lunedì 21 dicembre 2009

Repubblica 21.12.09
Silvio scommette sulla pacificazione "Credito al Pd per isolare i falchi"
Bersani: no a leggi ad personam, facciamogli scoprire le carte
Da Berlusconi apprezzamento anche per D´Alema: "Il nodo è battere l´ala giustizialista"
Il Cavaliere è però contrario a nuove Bicamerali: "Non mi evoca buoni ricordi"
di Carmelo Lopapa

ROMA - «Dobbiamo aprire senza riserve a Bersani e D´Alema. Sono loro i nostri interlocutori. È a loro che dobbiamo dare un segnale, convincerli a dialogare per isolare gli estremisti, Di Pietro e le frange giustizialiste che si annidano anche dentro il Pd». Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo ha detto a Bossi, Calderoli e Tremonti durante la cena di sabato sera a Villa San Martino. Lo ha ripetuto ieri per tutto il giorno a chi lo ha sentito al telefono, nella prima giornata di vero relax, a una settimana dall´aggressione. L´obiettivo è partire con le riforme, Bicamerale o no, magari dalla Bozza Violante, comunque da gennaio.
Porte finalmente chiuse alle decine di visitatori, ad Arcore. Il Cavaliere si concede un´unica uscita telefonica con la quale dipana la nuova strategia del doppio binario. Il binario del dialogo, in virtù del quale - spiega ai militanti veronesi - si impegna a «lavorare più di prima nell´interesse di tutti», considerando gli avversari non più «nemici». E in tal senso da lì a qualche ora apprezzerà molto l´intervista con cui Massimo D´Alema invita l´opposizione a «mettersi in gioco» per le riforme. «È a lui e a Bersani che dobbiamo lanciare un segnale» ripete il premier in privato. Segnato che prende corpo con la strada spianata all´ex ministro degli Esteri per la presidenza del Copasir, il comitato di controllo sui servizi, soprattutto grazie all´intenso lavorio di Gianni Letta. Ma c´è anche un secondo binario, al quale il premier non rinuncia. Quello che dovrebbe portare all´isolamento degli «estremisti», del cosiddetto «partito dell´odio», di coloro che lo additano come «tiranno» e hanno indirettamente «armato l´aggressore». Per farla breve, spaccare il sodalizio Pd-Idv.
Ma è sulla nuova leadership Pd e sul dialogo possibile che il presidente del Consiglio si concentra in convalescenza. È partito da Villa San Martino l´input diramato 48 ore fa da Paolo Bonaiuti a ministri e parlamentari affinché tutte le dichiarazioni ruotassero attorno alle due parole d´ordine «riforme» e «pacificazione». Se n´è fatto portavoce soprattutto Giulio Tremonti annunciando che «è arrivato il momento» di farle, «con la Bicamerale o in Parlamento». Berlusconi è d´accordo su tutto, tranne che sullo strumento: «Giulio, sai come la penso - gli ha detto sabato sera - non mi convince del tutto la Bicamerale, non evoca buoni ricordi». Anche se il partito della Bicamerale cresce, proprio nel governo. Big sponsor Tremonti e il leghista Calderoli. Tra gli altri anche Gianfranco Rotondi: «Meglio chiamarla Assemblea costituente, con una durata definita, due anni e mezzo. Sarebbe un modo per blindare la legislatura. Silvio lo convinceremo, perché in caso di successo potrà proiettarsi sulla terza Repubblica, con rinnovate ambizioni presidenziali». Inutile dire come l´abbassamento dei toni e il volo di colombe conforti la terza carica dello Stato, Gianfranco Fini, che ancora giorni fa rilanciava un patto costituente auspicando che «il 2010 diventi l´anno delle riforme». Ma sarà un tornante difficile - ricorda il vicecapogruppo Pdl Osvaldo Napoli, lasciando intendere quanto il clima sia cambiato - «servirà la collaborazione di tutti: sarà decisivo un incontro fra Berlusconi e Fini». I due non hanno ancora fissato la data, pur intenzionati a vedersi a giorni. Sul dialogo incombono tuttavia leggi ad personam e processi milanesi. Un nuovo lodo costituzionale è in arrivo prima delle feste, conferma l´arterfice Gaetano Quagliariello. E non ci sarà «marcia indietro su processo breve» e legittimo impedimento. Berlusconi si attende dal Pd un no in aula, ma non barricate in piazza o raccolta firme. Il leader Bersani ha già convocato la segreteria allargata per domani, occasione per ribadire la linea: «Mai leggi ad personam, ma siamo il partito delle riforme, dobbiamo andare a vedere». Tanto più se si partirà dalla "loro" Bozza Violante. Dopo di che, fanno notare dalla segreteria, in piazza il Pd non si è arroccato neanche al "No B-day", l´opposizione si farà in Parlamento. «Ma prima il guardasigilli Alfano - avverte Anna Finocchiaro - dovrà venire a spiegarci quale sarà il disegno complessivo sulla giustizia».

l'Unità 21.12.09
Antonella Pozzi
Cura e prevenzione della follia
risponde Luigi Cancrini
Perché, anziché parlare di istigazioni prima e “tendenza emulativa” che potrebbe generarsi poi dal gesto del folle che ha ferito Berlusconi, non si sente la necessità di rilanciare sul tema della malattia mentale e delle possibili appropriate soluzioni per affrontarle?
RISPOSTA In una ricerca di Saman, le comunità terapeutiche in cui lavorò Rostagno, abbiamo verificato cos’ era accaduto, due anni do- po la fine del programma, a 150 detenuti tossicodipendenti che aveva- no chiesto ed ottenuto di espiare la pena in comunità all’interno di un programma terapeutico che coinvolgeva i loro famigliari. Incredibile ma vero, i risultati di questa ricerca ci hanno permesso di verificare che non più del 2% (3 su 150) dei nostri utenti aveva avuto ricadute e/o problemi con la giustizia e che solo il 10% sporadicamente usava ancora delle droghe leggere. Rifletteranno mai su dati come questi i legislatori che si occupano di carceri, di giustizia e di salute mentale? Entrerà mai nella cultura della gente e dei servizi la convinzione per cui le “appropriate soluzioni” di cui lei parla si basano sull'idea per cui l'uomo che sta male deve essere restituito a sé stesso con un lavoro psicoterapeu- tico prima che “costretto” o “sedato”? La prevenzione e la cura delle condotte auto ed etero lesive, dalle droghe al terrorismo, sono possibili. A non saperlo purtroppo sono quelli che decidono.

Repubblica 21.12.09
Il segretario di Rifondazione Ferrero disponibile ad un "fronte comune" con Pd, Udc e Idv
"Pronti ad accettare Casini premier pur di battere la destra di Berlusconi"
A questo punto sono pronto ad allearmi pure con il Diavolo. Poi si cambi la legge elettorale con il modello tedesco
Sono d´accordo con un nuovo Cnl. Noi non entreremo nel governo, con il sistema di voto della Camera è possibile
di Umberto Rosso

ROMA - «Sono pronto ad allearmi anche con il diavolo, a questo punto». Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, è preoccupato. Dopo la caduta del governo Prodi e la "corsa" solitaria alle ultime elezioni, mette sul tavolo la disponibilità a organizzare una nuova alleanza per battere il Cavaliere. È pronto persino ad accettare che sia Pier Ferdinando Casini il candidato alla premiership. «Berlusconi minaccia la democrazia - avverte - . Siamo al golpismo strisciante».
Il Pdl la accuserà di seminare odio.
«Io sono un non-violento, ma non mi faccio imbavagliare. Che un mattacchione sia arrivato in piazza Duomo con una statuetta, non dimostra alcun complotto. È il nostro paese a rischio con questo premier».
Che cosa pensate di fare?
«Da segretario della Federazione della sinistra, oltre che di Rifondazione, lancio una proposta a chi ci sta. Un fronte comune per liberarci di Berlusconi, una coalizione di difesa della Costituzione».
Compresi Casini e Di Pietro, oltre al Pd?
«Tutte le forze disponibili. Casini ha già parlato, sostanzialmente, di un nuovo Cnl anti-Berlusconi. Sono d´accordo con lui».
Un fronte comune che si presenti insieme in caso di elezioni anticipate?
«Certamente. Con al centro due questioni-chiave. Primo: difesa della democrazia e legge sul conflitto di interessi. Secondo: una futura legge elettorale, sul modello tedesco, per chiudere con la sventurata stagione del bipolarismo».
Rifondazione non aveva rotto per sempre con i governi di centrosinistra?
«Infatti noi non entreremmo a far parte di un eventuale esecutivo, se la coalizione dovesse vincere le elezioni. Si faccia un "accordo di governo" all´interno del fronte comune, fra le forze che lo condividono. La sinistra ne resterà fuori, non ripeteremo l´esperienza del governo Prodi».
Senza mettere becco nella scelta del leader, dovesse essere anche Casini o un uomo del centro?
«Senza mettere becco sul candidato premier, è una questione che riguarderebbe i partiti che hanno firmato l´accordo di governo».
Una specie di neo - desistenza politica fra Rifondazione e il centrosinistra.
«Io la chiamo una somma di voti per l´emergenza democratica».
E poi il Prc ricomincerebbe come al solito a far ballare in Parlamento la coalizione.
«Con l´attuale legge elettorale, il premio di maggioranza è tale da assicurare pieni margini di manovra all´accordo di governo».
Insomma, i parlamentari eletti della sinistra stavolta non avrebbero i numeri per far saltare il centrosinistra. Franceschini, però, ha appena detto di no al modello tedesco.
«Dentro il Pd altri dicono di sì, e lo dice anche Casini. Vedano un pò, nel partito democratico, se è proprio il caso di andare avanti con la sciagurata teoria veltroniana dell´autosufficienza, e lasciare così il paese nelle mani del presidente del Consiglio. Che può ridurre uno come Fini a sua appendice proprio grazie alla legge che c´è. Un meccanismo infernale che mette insieme persone che non hanno nulla in comune, un Pisanu con tipi alla Borghezio».
Ci risiamo? Ha pure paragonato Berlusconi al mostro di Marcinelle.
«Non ho affatto detto che il premier è un mostro, ma che mettere nelle sue mani le riforme è come affidare un asilo al violentatore di Marcinelle».
E alle regionali, segretario?
«Non mettiamo veti, ma confronto sui contenuti. Come la nostra campagna referendaria contro il nucleare e la privatizzazione dell´acqua. Pronti a sostenere Vendola in Puglia ma a Sinistra e Libertà chiediamo di difenderci in Lombardia dai diktat Pd di Penati».

Repubblica 21.12.09
Nazisti d’Europa
Dopo lo sfregio di Auschwitz viaggio tra le formazioni dell´estrema destra Ecco chi sono i nuovi fanatici E dove vogliono arrivare
di Paolo Berizzi

Sono giovani, si collegano attraverso Internet e definiscono la Shoah un bluff
Partiti e partitini, poi skinhead, ultrà, picchiatori di strada. Si stima siano oltre 250 mila
Chi sono i ladri profanatori di Auschwitz? Perché hanno colpito? Una galassia di gruppi xenofobi e neonazisti cresce dalla Spagna alla Polonia, fino alla Russia. Si tratta di movimenti frammentati che cavalcano nazionalismo e localismo. Ecco una fotografia delle formazioni razziste che guardano al Terzo Reich

Chi sono e da dove muovono i ladri profanatori di Auschwitz? Perché hanno colpito? «È una dichiarazione di guerra», dice secco Avner Shalev, direttore del museo dell´Olocausto a Gerusalemme. Per capire le sue parole bisogna guardare la fotografia della "scena" nazionalista, neonazista e antisemita che sta montando in Europa. Un vento che soffia con forza dall´Est: dalla Polonia all´Ungheria fino all´ex Unione sovietica. Una galassia complessa e frammentata. Che si ispira direttamente al Terzo Reich (anche nei simboli: svastiche, croci runiche e diagonali, sigle e anagrammi e caratteri pangermanici). Che cavalca nazionalismo e localismo per approdare a derive antisemite.
In nome della battaglia anti-mondialista. Da lì a definire la Shoah e i forni crematori un "bluff" ebraico, il passo è breve. Il network neonazista estende i suoi confini dal cuore della Germania alla Francia, dalla Spagna "falangista" ai paesi scandinavi, dall´Inghilterra ai nuovi laboratori dell´Est, Polonia, Ungheria, Romania, dalla Grecia a Cipro passando dall´Italia e risalendo fino alla Russia. «Si sta diffondendo un nuovo-vecchio odio verso gli ebrei, che è poi di fatto una continuazione - ragiona Cono Tarfusser, già procuratore capo di Bolzano, oggi giudice della Corte criminale internazionale dell´Aia - . È un sentimento viscerale e al tempo stesso vuoto, messo in giro dalle formazioni nazionaliste a forte impronta xenofoba. La novità non è tanto che l´ostilità non va più solo contro gli immigrati, gli omosessuali, le minoranze etniche e religiose ma anche contro gli ebrei - quelli di oggi e quelli di ieri. La novità - spiega - è che la società, con la sua assenza di cultura, non riesce più a mettere degli argini naturali in grado di isolare questa gente, di sottrargli spazio, terreno di coltura».
Tarfusser a Bolzano ha creato un pool di magistrati anti-naziskin, la nuova "Gioventù hitleriana" che si muove in Alto Adige. «Preoccupa, oltre al qualunquismo rabbioso di queste bande, la precoce età dei militanti, che agiscono perché trovano spazi politicamente fertili. Disagio sociale, crisi economica, globalizzazione degli Stati e immigrazione: tutti elementi che i partiti e le organizzazioni paranaziste sfruttano per fare proseliti. Oggi, e dalla fine del comunismo, questo fenomeno ha dimensioni importanti soprattutto nell´Est».
Partiti e partitini, e poi skinhead, hammersin, bonhead, ultrà, picchiatori di strada. Si stima siano oltre 250 mila i militanti neonazisti in Europa. Altri 50 mila nella sola Russia. La rete di collegamento è Internet. E guai a chiamarsi nazisti.
In Polonia spopola la Lega delle famiglie polacche, l´alleanza dei partiti nazionalisti che ha eletto presidente della Repubblica Lech Kaczynski. Determinante per la vittoria al ballottaggio del 2007 è stato l´aiuto di Radio Maryja, un´emittente clericale, anti-comunista ma soprattutto anti-semita (più volte condannata dallo stesso Vaticano) che si rivolge a due milioni di elettori. La Polonia confina a ovest con la Germania e a sud con Repubblica Ceca e Slovacchia. L´Npd (partito nazional democratico tedesco, fondato 45 anni fa da ex appartenenti al partito socialista del Reich tedesco) di Ugo Voight continua a piazzare suoi rappresentanti nei lander. Nonostante la maggior parte della popolazione lo definisca un partito filo-nazista, razzista e anti-semita.
Ancora Europa centrale. Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia: tre giovani democrazie risorte dopo mezzo secolo di comunismo, oggi nella Ue. A Bratislava l´estremismo antisemita è stato sdoganato al governo dal premier socialdemocratico-populista Robert Fico. «La fine del comunismo ha fatto saltare il tappo che comprimeva l´estrema destra, allora era marginale ma oggi cresce più che da ogni altra parte», spiega Giuseppe Scaliati, autore del saggio La destra radicale in Europa (Bonanno editore). A Budapest i 7 mila adepti della Guardia Ungherese sfilano in centro in uniforme nera, sventolando i gagliardetti delle "Croci frecciate" alleate di Hitler. Evocano l´Olocausto, sognano una "soluzione finale alla questione zingara", affrontano la polizia in violenti scontri nelle strade di Praga. Zingari e rom sono finiti anche nel mirino dei romeni di Noua Dreapta (Nd), gli estremisti che si rifanno alla Guardia di Ferro dell´anti-semita Corneliu Zelea Codreanu (attiva negli anni ‘30). Giovani, camicie nere o verdi, si considerano la più importante organizzazione neo-legionaria della Romania. «Vogliamo risvegliare le coscienze avvertendo dei pericoli che minacciano il popolo romeno», tuona il leader 30enne, Tudor Ionescu. L´opera di proselitismo si è allargata agli immigrati che vivono in Italia (Padova, Roma). Come quella dei partiti oltranzisti cresciuti nell´ex Jugoslavia. In Serbia e Croazia il "nostalgismo" per i vecchi leader nazional socialisti fautori della pulizia etnica si mischia all´insofferenza verso le lobby ebraiche. «Sono le zone balcaniche il laboratorio privilegiato dei nuovi nazisti - ragiona Saverio Ferrari, Osservatorio democratico sulle nuove destre - una cinghia di raccordo tra i movimenti dell´Europa occidentale e quelli dell´Est. I neofascisti italiani hanno rapporti intensi con le organizzazioni di questi paesi».
La Russia. Sarebbero oltre 50mila, secondo fonti di polizia, i militanti neonazisti attivi nell´ex impero sovietico. Solamente San Pietroburgo conta 20 mila skinhead. Autori di aggressioni contro cittadini stranieri, al grido di "la Russa ai russi". "Unità nazionale russa", "Gruppo socialismo nazionalista-potere bianco": sono le due sigle più importanti. Accanto ai picchiatori di Combat 18, quelli dei video coi pestaggi e le parate naziste su Youtube. Nel 2007 ne girò uno drammatico: neonazisti che decapitano un prigioniero caucasico ("negro", poiché originario del Caucaso). La firma: i nazionalsocialisti di "Rus" (termine usato dai neonazi per definire la madre patria). Altri partiti di riferimento sono il Partito nazionale del popolo (15mila militanti, la metà sotto i 22 anni) e il Partito liberal democratico di Vladimir Zhirinovsky, già vice presidente della Duma, il parlamento russo, costretto nel 2003 ad ammettere le sue origini ebraiche.
Fanno paura i Nazional socialisti di Konstantin Kasimovsky, riferimenti all´ideologia hitleriana, per simbolo una croce nera che richiama il labarum cristico (PX). Si sa che le gesta dei capi vengono sempre ammirate. In Inghilterra, dopo l´aggressione del leader del British national party Nick Griffin ai danni di un insegnante ebreo, è cresciuta l´intolleranza verso la popolazione di origine israeliana. Come in Francia, dove il Front national di Jean Marie Le Pen dopo la flessione seguita all´exploit elettorale del 2002 (17,79%), sta risalendo la china. In Spagna avanzano i neonazisti della Falange, che fanno breccia tra i giovanissimi. In Grecia Alleanza patriottica ha eletto il proprio leader in parlamento, e gli estremisti di Laos e Albadoro vogliono bissare l´edizione 2006 di Eurofest, una Woodstock neonazista. Poi ci sono quelli che non dissimulano. In Svezia sta tornando di moda il Partito del Reich nordico, fondato nel 1956 e ancora guidato dal battagliero Assar Oredsson. Scendendo a Sud, riecco gli oltranzisti austriaci del Bzoe di Jorg Haider, partito che ancora governa in Carinzia. Informative dei servizi tedeschi parlano di gruppi neonazisti attivi sul confine tra Austria e Germania. Meta di riferimento: Branau, la città natale di Hitler.
Infine l´Italia. Che non si fa mancare niente. Compreso un disciolto (da poco) Movimento dei lavoratori ispirato al Partito nazional socialista dei lavoratori (nel 2006 riuscì a far eleggere dei consiglieri nelle province di Varese, Como e Novara). Anche da noi l´arcipelago dell´estrema destra antimondialista è frammentato. Da una parte Forza Nuova (il leader Roberto Fiore è segretario generale del Fronte nazionale europeo, la casa comune dei partiti europei di estrema destra); dall´altra il circuito Casa Pound, che si ispira al poeta antisemita Ezra Pound. A Casa Pound aderisce anche Cuore nero, circolo neofascista milanese. Agosto 2008, copertina di "Doppio Malto", la fanzine ufficiale di Cuore nero: uno skinhead che brinda con un boccale di birra. Sullo sfondo, la "porta dell´inferno" del lager di Auschwitz. La scritta "Il lavoro rende liberi" - che allora era ancora al suo posto - fu sostituita da una più commerciale, e vergognosa, insegna. "Birrificio Cuore nero". A proposito.

Repubblica 21.12.09
Ecco l´orchestra "all women" contro tutte le discriminazioni Ieri sera all´Auditorium di Roma con Nada, Giovanna Marini e Raffaella Misti Un organico di 18 musiciste scelte dai Tetes de Bois per aiutare le donne a raccontarsi
di Federico Capitoni

Le donne italiane da oggi hanno una voce in più, una voce piccola che parla però a tutti. L´Orchestra delle Donne del 41° Parallelo, appena nata, è una formazione tutta al femminile; un organico di diciotto musiciste selezionate dai Tetes de Bois per aiutare le donne a esprimersi nella musica e raccontarsi al mondo: «Conosciamo le difficoltà alle quali vanno incontro gli aspiranti musicisti, difficoltà che aumentano se questi sono di sesso femminile - dice Andrea Satta, cantante dei Tetes de Bois - Abbiamo pensato che formare un´orchestra del genere potesse offrire un´occasione di più alle donne che vogliono fare musica. In un periodo in cui le case discografiche alzano bandiera bianca, è una proposta coraggiosa. L´idea rientra nel nostro più ampio progetto chiamato "41° Parallelo" (il parallelo comune a Roma e New York, Salonicco e Oporto), che ha come fine quello di mettere in contatto il più possibile le culture del mondo attraverso la musica».
Il primo concerto ieri sera all´Auditorium Parco della musica di Roma ha visto partecipazioni (a eccezione del direttore dell´orchestra, Stefano Scatozza) rigorosamente femminili: Nada, Giovanna Marini, Rita Marcotulli e Raffaella Misti. «Le ospiti della serata - continua Satta - leggono le lettere di ragazze sfruttate, maltrattate e discriminate. Amnesty International, che patrocina l´iniziativa, ci ha chiesto di raccontare queste storie dolorose testimonianti un mondo, a Oriente e a Occidente, che ancora ha poco rispetto per le donne».
Le musiche sono legate ai luoghi di provenienza delle lettere, si alternano brani tradizionali a brani originali scritti apposta per l´occasione. Si prevede poi che l´ensemble possa viaggiare nel mondo, anche oltre il 41° parallelo, in modo da accogliere al proprio interno nuove partecipazioni e far crescere l´orchestra: «C´è un´orchestra rom di Istanbul - spiega Satta - con cui siamo già in contatto e che ci piacerebbe poter integrare nella nostra. L´orchestra delle donne vorrebbe essere un po´ il testimone di tutto il nostro progetto: un viaggio intorno al pianeta anche per tentare di far confrontare le persone con ciò che esiste altrove».

Corriere della Sera 21,12.09
La morte di Montezeri e il dissenso che diventa «atto contro Dio»
di Paolo Lepri


Nel 1989 i pasdaran fecero ir­ruzione nella casa del Grande Ayatollah Hossein-Ali Montazeri, e lo umiliarono costringendolo a indossare un berretto da notte al posto del tur­bante bianco da religioso, quasi come se fosse stato l’Argante del Malato Im­maginario di Molière. La rottura era or­mai totale. Alcuni mesi prima l’erede designato di Ruhollah Khomeini, mor­to ieri a Qom, si era ribellato al leader della rivoluzione islamica per l’ondata di esecuzioni degli oppositori politici.
«La negazione dei diritti del popolo, l’ingiustizia e il disprezzo per i veri va­lori della rivoluzione hanno inferto i colpi più duri contro la rivoluzione stessa. Prima che qualsiasi ricostruzio­ne abbia luogo, ci deve essere una rico­struzione politica e ideologica». Que­ste le lungimiranti accuse che Montaze­ri aveva rivolto a Khomeini. Poi, non contento, la contestazione aperta con­tro colui che sarebbe diventato la Gui­da Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, del quale aveva discusso la possibilità di essere «una fonte di emulazione». A quelle parole coraggiose lo stesso Kha­menei ha risposto ieri, a venti anni di distanza, con altre parole oblique, in un certo senso beffarde. «Era un teolo­go apprezzato e un importante docen­te », ha affermato il «numero uno» del­la teocrazia iraniana, augurando all’ex rivale il «perdono di Dio» per quella che ha definito «la prova cruciale» cioè la sua dissociazione dal khomeini­smo.
Ancora una volta, e al massimo gra­do, il dissenso politico è giudicato in Iran un gesto blasfemo, un atto che sfi­da «il volere di Dio». Perché Montazeri era diventato in questi anni un punto di riferimento per gli avversari del regi­me e un oppositore della politica ag­gressiva del presidente Mahmoud Ah­madinejad: «Bisogna trattare con il ne­mico con saggezza, non provocarlo», aveva detto nel gennaio del 2007 par­lando del programma nucleare irania­no. «Non provocare il nemico». Que­sto suggerimento non è stato ascolta­to, purtroppo, nemmeno nel giorno della sua morte. 



Corriere della Sera 21,12.09
Lo scandalo dei preti pedofili 
I preti e gli abusi 


Lo scorso 26 novembre un rapporto governativo di 720 pagine si certificano 320 casi di abusi sessuali a minori nella sola arcidiocesi di Dublino dal 1975 al 2004.

Colpevoli 46 preti pedofili e quattro arcivescovi responsabili di averli coperti La commissione 

Lo scorso maggio la Child Abuse Commission pubblicò il «Rapporto Ryan»: 9 anni di indagine e 3.500 pagine a descrivere mezzo secolo di violenze «sistematiche» negli istituti cattolici, commesse da «centinaia» di preti e suore dagli anni 30 agli anni 80 Il film 

Nel 2002 il film «The Magdalene sisters» (foto) di Peter Mullan, Leone d’oro a Venezia, raccontò la storia di tre ragazze mandate presso il convento gestito da Madre Bridget (madre superiora dell’ordine) ad espiare i loro presunti peccati Il Papa 

Qualche giorno fa il Papa ha manifestato l’intenzione di scrivere una lettera a tutti i fedeli irlandesi per «indicare con chiarezza le iniziative da prendere in risposta alla situazione». Benedetto XVI ha detto di condividere «lo sdegno, il tradimento e la vergogna dei fedeli»

domenica 20 dicembre 2009

l’Unità 20.12.09
Il fronte interno
Franceschini-Veltroni, attacchi a D’Alema ma l’obiettivo è il leader
Il capogruppo alla Camera: «Non ho mai visto inciuci buoni» L’ex segretario polemizza con Latorre e le analisi dalemiane «Le riforme? Non si fanno certo in questo clima politico...»
di Simone Collini

Dicono che non sono e non faranno l’opposizione interna, che a Bersani non riserveranno il trattamento sperimen-
tato da chi l’ha preceduto e che vogliono soltanto dare un contributo di idee. Fatto sta che alla prima iniziativa pubblica organizzata da Area democratica, Franceschini, Veltroni e gli altri esponenti della minoranza Pd ci vanno giù pesanti, attaccando D’Alema per la battuta sugli «inciuci utili» ma avanzando forti perplessità sulla stessa disponibilità di Bersani a un confronto con la maggioranza sulle riforme.
Questo appuntamento a Cortona era pianificato da tempo, e da tempo i due ex segretari avevano scelto il taglio da dare all’intervento che avrebbero fatto. Ma quando all’ex convento di Sant’Agostino, durante la prima giornata di lavori, si viene a sapere della frase di D’Alema, si decide di non lasciar spazio ad indugi.
«Di inciuci che hanno fatto bene non ne ho mai visto neanche uno», dice Franceschini al microfono mentre tra le mura della chiesa sconsacrata risuona forte l’applauso. Una bordata a D’Alema, che già era stato criticato nell’intervento precedente, da Veltroni: «Se penso a ciò che ha provocato dei mali a questo paese, non mi viene in mente il Partito d’azione», dice l’ex segretario facendo riferimento alla seconda parte della dichiarazione di D’Alema finita al centro delle polemiche.
Ma anche la linea bersaniana della disponibilità al confronto viene messa in discussione. «La Costituzione è delicata e fantastica dice Veltroni per metterci le mani serve un clima politico che ora non riesco a vedere». Per non parlare di una riforma della giustizia. «Sarebbe inevitabilmente destinata a fallire sostiene Franceschini e allora anziché farci trascinare in un trabocchetto che serve a risolvere i problemi del premier, proponiamo un confronto sui contenuti, facciamo con la destra una riforma degli ammortizzatori sociali». Quello sulle riforme istituzionali è non solo «un dialogo inutile», ma anche dannoso: «Non a caso arriva adesso, alla vigilia delle regionali. È un tranello che la destra ci ha preparato per spostare i riflettori sui problemi degli italiani». Fassino, Tonini, Ceccanti, Realac-
ci e tutti i trecento parlamentari e amministratori locali della minoranza in platea mostrano di concordare con forti applausi. Gentiloni interviene per dire che «il fumo del dialogo sulle riforme non può coprire l’arrosto delle leggi ad personam». Debora Serracchiani per descrivere quelli con cui si dovrebbe dialogare, a partire dalla «destra fascista che si chiama Lega».
Ma non è solo sul circorscritto tema della disponibilità al confronto che Franceschini e gli altri si fanno sentire. È anche sul più generale modo di fare opposizione che intervengono. Veltroni si dice «sorpreso che un dirigente del nostro partito dica che Berlusconi deve arrivare alla fine della legislatura». A chi si riferisce? A Latorre, viene spiegato («un’affermazione che non ho mai pronunciato», manda a dire il vicecapogruppo Pd al Senato). E poi al suo successore che, sottolinea, «ha vinto col 53%, con il 47% che ha espresso un’altra posizione» e quindi «nessuno può pensare che il Pd possa essere governato come il patrimonio personale di qualcuno» chiede cautela sulla politica delle alleanze: «Non è un gran capolavoro se rifacciamo l’Unione, magari con un presidente del Consiglio espresso da un partito di centro, invece che dal Pd». Anche Franceschini ha qualche dubbio sul dialogo con i centristi. Non solo definisce «sbagliato creare in laboratorio un nuovo partito di centro cui appaltare la ricerca del consenso moderato». Ma lancia l’allarme su quella che può essere «una merce di scambio per avere magari un nuovo alleato»: ovvero, un riferimento all’Udc e alla legge elettorale proporzionale. «Con il sistema tedesco si torna indietro di 15 anni», scandisce.
La due giorni di Cortona verrà ripetuta: ora Area democratica si doterà di coordinamenti politici in tutte le province, un sito web (c’è chi punta anche a un quotidiano) e in prospettiva di uno speaker; poi, tutti di nuovo qui, a maggio, un mesetto dopo le regionali.❖

Repubblica 20.12.09
Il primo lo fece Togliatti
D'Alema e l'inciucio, il Pd si spacca Veltroni: ne vediamo di tutti i colori
Franceschini: miopi sull'Udc. Bersani: no a leggi ad personam
di Umberto Rosso

Casini apprezza l´ex premier: "I compromessi ci vogliono. In Italia c´è troppo odio"
Certi ‘inciuci´ farebbero bene al Paese, perché servono a costruire la convivenza in Italia. L´articolo 7 della Costituzione votato anche da Togliatti fu il primo grande ‘inciucio´

CORTONA - «Io di inciuci che hanno fatto bene non ne conosco nemmeno uno». Saluti da Cortona, sotto la neve. E la cartolina che Franceschini spedisce a D´Alema riaccende lo scontro nel Pd. C´è anche la firma del ritrovato Walter Veltroni, accorso alla convention di Area democratica, accanto a quella del capogruppo della Camera. Di suo pugno ci aggiunge anzi due righette indirizzate a Nicola Latorre, «mi sorprende che un nostro dirigente dica che Berlusconi deve assolutamente arrivare a fine legislatura, se ne vedono di tutti i colori». Il vicepresidente dei senatori del Pd si sorprende della sorpresa, «non ho mai detto nulla di simile». Ma ormai, su scambi veri o presunti con Berlusconi, alleanze da coltivare e fino a che prezzo con Casini, la contesa in casa democratica è riesplosa. Tanto da spingere Bersani a intervenire dal Tg1: «Siamo contro le leggi per una persona sola, e su questo non si discute». Ma il capo del Pd è anche per le riforme, a cominciare però da quelle sociali: «Possibile che in Parlamento non si riesca a parlare dei 780 mila disoccupati in più, delle 900 mila persone che vivono con ammortizzatori sociali che finiscono?».
Ma non c´è il segretario nel mirino della neonata corrente pd, che dalla convention assicura «nessuno ha pronunciato una sola parola contro di lui, non siamo gli anti-Bersani, le nostre idee sono a disposizione del partito». Un partito, pensa però Franceschini, e lo pensa Veltroni arrivato a qui per rilanciare il must della «vocazione maggioritaria», che rischia di perdere la bussola sotto i colpi dell´offensiva dalemiana. Nel laboratorio dell´ex premier, Area democratica vede in lavorazione distillati che non gradisce affatto. «Ritorno al passato». «Attacco al bipolarismo». «Frammentazione». «Fine delle ragioni fondative del Pd». Prendiamo il rapporto con Casini, che intanto dà ragione a D´Alema, spiegando che «i compromessi ci vogliono», che «c´è troppo odio» in Italia. «Ma che bella idea, che idea geniale», ironizza Franceschini. Argomenta: «Aiutare in laboratorio la nascita di un centro, visto che il Pd secondo questi teorici non sarebbe capace di intercettare i voti moderati, è miopia politica. Quelli, una volta finito Berlusconi, se ne vanno con la destra e ci lasciano per 40 anni all´opposizione».
Ovvero: l´alleanza con l´Udc (ma anche con Idv e sinistra radicale) si può fare, ma alle condizioni del Pd. Il capogruppo piazza due paletti. Primo: la leadership spetta in ogni caso al partito più forte, stop all´"ammuina" su Casini candidato premier del centrosinistra. Secondo: no al modello tedesco, sì al doppio turno alla francese. Non tutti, dentro il correntone pd, la pensano allo stesso modo. Gli ex ppi, con Fioroni che non si è presentato in sala nel giorno del tandem Dario-Walter, fanno sapere che il rapporto con l´Udc è «decisivo ed essenziale», e comunicano che comunque la corrente dei popolari non si scioglierà.
Siluri anti-D´Alema partono anche da Veltroni. «Non mi pare un capolavoro riciclare l´Unione e, per giunta, affidarne la guida non al Pd ma al centro». Ancora: «Il male per il nostro paese non è certo venuto dalla cultura azionista, da Parri e Calamandrei». L´ex segretario chiede «forte discontinuità» nelle candidature regionali in Campania, Calabria, no all´appoggio a Lombardo in Sicilia. Le riforme insieme a Berlusconi? «Non vedo il clima, e nemmeno il disegno generale». Bacchettate alla Lega, che la Serracchiani definisce «il nuovo fascismo». La pietra tombale la mette Franceschini. Il tavolo delle riforme istituzionali è «una trappola». Le riforme sulla giustizia servono solo al premier. Controproposta: «Riformiamo piuttosto gli ammortizzatori sociali. Noi siamo pronti. E Berlusconi?».

Corriere della Sera 20.12.09
«Inciucio». Corsi e ricorsi storici
Dai triumviri di Roma alla «palude» e Depretis una scelta piena di rischi
di Luciano Canfora

Come concetto politico, «inciucio» (dal verbo dialettale siciliano «’nciuciare», fare qualcosa maldestramente) è termine recente, ma il suo contenuto è antico. E per lo più fallimentare, quando non catastrofico. Non vorremmo risalire troppo indietro nel tempo, ma, tanto per tenerci all’esempio più noto, i patti tra leader di opposti schieramenti che a Roma furono chiamati «triumvirati» (informale il primo, magistratura straordinaria il secondo) portarono prima o poi alla guerra civile. «Graves principum amicitiae» li definì Orazio, in un’ode in cui sconsigliava ad uno storico suo amico addirittura di parlarne. Il fenomeno parlamentare cui si allude con quel termine gergale siciliano, detto più elegantemente trasformismo, ebbe speciale vitalità nei secoli XIX e XX.

Ma aveva già fatto le sue prime prove nelle assemblee elettive della Rivoluzione francese, ad opera di quell’area centrale della Convenzione Nazionale che fu detta, con dileggio, «la palude». I parlamenti a prevalenza liberale furono poi il terreno di coltura del trasformismo.

Né solo in Italia (Agostino Depretis) ma anche nella pratica pseudoparlamentare del Secondo Impero e parlamentare della Seconda Repubblica francese. Molti fattori portavano a tale esito, ma soprattutto la micidiale miscela tra suffragio ristretto (in sostanza censitario) e leggi elettorali maggioritarie. Il collegio uninominale era l’habitat appropriato per la elezione di notabili naturaliter centrali, accomodanti e centristi. Ne risultava un personale politico socialmente omogeneo, che era, anche per questo, particolarmente disposto al reciproco compromesso: architrave, all’epoca, del mestiere di deputato. Tutt’altra cosa fu il compromesso costituzionale, e costituente, del 1946. Certo, anche un Liborio Romano, ultimo ministro di polizia di «Franceschiello», forse segretamente manovrato da Cavour (come mostra un recentissimo libro di Nico Perrone, Rubbettino editore), infine senatore del Regno d’Italia, ha avuto — nel gioco politico — un suo ruolo e un suo significato. Ma si trova di molti cubiti al di sotto dei dilemmi morali dei Costituenti di fronte all’articolo 7. La distanza tra Liborio Romano e Palmiro Togliatti resta incolmabile.

l’Unità 20.12.09
Amore odio diritti
Quanto pesa il sentimento sul governo
di Francesca Rigotti

Amore e politica. Confortati dall’opinione di poeti e psicologi che vanno ripetendo che amore e odio sono strettamente connessi e che l’oggetto d’amore è spesso anche soggetto di aggressioni, non ci stupiremo di trovare il sentimento dell’amore inglobato, a torto o a ragione, nella politica. È questo il suo posto?
Nei secoli passati, in regimi autoritari spesso dispotici, erano abituali quanto paradossali le espressioni d’amore del sovrano verso i sudditi, costruite sul modello di quelle dei padri nei confronti dei figli (le madri, da questi scenari, erano a priori escluse). Ecco sprecarsi quindi asserzioni paternaliste da parte dei reggitori, tanto più calorose quanto più provenienti da sovrani-canaglia, come quel Federico II di Prussia di cui è nota la vocazione autoritaria tanto quanto la smagliante retorica ricca di dichiarazioni di amore paterno per i popoli da lui governati e assistiti con affettuosa dedizione (sic).
In democrazia invece non si parla di amore – ed è corretto che sia così – bensì di diritti, di legalità, di rispetto. Né si tratta di porgere l’altra guancia o di amare il prossimo: si tratta di rispettare tutti, il lontano quanto il prossimo, perché è il rispetto, non l’amore, la parola chiave delle democrazie liberali, che non vestono i rossi mantelli delle passioni bensì gli abiti grigi della legalità e del diritto.
Già nel Principe (1513) Machiavelli si chiede se sia meglio per il principe essere amato che temuto: «Rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato». Anche se mai e poi mai, ammonisce il segretario fiorentino, il principe dovrà rendersi (parolina d’oro che sottolinea la responsabilità individuale) odioso nei confronti del popolo.
Machiavelli parlava per il monarca di sudditi; per il governante di cittadini le cose sono diverse. Odio e amore non sono espressioni del linguaggio delle democrazie liberali, dove il sentimento sovrano è il rispetto, a tutti dovuto in quanto esseri umani, ma che il politico pubblico più di altri dovrebbe meritare tramite un comportamento serio, onesto, dignitoso, autoritativo: non per il suo autoritarismo, attenzione, ma per la sua autorevolezza che nasce dalla statura morale e politica, dalla condotta irreprensibile, dalla magnanimità – dall’avere cioè, come dice la parola, una «grande anima» lontana dalla cultura della ricchezza, dell’accumulo, della corruzione e della autoprotezione a tutti i costi: chi ha orecchie per intendere intenda, e auguri a tutti. ❖

l’Unità 20.12.09
Diffusione planetaria. Dagli Usa alla Russia, dall’Indonesia all’Egitto, fino al cuore dell’Europa
Propaganda e non solo. Internet serve anche per organizzare attacchi e reclutare
Web, la rete dell’odio Più di tremila i siti razzisti
Affermano che «Auschwitz è come Disneyland»; inneggiano al Terzo Reich, incitano alla caccia all’ebreo, al negro, ai gay... Sono gli «hate sites», i siti dell’odio. Una crescita costante, in quantità e qualità...
di Umberto De Giovannangeli

L’antisemitismo corre sul web. Ed è un fenomeno in costante crescita. In quantità e diffusione. Dall’Indonesia all’Australia, dalla Russia all’Italia, passando per l’Egitto, le repubbliche baltiche dell’ex Urss, la Polonia. Sono oltre tremila i siti censiti che propagandano tesi antisemite. A questi vanno aggiunti i filmati (calcolabili a centinaia) di esaltazione del Terzo Reich e di negazione della Shoah, scaricati su Youtube. La rete collega singoli e gruppi. Crea alleanza. Produce mobilitazione. Organizza aggressioni contro giovani ebrei. Incentiva la profanazione di cimiteri ebraici.
LA RETE DELLA VERGOGNA
Oltre tremila siti antisemiti. Una rete della vergogna che accompagna la formazione di gruppi e movimenti dichiaratamente antisemiti: sono almeno 850 quelli censiti dal Centro Wiesenthal di Gerusalemme. Questi siti, sottolinea il direttore del Centro Simon Wiesenthal di New York, Marc Weitzman,sono utilizzati non più soltanto per la propaganda ma anche «come sistema di reclutamento, praticamente privo di rischi, quasi a costo zero e anonimo». Considerazioni, e cifre, che ritroviamo in un recente rapporto realizzato dal network Raxen su input dell’Eumc (Centro Europeo di Monitoraggio del Razzismo e della Xenofobia).
Secondo gli esperti, a partire dal 2000, sul web ha preso piede una rete di comunicazione tra estrema desta e fondamentalismo islamico. Negli oltre 3mila siti dedicati a contenuti antisemiti, a cui si legano chat e forum, al centro viene posta la negazione dell’Olocausto «come una componente dell’agitazione antisemita». «Gli estremisti di destra si legge nel rapporto hanno scoperto come condurre la loro guerra via Internet, come usare la “elecronic warfare”. Simili tattiche hanno indotto le autorità di alcuni Stati a mettere in guardia contro le derive terroristiche dello spettro dell’estrema destra. In più la potenziale violenza è coltivata dai peggior tipi di giochi elettronici, diventati arma politica vera e propria utilizzata abilmente dai neo-nazi. Questi siti hanno un pubblico fedele e e ampio, costituito non di semplici curiosi, ma di persone che sull'odio hanno costruito il proprio rapporto col mondo e usano Internet per ritrovarsi, scambiarsi informazioni, infiammarsi reciprocamente, creare steccati, alzare barriere, scavare fossati.
NAZI IN ISRAELE
Zalman Gilichinsky, immigrato in Israele dalla Moldovia nel 1989, si occupa da diciannove anni di monitorare il fenomeno dell’antisemitismo in Israele. Sul suo sito internet, pogrom. org.il, ha denunciato a giornali e associazioni la diffusione di decine di fogli a sfondo neonazista in Israele. Inutilmente: i media israeliani lo considerano un argomento tabù. Un’eccezione si ebbe nel 2007, quando la polizia scoprì una cellula neonazista composta da almeno otto immigrati provenienti da Paesi ex sovietici, tutti tra i 17 e i 19 anni, accusati di aver organizzato attacchi contro ebrei ortodossi, stranieri, punk, gay e tossicodipendenti, oltre che sfregiato una sinagoga di Tel Aviv.
Il neonazismo sul web non conosce confini: siti russi, francesi, spagnoli, svedesi, tedeschi, americani, in un crescendo di farneticazioni antisemite e deliri razzisti, celebrazioni di Hitler e esaltazione della razza ariana. Negli Usa sono oltre 400 i siti che si dicono apertamente nazisti, hitleriani o appartenenti al Ku Kluz Klan. Gli «hate sites» ( i siti dell’odio) sono mobili, pronti ad aggirare restrizioni legislative. Sono novanta i gruppi di estrema destra tedeschi che hanno trasferito loro siti Internet dai server della Germania a quelli degli Stati Uniti. Negli Usa, la legge sulla libertà di espressione rende più difficile la chiusura delle pagine web.❖

Repubblica 20.12.09
Copenhagen. Il risultato premia la linea della "non ingerenza" voluta da Pechino e New Delhi. Emarginata l’Europa
Il trionfo di "Cindia" sull´America "L'Occidente non può dettare le regole"
di Federico Rampini

COPENAGHEN - Le ragioni della vittoria politica di "Cindia" al vertice sul cambiamento climatico? Il responsabile Onu per l´ambiente Yvo de Boer le riassume così: «In India 400 milioni di persone vivono senza accesso alla corrente elettrica. Come gli dici di spegnere una lampadina che non hanno?» È ciò che il premier indiano Manmohan Singh aveva in mente quando ha detto: «Ogni accordo sul clima deve considerare i bisogni di crescita delle nazioni in via di sviluppo». Se a qualcosa è servito Copenaghen, forse è proprio questo. Mai più l´Occidente potrà dettare tempi e regole per far fronte all´emergenza ambientale, ignorando che il saccheggio dell´ambiente visto dai paesi emergenti è anzitutto un lascito nostro.
«Tutto il mondo dovrebbe essere felice per i risultati del vertice», ha detto raggiante Xie Zhenhua, il capodelegazione cinese, nel riprendere l´aereo per Pechino. La sua esultanza non lasciava dubbi sull´esito. «Noi cinesi - ha aggiunto Xie - abbiamo preservato il nostro interesse nazionale e la nostra sovranità». Non è proprio così che Barack Obama ha cercato di vendere agli americani l´accordo finale. Un punto qualificante dell´intesa raggiunta in extremis è la concessione cinese che gli impegni a ridurre le emissioni di CO2 andranno verificati nella trasparenza, con un monitoraggio internazionale. Ma quanto la Cina sarà davvero aperta a forme di ispezioni straniere, alla fine lo decideranno a Pechino, valutando di volta in volta i propri interessi.
Se ci fosse bisogno di una conferma del successo politico di Pechino e Delhi, l´ha data un autorevole consigliere di Obama rivelando i retroscena del vertice ai giornalisti di ritorno a Washington sull´Air Force One. Le ultime ore convulse di trattative per salvare Copenaghen dal fiasco totale, Obama le ha passate a rincorrere il premier cinese («Datemi il primo ministro Wen, dov´è finito Wen?»). Wen si nascondeva in albergo. E a negoziare con il presidente degli Stati Uniti mandava un sottosegretario agli Esteri. In quanto a Singh, la delegazione Usa è stata presa dal panico quando a vertice ancora aperto è giunto l´annuncio: «Gli indiani sono già all´aeroporto, hanno deciso che non serve rimanere e stanno imbarcando sull´aereo di Stato per tornare a casa». Alla fine Obama ha dovuto, letteralmente, imbucarsi a una riunione in cui nessuno lo aveva invitato: un meeting tra i dirigenti di Cina, India, Brasile e Sudafrica, cioè il nuovo gruppo "Basic". Obama aveva capito che se voleva salvare una parvenza di risultato al vertice, le cose si decidevano lì dentro.
È uno choc per due aree del mondo che avrebbero potuto contare molto di più: l´Unione europea e il Giappone, spesso all´avanguardia nelle normative sull´ambiente, ma ininfluenti a Copenaghen. Mai Obama ha cercato una sponda con loro. Dando prova di senso tattico, il presidente americano ha "marcato" solo i giocatori che contavano. Perché la chiave dei nuovi equilibri politici mondiali, è nella capacità di Cina e India di giocare su due sponde. Sono superpotenze economiche in competizione con l´Occidente (anche nella quantità di gas carbonici). Al tempo stesso conservano la capacità di rappresentare paesi emergenti ben più poveri di loro.
Un esempio è proprio la difesa che la Repubblica Popolare ha fatto della propria sovranità nazionale, contro la "trasparenza". Perché questa campagna cinese ha trovato comprensione in molti paesi dell´Asia, dell´Africa e dell´America latina? In parte perché si tratta di governi-clienti di Pechino, avvinghiati in robuste reti di relazioni commerciali, finanziarie, militari. Ma c´è una ragione più nobile, l´ha spiegata il presidente brasiliano Lula da Silva: «L´Occidente deve stare attento alle interferenze. Quando i cinesi si battono contro le ingerenze, ad altri paesi in via di sviluppo vengono in mente i tempi in cui mandavate i vostri diktat attraverso il Fondo monetario e la Banca mondiale».
Mark Levine, scienziato ambientalista al Lawrence Berkeley National Laboratory, che in qualità di esperto ha accompagnato Barack Obama sia in Cina che a Copenaghen, è convinto che i leader di Pechino non sottovalutino affatto i danni del cambiamento climatico: «Stanno investendo molto nelle energie alternative. E sull´auto elettrica, vogliono arrivare prima loro di noi. Ma al tempo stesso vogliono affermare il principio che su questo terreno non tocca a noi dare lezioni».

Repubblica 20.12.09
Mobilitazione dei radicali a tre anni dalla morte di Welby
"Una petizione per legalizzare eutanasia e testamento biologico"
di Paola Coppola

ROMA - Una petizione per legalizzare l´eutanasia e il testamento biologico. A tre anni dalla morte di Piergiorgio Welby, il 20 dicembre del 2006, i Radicali si mobilitano per raccogliere le firme nelle piazze. «Chiediamo che nelle scelte relative alla fine della vita sia rispettato il diritto all´autodeterminazione di ciascun individuo», si legge nel testo al parlamento. E sul testamento biologico: «Chiediamo il riconoscimento legale del testamento biologico attraverso il quale le scelte individuali siano obbligatoriamente rispettate e che includa la possibilità di rinunciare alla nutrizione e idratazione artificiale». Questo il senso della mobilitazione di tre giorni, che si chiude oggi, nell´anniversario della scomparsa di Welby dopo una lunga lotta per il diritto a scegliere sul fine vita. «La battaglia di mio marito non è andata perduta», racconta Mina Welby «perché tanti vengono a firmare anche tra i giovani perché vogliono scegliere cure e terapie e credono che non sia giusto vivere in una condizione di non vita». I tavoli organizzati nelle piazze informano anche su come fare per aprire a livello comunale i registri telematici a cui affidare le dichiarazioni anticipate di trattamenti sanitari prima dell´approvazione della legge nazionale. A Genova già lo hanno fatto, in altri comuni i cittadini si stanno mobilitando con una petizione. L´Associazione Luca Coscioni, insieme a "A buon diritto" resta un punto di riferimento per firmare testamento biologico. «Ne abbiamo già oltre 3000, ma i testamenti biologici compilati dagli italiani potrebbero essere oltre 10mila: se il loro diritto venisse negato dalla legge del parlamento il caso potrebbe arrivare davanti alla Corte Costituzionale», precisa Marco Cappato, segretario dell´associazione Luca Coscioni.

Corriere della Sera 20.12.09
La sentenza Da Tiger Woods alla Lewinsky: quando uno dei due rompe il silenzio
L’amore clandestino difeso dalla Cassazione
Minacciò di rivelare la storia: condannato per estorsione
di Maria Luisa Agnese

E adesso i mariti (e le mo­gli) che pensano di farla fran­ca negando, negando sempre, possono esultare. Perché l’amante che vuole uscire dal­la clandestinità potrebbe ri­schiare il reato di estorsione. Insomma l’outing non concor­dato potrebbe costare molto caro all’amante negletto. Al­meno così ha deliberato la Cas­sazione esaminando il caso di Sergio T, 33 anni, da Nola, che aveva minacciato di rivelare al­la madre dell’amante la loro relazione segreta. Denunciato e condannato, aveva fatto ri­corso, i giudici supremi però lo hanno respinto ribadendo gli estremi del reato «quando la minaccia sia fatta con lo sco­po di coartare la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia».

Ma, per tanti consorti che possono rilassarsi, quanti amanti disperati: per esempio che fine farebbero alla luce di questa sentenza tutte le “fidanzate” di Tiger Woods (fra cui una cameriera di Los Angeles bombardata da 300 sms) che in un mese sono esplose con le loro rivelazioni mandando in crisi un matri­monio collaudato, un campio­ne miliardario e il business che gli ruotava intorno.

Storie non inusuali in un mondo che insegue il quarto d’ora di celebrità. Che dire del­le due bellezze che a distanza di pochi giorni, nel 2004, ten­tarono di mandare in frantu­mi – senza successo - il matri­monio di un altro campione sportivo come David Be­ckham? O del tentativo itali­co, l’anno seguente, operato ai danni della coppia del desi­derio nostrano Totti-Blasi da Flavia Vento che, proprio quando Ilary era molto incin­ta e alla vigilia del matrimo­nio, raccontò a Gente di una notte d’amore con lui? O della rincorsa alle rivelazioni segre­te da parte di due maschietti, Rossano Rubicondi e Antonio Tequila, sulla multimiliarda­ria Ivana Trump, che, dopo aver ballato per qualche estate con loro in quel di Saint Tro­pez, si è ricordata di essere una signora e li fatti diffidare dai suoi avvocati dall’usare an­cora il suo nome o la sua im­magine.

Ma l’alchimia delicata e diffi­cile (sentimenti, passioni, inte­ressi) che si nasconde dietro una relazione clandestina si può liquidare davvero alla vo­ce estorsione? C’è solo questo dietro alla voglia disperata di possesso e di riconoscimento di persone negate in un rap­porto mai reso pubblico? Nelle loro soluzioni estreme film co­me Tutta la vita davanti e At­trazione fatale ci raccontano anche della rabbia e della fru­strazione di essere cancellati: che altro volevano Sabrina Fe­rilli e Glenn Close se non riba­dire il disperato bisogno di es­serci, di essere riconosciute?

Viene in mente il volto di­sperato e stranito di una don­na apparentemente fortunata come la principessa Di­ana che, incurante di tutti i suoi privilegi, era andata in televisione a mettere in piazza addirit­tura un doppio tradimen­to: quello del marito e il suo; ma solo per far sapere al mondo della sua umilia­zione per non essere in fon­do mai stata amata, al di là di un sontuoso e celebrato matrimonio. Anche dietro al volto della giovane Monica Lewinsky, che in tante intervi­ste raccontava i retroscena più gustosi delle avance del Presidente, non si intravede­vano soltanto giochi politici più grossi di lei e una giovani­le febbre da protagonismo, ma la lusinga che suscitava in una ragazza fresca ma non par­ticolarmente attraente il fatto di essere entrata per un atti­mo nel cono di luce di un po­tente della terra.

Lo stesso bisogno che forse ha spinto Patrizia Caselli a re­galare a Bruno Vespa, nel li­bro L’amore e il potere , una ri­velazione postuma, per far sa­pere a tutti quello di cui fino ad allora erano a conoscenza solo le persone che erano an­date in pellegrinaggio ad Ham­mamet da Bettino Craxi: che era stata lei l’ultimo amore se­greto del Cinghialone.

Corriere della Sera 20.12.09
Quella violenza alla libertà di decidere
di Cesare Rimini

Una storia d’amore, una relazione, una cosa che comunque il protagonista vuole mantenere inti­ma e segreta può diventare lo strumento, il mezzo per commettere il reato gravissimo di estorsione.

E l’affermazione della suprema corte è del tutto condivisibile perché l’estorsione, punita con la re­clusione da 5 a 10 anni, è il delitto che commette «chi con violenza o minaccia, costringendo talu­no a fare od omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Per­ché il reato sussista non è necessario che la minac­cia sia in sé un fatto illecito, è il fine che lo qualifi­ca. Extorquere, in latino, è ottenere per via di mi­nacce o lusinghe.

Insomma, il caso di scuola è questo: «Tu mi hai rubato una cosa, io ti denuncio se non mi vendi il tuo cavallo veloce». È chiaro che la minaccia di de­nunciare il furto subìto è perfettamente lecita, ma diventa illecita se viene utilizzata per costringere e procurarsi un vantaggio. Estorsione è la violazio­ne della libertà di decidere.

sabato 19 dicembre 2009

Repubblica 19.12.09
D´Alema: gli inciuci a volte sono utili
D´Alema elogia l´"inciucio" "Lo fece Togliatti con la Chiesa"
"Serve alla convivenza". Attacco alla cultura azionista
di Giovanna Casadio

ROMA - La possibilità di un accordo con Silvio Berlusconi su giustizia e riforme divide il Pd. Ieri Massimo D´Alema ha ribadito che «gli inciuci a volte sono utili». Contrari ad un´intesa con il premier che preveda una leggina ad personam sull´immunità Dario Franceschini e Rosy Bindi. Ma le polemiche invadono anche il Pdl: ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha regalato del Valium al direttore de il Giornale Vittorio Feltri, che ha ribattuto: «Gli manderò del vino bianco perché il rosso lo annebbia».

«Certi "inciuci" farebbero bene al paese». In nome della realpolitik, Massimo D´Alema rilancia il confronto tra Pd e Pdl. Non sono le polemiche a fermare l´ex ministro degli Esteri, che l´altra sera, nel "caminetto" dei leader democratici riunito dal segretario Bersani, aveva già messo sul tavolo il suo punto di vista. Con un paio di battute, ieri - durante la presentazione del libro "Comunisti immaginari" di Francesco Cundari - torna sulla questione dell´apertura a Berlusconi e al centrodestra, sulle riforme a cominciare da quella della giustizia. E tanto per fare un esempio di "inciucio", ricorda l´articolo 7 della Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa votato dal Pci di Togliatti nell´Assemblea costituente.
«I comunisti italiani hanno sempre dovuto difendersi da questo tipo di accuse - ricorda D´Alema - C´è sempre stato qualcuno più a sinistra, una cultura azionista che ha sempre contestato questo, da quando Sofri accusa Togliatti di non volere fare la rivoluzione, dall´articolo 7 in giù che è stato il primo grande "inciucio"... ma questi "inciuci" sono stati molto importanti per costruire la convivenza in Italia, oggi è più complicato, ma sarebbero utili anche adesso. Invece questa cultura azionista non ha mai fatto bene al paese...». I dirigenti comunisti, precisa, «hanno avuto un ruolo di educare i cittadini», e di nuovo cita Togliatti e la diversità dei comunisti italiani. Dal fronte dalemiano arriva la contrarietà di Nicola Latorre alla «delegittimazione giudiziaria del premier: avendo vinto Berlusconi le elezioni, deve governare questo paese fino a fine legislatura».
Bersani, però, ribadisce che la barra è dritta: il Pd non voterà mai leggi "ad personam" per aiutare il premier a uscire dai suoi guai giudiziari. Strada che nel partito non troverebbe consensi: contraria la presidente Rosy Bindi («La maggioranza ha i numeri per approvare le leggi che ritiene, non chieda avalli a noi»), come Piero Fassino («Attenti a non cambiare rotta») e il capogruppo alla Camera, Dario Franceschini. Tanto che il responsabile giustizia, Andrea Orlando accusa Di Pietro di mistificare. Il leader di Idv infatti aveva definito «senza senso la proposta di D´Alema» di una leggina pro Berlusconi che «i suoi stessi elettori boccerebbero; è scandaloso solo pensarlo; è come dire che piuttosto che essere colpiti da uno sparo è meglio essere accoltellati». Replica Orlando: «È incredibile che Di Pietro impieghi gran parte del suo tempo per attaccare il Pd. La nostra posizione sul cosiddetto legittimo impedimento è chiara: siamo contrari. Quindi una polemica pretestuosa contro D´Alema, il quale ha utilizzato semplicemente un paradosso».
Il Pd sembra diviso sul dialogo. Da Oscar Luigi Scalfaro, padre costituente, ex capo dello Stato, cattolico democratico, parte uno spunto di riflessione per il centrosinistra: «Non sono per nulla contrario all´ipotesi di un provvedimento che dia una tutela al premier a condizione che non ci sia danno a terzi». Scalfaro è stato anche magistrato. Osserva: «Tale provvedimento però non deve sospendere i termini per la chiusura dei processi». Un intervento a tutto campo quello del presidente emerito: sulle elezioni anticipate («Sarebbero da evitare, perché sciogliere le Camere sono interventi traumatici, una patologia seria»); sullo sfidante di Berlusconi («Rosy Bindi avrebbe l´intelligenza e la grinta per sconfiggere

Agenzia Radicale 19.12.09
Per D’Alema chi attenta la democrazia è la cultura azionista
di C.P.

Aspettavamo Mikail Santoro per sapere chi fossero i mandanti dell'attento a Silvio Berlusconi: ci ha rifilato la solita, stantia minestra riscaldata, del filosofo Umberto Galimberti per il quale chiunque in qualisiasi momento può aggredire fisicamente un altro essere umano. La ‘non violenza' anche verbale per Galimberti non fa parte dell'essere umano, perché simile alla tigre o alla pantera. Ma oggi ne sappiamo di più: i mandanti dell'attentato e della democrazia italiana sono gli 'azionisti', vale a dire quella nobile, onestissima, disinteressata, lungimirante cultura azionista fatta di gente come Riccardo Lombardi, Vittorio Foa, Ferruccio Parri, Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Emilio Lussu, Leo Valiani, Tristano Codignola, Carlo Arturo Jemolo, Ugo La Malfa e tanti altri illustri politici, che rischiarono la propria vita contro l'orrendo nazifascismo, che vollero a fecero la Repubblica Italiana laica, che fino alla fine si opposero a qualsiasi 'inciucio' con la Chiesa!
A svelare l'arcano del mandante è stato l'ineffabile 'baffino' Massimo D'Alema che proprio oggi ha testualmente detto: questa cultura azionista non ha mai fatto il bene del paese! Meriterebbe di esser giudicato dallo stesso ‘Tribunale Speciale' del ventennio che condanno' a morte migliaia di partigiani e che fece morire in carcere, complice il Pcus, Antonio Gramsci, 'un cervello che non deve pensare' disse Benito e quindi andava eliminato, anche per il Pci. Questa cultura azionista non violenta si oppose all'art. 7 della Costituzione con cui Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi elevarono a norma costituzionale in nome della ‘riappacificazione nazionale' i Patti Lateranensi del 1926 tra Mussolini, Uomo della Provvidenza, e Pio XI.
Patti Lateranensi che per Gramsci avrebbero significato "la capitolazione" dello Stato perche' poi "costretto a perseguitare" chiunque non si fosse riconosciuto nella religione di Stato, quella cattolica, come sancito dai Patti. Non contento di ciò, il Migliore, per anni al sicuro e al caldo nella residenza russa di Stalin, mentre in Italia si lottava corpo a corpo contro il fascismo e il nazismo mettendo a rischio la propria vita, o in Spagna si difendeva a Repubblica e tanti anarchici furono uccisi dal Kgb russo con la complicita' di Togliatti, sbarcato a Napoli, era pronto a fare il governo con il fascista Pietro Badoglio. Poi nel 1945 fece saltare il Governo di quel 'coglione' di Ferruccio Parri, quindi come ministro della Giustizia emano' nel 1946 il decreto di amnistia controfirmato da De Gasperi con cui Pci e Dc si divisero il bottino del ventennio: magistrati, giornalisti e intellettuali nel Pci, Repubblichini di Salò (come Ciarrapico e Sbardella) nella Dc.
E i torturatori dei partigiani, i giudici che mandarono a Ventotene Pertini, Terracini, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e tanti altri, gli estensori dell'orrendo Manifesto della Razza che definiva gli ebrei un popolo da sterminare, furono liberati dal Migliore. Non soddisfatto dell'opera nefasta, proseguì a ingannare milioni di persone con il mito dell'Urss, patria del socialismo realizzato... con i gulag, e non si fermo' neanche di fronte all'invasione dell'Ungheria da parte dei tank sovietici: tirò fuori la 'balla' dei controrivoluzionari pagati dall'Occidente!!
Poi venne il compromesso storico di Enrico Berlinguer, e con la 'fermezza' dello Stato l'omicidio di Aldo Moro! Ah, dimenticavo. Togliatti ebbe un figlio, Aldino che oggi e' un numero, quello della stanza di una clinica privata di Modena dove e' internato da decenni per schizofrenia. E una figlia, seguace di un ebreo che non fu mai perseguitato dai nazisti i quali però ne apprezzarono l'opera psicoanalitica: si chiamava Sigmund Freud che chiamò Mussolini 'Eroe della Cultura'.
Ma quell'azionista pericoloso di Riccardo Lombardi se la cavò con una piccola battuta: "Non perdo neanche un secondo a leggere qualsiasi libro di chi ha definito Mussolini 'Eroe della Cultura: per me è stato l'Eroe della Cultura della Morte'. Ne' tanto meno condivise la famigerata legge 180 del compagno Franco Basaglia: scelse i tormenti, le perplessità, i dubbi atroci di Mario Tobino di chiudere sici et simpliciter i manicomi.
Costui diceva, "mi si dia del reazionario, del servo del potere ma la differenza tra me e Basaglia è che io la malattia mentale l'ho vista e la vedo, lui dice che non esiste". Ci vogliamo aggiungere cosi' tanto per far cultura che il Pci, non tutto per la verità, considerò e considera Sartre e Foucault, Heidegger e Basaglia, grandi maestri del pensiero umano e che l'Ingegnere socialista ex-azionista bollo' le loro tesi come 'aberranti'?
Perché? Ma perché negavano totalmente la realtà dell'essere umano che non ha solo bisogno di casa, salario, auto, televisore, frigorifero, ma di esser liberato dall'alienazione sul lavoro e da quella religiosa, avere la possibilità di disporre di tempo libero per se, per studiare Dante e Omero, per apprezzare Picasso, per fare l'amore.
Accade che bisogna riscrivere la storia: buttare giù dalla torre i falsi padri della Repubblica che non furono ne' Togliatti ne' De Gasperi, come i falsi padri della psicoanalisi che non fu Freud e il freudismo che non e' mai esistito, come i falsi maitre a penser che non sono stati Sartre e Foucault che giustificava la pedofilia, ne' Heidegger e nemmeno Basaglia. La cultura azionista e Lombardi a modo loro, per i tempi, non certamente facili e semplici, gli anni '30 e '40, dominati dalle ideologie della Morte (Fascismo e Nazismo), gli anni '50 e '60 dominati dal mito dell'Urss, e gli anni '70 dal Sessantotto finito nella droga e nella P38, qualcosa di sporco avevano intuito.
E Lombardi d'istinto disse 'No' a quest'inganno. Fece del suo meglio avendo accanto una donna straordinaria Ena Viatto che a tredici anni chiuse con la religione "noiosa e deprimente", mando' a quel paese Togliatti, divorziò dal comunista Li Causi perché innamoratasi di un Ingegnere non comunista, ma amico degli antifascisti...
E questa donna, chissà perché, nessuno mai l'ha voluta ricordare, le ha mai dedicato qualche riga di giornale o dieci secondi di televisione...A differenza di quel che pensa e dice 'baffino' della cultura azionista non violenta e libertaria, liberale e laica, antidogmatica e socialista ce ne e' ancora tanto ma tanto bisogno, non degli ‘inciuci' catto-comunisti', ai quali la ‘non violenza' non è mai appartenuta.

Corriere della Sera 19.12.09
Nel Pd Franceschini riunisce i suoi a Cortona: sulle riforme niente pasticci
«Certi inciuci farebbero bene» D’Alema incalza i democratici
di Alessandro Trocino

CORTONA — «Certi inciu­ci farebbero bene al paese». Massimo D’Alema si riferi­sce a «inciuci» di rango, co­me l’articolo 7, oggetto del Concordato. E aggiunge: «Sa­rebbero utili anche oggi. Questa cultura azionista non ha mai fatto bene al Paese».

Il termine «inciucio», pro­nunciato a Roma, rimbalza a Cortona, dove si riunisce per la prima volta Area Democra­tica, che fa capo alla mozio­ne di Dario Franceschini. Per la leggina sul legittimo impedimento, D’Alema ave­va parlato di «riduzione del danno», ovvero di «male mi­nore » rispetto al processo breve. Tutti provvedimenti che Area Democratica vede come il fumo negli occhi. Pa­olo Gentiloni: «Non scambia­mo il fumo delle parole sulle riforme con l’arrosto del le­gittimo impedimento». E Da­rio Franceschini: «Sulle rifor­me non vogliamo pasticci». Oggi ci sarà il rinnovato no all’«inciucio» di Walter Vel­troni, che avverte: «Si parla troppo dei processi ai poten­ti » .

Michele Salvati traccia in apertura l’identità di Ad: no alla tradizione «esaurita» del­la socialdemocrazia, «ruolo significativo» agli elettori non iscritti, difesa del bipola­rismo. Pina Picierno entra nel vivo: «La divergenza fon­damentale con la maggioran­za del Pd è sulla giustizia. No a compromessi sulla legali­tà ». Debora Serracchiani: «Sulla giustizia non dobbia­mo balbettare. Dobbiamo di­re no a qualunque legge ad personam salva premier». Parole diverse dal dalemia­no Nicola Latorre che si dice contrario alla «delegittima­zione giudiziaria del pre­mier ». Piero Fassino, invece, da Cortona mette in guardia dal rischio che si cerchi di ba­rattare «una riforma della giustizia con le riforme isti­tuzionali ». «L’ubi consistam del Pd — aggiunge Sergio D’Antoni — deve restare la vocazione maggioritaria e la comprensione di tutte le cul­ture » .

Anche Area Democratica ha diverse anime al suo inter­no. Beppe Fioroni vorrebbe tenerle ben vive: «Dobbia­mo alimentarle, non soppri­merle. Non ci sto a un parti­to nel partito, ma dobbiamo trovare le nostre affinità elet­tive. Intanto i popolari non li sciolgo». Franco Marini vor­rebbe mantenerli trasversali alle mozioni e per questo non è venuto a Cortona. Fio­roni aspira a una «dirigenza plurima» dentro Ad, con nes­suna struttura e nessun por­tavoce. Nei prossimi mesi potrebbe invece nascere un ufficio politico, con i rappre­sentanti delle sub correnti, e uno speaker. Come soluzio­ne di sintesi, si parla del vel­troniano Giorgio Tonini.

Corriere della Sera 19.12.09
Il caso In un video montate immagini per dimostrare la teoria dell’«autoattentato»
Su Internet la «tesi del complotto». Pdl e Pd: assurdo
di Monica Guerzoni

ROMA — Si intitola «L’aggressione a Ber­lusconi una montatura?», è partito da You­Tube e sta facendo il giro del web, diven­tando il vessillo del partito del complotto. Cioè il fronte di chi pensa che la tragedia delle Torri gemelle sia nata in seno alla Ca­sa Bianca e che, allo stesso modo, Massimo Tartaglia sia stato assoldato da Palazzo Chi­gi. La tesi dell’autoattentato va alla grande, su Internet. Dove si sfida il senso del ridico­lo parlando dei fatti di piazza del Duomo come di un «11 settembre all’italiana».

Il video più gettonato, rilanciato da Face­book e visto in poche ore da trecentomila utenti, è stato realizzato montando le im­magini di Rainews 24 e va rimbalzando dai siti giustizialisti a quelli dei movimenti, sca­tenando migliaia di commenti e gettando legna sul fuoco dell’antiberlusconismo. L’aggressione del Duomo non sarebbe, in­somma, che una «manipolazione mondiale per prendere il controllo di Internet». Il fil­mato è diviso in due parti, dura circa otto minuti ed è corredato da musica thriller e infografiche in rosso. L’autore, che non si rivela, utilizza il fermo immagine col dichia­rato intento di portare a galla i «piccoli e grandi particolari», i «dubbi» e le «incon­gruenze » che tormentano i radical anti-Sil­vio. Perché il sangue, invece di sgorgare fluido e abbondante, appare «magicamen­te coagulato»? Cos’è il «misterioso» ogget­to che uno dei body-guard tiene in mano all’interno dell’auto? Non sarà mica una «bomboletta che spruzza sangue finto»?

Tutte «scempiaggini», prende nettamen­te le distanze Beppe Fioroni, responsabile Welfare del Pd. «Ma smettiamola... Se la ri­produzione del Duomo lo colpiva sulla tem­pia il premier poteva morire — e qui Fioro­ni parla da medico —. Ma quale complotto! Il confronto politico rimanga nell’ambito della saggezza». Intanto però, un click do­po l’altro, il filmato che sprona «spegnete la tv accendete il cervello» irretisce miglia­ia di sostenitori. «Questo video mostra la verità!!! — scrive su YouTube MrBrasco80 —. Non facciamo gli ipocriti!!! E la camicia piena di sangue che hanno detto al tg dove sta?». Fake407 invece non ci crede e raccon­ta che a lui hanno rotto il naso con un pu­gno, «ma neanche una goccia di sangue».

Il video arriva dopo l’affondo del presi­dente del Senato Renato Schifani contro i social network, paragonati ai gruppi extra­parlamentari degli anni ’70. E certo non è sfuggito all’entourage del presidente del Consiglio.

«Ho visto qualcuno di questi video — conferma Daniele Capezzone — e siamo di­nanzi a qualcosa che definirei microterrori­smo ». Non sarà troppo? «Io ci vedo la stes­sa furia ideologica di chi usa la violenza, ma in più la miseria di fare tutto nella pro­pria stanzetta, negando l’evidenza e illuden­dosi perfino di fare un’inchiesta — attacca il portavoce del Pdl —. Vigliacchi, falsifica­tori e illusi». Se non parlassimo di «una co­sa drammatica» Capezzone si metterebbe a ridere: «Si lamentano perché Berlusconi sanguinava poco, se siamo arrivati a que­sto punto...».

Repubblica 19.12.09
Berlusconi sul Pd «Sono un simpatizzante»
L’altolà dell'opposizione Pd "Niente scambi sulla giustizia"
E Marini dice addio al cartello degli anti-Bersani
di Umberto Rosso

CORTONA - Parola d´ordine: niente inciuci dalemiani sulle riforme. Dario Franceschini tiene a battesimo la prima riunione di Area democratica, chiamando a raccolta tutta l´opposizione interna al Pd, e lancia l´altolà della corrente: «Non vogliamo pasticci. E non li voteremo». E così se D´Alema, o lo stesso Bersani, avessero in mente di aprire la porta al legittimo impedimento, ovvero a qualche altro «scambio» con Berlusconi, sono avvisati: un terzo del partito, in nome del milione di voti raccolti dal segretario sconfitto alle primarie, non ci sta. Si dà appuntamento per la prima volta a Cortona il cartello degli anti-Bersani - franceschiniani, fassiniani, popolari, veltroniani, parisiani - e decide che è arrivato il momento di mettere radici, di darsi una struttura e un nome preciso. In arrivo un sito web e si pensa in prospettiva perfino a un quotidiano della corrente. «Senza pensare di mettere in piedi però - precisa Beppe Fioroni - un partito nel partito».
Nella componente si confrontano infatti i «fusionisti», fra le varie anime, e i «federalisti». Ma intanto si mette a punto la ragione sociale di tutta la ditta. L´anti-inciucismo. Perché, come mette in guardia Piero Fassino, «il confronto sulle riforme da 20 anni nel nostro paese non ha prodotto altro che o una crisi di governo o elezioni anticipate». E in questo momento non si intravedono proprio, secondo la minoranza del Pd, segnali che possano far presagire una sorte diversa ad un tavolo di trattative. Anzi. Il pericolo, denuncia Paolo Gentiloni, è che «ci sia uno scambio fra l´arrosto del legittimo impedimento e il fumo della riforma elettorale».
Il sospetto che circola forte, nelle fila di Ad, è che dietro la mano tesa sulla giustizia ci siano manovre in corso per una nuova legge elettorale, l´amo indispensabile nei progetti dalemiani per agganciare Casini. Pronti ad alzare le barricate, allora. Perdendo, su questa linea, qualche pezzo. Franco Marini si è chiamato fuori. In uno scontro duro, l´altra sera nel caminetto di partito, con l´ex pupillo Franceschini. «Le riforme vanno fatte, anche il lodo costituzionale Alfano». E giù un nuovo attacco alla Bindi e allo stesso Dario per la presenza al No B day. Replica del figlioccio di un tempo: «Di riforme piuttosto io farei quelle economiche, per far star meglio gli italiani». Dalla parte dell´ex presidente del Senato, soprattutto, Violante e Latorre. Bersani media fra le anime interne, sì alle riforme ma non quelle ad personam, sì a Di Pietro ma anche a Casini, e nessun confronto sulla legge elettorale prima delle regionali: il partito sul nodo è diviso, e le spaccature avrebbero conseguenze negative sulla campagna di marzo.
Una frenata che l´opposizione apprezza ma il segretario «centrista», secondo Franceschini e soci, avrà un bel da fare se davvero si apre il tavolo. Anche perché da Cortona partono siluri anti-Casini, si denuncia il rischio di subalternità all´Udc. L´ex presidente della Camera, ironizza Sergio D´Antoni, ex segretario della Cisl, «ci fa sapere che se Berlusconi lo maltratta ancora sarà costretto a fare il leader del Pd. E la Bindi informa che lei preferirebbe però che il capo del nostro partito lo scegliesse il partito». E se Marini dice addio, ecco il ritorno di Veltroni, che stamattina parlerà a Cortona, dopo aver superato una fase di gelo con Franceschini. I due si sono incontrati, è arrivato il chiarimento. Walter pensava che la corrente potesse avere un diverso coordinatore (visto che Dario fa il capogruppo) ma per il momento non sono previsti nuovi portavoce. Uniti nel nome dell´anti-inciucio. Come il no all´appoggio esterno del Pd alla giunta Lombardo.

Repubblica 19.12.09
L’assedio al Pd tra il Bene e il Male
di Carlo Galli

Una nuova, elementare teologia politica sembra stia sostituendo il discorso pubblico democratico nel nostro Paese. Tutte le forme del conflitto politico e dell´antagonismo sociale sono in via di sparizione.
Non ci sono più il concorrente, l´avversario, il nemico esterno, ovvero i simboli in cui prendono corpo le tipologie di lotta (economica e politica) che possono trovare posto e legittimazione nella moderna civiltà liberale, e nella nostra Costituzione. È in via di trasformazione anche la figura novecentesca del nemico interno, ideologico, da osteggiare perché portatore di una visione del mondo che non può trovare collocazione nel nostro stesso spazio politico. Ormai, la politica viene spiegata attraverso un apparato categoriale estremo e rudimentale al contempo, come il confronto mortale tra Amore e Odio.
Questa suprema semplificazione – che ha in realtà radici tanto nelle fiabe e nel repertorio popolare antico e moderno quanto nelle cupe fantasie del pensiero controrivoluzionario, o nella bruciante denuncia del totalitarismo di Orwell in 1984 – non appare oggi nella politica italiana, ma ne è diventata l´epicentro dopo l´aggressione milanese a Berlusconi. Il crimine di uno squilibrato – un atto che è ovvio punire penalmente, come è ovvio solidarizzare umanamente con la vittima – è stato ed è utilizzato per bollare come criminale l´opposizione al premier; una immotivata e folle avversione personale è stata promossa a emblema della lotta politica contro le politiche della maggioranza, il cui potere è stato definito Bene, e Male ciò che vi si oppone. Oltre la criminalizzazione dell´avversario, siamo alla sua demonizzazione, alla squalificazione non solo etica ma anche ontologica. La dimensione giuridica – che fa sì che un reato sia un reato, mentre una critica è una critica: illecito il primo, lecita la seconda – è risucchiata e annichilita in una teologia manichea che si propone come chiave di lettura onnicomprensiva della dinamiche politiche: tutto si confonde con tutto, tutto deriva da tutto, tutto conduce a tutto; il pensiero e l´azione si trovano sul medesimo piano, inesorabilmente inclinato verso l´abisso: verso il sangue, la violenza, il terrorismo anarchico. Non ci sono distinzioni ma solo gradazioni nel Male: è Male il semplice opporsi al Bene, in qualunque forma ciò avvenga. La metafora del clima (il "clima di odio"), oggi vincente, lo dice: il clima è appunto l´insieme dei fenomeni atmosferici e anche la generica predisposizione verso una certa loro tipologia (clima buono o cattivo). Con una simile concettualità si può rendere chiunque responsabile di qualunque cosa, o almeno si può sostenere la possibile pericolosità, diretta o indiretta, di ogni comportamento non conforme. Le leggi che limitano la libertà di espressione, i provvedimenti speciali, pendono minacciosi sugli oppositori. Ma tutto ciò è Bene, è la forza dell´Amore.
Del Male c´è però una speranza di perdono: si chiama dialogo, collaborazione parlamentare per rifare la Costituzione. Dissolve il clima di odio e assolve da molti peccati. Il piccolo prezzo da pagare per l´indulgenza, la penitenza dopo tutto mite a cui l´opposizione si deve assoggettare, è di collaborare (o almeno di non ostacolarle efficacemente) ad alcune leggi volte a garantire l´impunità personale al premier (dal legittimo impedimento al Lodo Alfano costituzionalizzato) e il controllo della magistratura all´esecutivo (la separazione delle carriere e la "riforma della giustizia"). Se ciò non avverrà, se il Pd non saprà essere "autonomo" e presterà ancora orecchio alle lusinghe di Satana (Di Pietro, Repubblica), la reazione sarà durissima: il Male sarà condannato senza remissione, e l´intero sistema giudiziario sarà spazzato via dal "processo breve", che non sarà difficile, per chi controlla tutte le televisioni, presentare come giusta risposta all´esigenza di rapida giustizia che accomuna tutti gli italiani.
Non si è tratteggiata una caricatura; e del resto non c´è nulla da ridere. La situazione italiana è davvero questa: la costruzione mediatica di un´egemonia culturale pressoché incontrastata, o comunque subìta, dispiega tutta la propria potenza per creare un mondo artificiale che deve far velo a quello reale, che deve negare l´evidenza, ossia l´esistenza di un´Italia non di destra e non berlusconiana, e neppure terrorista o incline alla violenza, di una società che si sforza di essere libera e che dispiega le proprie capacità critiche in un pubblico dibattito, e quindi anche attraverso i giornali (alcuni) e le case editrici (alcune). L´obiettivo è evidente: delegittimare la base sociale e intellettuale dell´opposizione, tagliare i ponti fra la società e il palazzo, intimidire le forze che costituiscono la linfa vitale del Pd, in modo che questo, nella sua attività politica, sia sempre più isolato nella sua condizione di minoranza parlamentare. E questo isolamento, questo allontanamento dall´opinione della sua base, dovrebbe essere chiamato "autonomia".
Certo, la pressione sul Pd è davvero enorme: se cede verrà punito alle elezioni regionali, in favore di Di Pietro; se resiste rischia di produrre gravi lacerazioni al proprio interno. Eppure è in questo crinale che si deve dispiegare un´azione politica forte: che è non cercare di parlare d´altro (dei "veri problemi degli italiani", come se rifare la Costituzione in queste condizioni e con questi prezzi non fosse un problema di tutti), ma appunto parlare delle medesime cose di cui parla la destra, criticandole e demistificandole senza timidezze. Di fornire una contro-interpretazione della vulgata corrente sul Bene e sul Male, e di provare a inserirsi nuovamente nel discorso pubblico, senza rassegnazioni e anzi con la volontà di rovesciarne i termini. Di affermare la critica contro i miti, la ragione contro le fiabe, la forza della democrazia liberale contro la paura e contro i rischi di una democrazia "protetta".


Repubblica 19.12.09
L’odio e l’amore non fanno politica
di Giovanni Valentini

Una dote necessaria è il coraggio civile e il coraggio di dire la verità.
(da "Conversazioni notturne a Gerusalemme" di Carlo Maria Martini – Mondadori, 2008 – pag. 110)

Nella forsennata campagna di denigrazione e intimidazione contro il nostro giornale e il nostro Gruppo editoriale, rilanciata dalla "Guardia del Presidente" all´indomani della barbara aggressione di Milano, emerge platealmente il tentativo di criminalizzare il dissenso e la critica per imporre il silenzio-stampa a tutti gli oppositori, una sorta di black-out mediatico, sulle vicende e sulle responsabilità politiche. Ma c´è una domanda fondamentale che non trova una risposta ragionevole né convincente: perché mai noi dovremmo "odiare" Silvio Berlusconi? Qual è il motivo che giustificherebbe un tale sentimento contro il presidente del Consiglio?
Si dice: Berlusconi è stato considerato fin dall´inizio un "corpo estraneo". Lui rappresenta l´anti-politica. E dunque, l´establishment, la classe dirigente, insomma i cosiddetti poteri forti, si rifiutano di riconoscerlo e di accettarlo come capo del governo.
Sul fatto che il Cavaliere rappresenti l´anti-politica, si potrebbe discutere a lungo. In realtà, politicamente Berlusconi discende da Bettino Craxi e il berlusconismo è in qualche modo la prosecuzione del craxismo, nella sua degenerazione finale verso l´affarismo e la corruzione. Proprio per questo, ancor più di lui, è semmai Antonio Di Pietro a incarnare nel bene o nel male l´anti-politica, cioè il rifiuto della partitocrazia nelle sue perversioni.
Quanto al "corpo estraneo", bisogna intendersi. Berlusconi è l´erede diretto e il maggior beneficiario della Prima Repubblica. L´imprenditore che, attraverso una legislazione di favore sulla televisione, ha ricavato dal vecchio sistema di potere enormi vantaggi in termini aziendali e personali. Quando gli sono venute a mancare le protezioni e le coperture politiche, ha dovuto fare di necessità virtù e scendere in campo per difendere i propri interessi, prima sul piano economico e poi su quello giudiziario.Tutto ciò non sarebbe sufficiente comunque a giustificare una presunta "campagna di odio" nei suoi confronti da parte di un Gruppo editoriale che può vantare – dalla fondazione del settimanale L´Espresso nel ´55 a quella di Repubblica nel ´76, fino ai giorni nostri – una lunga tradizione di impegno civile, nel solco di un giornalismo di opinione e di denuncia. Non a caso la nostra opposizione a Berlusconi e a tutto ciò che rappresenta risale alla metà degli anni Ottanta, ben prima cioè del suo ingresso diretto in politica. E poi, prosegue e si rafforza nell´ultimo quindicennio attraverso il legittimo esercizio del diritto di critica, in nome del pluralismo e della libertà di stampa.
Questo atteggiamento non si basa sull´odio, cioè su un sentimento ostile, irrazionale ed emotivo; bensì al contrario su considerazioni oggettive, fondate, assolutamente razionali. Vale a dire, innanzitutto, l´abnorme concentrazione di potere mediatico, economico e politico che oggi il Cavaliere impersona su scala planetaria, senza paragoni al mondo. Una concentrazione che costituisce di per sé, anche indipendentemente dall´uso o dall´abuso che se ne fa, un pericolo per la vita democratica.
Il fatto è che, dal ´94 a oggi, non solo Berlusconi non ha voluto sciogliere questi nodi, per emendarsi dai suoi vizi d´origine. Ma anzi li ha ulteriormente aggrovigliati, utilizzando il potere mediatico per accrescere il potere economico e infine per conquistare e consolidare il potere politico, imperniato sulla figura del lìder maximo, del capo carismatico, del taumaturgo.
Ha criminalizzato fin dall´inizio gli avversari, bollandoli tutti come "comunisti" e alimentando la repressione del dissenso, della critica e perfino della satira. Ha via via espropriato il Parlamento delle sue prerogative, con una "porcata" come la legge elettorale in vigore che in pratica toglie ai cittadini la facoltà di scegliere i propri rappresentanti e con il ricorso intensivo al voto di fiducia. Ha sferrato un attacco in crescendo alle magistratura, alla Costituzione e allo Stato di diritto, a colpi di decreti-legge e leggi "ad personam". Fino ad arrivare alla massime istituzioni di garanzia, la Corte costituzionale e la presidenza della Repubblica.
Può anche darsi, come pare abbia confidato lui stesso nei giorni scorsi in ospedale a Fedele Confalonieri, che ora il male produca il bene e che alla fine l´amore prevalga. «Se cambiano i toni – ha detto appena dimesso – il mio dolore non sarà inutile». Ma la Politica non si fa né con l´odio né con l´amore. Si fa, nell´interesse generale, con atti, gesti, comportamenti concreti e responsabili.
E allora, se il presidente del Consiglio vuole davvero chiudere la "stagione dell´odio", deve rimuovere le ragioni di fondo che sono alla base dell´opposizione nei suoi confronti. Risolvere finalmente il conflitto di interessi. Togliere le mani dalla Rai. Accettare il dissenso e la critica. Rispettare la Costituzione, senza rinunciare ad aggiornarla nelle forme previste e dovute. Onorare la divisione dei poteri. Rispondere alla magistratura, nei tribunali della Repubblica, come qualsiasi altro cittadino.
Non è certamente con la censura che guadagnerà il rispetto degli avversari. Né tantomeno con la criminalizzazione del dissenso e della critica. E neppure con le campagne denigratorie e intimidatorie contro la libera informazione. Forse non sarà "amore", ma almeno vivremo tutti in un clima più composto e civile.
(sabatorepubblica.it)


Repubblica 19.12.09
Colonne d’Ercole del Novecento
di Adriano Prosperi

Nelle prime ore della mattina di venerdì 18 dicembre qualcuno ha strappato via la targa di metallo con la scritta "Arbeit macht frei" che sovrastava l´ingresso del lager di Auschwitz. È stato un gesto deliberato, preparato accuratamente: solo questo è quel che sappiamo per ora.
Non conosciamo gli autori: ma sappiamo perché l´hanno fatto e come si chiama il loro delitto. Si tratta del furto non di un pezzo di metallo ma di un simbolo sacro alla memoria dell´umanità. È dunque un reato di lesa memoria umana quello che è stato consumato.
Qualcuno forse si chiederà perché quel simbolo non fosse sorvegliato, perché non ci fosse una polizia speciale a impedire l´azione criminale. Ebbene noi non crediamo che si debba proteggere a forza quel simbolo: è l´umanità intera che deve sapere quale soglia altissima di rispetto e di tutela debba alzarsi nella mente di tutti davanti a quel pezzo di metallo. È da lì che deve emanare una forza capace di tenere lontana ogni volontà aggressiva. Come la biblica Arca dell´Alleanza che si tutelava da sola folgorando l´incauto che allungava la mano per sostenerla, la scritta di Auschwitz deve bruciare gli infami che hanno consumato il sacrilegio. La scritta "Arbeit mach frei" significa Auschwitz, Auschwitz significa la Shoah: e queste sono le colonne d´Ercole oltre le quali l´umanità intera è entrata in una nuova storia, ha scoperto il paesaggio devastato del mondo nuovo, ha saputo che Dio era morto. A chi voleva continuare a vivere in un mondo dove si respirava un´aria densa delle ceneri di milioni di morti, si impose un solo comandamento: ricordare. Uno solo: ma non fu facile accettarlo.
Nell´opera della ricostruzione, tra le macerie della guerra, i pochi testimoni sopravvissuti alla Shoah incontrarono enormi difficoltà a farsi ascoltare. Il processo lungo e difficile attraverso il quale quella storia è stata non spiegata, non compresa – impossibile comprendere, impossibile spiegare – ma almeno raccontata per ricomposizione di indizi e dati statistici è sufficiente a mostrare la difficoltà di ricordare ma anche l´assoluta necessità della memoria. È un dovere intollerabile e inevitabile. Che sia intollerabile lo sappiamo bene. L´asportazione della scritta di Auschwitz lo dimostra. Molti sono i percorsi battuti per raggiungere lo stesso effetto: aggiustando l´arredo del campo, inserendovi simboli e presenze religiose istituzionali, mettendo via via a rischio la desolazione di uno spazio che la presenza immateriale di milioni di vite cancellate ha reso l´unico vero spazio sacro della storia umana dopo la cesura irrecuperabile tra passato e futuro che si chiama Shoah.
Perdita di memoria: è questo che si vuole ottenere. Lo tentarono gli aguzzini che cancellarono coi forni crematori l´esistenza delle vittime e si preoccuparono di nascondere le tracce di quel che avevano fatto. Lo hanno tentato poi in vario modo gli avamposti dei narratori accademici della storia con le loro faticose elaborazioni sul "passato che non passa". Erano solo le avanguardie di un´umanità che voleva inghiottire a ogni costo quel groppo intollerabile. E tuttavia da allora una legge non scritta, incisa nei cuori, ci dice che c´è un solo dovere, una sola legge obbligatoria per chi vuole continuare a vivere nel mondo che ha conosciuto la Shoah: ricordare.
È per questo che ogni anno milioni di visitatori compiono un pellegrinaggio che è l´ultima sopravvivenza del sacro nella quale l´umanità tutta, senza distinzioni di culture o di religioni, è obbligata a riconoscersi: la visita ai lager nazisti, quella minuscola città sacra che occupa uno spazio immenso, quella vasta necropoli senza tombe di cui Auschwitz è la capitale. È da lì in poi che la storia del mondo è cambiata. Se è vero che ciò che ci costituisce come esseri umani è la memoria, è un fatto indiscutibile che solo lì è nato il legame di memoria che ha unificato la nostra specie. Al di sopra delle appartenenze nazionali e delle identità culturali e religiose, tutti sono obbligati a riconoscersi in quel simbolo e a guardare a quella scritta che oggi è stata rubata.
Noi tutti sappiamo che ricordare la Shoah, ricordare Auschwitz, è l´unico modo che ci rimane per metterci in guardia da noi stessi. Perciò quella scritta deve tornare al suo posto: è un reperto sacro. Né si dovrà sopportare che gli autori di questo crimine contro l´umanità restino impuniti. Il loro atto è un´offesa a milioni di morti, un delitto contro i viventi di oggi e di domani, un attentato al legame di memoria che ci unisce al passato e che vogliamo trasmettere al futuro.

Repubblica 19.12.09
I nemici della memoria
di Elie Wiesel

Chi è stato a rubare l´insegna di Auschwitz, recando offesa alla memoria degli ebrei e a chi è impegnato a tutelarla? Da dove vengono? Che intenzioni hanno, qual è il loro progetto? Questo incidente criminale riverbera la sua immagine in tutto il mondo e suscita stupore, shock e rabbia.
La Verità e la Memoria sono i nostri valori comuni che devono essere difesi

Ma quale idea perversa può aver motivato un simile abominio?
Quell´iscrizione era ed è ancora la massima espressione di cinismo e brutalità
Deve restare immutabile e intatto per generazioni e generazioni

Cosa avevano in mente i ladri quando hanno rimosso l´iscrizione che centinaia di migliaia di vittime arrivate nel campo vedevano ogni giorno, ogni sera? Cosa immaginavano di poter fare? Di venderla in televisione per enormi somme di denaro? Di tenerla incorniciata a casa loro? Quale idea perversa può aver motivato un simile abominio?
In questa nostra era di confusione e sfiducia, la Verità è sempre in prima linea, al fronte, e i suoi nemici sono i nemici della Memoria. Dunque, quel Luogo è d´importanza e significato speciale, perché si basa su entrambi quei valori costitutivi, Verità e Memoria. Chiunque voglia cancellare il passato ha naturalmente interesse a rimuovere quella scritta, che è parte così visibile del Passato della Memoria.
In un certo senso, si può esprimere sorpresa per il fatto che non si sia mai tentato prima di compiere quanto è accaduto oggi. È così facile distruggere, è così facile rubare, eppure, grazie al cielo, persino quelli che sono i nostro nemici non avevano osato, fino ad oggi, di intraprendere un simile furto.
In virtù di ciò che è avvenuto all´interno di quell´incommensurabile cimitero di cenere, Auschwitz deve restare un monumento intoccabile al dolore, allo strazio e alla morte di più di un milione di ebrei e altre minoranze.
Benché protetto a livello internazionale dalla rabbia e dalla pietà che suscita in centinaia di migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo, il campo necessita ovviamente di maggior sicurezza. Devono provvedervi le autorità polacche ai massimi livelli. Tutto ciò che si trova entro le recinzioni di filo spinato deve restare immutabile e intatto per generazioni e generazioni.
Quanto ai ladri, verranno senza dubbio interrogati a lungo da personale specializzato, psichiatri inclusi. Siamo tutti ansiosi di conoscere ogni aspetto della loro personalità, del loro carattere, del loro passato. E di conoscerne l´appartenenza ideologica.
Hanno agito da soli? Appartengono a gruppi neonazisti? Volevano dimostrare qualcosa entrando in possesso dell´insegna, e se sì, che cosa?
"Arbeit macht frei" era, ed è ancora, massima espressione di cinismo, inganno e brutalità. Dietro quel cancello il lavoro non portava libertà. Agli ebrei e agli altri portava fatica, umiliazione, fame e morte. Dentro tutto equivaleva alla morte.
È questo che il ladro voleva cancellare?
(Traduzione di Emilia Benghi)

Repubblica 19.12.09
Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz: "Quella scritta è il simbolo del nazismo"
"È uno sfregio alla Shoah così cancellano la Storia"
di Alberto Mattone

Mi pare sia stata un´azione dimostrativa, compiuta da un gruppo di persone ben organizzate

ROMA - «Hanno profanato un pezzo di storia, hanno compiuto uno sfregio alla memoria della Shoah. Quella scritta rubata all´ingresso del lager era la sintesi e il simbolo di tutte le nefandezze del nazismo». Piero Terracina scuote la testa e non si dà pace. All´ombra di quelle parole forgiate col ferro ("Arbeit macht frei", "Il lavoro rende liberi") ha perso i genitori, due fratelli, una sorella, il nonno, uno zio. Tutti ebrei arrestati insieme a lui dalle SS nella razzìa del ghetto di Roma e portati ad Auschwitz-Birkenau con i vagoni piombati. «L´unica libertà che avevamo in quel terribile lager - riflette - era quella di morire di lavoro. La fatica uccideva - aggiunge - e alla fine di ogni giornata accatastavamo i cadaveri dei nostri compagni che non ce l´avevano fatta».
Lei è uno dei pochi testimoni viventi di Auschwitz, Piero Terracina. Cosa ha pensato quando ha saputo che avevano rubato la scritta all´entrata del lager?
«Sono rimasto sconcertato. "Arbeit macht frei" caratterizzava tutto il complesso di Auschwitz-Birkenau e, quindi, il nazismo. Lì è stato studiato il progetto di sterminio del popolo ebraico, lì sono state costruite le prime camere a gas. Era stridente entrare nel campo, leggere "Il lavoro rende liberi" e trovarsi di fronte al dolore e alla morte. E non era l´unica scritta che i nazisti avevano impresso sulle baracche dei deportati».
Quali erano gli altri "slogan"?
«Sul muro dove dormivo io c´era scritto in tedesco "siate sempre camerati". In altre baracche campeggiavano inviti all´ordine e alla pulizia. Parole senza senso, beffarde, se si pensa che in quei campi in Polonia si entrava solo per morire e la morte era spesso una liberazione».
Chi può aver rubato quell´insegna?
«Mi pare che sia stata un´azione dimostrativa, organizzata da un gruppo di persone ben attrezzate. Portare via una scritta lunga dieci metri, posizionata a una certa altezza, e composta da lettere in ferro di almeno 35-40 centimetri, non è impresa facile. Per farlo, hanno dovuto portare una gru e un camion, almeno. Ma è stato fin troppo semplice aggirare la sorveglianza. Non ci sono telecamere né controlli: avrebbero potuto portare via le testimonianze del museo di Auschwitz, distruggere le prove di quello che è successo, gli oggetti sottratti ai deportati: scarpe, capelli, valigie».
Qualcuno vuole cancellare la memoria dell´Olocausto?
«Non si possono lasciare incustoditi gli oggetti della memoria di Auschwitz. Quella scritta rubata è un pezzo di storia che se ne va. Quell´insegna mi è rimasta impressa la notte più drammatica della mia vita, il 22 gennaio del ´45. Quel giorno iniziai la "marcia della morte" nella foresta polacca con altre trecento persone. C´era anche mio fratello Leo».
Cosa successe?
«Le SS ci portarono fuori dal campo di Birkenau, ci dissero che se qualcuno non era in grado di camminare, doveva farsi da parte perché sarebbe venuto un camion a prelevarlo. Noi optammo per la marcia. Partimmo e sentimmo i colpi di mitra».
Erano le SS?
«Sì, uccisero subito quelli che non se la sentivano di camminare. Noi procedemmo, era una fila lunga e io ero in coda insieme a un amico. All´improvviso, non vedemmo più nazisti, avevano fretta di scappare dai sovietici che stavano per arrivare»
Fu l´attimo della liberazione?
«Era buio, faceva un freddo terribile. Lasciamo il "corteo", fuggimmo verso delle sagome scure: era il campo, vuoto, di Auschwitz, poco lontano da Birkenau. Ci infilammo in uno dei casolari per ripararci dopo aver attraversato l´ingresso con la scritta "Arbeit macht frei". Stemmo lì tutta la notte. Ci salvammo, ma mio fratello non l´ho più rivisto».

Repubblica 19.12.09
«Arbeit macht frei»
"Quella frase cinica e beffarda anticipava i piani per l´Europa"

Se il fascismo avesse prevalso, quelle parole si sarebbero lette sulla porta di ingresso di tutte le officine
I Lager tedeschi, sia quelli di lavoro che quelli di sterminio, erano i primi, precoci germogli dell´Ordine Nuovo

«Arbeit macht frei». Come è noto, erano queste le parole che si leggevano sul cancello di ingresso nel Lager di Auschwitz. Il loro significato letterale è «il lavoro rende liberi»; il loro significato ultimo è assai meno chiaro, non può che lasciare perplessi, e si presta ad alcune considerazioni.
Il Lager di Auschwitz era stato creato piuttosto tardi; era stato concepito fin dall´inizio come campo di sterminio, non come campo di lavoro. Divenne campo di lavoro solo verso il 1943, e soltanto in misura parziale ed in modo accessorio; è quindi credo da escludersi che quella frase, nell´intento di chi la dettò, dovesse venire intesa nel suo senso piano e nel suo ovvio valore proverbiale-morale.
È più probabile che avesse significato ironico: che scaturisse da quella vena di umorismo pesante, protervo, funereo, di cui i tedeschi hanno il segreto, e che solo in tedesco ha un nome. Tradotta in linguaggio esplicito, essa, a quanto pare, avrebbe dovuto suonare press´a poco così: «Il lavoro è umiliazione e sofferenza, e si addice non a noi, Herrenvolk, popolo di signori e di eroi, ma a voi, nemici del terzo Reich. La libertà che vi aspetta è la morte».
In realtà, e nonostante alcune contrarie apparenze, il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme. Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano. Questa volontà appare già chiara nell´aspetto antioperaio che il fascismo italiano assume fin dai primi anni, e va affermandosi con sempre maggior precisione nella evoluzione del fascismo nella sua versione tedesca, fino alle massicce deportazioni in Germania di lavoratori provenienti da tutti i paesi occupati, ma trova il suo coronamento, ed insieme la sua riduzione all´assurdo, nell´universo concentrazionario.
Allo stesso scopo tende l´esaltazione della violenza, essa pure essenziale al fascismo: il manganello, che presto assurge a valore simbolico, è lo strumento con cui si stimolano al lavoro gli animali da soma e da traino.
Il carattere sperimentale dei Lager è oggi evidente, e suscita un intenso orrore retrospettivo. Oggi sappiamo che i Lager tedeschi, sia quelli di lavoro che quelli di sterminio, non erano, per così dire, un sottoprodotto di condizioni nazionali di emergenza (la rivoluzione nazista prima, la guerra poi); non era una triste necessità transitoria, bensì i primi, precoci germogli dell´Ordine Nuovo. Nell´Ordine Nuovo, alcune razze umane (ebrei, zingari) sarebbero state spente; altre, ad esempio gli slavi in genere ed i russi in specie, sarebbero state asservite e sottoposte ad un regime di degradazione biologica accuratamente studiato, onde trasformarne gli individui in buoni animali da fatica, analfabeti, privi di qualsiasi iniziativa, incapaci di ribellione e di critica.
I Lager furono dunque, in sostanza «impianti piloti» anticipazioni del futuro assegnato all´Europa nei piani nazisti. Alla luce di queste considerazioni, frasi come quella di Auschwitz, «Il lavoro rende liberi», o come quella di Buchenwald, «Ad ognuno il suo», assumono un significato preciso e sinistro. Sono, a loro volta, anticipazioni delle nuove tavole della Legge, dettata dal padrone allo schiavo, e valide solo per quest´ultimo.
Se il fascismo avesse prevalso, l´Europa intera si sarebbe trasformata in un complesso sistema di campi di lavoro forzato e di sterminio, e quelle parole, cinicamente edificanti, si sarebbero lette sulla porta di ingresso di tutte le officine e di tutti i cantieri.
(L´articolo è stato pubblicato nel novembre 1959 da "Triangolo Rosso", la rivista dell´Aned, Associazione nazionale ex deportati)

Repubblica 19.12.09
I territori della psiche
Invenzioni strane e studi bizzarri per spiegare il lato ludico del pensiero
Anelli e altri misteri le mille scoperte della gaia scienza
a cura di Doriano Fasoli

Il 2 luglio 1830, nei suoi Discorsi a tavola, Samuel Taylor Coleridge notò che «gli uomini nascono aristotelici o platonici». Il che è solo un modo poetico di dire che ciascuno di noi privilegia uno dei due modi complementari di pensare e ricordare che ci fornisce la lateralizzazione del nostro cervello, scoperta dal premio Nobel per la medicina Roger Sperry: l´emisfero sinistro è infatti razionale, analitico e concettuale, mentre quello destro è istintivo, sintetico e sensoriale. E le realizzazioni concrete di questo doppio atteggiamento astratto sono le scienze, la matematica, la logica e la filosofia analitica da un lato, e le arti, la letteratura, la religione e la filosofia continentale dall´altro.
Naturalmente, così come i due emisferi sono collegati da un corpo calloso che li mette e li tiene in comunicazione, così scienza e umanesimo non sono compartimenti stagni che procedono indipendentemente e all´insaputa l´uno dell´altro, anche se spesso la prima si presenta e viene percepita come un´impresa molto formalizzabile, ma poco visualizzabile.
Niente di più lontano dalla realtà, come dimostrano due meravigliose strenne natalizie scientifiche che sembrano, e in effetti sono, dei veri e propri libri d´arte: Le immagini della scienza di John Barrow (Mondadori, pagg. 624, euro 32) e Bolle di sapone di Michele Emmer (Bollati Boringhieri, pagg. 301, euro 60).
D´altronde, non è soltanto con le loro ultime opere che i due autori sfidano lo stereotipo dello scienziato freddo e distaccato che scrive libri difficili e noiosi, ma con la loro intera produzione e, più in generale, con la loro stessa storia personale. Barrow, ad esempio, annovera fra i suoi titoli L´universo come opera d´arte (Rizzoli, 1997) e Dall´io al cosmo: arte, scienza e filosofia (Cortina, 2000), ed è stato nel 2006 il vincitore del premio Templeton da un milione di dollari per i legami fra la scienza e la religione. Emmer, invece, è letteralmente figlio d´arte, e dal famoso padre-regista Luciano ha ereditato la passione per il cinema, che l´ha stimolato a girare ben 18 film a soggetto matematico e a produrre Visibili armonie (Bollati Boringhieri, 2006), un´altra bella strenna sui rapporti tra arte, cinema, teatro e matematica.
Benché accomunate dall´uso sapiente e accattivante delle immagini, però, le loro ultime due opere sono antitetiche nella concezione e nella realizzazione. Barrow spazia infatti su tutte le scienze, isolando singole immagini che hanno caratterizzato in maniera visiva un´idea o un risultato, e sono diventate icone di una particolare disciplina scientifica in un particolare momento storico. Emmer si concentra invece su una specifica area della matematica e raduna ogni possibile testimonianza artistica che possa illustrarla, in un lavoro collezionistico che gli è letteralmente costato una vita di ricerca.
Come svela fin dal titolo, Bolle di sapone è un libro che dovrebbe stare (e sicuramente ci starà, non appena verrà tradotto) sul mitico tavolo della libreria Barnes and Noble di Union Square a New York, che raduna come in una collana le perle letterarie dedicate monograficamente ad argomenti inusuali, sorprendenti e affascinanti.
In questo caso le bolle di sapone, appunto, che come Emmer racconta sono soluzioni naturali, in senso sia letterale che metaforico, di quei problemi variazionali legati alle superfici minime che hanno portato alla medaglia Fields matematici come Jessie Douglas nel 1936 ed Enrico Bombieri nel 1974. Ma sono anche un punto d´incontro della sensibilità umanistica di pensatori come Erasmo, poeti come Baudelaire, musicisti come Bizet, architetti come Fuksas e, soprattutto, di tanti pittori, da Bruegel a Rembrant a Manet, affascinati dalle potenzialità tecniche e artistiche delle loro trasparenze e dei loro riflessi.
Bolle di sapone è dunque un libro da sfogliare e godere, oltre che da leggere, perché le sue più di trecento illustrazioni ne costituiscono una parte preponderante, fruibile anche a prima vista. Le immagini della scienza, simmetricamente, è un libro da leggere e meditare, oltre che da sfogliare, perché in maggioranza le sue altrettante illustrazioni richiedono una spiegazione o un inquadramento, senza di cui sarebbero difficilmente comprensibili. Ma ciascuna di esse costituisce un capitolo a se stante, che si può leggere indipendentemente dagli altri, anche se tutti insieme ripercorrono l´intera storia scientifica, dalle prime osservazioni dell´antichità alle ultime ricerche della contemporaneità.

Repubblica 19.12.09
Un viaggio al femminile nelle ceramiche esposte a Vicenza Tra dedizione alla casa, cura dei figli e lavori artigianali
Quando un vaso greco racconta le donne
di Giuseppe Della Fina

VICENZA Intorno al mistero di una figura femminile effigiata su un vaso attribuito al Pittore di Leningrado e databile intorno al 470 a. C. ruota la mostra «Le ore della donna. Storie e immagini nella collezione di ceramiche attiche e magnogreche di Intesa Sanpaolo» allestita a Palazzo Leoni Montanari (sino all´11 aprile 2010: la rassegna è dedicata a Fatima Terzo, che valorizzò questa collezione e che è scomparsa nel maggio scorso). Sul vaso - una hydria, destinata a contenere acqua - è dipinta la bottega di un ceramista: tre artigiani sono al lavoro e la loro bravura è riconosciuta dalla dea Atena e da due Nikai che li incoronano: una raffigurazione rara, interessante, ma negli schemi. Modelli che saltano quando notiamo che, isolata, in disparte, una giovane donna, seduta su uno sgabello di legno, sta lavorando nella stessa officina ed è intenta a dipingere un vaso: con la mano sinistra avvicina a sé un cratere di notevoli dimensioni e con la destra tiene un pennello. Si tratta di una persona libera che indossa un chitone e un himation. Il pittore del vaso è riuscito a rendere bene la concentrazione della fanciulla, l´orgoglio per il lavoro che sta svolgendo e, allo stesso tempo, la naturalezza della sua azione. Nella società greca di epoca classica, la donna svolgeva la sua attività e, in fondo, trascorreva la propria vita prevalentemente all´interno della casa: chi è la figura femminile intenta a lavorare in una bottega artigiana?
Altre donne fuori dagli schemi sono raffigurate su un vaso diverso, ma sempre attico a figure rosse e di poco più recente. Si tratta di un cratere a colonnette dove sono dipinte tre cortigiane: una di loro ha un laccio stretto intorno alla gamba che è stato interpretato come un amuleto contraccettivo. Un´altra ha in mano uno stivaletto che può rappresentare un´allusione erotica. Va rammentato che il vaso in questione, per la sua forma, rinvia al simposio ovvero a un contesto prettamente maschile aperto eventualmente solo alle cortigiane.
Non mancano, nella mostra, nemmeno Amazzoni e Menadi, altre figure con spiccati caratteri d´indipendenza. Nella maggioranza dei vasi è rappresentata una donna più legata agli schemi della società del tempo, ma la curatrice dell´esposizione, Federica Giacobello, ha voluto restituirci una realtà del mondo femminile greco più articolata e contraddittoria di quella che pigramente viene di solito riproposta. E prima di lasciare la mostra, torniamo a osservare la giovane donna intenta a dipingere: vuole dirci qualcosa.

Repubblica 19.12.09
Muti: al Senato con i giovani e un appello per il Presidente
Dalla Cherubini un messaggio a Napolitano sul futuro dell´arte
di Leonetta Bentivoglio

ROMA, Appena rientrato da New York, dov´è volato come un fulmine per ricevere lo scettro di Musician of the Year (massimo premio musicale americano), Riccardo Muti s´è immerso nelle prove con l´Orchestra Giovanile Cherubini di cui è fondatore e guida appassionata. Insieme a lui, nell´Aula del Senato domenica a mezzogiorno, la Cherubini sarà protagonista del Concerto di Natale, trasmesso in diretta Eurovisione su RaiUno e su Radio3.
Lei ha scelto la Quinta Sinfonia di Beethoven come «inno all´ottimismo», auspicando un futuro luminoso per la cultura in Italia. Crede davvero, maestro, che si possa essere ottimisti?
«A confortarmi sono proprio i ragazzi della Cherubini, rinnovata per il secondo triennio di attività e formata da settanta giovani italiani seri ed impegnati. Sono fiero che il Paese produca ragazzi di un tale livello umano e musicale. Al Senato consegneranno una lettera al presidente Napolitano nella quale esprimono preoccupazione per il futuro della musica. Appello civile e privo di toni polemici, è un segnale di maturità. Intendiamo il concerto, che al solito è a scopo benefico, come messaggio d´entusiasmo al servizio della cultura».
A Roma lei tornerà per lavorare al Teatro dell´Opera, che dirigerà dall´anno prossimo, e anche il suo impegno come direttore musicale della Chicago Symphony parte dal 2010.
«Sono due mondi diversi. A Roma, dove ho accettato di lavorare dopo aver stabilito un bel rapporto con l´orchestra, vorrei portare la mia esperienza augurandomi che ci sia agilità amministrativa e si possa operare in modo scevro da influenze non puramente musicali. A Chicago, dove l´orchestra è tecnicamente formidabile, si fa "musica per la musica" e il direttore musicale lavora solo coi collaboratori stretti: non ci sono Consigli d´Amministrazione formati in base a scelte politiche. E in quell´interessantissima città multietnica che è Chicago ho già impostato vari progetti e collaborazioni».
Quali?
«Ho invitato il geniale violoncellista Yo-Yo Ma, musicista apertissimo ai giovani, ad essere il nostro Creative Consultant, e ho nominato Composers in Residence dell´orchestra l´inglese Anna Clyne e l´americano Mason Bates, entrambi trentenni e autori di musica sperimentale ed elettronica. Inoltre vorrei portare verso la musica fasce di popolazione che ora ne sono lontane, con concerti in carceri minorili e un ampio lavoro di diffusione in zone diverse della città. Pochi sono gli ispanici e le persone di colore ai concerti, dunque sarò io ad andare da loro. E nella prima stagione metterò l´accento sulla musica del Messico».

Corriere della Sera 19.12.09
Vaticano Congregazione per i vescovi, il nome di Bertello
Le grandi manovre nel governo della Chiesa
Imminente la sostituzione del cardinal Re
di Gian Guido Vecchi

CITTÀ DEL VATICANO — L’unico non tenuto a presenta­re le dimissioni era il cardinale Tarcisio Bertone, dato che l’uf­ficio del Segretario di Stato si esercita ad nutum Summi Pon­tificis : dipende dalla sola vo­lontà del Papa. Così quando Bertone, 75 anni il 2 dicembre, si è presentato con la lettera, Benedetto XVI ha sorriso, «guardi che non ce n’era biso­gno! », e lo ha confermato fin­ché resterà lui. Per tutti gli al­tri vertici della Curia romana, invece, a 75 anni si rimette il mandato, al massimo ci sono proroghe: e anche quelle limi­tate.

Perciò nei prossimi mesi si preparano a cambiare alcune caselle decisive, nel governo della Chiesa: a cominciare dal­la potente Congregazione per i vescovi, che dal 2000 è guidata dal cardinale Giovanni Battista Re. La sostituzione di Re è data per imminente, il 30 gennaio compirà 76 anni, scadrà il pri­mo anno di proroga e Oltrete­vere non è previsto un secon­do. Ci sono state dilazioni più lunghe, due anni e oltre, ma il dicastero che «provvede a tut­to ciò che attiene alla nomina dei vescovi» non vive un bel momento: da ultimo, lo scan­dalo dei preti pedofili in Irlan­da, con relativi vescovi che li hanno coperti, ha provocato lo «sdegno» e la «vergogna» del Papa, qualcosa non ha funzio­nato nella gestione dei pastori e si impone un rinnovamento.

Non sono ancora state prese decisioni, anche se il nome più accreditato è quello dell’arcive­scovo Giuseppe Bertello, 67 an­ni, nunzio apostolico in Italia: originario del Canavese come il cardinale Bertone, è molto stimato dal segretario di Stato, che lo volle nunzio nel 2007.

Un altro nome autorevole è quello del cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney: a luglio, però, il Papa ha nomina­to segretario della congregazio­ne (cioè numero due) il porto­ghese Manuel Monteiro de Ca­stro, ed è quindi più probabile che il prefetto sia italiano. Il cardinale Pell, piuttosto, po­trebbe guidare in futuro Propa­ganda Fide , congregazione per le terre di missione, il cui pre­fetto viene definito «Papa ros­so »: il cardinale Ivan Dias, 73 anni, non è in scadenza ma ha qualche problema di salute.

Oltre la scadenza, invece, è il cardinale Walter Kasper, 77 anni a marzo, presidente del Consiglio per l’unità dei cristia­ni: entro Pasqua è atteso il suc­cessore (sì è parlato, ma è solo un’ipotesi, del vescovo di Rati­sbona Gerhard Müller). Anche il cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, compie in agosto 76 anni, come in settembre il cardinale Franc Rodé, alla gui­da degli istituti di vita consa­crata, e il cardinale Paul Cor­des, presidente del pontificio consiglio «Cor Unum» per i progetti umanitari. Si provve­derà per gradi: nello stile della «riforma gentile» avviata nel 2005 da Benedetto XVI.