lunedì 16 novembre 2009

l'Unità 16.11.09
Al via il summit della Fao
Moon: "Solo oggi moriranno 17mila bambini"
Il grido d'allarme del segretario Onu: Ogni cinque secondi muore un bambino".

Repubblica 16.11.09
Da Melandri a Lumia, da Zanda alla Serracchiani, scatta l´appello alla mobilitazione
Pd, voglia di scendere in piazza e per Bersani c´è la grana "No-B day"
di Carmelo Lopapa

Prima direzione dopo la nomina del leader. I dubbi sul nuovo responsabile della Giustizia

ROMA - La voglia di scendere in piazza si fa largo tra parlamentari e dirigenti del Partito democratico. È una voce (e una partecipazione) che cresce. E che oggi si farà sentire in occasione della direzione del partito, la prima dopo l´insediamento di Pier Luigi Bersani. Il segretario e la Finocchiaro hanno già risposto picche all´appello lanciato da Di Pietro: «Non siate gli unici a disertare la manifestazione del 5 dicembre». Ora, a tre settimane dal «NoBday», in tanti - dell´area che al congresso ha sostenuto Franceschini e non solo - fanno sapere che in piazza ci saranno.
«Trovo che in questo momento non sia importante chi organizzi un´occasione di protesta contro un governo che sta portando il prestigio dell´Italia così in basso - dice il vicecapogruppo al Senato, Luigi Zanda - Comprendo le ragioni di chi sostiene che un partito come il Pd le manifestazioni le promuove, non vi aderisce. Ma tante volte abbiamo manifestato in appuntamenti organizzati da altri e questa sarà molto partecipata e motivata dalla crisi nella quale Berlusconi sta trascinando il Paese». Insomma, «sacrosanto partecipare» per dirla con Felice Casson: «La nostra gente ha già deciso di andare perché è preoccupata. Adesso spetta alla direzione decidere cosa fare». E si augura che se ne discuta oggi anche l´eurodeputato Debora Serracchiani, «se sulla giustizia si può coinvolgere tutta l´opposizione per tornare in piazza e avanzare proposte concrete, allora è un´occasione che vale la pena sfruttare». Giovanna Melandri è cauta, «non è il caso di spaccarci tra chi va e chi no, ma in direzione bisognerà discutere anche delle forme di lotta contro lo scempio al quale stiamo assistendo: un grande partito deve pure valorizzare il sentimento diffuso che sta crescendo da Facebook, dai blog, dalle famiglie». Figurarsi chi, come Vincenzo Vita, rappresenta la gauche del Pd: «Io ci sarò, capisco Bersani, ma la piazza è un messaggio, e l´involuzione autoritaria del berlusconismo rende doveroso un segno tangibile di mobilitazione». Anche un altro senatore come Beppe Lumia sarà tra i democratici che manifesteranno, perché «in Italia si è rotto un equilibrio, il potere si ammanta di impunità e privilegio e bisogna reagire in termini culturali oltre che politici». E poi, è l´opinione di un moderato come Ermete Realacci, «la forza di questa manifestazione e la sua legittimazione stanno proprio nell´essere fuori dalle logiche dei partiti, giusto non mettere il cappello ma altrettanto lo è non demonizzarla. Se sarò a Roma un´occhiata andrò a darla». Tanti altri, bersaniani e non solo, non andranno a dare nemmeno un´occhiata. «Siamo stufi di piazze contro Berlusconi che lo fanno risalire nei sondaggi e gli fanno vincere le elezioni, le giuste cause si manifestano in Parlamento» sintetizza Roberto Giachetti.
Sta di fatto che la manifestazione di Piazza del Popolo diventa il primo nodo che il neosegretario si troverà ad affrontare. L´altro, all´ordine del giorno nella direzione di oggi, sarà la scelta del responsabile giustizia del Pd, ancor più delicata nell´imminenza di nuove battaglie parlamentari su «processo breve», immunità, riedizione del lodo Alfano. L´uscente Lanfranco Tenaglia, ex magistrato ed ex componente del Csm, torna in corsa. Sarà una disputa a due con un altro ex pm, il senatore Felice Casson (in alternativa per lui il posto di vicecapogruppo del Pd). I dalemiani non ci stanno. «Il miglior responsabile giustizia in passato è stato Pietro Folena - ragiona Nicola Latorre - Sarebbe opportuno evitare un altro magistrato e tornare a un politico». Su un punto l´intero partito è compatto, senza distinguo: il netto rifiuto della «terza via», di una trattativa per l´approvazione del lodo Alfano sotto forma di legge costituzionale. Ipotesi «impraticabile» per Bersani e per tutto il Pd.

Repubblica 16.11.09
Concluso il congresso, sì alle intese con Verdi e Socialisti
Radicali, alleanze a sinistra "Ma con il Pd solo dialogo"

MILANO - Riparte oggi. Ma lo stop è già dietro l´angolo. Il processo sui diritti tv Mediaset, nel quale, tra gli imputati, figura anche Silvio Berlusconi, potrebbe subito slittare per il legittimo impedimento invocato dal premier. Insieme al Papa e ad altri capi di Stato, Berlusconi è impegnato a Roma nel vertice della Fao in programma da oggi a mercoledì. E per questo non può seguire il processo di Milano. Così, dopo un anno di sospensione in attesa della decisione della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano, per il processo sui presunti fondi neri creati attraverso la compravendita dei diritti televisivi e cinematografici arriva subito un nuovo rinvio, forse a lunedì 23 novembre.
Due settimane fa il premier, attraverso un´istanza presentata alla cancelleria della prima sezione penale dai suoi difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo, pur esprimendo l´interesse a partecipare al dibattimento, ha chiesto di rifissare l´udienza ad altra data perché non potrà essere presente: in agenda c´è l´appuntamento romano sulla sicurezza alimentare, al quale, oltre a Papa Benedetto XVI che aprirà i lavori, hanno assicurato la propria presenza una sessantina tra capi di Stato e di Governo esteri. Il pm Fabio De Pasquale si opporrà all´istanza, sostenendo che il convegno della Fao non è un impedimento assoluto. L´iniziativa del resto dura tre giorni, dal 16 al 18 novembre, e l´imputato potrebbe essere in aula la mattina per poi proseguire per Roma. «Sarebbe davvero inquietante se il pm De Pasquale avesse un tale disprezzo per l´attività di una delle massime cariche istituzionali e per i suoi compiti concordati nel governo al punto da arrivare a stabilire le ore e i giorni nei quali il presidente sarebbe costretto ad intervenire al vertice della Fao» ha dichiarato il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. «Sarebbe la prova che c´è un disegno da parte di certi magistrati che calpestano la verità, le istituzioni e perfino i vertici internazionali», ha aggiunto il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Francesco Casoli, vicepresidente dei senatori del Pdl ha chiesto l´intervento di Nicola Mancino, vicepresidente del Csm. «Berlusconi salta l´udienza per andare al vertice Fao? Allora scelga lui quando, ma si faccia processare e non scappi», ha sostenuto, invece, il capogruppo dell´Idv alla Camera, Massimo Donadi. La decisione spetterà ai giudici.

Repubblica 16.11.09
Radicali, alleanze a sinistra ma non con il Pd
Chiusa la quattro giorni di Chianciano: Staderini nuovo segretario. Pole-mica con Bersani: "Grazie a voi fuori da Strasburgo"
di Marco Marozzi

CHIANCIANO - Nel centrosinistra, ma con Verdi e Socialisti. Non con il Pd. Con il partito di Pierluigi Bersani solo «dialogo». «Per quanto è possibile».
Dopo quattro giorni di analisi e riflessioni, nel grigiore di una Chianciano deserta, Marco Pannella ed Emma Bonino guidano i Radicali verso le elezioni regionali del 2010 cercando difficili alleanze. Nella domenica conclusiva, l´8º congresso del Pr elegge Mario Staderini, 36 anni, avvocato, segretario del partito e «saluta come un fatto nuovo e positivo l´intervento nella giornata iniziale del segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani, e auspica che esso segni una rottura della continuità, nella linea di ostilità e di negazione dell´identità e dell´autonomia radicale, linea che storicamente, da sempre, hanno seguito il Pci, il Pds, i Ds e ora il Pd». E´ una mano tesa armata: un Marco Pannella dai lunghi capelli bianchi ha alternato elogi al neosegretario Pd (unico leader arrivato a Chianciano) ad accuse. Per le elezioni europee, per la mancanza di impegni su un´alleanza con il Pr in tutte le regioni, per la candidatura «berlusconiana, sciagurata» di Massimo D´Alema a ministro degli Esteri dell´Unione europea, di aver accettato le bandiere di Di Pietro e aver «nascosto negli scantinati come una vergogna» quelle «laiche, libertarie e democratiche» del Pr. «Complimenti anche all´attuale segretario - ha detto il guru radicale - se dopo 30 anni di permanenza nel Parlamento europeo, oggi i Radicali ne sono esclusi. Il Pd ha usato in modo indecente i suoi strumenti, non solo contro di noi, ma per tradire anche il suo popolo e i suoi militanti».
Riferimento alla legge elettorale che ha reso carta straccia il 2,72% di voti radicali. «Al contempo, - dice il documento finale del congresso - i radicali denunciano la politica compromissoria con il governo Berlusconi che sta cercando di portare Massimo D´Alema alla carica di responsabile della politica estera europea». Al Pd il Pr non perdona la mancata candidatura di Emma Bonino, già apprezzata commissaria Ue ed eurodeputata. Pannella ha chiamato i dirigenti del Pd «piccoli parvenu, un gruppetto di aristocratici senza responsabilità», accusandoli di «cafonaggine» che mai «i loro predecessori del Pci hanno avuto».

Repubblica 16.11.09
Perché la tolleranza non basta più
di Zygmunt Bauman

Così nelle società globalizzate la convivenza tra culture differenti è diventata una caratteristica ineliminabile
Nel passato la presenza dello "straniero" era sempre un dato temporaneo
È necessario comprendere che le differenze sono una ricchezza inestimabile

Pubblichiamo una parte dell´intervento tenuto in videoconferenza da al convegno su "La qualità dell´integrazione scolastica" che si è tenuto a Rimini nei giorni scorsi
Vivere con gli stranieri, che è il fondamento demografico e sociale dell´esposizione alle differenze, a una qualche sorta di alterità, non è affatto nuova nella storia moderna. Ma l´idea era grosso modo che chiunque sia alieno, straniero, diverso da te perderà prima o poi il suo carattere di straniero. La politica dominante verso gli stranieri, per la maggior parte della storia moderna, è stata una politica di assimilazione: "Voi siete qui, siete fisicamente vicini; diventiamo quindi vicini anche spiritualmente, mentalmente, eticamente", che vuol dire accettare gli stessi valori universali dove però, per "universali", abbiamo sempre inteso i "nostri" valori. Quindi, con questa prospettiva dove l´essere stranieri era soltanto uno spiacevole fastidio temporaneo, non esisteva l´idea di dover imparare a vivere con il diverso.
Ora per la prima volta nella storia moderna siamo arrivati a renderci conto che le cose non stanno così. La modernità è sempre stata un periodo di migrazioni massive di persone da un continente all´altro, da un capo del mondo all´altro, da una cultura all´altra, e la migrazione è avvenuta per necessità nelle circostanze moderne in cui le persone cosiddette in soprannumero, persone per cui non si poteva trovare una sistemazione nella loro società d´origine, non c´era spazio per loro nel nuovo ordine, nel nuovo stato avanzato del progresso economico, erano costrette a viaggiare. Tuttavia c´è una differenza: le migrazioni contemporanee hanno un carattere diasporico, non assimilatorio. Le persone che vanno in un altro Paese non ci vanno con l´intenzione di diventare come la popolazione ospite. La popolazione ospite, nativa, non è particolarmente interessata ad assimilarle.
Ci sono circa 180 diaspore che convivono a Londra, 180 diverse lingue, culture, tradizioni, memorie collettive. E il problema è che se la politica di assimilazione non è più facilmente percorribile, come possiamo vivere giorno per giorno con gli stranieri? Come possiamo comunicare, cooperare, vivere in pace senza che noi perdiamo la nostra identità e che loro perdano la loro, quindi in una coabitazione che non porta all´uniformità? In altre parole la questione non è più quella di essere tolleranti verso le persone diverse. La tolleranza in realtà è molto spesso un altro volto della discriminazione. "Sono tollerante verso le tue abitudini e le tue usanze bizzarre. Sono una persona molto aperta, sono superiore a te. Capisco che il mio stile di vita è irricevibile per te. Tu non puoi raggiungere lo stesso livello. Quindi ti permetto di seguire il tuo stile di vita ma io non lo farei mai se fossi in te". La sfida con cui ci dobbiamo confrontare oggi consiste nel passare da questo atteggiamento di tolleranza a un livello più alto, cioè a un atteggiamento di solidarietà. Dobbiamo rassegnarci al fatto che ci sono degli stranieri ma anche imparare a ricavarne dei vantaggi. La maggior parte di noi vive in grandi città. Le città sono sempre piene di stranieri e la loro presenza è inquietante perché non sai come si comporterebbero se non li tenesse a distanza, destano sospetto, fanno orrore semplicemente perché sono delle entità estranee. Gli stranieri fanno paura. Ho chiamato questa paura tipica delle città contemporanee mixofobia, la fobia di mescolarsi con altre persone, perché là dove ci mescoliamo ad altre persone in un ambiente poco familiare tutto può succedere.
Ma la stessa condizione di mescolanza con gli stranieri provoca anche un altro atteggiamento. Ci sono due reazioni contraddittorie al fenomeno, entrambe osservabili nelle città contemporanee. La seconda è la mixofilia, la gioia di essere in un ambiente diverso e stimolante. Hannah Arendt fu probabilmente la prima pensatrice moderna che ripensando a Gotthold Ephraim Lessing, uno dei pionieri dell´Illuminismo tedesco, vide in lui una delle figure più lungimiranti fra i filosofi della prima modernità. Secondo Lessing non bisogna limitarsi ad accettare il fatto che la differenza sia destinata a perdurare ma bisogna effettivamente apprezzarla, riconoscere che in essa c´è un potenziale creativo senza precedenti. Il fatto di mettere insieme esperienze, ricordi, visioni del mondo molto diverse può portare a una prosperità di sviluppo culturale. È troppo presto per dire quali potranno essere gli sviluppi perché le due tendenze contrapposte, la mixofobia e la mixofilia, hanno più o meno uguale forza. A volte prevale l´una, a volte l´altra. La questione è incerta, siamo ancora nel mezzo di un processo che non sappiamo bene come andrà a finire.
Quel che stiamo facendo nelle vie delle città, nelle scuole primarie e secondarie, nei luoghi pubblici dove stiamo accanto ad altre persone è di estrema importanza non soltanto per il futuro delle città in cui vogliamo trascorrere il resto della nostra vita, o perlomeno in cui viviamo al momento, ma è di somma importanza per il futuro dell´umanità. Viviamo in un mondo globalizzato. La globalizzazione ha raggiunto un punto di non ritorno, non possiamo tornare indietro, siamo tutti interconnessi e interdipendenti. Ciò che avviene in luoghi remoti ha un impatto formidabile sulle prospettive di vita e sul futuro di ognuno di noi. Quindi è giunto il momento di fare ciò che Lessing predisse che avremmo dovuto fare, cioè imparare ad apprezzare le opportunità create dalle nostre differenze, anziché temere le conseguenze morbose del convivere con le differenze. Ci confrontiamo con le conseguenze della globalizzazione in ogni strada delle città in cui viviamo, in ogni scuola in cui insegniamo, ma dal canto opposto per la stessa ragione, le città, le scuole sono il laboratorio in cui sviluppiamo i modi per imparare, trarre beneficio, tesaurizzare e rallegrarci per l´appunto della natura diasporica della realtà contemporanea. Non sto dicendo che si tratti di un compito facile. Confrontarsi con una sfida che i nostri antenati non hanno mai raccolto, ci pone di fronte a un compito che mette a dura prova la nostra mente e le nostre emozioni e che dobbiamo riuscire ad affrontare nel suo dispiegarsi, in corso d´opera, senza disporre di soluzioni precostituite.

Corriere della Sera 16.11.09
Staderini eletto segretario
Radicali, chiuse le assise Appello di Pannella a Pd, verdi e socialisti

CHIANCIANO — ( m.ne.) Mario Staderini ( foto ) è stato eletto segretario dei radicali italiani, al termine del Congresso tenuto a Chianciano. Avvocato di 36 anni, Staderini è consigliere comunale a Roma.

Ha ottenuto 152 voti. L'altra candidata, Valeria Manieri, giovanissima dirigente politica romana di 25 anni sostenuta da Marco Pannella, ha ottenuto 44 preferenze. L’ultima giornata di Congresso ha assistito a un nuovo intervento di Pannella, il quale ha chiamato a raccolta Verdi, Socialisti e il Pd per creare un'alleanza «alternativa al regime». Purché il Pd di Bersani «cessi l'ostilità nei confronti dei radicali», rimproverata a Veltroni. Il leader radicale ne ha anche per Berlusconi: viaggia «verso la catastrofe sua e del Paese». Pannella gli rimprovera di sostenere la candidatura di D'Alema come ministro degli esteri europeo. «Un errore, e sbaglia anche il Pd che accetta». Lui preferiva Emma Bonino.

Corriere della Sera 16.11.09
Anteprima Le carte inedite di Claretta dal ’32 al ’38. Le confidenze del capo del fascismo: «Hitler è un sentimentalone». «Ho un folle desiderio di te»
Mussolini segreto nei diari della Petacci
di Antonio Carioti

Furibondo con ebrei e Pio XI, spavaldo nelle fantasie erotiche: le confessioni del Duce alla sua amante

Avete presente il Benito Mussolini descritto nei ricordi di seguaci e parenti, o quello che emerge dai suoi pretesi «diari» acquistati da Marcello Dell’Utri, di cui gli storici negano l’autenticità? Un uomo bonario, attaccato alla famiglia, diffidente verso i nazisti, ossequioso nei riguardi del Papa, generoso con gli ebrei e dubbioso sulle leggi razziali. Ebbene, dai diari della sua amante, Claretta Petacci, esce un ritratto opposto in tutto e per tutto: un Duce ferocemente antisemita, che rivendica il suo razzismo di lunga data, sprezzante verso la moglie, insofferente dei Savoia, ammaliato dalla potenza del Terzo Reich, furibondo con Pio XI per le sue parole in difesa degli ebrei.

Le eloquenti confidenze del Duce, trascritte dalla Petacci e qui anticipate, provengono dal volume Mussolini segreto (Rizzoli, pp. 521, € 21), in uscita dopodomani, nel quale Mauro Suttora ha raccolto una sintesi dei diari di Claretta dal 1932 al 1938. Per i primi anni si tratta di biglietti e brevi annotazioni, ma dall’ottobre 1937 il resoconto diventa fluviale. Naturalmente non tutto il contenuto dei diari può essere preso per oro colato. Sulla sincerità dei proclami di amore eterno, delle recriminazioni di Mussolini verso la moglie (afferma di essere stato tradito per lungo tempo) o di certe vanterie erotiche (sostiene che Maria José di Savoia, moglie del principe Umberto, avrebbe tentato di sedurlo) è lecito nutrire dubbi. Ma non si vede perché il Duce avrebbe dovuto alterare i suoi giudizi politici parlando con Claretta. Oggetto di un lungo contenzioso tra lo Stato e la famiglia Petacci, che non ha mai smesso di rivendicarli, ma ha visto respingere le sue richieste, i diari si trovano all’Archivio di Stato, «la cui lunga custodia di questi documenti — sottolinea Suttora — ne garantisce l’autenticità». Dopo il primo blocco, altre annate saranno desecretate «allo scadere dei settant’anni dalla loro compilazione». E secondo Ferdinando Petacci, nipote e oggi unico erede di Claretta, potrebbero contenere novità esplosive, tali da far ritenere che l’amante del Duce fosse in qualche modo collegata a Winston Churchill. Ma anche se l’ipotesi si rivelasse infondata, il contributo di queste carte alla conoscenza dell’uomo Mussolini resta indiscutibile.

5 gennaio 1938. Mussolini riceve l’amante a Pa­lazzo Venezia. Tenero e appassionato, ricorda la se­rata precedente. E lei riporta così le sue parole.

«Lo sai amore che ieri sera a teatro ti ho spoglia­ta tre volte almeno? Quando mi sono alzato in piedi dietro a mia moglie sentivo di prenderti. Avevo un folle desiderio di te. Mi dicevo: 'Il suo piccolo cor­po, la sua carne di cui io sono folle, domani sarà mia'. Ti vedevo, e quando sei salita su ti sei accorta che ti spogliavo. Ti guardavo, ti svestivo e ti deside­ravo come un folle. Dicevo: 'Il suo corpicino delizio­so è mio, è tutto mio. Io la prendo, vibra per me, è un tutt’uno con il mio corpo'. Vieni, ti adoro. Come puoi pensare che io, schiavo della tua carne e del tuo amore, pensi ad altre».

19 febbraio 1938 . Al monte Terminillo, Claretta amareggiata rinfaccia a Mussolini le scappatelle con altre donne. Lui si scusa.

«Sì amore, faccio male, tanto più che ti amo sem­pre di più, e sento che mi sei necessaria più di ogni cosa. Ti adoro e sono uno sciocco. Non ti devo far soffrire, anche perché questa tua sofferenza si river­sa su di me, perché io soffro di ciò che soffri» 17 luglio 1938. Mussolini e Claretta sono al ma­re, a Ostia. Lei riferisce un suo sfogo.

«Ah, questi italiani, io li conosco bene, li vedo nelle viscere. E so che sto sullo stomaco a molti. L’entusiasmo è un’apparenza. La verità è che sono stanchi di me, che li faccio marciare» 4 agosto 1938. I due amanti sono in barca. Venti giorni prima è uscito il Manifesto della razza.

«Io ero razzista dal ’21. Non so come possano pen­sare che imito Hitler, non era ancora nato. Mi fanno ridere. (...) Bisogna dare il senso della razza agli ita­liani, che non creino dei meticci, che non guastino ciò che c’è di bello in noi».

28 agosto 1938. Sono insieme sulla spiaggia. Mussolini legge, poi scatta.

«Ogni volta che ricevo il rapporto dell’Africa ho un dispiacere. Anche oggi cinque arrestati perché convivevano con le negre. (...) Ah! Questi schifosi d’italiani, distruggeranno in meno di sette anni un impero. Non hanno coscienza della razza».

1 ottobre 1938. Il Duce racconta all’amante i retroscena della conferenza di Monaco, nella quale Francia e Gran Bretagna hanno accettato le pretese di Hitler sulla Cecoslovacchia.

«Le accoglienze di Monaco sono state fantasti­che, e il Führer molto simpatico. Hitler è un senti­mentalone, in fondo. Quando mi ha veduto aveva le lagrime agli occhi. Mi vuole veramente bene, mol­to. (...) Ma ha degli scatti di una violenza che solo io riuscivo a frenare. Faceva faville, fremeva, si conte­neva con sforzo. Io invece, l’imperturbabile. (...) «Ormai le democrazie devono cedere il passo al­le dittature. Noi eravamo una forza sola, avevamo un significato, rappresentavamo un’idea e un popo­lo. Lui con la camicia bruna, io in camicia nera. Lo­ro così, umiliati e soli. Ti sarebbe piaciuto davvero, essere lì a vedere. (...) «La vittoria è ormai delle dittature. Questi regimi vecchio stile non vanno più, sono creatori di disor­dine. Uno solo deve essere al timone, e comandare. Oggi la Germania è la più grande potenza del mon­do. Sono ottanta milioni di uomini che bisogna pen­sarci, prima di attaccarli. (...) Dovevi vedere con che affetto, simpatia e devozione mi hanno accolto ovunque lungo la strada. Hanno compreso anche là che l’artefice della pace, l’unico che poteva far desi­stere Hitler da qualsiasi movimento, ero io. Lo smacco della politica rossa è insormontabile. No, è falso, non abbiamo mai mangiato insieme a Dala­dier e a Chamberlain. Sempre fra nazisti e fascisti, e mi sono trovato benissimo».

8 ottobre 1938. Mussolini è indignato con Pio XI, che ha dichiarato «spiritualmente siamo tutti semiti» e chiede di riconoscere la validità dei matri­moni religiosi misti tra ebrei e cattolici.

«Tu non sai il male che fa questo papa alla Chie­sa. Mai papa fu tanto nefasto alla religione come questo. Ci sono cattolici profondi che lo ripudiano. Ha perduto quasi tutto il mondo. La Germania com­pletamente. Non ha saputo tenerla, ha sbagliato in tutto. Oggi siamo gli unici, sono l’unico a sostenere questa religione che tende a spegnersi. E lui fa cose indegne. Come quella di dire che noi siamo simili ai semiti. Come, li abbiamo combattuti per secoli, li odiamo, e siamo come loro. Abbiamo lo stesso san­gue! Ah! Credi, è nefasto.

«Adesso sta facendo una campagna contraria per questa cosa dei matrimoni. Vorrei vedere che un italiano si sposasse con un negro. Abbiamo vedu­to che anche i matrimoni con i bianchi stranieri por­tano, in caso di guerra, alla disgregazione delle fa­miglie. Perché l’uno e l’altro coniuge si sentono in quell’attimo assolutamente per la propria Patria. Perché l’hanno nel sangue. Di qui naturalmente l’impossibilità d’accordo, e le famiglie a rotoli. Lui dia pure il permesso, io non darò mai il consenso. (...) Ha scontentato tutti i cattolici, fa discorsi cattivi e sciocchi. Quello dice: 'Compiangere gli ebrei', e dice: 'Io mi sento simile a loro'... È il colmo».

11 ottobre 1938. Al mare con Claretta, il Duce si scaglia contro gli ebrei.

«Questi schifosi di ebrei, bisogna che li distrug­ga tutti. Farò una strage come hanno fatto i turchi. Ho confinato 70 mila arabi, potrò confinare 50 mila ebrei. Farò un isolotto, li chiuderò tutti là dentro. (...) Sono carogne, nemici e vigliacchi. Non hanno un po’ di gratitudine, di riconoscenza, non una lette­ra di ringraziamento. La mia pietà era viltà, per lo­ro. Dicono che abbiamo bisogno di loro, dei loro denari, del loro aiuto, che se non potranno sposare le cristiane faranno cornuti i cristiani. Sono gente schifosa, mi pento di non aver pesato troppo la ma­no. Vedranno cosa saprà fare il pugno d’acciaio di Mussolini. (...) È l’ora che gli italiani sentano che non devono più essere sfruttati da questi rettili».

10 novembre 1938. Il governo approva il decreto legge sulla razza che entrerà in vigore una settima­na dopo. Benito ne parla a Claretta.

«Oggi abbiamo trattato la questione degli ebrei. Certamente sua Santità solleverà delle proteste, per­ché non riconosceremo i matrimoni misti. Se la Chiesa vorrà farne, faccia pure. Però noi, Stato, non li riconosceremo, e saranno come amanti. Di conse­guenza, nemmeno i figli. Tutti quelli che si sono fat­ti cattolici fino ad oggi, e quindi i figli, rimarranno come adesso. Dalla data stabilita in poi non si am­metteranno più. Diversamente si farebbero tutti cat­tolici pur di potersi sposare, e allora la questione della razza non avrebbe ragion d’essere. Questo il Papa non lo vuol capire, quindi faccia come crede».

16 novembre 1938. Nuovo sfogo contro Pio XI.

«Ah no! Qui il Vaticano vuole la rottura. Ed io romperò, se continuano così. Troncherò ogni rap­porto, torno indietro, distruggo il patto. Sono dei miserabili ipocriti. Ho proibito i matrimoni misti, e il papa mi chiede di far sposare un italiano con una negra. Solo perché questa è cattolica. Ah no! A co­sto di spaccare il muso a tutti».

domenica 15 novembre 2009

Repubblica 15.11.09
Accanimento terapeutico
di Alessandra Longo
Se siamo destinati a morire, «tanto vale morire comunisti». Non è un epistolario allegro quello dei militanti che scrivono sul blog di Paolo Ferrero. In vista del "No Berlusconi day" del 5 dicembre, il segretario di Rifondazione invita i suoi al dibattito sia sul sito del partito che nella sua casa online. Viene fuori il malessere della base (ore pessime anche per Sinistra e Libertà, oscurata in rete dalla componente socialista). Alessio provoca: «Il progetto di Rifondazione è fallito. Poniamo fine a questo accanimento terapeutico». Tiziana sintetizza e non c´è da stare allegri: «C´è chi sostiene che dobbiamo calarci le braghe per stare con gli altri (della sinistra-ndr) e chi preferisce morire per non stare con gli altri». Busta numero uno o busta numero due?

Corriere della Sera 15.11.09
Obama: «Una Cina forte è un bene per il mondo»
Il presidente americano: «Il Pacifico unisca» Pechino ordina l’arresto di decine di dissidenti
di Paolo Valentino

SINGAPORE — Il nuovo Im­pero di Mezzo non fa paura al­l’America. Gli Usa non si sento­no minacciati e «non cercano di contenere» l’ascesa cinese. Guardano con favore all’ambi­zione di Pechino di giocare un ruolo più importante nel mon­do interconnesso, dove il «pote­re non è più un gioco a somma zero» e «la crescita economica comporta una crescita delle re­sponsabilità ». Washington vuo­le una «relazione più profonda con la Cina», senza per questo indebolire, anzi rafforzando i rapporti con i tradizionali allea­ti asiatici, dal Giappone alla Co­rea del Sud.

Barack Obama è arrivato ieri sera a Singapore, dove parteci­pa al vertice dell’Apec, il forum per la cooperazione economica dell’Asia-Pacifico. Ma prima di volare verso gli Stretti, il presi­dente americano ha delineato la sua nuova architettura strategi­ca e diplomatica nell’area dove sempre più si giocano i destini degli Stati Uniti e del pianeta: «Ciò che succede qui influenza direttamente la vita a casa no­stra » ha detto nel discorso alla Suntory Hall di Tokio. Invocan­do ancora una volta la propria biografia, «la mia vita è parte di questa storia, sono nato alle Hawaii e cresciuto in Indone­sia », Obama ha rivendicato a sé il titolo di «primo presidente del Pacifico», proiettando il fu­turo dell’America sull’Oceano «che non la separa, ma la unisce all’Asia». E ha spiegato che il ri­lancio delle vecchie alleanze e la costruzione di quelle nuove an­dranno di pari passo con lo svi­luppo delle organizzazioni mul­tilaterali regionali: «I giorni del disimpegno degli Usa sono fini­ti ». Oggi Obama sarà il primo presidente americano a incon­trare tutti insieme i dieci leader dell’Asean, l’Associazione dei Paesi del Sud-Est asiatico. Nel disegnare gli scenari futuri, il ca­po della Casa Bianca ha mostra­to il volto di un Paese che vuole imparare dagli errori del passa­to, promettendo «una nuova strategia di crescita economica equilibrata » .
Per gli Usa, ciò significherà «spendere meno, risparmiare di più, riformare il sistema fi­nanziario, ridurre il debito»: «Una delle lezioni di questa re­cessione è di averci mostrato i limiti di una ripresa basata in primo luogo sul consumo ame­ricano e sulle esportazioni asia­tiche ». Parte integrante di que­sta strategia, ha detto Obama pur senza dare indicazioni con­crete, sarà concludere il Doha Round, «non sulla base di un’in­tesa qualunque, ma di un accor­do che apra i mercati e faccia prosperare liberamente il com­mercio mondiale » .
Sulla sicurezza nucleare nella regione, Obama è stato molto netto con la Corea del Nord, of­frendo a Pyongyang la prospetti­va di grandi opportunità econo­miche e l’integrazione nella co­munità internazionale, a condi­zione che rinunci al suo pro­gramma atomico e rispetti gli impegni presi: «Continueremo a mandare un messaggio chia­ro, non solo a parole ma anche con le nostre azioni». Più generi­co, il presidente è stato sul tema dei diritti umani. Pur dedicando­vi un lungo passaggio, il solo ri­ferimento concreto è stato alla dittatura di Myanmar, l’ex Bir­mania, i cui dirigenti saranno presenti oggi al vertice Asean. Obama ha chiesto la liberazione dei capi dell’opposizione demo­­cratica, «compreso il premio No­bel Aung San Suu Kyi».
Ma nel chiaro intento di non irritare i cinesi alla vigilia della visita a Shanghai e Pechino, Obama non ha menzionato di­rettamente il Tibet o il tratta­mento dei dissidenti politici in Cina, nonostante numerosi op­positori — come riferisce Hu­man Rights in China — siano stati arrestati in questi giorni dalle autorità di Pechino. «Non vacilleremo mai — ha detto an­cora il presidente americano — nel difendere i valori che ci stan­no a cuore e includono il rispet­to per la religione e le culture di tutti i popoli, poiché l’appoggio ai diritti e alla dignità umana fanno parte dell’America. Ma possiamo portare avanti queste discussioni in uno spirito di co­operazione e non di rancore».

Corriere della Sera 15.11.09
Il «No B day»
Manifestazione anti-Cavaliere Il simbolo sarà il colore viola

ROMA — Il tam-tam è partito dalla rete e ha già raccolto 250 mila fan: tutti contro Silvio il 5 dicembre. È il No B Day, la manifestazione nazionale lanciata su Facebook per chiedere le dimissioni del premier.
Nato come «apartitico», l’evento, il cui simbolo sarà il colore viola, è piombato nel dibattito politico e ora rischia di dividere le opposizioni.
Antonio Di Pietro, durante il corteo della Cgil, ha provocato il segretario del Pd: «Spero che il mio amico Bersani non sia l’unico che rimanga fuori. E spero che ricordi anche lui a Berlusconi che è ora che se ne vada a casa». Un appello alla piazza che ha innervosito i vertici del Pd. Filippo Penati critica i «toni sopra le righe» di Di Pietro contro il Pd, toni che rischiano di «favorire Berlusconi». E Di Pietro si affretta a chiarire: «Non ho avanzato una critica, ma una supplica. Serve un atto di forza verso il governo». Frena però Enrico Letta, numero due del Pd: «Ho dubbi sulle manifestazioni ad personam » .

Corriere della Sera 15.11.09
Il congresso radicale Bonino: la distribuzione della pillola abortiva Ru486 è una nostra vittoria
E Pannella «incorona» Bersani: è simpaticissimo. Alleanza con lui o niente
Secondo Pannella «Berlusconi è il prodotto di un male assoluto, la partitocrazia»
di Marco Nese

CHIANCIANO — «La distri­buzione della pillola abortiva RU486 è una nostra vittoria», proclama Emma Bonino. E Marco Pannella ostenta un al­tro merito del suo gruppo: «Alle elezioni che portarono Prodi al governo abbiamo strappato 400 mila voti alla destra».
Al Congresso in corso a Chianciano va in onda l'orgo­glio radicale. Una fierezza che fa gridare al vecchio leader Pannella: «Voglio una grande alleanza con il Pd o niente». Un'alleanza per le prossime elezioni regionali, «un appun­tamento storico che non pos­siamo mancare ». Le condizio­ni per una collaborazione for­te sembrano promettenti. Il neosegretario del Pd Pierluigi Bersani è venuto qui l'altra se­ra, in apertura dei lavori, e le sue parole hanno rivelato a Pannella un atteggiamento del tutto diverso rispetto a quelle dell'ex segretario Fran­ceschini.
Al «simpaticissimo Bersa­ni », Pannella annuncia che è «divenuto un eroe perché ha pronunciato la parola radica­li ». Cosa che mai si erano de­gnati di fare Veltroni, France­schini, Fassino, «il gruppetto del loft, i cui comportamenti erano inauditi». Nell'alleanza dovrebbero confluire i Verdi («assieme a noi vogliamo far­gli riprendere fiducia») e an­che i socialisti, impresa più difficile perché Bobo Craxi non è apparso così ottimista riguardo alla possibilità di un’intesa col Pd.
Di Berlusconi Pannella dice che è «il prodotto di quel ma­le assoluto», la partitocrazia, manifestatasi fin dall'inizio della prima Repubblica. E og­gi domina un «tandem, l'im­presa comune Berlusco­ni- D’Alema».
Memore della campagna dei radicali per l'abolizione della pena di morte, l'ex presi­dente della Repubblica Fran­cesco Cossiga, ha fatto perve­nire a Pannella un messaggio per incitarlo a mobilitarsi allo scopo di evitare l'esecuzione capitale dei 5 terroristi di al Qaeda detenuti a Guantana­mo che stanno per essere pro­cessati a New York.
Alla Bonino, Bersani è pia­ciuto un po' meno perché ha detto che «il crocefisso non dà fastidio proprio a nessu­no ». Allora dev'essere chiaro che i radicali sono pronti al dialogo col Pd purché sia con­divisa la «battaglia gandhiana sui temi della libertà democra­tica e della cultura liberale»'.
Renata Polverini, segreta­rio generale dell'Ugl, candida­ta alla presidenza della regio­ne Lazio, è stata accolta da Pannella con un: «Ti hanno già fregata?». E lei ha replica­to: «Ci stanno provando». Poi si è presa gli applausi dei radi­cali quando ha auspicato la de­penalizzazione dei reati per sfoltire l'eccessivo numero dei detenuti nelle carceri.

venerdì 13 novembre 2009

l’Unità 13.11.09
Quando a impazzire è lo psichiatra
risponde Luigi Cancrini

La strage avvenuta in una delle più grandi basi militari del Texas è stata perpetrata da uno psichiatra dell’Esercito. È noto che all’interno dell’esercito USA circolano con estrema facilità farmaci psicotropi som- ministrati con superficialità al personale, militare e non. Questi prodot- ti hanno effetti collaterali con comportamenti suicidi ed omicidi.
RISPOSTA L’uso indiscriminato di farmaci antidepressivi è estre- mamente pericoloso quando la depressione ha una origine post trauma- tica. L’unico modo serio di affrontare terapeuticamente questi disturbi è quello legato alla elaborazione del lutto. Spingere la persona ad uscire dal guscio in cui tenta di chiudersi con farmaci stimolanti senza tenerne conto porta spesso allo sviluppo di una inquietudine sempre più difficile da capire e da controllare. Si spiega anche così, in letteratura e nella clinica il numero anomalo di suicidi e di atti violenti (soprattutto in ambito familiare ma anche, a volte, fuori di questo) dei reduci da un luogo di guerra vissuto come umiliante e ingiusto da quelli che lo hanno conosciuto senza essere difesi da un minimo di fanatismo paranoico (o patriottico). Vittima di un processo in cui gli affari dell’industria farma- ceutica si intrecciano con quelli dei militari e con l’ignoranza di chi lo ha formato, lo psichiatra che spara all’impazzata contro la gente cui non sa dare aiuto è un simbolo perfetto del vicolo cieco in cui la psichiatria si sta rinchiudendo nel tempo (depressivo) degli antidepressivi.

Repubblica 13.11.09
Passione e politica. Quel testo tirato sul muro
"Questa roba è immorale" e con la rabbia di Anna la politica diventa emotiva
di Filippo Ceccarelli

La scelta della sottosegretaria: forfait alla Camera per andare in tv

Giacca bianca, rosa nera, orecchini a mosaico. Si perdoni qui l´esordio frivolo. Ma chi ha assistito alla scena in cui la capogruppo pd ha sbattuto il testo del ddl Mills sullo stipite della porta della Sala Maccari, al Senato, non manca di ricordare che anche ieri la Finocchiaro era molto elegante.
Certo anche il luogo, illustrato sulle pareti con i più virtuosi esempi della storia della Roma repubblicana, infervorate orazioni, vegliardi ciechi che si fanno condurre in Campidoglio per respingere le lusinghe del nemico, oppure senatori che rimangono immobili come statue di fronte alle beffe dei barbari, ecco, di sicuro pure la scenografia ha contribuito a intensificare l´impatto visivo del numero della capogruppo, di quella sua minacciosa e simbolica sventola al provvedimento, tanto che i giornalisti ne hanno dato immediato conto, vedi l´Ansa: «Giustizia: Finocchiaro sbatte testo ddl Ghedini contro porta».
Quel che poi accadrà effettivamente a Palazzo Madama è, come sempre, un altro conto. Ma nel frattempo il gesto arriva ad esprimere con qualche supplemento d´energia ciò che le parole, evidentemente, non riescono più tanto a fissare, tantomeno a ribaltare la tradizionale impressione secondo cui «le chiacchiere - come si dice a Roma con bimillenaria esperienza di vita parlamentare - stanno a zero». Ecco, adesso, per oggi, magari, un po´ meno.
Anna Finocchiaro, che pure fino a ieri aveva fama di compostezza (i politici preferiscono «sobrietà»), ha fatto dunque qualcosa di più che denunciare il centrodestra di «ingiustizia» e «immoralità». Ha suggerito modifiche praticabili per accorciare le lentezze del processo penale. Ma soprattutto è sembrata restituire all´opposizione il valore di un moto spontaneo dell´anima, un gesto di stizza o di rabbia comunque venuto fuori senza pregiudiziale calcolo, né preventivato effetto, anche se davanti a sé la presidente dei senatori aveva pur sempre una nutrita platea di giornalisti - e ormai i politici hanno imparato bene di che cosa l´informazione va alla ricerca in questo tempo di fragilità emotive e risonanze spettacolari.
Con obiettiva malagrazia il senatore Boscetto, del Pdl, ha ieri parlato di «scena isterica». Con altrettanta malizia, non troppo lontano dallo schieramento del Pd, si faceva notare che martedì prossimo si voteranno i capigruppo sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, la Finocchiaro dovrebbe essere riconfermata, ma stai a vedere: magari la furiosa passione potrebbe tornarle utile, tanto più se modulata con criteri di intermittenza e retrattile spettacolarità.
E tuttavia, al netto dei sospetti e delle cattiverie: il fatto stesso che la naturalezza e l´impulsività facciano notizia dice parecchio sulle modalità espressive dell´odierna vita pubblica e sulle sue vaste, continue e crescenti contraffazioni. Fra collera e teatro, sentimento ed enfasi il confine è labile, è mobile e talvolta è pure fruttuoso. Sempre più la politica e il potere vivono di gesti.
Vero è che la casistica degli sbocchi d´ira è già abbastanza nutrita. Senza riandare a Craxi, che una volta pare abbia sollevato il tavolo del Consiglio dei ministri, né dilungarsi sugli orizzonti espressionistici del «santanchismo», c´è da rubricare un D´Alema che alla fine della Bicamerale spinge via dal suo scranno un mezzo chilo di dossier; c´è Rosy Bindi, ministro della Sanità, che a palazzo Chigi sbatte le sue carte sul banco mettendosi a piangere; c´è la Prestigiacomo che, insultata sulle quote rosa, spedisce in volo decine di fogli al Senato; c´è il presidente Rai Petruccioli che lancia in aria un quotidiano con un articolo sgradito. E forse c´è addirittura Berlusconi che in un comizio elettorale strappa il programma del centrosinistra. Forse perché lui di solito i gesti spontanei se li prepara; o gli vengono tali anche se non lo sono. Magari si potrebbe chiedere una parola risolutiva agli austeri, impassibili senatores della Sala Maccari.

Repubblica 13.11.09
Tensione a Bari, la Digeronimo rifiuta di lavorare in pool
Fuga di notizie su Vendola scontro tra procuratore e la pm
di Lello Parise

BARI - Il sostituto procuratore Desirèe Digeronimo rifiuta di lavorare in pool a proposito delle indagini legate alla malasanità. La «sistematica fuga di notizie» di cui l´altro giorno aveva preso atto «con rammarico» il procuratore di Bari Antonio Laudati, fa salire la tensione a Palazzo di giustizia. Ieri il capo dell´Ufficio del pm ha un faccia a faccia con la Digeronimo, destinataria della "annotazione" dei carabinieri che tirava in ballo il governatore Nichi Vendola e che mercoledì era stata pubblicata da Libero. Qualche ora più tardi, lo stesso Laudati faceva sapere che nei confronti di Vendola «attualmente non c´è nessun procedimento penale» e annunciava «conseguenze sotto il profilo organizzativo e processuale» dopo l´apertura dell´ennesimo buco nella rete del segreto istruttorio. Mentre alcune fonti giudiziarie rivelano che la Digeronimo non voleva essere affiancata da altri magistrati per mandare avanti l´inchiesta. Questo per scongiurare proprio fughe di notizie.
Nel frattempo Vendola assicura di «essere uscito rafforzato» da questa storia. Per i militari dell´Arma avrebbe cercato di «imporre le nomine di direttori sanitari e amministrativi, nonché di primari» all´interno delle Asl pugliesi. Ma Laudati aveva bagnato le polveri dei sospetti: «Vendola non è indagato». Ce n´è quanto basta tuttavia perché nell´arcipelago del centrosinistra ci sia chi agiti il fantasma del complotto. L´assessore comunista Michele Losappio parla senza mezzi termini di «pezzi dei servizi segreti che lavorano per avvelenare il clima politico». La tesi è che sarebbe in atto il tentativo di «condizionare la scelta» del candidato progressista alla presidenza della Regione per le elezioni del 2010. In pole position c´è Vendola, che domenica celebrerà se stesso nel corso di una convention alla Fiera del Levante. Ma che rischiava di fare flop se «lo stile della procura» non avesse disinnescato «il siluro». Racconta Vendola: «La montagna ha partorito il topolino. Quelli che volevano trascinarmi in qualche gorgo di sangue sono stati i protagonisti di una volgare diffamazione, orchestrata in un poligono di tiro chiamato Libero». Per oggi e domani, intanto, si dà appuntamento a Bari lo stato maggiore dell´Udc, a cui il Pd vorrebbe allargare la maggioranza. Ma i Casini boys reclamano che Vendola si faccia da parte. Spiega il coordinatore del partito, Angelo Sanza: «L´unico che sarebbe in grado di convincerlo a fare un passo indietro, è Massimo D´Alema».

Repubblica 13.11.09
La Cei: "Crocifisso, l'Europa ci ripensi"
Il cardinale Bagnasco all'assemblea di Assisi. Incontro Fini-Bertone: le leggi difendano la vita
di Orazio La Rocca

I cattolici possono stare in qualunque formazione politica se liberi di proclamare i propri valori
Positive le primarie ogni forma di partecipazione democratica va favorita
Contrari a quella di Strasburgo, un pronunciamento incomprensibile e surreale

ASSISI - «I cattolici possono stare in qualsiasi formazione politica, ma con la libertà di proclamare coerentemente i loro valori». L´autorevole placet - quasi un via libera per quei politici che dicono di avere la fede cattolica - arriva, un po´ a sorpresa, dal cardinale presidente dei vescovi, Angelo Bagnasco. Il porporato - alla conferenza stampa finale dell´Assemblea Cei tenuta ieri ad Assisi - tocca anche altre importanti questioni socio-politiche come le recenti elezioni primarie del Pd («importante evento di democrazia»); e la sentenza di Strasburgo contro il crocifisso nelle scuole, parlando a questo proposito di «pronunciamento surreale» in merito al quale invita l´Europa a «fare una riflessione sul merito e sul metodo di un provvedimento che va contro la cultura e l´identità europea». Concetti rilanciati, in serata, anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini e dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, alla commemorazione a Montecitorio del settimo anniversario della visita di papa Wojtyla, ricordato dal docufilm Credo di Alberto Michelini. Bertone ha anche avvertito che le leggi dello Stato «promuovano la difesa dei diritti fondamentali della persona umana sia essa embrionale o morente»; mentre per Fini «l´identità culturale dell´Italia non può fare a meno della presenza della Chiesa e del cristianesimo».
«Non è compito della Chiesa dare giudizi politici o fare considerazioni partitiche che non le competono», risponde Bagnasco a chi gli chiede un parere sul nuovo partito dell´ex Pd Francesco Rutelli, una formazione che punta anche ai cattolici. Ma subito dopo precisa: «A noi, come Chiesa, interessa solo che i cattolici, là dove sono, possano esprimere liberamente con coerenza le loro convinzioni ed i loro valori. I cattolici possono stare ovunque, operando però in coscienza». Positivo il giudizio sulle primarie del Pd perché, spiega, «la gente ha bisogno di partecipare, come dimostrano i circa 3 milioni di persone che vi han preso parte». «Ogni forma di partecipazione democratica - per il cardinale - merita di essere favorita, perché sono un ottimo deterrente alla deriva di un clima urlato che non favorisce nessuno». Bagnasco rilancia pure l´invito a politici e mass media, come già aveva fatto lunedì all´apertura dell´Assemblea, ad abbassare «i toni delle polemiche per il bene dell´Italia». Torna, inoltre, a bocciare la ventilata ora islamica nelle scuole pubbliche, ed a sottolineare la «validità» dell´insegnamento dell´ora di religione, «i cui docenti devono essere però selezionati dalla Chiesa per una forma di serietà e di garanzia dottrinale». Tra le note dolenti, Bagnasco si mostra perplesso per la Finanziaria che ha abolito il 5 per mille («Un sistema di sostentamento utile per tante opere di volontariato»), e dà voce anche «alle preoccupazioni dei vescovi abruzzesi per le lentezze del dopo terremoto». «La situazione è difficile, qualcosa si sta facendo, ma - puntualizza - in Abruzzo occorre fare di più, specialmente per le chiese, che sono luoghi di fede, di cultura e di aggregazione».

Repubblica 13.11.09
L’addio a Enke
La depressione non è più invincibile nuovi farmaci e hi-tech ci tirano su
Efficaci stimolatori, diagnosi precoce e terapie avanzate "Ma la pillola della felicità non esiste"
di Vera Schiavazzi

Diagnosi precoce e appropriata. Stimolazione magnetica intracranica. Stimolatori elettrici per il nervo vago. Terapia della luce. Privazione del sonno. Se i farmaci - ormai efficaci nel 70 per cento delle depressioni "severe" - non funzionano, ci sono altre terapie diverse da quelle psicologiche per cercare di proteggere i pazienti da se stessi. «Quando ho letto che Robert Enke, il portiere tedesco suicida, era assistito da uno psicologo, ho avuto un brivido, pur non potendo sapere se era proprio così», confessa Laura Bellodi, una delle psichiatre italiane più note tra chi si occupa di ansia, depressione, disturbi ossessivi. E il suicidio del portiere tedesco diventa così l´occasione per un nuovo dibattito tra medici sulle armi delle quali la scienza dispone oggi per salvare chi, una o più volte durante la sua vita, incontra la depressione.
Due i problemi principali con i quali gli psichiatri, in prima linea nella cura dei pazienti più gravi, si scontrano ogni giorno nei servizi pubblici (dove oggi è in cura l´1,5% della popolazione italiana) o negli studi privati. Il primo, paradossalmente, è rappresentato proprio da farmaci sempre più efficaci, dall´antico litio, di nuovo di moda, ai più recenti stabilizzatori dell´umore, nati per combattere l´epilessia e ora utilizzati con efficacia soprattutto nella terapia del disturbo bipolare (pazienti nei quali ai momenti di depressione se ne alternano altri che assomigliano all´euforia). «Chi li utilizza, proprio come chi deve curare la propria ipertensione o altri disturbi cronici deve continuare a farlo spesso, per periodi molto lunghi - spiega Filippo Bogetto, direttore della clinica di Psichiatria universitaria delle Molinette di Torino dove si sperimenta lo stimolatore per i pazienti che non rispondono ai farmaci - La sfida è proprio lì: convincere il paziente che si sente meglio a non sospendere la cura». Conferma Bellodi: «L´assunzione regolare dei farmaci evita a molti pazienti le ricadute e rappresenta un´efficace terapia di mantenimento. Chi continua a prenderli seguendo le prescrizioni si risparmia uno o più episodi che talora, purtroppo, possono essere anche molto gravi». E chi non risponde ai farmaci? «La garanzia totale non esiste. Oggi però disponiamo di molte risposte che, anche senza evocare terapie da noi assai impopolari come l´elettrochoc, possono essere utili: stimolazione magnetica, luce, privazione del sonno». E Vittorio Lingiardi, docente alla Sapienza di Roma, psichiatra e psicoterapeuta, aggiunge: «La prescrizione sta sempre all´interno di una relazione terapeutica. Non possediamo ancora la pillola della felicità, farmaci e psicoterapia devono andare insieme». E dall´Australia arriva un´altra notizia: per il Commonwealth Scientific Research Organization chi si sottopone a una dieta (e non è già colpito da una depressione maggiore) potrebbe avere un calo d´umore, a causa del taglio sui carboidrati come pasta e pane. Forse è per questo che gli italiani restano, almeno in questo campo, in fondo alle classifiche negative.

Repubblica 13.11.09
una cultura che offende le donne
di Chiara Saraceno

Qual è la differenza tra la cultura (cultura?) del presidente del Consiglio che parla delle donne come piacevoli oggetti d´arredamento e di consumo, salvo insultarle quando non rientrano nel ruolo e quella del disegnatore di fumetti che per criticare una ministra che non gli piace utilizza le allusioni sessuali più grevi e in generale la squalifica come essere umano? In entrambi i casi siamo di fronte ad una cultura maschile che non riesce a fare i conti con la presenza delle donne sulla scena pubblica non solo come oggetti del desiderio (in assenza del quale sembra possa esserci solo il disgusto), oppure come madri da idealizzare come nutrici sacrificali, ma come esseri umani alla pari. L´unica differenza sta, ovviamente, nel diverso potere dei protagonisti e quindi nelle diverse conseguenze sul piano pubblico dei loro gusti e disgusti. Ma in entrambi i casi essi evocano, e solleticano, il profondo disprezzo che una certa cultura maschile, ahimè ancora troppo diffusa in Italia, ha per le donne. Possono, infatti, contare su una diffusa complicità tra chi li ascolta e legge, appena temperata dalla cauta disapprovazione di chi teme (anche tra le donne) di apparire poco evoluto, o poco spiritoso.
Senza che ci si renda conto che questo maschilismo volgare e senza freni si alimenta dello stesso disprezzo di cui sono oggetto tutti i diversi da sé, specie se in posizione di debolezza sociale: donne, ma anche immigrati, omosessuali, diversamente colorati, diversamente religiosi e così via. È lo stesso disprezzo privo di freni inibitori, che parla alla pancia invece che alla testa delle persone, che ha fatto dire all´ineffabile sottosegretario Giovanardi che se il povero Cucchi è stato pestato a morte mentre era in custodia dagli agenti di polizia, se la era cercata. Opinione che Giovanardi non ha modificato neppure con le scuse successivamente presentate per aver offeso la «sensibilità della famiglia». Nessuna scusa per aver dichiarato, nella sua veste di rappresentante politico e di governo, che nel nostro paese chi non ha comportamenti standard, chi esce anche poco dal seminato, chi è vulnerabile, merita di essere aggredito ed anche, di fatto, di essere condannato a morte. È la stessa logica, per altro, che legittima lo stupro della donna che è fuori casa da sola di notte, o che veste in modo «provocante». Siamo tutti avvisati (avvisate). Del resto anche il ministro la Russa ha evocato una specie di giudizio di Dio («possono morire») per i giudici della corte di Strasburgo che hanno giudicata illegittima l´esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane perché lesiva della sensibilità dei diversamente (dai cattolici) credenti e non credenti.
Nemico e diverso sono accumunati in espressioni di odio e disprezzo che farebbe specie sentire in bocca a chiunque. Ma che in bocca ai politici evocano un modello di società divisa tra noi e loro, amici e nemici, in cui tutto è legittimo per difendere i propri e per attaccare «gli altri».
A tutti i livelli nel nostro paese si stanno legittimando comportamenti di aggressiva e violenta inciviltà che dovrebbero preoccupare chiunque abbia un minimo senso di responsabilità e in primo luogo i nostri politici – governanti e all´opposizione che siano. Anni fa era di moda ironizzare con aria di sufficienza sulla ossessione statunitense per il linguaggio e i comportamenti «politicamente corretti», ovvero attenti a non suggerire atteggiamenti e valutazioni discriminatorie e offensive verso gruppi sociali storicamente e culturalmente svantaggiati. È vero che un linguaggio sorvegliato non è sufficiente a cancellare le discriminazioni effettive e neppure le opinioni e i pensieri razzisti o sessisti. Ma la situazione italiana ci ricorda che la realtà sociale è anche costruita dal linguaggio. Nominare le cose e le persone in un modo piuttosto che in un altro contribuisce a collocarle in un modo piuttosto che in un altro nello spazio delle relazioni sociali. E può esserci un cortocircuito drammatico tra pesantezza delle parole e gravità dei fatti. Non è sempre vero che tra il dire e il fare c´è di mezzo il mare.

Corriere della Sera 13.11.09
Disonorate società
Sistema pubblico e alleati camorristi
di Gian Antonio Stella

C’è un altro Pae­se al mondo dove il siste­ma pubblico si prende come soci «Pan­zone », «Capagrossa» e «Gi­gino ‘o drink»? Il fascicolo dell’inchiesta su Nicola Co­sentino, riassunto ieri da Marco Imarisio, toglie il fia­to. E fa venire in mente, forse per quei nomi che sembrano imparentati con Macchia Nera e Gambadile­gno, il modo in cui furono dipinte qualche anno fa, quando dilagarono da Vipi­teno a Capo Passero, le so­cietà miste. Ricordate? Pa­reva fossero dotate della bacchetta magica della fa­ta Smemorina capace di trasformare la zucca di Ce­nerentola in una carrozza e i topolini in cavalli. For­mula magica: la forza del sistema pubblico più l’effi­cienza imprenditoriale del privato. Come sia finita si è visto: i ratti si sono man­giati spesso la bacchetta, la carrozza e anche la zuc­ca.

Il caso della «Eco4», l’azienda mista in cui tutti i cittadini italiani hanno messo i soldi senza imma­ginare che fosse, per usare le parole del gip, una «pu­ra espressione della crimi­nalità organizzata» che se ne infischiava dei rifiuti e della realizzazione di un termovalorizzatore ma ave­va come unico obiettivo una montagna di assunzio­ni che, raccontò l’«impren­ditore » Michele Orsi pri­ma di essere assassinato, erano per il 70% «inutili» e «motivate per lo più da ra­gioni politico-elettorali», non è purtroppo un’ecce­zione.

Anzi. Nel Lazio è sotto proces­so una società mista, la «Aser», che con l’aiuto di sindaci e amministratori era riuscita a ottenere ad Aprilia e in altri comuni (quelli che dicono di non vedere i soldi da anni sa­rebbero 128, quelli coinvol­ti 400) un accordo che pre­vedeva non solo una per­centuale del 30% sui tributi riscossi (quella precedente del Monte dei Paschi e quella attuale di Equitalia sono intorno all’1,5%) ma che la quota del socio pri­vato, su quel 30%, fosse del 70%. In Sicilia i tribunali so­no alle prese col caso di «Messinambiente», in cui il comune aveva il 51% ma riconosceva al partner pri­vato, la chiacchierata «Alte­coen » di Enna, il 118% (ave­te letto bene: il centodiciot­to) degli incassi. Un affare sconcertante. Sul quale l’al­lora procuratore Luigi Cro­ce disse in Parlamento che «tanto per l’appalto quan­to per la costituzione della società mista vi fu certa­mente un’influenza della criminalità» e che la «Alte­coen » era arrivata perché spinta «dal boss Nitto San­tapaola ». Sono solo due ca­si. Ma potremmo andare avanti.

Sia chiaro: alcuni proble­mi, quale l’ingordigia dei partiti che si servono delle società miste per assume­re gente senza concorso o piazzare trombati e reggi­coda, sono generali. Vedi il caso dell’autostrada Pa­dova- Venezia: un consiglie­re d’amministrazione ogni due chilometri e mezzo. C’è tuttavia una specificità meridionale che dovrebbe allarmare soprattutto chi ha a cuore il Mezzogiorno. Sono anni, infatti, che la magistratura, le inchieste giornalistiche, i rapporti come quello di Sos Impre­sa segnalano una progres­siva penetrazione della ma­la economia in tutto il Pae­se ma in particolare nel Sud. È una questione non solo morale. Ma economi­ca, se è vero che dall’este­ro, anche prima della gran­de crisi, la volontà di inve­stire era così bassa che se­condo il Rapporto Svimez «le regioni del Mezzogior­no hanno ricevuto nel 2006 appena lo 0,66% degli investimenti esteri entrati in Italia». Forse non voglio­no come socio, loro, «Gigi­no ‘o drink»…

Corriere della Sera 13.11.09
L’anniversario I dubbi del «manifesto» e di Diliberto
La Rossanda, i «nemici» dell’89: i cocci del muro hanno colpito noi
di Fabrizio Roncone

Rossana Rossanda ieri ha espresso pubblicamente il suo dissenso rispetto ai festeggiamenti per la caduta del muro di Berlino: «Noi su quell’utopia ambiziosa eravamo nati».
Rossanda poi avverte: «La sinistra è a pezzi e noi non stiamo meglio. Ho sperato che le cose ci avrebbero fatto crescere con calma e pazienza. Il 10 novembre mi sono finite tutte e due».

ROMA — Muro di Berlino: nel dibat­tito dell’anniversario irrompe Rossana Rossanda, intellettuale comunista, ex partigiana, intelligenza rara, donna ri­gorosa, colta, a volte distante; tra le fondatrici del quotidiano il manifesto.

E proprio sul suo giornale, ieri, di spal­la, ecco un editoriale dal titolo elo­quente: «L’89. Il mio dissenso».

È un articolo lungo e profondo, co­me sempre sono i suoi scritti. Qui, per brevità, solo l’incipit (vi coglierete su­bito un tono gonfio di amarezza).

«Non è un incidente se il manifesto, che si definisce ancora 'quotidiano co­munista', ha elegantemente glissato sul ventesimo anniversario del 1989: non per distrazione, ci strillano da vent’anni che la distruzione del muro di Berlino segnava la fine del comuni­smo, 'utopia criminale'. Noi su quella utopia ambiziosa eravamo nati, ed era­vamo stati i primi a denunciare nella sinistra che con essa avevano chiuso da un pezzo i 'socialismi reali'. Li de­nunciavamo nell’avversione del Pci... » .

La Rossanda sembra rivolgersi diret­tamente ai compagni del suo giornale. Che, sull’anniversario della caduta del Muro, non hanno finora svolto rifles­sioni. «La sinistra è a pezzi, e noi non stiamo meglio. Né come finanze, né come peso nell’opinione, né fra noi».

Insomma il manifesto non ha fino­ra affrontato come si deve una vicen­da storica politicamente molto vicina, come invece avrebbe potuto, e — so­stiene la Rossanda — dovuto. Un silen­zio che diventa evento.

Valentino Parlato, che del manife­sto è direttore responsabile oltreché cofondatore, suggerisce di non cedere allo stupore. «Guarda, ti dico: l’anni­versario del Muro non è stato affronta­to per un motivo pratico... sì, la colpa è tutta del disordine in cui vive questo giornale, un disordine organizzativo, ancorché, diciamo così, economi­co... ». Nessun malcelato imbarazzo? «Ma no... Niente di tutto ciò. Solo, di­rei, una riflessione: e cioè che i cocci del muro sono caduti provocando ber­noccoli su tutte le socialdemocrazie eu­ropee e anche su chi, come noi del ma­nifesto , eravamo nati proprio polemiz­zando contro il socialismo reale...».

I cocci. Ora, a ripensarci, Oliviero Di­liberto, segretario del Pdci — mentre entra a un convegno organizzato per ragionare sulla caduta di un altro mu­ro, quello della Bolognina, dove il Pci cessò di esistere — ecco ora Diliberto dice che il primo coccio colpì diritto proprio il Partito comunista italiano. «La caduta del Muro sembrò rendere inevitabile la fine di un partito che nulla aveva invece a che vedere con la realtà sovietica». Que­sto fu, spiega, il primo guaio. «Poi, vede, io non rimpiango i muri, quelli sono oggetti sempre ter­ribili: ma mi sarà possibi­le dire, spero, che con il crollo dei due blocchi e la fine dell’Unione Sovie­tica, a rimetterci è stata non solo la pace nel mon­do, ma anche e soprattut­to la forza delle socialdemocrazie euro­pee che, appunto, dall’Unione Sovieti­ca traevano forza...».

Duro, netto, definitivo, il commen­to a queste parole del professor Biagio De Giovanni, filosofo napoletano ed ex comunista di osservanza «migliori­sta ». «Ma no, non è vero che il Pci non avesse nulla a che vedere con la storia del socialismo reale... certo era un par­tito comunista atipico, con una classe dirigente aristocratica, ma il Pci, que­sto va ripetuto ancora in questi giorni di anniversario, aderiva completamen­te, sia pure con qualche distinguo in­tellettuale, al destino dell’Urss...».

Affaritaliani.it 13.11.09
Riccardo Lombardi? Un grande
Rendere il giusto riconoscimento a Riccardo Lombardi è da anni un rebus: anche oggi nel venticinquesimo della sua morte, il suo nome circola per poche ore, in qualche sala con addetti ai lavori e poco pubblico e lontano dalle Istituzioni della Repubblica che contribuì a costruire!
di Carlo Patrignani

Rendere il giusto riconoscimento a Riccardo Lombardi è da anni un rebus: anche oggi nel venticinquesimo della sua morte, il suo nome circola per poche ore, in qualche sala con addetti ai lavori e poco pubblico e lontano dalle Istituzioni della Repubblica che contribuì a costruire! Non deve stare sulla scena oltre il minimo indispensabile: emergerebbe la povertà del ceto politico che ci comanda, rispetto a chi intese la 'politica' non come corsa alla poltrona, alla carriera, all'affare, ma un fare per gli altri, la 'povera gente', il mondo del lavoro. Con un chiaro obiettivo: realizzare una societa' socialista di 'liberi ed uguali', in alternativa al modello del capitalismo che identificava "nei gruppi parassitari e nelle rendite in mano ai nani". Onestà, coerenza e rigore morale sono state le qualità su cui ha forgiato progetti (l'alternativa di sinistra), strumenti (le riforme di struttura) e elaborazioni teoriche (il riformismo rivoluzionario) per la trasformazione della societa' in senso socialista, tenendo insieme liberta' uguaglianza giustizia sociale. La sua lezione politica ed umana è attualissima: onestà, coerenza e rigore sono qualità che valgono in ogni epoca. Quanti del ceto politico possono rispondere alla domanda 'Ha mai pensato di avere più soldi?', come fece Riccardo "Non saprei che cosa farne. Non ho neanche una casa. Mi basta comperare libri"? Quanti possono dirsi immuni da segnalazioni, raccomandazioni, tangenti? Si è detto e si dice ancora che fu un presbite, un intellettuale utopico e visionario. Eppure tante cose vide per tempo, due su tutte: "Non credo poi che la sinistra abbia il monopolio dell'onestà, della correttezza!", disse nel 1976 respingendo l'idea di 'governo degli onesti' e nel suo ultimo intervento al Cc del 30 giugno 1984 "un Psi così non ha motivo di esistere". Tangentopoli cancellò quel partito di 'ministri socialisti' e non come voleva di 'socialisti ministri'.

giovedì 12 novembre 2009

Corriere della Sera 12.11.09
Appalti e nomine L’indagine di Bari punta a Vendola
Sanità, nell’inchiesta anche un pentito
di Fiorenza Sarzanini


BARI — Nel fascicolo sono trascritte centinaia di intercet­tazioni telefoniche e ambienta­li, i verbali che riportano le ammissioni di persone già fi­nite sotto inchiesta. E soprat­tutto ci sono le rivelazioni di un uomo che ha lavorato die­tro le quinte, ma della sanità pugliese conosce molti segre­ti. E adesso avrebbe deciso di raccontare quello che sa, con­centrandosi sulle «mazzette» che numerosi politici di de­stra e sinistra avrebbero preso per pilotare appalti, nomine, accreditamenti e convenzioni. Sulle sue dichiarazioni sono in corso verifiche e accerta­menti, ma il testimone viene ritenuto prezioso per le indagi­ni perché consente di rafforza­re un quadro comunque già delineato dagli accertamenti svolti negli ultimi mesi. E dun­que di confermare come all’in­terno della Regione ci sia stata una vera e propria spartizione per la gestione degli affari e per la nomina di primari e diri­genti delle Asl. Per la prima volta anche il nome del governatore Nichi Vendola compare in una delle informative consegnate due giorni fa dai carabinieri al pro­curatore Antonio Laudati e al­la sua sostituta Desirè Digero­nimo, che rischia di vedersi ri­tirare la delega all’indagine. Perché il deposito di quel rap­porto, che doveva rimanere ri­servato, è stato invece antici­pato dal quotidiano Libero , in­nescando una polemica politi­ca sugli «avvisi» recapitati a mezzo stampa mentre è in cor­so la discussione sul nome del candidato alle prossime elezio­ni regionali. Il capo dell’uffi­cio se ne assume la responsa­bilità, ma quando afferma che dovrà «trarre delle conseguen­ze sotto il profilo organizzati­vo e processuale», si capisce che pensa di gestire il fascico­lo personalmente. E di valuta­re se davvero, come denuncia­no gli investigatori dell’arma, il presidente abbia tentato una concussione accordando­si con assessori e politici loca­li per la scelta di medici e ma­nager da mettere alla guida di reparti e aziende sanitarie.

Sono 11 le persone «segna­late » nel dossier. Oltre a Ven­dola, nell’elenco compaiono il suo capo di gabinetto, France­sco Manna; l’ex assessore alla Sanità Roberto Tedesco, inda­gato e costretto alle dimissio­ni nella scorsa primavera, ma beneficiato di un posto da se­natore del Partito democrati­co; l’attuale assessore ai tra­sporti, Mario Loizzo, anche lui del Pd; il responsabile del­­l’Area personale Mario Calca­gni; l’ex direttore della Asl di Bari, Lea Cosentino; l’ex diret­tore della Asl di Lecce, Guido Scoditti; il presidente del Con­siglio comunale di Triggiano, Adolfo Schiraldi; l’imprendito­re di Altamura Francesco Pe­tronella.

I carabinieri sollecitano la contestazione del reato per­ché contestano a tutti di aver «imposto nel maggio 2008 ai direttori generali delle Asl e di differenti presidi ospedalieri pugliesi, le nomine dei diretto­ri amministrativi e sanitari, nonché di primari di strutture operative complesse al fine di rafforzare la presenza della propria coalizione politica nel­le istituzioni locali».

Il procuratore lo ripete più volte: «Vendola non è indaga­to, a suo carico non c’è alcun procedimento penale, anche perché l’avvio spetta al pm e questo non è avvenuto». Più volte il magistrato ha afferma­to che le indagini riguardanti la politica sarebbero state chiuse in fretta «per evitare che interferiscano in alcun modo sulle scelte democrati­che ». Lo ribadisce adesso, an­che se sottolinea come la valu­tazione sul coinvolgimento di Vendola nell’inchiesta «sarà fatta in futuro». Agli speciali­sti del Ros è stata delegata un’indagine patrimoniale che si concentra sugli appalti del­la Regione, altre verifiche so­no state affidate ai carabinieri di Bari e alla Guardia di finan­za. E poi ci sono le nuove rive­lazioni del testimone da valu­tare. Soltanto quando il qua­dro sarà completo, si deciderà a chi recapitare gli avvisi di fi­ne indagine. 



Corriere della Sera 12.11.09
Il governatore 
«Così le vite vanno nel tritacarne. Ha ragione il premier»
di Alessandro Capponi



BARI — «La scorsa settimana ero a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi si lamentava del clima da buco della serratura e con lui ho condiviso un’osservazione: così, la vita delle persone pubbliche finisce nel tritacarne.

Presidenti regionali e candidati devono prepararsi a vivere i prossimi mesi come una prova del fuoco». Il governatore della Puglia Nichi Vendola ha attraversato «senza paura» questa giornata da accusato: nel pomeriggio, si racconta. «Negli ultimi cinque anni ho evitato ogni occasione mondana. Ho rinunciato al mondo, amministrazione a parte. Ed è stata fondamentale la fede in Dio». A Bari inchieste e rivelazioni si susseguono: ora ci sono 11 persone denunciate per tentata concussione, il suo nome è nell’informativa. Lui sorride e minimizza. Però, appena può, contrattacca: «Angelucci, che è al centro delle inchieste sulla malasanità, è anche proprietario di Libero (che ha dato la notizia, ndr ). Oggi con la mia faccia cercano di coprire il camorrismo, vero o presunto, del sottosegretario Cosentino». E però il suo nome è nell’informativa: «Ho subito uno stillicidio di polemiche perché ho confermato molti uomini di Fitto.

Sarebbe curioso se avessi cambiato direzione, all’improvviso». Ma ci sono queste denunce: «Ho sbirciato nello stralcio dell’informativa: è ridicolo».

Entri nel merito dell’accusa, governatore: «Se avevo bisogno di piazzare uomini della mia parte politica, perché avrei portato le Asl da dodici a sei? » . 


Corriere della Sera 12.11.09
Burkina Faso Emma Bonino fra i promotori dell’iniziativa
«Mai più mutilazioni femminili Ora l’Onu le metta al bando»
di Cecilia Zecchinelli



OUAGADOUGOU — «I ri­sultati ci sono, la lotta nono­stante i problemi va avanti. E la prossima tappa è ora la messa al bando definitiva e globale delle mutilazioni ge­nitali femminili con una riso­luzione dell'Assemblea gene­rale dell'Onu che verrà adot­tata, sono convinta, entro la fine del 2010. Con l'appoggio dell'Italia, i governi africani si stanno muovendo». Emma Bonino traccia un primo bi­lancio della Conferenza inter­nazionale «Dal Cairo a Ouaga­dougou » che si è svolta lunedì e marte­dì nell'infuocata capi­tale del Burkina Fa­so, uno dei Paesi più poveri ma tra i più impegnati nello sra­dicare la tortura in­flitta ogni anno nel mondo a due milioni di donne e bambine.

Sono trascorsi sei an­ni dall'inizio della grande campagna an­ti- Mgf lanciata in Egitto dalla Bonino e dalla first Lady Suzan­ne Mubarak. A Oua­gadougou la vice pre­sidente del Senato era al fianco di deci­ne di attiviste e politi­che del Continente, coloratissime negli abiti tradizionali ma soprat­tutto molto combattive.

«È una battaglia comune, perché le mutilazioni resisto­no in 27 Paesi africani e in Ye­men ma riguardano tutti: in Europa per altro stanno au­mentando tra gli immigrati e in Italia si stimano 30 mila ca­si — spiega —. L'Italia, con l'Ong 'Non c'è pace senza giu­stizia' e la Cooperazione, ha un ruolo di sostegno, nessun atteggiamento coloniale sia chiaro. La leadership è africa­na, come africani saranno i Paesi primi firmatari della ri­soluzione Onu, riuniti già lo scorso settembre a New York dal ministro Frattini e impe­gnati anche da questa confe­renza ad arrivare al voto in Assemblea nel dicembre 2010». Un voto e una confe­renza che non sono atti for­mali.

«Sono invece tappe im­portanti, come le leggi che vietano ormai le mutilazioni in 18 Paesi dell'Africa — con­tinua Emma Bonino —. Non hanno sradicato ancora il fe­nomeno, a fianco serve mol­ta attività di terreno, ma l'hanno ridotto: in Egitto ad esempio si è scesi in sei anni dal 98% della popolazione femminile a meno del 50%. E danno uno status di legalità alle attiviste: in Sierra Leone, con il Mali uno degli Stati più refrattari al cambiamento, so­no viste come streghe e han­no avuto le case bruciate, ovunque esistono fenomeni di rifiuto sociale».

Non di origine religiosa, ma tollerata o perfino inco­raggiata dalle religioni (so­prattutto l'Islam), l'escissio­ne femminile è stata inflitta nel mondo a 150 milioni di donne e bambine. «E' per lo­ro che dobbiamo lottare al grido di tolleranza zero», ha dichiarato nella Conferenza la first lady del Burkina, Chantal Compaoré, una delle prime donne d'Africa impe­gnate direttamente, anche fi­nanziariamente, nella campa­gna. «Il mio sogno adesso è portarle tutte, con le mini­­stre, a New York per la firma della risoluzione — dice Em­ma Bonino —. La battaglia per arrivare alla moratoria sulla pena di morte è stata lunga e difficile ma ha avuto successo. Ci stiamo muoven­do con la stessa metodologia e la stessa energia. E ci riusci­remo ».

Agi 12.11.09
NORDSUD INTERNATIONAL PRIZE: VINCONO HADDAD E HANDKE

(AGI) - Roma, 12 nov. - La libanese Joumana Haddad per la poesia con 'Adrenalina' e il drammaturgo austriaco Peter Handke per la narrativa con 'Falso movimento' sono i vincitori dell'edizione 2009 del 'NordSud International Prize'. A conferire l'ambito e prestigioso premio e' la 'Fondazione Pescarabruzzo', presieduta da Nicola Mattoscio. La commissione giudicatrice del Premio e' composta oltre che da Mattoscio, da Franco Cardini, Francesco Marroni, Walter Mauro, Gian Gabriele Ori, Elio Pecora, Benito Sablone, Stevka Smitran. "La filosofia del NordSud International Prize e' scegliere e premiare autori e opere aperte al dialogo culturale, o meglio ad aspetti e componenti culturali di due parti del nostro mondo diverse per storia e per modello di societa'", spiega lo storico Franco Cardini. Per la parte piu' creativa, poesia e narrativa, il Premio e' andato alla poetessa libanese Joumana Haddad che di recente ha avuto uno strepitoso successo con 'Il ritorno di Lilith', la prima opera integrale in italiano edita da 'L'Asino d'oro': in poche settimane ha venduto piu' di 2 mila copie e attirato un foltissimo pubblico alle sue presentazioni. Il premio 2009 e' per il precedente 'Adrenalina' ma, indirettamente, conferma l'alto profilo della poesia della Haddad. Nella sua poesia c'e' dunque quella spinta, "al dialogo culturale tra paesi e realta' diverse, come e' nello spirito del Premio", spiega lo storico Cardini. Lo stesso vale per l'autore de 'La Storia Infinita', Handke, con il suo 'Falso movimento'. Sono stati anche premiati, per le Scienze Esatte e Naturali, Lucia Votano per la pubblicazione 'The OPERA experiment in the CERN to Gran Sasso neutrino beam' e per le Scienze Sociali, l'economista Kumaraswamy Vela Velupillai con la pubblicazione 'Towards a Theory of Econoimic Development without the owl of Minerva. An Outline & a Summary'. La cerimonia di premiazione si terra' sabato, 21 novembre 2009 presso la sede della 'Fondazione Pescarabruzzo' a Pescara. (AGI) Pat

mercoledì 11 novembre 2009

Agi 11.11.09
LIBRI: DOMANI ESCE LEFT 2006 E L'AUTORE NE PARLA A RADIOUNO

(AGI) - Roma, 11 nov. - Un anno di articoli, 43 per l'esattezza, dal rapporto sfumato con Fausto Bertinotti alle tragedie degli immigrati e delle carceri al rapporto uomo-donna, scritti dallo psichiatra Massimo Fagioli sul settimanale 'Left' nato tra anni fa dalle spoglie del vecchio 'Avvenimenti', diventa libro 'Left 2006'. In uscita nelle librerie domani, questo terzo libro edito da 'L'Asino d'oro', ha il suo asse portante nell'originalissimo intreccio tra politica, psichiatra e attualità. Ma è anche il racconto 'del sogno della nuova sinistra' di Fagioli che domani ne parla a RadioUno nel corso della trasmissione 'Nudo e crudo'. Poi il 5 dicembre Fagioli lo presenterà a Roma, alla Fiera nazionale della piccola e media editoria "Più Libri più liberi", insieme alla poetessa libanese Joumana Haddad, autrice de "Il ritorno di Lilith" (editore sempre 'L'Asino d'oro') che ha già venduto oltre 2000 copie in tutta Italia. "Il sogno magnifico di dar vita ad una nuova sinistra, a partire da un concetto inedito di uguaglianza quella che c'è tra gli esseri umani alla nascita - si legge in una nota - narrato attraverso un'originale trama di idee e riflessioni su politica, psichiatria e rapporto uomo-donna". Il libro raccoglie dunque i 43 articoli dello psichiatra dell'Analisi Collettiva, protagonista di una ricerca da oltre 50 anni sulla mente umana, apparsi nel 2006 sul settimanale "Left", nato per iniziativa di Luca Bonaccorsi, nella rubrica intitolata "Trasformazione". In "Left 2006", corredato dalle illustrazioni di Alessandro Ferraro, "alle vicende della politica, compreso il rapporto, poi tramontato, tra l'ex segretario del Prc, Fausto Bertinotti, e l'Analisi Collettiva, quel vasto movimento sociale e culturale di migliaia di persone che - precisa la nota - fa riferimento alla Teoria della nascita di Fagioli, si affiancano quelle dell'attualita' e della ricerca sull'identità umana. Ma c'è anche l'invito alla sinistra a riflettere su se stessa e a recuperare l'utopia delle origini - precisa la nota - Liberté Egalité Fraternité, unita alla idea di una trasformazione possibile: questo è il libro di Fagioli, che pur criticando Marx, riconosce alla sinistra un pressochè esclusivo "interesse per la realtà umana", ma le rivolge l'accusa di non riuscire a distinguere "tra bisogni ed esigenze" e di non avere mai pensato di trasformare la realtà mentale umana". (AGI) Pat

l’Unità 11.11.09
L’etica della furbizia
Crocefissi in classe? Almeno non dite di essere liberali
di Francesca Rigotti, università di Lugano

Vorrei intervenire con le parole della filosofia politica sulla questione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica italiana. Ma prima ancora desidero far notare che la risposta della Corte europea dei diritti dell'uomo alla richiesta della signora Lautsi è assolutamente in linea con la legislazione che abbiamo sottoscritto. La Corte ha infatti risposto con le parole dell'art. 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1952, sottoscritta anche dallo stato italiano, che stabilisce che «Lo Stato nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento in modo conforme alle loro convinzioni religiose e filosofiche». Evidentemente nel Bel Paese si è preferito fare orecchie da mercante e ignorare tale diritto genitoriale, oltre a ironizzare sul fatto che la signora sia di origine straniera e quindi non abbia da interferire con le faccende italiane, ignorando probabilmente il fatto che qui si tratta di diritti dell'uomo, che per definizione non hanno confini nazionali né abbisognano di cittadinanze particolari. Oltre a ciò, una precedente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (del 1976) prescrive che le conoscenze religiose siano dispensate dalla scuola in modo «oggettivo, critico e pluralistico».
Leggo questi dati e riconosco la lodevole applicazione del principio di «ragionevole neutralità» nell'articolo di Marcello Ostinelli, «Etica pratica e cultura religiosa nella scuola pubblica ticinese» uscito su «Verifiche» (giugno 2007, no. 3, pp. 4-7). L'articolo contiene informazioni interessanti e proposte più che condivisibili. Le istituzioni liberali devono risultare neutrali rispetto alle visioni del mondo e alle concezioni del bene individuali che caratterizzano le società contemporanee. Questo atteggiamento è visibile particolarmente nella posizione che il liberalismo assume nei confronti della religione. Lo stato liberale è agnostico (indifferente) rispetto al problema religioso. Lo stato liberale è neutro rispetto ai valori. Tipica dello stato liberale è quindi la separazione tra stato e chiesa, nel rispetto dell'idea che la religione è qualcosa che interessa gli individui nella sfera privata ma non dovrebbe interessare lo stato. Lo stato liberale non ha una chiesa ufficiale ma rispetta le varie chiese presenti. Lo stato liberale è laico perché ragiona fuori dall'ipotesi di Dio, etsi deus non daretur, come se Dio non esistesse, il che non significa che non esiste – ricorda Ostinelli – ma vuol dire che bisogna sgomberare il campo da asserzioni dogmatiche. Se alcuni settori del paese Italia non si riconoscono in uno stato laico e liberale, che lo facciano, ma abbiano almeno, se non il coraggio, la banale coerenza di dichiararlo e e di rinunciare all' uso e all'abuso di termini quali libertà e liberalismo.❖

Repubblica 11.11.09
Il pensiero liberale e il potere berlusconiano
di Massimo L. Salvadori

Fin dagli albori del pensiero politico occidentale la riflessione sulla natura del potere ha ruotato intorno alle distinzioni relative a che questo sia detenuto da uno o da pochi o dai molti, abbia un carattere immoderato o moderato, sia concentrato al punto da divenire al limite dispotico oppure articolato e soggetto a controlli e contrappesi. E tutte le forme di governo si sono divise in assolutistiche e in variamente antiassolutistiche. Orbene, la specificità delle prime, nelle loro versioni tanto antiche quanto moderne, è di rendere impossibile ogni balance of power all´interno della macchina di governo e di tendere a impedire qualsiasi opposizione. La nascita del liberalismo è legata insieme agli eventi che nell´Inghilterra del Seicento posero fine alla monarchia assoluta e al pensiero dei due massimi maestri delle teorie antiassolutistiche, Locke e Montesquieu: l´uno affermò che i regimi liberi poggiano sulle istituzioni rappresentative, sulla piena espressione delle libertà politiche e civili e sul primato del potere legislativo su quello esecutivo; l´altro che la difesa della libertà poggia sulla divisione e sull´equilibrio dei poteri ponendo ad architrave il principio secondo cui «perché non si possa abusare del potere, bisogna che il potere freni il potere».
Toccò ad una nuova generazione di pensatori liberali, ai Constant, Tocqueville, John Stuart Mill, levare l´allarme sul fatto che l´attacco all´equilibrio dei poteri poteva venire non soltanto dal vecchio assolutismo, ma anche vuoi da democrazie in cui la maggioranza invoca il diritto di restringere o annullare con un approccio illiberale i diritti delle minoranze, vuoi da leader che, avvoltisi nella bandiera della popolarità, usano degli strumenti offerti dalla democrazia per realizzare una sempre maggiore concentrazione di poteri fino ad esiti autoritari. La prima degenerazione dava luogo alla «tirannide della maggioranza», la seconda al neocesarismo. Tocqueville e Mill e in seguito Max Weber indagarono poi su un´altra componente del moderno assolutismo: quella derivante dal sommarsi del potere economico, politico e ideologico. Fu Weber a parlare in proposito del costituirsi in un simile caso di una «gabbia d´acciaio» da cui le libertà degli individui e dei gruppi sarebbero risultate sempre più soffocate. Egli, al pari di Tocqueville e Mill, aveva legato il sorgere della gabbia d´acciaio anzitutto all´avvento al potere di una dittatura socialistica collettivistica e statolatrica, ma al tempo stesso sottolineato con forza che essa poteva ben venire anche dal versante opposto, ovvero dalla plutocrazia.
Siffatta premessa non vuole essere un astratto excursus dottrinario, ma un richiamo alle categorie di giudizio che consentono di concretamente ragionare sul processo in atto da noi. È di non molto tempo fa l´articolo di un noto giornalista in cui si sosteneva che in Italia non si dà un «regime», perché vi sono pur sempre il Parlamento, il pluralismo politico, dell´informazione, ecc. Due osservazioni al riguardo. La prima concerne un uso improprio del linguaggio, che è andato diffondendosi, per cui il termine regime viene reso sinonimo di sistema autoritario o addirittura di dittatura, laddove esso è di per sé neutro e non altro significa se non forma di governo, ordinamento politico, il quale per qualificarsi richiede aggettivi come autoritario, liberale, democratico, dittatoriale, e via dicendo. La seconda riguarda la sostanza di ciò che implica il concludere che, se in Italia non vi è un "regime" (inteso secondo la prima deformante accezione), allora la democrazia resta viva e vegeta. Si tratta in questo caso di un aut aut concettuale rigido, che preclude la comprensione di ciò che sta avvenendo nel nostro paese, dove si fanno ogni giorno più evidenti le molteplici pericolose restrizioni che la strategia del presidente del Consiglio ha già imposto e intende ulteriormente imporre al nostro sistema politico e istituzionale; il quale, se non ha i tratti di un regime organicamente autoritario, presenta però quelli di una democrazia minacciata proprio nei suoi fondamenti liberali da chi in maniera assordante pure pretende di essere il corifeo e il difensore dei valori e dei principi liberali.
Ebbene, usiamo le categorie fornite dai classici del pensiero liberale per ragionare sulla natura del potere berlusconiano. Esse ci dicono che le istituzioni liberali entrano in zona rossa quando si determina una concentrazione del potere politico ed economico; quando la formazione di un´opinione pubblica consapevole e autonoma viene limitata e pesantemente condizionata da un dilagante controllo dei mezzi di informazione; quando un potere dello Stato entra in conflitto permanente con un altro potere; quando la maggioranza parlamentare mira a costituirsi in rappresentanza monopolistica della volontà popolare. E, usando queste categorie, possiamo comprendere ciò a cui siamo di fronte.
Berlusconi come singolo assomma un´imponente quota del potere economico, politico e dell´informazione; una simile abnorme attribuzione di poteri, in costante crescendo e che non ha riscontri in nessun altro paese occidentale, poggia su una maggioranza parlamentare che guarda ai problemi del paese costantemente preoccupata di tutelare gli interessi personali di varia natura del capo del governo; questi si serve delle proprie televisioni private, dei quotidiani e periodici che a lui rispondono, della parte delle reti televisive pubbliche su cui è in grado di imprimere il proprio marchio per via politica, al fine di condurre campagne scandalistiche contro politici, magistrati, esponenti delle istituzioni, giornali e giornalisti «nemici»: si pensi solo ai più recenti casi dell´ex direttore dell´Avvenire, del giudice Misiano e di Corrado Augias. Abbiamo a che fare non con un sistema in cui potere frena potere, ma con un accumulo di poteri di stampo illiberale il quale altera gli equilibri; con una deriva di tipo plebiscitario che punta in maniera ormai sistematica alla delegittimazione del potere giudiziario, della Corte costituzionale, del ruolo di garanzia rappresentato dal Presidente della Repubblica; con la teoria che l´unico potere ad essere legittimato è quello del capo del potere esecutivo in quanto il solo espressione diretta della vox populi: un potere che ora mira apertamente a cambiare la Costituzione così da acquisire il completo primato. Locke, Montesquieu, Mill, Weber: tutti messi in soffitta.
Il paese si trova in un momento storico decisivo. La maggioranza parlamentare è chiamata a fare la conta di quanti non siano disposti a seguire Berlusconi nell´avventura finale in cui egli la trascina, l´opposizione a dar prova di quale pasta sia fatta, l´intero popolo a mostrare ai confratelli popoli d´Europa se intende continuare a soggiacere a uno stato di cose che, se ancora non lo ha chiuso nella weberiana gabbia d´acciaio, certo lo fa già vivere in una condizione che evidenzia una vera e propria immaturità politica e civile.

Corriere della Sera 11.11.09
D’Alema e il presidenzialismo «Meglio del sistema attuale»
E su Tangentopoli: «Sbagliammo a cavalcarla»
di Al. T.



ROMA — La caduta del Muro di Berlino «fu un grande evento positivo e liberatorio, anche se fu un momento drammatico che aprì conflitti, pensiamo ai Balcani». La lettura è di Massi­mo D’Alema, che ribatte a Fabri­zio Cicchitto in un dibattito sul­la caduta del Muro. E che rilan­cia sulle riforme: «Meglio il pre­sidenzialismo, con un Parlamen­to che lo bilancia». Quanto al bi­polarismo, sostiene D’Alema, va «civilizzato» e non è «incom­patibile con un sistema propor­zionale » . D’Alema ricostruisce gli anni di crisi e Mani Pulite: «Non fum­mo gli organizzatori di una Spectre che gestiva la magistra­tura contro Dc e Psi. A Botteghe Oscure non manovravamo Di Pietro e Borrelli. Se c’erano pote­ri forti non eravamo noi, che era­vamo debolissimi. Il nostro teso­riere Marcello Stefanini ricevet­te un avviso di garanzia e morì praticamente di crepacuore». Detto questo, il presidente di Ita­lianiEuropei aggiunge: «Facem­mo l’errore di illuderci, e lo dissi anche allora, che cavalcando l’ondata di antipolitica sarem­mo andati al potere. Sia chiaro, non fummo gli unici: anche la destra scese in piazza, Aleman­no gridava più di me contro i magistrati. Tutti senza capire che c’era qualcuno più attrezza­to per solcare le acque dell’anti­politica. E infatti vinse le elezio­ni Silvio Berlusconi».
D’Alema rievoca anche i gior­ni del camper, con l’ombra delle elezioni anticipate del ’91. Secon­do Cicchitto, Craxi si illuse di di­ventare leader di un centrosini­stra non più comunista. E inve­ce, sostiene, i comunisti distrus­sero la classe dirigente grazie ai rapporti più forti con la magi­stratura. Non fu così per D’Ale­ma, che riconosce i meriti di Cra­xi: «Ci aiutò a entrare nella fami­glia socialista europea e non mi­se ostacoli». D’Alema rievoca il colloquio nel camper, «un posto orribile»: «Ricordo bene che Cra­xi ebbe parole quasi per dire: se potessi io dirigere un partito co­me il vostro e non come il mio, si potrebbe aprire una prospetti­va diversa per il paese».
Sulla caduta del muro, ricor­da un colloquio con Michail Gor­baciov: «Mi disse che quel regime andava abbattuto. E che so­prattutto per noi che eravamo di sinistra quel regime era un pe­so insostenibile». 



Liberazione 10.11.09
La liberazione da regimi certamente oppressivi coincise con la vittoria del capitalismo più selvaggio
Ottantanove, un passaggio ambiguo e pericoloso
di Luciana Castellina

Pubblichiamo stralci di un articolo dell'ex eurodeputata di Rifondazione comunista già uscito nell'ultimo numero della rivista "Nuvole" (www.nuvole.it).

Vorrei concedermi - e me ne scuso - una breve nota autobiografica. Mi è necessaria affinché, chi di quei tempi antichi che sono ormai gli anni a cavallo fra i '60 e i '70 non può avere memoria (o ha scelto di non averla), non sia spinto a pensare che io sia una incallita ortodossa conservatrice comunista. Perché dico che l''89 non è la data di una gioiosa rivoluzione libertaria, ma un passaggio assai più ambiguo e gravido di conseguenze, non tutte meravigliose.
Insomma: per sgomberare il campo da possibili equivoci voglio ricordare che io, assieme ad altri, dal Pci fui, nel '69, radiata anche perché ritenevo che il sistema sovietico fosse ormai irriformabile e non più difendibile.
Vent'anni dopo, nell'‘89, era ancora più chiaro che, se il comunismo poteva avere ancora un futuro (come noi pensavamo), non era certo in continuità con l'esperienza sovietica. Una rottura era dunque indispensabile, ma non una qualsiasi. In merito più che mai necessaria appariva una riflessione critica di tutte le forze che a quella storia si erano ispirate se volevano avere ancora un ruolo. Che invece non ci fu.
Se insisto nel dire - e oggi, ad altri vent'anni di distanza è ancora più evidente - che in quell'autunno dell'‘89, vi fu certo liberazione da regimi diventati oppressivi, ma non una risolutiva liberazione, è perché il crollo del Muro si verificò in un preciso contesto: non per la vittoria di forze animatrici di un positivo cambiamento, ma come riconquista da parte di un Occidente che proprio in quegli anni, con Reagan, Thatcher e Kohl, aveva avviato una drammatica svolta reazionaria.
Al dissolversi del vecchio sistema si fece strada il capitalismo più selvaggio e ogni forma di aggregazione nella società civile, espressione di qualche valore collettivo, venne cancellata, lasciando sul terreno solo ripiegamento individuale, egoismi, prepotenza, quando non peggio. Anche qui da noi, la morte del socialismo sovietico è stata vissuta come rinuncia ad ogni ipotesi di cambiamento. Persino un liberal democratico come Bobbio, che certo comunista non era, ebbe - lucidamente - a preoccuparsene.
Non era scontato che andasse così. Voglio dire che c'erano altri scenari possibili e che a quel risultato si è invece arrivati perché si era nel frattempo consumata una storica sconfitta della sinistra a livello mondiale, e il 1989 è una data che ci ricorda anche questo. Se il Pci avesse operato la rottura che poi operò nel 1981 con il sistema sovietico quando noi lo avevamo chiesto, in quegli anni '60 in cui i rapporti di forza stavano cambiando a favore delle forze di rinnovamento in tutti i continenti, sarebbe stata ancora possibile una uscita "da sinistra" dall'esperienza sovietica, non la capitolazione al vecchio che invece c'è stata.
Già all'inizio degli anni '80 il mondo era cambiato, alla fine del decennio era ulteriormente peggiorato.
Nel terzo mondo i paesi di nuova indipendenza, che avevano cercato di sottrarsi al neocapitalismo, erano ormai largamente finiti nelle mani di corrotte cosche "compradore", affossate quasi ovunque le grandi speranze che avevano animato i movimenti di liberazione che li avevano portati all'indipendenza.
Il solo paese che aveva ostinatamente cercato di seguire un modello diverso da quello imposto dalla burocrazia moscovita, la Jugoslavia, si trovava - morto Tito - alla vigilia di un conflitto interno che l'avrebbe dilaniata. Sotterrata, anche, l'illusione accesa dallo schieramento di Bandung di cui Belgrado era stata animatrice e che per qualche decennio aveva realmente contribuito a limitare l'arroganza delle due grandi potenze.
Il movimento operaio, in Occidente, era costretto a una linea difensiva per impedire che le conquiste dei decenni precedenti fossero rimangiate (e infatti lo furono). Il '68, appariva ormai addomesticato dalla rivoluzione passiva che i ceti dominanti erano riusciti a effettuare, integrando quanto in quello straordinario movimento c'era di indolore e cancellando ogni suo segno alternativo.
La leadership socialdemocratica europea - Brandt, Palme, Foot, Kreisky - che aveva coraggiosamente puntato a rimuovere la cortina di ferro col dialogo anziché con la minaccia militare, ovunque ormai scomparsa dalla scena, espulse dall'o.d.g. le proposte di denuclearizzazione almeno della fascia centrale europea.
In Italia, si collocava un Pci che prima aveva troppo tardato a prendere atto della crisi sovietica, e poi aveva accantonato il tentativo cui Berlinguer, prima della sua morte improvvisa e inaspettata, aveva lavorato: l'idea di non trarre «dall'esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre» conclusioni liquidatorie di ogni ipotesi alternativa, ma anzi, l'indicazione di una possibile "terza via", ipotesi sulla quale aveva del resto intrecciato un fruttuoso scambio anche con settori importanti della socialdemocrazia. Proprio dalla caduta del Muro, il Pci, il più grande partito comunista dell'Occidente, ancora forte di quasi due milioni di iscritti e di quasi un terzo dei voti, prendeva spunto per proporre il proprio scioglimento, accingendosi ad una frettolosa abiura. Laddove, proprio in Italia, a differenza di altri paesi, sarebbe stato invece possibile un altro tipo di svolta: perché la rottura con l'Urss si era ormai consumata da tempo e la critica ai sistemi che aveva generato era non più patrimonio di piccole minoranze (come per molti versi era stato, vent'anni prima, all'epoca della radiazione del gruppo de Il Manifesto ), bensì di una larga maggioranza di iscritti al partito e di elettori. Avrebbe potuto essere l'occasione, finalmente, per una riflessione critica sulla propria storia che così non c'è stata. Complessivamente nessuno sforzo serio fu compiuto per riflettere criticamente su cosa era accaduto, per trarre forza in vista di un più adeguato tentativo di cambiare il mondo, ma solo qualche ristagno nostalgico e, altrimenti, la resa a un pensiero unico che indicava il capitalismo come solo orizzonte della storia. Per me e molti altri la data dell'‘89 è anche data di questo lutto.
E' un discorso che non vale solo per i comunisti, del resto. Per il modo come il Muro è caduto era chiaro che un impatto ci sarebbe stato, alla lunga, anche sull'altra corrente del movimento operaio, la socialdemocrazia. La cui crisi, sempre più accentuata, ne è oggi palese testimonianza. Perché è la legittimità stessa di ogni idea di sinistra che è stata messa in discussione. Non solo: anche se i partiti socialdemocratici erano stati sempre molto ostili al blocco sovietico bisogna ben dire che le loro conquiste sociali sono state strappate in Europa anche grazie al fatto che la borghesia era stata costretta a dei compromessi. Perché c'era una società che, con tutti i suoi difetti, aveva però spazzato via il feudalesimo e la reazione. Senza il vento dell'est quelle conquiste sarebbero state impensabili. E' tutta la sinistra, insomma, che da quel tipo di crollo dell'Urss ha sofferto (...).
Se nel nostro pezzo d'Europa ci fosse stata una sinistra più forte e lungimirante, essa avrebbe potuto cogliere l'occasione dello scioglimento dei due blocchi politico-militari per dare nuova forza al soggetto Europa, così riequilibrando i rapporti di forza nel mondo. E invece la sua debolezza finì solo per avallare una resa incondizionata al blocco atlantico, lasciando tutti alla mercè del dominio incontrastato degli Stati Uniti. La guerra contro l'Iraq, la catastrofe palestinese, e infine l'Afghanistan sono lì a provarlo. Quanto alle vecchie "democrazie popolari", sono tornate allo status vassallo di protettorato a dipendenza del capitalismo occidentale, riservato tra le due guerre all'Europa centrale e balcanica.
L'esempio forse più illuminante di come malamente hanno proceduto le cose è quello dell'unificazione della Germania, che pure era stata sogno legittimo del popolo tedesco. A 20 anni da quell'evento, una inchiesta pubblicata sul settimanale Spiegel ci dice che il 57% dei cittadini della ex Repubblica Democratica Tedesca hanno nostalgia di quel regime. Che francamente non era davvero bello. Vuol dire dunque che l'integrazione è stata solo conquista, e che l'ovest è arrivato come un rullo compressore, cancellando ogni cosa, anche i diritti sociali che lì erano stati sanciti e oggi vengono rimpianti.
Se insisto ancor oggi a sottolineare le occasioni mancate dell'‘89, e i guasti che il non averle colte ha provocato, è perché nell'agiografica euforia con cui viene ora celebrato il ventennale della caduta del Muro anche da una bella fetta della stessa sinistra, c'è qualcosa di anche più pericoloso: lo spensierato seppellimento di tutto il XX secolo, come se si fosse trattato solo di un cumulo di orrori, da dimenticare. Senza alcun rispetto storico per quanto di eroico e coraggioso, e non solo di tragico, c'è stato nei grandi tentativi, pur sconfitti, del Novecento. Non solo: una riduzione gretta del concetto di libertà e democrazia, arretrato persino rispetto alla Rivoluzione Francese, che assieme alla parola liberté aveva pur collocato le altre due significative espressioni: egalité e fraternité , ormai considerate puerili e controproducenti obiettivi. Il mercato, infatti, non le può sopportare. Io non credo che andremo da nessuna parte se, invece, su quel secolo non torneremo a riflettere, perché si tratta di una storia piena di ombre, ma anche di esperienze straordinarie. Buttare tutto nel cestino significa incenerire anche ogni velleità di cambiamento, di futuro. In quelle settimane di precipitosa accelerazione della storia che culminò con la fiumana umana che attraversava festosa la porta di Brandenburgo, a Berlino c'ero anch'io. Certo partecipe di quella gioia, come si è contenti ogni volta che un ostacolo al cambiamento viene abbattuto. Ma la libertà vera, quella per cui in tanti che credono che un "altro mondo" sia possibile si battono, quella non ha trionfato. Per questo l'‘89 non è una festa, è un passaggio contraddittorio e difficile. Un'occasione per riflettere.

COMUNICATO STAMPA 9 novembre ’09
"NEL MUNICIPIO XI, DA OGGI, TUTTI I CITTADINI ROMANI POTRANNO DEPOSITARE IL PROPRIO TESTAMENTO BIOLOGICO"

“La Giunta del Municipio Roma XI già il 21 maggio scorso ha istituito il Registro dei testamenti biologici e delle disposizioni di fine vita. A partire da questa data, ogni cittadino residente nel Municipio XI ha avuto la possibilità di depositare presso gli uffici anagrafici del Municipio, le proprie decisioni in ordine alla volontà o non volontà ad essere sottoposto a trattamento sanitario, inclusa l'idratazione e l'alimentazione forzate, nella eventualità di trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti. Con una ulteriore innovazione il Registro del Municipio XI ha previsto, oltre al testamento biologico, anche la possibilità di depositare le proprie volontà sulle forme (civili o religiose) di esequie funebri, sulla volontà in punto di morte di avvalersi o meno dell'assistenza religiosa, sulla volontà o meno di utilizzare il corpo per la donazione degli organi, sulla volontà o meno di essere cremati. Ora, a partire da oggi, attraverso la modifica apportata alla precedente delibera, non solo i residenti locali, ma tutti i cittadini residenti nel Comune di Roma potranno depositare le proprie volontà presso il Municipio XI – dichiarano Andrea Catarci, Presidente del Municipio Roma XI e Andrea Beccari, Assessore Politiche Sociali del Municipio Roma XI -.”
“Mentre il Parlamento discute la legge indecorosa licenziata dal Senato e approdata alla Camera. Una legge contro e non per la libertà di scelta del cittadino, dal momento che: riduce il testamento ad una semplice espressione di orientamento non vincolante per il medico, esclude l'idratazione e l'alimentazione forzati dal testamento e trasforma la figura del fiduciario in una sorta di secondino del testatore; il Municipio XI rilancia e mette a disposizione di tutta la cittadinanza romana il Registro dei Testamenti Biologici e di fine vita”.
“E' importantissimo dare la possibilità al maggior numero di cittadini di depositare le proprie volontà – concludono Catarci e Beccari -, prima che una nuova legge, voluta più dalle gerarchie ecclesiali e certamente in contrasto con la volontà popolare, espressamente anti-Costituzionale, limiti le volontà espresse dei cittadini e limiti la libertà di ogni individuo di autodeterminare il proprio destino.