martedì 17 novembre 2009

Repubblica 17.11.09
La rivolta degli studenti secchioni
Germania, cinquanta università occupate per avere atenei migliori
di Andrea Tarquini

BERLINO - Aule magne e facoltà occupate in almeno cinquanta atenei, striscioni dietro le cattedre, cortei in strada. Quarantun anni dopo il Sessantotto e vent´anni dopo la caduta del Muro, un vento di rivolta giovanile torna a soffiare sulla Germania unita.
Da Berlino a Monaco, da Stoccarda ad Amburgo, i giovani universitari sono in agitazione. Ma questa volta non li muove nessuna ideologia, nessun sogno, nessuna illusione. Anzi, come all´inizio del Sessantotto ma senza ricette di exit strategy, è la perdita delle illusioni a spingerli a pensare che ribellarsi è giusto. Protestano contro le carenze del sistema educativo, hanno paura di trovarsi in mano una laurea che non vale nulla, si sentono condannati a studi di serie B. I maligni la chiamerebbero la rivolta dei secchioni, ma sono secchioni simpatici che sembrano avere ragione: credono nella meritocrazia, vogliono solo studiare meglio. E scuotono in silenzio certezze e complessi di superiorità della prima potenza europea.
Rettori e autorità politiche, dice l´associazione studentedesca Fzs lanciando soprattutto online volantini e dazebao, sono lontani dalla realtà: ci vuole più personale docente, infrastrutture migliori, seminari non sovraffollati. Il problema non è solo tedesco, dicono i loro leader che vogliono restare anonimi e sconosciuti, in un appello lanciato pochi giorni fa.
Appello non solo all´opinione pubblica, ma anche ai loro compagni di studio francesi e degli altri Paesi europei. Chiedono loro un segnale di solidarietà, quasi suggeriscono loro di scendere a loro volta in lotta: se università e istruzione superiore non daranno un futuro ai giovani europei, il Vecchio continente sarà condannato, non basteranno nemmeno il super-euro e la forza economica della Ue prima area mondiale per prodotto interno lordo, a salvarlo dal declino.
La situazione è scomoda e imbarazzante, per gli atenei come per l´establishment. A livello locale, dei singoli Stati (il potere federale in Germania quasi non ha competenze sulla pubblica istruzione), in alcuni casi la reazione è stata dura: sgombero dell´ateneo occupato a Tubinga, resa dei giovani alla polizia a Duisburg-Essen e a Bielefeld. Ma alla Freie Universitaet di Berlino, ad Amburgo e a Monaco l´occupazione continua. Il governo di coalizione tra i cristiano-conservatori della cancelliera Angela Merkel e i liberali del giovane Guido Westerwelle è incerto. E ha anche poche possibilità di reagire in modo efficace, per quanta comprensione possa avere verso i giovani: la pubblica istruzione, nel federalismo tedesco, è appunto competenza più dei sedici Stati che non del potere federale. E tra crisi internazionale e borsa stretta imposta dal Patto di stabilità, i margini sono esigui per tutti.

Repubblica 17.11.09
L´inchiesta A parrocchie e luoghi di culto 29 milioni dei 44 destinati dai contribuenti all´erario L´8 per mille dello Stato? Va alla Chiesa
di Carmelo Lopapa

Pontificia Università Gregoriana in Roma, 459 mila euro. Fondo librario della Compagnia di Gesù, 500 mila euro. Diocesi di Cassano allo Ionio, 1 milione 146 mila euro. Confraternita di Santa Maria della Purità, Gallipoli, 369 mila euro. L´elenco è lungo 17 pagine e porta in calce la firma del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Non si tratta di uno dei tanti decreti, ma quello che ripartisce per il 2009 i 43 milioni 969 mila 406 euro che gli italiani hanno destinato allo Stato in quota 8 per mille dell´Irpef.
Basta sfogliarlo per scoprire che confraternite, monasteri, congregazioni e parrocchie assorbono la quota prevalente di quanto i contribuenti avevano devoluto a finalità umanitarie o per scopi di assistenza e sussidi al volontariato. E invece? Succede che i 10 milioni 586 mila euro assegnati al capitolo "Beni culturali" sono finalizzati in realtà a restauri e interventi in favore di 26 immobili ecclesiastici. Opere che avrebbero tutte le carte in regola per usufruire della quota dell´8 per mille destinata alla Chiesa cattolica, col suo apposito fondo «edilizia di culto». Come se non bastasse, la medesima destinazione (chiese e parrocchie) hanno anche gli altri 19 milioni destinati alle aree terremotate del centro Italia (14 per l´Abruzzo).
«L´atto del governo n. 121» è stato predisposto ai primi di settembre da un presidente Berlusconi reduce dall´incidente diplomatico del 28 agosto con la Segreteria di Stato Vaticano. Sullo sfondo, la (mancata) Perdonanza dopo il caso Giornale-Boffo. Il documento, poi trasmesso alla Camera il 23 settembre, conferma intanto che i soldi vanno allo Stato ma entrano di diritto nella piena discrezionalità del capo del governo, per quanto attiene al loro utilizzo. È un atto «sottoposto a parere parlamentare» delle sole commissioni Bilancio. Quella della Camera lo ha già espresso, «positivo», il 27 ottobre, quella del Senato lo farà nei prossimi giorni. Eppure, anche la maggioranza di centrodestra della commissione Bilancio di Montecitorio ha lamentato le finalità distorte e ha condizionato il parere finale a una serie di modifiche, contestando carenze e incongruenze del decreto. Tra le più sorprendenti, quella che riguarda la "Fame nel mondo", «alla quale nel decreto vengono attribuite risorse finanziarie alquanto modeste, a fronte di richieste di finanziamento di importo limitato che avrebbero potuto essere integralmente accolte». Insomma: governo ingeneroso verso i bisognosi. In effetti, ultima pagina, al capitolo "Fame nel mondo", sono solo dieci le onlus e associazioni finanziate per 814 mila euro, pari al 2 per cento del totale.
Tutto il resto? A chi sono andate le quote parte dell´Irpef che gli italiani hanno devoluto allo Stato? La parte del leone quest´anno la fanno gli «interventi per il sisma in Abruzzo». Sono 32 e assorbono 14 milioni 692 mila euro. Ma il condizionale è d´obbligo. A parte la preponderanza anche qui di parrocchie e monasteri (la quasi totalità) tra l´Aquila, Pescara e Teramo, tuttavia altro non quadra. E a rivelarlo è proprio la commissione parlamentare presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti: «Le richieste di finanziamento relative all´Abruzzo risultano presentate in data antecedente al sisma dell´aprile 2009 ed appare quindi opportuna una puntuale verifica e un coordinamento con gli interventi previsti dopo il sisma». L´ammonimento è chiaro: quei beni finanziati in Abruzzo non sarebbero stati danneggiati dal terremoto del 6 aprile, non quanto altri almeno. Perché dunque si dirotta lì un quinto dell´intera quota dell´8x1000? Il sisma del dicembre 2008 in Emilia garantisce a 9 tra parrocchie e monasteri del Parmense altri 4 milioni, mentre 11 milioni sono parcellizzati per i danni delle restanti calamità in tutta Italia.
Ma ecco il punto. Oltre 10 milioni finiscono ad appannaggio dei Beni culturali. Ventisei tra consolidamenti e restauri, quasi tutti per diocesi, chiese, parrocchie, monasteri. Solo per restare alle cifre più consistenti, ecco il milione 314 mila euro per la cattedrale dell´Assunta di Gravina di Puglia, il milione 167 mila euro per il restauro degli affreschi della chiesa dei Santi Severino e Sossio di Napoli, oppure i 987 mila euro per il restauro di Santa Maria ad Nives di Casaluce (Caserta), i 579 mila euro per San Lorenzo Martire in Molini di Triora o i 413 mila euro per la «valorizzazione della chiesa San Giovanni in Avezzano». E poi, la Pontificia Università Gregoriana e la Compagnia di Gesù. Anche su questo capitolo le bacchettate del Parlamento: la priorità dovevano essere «progetti presentati da enti territoriali», non ecclesiastici. Ci sarebbe anche il capitolo «Assistenza ai rifugiati», al quale però, per il 2009, il decreto firmato dal premier Berlusconi destina 2,6 milioni, poco più del 5 per cento del totale. E quasi tutto (2,3 milioni) va al solo Consiglio italiano per i rifugiati. Concentrazione «non opportuna», censura infine la commissione Bilancio: «Altri progetti non finanziati risultavano meritevoli di attenzione».

Repubblica 17.11.09
Anoressia e bulimia
L´ultima richiesta d´aiuto di chi non riesce a vivere
di Giuseppe Del Bello

"In genere i malati sono giovani che hanno dentro l´immagine della morte - dice il professor Ignazio Senatore - Negarsi al cibo è un modo forte per segnalarlo"
L´esempio delle top model non c´entra, quello che viene definito disturbo del comportamento alimentare è spesso un patchwork di psicopatologie: disturbi dell´immagine corporea, pulsioni narcisistiche della personalità, spunti depressivi e tratti ossessivi

È giovane e carina. Ha zigomi alti e sporgenti. Ma è magrissima, le si contano le ossa. Perché lei è anche anoressica. Ha chiuso con il cibo. Un rifiuto netto. Per la scienza medica soffre di un "disturbo" del comportamento alimentare, formula beffarda che circoscrive la malattia a semplice problema, neanche troppo drammatico. E invece, bulimia e anoressia, spesso considerate più sintomi che patologie, sono condizioni devianti. Particolarmente gravi. Entrambe le forme, l´anoressia bulimica (alimentazione insufficiente seguita da vomito) e l´anoressia "restrittiva" in cui l´assunzione del cibo è limitata o del tutto assente, riconoscono un comune meccanismo, psicogeno e dagli effetti devastanti.
«Alla più insidiosa, la bulimica, si associano spesso l´abuso di lassativi, diuretici e un´attività fisica estrema protratta fino a cinque o più ore al giorno. Situazione che può sfociare in irrecuperabili squilibri metabolici, con il rischio di morte improvvisa», spiega Franco Contaldo, ordinario di Medicina interna e Nutrizione clinica alla Federico II di Napoli: «L´anoressia restrittiva, invece, è relativamente meno pericolosa perché l´organismo sa adattarsi ad una marcata denutrizione».
Ma la suggestione mediatica che fa di magrezza e bellezza un´inscindibile monade non c´entra più nella genesi della malattia? Per molti esperti, nei casi gravi, nulla o quasi. Anoressia e bulimia sarebbero una malattia psichiatrica e basta. Secondo Ignazio Senatore della Clinica psichiatrica dell´ateneo federiciano, una modella come Twiggy, l´icona delle mannequin anni Settanta, andrebbe assolta. E allora perché, a un certo punto della sua esistenza, una ragazza rifiuta di alimentarsi fino ad uccidersi, in maniera più o meno consapevole? «In genere sono giovani che hanno dentro l´immagine della morte», risponde lo specialista, «e il loro negarsi al cibo è il modo "forte" per avvertire di non essere più in grado, pur volendo, di continuare a vivere. Insomma, un grido d´allarme disperato».
Psicopatologia variegata anche la bulimia che spesso può rimandare ad abusi o a gravi traumi subiti durante l´infanzia e all´esigenza di esternarli attraverso il vomito. «Anoressia e bulimia», aggiunge Senatore, «sono come un patchwork di psicopatologie: disturbi dell´immagine corporea, pulsioni narcisistiche della personalità, spunti depressivi e chiari tratti ossessivi». Eppure, quei modelli che deformano la realtà dell´immagine (maschile e femminile) ci sono ancora, sostiene Contaldo: «Da loro scaturisce quella zona grigia rappresentata dai disturbi minori che, in presenza di altri fattori (esistenziali, familiari o di stress), può precipitare verso quadri più gravi». Ma nella spirale dell´anoressia si possono sviluppare meccanismi neuropsichiatrici e neurologici che autodeterminano il rifiuto del cibo. «È il caso della riduzione delle secrezioni gastriche come la "ipo-acloridria" (mancata secrezione di acido cloridrico, ndr) che contribuisce a ridurre l´alimentazione. La conseguenza è che in simili situazioni il sintomo-anoressia finisce per sfuggire all´autocontrollo».
Ancor peggio va con la "sindrome da ri-alimentazione" che si può instaurare quando un soggetto anoressico inizia a rialimentarsi senza gradualità e senza idonea assistenza medica: le capacità di utilizzare i nutrienti sono molto ridotte dopo un prolungato periodo di digiuno. «È la sindrome che colpì molti prigionieri dei campi di concentramento», conclude il docente, «quando arrivarono gli alleati: dopo anni di inedia nei lager, il loro organismo gravemente denutrito non era preparato a un´improvvisa assunzione di cibo, e in tanti ci rimisero la pelle, che tragica beffa».
Oggi, nello studio Elite di via Tortona 35 a Milano, sette top model fotografate da Desdemona Varon, saranno protagoniste della campagna contro i disturbi alimentari "Insieme si può fare".

Repubblica 17.11.09
Epidemia nascosta, le cause affondano nella prima infanzia
di Claudio Eliseo e Luigi Schepisi

l workshop dei professori Massimo Ammaniti, Adele De Pascale e Camillo Loriedo si parla di interventi multidisciplinari, autostima, ruolo dell´attaccamento madri-figli

L´interesse che i disturbi del comportamento alimentare (Dca) continuano a suscitare è giustificato dall´aumento della loro diffusione. Dal punto di vista clinico, i Dca costituiscono la patologia di interesse psichiatrico che presenta più punti d´intersezione con altri campi della medicina. Per questo motivo, gli interventi terapeutici efficaci (in particolare psichiatria e psicoterapia con migliori prospettive di successo) sono frutto della collaborazione fra diverse branche specialistiche.
Al workshop organizzato recentemente dall´Istituto italiano di psicoterapia relazionale, Camillo Loriedo (Psichiatria, università La Sapienza) ha messo in luce quanto, tra le patologie dell´alimentazione, la bulimia nervosa ("epidemia invisibile") si stia rivelando come la più insidiosa. A differenza dell´anoressia e del binge-eating disorder, che producono danni visibili e sovente evidenti difficoltà sociali e lavorative, nella bulimia la gravità della patologia tende a sfuggire all´osservazione, dietro il mascheramento di un´apprezzabile forma estetica. Si tratta invece di una patologia grave, con l´inesorabile tendenza a costruire relazioni disfunzionali, e che assai spesso è associata all´alexitimia, cioè una gravissima difficoltà nel comunicare le emozioni.
Adele De Pascale (Psicologia clinica, La Sapienza) ha descritto un percorso evolutivo delle relazioni familiari: se il genitore ha difficoltà nel riconoscere i bisogni del bambino, questi a sua volta può non riuscire a sviluppare una definita immagine di sé e, di conseguenza, un grado accettabile di autostima, primo passo di un percorso terapeutico.
Massimo Ammaniti (Psicopatologia generale e dell´età evolutiva, La Sapienza), segnalando che i Dca nella prima infanzia oltre che frequenti si accompagnano a difficoltà di crescita e sono un fattore predittivo di disturbi nell´adolescenza, ha mostrato come la sincronizzazione del comportamento fra la madre ed il bambino, durante l´allattamento e nella prima infanzia, costituisce la base per costruire un´interazione che prende l´aspetto di una sorta di "danza", soffermandosi sul contatto visivo madre-figlio (lo "sguardo") e la reciproca capacità di imparare a riconoscere le emozioni. Il tipo di attaccamento che si sviluppa influenzerà, in misura considerevole, l´opinione che il bambino avrà di sé nel rapporto con gli altri.
* Istituto italiano di psicoterapia relazionale

Repubblica 17.11.09
La guerra identitaria del crocifisso
di Stefano Rodotà

È difficile entrare in tempi nuovi quando si è portatori di identità forti, individuali e di gruppo, quando è intensa la consapevolezza della tradizione alla quale si appartiene. Il nostro è proprio uno di quei passaggi d´epoca in cui le identità sfidate tendono a reagire chiudendosi in se stesse, divenendo più aggressive: locale contro globale, tradizione contro cambiamento, radici contro trasformazione, unicità contro diversità. Ma è appunto a queste contrapposizioni che bisogna sfuggire. Ancor oggi il mondo è percorso da conflitti identitari, da sanguinose rivendicazioni di radici, dall´illusione che più alte sono le mura maggiore è la protezione. Più paura che lungimiranza: questa rischia d´essere la guida verso un futuro che già è tra noi.
L´aspra discussione sull´esposizione del crocifisso muove da una falsa premessa: la sentenza della Corte europea dei diritti dell´uomo avrebbe negato i valori cristiani, cancellato una tradizione. E, per rafforzare questa tesi, si usano parole fuori luogo, ma pure molta eloquenza e si ricorre ad argomenti tratti anche dalla riflessione di personalità non cattoliche. Ecco, allora, comparire l´inevitabile riferimento a Benedetto Croce e al suo "perché non possiamo non dirci cristiani". A qualsiasi testo, però, bisogna guardare liberi dalla tentazione di usarlo frettolosamente, o di strumentalizzarlo. Croce, lo ha detto Gennaro Sasso in un saggio illuminante, riflette sul nesso tra rivoluzione cristiana e filosofia moderna, sì che la sua è appunto una interpretazione tormentata e fortemente caratterizzata come riflessione filosofica. Questo esempio mostra come una riflessione culturale rigorosa non porta necessariamente con sé pure una conseguenza "normativa", dunque la necessità di tradurla in un dato vincolante. Anzi, più si va a fondo negli aspetti culturali di un problema, più se ne colgono le sfaccettature e l´irriducibilità a un solo punto di vista: e la regola giuridica deve rispettare questa diversità.
La sentenza dei giudici di Strasburgo è consapevole della forza di quel simbolo. Se lo avesse banalizzato, avrebbe concluso che poteva rimanere al suo posto. Ma esso continua a sprigionare un senso profondo, una identificazione con una specifica fede che, nel momento in cui si passa dalla riflessione culturale alla valutazione istituzionale, impongono che si tenga conto di altre sensibilità, di altri punti di vista. Di questo mostrano d´essere consapevoli molti critici, che argomentano la necessità di lasciare il crocifisso nelle scuole dal suo essere ormai "un volto universale dell´umanità". Che è tesi sostenibile, ma non decisiva e che talvolta dà all´argomentazione un sapore di paradosso: il crocifisso viene allontanato dalle sue "radici cristiane" proprio nel momento in cui di queste si rivendica il pubblico riconoscimento.
Ma in questa discussione molte sono le lingue tagliate. Poco o nulla si è detto del bel documento delle Comunità cristiane di base, dove si chiede "meno Croce e più Vangelo". Sembra scomparsa la memoria di don Lorenzo Milani che toglie il crocifisso dalla scuola di Barbiana. Non si ricorda che, discutendo nel 1995 della sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla rimozione del crocifisso, Vittorio Messori diceva: «Non mi scandalizzerei affatto se anche in Italia si decidesse di togliere il crocifisso dalle aule pubbliche. Sono cristiano e papista, ma il Cristianesimo non è l´Islam: non impone la fede, la propone». Il teologo Sergio Quinzio giungeva alla conclusione radicale che «il crocifisso non è più un simbolo di umanità per tutti». E si potrebbe continuare.
Ricordo tutto questo non per spirito polemico, ma per mostrare quanto sarebbe necessaria una attenzione più larga per lo stesso mondo cattolico, percorso da dinamiche irriducibili all´ufficialità vaticana che monopolizza l´attenzione della politica e dell´informazione, mentre in quel mondo si consuma uno "scisma" (è il titolo del libro dedicato da Riccardo Chiaberge ai "cattolici senza Papa"). Posizioni minoritarie, come si sottolinea citando i sondaggi che vogliono gli italiani favorevoli all´84% al crocifisso nelle aule e ricordando che il 91% degli studenti segue l´ora di religione? Ma nella materia dei diritti non vale il principio di maggioranza. Lo ha sottolineato molte volte la Corte costituzionale, scrivendo che «l´abbandono del criterio quantitativo significa che in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona».
Nella dimensione istituzionale, dunque, quella in cui si muovono le corti internazionali e quelle costituzionali, le opinioni e le culture non possono operare "in presa diretta", con la forza del numero o d´una tradizione, ma debbono sempre essere filtrate in primo luogo attraverso la considerazione dei diritti di tutti e di ciascuno. E debbono essere misurate con riferimento ai principi costituzionali. In questo caso "il principio supremo della laicità", come lo ha definito nel 1989 la Corte costituzionale.
Così non si torna a forme anacronistiche di separazione, che negano la scuola come luogo in cui possano essere manifestate le convinzioni religiose. Una cosa, tuttavia, è riconoscere agli studenti la libertà di entrare in questo spazio pubblico con i propri simboli – il velo o la kippah, la croce o il turbante del sikh – e di vedersi offerta la possibilità di una conoscenza critica della storia delle religioni. In questo modo si creano le condizioni per la libera costruzione della personalità attraverso la conoscenza e il riconoscimento dell´altro. Altro sarebbe attribuire una primazia a una fede tra le altre o interpretare il pluralismo come compresenza ufficiale di tutti i possibili simboli religiosi, che trasformerebbe la scuola in un supermercato sulle cui scansie vengono esposte le diverse "identità".
È proprio in questa difficile prospettiva pluralista che va collocata la discussione sul crocifisso, che deve essere allontanata dalla tentazione di trasformarla in una difesa a oltranza di una "ben rotonda identità". I tempi mutati esigono la paziente costruzione di un quadro istituzionale "inclusivo", che si fondi sulla pari libertà e dignità di chi crede e di chi non crede, di chi professa l´una o l´altra fede.
Leggiamo la sentenza della Corte di Strasburgo con questo spirito, senza trarne spunto per guerre di religione o pretesto per attaccare l´Unione europea, alle cui istituzioni essa non appartiene. E senza rivendicare in ogni momento il richiamo alle radici cristiane, opportunamente escluso dal Trattato di Lisbona per la forzatura culturale (si potevano ignorare le altre tradizioni che hanno fatto l´Europa?), per il rischio politico ( una porta chiusa in faccia a un paese islamico come la Turchia?), per le distorsioni applicative (sarebbe stato necessario leggere l´intera Carta dei diritti fondamentali con il filtro delle radici cristiane?).
In altro modo oggi l´Europa deve guardare alla sua storia e alle sue radici. Essa vive una crisi dalla quale non può uscire rinserrandosi tra alte mura. Viviamo una nuova "crisi della coscienza europea", come quella che la colse tra ´600 e ´700 ed alla quale dedicò un gran libro Paul Hazard, mettendo in evidenza il passaggio "dalla stabilità al movimento", la fine di antichi equilibri, e definendo l´Europa come "un pensiero che mai si accontenta". Questo spirito aperto dovrebbe guidarci, anche come italiani, nel nuovo tempo che per l´Unione europea si apre con l´entrata in vigore il 1o dicembre del Trattato di Lisbona.

Corriere della Sera 17.11.09
Il caso Il Mussolini ritratto dalla Petacci divide gli storici. Lepre: materiale utile. I dubbi di Sabbatucci
Benito e Claretta: bugie private, pubblici segreti
di Dino Messina

Per la pubblicazione dei testi del 1945 bisognerà aspettare il 2015, perché la legge stabilisce il limite di settant’anni

Amatore instancabile e all’improvvi­so diventato fedelissimo, antisemi­ta della prima ora, avversario di Pio XI, buonista con il «sentimentalone» Hitler. Il primo assaggio dei diari di Claretta Pe­tacci dal 1932 al 1938, Mussolini segreto, a cura di Mauro Suttora, in uscita doma­ni da Rizzoli e anticipato ieri dal «Corrie­re », ci consegna un ritratto del Duce, tra il pubblico e il privato, che darà nuovo lavoro agli storici. Intanto è già comincia­ta la discussione sull’autenticità, sulla quale non vi dovrebbero essere molti dubbi, poi sull’attendibilità delle annota­zioni, che, osserva un biografo del ditta­tore, Aurelio Lepre, autore di Mussolini l’italiano (Mondadori), «andranno verifi­cate e messe a confronto per esempio con quelle dei diari di Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano. Allo stesso modo il con­fronto andrà fatto con le affermazioni contenute nel libro L’orecchio del Duce (Mursia), in cui Ugo Guspini riportava le intercettazioni di conversazioni tele­foniche tra il dittatore e la sua amante, non sempre ritenute veritiere».
Questo lavoro incrociato sulle fonti diventerà sempre più complicato a ma­no a mano che si arriverà al tragico epi­logo del 28 aprile 1945, la fucilazione de­gli amanti a Giulino di Mezzegra.
Ferdinando Petacci, figlio del fratello di Claretta, Marcello, nell’introduzione al volume ipotizza per la zia un ruolo di spia degli inglesi. Così si spiegherebbe la precisione di certe annotazioni e l’attenzione maniacale per i fatti politici. Una spia che avrebbe subito confessato il suo ruolo all’amante, il quale a sua volta l’avrebbe utilizzata tramite Winston Churchill, anche per la questione del famoso carteggio. La fantomatica corrispondenza tra il premier britannico e il dittatore italiano sarebbe servita a quest’ultimo come merce di scambio nella trattativa per una pace separata. Ma di questa vicenda ci sarà tempo per discutere, giacché, visto il contenuto privato di molte pagine dei diari, custoditi all’Archi­vio di Stato, devono passare settant’anni per la pubblicazione.
Gli storici concordano sul fatto che questi documenti sono più importanti per la ricostruzione della personalità pri­vata che per il profilo pubblico del ditta­tore. La pensa così Giovanni Sabbatucci, che precisa: «Non ho motivo di dubitare dell’autenticità dei diari, ciò che può far dubitare è il contenuto del resoconto del­la Petacci, che non so fino a quanto atten­dibile, dato che non sappiamo il grado di veridicità delle confidenze di Mussolini alla sua amante». Sicuramente Mussoli­ni mentiva quando giurava alla sua giova­ne amante fedeltà assoluta, dicendo di aver fatto il deserto intorno a sé. E Claret­ta prontamente ironizzava: un deserto con qualche cammello!
Il duce mentiva anche quando faceva risalire il suo antisemitismo al 1921? Ri­spondere a questa domanda significa ri­solvere una delle annose discussioni sto­riografiche intorno a Mussolini: quanto cioè il suo razzismo e la sua avversione per gli ebrei dipendessero dalla recente alleanza con la Germania nazista. «An­che su questo aspetto — osserva Lepre — c’è modo di stabilire se Mussolini mentiva, ma quel che conta è il contribu­to che i diari della Petacci portano al pro­filo psicologico del dittatore, tanto più che la testimonianza viene da una perso­na così vicina». Scettico sull’attendibilità dei diari della Petacci è un suo biografo, Roberto Gervaso, autore nel 1981 di Cla­retta, la donna che morì per Mussolini (Rizzoli): «Secondo me — ha dichiarato Gervaso all’Adnkronos — su temi come le leggi razziali, Pio XI e Hitler i diari di Claretta non possono essere considerati una fonte di prima mano per conoscere il pensiero di Benito. Mussolini era inna­morato pazzamente, aveva perso la testa dietro a una ragazza conosciuta quando lei aveva 20 anni e lui 49. Nel loro rappor­to questa era l’unica cosa che contava». Dà ragione a Gervaso il professor Sabba­tucci quando afferma che Mussolini si comportava come il più classico degli ita­liani: un amante che «riempiva di balle» l’amata. Ma le bugie di Mussolini non rendono certo meno interessante questo ritratto del dittatore visto anche dalla ca­mera da letto.

Liberazione 15.11.09
Sinistra e Libertà muore, rilanciamo dall'Umbria l'unità della sinistra
di Stefano Vinti*

Dopo l'uscita dei Verdi di Bonelli e adesso lo sganciamento del Psi di Nencini, che propone una nuova alleanza tra Pd, Socialisti e Radicali, appare del tutto evidente l'evidente collasso, anche organizzativo, del progetto politico di Sinistra e Libertà.
Dal quotidiano il manifesto di ieri: “Sinistra e Libertà, di fatto, non c'è più. O se sopravvive a se stessa sarà radicalmente un'altra cosa. Riccardo Nencini ha ufficializzato ieri l'addio dei socialisti al congresso dei Radicali a Chianciano. Il segretario del Psi rompe con gli alleati rosso-verdi delle europee e propone per le regionali di marzo un "triciclo" di socialisti, Pd e radicali che prelude a un nuovo centrosinistra in grado di proporsi come alternativa di governo al centrodestra. Un addio talmente rissoso che perfino il sito web di Sinistra e Libertà viene oscurato e al suo posto una mano pietosa ha scritto. Portale in manutenzione”.
Prosegue così il manifesto : “nei ranghi della nuova sinistra per ora restano, di fatto, solo gli sconfitti dai vari congressi (ex Ds, ex Prc, ex Pdci, ex ambientalisti) più alcuni indipendenti candidati alle europee. Il travaglio però potrebbe non essere finito”.
Questi sono i fatti e l'analisi di un quotidiano che, fino ad oggi, ha sostenuto il percorso accidentato e poco fortunato del progetto di Sinistra e Libertà.
Se questi sono i fatti e le prospettive mi sento in dovere, in tutta onestà, di rivolgere ancora a tante compagne e tanti compagni, con i quali ho condiviso lunga parte della mia militanza politica, un appello unitario.
Tutti sappiamo che ora è impossibile ricomporre in un solo partito quello che si è rotto, ma se è vero, come io credo, che sono infinitamente di più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono, è necessario attivare un percorso di unità di tutte le forze di sinistra e di sinistra di alternativa su una piattaforma politico-programmatica comune.
Lo rende necessario la collocazione moderata del Pd, la sua impossibilità di essere alternativo al neoliberismo moderato, che lo pone cieco di fronte alla "questione democratica" che ha come fulcro il sovversivismo berlusconiano, e ancora di più incapace di affrontare una enorme "questione sociale" accentuata dalla crisi economica, che nel paese produce un milione di disoccupati, un calo della produzione industriale del 20 per cento, la chiusura di centinaia di migliaia di imprese, la privatizzazione dei servizi pubblici primari (come l'acqua), lo smantellamento della scuola della Repubblica, il continuo e pesante taglio di risorse dell'università, piegata agli interessi dell'impresa, lo scudo fiscale per i capitali della criminalità organizzata, ecc.
Ma allo stesso tempo in Umbria la cassa integrazione passa da 100mila ore del 2008 a un milione e 200mila ore del 2009, produce seimila disoccupati e 18mila nuovi cassa integrati.
Anche nella nostra regione è più che a rischio la tenuta della coesione sociale con effetti politici allarmanti, data l'inerzia colpevole del Partito democratico umbro.
E' evidente che nel Paese e in Umbria manca una sinistra che agisca in modo efficace e coerente in difesa del lavoro e dell'apparato produttivo, che prospetti una uscita "da sinistra" dalla crisi. Occorre, innanzitutto, accumulare le forze esistenti, ancora notevoli, e non dividerle e frastagliarle in tanti piccoli, rissosi e inconcludenti progetti, che ci rendono tutti più deboli e poco credibili, soprattutto agli occhi della nostra gente. Per questo mi permetto di insistere e di appellarmi al vostro senso di responsabilità per riannodare i fili del confronto politico e dell'unità di azione.
A partire dall'Umbria, con le nostre specificità, è possibile ricostruire una nuova soggettività di sinistra, dove nessuno sia costretto ad abiurare la propria identità e i percorsi culturali avviati.
La costituenda Federazione della sinistra di alternativa è un processo aperto a tutte le soggettività, organizzate e non, alle forze politiche e associazioni, a singole individualità, non per fare un nuovo impraticabile partito unico, ma per stare assieme tra diversi, per costituire un polo politico autonomo dal Pd, non minoritario ma in grado di incidere sui processi reali. Ripartiamo dalle cose da fare: un piano regionale del lavoro; l'istituzione del reddito sociale; la difesa e la qualificazione della sanità e dell'istruzione pubblica; una nuova politica dei beni comuni ad iniziare dalla ripubblicizzazione del ciclo delle acque; la valorizzazione del regionalismo dentro uno schema di "Italia mediana"; la lotta alla precarietà del lavoro; una "green economy" per l'Umbria. Sono le questioni che poniamo per una azione comune nella società e nelle istituzioni.
Sono questioni che condividiamo, perchè non affrontarle unitariamente?
Propongo un confronto ai compagni umbri di Sinistra democratica, di Unire la sinistra, del Movimento per la sinistra, all'associazionismo, ai comitati, a tutte le donne e gli uomini di sinistra, ma anche ai compagni di Sinistra Critica, sulle questioni concrete, vedrete saremo molto più utili di quanto lo siamo ora divisi.

*segretario regionale Umbria

Liberazione 15.11.09
La storia del fratello del più importante triumviro del Comitato di salute pubblica nell'ultimo libro di Sergio Luzzatto
Augustin Robespierre, un terrore dal volto umano?
di Luca Canali

E' vero che l'elegante libriccino di Sergio Luzzatto Bonbon Robespierre , (Einaudi 2009, pp. 121, euro 10,00), intitolandosi appunto col soprannome ironico-benevolo di Augustin Robespierre, fratello di Maximilien, il più importante triumviro del Comitato di salute pubblica, si propone di farne una obiettiva e problematica biografia; ma ci si sarebbe aspettato che questa fosse più ampiamente inquadrata nelle precedenti vicende che della Rivoluzione e poi del Terrore erano state motivazioni e persino giustificazioni.
In tal modo queste centoventi pagine, disinvoltamente scritte - avvalendosi a volte di un lessico più letterario e giornalistico che saggistico ("la vita agra", "una manciata di ore", "fu messo all'angolo", "donna fra le più gettonate della capitale", etc.) rischiano di offrire al lettore non esperto di questo vertiginoso susseguirsi di tragedie epocali, un quadro soltanto esecrabile, quello immediatamente precedente al colpo di stato termidoriano (27 luglio 1794) e all'esecuzione dei due Robespierre e di un gruppo di loro irriducibili sostenitori: sanguinosa conclusione di un processo rivoluzionario reso inevitabile, oltre che dallo scontento della borghesia, dalla miseria di masse di contadini e operai spinti alla disperazione dalla politica di un re, di una regina e di una corte di inetti e di egoisti, oltre che di un'ottusa e arrogante aristocrazia irresponsabilmente ostile ad ogni limitazione dei propri sfacciati privilegi e persino alle moderate riforme del Necker, ben presto sollevato dal suo incarico.
Al termine della sua breve esperienza terrorista, in Augustin - soprattutto nella prima fase delle reiterate missioni da lui compiute espletando i compiti di controllo su tutto il territorio della Nazione sconvolta da violente contrapposizioni politiche e amministrative (la rivolta federalista contro il centralismo rivoluzionario parigino) - s'era verificato un cambiamento certo maturato durante quelle sue prime esperienze di giacobino, fratello dell'uomo più influente e carismatico del nuovo regime rivoluzionario. Mutamento reso ancora più stupefacente, in quanto avvenuto in un giovane uomo in precedenza ritenuto da molti incapace, e persino "imbecille". Ciò che egli dimostrò infine è esattamente il contrario di tali giudizi negativi: la volontà, a volte realizzata in provvedimenti "indulgenti" (aprire le carceri e le chiese, fermare gli "energumeni in berretto frigio" seguaci dell'estremista Hebert, fermare la mano del boia) e di attuare una sorta di "Terrore dal volto umano".
Certo il libro è dedicato ad Augustin Robespierre, ma forse l'A. avrebbe dovuto collocare la vicenda di quest'uomo contraddittorio su uno sfondo sociale e politico meno partigiano in funzione antiterroristica: ogni rivoluzione infatti si conclude da sempre con una fase "terroristica", cui succede sempre un "regime" equilibrato e, a volte, reazionario: un esempio di importanza millenaria è la rivoluzione romana di Cesare, cui succede la blanda restaurazione di Augusto. L'A. si concentra invece sulla fase terrorista, quasi ignorandone le cause più gravi: il bellicismo della Gironda, l'alleanza delle maggiori potenze europee contro la Francia repubblicana, le sanguinose sollevazioni vandeane e bretoni causate e dirette dal clero, l'aggravarsi della crisi economica interna, il passaggio del capo della Gironda dalla parte degli aggressori stranieri.
Pur essendo priva di tale sfondo, la vicenda di Robespierre le petit è tuttavia narrata con efficacia, seguendo la strana contrapposizione dei suoi stati d'animo e della collocazione politica, evoluta progressivamente verso uno strano "Terrore gentile" e persino verso una risoluta pratica dell'"indulgenza", per esempio opponendosi alla pratica violenta della scristianizzazione imposta dai sanculotti Hebert e dal prete spretato Lebon; atteggiamento politico vicino al suo temperamento poco incline alla violenza e non estraneo ai piaceri del "buon vivere", che ebbe il risultato di conciliare alla causa giacobina una fervida simpatia delle popolazioni provinciali. Tutto ciò senza infrangere il rapporto di piena lealtà fra i due fratelli, il grande Maximilien e il "piccolo e mite" Augustin.
Ad un certo punto l'A. si chiede come fosse stata possibile una così profonda diversità fra i due fratelli. E crede di poterla motivare con una semplice "differenza di carattere": «Da sempre, fin dai tempi della sua infanzia infelice di primogenito senza genitori, Maximilien era stato un uomo austero, disciplinato, severo con se stesso prima ancora che con gli altri. Augustin invece, era stato sempre un bon vivant : non privo di doti, ma incline alla dissipazione piuttosto che all'applicazione, ai piaceri piuttosto che ai doveri». Questa differenza di carattere era certa, ma forse, poiché i caratteri si formano e cambiano sulla base della esperienza, il continuo movimento in missioni importanti compiute da Augustin, e il suo constatare che la sua indulgenza procurava più successi umani e politici che non la spietata durezza, potrebbe far sospettare una sua segreta ambizione: ottenere appunto risultati politici maggiori dei suoi colleghi, e persino del suo temutissimo fratello. Forse Augustin, esortando Maximilien a ispirare la sua febbrile ma buia e solitaria attività a maggiore comprensione degli "altri", e soprattutto della gente semplice delle province, da fratello e militante in sottordine si sentiva così un gradino più in alto di lui. Del resto il testo stampato in quarta di copertina del volumetto, giustamente conclude: «A forza di guardare in faccia il terrore (Augustin) comprese che fermando la metastasi della violenza si potevano preservare le conquiste rivoluzionarie. Soltanto terminando la Rivoluzione si poteva salvarla.» Ma questo mutamento di rotta non poteva riguardare l'intero schieramento giacobino, e del resto era troppo tardi perché ciò accadesse, mentre già un "terrore bianco" reazionario, quello della jeunesse dorée e dei muscardins , dava la caccia spietata agli ultimi gruppi di giacobini.

l'Unità lettere 16.11.09
La distribuzione dei film
di Ferdinando Maida

Sono un lettore dell' Unità da moltis- simi anni e non ne perdo un nume- ro. Il 12 novembre ho letto l' articolo sul film di Amenabar AGORA` e pur essendo uno tra i firmatari della pe- tizione per la sua distribuzione in Italia, mi rendo conto che le forze in campo sono davvero impari. Quin- di pur sperando in un giusto e rapi- do cambiamento a favore della di- stribuzione di questo film anche nel nostro paese mi chiedo: ma noi comuni cittadini siamo liberi di po- ter vedere le pellicole che più ci inte- ressano? E perché gli editori a noi più vicini non si impegnano per far si che queste pellicole (ce ne sono tante) abbiano sempre e comun- que un canale di distribuzione "ga- rantito"? Non è forse anche questo un modo per trasmettere cultura e opporsi a certi "regimi" che impon- gono quello che si può o non si può vedere?

lunedì 16 novembre 2009

l'Unità 16.11.09
Al via il summit della Fao
Moon: "Solo oggi moriranno 17mila bambini"
Il grido d'allarme del segretario Onu: Ogni cinque secondi muore un bambino".

Repubblica 16.11.09
Da Melandri a Lumia, da Zanda alla Serracchiani, scatta l´appello alla mobilitazione
Pd, voglia di scendere in piazza e per Bersani c´è la grana "No-B day"
di Carmelo Lopapa

Prima direzione dopo la nomina del leader. I dubbi sul nuovo responsabile della Giustizia

ROMA - La voglia di scendere in piazza si fa largo tra parlamentari e dirigenti del Partito democratico. È una voce (e una partecipazione) che cresce. E che oggi si farà sentire in occasione della direzione del partito, la prima dopo l´insediamento di Pier Luigi Bersani. Il segretario e la Finocchiaro hanno già risposto picche all´appello lanciato da Di Pietro: «Non siate gli unici a disertare la manifestazione del 5 dicembre». Ora, a tre settimane dal «NoBday», in tanti - dell´area che al congresso ha sostenuto Franceschini e non solo - fanno sapere che in piazza ci saranno.
«Trovo che in questo momento non sia importante chi organizzi un´occasione di protesta contro un governo che sta portando il prestigio dell´Italia così in basso - dice il vicecapogruppo al Senato, Luigi Zanda - Comprendo le ragioni di chi sostiene che un partito come il Pd le manifestazioni le promuove, non vi aderisce. Ma tante volte abbiamo manifestato in appuntamenti organizzati da altri e questa sarà molto partecipata e motivata dalla crisi nella quale Berlusconi sta trascinando il Paese». Insomma, «sacrosanto partecipare» per dirla con Felice Casson: «La nostra gente ha già deciso di andare perché è preoccupata. Adesso spetta alla direzione decidere cosa fare». E si augura che se ne discuta oggi anche l´eurodeputato Debora Serracchiani, «se sulla giustizia si può coinvolgere tutta l´opposizione per tornare in piazza e avanzare proposte concrete, allora è un´occasione che vale la pena sfruttare». Giovanna Melandri è cauta, «non è il caso di spaccarci tra chi va e chi no, ma in direzione bisognerà discutere anche delle forme di lotta contro lo scempio al quale stiamo assistendo: un grande partito deve pure valorizzare il sentimento diffuso che sta crescendo da Facebook, dai blog, dalle famiglie». Figurarsi chi, come Vincenzo Vita, rappresenta la gauche del Pd: «Io ci sarò, capisco Bersani, ma la piazza è un messaggio, e l´involuzione autoritaria del berlusconismo rende doveroso un segno tangibile di mobilitazione». Anche un altro senatore come Beppe Lumia sarà tra i democratici che manifesteranno, perché «in Italia si è rotto un equilibrio, il potere si ammanta di impunità e privilegio e bisogna reagire in termini culturali oltre che politici». E poi, è l´opinione di un moderato come Ermete Realacci, «la forza di questa manifestazione e la sua legittimazione stanno proprio nell´essere fuori dalle logiche dei partiti, giusto non mettere il cappello ma altrettanto lo è non demonizzarla. Se sarò a Roma un´occhiata andrò a darla». Tanti altri, bersaniani e non solo, non andranno a dare nemmeno un´occhiata. «Siamo stufi di piazze contro Berlusconi che lo fanno risalire nei sondaggi e gli fanno vincere le elezioni, le giuste cause si manifestano in Parlamento» sintetizza Roberto Giachetti.
Sta di fatto che la manifestazione di Piazza del Popolo diventa il primo nodo che il neosegretario si troverà ad affrontare. L´altro, all´ordine del giorno nella direzione di oggi, sarà la scelta del responsabile giustizia del Pd, ancor più delicata nell´imminenza di nuove battaglie parlamentari su «processo breve», immunità, riedizione del lodo Alfano. L´uscente Lanfranco Tenaglia, ex magistrato ed ex componente del Csm, torna in corsa. Sarà una disputa a due con un altro ex pm, il senatore Felice Casson (in alternativa per lui il posto di vicecapogruppo del Pd). I dalemiani non ci stanno. «Il miglior responsabile giustizia in passato è stato Pietro Folena - ragiona Nicola Latorre - Sarebbe opportuno evitare un altro magistrato e tornare a un politico». Su un punto l´intero partito è compatto, senza distinguo: il netto rifiuto della «terza via», di una trattativa per l´approvazione del lodo Alfano sotto forma di legge costituzionale. Ipotesi «impraticabile» per Bersani e per tutto il Pd.

Repubblica 16.11.09
Concluso il congresso, sì alle intese con Verdi e Socialisti
Radicali, alleanze a sinistra "Ma con il Pd solo dialogo"

MILANO - Riparte oggi. Ma lo stop è già dietro l´angolo. Il processo sui diritti tv Mediaset, nel quale, tra gli imputati, figura anche Silvio Berlusconi, potrebbe subito slittare per il legittimo impedimento invocato dal premier. Insieme al Papa e ad altri capi di Stato, Berlusconi è impegnato a Roma nel vertice della Fao in programma da oggi a mercoledì. E per questo non può seguire il processo di Milano. Così, dopo un anno di sospensione in attesa della decisione della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano, per il processo sui presunti fondi neri creati attraverso la compravendita dei diritti televisivi e cinematografici arriva subito un nuovo rinvio, forse a lunedì 23 novembre.
Due settimane fa il premier, attraverso un´istanza presentata alla cancelleria della prima sezione penale dai suoi difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo, pur esprimendo l´interesse a partecipare al dibattimento, ha chiesto di rifissare l´udienza ad altra data perché non potrà essere presente: in agenda c´è l´appuntamento romano sulla sicurezza alimentare, al quale, oltre a Papa Benedetto XVI che aprirà i lavori, hanno assicurato la propria presenza una sessantina tra capi di Stato e di Governo esteri. Il pm Fabio De Pasquale si opporrà all´istanza, sostenendo che il convegno della Fao non è un impedimento assoluto. L´iniziativa del resto dura tre giorni, dal 16 al 18 novembre, e l´imputato potrebbe essere in aula la mattina per poi proseguire per Roma. «Sarebbe davvero inquietante se il pm De Pasquale avesse un tale disprezzo per l´attività di una delle massime cariche istituzionali e per i suoi compiti concordati nel governo al punto da arrivare a stabilire le ore e i giorni nei quali il presidente sarebbe costretto ad intervenire al vertice della Fao» ha dichiarato il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. «Sarebbe la prova che c´è un disegno da parte di certi magistrati che calpestano la verità, le istituzioni e perfino i vertici internazionali», ha aggiunto il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Francesco Casoli, vicepresidente dei senatori del Pdl ha chiesto l´intervento di Nicola Mancino, vicepresidente del Csm. «Berlusconi salta l´udienza per andare al vertice Fao? Allora scelga lui quando, ma si faccia processare e non scappi», ha sostenuto, invece, il capogruppo dell´Idv alla Camera, Massimo Donadi. La decisione spetterà ai giudici.

Repubblica 16.11.09
Radicali, alleanze a sinistra ma non con il Pd
Chiusa la quattro giorni di Chianciano: Staderini nuovo segretario. Pole-mica con Bersani: "Grazie a voi fuori da Strasburgo"
di Marco Marozzi

CHIANCIANO - Nel centrosinistra, ma con Verdi e Socialisti. Non con il Pd. Con il partito di Pierluigi Bersani solo «dialogo». «Per quanto è possibile».
Dopo quattro giorni di analisi e riflessioni, nel grigiore di una Chianciano deserta, Marco Pannella ed Emma Bonino guidano i Radicali verso le elezioni regionali del 2010 cercando difficili alleanze. Nella domenica conclusiva, l´8º congresso del Pr elegge Mario Staderini, 36 anni, avvocato, segretario del partito e «saluta come un fatto nuovo e positivo l´intervento nella giornata iniziale del segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani, e auspica che esso segni una rottura della continuità, nella linea di ostilità e di negazione dell´identità e dell´autonomia radicale, linea che storicamente, da sempre, hanno seguito il Pci, il Pds, i Ds e ora il Pd». E´ una mano tesa armata: un Marco Pannella dai lunghi capelli bianchi ha alternato elogi al neosegretario Pd (unico leader arrivato a Chianciano) ad accuse. Per le elezioni europee, per la mancanza di impegni su un´alleanza con il Pr in tutte le regioni, per la candidatura «berlusconiana, sciagurata» di Massimo D´Alema a ministro degli Esteri dell´Unione europea, di aver accettato le bandiere di Di Pietro e aver «nascosto negli scantinati come una vergogna» quelle «laiche, libertarie e democratiche» del Pr. «Complimenti anche all´attuale segretario - ha detto il guru radicale - se dopo 30 anni di permanenza nel Parlamento europeo, oggi i Radicali ne sono esclusi. Il Pd ha usato in modo indecente i suoi strumenti, non solo contro di noi, ma per tradire anche il suo popolo e i suoi militanti».
Riferimento alla legge elettorale che ha reso carta straccia il 2,72% di voti radicali. «Al contempo, - dice il documento finale del congresso - i radicali denunciano la politica compromissoria con il governo Berlusconi che sta cercando di portare Massimo D´Alema alla carica di responsabile della politica estera europea». Al Pd il Pr non perdona la mancata candidatura di Emma Bonino, già apprezzata commissaria Ue ed eurodeputata. Pannella ha chiamato i dirigenti del Pd «piccoli parvenu, un gruppetto di aristocratici senza responsabilità», accusandoli di «cafonaggine» che mai «i loro predecessori del Pci hanno avuto».

Repubblica 16.11.09
Perché la tolleranza non basta più
di Zygmunt Bauman

Così nelle società globalizzate la convivenza tra culture differenti è diventata una caratteristica ineliminabile
Nel passato la presenza dello "straniero" era sempre un dato temporaneo
È necessario comprendere che le differenze sono una ricchezza inestimabile

Pubblichiamo una parte dell´intervento tenuto in videoconferenza da al convegno su "La qualità dell´integrazione scolastica" che si è tenuto a Rimini nei giorni scorsi
Vivere con gli stranieri, che è il fondamento demografico e sociale dell´esposizione alle differenze, a una qualche sorta di alterità, non è affatto nuova nella storia moderna. Ma l´idea era grosso modo che chiunque sia alieno, straniero, diverso da te perderà prima o poi il suo carattere di straniero. La politica dominante verso gli stranieri, per la maggior parte della storia moderna, è stata una politica di assimilazione: "Voi siete qui, siete fisicamente vicini; diventiamo quindi vicini anche spiritualmente, mentalmente, eticamente", che vuol dire accettare gli stessi valori universali dove però, per "universali", abbiamo sempre inteso i "nostri" valori. Quindi, con questa prospettiva dove l´essere stranieri era soltanto uno spiacevole fastidio temporaneo, non esisteva l´idea di dover imparare a vivere con il diverso.
Ora per la prima volta nella storia moderna siamo arrivati a renderci conto che le cose non stanno così. La modernità è sempre stata un periodo di migrazioni massive di persone da un continente all´altro, da un capo del mondo all´altro, da una cultura all´altra, e la migrazione è avvenuta per necessità nelle circostanze moderne in cui le persone cosiddette in soprannumero, persone per cui non si poteva trovare una sistemazione nella loro società d´origine, non c´era spazio per loro nel nuovo ordine, nel nuovo stato avanzato del progresso economico, erano costrette a viaggiare. Tuttavia c´è una differenza: le migrazioni contemporanee hanno un carattere diasporico, non assimilatorio. Le persone che vanno in un altro Paese non ci vanno con l´intenzione di diventare come la popolazione ospite. La popolazione ospite, nativa, non è particolarmente interessata ad assimilarle.
Ci sono circa 180 diaspore che convivono a Londra, 180 diverse lingue, culture, tradizioni, memorie collettive. E il problema è che se la politica di assimilazione non è più facilmente percorribile, come possiamo vivere giorno per giorno con gli stranieri? Come possiamo comunicare, cooperare, vivere in pace senza che noi perdiamo la nostra identità e che loro perdano la loro, quindi in una coabitazione che non porta all´uniformità? In altre parole la questione non è più quella di essere tolleranti verso le persone diverse. La tolleranza in realtà è molto spesso un altro volto della discriminazione. "Sono tollerante verso le tue abitudini e le tue usanze bizzarre. Sono una persona molto aperta, sono superiore a te. Capisco che il mio stile di vita è irricevibile per te. Tu non puoi raggiungere lo stesso livello. Quindi ti permetto di seguire il tuo stile di vita ma io non lo farei mai se fossi in te". La sfida con cui ci dobbiamo confrontare oggi consiste nel passare da questo atteggiamento di tolleranza a un livello più alto, cioè a un atteggiamento di solidarietà. Dobbiamo rassegnarci al fatto che ci sono degli stranieri ma anche imparare a ricavarne dei vantaggi. La maggior parte di noi vive in grandi città. Le città sono sempre piene di stranieri e la loro presenza è inquietante perché non sai come si comporterebbero se non li tenesse a distanza, destano sospetto, fanno orrore semplicemente perché sono delle entità estranee. Gli stranieri fanno paura. Ho chiamato questa paura tipica delle città contemporanee mixofobia, la fobia di mescolarsi con altre persone, perché là dove ci mescoliamo ad altre persone in un ambiente poco familiare tutto può succedere.
Ma la stessa condizione di mescolanza con gli stranieri provoca anche un altro atteggiamento. Ci sono due reazioni contraddittorie al fenomeno, entrambe osservabili nelle città contemporanee. La seconda è la mixofilia, la gioia di essere in un ambiente diverso e stimolante. Hannah Arendt fu probabilmente la prima pensatrice moderna che ripensando a Gotthold Ephraim Lessing, uno dei pionieri dell´Illuminismo tedesco, vide in lui una delle figure più lungimiranti fra i filosofi della prima modernità. Secondo Lessing non bisogna limitarsi ad accettare il fatto che la differenza sia destinata a perdurare ma bisogna effettivamente apprezzarla, riconoscere che in essa c´è un potenziale creativo senza precedenti. Il fatto di mettere insieme esperienze, ricordi, visioni del mondo molto diverse può portare a una prosperità di sviluppo culturale. È troppo presto per dire quali potranno essere gli sviluppi perché le due tendenze contrapposte, la mixofobia e la mixofilia, hanno più o meno uguale forza. A volte prevale l´una, a volte l´altra. La questione è incerta, siamo ancora nel mezzo di un processo che non sappiamo bene come andrà a finire.
Quel che stiamo facendo nelle vie delle città, nelle scuole primarie e secondarie, nei luoghi pubblici dove stiamo accanto ad altre persone è di estrema importanza non soltanto per il futuro delle città in cui vogliamo trascorrere il resto della nostra vita, o perlomeno in cui viviamo al momento, ma è di somma importanza per il futuro dell´umanità. Viviamo in un mondo globalizzato. La globalizzazione ha raggiunto un punto di non ritorno, non possiamo tornare indietro, siamo tutti interconnessi e interdipendenti. Ciò che avviene in luoghi remoti ha un impatto formidabile sulle prospettive di vita e sul futuro di ognuno di noi. Quindi è giunto il momento di fare ciò che Lessing predisse che avremmo dovuto fare, cioè imparare ad apprezzare le opportunità create dalle nostre differenze, anziché temere le conseguenze morbose del convivere con le differenze. Ci confrontiamo con le conseguenze della globalizzazione in ogni strada delle città in cui viviamo, in ogni scuola in cui insegniamo, ma dal canto opposto per la stessa ragione, le città, le scuole sono il laboratorio in cui sviluppiamo i modi per imparare, trarre beneficio, tesaurizzare e rallegrarci per l´appunto della natura diasporica della realtà contemporanea. Non sto dicendo che si tratti di un compito facile. Confrontarsi con una sfida che i nostri antenati non hanno mai raccolto, ci pone di fronte a un compito che mette a dura prova la nostra mente e le nostre emozioni e che dobbiamo riuscire ad affrontare nel suo dispiegarsi, in corso d´opera, senza disporre di soluzioni precostituite.

Corriere della Sera 16.11.09
Staderini eletto segretario
Radicali, chiuse le assise Appello di Pannella a Pd, verdi e socialisti

CHIANCIANO — ( m.ne.) Mario Staderini ( foto ) è stato eletto segretario dei radicali italiani, al termine del Congresso tenuto a Chianciano. Avvocato di 36 anni, Staderini è consigliere comunale a Roma.

Ha ottenuto 152 voti. L'altra candidata, Valeria Manieri, giovanissima dirigente politica romana di 25 anni sostenuta da Marco Pannella, ha ottenuto 44 preferenze. L’ultima giornata di Congresso ha assistito a un nuovo intervento di Pannella, il quale ha chiamato a raccolta Verdi, Socialisti e il Pd per creare un'alleanza «alternativa al regime». Purché il Pd di Bersani «cessi l'ostilità nei confronti dei radicali», rimproverata a Veltroni. Il leader radicale ne ha anche per Berlusconi: viaggia «verso la catastrofe sua e del Paese». Pannella gli rimprovera di sostenere la candidatura di D'Alema come ministro degli esteri europeo. «Un errore, e sbaglia anche il Pd che accetta». Lui preferiva Emma Bonino.

Corriere della Sera 16.11.09
Anteprima Le carte inedite di Claretta dal ’32 al ’38. Le confidenze del capo del fascismo: «Hitler è un sentimentalone». «Ho un folle desiderio di te»
Mussolini segreto nei diari della Petacci
di Antonio Carioti

Furibondo con ebrei e Pio XI, spavaldo nelle fantasie erotiche: le confessioni del Duce alla sua amante

Avete presente il Benito Mussolini descritto nei ricordi di seguaci e parenti, o quello che emerge dai suoi pretesi «diari» acquistati da Marcello Dell’Utri, di cui gli storici negano l’autenticità? Un uomo bonario, attaccato alla famiglia, diffidente verso i nazisti, ossequioso nei riguardi del Papa, generoso con gli ebrei e dubbioso sulle leggi razziali. Ebbene, dai diari della sua amante, Claretta Petacci, esce un ritratto opposto in tutto e per tutto: un Duce ferocemente antisemita, che rivendica il suo razzismo di lunga data, sprezzante verso la moglie, insofferente dei Savoia, ammaliato dalla potenza del Terzo Reich, furibondo con Pio XI per le sue parole in difesa degli ebrei.

Le eloquenti confidenze del Duce, trascritte dalla Petacci e qui anticipate, provengono dal volume Mussolini segreto (Rizzoli, pp. 521, € 21), in uscita dopodomani, nel quale Mauro Suttora ha raccolto una sintesi dei diari di Claretta dal 1932 al 1938. Per i primi anni si tratta di biglietti e brevi annotazioni, ma dall’ottobre 1937 il resoconto diventa fluviale. Naturalmente non tutto il contenuto dei diari può essere preso per oro colato. Sulla sincerità dei proclami di amore eterno, delle recriminazioni di Mussolini verso la moglie (afferma di essere stato tradito per lungo tempo) o di certe vanterie erotiche (sostiene che Maria José di Savoia, moglie del principe Umberto, avrebbe tentato di sedurlo) è lecito nutrire dubbi. Ma non si vede perché il Duce avrebbe dovuto alterare i suoi giudizi politici parlando con Claretta. Oggetto di un lungo contenzioso tra lo Stato e la famiglia Petacci, che non ha mai smesso di rivendicarli, ma ha visto respingere le sue richieste, i diari si trovano all’Archivio di Stato, «la cui lunga custodia di questi documenti — sottolinea Suttora — ne garantisce l’autenticità». Dopo il primo blocco, altre annate saranno desecretate «allo scadere dei settant’anni dalla loro compilazione». E secondo Ferdinando Petacci, nipote e oggi unico erede di Claretta, potrebbero contenere novità esplosive, tali da far ritenere che l’amante del Duce fosse in qualche modo collegata a Winston Churchill. Ma anche se l’ipotesi si rivelasse infondata, il contributo di queste carte alla conoscenza dell’uomo Mussolini resta indiscutibile.

5 gennaio 1938. Mussolini riceve l’amante a Pa­lazzo Venezia. Tenero e appassionato, ricorda la se­rata precedente. E lei riporta così le sue parole.

«Lo sai amore che ieri sera a teatro ti ho spoglia­ta tre volte almeno? Quando mi sono alzato in piedi dietro a mia moglie sentivo di prenderti. Avevo un folle desiderio di te. Mi dicevo: 'Il suo piccolo cor­po, la sua carne di cui io sono folle, domani sarà mia'. Ti vedevo, e quando sei salita su ti sei accorta che ti spogliavo. Ti guardavo, ti svestivo e ti deside­ravo come un folle. Dicevo: 'Il suo corpicino delizio­so è mio, è tutto mio. Io la prendo, vibra per me, è un tutt’uno con il mio corpo'. Vieni, ti adoro. Come puoi pensare che io, schiavo della tua carne e del tuo amore, pensi ad altre».

19 febbraio 1938 . Al monte Terminillo, Claretta amareggiata rinfaccia a Mussolini le scappatelle con altre donne. Lui si scusa.

«Sì amore, faccio male, tanto più che ti amo sem­pre di più, e sento che mi sei necessaria più di ogni cosa. Ti adoro e sono uno sciocco. Non ti devo far soffrire, anche perché questa tua sofferenza si river­sa su di me, perché io soffro di ciò che soffri» 17 luglio 1938. Mussolini e Claretta sono al ma­re, a Ostia. Lei riferisce un suo sfogo.

«Ah, questi italiani, io li conosco bene, li vedo nelle viscere. E so che sto sullo stomaco a molti. L’entusiasmo è un’apparenza. La verità è che sono stanchi di me, che li faccio marciare» 4 agosto 1938. I due amanti sono in barca. Venti giorni prima è uscito il Manifesto della razza.

«Io ero razzista dal ’21. Non so come possano pen­sare che imito Hitler, non era ancora nato. Mi fanno ridere. (...) Bisogna dare il senso della razza agli ita­liani, che non creino dei meticci, che non guastino ciò che c’è di bello in noi».

28 agosto 1938. Sono insieme sulla spiaggia. Mussolini legge, poi scatta.

«Ogni volta che ricevo il rapporto dell’Africa ho un dispiacere. Anche oggi cinque arrestati perché convivevano con le negre. (...) Ah! Questi schifosi d’italiani, distruggeranno in meno di sette anni un impero. Non hanno coscienza della razza».

1 ottobre 1938. Il Duce racconta all’amante i retroscena della conferenza di Monaco, nella quale Francia e Gran Bretagna hanno accettato le pretese di Hitler sulla Cecoslovacchia.

«Le accoglienze di Monaco sono state fantasti­che, e il Führer molto simpatico. Hitler è un senti­mentalone, in fondo. Quando mi ha veduto aveva le lagrime agli occhi. Mi vuole veramente bene, mol­to. (...) Ma ha degli scatti di una violenza che solo io riuscivo a frenare. Faceva faville, fremeva, si conte­neva con sforzo. Io invece, l’imperturbabile. (...) «Ormai le democrazie devono cedere il passo al­le dittature. Noi eravamo una forza sola, avevamo un significato, rappresentavamo un’idea e un popo­lo. Lui con la camicia bruna, io in camicia nera. Lo­ro così, umiliati e soli. Ti sarebbe piaciuto davvero, essere lì a vedere. (...) «La vittoria è ormai delle dittature. Questi regimi vecchio stile non vanno più, sono creatori di disor­dine. Uno solo deve essere al timone, e comandare. Oggi la Germania è la più grande potenza del mon­do. Sono ottanta milioni di uomini che bisogna pen­sarci, prima di attaccarli. (...) Dovevi vedere con che affetto, simpatia e devozione mi hanno accolto ovunque lungo la strada. Hanno compreso anche là che l’artefice della pace, l’unico che poteva far desi­stere Hitler da qualsiasi movimento, ero io. Lo smacco della politica rossa è insormontabile. No, è falso, non abbiamo mai mangiato insieme a Dala­dier e a Chamberlain. Sempre fra nazisti e fascisti, e mi sono trovato benissimo».

8 ottobre 1938. Mussolini è indignato con Pio XI, che ha dichiarato «spiritualmente siamo tutti semiti» e chiede di riconoscere la validità dei matri­moni religiosi misti tra ebrei e cattolici.

«Tu non sai il male che fa questo papa alla Chie­sa. Mai papa fu tanto nefasto alla religione come questo. Ci sono cattolici profondi che lo ripudiano. Ha perduto quasi tutto il mondo. La Germania com­pletamente. Non ha saputo tenerla, ha sbagliato in tutto. Oggi siamo gli unici, sono l’unico a sostenere questa religione che tende a spegnersi. E lui fa cose indegne. Come quella di dire che noi siamo simili ai semiti. Come, li abbiamo combattuti per secoli, li odiamo, e siamo come loro. Abbiamo lo stesso san­gue! Ah! Credi, è nefasto.

«Adesso sta facendo una campagna contraria per questa cosa dei matrimoni. Vorrei vedere che un italiano si sposasse con un negro. Abbiamo vedu­to che anche i matrimoni con i bianchi stranieri por­tano, in caso di guerra, alla disgregazione delle fa­miglie. Perché l’uno e l’altro coniuge si sentono in quell’attimo assolutamente per la propria Patria. Perché l’hanno nel sangue. Di qui naturalmente l’impossibilità d’accordo, e le famiglie a rotoli. Lui dia pure il permesso, io non darò mai il consenso. (...) Ha scontentato tutti i cattolici, fa discorsi cattivi e sciocchi. Quello dice: 'Compiangere gli ebrei', e dice: 'Io mi sento simile a loro'... È il colmo».

11 ottobre 1938. Al mare con Claretta, il Duce si scaglia contro gli ebrei.

«Questi schifosi di ebrei, bisogna che li distrug­ga tutti. Farò una strage come hanno fatto i turchi. Ho confinato 70 mila arabi, potrò confinare 50 mila ebrei. Farò un isolotto, li chiuderò tutti là dentro. (...) Sono carogne, nemici e vigliacchi. Non hanno un po’ di gratitudine, di riconoscenza, non una lette­ra di ringraziamento. La mia pietà era viltà, per lo­ro. Dicono che abbiamo bisogno di loro, dei loro denari, del loro aiuto, che se non potranno sposare le cristiane faranno cornuti i cristiani. Sono gente schifosa, mi pento di non aver pesato troppo la ma­no. Vedranno cosa saprà fare il pugno d’acciaio di Mussolini. (...) È l’ora che gli italiani sentano che non devono più essere sfruttati da questi rettili».

10 novembre 1938. Il governo approva il decreto legge sulla razza che entrerà in vigore una settima­na dopo. Benito ne parla a Claretta.

«Oggi abbiamo trattato la questione degli ebrei. Certamente sua Santità solleverà delle proteste, per­ché non riconosceremo i matrimoni misti. Se la Chiesa vorrà farne, faccia pure. Però noi, Stato, non li riconosceremo, e saranno come amanti. Di conse­guenza, nemmeno i figli. Tutti quelli che si sono fat­ti cattolici fino ad oggi, e quindi i figli, rimarranno come adesso. Dalla data stabilita in poi non si am­metteranno più. Diversamente si farebbero tutti cat­tolici pur di potersi sposare, e allora la questione della razza non avrebbe ragion d’essere. Questo il Papa non lo vuol capire, quindi faccia come crede».

16 novembre 1938. Nuovo sfogo contro Pio XI.

«Ah no! Qui il Vaticano vuole la rottura. Ed io romperò, se continuano così. Troncherò ogni rap­porto, torno indietro, distruggo il patto. Sono dei miserabili ipocriti. Ho proibito i matrimoni misti, e il papa mi chiede di far sposare un italiano con una negra. Solo perché questa è cattolica. Ah no! A co­sto di spaccare il muso a tutti».

domenica 15 novembre 2009

Repubblica 15.11.09
Accanimento terapeutico
di Alessandra Longo
Se siamo destinati a morire, «tanto vale morire comunisti». Non è un epistolario allegro quello dei militanti che scrivono sul blog di Paolo Ferrero. In vista del "No Berlusconi day" del 5 dicembre, il segretario di Rifondazione invita i suoi al dibattito sia sul sito del partito che nella sua casa online. Viene fuori il malessere della base (ore pessime anche per Sinistra e Libertà, oscurata in rete dalla componente socialista). Alessio provoca: «Il progetto di Rifondazione è fallito. Poniamo fine a questo accanimento terapeutico». Tiziana sintetizza e non c´è da stare allegri: «C´è chi sostiene che dobbiamo calarci le braghe per stare con gli altri (della sinistra-ndr) e chi preferisce morire per non stare con gli altri». Busta numero uno o busta numero due?

Corriere della Sera 15.11.09
Obama: «Una Cina forte è un bene per il mondo»
Il presidente americano: «Il Pacifico unisca» Pechino ordina l’arresto di decine di dissidenti
di Paolo Valentino

SINGAPORE — Il nuovo Im­pero di Mezzo non fa paura al­l’America. Gli Usa non si sento­no minacciati e «non cercano di contenere» l’ascesa cinese. Guardano con favore all’ambi­zione di Pechino di giocare un ruolo più importante nel mon­do interconnesso, dove il «pote­re non è più un gioco a somma zero» e «la crescita economica comporta una crescita delle re­sponsabilità ». Washington vuo­le una «relazione più profonda con la Cina», senza per questo indebolire, anzi rafforzando i rapporti con i tradizionali allea­ti asiatici, dal Giappone alla Co­rea del Sud.

Barack Obama è arrivato ieri sera a Singapore, dove parteci­pa al vertice dell’Apec, il forum per la cooperazione economica dell’Asia-Pacifico. Ma prima di volare verso gli Stretti, il presi­dente americano ha delineato la sua nuova architettura strategi­ca e diplomatica nell’area dove sempre più si giocano i destini degli Stati Uniti e del pianeta: «Ciò che succede qui influenza direttamente la vita a casa no­stra » ha detto nel discorso alla Suntory Hall di Tokio. Invocan­do ancora una volta la propria biografia, «la mia vita è parte di questa storia, sono nato alle Hawaii e cresciuto in Indone­sia », Obama ha rivendicato a sé il titolo di «primo presidente del Pacifico», proiettando il fu­turo dell’America sull’Oceano «che non la separa, ma la unisce all’Asia». E ha spiegato che il ri­lancio delle vecchie alleanze e la costruzione di quelle nuove an­dranno di pari passo con lo svi­luppo delle organizzazioni mul­tilaterali regionali: «I giorni del disimpegno degli Usa sono fini­ti ». Oggi Obama sarà il primo presidente americano a incon­trare tutti insieme i dieci leader dell’Asean, l’Associazione dei Paesi del Sud-Est asiatico. Nel disegnare gli scenari futuri, il ca­po della Casa Bianca ha mostra­to il volto di un Paese che vuole imparare dagli errori del passa­to, promettendo «una nuova strategia di crescita economica equilibrata » .
Per gli Usa, ciò significherà «spendere meno, risparmiare di più, riformare il sistema fi­nanziario, ridurre il debito»: «Una delle lezioni di questa re­cessione è di averci mostrato i limiti di una ripresa basata in primo luogo sul consumo ame­ricano e sulle esportazioni asia­tiche ». Parte integrante di que­sta strategia, ha detto Obama pur senza dare indicazioni con­crete, sarà concludere il Doha Round, «non sulla base di un’in­tesa qualunque, ma di un accor­do che apra i mercati e faccia prosperare liberamente il com­mercio mondiale » .
Sulla sicurezza nucleare nella regione, Obama è stato molto netto con la Corea del Nord, of­frendo a Pyongyang la prospetti­va di grandi opportunità econo­miche e l’integrazione nella co­munità internazionale, a condi­zione che rinunci al suo pro­gramma atomico e rispetti gli impegni presi: «Continueremo a mandare un messaggio chia­ro, non solo a parole ma anche con le nostre azioni». Più generi­co, il presidente è stato sul tema dei diritti umani. Pur dedicando­vi un lungo passaggio, il solo ri­ferimento concreto è stato alla dittatura di Myanmar, l’ex Bir­mania, i cui dirigenti saranno presenti oggi al vertice Asean. Obama ha chiesto la liberazione dei capi dell’opposizione demo­­cratica, «compreso il premio No­bel Aung San Suu Kyi».
Ma nel chiaro intento di non irritare i cinesi alla vigilia della visita a Shanghai e Pechino, Obama non ha menzionato di­rettamente il Tibet o il tratta­mento dei dissidenti politici in Cina, nonostante numerosi op­positori — come riferisce Hu­man Rights in China — siano stati arrestati in questi giorni dalle autorità di Pechino. «Non vacilleremo mai — ha detto an­cora il presidente americano — nel difendere i valori che ci stan­no a cuore e includono il rispet­to per la religione e le culture di tutti i popoli, poiché l’appoggio ai diritti e alla dignità umana fanno parte dell’America. Ma possiamo portare avanti queste discussioni in uno spirito di co­operazione e non di rancore».

Corriere della Sera 15.11.09
Il «No B day»
Manifestazione anti-Cavaliere Il simbolo sarà il colore viola

ROMA — Il tam-tam è partito dalla rete e ha già raccolto 250 mila fan: tutti contro Silvio il 5 dicembre. È il No B Day, la manifestazione nazionale lanciata su Facebook per chiedere le dimissioni del premier.
Nato come «apartitico», l’evento, il cui simbolo sarà il colore viola, è piombato nel dibattito politico e ora rischia di dividere le opposizioni.
Antonio Di Pietro, durante il corteo della Cgil, ha provocato il segretario del Pd: «Spero che il mio amico Bersani non sia l’unico che rimanga fuori. E spero che ricordi anche lui a Berlusconi che è ora che se ne vada a casa». Un appello alla piazza che ha innervosito i vertici del Pd. Filippo Penati critica i «toni sopra le righe» di Di Pietro contro il Pd, toni che rischiano di «favorire Berlusconi». E Di Pietro si affretta a chiarire: «Non ho avanzato una critica, ma una supplica. Serve un atto di forza verso il governo». Frena però Enrico Letta, numero due del Pd: «Ho dubbi sulle manifestazioni ad personam » .

Corriere della Sera 15.11.09
Il congresso radicale Bonino: la distribuzione della pillola abortiva Ru486 è una nostra vittoria
E Pannella «incorona» Bersani: è simpaticissimo. Alleanza con lui o niente
Secondo Pannella «Berlusconi è il prodotto di un male assoluto, la partitocrazia»
di Marco Nese

CHIANCIANO — «La distri­buzione della pillola abortiva RU486 è una nostra vittoria», proclama Emma Bonino. E Marco Pannella ostenta un al­tro merito del suo gruppo: «Alle elezioni che portarono Prodi al governo abbiamo strappato 400 mila voti alla destra».
Al Congresso in corso a Chianciano va in onda l'orgo­glio radicale. Una fierezza che fa gridare al vecchio leader Pannella: «Voglio una grande alleanza con il Pd o niente». Un'alleanza per le prossime elezioni regionali, «un appun­tamento storico che non pos­siamo mancare ». Le condizio­ni per una collaborazione for­te sembrano promettenti. Il neosegretario del Pd Pierluigi Bersani è venuto qui l'altra se­ra, in apertura dei lavori, e le sue parole hanno rivelato a Pannella un atteggiamento del tutto diverso rispetto a quelle dell'ex segretario Fran­ceschini.
Al «simpaticissimo Bersa­ni », Pannella annuncia che è «divenuto un eroe perché ha pronunciato la parola radica­li ». Cosa che mai si erano de­gnati di fare Veltroni, France­schini, Fassino, «il gruppetto del loft, i cui comportamenti erano inauditi». Nell'alleanza dovrebbero confluire i Verdi («assieme a noi vogliamo far­gli riprendere fiducia») e an­che i socialisti, impresa più difficile perché Bobo Craxi non è apparso così ottimista riguardo alla possibilità di un’intesa col Pd.
Di Berlusconi Pannella dice che è «il prodotto di quel ma­le assoluto», la partitocrazia, manifestatasi fin dall'inizio della prima Repubblica. E og­gi domina un «tandem, l'im­presa comune Berlusco­ni- D’Alema».
Memore della campagna dei radicali per l'abolizione della pena di morte, l'ex presi­dente della Repubblica Fran­cesco Cossiga, ha fatto perve­nire a Pannella un messaggio per incitarlo a mobilitarsi allo scopo di evitare l'esecuzione capitale dei 5 terroristi di al Qaeda detenuti a Guantana­mo che stanno per essere pro­cessati a New York.
Alla Bonino, Bersani è pia­ciuto un po' meno perché ha detto che «il crocefisso non dà fastidio proprio a nessu­no ». Allora dev'essere chiaro che i radicali sono pronti al dialogo col Pd purché sia con­divisa la «battaglia gandhiana sui temi della libertà democra­tica e della cultura liberale»'.
Renata Polverini, segreta­rio generale dell'Ugl, candida­ta alla presidenza della regio­ne Lazio, è stata accolta da Pannella con un: «Ti hanno già fregata?». E lei ha replica­to: «Ci stanno provando». Poi si è presa gli applausi dei radi­cali quando ha auspicato la de­penalizzazione dei reati per sfoltire l'eccessivo numero dei detenuti nelle carceri.

venerdì 13 novembre 2009

l’Unità 13.11.09
Quando a impazzire è lo psichiatra
risponde Luigi Cancrini

La strage avvenuta in una delle più grandi basi militari del Texas è stata perpetrata da uno psichiatra dell’Esercito. È noto che all’interno dell’esercito USA circolano con estrema facilità farmaci psicotropi som- ministrati con superficialità al personale, militare e non. Questi prodot- ti hanno effetti collaterali con comportamenti suicidi ed omicidi.
RISPOSTA L’uso indiscriminato di farmaci antidepressivi è estre- mamente pericoloso quando la depressione ha una origine post trauma- tica. L’unico modo serio di affrontare terapeuticamente questi disturbi è quello legato alla elaborazione del lutto. Spingere la persona ad uscire dal guscio in cui tenta di chiudersi con farmaci stimolanti senza tenerne conto porta spesso allo sviluppo di una inquietudine sempre più difficile da capire e da controllare. Si spiega anche così, in letteratura e nella clinica il numero anomalo di suicidi e di atti violenti (soprattutto in ambito familiare ma anche, a volte, fuori di questo) dei reduci da un luogo di guerra vissuto come umiliante e ingiusto da quelli che lo hanno conosciuto senza essere difesi da un minimo di fanatismo paranoico (o patriottico). Vittima di un processo in cui gli affari dell’industria farma- ceutica si intrecciano con quelli dei militari e con l’ignoranza di chi lo ha formato, lo psichiatra che spara all’impazzata contro la gente cui non sa dare aiuto è un simbolo perfetto del vicolo cieco in cui la psichiatria si sta rinchiudendo nel tempo (depressivo) degli antidepressivi.

Repubblica 13.11.09
Passione e politica. Quel testo tirato sul muro
"Questa roba è immorale" e con la rabbia di Anna la politica diventa emotiva
di Filippo Ceccarelli

La scelta della sottosegretaria: forfait alla Camera per andare in tv

Giacca bianca, rosa nera, orecchini a mosaico. Si perdoni qui l´esordio frivolo. Ma chi ha assistito alla scena in cui la capogruppo pd ha sbattuto il testo del ddl Mills sullo stipite della porta della Sala Maccari, al Senato, non manca di ricordare che anche ieri la Finocchiaro era molto elegante.
Certo anche il luogo, illustrato sulle pareti con i più virtuosi esempi della storia della Roma repubblicana, infervorate orazioni, vegliardi ciechi che si fanno condurre in Campidoglio per respingere le lusinghe del nemico, oppure senatori che rimangono immobili come statue di fronte alle beffe dei barbari, ecco, di sicuro pure la scenografia ha contribuito a intensificare l´impatto visivo del numero della capogruppo, di quella sua minacciosa e simbolica sventola al provvedimento, tanto che i giornalisti ne hanno dato immediato conto, vedi l´Ansa: «Giustizia: Finocchiaro sbatte testo ddl Ghedini contro porta».
Quel che poi accadrà effettivamente a Palazzo Madama è, come sempre, un altro conto. Ma nel frattempo il gesto arriva ad esprimere con qualche supplemento d´energia ciò che le parole, evidentemente, non riescono più tanto a fissare, tantomeno a ribaltare la tradizionale impressione secondo cui «le chiacchiere - come si dice a Roma con bimillenaria esperienza di vita parlamentare - stanno a zero». Ecco, adesso, per oggi, magari, un po´ meno.
Anna Finocchiaro, che pure fino a ieri aveva fama di compostezza (i politici preferiscono «sobrietà»), ha fatto dunque qualcosa di più che denunciare il centrodestra di «ingiustizia» e «immoralità». Ha suggerito modifiche praticabili per accorciare le lentezze del processo penale. Ma soprattutto è sembrata restituire all´opposizione il valore di un moto spontaneo dell´anima, un gesto di stizza o di rabbia comunque venuto fuori senza pregiudiziale calcolo, né preventivato effetto, anche se davanti a sé la presidente dei senatori aveva pur sempre una nutrita platea di giornalisti - e ormai i politici hanno imparato bene di che cosa l´informazione va alla ricerca in questo tempo di fragilità emotive e risonanze spettacolari.
Con obiettiva malagrazia il senatore Boscetto, del Pdl, ha ieri parlato di «scena isterica». Con altrettanta malizia, non troppo lontano dallo schieramento del Pd, si faceva notare che martedì prossimo si voteranno i capigruppo sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, la Finocchiaro dovrebbe essere riconfermata, ma stai a vedere: magari la furiosa passione potrebbe tornarle utile, tanto più se modulata con criteri di intermittenza e retrattile spettacolarità.
E tuttavia, al netto dei sospetti e delle cattiverie: il fatto stesso che la naturalezza e l´impulsività facciano notizia dice parecchio sulle modalità espressive dell´odierna vita pubblica e sulle sue vaste, continue e crescenti contraffazioni. Fra collera e teatro, sentimento ed enfasi il confine è labile, è mobile e talvolta è pure fruttuoso. Sempre più la politica e il potere vivono di gesti.
Vero è che la casistica degli sbocchi d´ira è già abbastanza nutrita. Senza riandare a Craxi, che una volta pare abbia sollevato il tavolo del Consiglio dei ministri, né dilungarsi sugli orizzonti espressionistici del «santanchismo», c´è da rubricare un D´Alema che alla fine della Bicamerale spinge via dal suo scranno un mezzo chilo di dossier; c´è Rosy Bindi, ministro della Sanità, che a palazzo Chigi sbatte le sue carte sul banco mettendosi a piangere; c´è la Prestigiacomo che, insultata sulle quote rosa, spedisce in volo decine di fogli al Senato; c´è il presidente Rai Petruccioli che lancia in aria un quotidiano con un articolo sgradito. E forse c´è addirittura Berlusconi che in un comizio elettorale strappa il programma del centrosinistra. Forse perché lui di solito i gesti spontanei se li prepara; o gli vengono tali anche se non lo sono. Magari si potrebbe chiedere una parola risolutiva agli austeri, impassibili senatores della Sala Maccari.

Repubblica 13.11.09
Tensione a Bari, la Digeronimo rifiuta di lavorare in pool
Fuga di notizie su Vendola scontro tra procuratore e la pm
di Lello Parise

BARI - Il sostituto procuratore Desirèe Digeronimo rifiuta di lavorare in pool a proposito delle indagini legate alla malasanità. La «sistematica fuga di notizie» di cui l´altro giorno aveva preso atto «con rammarico» il procuratore di Bari Antonio Laudati, fa salire la tensione a Palazzo di giustizia. Ieri il capo dell´Ufficio del pm ha un faccia a faccia con la Digeronimo, destinataria della "annotazione" dei carabinieri che tirava in ballo il governatore Nichi Vendola e che mercoledì era stata pubblicata da Libero. Qualche ora più tardi, lo stesso Laudati faceva sapere che nei confronti di Vendola «attualmente non c´è nessun procedimento penale» e annunciava «conseguenze sotto il profilo organizzativo e processuale» dopo l´apertura dell´ennesimo buco nella rete del segreto istruttorio. Mentre alcune fonti giudiziarie rivelano che la Digeronimo non voleva essere affiancata da altri magistrati per mandare avanti l´inchiesta. Questo per scongiurare proprio fughe di notizie.
Nel frattempo Vendola assicura di «essere uscito rafforzato» da questa storia. Per i militari dell´Arma avrebbe cercato di «imporre le nomine di direttori sanitari e amministrativi, nonché di primari» all´interno delle Asl pugliesi. Ma Laudati aveva bagnato le polveri dei sospetti: «Vendola non è indagato». Ce n´è quanto basta tuttavia perché nell´arcipelago del centrosinistra ci sia chi agiti il fantasma del complotto. L´assessore comunista Michele Losappio parla senza mezzi termini di «pezzi dei servizi segreti che lavorano per avvelenare il clima politico». La tesi è che sarebbe in atto il tentativo di «condizionare la scelta» del candidato progressista alla presidenza della Regione per le elezioni del 2010. In pole position c´è Vendola, che domenica celebrerà se stesso nel corso di una convention alla Fiera del Levante. Ma che rischiava di fare flop se «lo stile della procura» non avesse disinnescato «il siluro». Racconta Vendola: «La montagna ha partorito il topolino. Quelli che volevano trascinarmi in qualche gorgo di sangue sono stati i protagonisti di una volgare diffamazione, orchestrata in un poligono di tiro chiamato Libero». Per oggi e domani, intanto, si dà appuntamento a Bari lo stato maggiore dell´Udc, a cui il Pd vorrebbe allargare la maggioranza. Ma i Casini boys reclamano che Vendola si faccia da parte. Spiega il coordinatore del partito, Angelo Sanza: «L´unico che sarebbe in grado di convincerlo a fare un passo indietro, è Massimo D´Alema».

Repubblica 13.11.09
La Cei: "Crocifisso, l'Europa ci ripensi"
Il cardinale Bagnasco all'assemblea di Assisi. Incontro Fini-Bertone: le leggi difendano la vita
di Orazio La Rocca

I cattolici possono stare in qualunque formazione politica se liberi di proclamare i propri valori
Positive le primarie ogni forma di partecipazione democratica va favorita
Contrari a quella di Strasburgo, un pronunciamento incomprensibile e surreale

ASSISI - «I cattolici possono stare in qualsiasi formazione politica, ma con la libertà di proclamare coerentemente i loro valori». L´autorevole placet - quasi un via libera per quei politici che dicono di avere la fede cattolica - arriva, un po´ a sorpresa, dal cardinale presidente dei vescovi, Angelo Bagnasco. Il porporato - alla conferenza stampa finale dell´Assemblea Cei tenuta ieri ad Assisi - tocca anche altre importanti questioni socio-politiche come le recenti elezioni primarie del Pd («importante evento di democrazia»); e la sentenza di Strasburgo contro il crocifisso nelle scuole, parlando a questo proposito di «pronunciamento surreale» in merito al quale invita l´Europa a «fare una riflessione sul merito e sul metodo di un provvedimento che va contro la cultura e l´identità europea». Concetti rilanciati, in serata, anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini e dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, alla commemorazione a Montecitorio del settimo anniversario della visita di papa Wojtyla, ricordato dal docufilm Credo di Alberto Michelini. Bertone ha anche avvertito che le leggi dello Stato «promuovano la difesa dei diritti fondamentali della persona umana sia essa embrionale o morente»; mentre per Fini «l´identità culturale dell´Italia non può fare a meno della presenza della Chiesa e del cristianesimo».
«Non è compito della Chiesa dare giudizi politici o fare considerazioni partitiche che non le competono», risponde Bagnasco a chi gli chiede un parere sul nuovo partito dell´ex Pd Francesco Rutelli, una formazione che punta anche ai cattolici. Ma subito dopo precisa: «A noi, come Chiesa, interessa solo che i cattolici, là dove sono, possano esprimere liberamente con coerenza le loro convinzioni ed i loro valori. I cattolici possono stare ovunque, operando però in coscienza». Positivo il giudizio sulle primarie del Pd perché, spiega, «la gente ha bisogno di partecipare, come dimostrano i circa 3 milioni di persone che vi han preso parte». «Ogni forma di partecipazione democratica - per il cardinale - merita di essere favorita, perché sono un ottimo deterrente alla deriva di un clima urlato che non favorisce nessuno». Bagnasco rilancia pure l´invito a politici e mass media, come già aveva fatto lunedì all´apertura dell´Assemblea, ad abbassare «i toni delle polemiche per il bene dell´Italia». Torna, inoltre, a bocciare la ventilata ora islamica nelle scuole pubbliche, ed a sottolineare la «validità» dell´insegnamento dell´ora di religione, «i cui docenti devono essere però selezionati dalla Chiesa per una forma di serietà e di garanzia dottrinale». Tra le note dolenti, Bagnasco si mostra perplesso per la Finanziaria che ha abolito il 5 per mille («Un sistema di sostentamento utile per tante opere di volontariato»), e dà voce anche «alle preoccupazioni dei vescovi abruzzesi per le lentezze del dopo terremoto». «La situazione è difficile, qualcosa si sta facendo, ma - puntualizza - in Abruzzo occorre fare di più, specialmente per le chiese, che sono luoghi di fede, di cultura e di aggregazione».

Repubblica 13.11.09
L’addio a Enke
La depressione non è più invincibile nuovi farmaci e hi-tech ci tirano su
Efficaci stimolatori, diagnosi precoce e terapie avanzate "Ma la pillola della felicità non esiste"
di Vera Schiavazzi

Diagnosi precoce e appropriata. Stimolazione magnetica intracranica. Stimolatori elettrici per il nervo vago. Terapia della luce. Privazione del sonno. Se i farmaci - ormai efficaci nel 70 per cento delle depressioni "severe" - non funzionano, ci sono altre terapie diverse da quelle psicologiche per cercare di proteggere i pazienti da se stessi. «Quando ho letto che Robert Enke, il portiere tedesco suicida, era assistito da uno psicologo, ho avuto un brivido, pur non potendo sapere se era proprio così», confessa Laura Bellodi, una delle psichiatre italiane più note tra chi si occupa di ansia, depressione, disturbi ossessivi. E il suicidio del portiere tedesco diventa così l´occasione per un nuovo dibattito tra medici sulle armi delle quali la scienza dispone oggi per salvare chi, una o più volte durante la sua vita, incontra la depressione.
Due i problemi principali con i quali gli psichiatri, in prima linea nella cura dei pazienti più gravi, si scontrano ogni giorno nei servizi pubblici (dove oggi è in cura l´1,5% della popolazione italiana) o negli studi privati. Il primo, paradossalmente, è rappresentato proprio da farmaci sempre più efficaci, dall´antico litio, di nuovo di moda, ai più recenti stabilizzatori dell´umore, nati per combattere l´epilessia e ora utilizzati con efficacia soprattutto nella terapia del disturbo bipolare (pazienti nei quali ai momenti di depressione se ne alternano altri che assomigliano all´euforia). «Chi li utilizza, proprio come chi deve curare la propria ipertensione o altri disturbi cronici deve continuare a farlo spesso, per periodi molto lunghi - spiega Filippo Bogetto, direttore della clinica di Psichiatria universitaria delle Molinette di Torino dove si sperimenta lo stimolatore per i pazienti che non rispondono ai farmaci - La sfida è proprio lì: convincere il paziente che si sente meglio a non sospendere la cura». Conferma Bellodi: «L´assunzione regolare dei farmaci evita a molti pazienti le ricadute e rappresenta un´efficace terapia di mantenimento. Chi continua a prenderli seguendo le prescrizioni si risparmia uno o più episodi che talora, purtroppo, possono essere anche molto gravi». E chi non risponde ai farmaci? «La garanzia totale non esiste. Oggi però disponiamo di molte risposte che, anche senza evocare terapie da noi assai impopolari come l´elettrochoc, possono essere utili: stimolazione magnetica, luce, privazione del sonno». E Vittorio Lingiardi, docente alla Sapienza di Roma, psichiatra e psicoterapeuta, aggiunge: «La prescrizione sta sempre all´interno di una relazione terapeutica. Non possediamo ancora la pillola della felicità, farmaci e psicoterapia devono andare insieme». E dall´Australia arriva un´altra notizia: per il Commonwealth Scientific Research Organization chi si sottopone a una dieta (e non è già colpito da una depressione maggiore) potrebbe avere un calo d´umore, a causa del taglio sui carboidrati come pasta e pane. Forse è per questo che gli italiani restano, almeno in questo campo, in fondo alle classifiche negative.

Repubblica 13.11.09
una cultura che offende le donne
di Chiara Saraceno

Qual è la differenza tra la cultura (cultura?) del presidente del Consiglio che parla delle donne come piacevoli oggetti d´arredamento e di consumo, salvo insultarle quando non rientrano nel ruolo e quella del disegnatore di fumetti che per criticare una ministra che non gli piace utilizza le allusioni sessuali più grevi e in generale la squalifica come essere umano? In entrambi i casi siamo di fronte ad una cultura maschile che non riesce a fare i conti con la presenza delle donne sulla scena pubblica non solo come oggetti del desiderio (in assenza del quale sembra possa esserci solo il disgusto), oppure come madri da idealizzare come nutrici sacrificali, ma come esseri umani alla pari. L´unica differenza sta, ovviamente, nel diverso potere dei protagonisti e quindi nelle diverse conseguenze sul piano pubblico dei loro gusti e disgusti. Ma in entrambi i casi essi evocano, e solleticano, il profondo disprezzo che una certa cultura maschile, ahimè ancora troppo diffusa in Italia, ha per le donne. Possono, infatti, contare su una diffusa complicità tra chi li ascolta e legge, appena temperata dalla cauta disapprovazione di chi teme (anche tra le donne) di apparire poco evoluto, o poco spiritoso.
Senza che ci si renda conto che questo maschilismo volgare e senza freni si alimenta dello stesso disprezzo di cui sono oggetto tutti i diversi da sé, specie se in posizione di debolezza sociale: donne, ma anche immigrati, omosessuali, diversamente colorati, diversamente religiosi e così via. È lo stesso disprezzo privo di freni inibitori, che parla alla pancia invece che alla testa delle persone, che ha fatto dire all´ineffabile sottosegretario Giovanardi che se il povero Cucchi è stato pestato a morte mentre era in custodia dagli agenti di polizia, se la era cercata. Opinione che Giovanardi non ha modificato neppure con le scuse successivamente presentate per aver offeso la «sensibilità della famiglia». Nessuna scusa per aver dichiarato, nella sua veste di rappresentante politico e di governo, che nel nostro paese chi non ha comportamenti standard, chi esce anche poco dal seminato, chi è vulnerabile, merita di essere aggredito ed anche, di fatto, di essere condannato a morte. È la stessa logica, per altro, che legittima lo stupro della donna che è fuori casa da sola di notte, o che veste in modo «provocante». Siamo tutti avvisati (avvisate). Del resto anche il ministro la Russa ha evocato una specie di giudizio di Dio («possono morire») per i giudici della corte di Strasburgo che hanno giudicata illegittima l´esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane perché lesiva della sensibilità dei diversamente (dai cattolici) credenti e non credenti.
Nemico e diverso sono accumunati in espressioni di odio e disprezzo che farebbe specie sentire in bocca a chiunque. Ma che in bocca ai politici evocano un modello di società divisa tra noi e loro, amici e nemici, in cui tutto è legittimo per difendere i propri e per attaccare «gli altri».
A tutti i livelli nel nostro paese si stanno legittimando comportamenti di aggressiva e violenta inciviltà che dovrebbero preoccupare chiunque abbia un minimo senso di responsabilità e in primo luogo i nostri politici – governanti e all´opposizione che siano. Anni fa era di moda ironizzare con aria di sufficienza sulla ossessione statunitense per il linguaggio e i comportamenti «politicamente corretti», ovvero attenti a non suggerire atteggiamenti e valutazioni discriminatorie e offensive verso gruppi sociali storicamente e culturalmente svantaggiati. È vero che un linguaggio sorvegliato non è sufficiente a cancellare le discriminazioni effettive e neppure le opinioni e i pensieri razzisti o sessisti. Ma la situazione italiana ci ricorda che la realtà sociale è anche costruita dal linguaggio. Nominare le cose e le persone in un modo piuttosto che in un altro contribuisce a collocarle in un modo piuttosto che in un altro nello spazio delle relazioni sociali. E può esserci un cortocircuito drammatico tra pesantezza delle parole e gravità dei fatti. Non è sempre vero che tra il dire e il fare c´è di mezzo il mare.

Corriere della Sera 13.11.09
Disonorate società
Sistema pubblico e alleati camorristi
di Gian Antonio Stella

C’è un altro Pae­se al mondo dove il siste­ma pubblico si prende come soci «Pan­zone », «Capagrossa» e «Gi­gino ‘o drink»? Il fascicolo dell’inchiesta su Nicola Co­sentino, riassunto ieri da Marco Imarisio, toglie il fia­to. E fa venire in mente, forse per quei nomi che sembrano imparentati con Macchia Nera e Gambadile­gno, il modo in cui furono dipinte qualche anno fa, quando dilagarono da Vipi­teno a Capo Passero, le so­cietà miste. Ricordate? Pa­reva fossero dotate della bacchetta magica della fa­ta Smemorina capace di trasformare la zucca di Ce­nerentola in una carrozza e i topolini in cavalli. For­mula magica: la forza del sistema pubblico più l’effi­cienza imprenditoriale del privato. Come sia finita si è visto: i ratti si sono man­giati spesso la bacchetta, la carrozza e anche la zuc­ca.

Il caso della «Eco4», l’azienda mista in cui tutti i cittadini italiani hanno messo i soldi senza imma­ginare che fosse, per usare le parole del gip, una «pu­ra espressione della crimi­nalità organizzata» che se ne infischiava dei rifiuti e della realizzazione di un termovalorizzatore ma ave­va come unico obiettivo una montagna di assunzio­ni che, raccontò l’«impren­ditore » Michele Orsi pri­ma di essere assassinato, erano per il 70% «inutili» e «motivate per lo più da ra­gioni politico-elettorali», non è purtroppo un’ecce­zione.

Anzi. Nel Lazio è sotto proces­so una società mista, la «Aser», che con l’aiuto di sindaci e amministratori era riuscita a ottenere ad Aprilia e in altri comuni (quelli che dicono di non vedere i soldi da anni sa­rebbero 128, quelli coinvol­ti 400) un accordo che pre­vedeva non solo una per­centuale del 30% sui tributi riscossi (quella precedente del Monte dei Paschi e quella attuale di Equitalia sono intorno all’1,5%) ma che la quota del socio pri­vato, su quel 30%, fosse del 70%. In Sicilia i tribunali so­no alle prese col caso di «Messinambiente», in cui il comune aveva il 51% ma riconosceva al partner pri­vato, la chiacchierata «Alte­coen » di Enna, il 118% (ave­te letto bene: il centodiciot­to) degli incassi. Un affare sconcertante. Sul quale l’al­lora procuratore Luigi Cro­ce disse in Parlamento che «tanto per l’appalto quan­to per la costituzione della società mista vi fu certa­mente un’influenza della criminalità» e che la «Alte­coen » era arrivata perché spinta «dal boss Nitto San­tapaola ». Sono solo due ca­si. Ma potremmo andare avanti.

Sia chiaro: alcuni proble­mi, quale l’ingordigia dei partiti che si servono delle società miste per assume­re gente senza concorso o piazzare trombati e reggi­coda, sono generali. Vedi il caso dell’autostrada Pa­dova- Venezia: un consiglie­re d’amministrazione ogni due chilometri e mezzo. C’è tuttavia una specificità meridionale che dovrebbe allarmare soprattutto chi ha a cuore il Mezzogiorno. Sono anni, infatti, che la magistratura, le inchieste giornalistiche, i rapporti come quello di Sos Impre­sa segnalano una progres­siva penetrazione della ma­la economia in tutto il Pae­se ma in particolare nel Sud. È una questione non solo morale. Ma economi­ca, se è vero che dall’este­ro, anche prima della gran­de crisi, la volontà di inve­stire era così bassa che se­condo il Rapporto Svimez «le regioni del Mezzogior­no hanno ricevuto nel 2006 appena lo 0,66% degli investimenti esteri entrati in Italia». Forse non voglio­no come socio, loro, «Gigi­no ‘o drink»…

Corriere della Sera 13.11.09
L’anniversario I dubbi del «manifesto» e di Diliberto
La Rossanda, i «nemici» dell’89: i cocci del muro hanno colpito noi
di Fabrizio Roncone

Rossana Rossanda ieri ha espresso pubblicamente il suo dissenso rispetto ai festeggiamenti per la caduta del muro di Berlino: «Noi su quell’utopia ambiziosa eravamo nati».
Rossanda poi avverte: «La sinistra è a pezzi e noi non stiamo meglio. Ho sperato che le cose ci avrebbero fatto crescere con calma e pazienza. Il 10 novembre mi sono finite tutte e due».

ROMA — Muro di Berlino: nel dibat­tito dell’anniversario irrompe Rossana Rossanda, intellettuale comunista, ex partigiana, intelligenza rara, donna ri­gorosa, colta, a volte distante; tra le fondatrici del quotidiano il manifesto.

E proprio sul suo giornale, ieri, di spal­la, ecco un editoriale dal titolo elo­quente: «L’89. Il mio dissenso».

È un articolo lungo e profondo, co­me sempre sono i suoi scritti. Qui, per brevità, solo l’incipit (vi coglierete su­bito un tono gonfio di amarezza).

«Non è un incidente se il manifesto, che si definisce ancora 'quotidiano co­munista', ha elegantemente glissato sul ventesimo anniversario del 1989: non per distrazione, ci strillano da vent’anni che la distruzione del muro di Berlino segnava la fine del comuni­smo, 'utopia criminale'. Noi su quella utopia ambiziosa eravamo nati, ed era­vamo stati i primi a denunciare nella sinistra che con essa avevano chiuso da un pezzo i 'socialismi reali'. Li de­nunciavamo nell’avversione del Pci... » .

La Rossanda sembra rivolgersi diret­tamente ai compagni del suo giornale. Che, sull’anniversario della caduta del Muro, non hanno finora svolto rifles­sioni. «La sinistra è a pezzi, e noi non stiamo meglio. Né come finanze, né come peso nell’opinione, né fra noi».

Insomma il manifesto non ha fino­ra affrontato come si deve una vicen­da storica politicamente molto vicina, come invece avrebbe potuto, e — so­stiene la Rossanda — dovuto. Un silen­zio che diventa evento.

Valentino Parlato, che del manife­sto è direttore responsabile oltreché cofondatore, suggerisce di non cedere allo stupore. «Guarda, ti dico: l’anni­versario del Muro non è stato affronta­to per un motivo pratico... sì, la colpa è tutta del disordine in cui vive questo giornale, un disordine organizzativo, ancorché, diciamo così, economi­co... ». Nessun malcelato imbarazzo? «Ma no... Niente di tutto ciò. Solo, di­rei, una riflessione: e cioè che i cocci del muro sono caduti provocando ber­noccoli su tutte le socialdemocrazie eu­ropee e anche su chi, come noi del ma­nifesto , eravamo nati proprio polemiz­zando contro il socialismo reale...».

I cocci. Ora, a ripensarci, Oliviero Di­liberto, segretario del Pdci — mentre entra a un convegno organizzato per ragionare sulla caduta di un altro mu­ro, quello della Bolognina, dove il Pci cessò di esistere — ecco ora Diliberto dice che il primo coccio colpì diritto proprio il Partito comunista italiano. «La caduta del Muro sembrò rendere inevitabile la fine di un partito che nulla aveva invece a che vedere con la realtà sovietica». Que­sto fu, spiega, il primo guaio. «Poi, vede, io non rimpiango i muri, quelli sono oggetti sempre ter­ribili: ma mi sarà possibi­le dire, spero, che con il crollo dei due blocchi e la fine dell’Unione Sovie­tica, a rimetterci è stata non solo la pace nel mon­do, ma anche e soprattut­to la forza delle socialdemocrazie euro­pee che, appunto, dall’Unione Sovieti­ca traevano forza...».

Duro, netto, definitivo, il commen­to a queste parole del professor Biagio De Giovanni, filosofo napoletano ed ex comunista di osservanza «migliori­sta ». «Ma no, non è vero che il Pci non avesse nulla a che vedere con la storia del socialismo reale... certo era un par­tito comunista atipico, con una classe dirigente aristocratica, ma il Pci, que­sto va ripetuto ancora in questi giorni di anniversario, aderiva completamen­te, sia pure con qualche distinguo in­tellettuale, al destino dell’Urss...».

Affaritaliani.it 13.11.09
Riccardo Lombardi? Un grande
Rendere il giusto riconoscimento a Riccardo Lombardi è da anni un rebus: anche oggi nel venticinquesimo della sua morte, il suo nome circola per poche ore, in qualche sala con addetti ai lavori e poco pubblico e lontano dalle Istituzioni della Repubblica che contribuì a costruire!
di Carlo Patrignani

Rendere il giusto riconoscimento a Riccardo Lombardi è da anni un rebus: anche oggi nel venticinquesimo della sua morte, il suo nome circola per poche ore, in qualche sala con addetti ai lavori e poco pubblico e lontano dalle Istituzioni della Repubblica che contribuì a costruire! Non deve stare sulla scena oltre il minimo indispensabile: emergerebbe la povertà del ceto politico che ci comanda, rispetto a chi intese la 'politica' non come corsa alla poltrona, alla carriera, all'affare, ma un fare per gli altri, la 'povera gente', il mondo del lavoro. Con un chiaro obiettivo: realizzare una societa' socialista di 'liberi ed uguali', in alternativa al modello del capitalismo che identificava "nei gruppi parassitari e nelle rendite in mano ai nani". Onestà, coerenza e rigore morale sono state le qualità su cui ha forgiato progetti (l'alternativa di sinistra), strumenti (le riforme di struttura) e elaborazioni teoriche (il riformismo rivoluzionario) per la trasformazione della societa' in senso socialista, tenendo insieme liberta' uguaglianza giustizia sociale. La sua lezione politica ed umana è attualissima: onestà, coerenza e rigore sono qualità che valgono in ogni epoca. Quanti del ceto politico possono rispondere alla domanda 'Ha mai pensato di avere più soldi?', come fece Riccardo "Non saprei che cosa farne. Non ho neanche una casa. Mi basta comperare libri"? Quanti possono dirsi immuni da segnalazioni, raccomandazioni, tangenti? Si è detto e si dice ancora che fu un presbite, un intellettuale utopico e visionario. Eppure tante cose vide per tempo, due su tutte: "Non credo poi che la sinistra abbia il monopolio dell'onestà, della correttezza!", disse nel 1976 respingendo l'idea di 'governo degli onesti' e nel suo ultimo intervento al Cc del 30 giugno 1984 "un Psi così non ha motivo di esistere". Tangentopoli cancellò quel partito di 'ministri socialisti' e non come voleva di 'socialisti ministri'.