scoppiato?
"Abbia pazienza: uno che dice che tiene alla sua famiglia e poi va con i trans ... secondo me quanto meno è un tipo strano ... Sarà che sono un piemontese."
Insomma, anche per lei siamo al così fan tutti? Destra e sinistra, tutti uguali. Non pensa sia proprio quello che voleva dimostrare l'apparato che si è messo in moto?
Sì, la sinistra è come la destra. L'apparato non può dimostrar nulla, però, nel caso del giudice Raimondo· Mesiano. Pedinato e sbattuto sù Canale5 mentre aspettava il suo turno dal barbiere. Ripeto: bisogna essere consci del molo che si ricopre: chi fa il governatore non può e non deve permettersi cose che magari possono anche apparire lecite per un uomo comune. Marrazzo, se è stato vittima, si è prestato ad esser vittima ".
Ieri Pierluigi Battista sul Corriere della Sera si spingeva a chiedere a Marrazzo di valutare se fare un passo indietro chiedendosi "quanto sia stata condizionata l'attività pubblica di un presidente che da mesi vive costantemente in una condizione di ricatto". La stessa cosa che alcuni rilevarono per Berlusconi nella vicenda delle escort.
"Premetto che non leggo mai ciò che scrive Battista e ritorno a dire che è uno schifo generale. Prenda l'ex ministro Clemente Mastella quando ammette di aver raccomandato solo amici innocenti, chiedendo che cosa ci fosse di male. Trovo incomprensibile il modo di intendere l'onestà di tutta la nostra classe dirigente. Ci sono due modi di concepire la politica. lo scelgo quello espresso da una figura come Giuliano Vassalli”.
L'Italia è stata sempre così? Oppure ritiene che sia in corso un'escalation tra pedinamenti, dossier e buchi della serratura?
"Non è sempre stato così, nessuno si sognò mai di pedinare Aldo Moro perché c'erano in giro voci di una sua relazione con una cantante".
Vede luce alla fine del tunnel?
"Questo è un Paese in cui non mi riconosco più. Non mi riconosco più negli italiani. Forse hanno fatto bene a detìnirmi anti-italiano”
Repubblica 25.10.09
L’aria torbida di fine regno
di Eugenio Scalfari
L´aria che si respira in questi giorni è di fine della seconda Repubblica. Non è detto che sia anche la fine di Berlusconi perché le due cose non sono necessariamente coincidenti. Può darsi che la fine della seconda Repubblica porti con sé e travolga chi su di essa ha regnato; ma può darsi anche che sia proprio lui ad affossarla sostituendola con una Repubblica autoritaria, senza organi di garanzia capaci di preservare lo Stato di diritto e l´equilibrio tra i vari poteri costituzionali.
Il Partito democratico ha presentato in Parlamento il 22 ottobre, con la firma di Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Nicola Latorre, una mozione che fotografa con efficacia questa situazione. Se ne è parlato poco sui giornali, ma è l´atto parlamentare più drammaticamente documentato del bivio cui il paese è arrivato, mentre la crisi economica mondiale è ancora ben lontana dall´aver ceduto il posto ad una ripresa.
I sintomi di questa «fin du règne» sono molteplici. Ne elenco i principali: l´attacco martellante e continuativo del presidente del Consiglio contro la Corte costituzionale e la magistratura; la definitiva presa di distanza del medesimo nei confronti del Capo dello Stato; il disagio crescente di Gianfranco Fini verso la linea del Pdl e in particolare verso le candidature dei governatori in alcune regioni e in particolare il Veneto, il Piemonte, la Campania; l´irrigidimento della Lega su Veneto e Piemonte da lei rivendicate.
E poi il dissenso sempre più profondo tra una parte del Pdl (Scajola, Verdini, Baldassarri, Fitto, Gelmini) e Tremonti e la difficoltà di Berlusconi a ricomporre questo scontro che sta spaccando in due il centrodestra; la rivolta degli artigiani del Nordest contro la politica economica del governo; l´analoga rivolta di molti imprenditori lombardi; i casi giudiziari della famiglia Mastella; i casi giudiziari di un gruppo di imprenditori collegati a Formigoni; il caso Marrazzo e le sue possibili conseguenze politiche ed elettorali; gli attacchi dei giornali berlusconiani contro Tremonti e la sua minaccia di dimettersi. Infine la preoccupazione del presidente della Repubblica che aumenta ogni giorno di più e si manifesta in ripetuti e pressanti richiami a mandare avanti le riforme in un clima di condivisione.
L´elenco è lungo e sicuramente incompleto, ma ampiamente sufficiente ad alimentare la percezione di un processo di «disossamento» del paese, d´una guerra di tutti contro tutti, di un´azione di governo basata su frenetici annunci ai quali non segue alcun fatto. Si procede alla cieca. Siamo addirittura ad una sorta di fuga del premier che si è andato a nascondere nella duma personale di Putin e lì sta ancora mentre scriviamo (trattenuto a quanto si dice da una furiosa tempesta di neve della quale peraltro non c´è traccia nel bollettino meteorologico) dopo aver disertato la visita di Stato del re e della regina di Giordania ed aver rinviato a data da destinare il Consiglio dei ministri che era stato convocato per venerdì mattina. Forse per sfuggire al chiarimento con Tremonti?
Di sicuro si sa soltanto che il nostro premier è con il dittatore russo da tre giorni durante i quali hanno parlato «anche» di affari. Insomma, tira un´aria brutta, anzi mefitica.
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Per non correr dietro alle voci sussurrate o gridate, stiamo ai fatti e soprattutto a quelli economici che maggiormente interessano i cittadini, cominciando con l´annuncio (ancora un annuncio) fatto dal premier prima di partire per San Pietroburgo, di voler dare inizio ad un graduale ribasso dell´imposta Irap.L´annuncio fu lanciato la prima volta nel 2001 e poi rinnovato nel 2005, ma seguiti concreti non ce ne furono. Questa è dunque la terza volta; ma mentre dieci anni fa nessuno si oppose all´interno del centrodestra, questa volta c´è un «no» secco del ministro dell´Economia per mancanza di copertura.
Oltre al suo, c´è anche un «no» della Cgil e delle Regioni, a fronte di un completo appoggio da parte della Confindustria.
Si discute di un´imposta voluta a suo tempo da Vincenzo Visco, che unificò nell´Irap sette imposte precedenti, destinandone il gettito al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Il gettito attuale dell´imposta rende 37 miliardi l´anno. Grava sulle imprese ed anche sui lavoratori così come vi gravavano le sette imposte precedenti. Il graduale ribasso annunciato da Berlusconi non è stato ancora definito nella sua concretezza, visto che spetterebbe a Tremonti di farlo ma è proprio lui che vi si rifiuta. I consiglieri del premier pensano ad una riduzione dell´imposta tra i tre e i quattro miliardi a vantaggio delle imprese, soprattutto di quelle di piccole dimensioni. I medesimi consiglieri suggeriscono di trovare la copertura utilizzando i fondi accantonati per il Mezzogiorno o quelli derivanti dallo scudo fiscale. Tremonti – l´abbiamo già detto – ha risposto con la minaccia di immediate dimissioni.
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Nel frattempo ha fatto il giro di tutti i giornali un documento anonimo ma proveniente da alcuni «colonnelli» del Pdl, che avanzava una serie di critiche alla linea rigorista del ministro dell´Economia. Non si dovrebbe dar peso ai documenti anonimi senonché proprio ieri è stato presentato un documento con tanto di egregia firma da parte del presidente della commissione Finanze e Tesoro del Senato, Baldassarri. In esso la linea rigorista del ministro viene completamente smontata dal vice ministro, il quale propone tagli di spesa e diminuzione di imposte da riversare a vantaggio dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese per un totale della rispettabile cifra di 37 miliardi.Le dimensioni di questa manovra di fronte alla legge finanziaria del 2010 ancora in discussione in Parlamento, è imponente: 37 miliardi per modificare una Finanziaria che ammonta a un miliardo e mezzo. È evidente che in questo caso non ci saranno compromessi possibili: o viene smentito Baldassarri o se ne va Tremonti.
Ma non è tutto nel campo della politica economica. C´è la questione della Banca del Sud, che sta molto a cuore a Tremonti ed è stata già approvata nell´ultimo Consiglio dei ministri.
Si tratta anche in questo caso di un semplice annuncio sotto forma di un disegno di legge che configura per ora uno scatolone vuoto, del quale non si conoscono neppure i proprietari, cioè gli azionisti. Uno scatolone consimile fu battezzato anche dal medesimo Tremonti nel 2003, ma dopo un paio di mesi la gestazione fu interrotta per procurato aborto: la proposta infatti fu ritirata. Accadrà così anche questa volta?
La proposta (e sembra paradossale ma non lo è) incontra l´opposizione dei ministri meridionali, delle regioni meridionali, e dell´opposizione. Il perché è facile da capire: si tratta d´una banca autorizzata a raccogliere fondi sul mercato usandoli per finanziare imprese nel Sud a tassi particolarmente allettanti per i debitori. Lo Stato si accollerebbe la differenza. Si creerebbe così un circuito creditizio virtuoso per chi riceverà quei prestiti, ma un circuito perverso per le imprese già operanti con tassi tre volte più alti dei clienti della Banca. Clienti è la parola giusta perché si tratterà di una vera e propria clientela facente capo al ministro dell´Economia, fondatore e protettore della Banca in questione.
Va detto che l´agevolazione sui prestiti dovrà preliminarmente ottenere l´ok della Commissione Europea e infine quella della Banca d´Italia, la quale non sembra entusiasta d´una Banca così concepita.
Accenno a qualche altro problema più che mai aperto nella politica economica. Ho parlato prima di una rivolta degli artigiani del Nordest e del disagio tra le molte imprese che operano in Brianza. Si tratta di elettori in gran parte del centrodestra, molti dei quali finora hanno spesso intonato con convinzione il ritornello «meno male che Silvio c´è». Non pare che siano ora così entusiasti. Lamentano soprattutto due cose: la mancanza d´una riduzione fiscale tante volte promessa e mai avvenuta e il tempo maledettamente lungo impiegato dalle pubbliche amministrazioni locali e centrali per pagare i debiti contratti con quelle imprese. Una volta si trattava di 30 giorni, poi di 60; adesso ne passano mediamente 130, cinque mesi, prima di incassare qualche spicciolo.
Per rimediare a questo tardivo spicciolame, cresce vertiginosamente il numero di piccole imprese che imboccano la via del concordato.
Si parla di concordato quando un´azienda si trovi in una situazione di pre-fallimento. Invece di fallire propone un concordato ai creditori. Un tempo il concordato si faceva intorno al 50 per cento dei crediti. Coi tempi che corrono è sceso vertiginosamente: siamo in media intorno al 20 con punte al ribasso che arrivano fino al 7 per cento. I creditori, anziché perder tutto, accettano e l´impresa può riprendere il suo cammino con un vantaggio notevole rispetto ai concorrenti. Proprio per questa ragione sta aumentando il ritmo dei concordati e non è un bel vedere perché scarica sui creditori il peso dell´insolvenza debitoria. I creditori sono in gran parte banche e questo spiega perché il credito bancario si sta progressivamente restringendo e ancor più si restringerà.
Cito un episodio che tutti i giornali hanno pubblicato ma sul quale forse l´opinione pubblica non ha riflettuto abbastanza. Il governo ha concesso notevoli incentivi all´industria automobilistica, soprattutto per quanto riguarda la rottamazione di vecchi modelli e la fabbricazione di auto non inquinanti. L´industria dell´auto ne ha avuto un discreto sollievo ma Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha rivelato che finora (ed è passato quasi un anno) non ha ancora ricevuto un soldo ed ha provveduto finanziando a se stesso (cioè alla Fiat) gli incentivi e scrivendo sul bilancio un credito verso l´erario. Cioè: la Fiat ha chiesto alle banche di finanziarle un credito che lo Stato non ha ancora onorato. Vedete un po´ a che punto siamo.
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Ci vorrebbe un programma di «exit strategy» ma ci pensano in pochi sia in Italia sia in Europa. Trichet, presidente della Banca centrale europea, ci pensa e ne parla. Draghi ci pensa e ne parla. Monti ci pensa e ne parla. Bernanke, presidente della Fed americana, ci pensa e ne parla. E basta. Cioè: ci pensano e ne parlano le autorità monetarie e alcuni esperti informati in materia. I politici di governo annaspano.La discussione verte su due modelli: un´uscita dalla crisi a forma di L oppure a forma di W. La prima ipotesi è che si fermi la caduta ma la ripresa sia molto lenta e si dilunghi tre o quattro anni. Il secondo modello è invece che vi sia una ripresa consistente ma di breve durata, cui seguirebbe una forte ricaduta e poi una nuova ripresa. La durata di questo secondo modello è di sei o sette anni.
L´economia italiana, che procede a bassa produttività, sarebbe in entrambi i casi tra le più sfavorite e lente a dispetto di quanto i due amici-nemici Berlusconi e Tremonti vanno predicando da anni e cioè che noi usciremo dalla crisi meglio di tutti gli altri.
Le politiche necessarie per accelerare senza ricadute la ripresa economica sono diverse tra gli Usa e l´Europa. Senza entrare in troppi dettagli, per l´Europa si consiglia una robusta detrazione fiscale in favore dei consumatori-lavoratori per rilanciare la domanda interna e, insieme, una serie di provvedimenti da trasformare in legge con esecutività postergata per ribassare in misura consistente il debito pubblico. In alternativa un´imposta pro tempore sui patrimoni al di sopra di un limite, con applicazione per due-tre anni al massimo. Oppure un contenimento della spesa corrente che negli ultimi due anni non c´è stato affatto facendola lievitare di ben 35 miliardi.
Questo sì, è un dibattito serio. Il resto sono chiacchiere e annunci sgangherati, sempre più percepiti come bubbole per guadagnar tempo prima di far le valigie e andarsene.
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Non posso chiudere questo mio «domenicale» senza ricordare che mentre leggete questo giornale si stanno svolgendo le primarie del Partito democratico per l´elezione del segretario nazionale e dell´Assemblea.L´appuntamento è importante e interessa non solo il Pd ma tutta l´opposizione. Seguirò anzi il suggerimento datoci ieri da Andrea Manzella, di scrivere Opposizione, con la maiuscola perché la prova di forza dell´affluenza può anzi dovrebbe interessare l´Opposizione nella sua totalità e non soltanto gli iscritti a quel partito.
Le primarie del Pd offrono infatti all´Opposizione una piattaforma organizzativa. Sento parlare di sondaggi di un milione e mezzo o due milioni di votanti. Secondo me non sono sufficienti. Ce ne vogliono almeno tre milioni e questa sì, sarebbe una prova di forza ben riuscita.
Oggi l´Opposizione si può materializzare con tutta la forza che possiede purché superi indifferenza e scetticismo. Mi auguro che ciò avvenga per la salute della democrazia italiana.
Corriere della Sera 25.10.09
Psicoterapeuta Raffaele Morelli: «Volontà inconscia di essere scoperti. Il viado come una figura mitologica moderna»
«Uomini di potere, trans e la trasgressione come fuga»
di Mario Pappagallo
«A volte il potere diventa una gabbia insostenibile da cui si vuole fuggire, ma inconsciamente. In apparenza forti, sempre pronti a decidere, sottoposti a pressioni e a scelte che possono anche non piacere o con le quali si scende a compromessi, pur di aumentare il proprio potere e soddisfare le ambizioni. Nell’inconscio invece si diventa sempre più sofferenti, pronti a tutto pur di uscire dalla gabbia. Ecco allora che la trasgressione, il rischio, l’annullamento delle inibizioni, diventano quella doppia vita spericolata che se va male ti libera e se va bene ti dà una scarica di adrenalina senza pari. E l’inconscio del potente 'logorato' cerca lo scandalo liberatorio. Un autolesionismo che riporta alle proprie radici, alla felicità della semplicità, a una normalità scordata ma mai tanto desiderata. L’essere scoperti diventa urlo liberatorio».
Il caso del governatore Piero Marrazzo ricorda quanto accaduto ad altre personalità di potere. Raffaele Morelli, psicoterapeuta e direttore di Riza Psicosomatica , apre la porta alle riflessioni: «I veri grandi uomini restano semplici, umili, con amici e famiglia al fianco, in una normalità che li preserva dal potere che dà alla testa. Altri, invece, senza accorgersene, perdono il contatto con i valori più semplici, entrano nella gabbia. Ed è solo cadendo rovinosamente a terra che ritrovano quell’identità che non sanno di aver perso. E che inconsciamente ridesiderano ».
Chi non è consapevole della gabbia in cui si trova, «usa» quindi l’inconscio come grimaldello? «In un certo senso è così. La trasgressione a rischio diventa una droga: continue scariche di adrenalina che permettono di sopportare la gabbia. Allora, ecco che è l’inconscio a creare la situazione liberatoria. Le condizioni in cui si rischia sempre più di essere scoperti, di essere ricattabili per qualcosa di scandaloso. L’inconscio apre violentemente la gabbia».
Va bene Morelli, ma perché sempre più spesso sono i transessuali l’oggetto del desiderio proibito? «E’ l’inconscio di tipo erotico che entra in gioco: rapporti non convenzionali, a forte rischio, trasgressivi, di totale abbandono ma anche di totale ambiguità. Il massimo è un partner dalla sessualità 'artificiale', non codificabile. E’ come avere un rapporto con un essere mitologico o una divinità. Il trans, infatti, è espressione di quest’epoca: esiste grazie alla chirurgia e alla chimica. Fisicamente un uomo costretto a prendere sempre ormoni femminilizzanti, ma con una voce che non perde mai del tutto il timbro maschile. Donne con genitali maschili, uomini con genitali femminili. E, quando si fanno operare, uomini (85%) e donne (15%) che restano del proprio sesso pur avendo genitali dell’altro creati artificialmente... ». Sesso «virtuale» che si materializza? Una Second Life trasgressiva diventata reale? «In un certo senso. Il concetto è che con un trans si va oltre la trasgressione ». Spesso si aggiungono droga e alcol. «È la ricerca della scarica d’adrenalina che si ottiene quando si sfida la morte. La stessa sensazione che si ha un attimo dopo essere sopravvissuti indenni a un incidente mortale. Ecco, al sesso trasgressivo si aggiungono i rischi di un incontro in strada (dove si è più esposti), della cocaina, dell’alcol. E farmaci come il viagra. L’obiettivo è raggiungere il massimo del piacere e del pericolo da cui si può anche non uscire indenni». Un cocktail psico-fisico-farmacologico da rischio estremo.
E nel passato, quali le sesso-trasgressioni? «La bisessualità c’è sempre stata. Forse l’amore con gli adolescenti, i pochi ermafroditi e le orge tra gli antichi romani. Ma le orge sono in aumento anche oggi. Non dimentichiamo il sesso con gli animali: trasgressivo al punto di essere oggetto di leggende mitologiche». E seguendo le parole di Morelli, tornano alla mente alcuni affreschi erotici pompeiani e i racconti di divinità che prendevano sembianze animali, di festini orgiastici tra ninfe, centauri e fauni, la magia erotica delle sirene...
Corriere della Sera Salute 25.10.09
Sanità La «quota rosa» in camice sta per raggiungere i maschi. E intanto li supera in qualità
Il medico migliore? Una donna
di Franca Porciani
Un’ampia ricerca inglese ha dimostrato i vantaggi della medicina al femminile: meno errori, meno controversie, maggior capacità di lavorare in gruppo. I direttori di grandi ospedali italiani confermano
Professione Una ricerca inglese evidenzia il primato delle «dottoresse»
Cerchi un bravo medico? Speriamo che sia femmina
Meno contenziosi e reclami, più lavoro di équipe
Sul piano privato, il tempo libero è ridotto all’osso, va poco al cinema e a teatro. Ma non se ne lamenta. Come la maggior parte delle donne che hanno una famiglia e un lavoro oggi in Italia.
La relazione La donna è attenta ai bisogni del paziente più del collega maschio
Prima l’ingresso in sordina, poi un’entrata in scena con la forza di un uragano. Le donne medico sono aumentate di giorno in giorno fino a diventare oggi quasi le protagoniste di un mestiere un tempo soltanto maschile; erano il 57 per cento dei laureati in medicina nel 2000, il 62 per cento nel 2006 (ultimi dati disponibili). Altro che quote rose: siamo di fronte ad un’invasione in rosa, che oltre a femminilizzare la professione, la sta ingentilendo, «migliorando». Sì perchè le donne in camice funzionano meglio dell’analogo dell’altro sesso: lo rivela in modo clamoroso (ed inaspettato) una ricerca del dipartimento di valutazione clinica del Servizio sanitario britannico, l’NCAS, acronimo di National Clinical Assessment Service , su un campione di 5.000 medici e dentisti sia ospedalieri che di medicina generale, condotta nell’arco degli ultimi otto anni. Nell’indagine sono stati registrate le segnalazione arrivate all’amministrazione dell’ospedale o dell’ health district (il corrispettivo della nostra Asl) in seguito a contenziosi sulla qualità delle prestazioni, sugli errori clinici (di diagnosi o di trattamento) sui comportamenti all’interno dell’équipe, su eventuali sospensioni dal lavoro e non ultimo, sul livello di gradimento dei pazienti. Problemi coniugati quasi esclusivamente al maschile, visto che le segnalazioni riguardano 3635 uomini e un modesto numero di donne: soltanto 873. La popolazione femminile col camice nel servizio sanitario inglese rappresenta il 40 per cento della forza lavoro, ma prende «brutti voti» un modesto 20 per cento. Una promozione importante, tale da catturare l’attenzione della rivista Lancet che in uno degli ultimi numeri ospita una riflessione dal titolo significativo: «Le donne sono medici migliori?», che è, in realtà, un inno ad un cambiamento che sembra portare solo novità positive. «Sono dati che non mi meravigliano — commenta Ornella Cappelli, presidente dell’associazione italiana donne medico, specialista in microbiologia ed igiene di Parma — ; la donna è per talento e per esperienza storica molto più capace dell’uomo di organizzare il lavoro di gruppo; estranea al concetto di gerarchia tipicamente maschile, ha una maggiore propensione alla collaborazione. Un atteggiamento che si rivela proficuo in una struttura complessa come quella ospedaliera, ad esempio nella gestione del personale paramedico». «C’è poi la grande capacità femminile — prosegue la dottoressa Cappelli — di essere caregiver , come si dice oggi, ovvero di prendersi cura degli altri: il che spiega come mai la donna medico spesso (non sempre, peraltro) ha una maggiore attenzione del collega maschio ai bisogni complessivi del malato e alla comunicazione». Il che si traduce in una capacità di ascolto e di dialogo che allenta le tensioni e riduce le incomprensioni: ecco perché sono un numero decisamente inferiore i reclami dell’utente nei confronti del medico donna rispetto al collega maschio. Attenzione però a non fare della donna il «santino» della professione medica, sottolinea Giovanna Vicarelli, professore di sociologia alla facoltà di economia dell’università politecnica delle Marche, autrice di Donne di medicina (Il Mulino editore), la prima analisi attenta di questo nuovo fenomeno: «È un universo variegato quello delle donne medico, con differenze significative fra le generazioni: la creatività sul piano organizzativo e l’attenzione al paziente nella sua globalità caratterizzano il modo di lavorare nelle donne fra i quaranta e i cinquant’anni; molto meno quello delle più giovani, fra i trenta e i trentacinque, che sembrano assai più competitive rispetto a quelle che le hanno precedute: puntano soprattutto alla carriera». Ma qual è l’identikit della donna medico oggi in Italia? La risposta viene da due ricerche condotte nel 2004 (una su 1160 medici di medicina generale, l’altra su quelli iscritti all’Ordine di Torino, Cosenza e Ancora, 714 per la precisione) e riportate nel libro della professoressa Vicarelli: in media ha un’età fra i 43 e i 48 anni, proviene da una famiglia di ceto medio-alto, è sposata con un uomo che appartiene alla sua stessa classe sociale, ha figli. Ha intrapreso la professione perché animata dalla passione per la ricerca scientifica (ma in Italia avrà incontrato non poche delusioni) e da una forte predisposizione alla cura degli altri, ha scelto una specializzazione dell’area medica. Svolge l’attività professionale per lo più in forma dipendente, senza ricoprire incarichi manageriali a livello di organizzazione sanitaria, è iscritta alle società scientifiche e al sindacato.
Corriere della Sera Salute 25.10.09
Le specializzazioni
Soprattutto pediatre, ginecologhe e psichiatre Ma la cardiologia e la chirurgia restano maschili
di F. P.
Quali specialità scelgono le donne oggi? Sono ancora pediatria, anestesia e radiologia come trent’anni fa? Sì e no: la «fotografia» delle scelte emerge molto bene dai dati FNOMCeO (federazione degli ordini dei medici) del 2007 rielaborati dalla sociologa Giovanna Vicarelli.
La strada ancora più popolare è quella della pediatria, seguita dalla ginecologia e ostetricia; in terza posizione troviamo la psichiatria, in quarta l’endocrinologia e le malattie del ricambio, in quinta la dermatologia.
L’anestesia, molto gettonata dalle donne in passato, ora si posiziona all’ottavo posto.
Restano le «cenerentole delle scelte femminili» la cardiologia, la chirurgia generale, l’ortopedia e l’urologia. Ma qualcosa sta cambiando: le donne urologo in Italia oggi sono duecento e all’ultimo congresso nazionale della società della disciplina, hanno organizzato un simposio sulle tematiche della relazione medico-paziente. In questo caso, senz’altro non semplicissima.
Corriere della Sera Salute 25.10.09
Roma Policlinico Tor Vergata
E’ vero, anche qui sono più precise
di F. P.
Il policlinico Tor Vergata di Roma è giovane: nato pochi anni fa, nel 2002, ha al suo interno una forte componente di universitari. Visto che la scalata delle donne alle cattedre in medicina è ancora di là da venire, universitari e prevalentemente maschi: 367 contro 237 donne. «D’altro canto abbiamo divisioni come la cardiochirurgia, l’ortopedia e l’urologia, che sono ancora poco familiari alle donne» spiega Mauro Pirazzoli, direttore amministrativo dell’ospedale romano. Le richieste di risarcimento per errore clinico sono più di 30 all’anno, «per un totale di 186 dal 2002 ad oggi» precisa Pirazzoli.
Se sono veri anche per l’Italia i dati comparsi nella ricerca condotta in Gran Bretagna, queste richieste sono per la stragrande maggioranza legate a errori compiuti da medici maschi. È così?
«In effetti, lo sono nel 90 per cento dei casi. Nel 53 per cento si tratta di errori chirurgici, nel 34 per cento di diagnosi sbagliate, nel 13, di errori nella terapia. Le donne con il loro modestissimo 10 per cento fanno una bella figura, non c’è dubbio. E la fanno anche nell’ambito dei provvedimenti disciplinari avviati sia per gli ospedalieri che per gli universitari: le donne sono lo zero assoluto, non vengono mai richiamate».
Ma ci sarà pure un ambito dove anche le donne peccano?
«Sì: nei reclami scritti degli utenti. Nel 2008 ce ne sono stati 26, 12 riferiti a medici donne, 8 ad uomini, 6 senza distinzione di genere. Ma c’è un motivo: nel 90 per cento dei casi i reclami vengono da persone che non sono rimaste soddisfatte del trattamento in pronto soccorso, dove lavorano molte più donne che uomini. Allora il confronto diventa impari!».
Corriere della Sera Salute 25.10.09
Criminalità Il libro di uno psicoterapeuta svela la logica mafiosa
I segreti della mente di Cosa Nostra
Dalla «famiglia» al training dell’affiliato: le relazioni in un mondo di potere e di paura
di Angelo de’ Micheli
Le vere priorità
La psicologia della mafia tende soprattutto alla conquista del comando.
Il guadagno è secondario
Nei giorni scorsi si è molto parlato di mafia, di 'papelli', di patti e di pretese, di ipotesi di trattative di non belligeranza tra mafia e Stato. Tutto ciò ha riportato l’attenzione sul complesso fenomeno mafioso e sulla logica che sostiene e regola i comportamenti mafiosi. E non deve stupire che si possa parlare di 'logica' e anche di psicologia della mafia. Ne parliamo con il professor Girolamo Lo Verso, ordinario di psicoterapia all’Università di Palermo, che da 16 anni studia il fenomeno mafioso e che sul tema ha pubblicato quattro libri, il più recente dei quali si intitola 'Territori in controluce, ricerche psicologiche sul fenomeno mafioso', edito da Franco Angeli.
«La psicologia in ambito mafioso — spiega Lo Verso — studia non solo l’identità del mafioso, ma anche il suo sistema emotivo e relazionale. Lo fa, per esempio, conducendo colloqui con persone mafiose o che con queste hanno avuto contatti, come giudici, per esempio, o come amministratori e commercianti » . «Ad usare la psicologia per capire la mafia fu per primo il giudice Giovanni Falcone; si potrebbe dire che Falcone abbia inventato un metodo 'psicologico-clinico', perché cercava di comprendere il fenomeno cogliendolo dall’interno, dal punto di vista dei suoi protagonisti — prosegue l’esperto —. Lo stesso abbiamo fatto noi, intervistando collaboratori di giustizia, giudici antimafia, avvocati, poliziotti, psicoterapeuti siciliani, calabresi e napoletani che hanno seguito nel tempo componenti di famiglie mafiose o casi di persone in odore di mafia. E abbiamo approfondito il tema analizzando il testo dei colloqui fatti da persone mafiose e le perizie psichiatriche condotte su di loro, nonché in momenti di elaborazione dei problemi con gruppi di cittadini di comuni ad alta densità mafiosa, con lo scopo di attivare degli interventi psico sociali.
«La nostra ricerca ci ha portato, così, ad alcune conclusioni. Per esempio, che Cosa Nostra, tramite l’idea di 'famiglia' in senso allargato, che si prende cura dei suoi affiliati, costruisce dalla nascita i suoi adepti, sia uomini che future mogli di mafiosi. Lo fa con una forte trasmissione di 'valori', arrivando a quello che si potrebbe definire un concepimento fondamentalista del bambino come futuro mafioso, sottoponendolo via via a un training che comincia dalla prima adolescenza e che si sviluppa in lunghe fasi di 'carriera'. Una carriera che comprende gli omicidi. Tutto ciò, serve per costruire un perfetto killer- robot agli ordini dell’organizzazione » .
«Cosa Nostra — aggiunge Lo Verso — ha altresì strumentalizzato vecchi codici siciliani, quali la famiglia e l’onore, al fine di costruire una perfetta azienda criminale. Cosa Nostra è la famiglia e così, infatti, si definisce. Nella n’drangheta, invece, famiglia d’origine e mafiosa coincidono » . C’è, quindi, una realtà pseudofamiliare che sostituisce quella sociale? «Molto di più — dice l’esperto —. Dalle nostre ricerche emerge che la mafia ha come unico vero obiettivo il potere — 'cummanari è megghiu di futtiri', comandare è meglio che fare sesso, è il detto —, e solo secondariamente il denaro. Per la relazione affettiva e la sessualità c’è, invece, totale disinteresse. In sostanza, si tratta di un mondo che vive di paura, e che comanda attraverso la paura, prima ancora che con la violenza. Basti pensare all’approccio per intimidire i commercianti a cui chiedere il pizzo. Cosa Nostra non è solo un’organizzazione criminale, è una sorta di 'stato' che impone il suo controllo, le sue leggi. E che tratta con pezzi dello Stato e con poteri politici».
Chi ha fatto parte di questa realtà può modificare la sua prospettiva di vita? «E’ molto difficile. Non è possibile, per esempio, fare una psicoterapia approfondita ed analitica in un mondo addestrato all’omertà, con individui che non riescono a realizzare un’introspezione vera nemmeno quando entrano in crisi. Noi abbiamo lavorato soprattutto come supporto psicoterapeutico ai familiari di collaboratori di giustizia, ai familiari di latitanti, e con persone nelle cui famiglie erano presenti elementi non mafiosi ».
Che cosa dobbiamo aspettarci? «E’ importante rendersi conto che la mafia è ormai un problema di tutti, a livello nazionale e internazionale— conclude Lo Verso —. E’ come avere a che fare con una grande ragnatela, costruita per di più con una trama consolidata da anni. Una trama ancorata nell’assenza di una struttura sociale organizzata e improntata alla illegalità. Questi vuoti hanno permesso di creare nel corso di numerosi decenni una gerarchia di valori e di relazioni alternative tutt’ora forti e, perciò, ancora oggi difficili da sradicare».