mercoledì 23 dicembre 2009

Liberazione 22.12.09
D’Alema lo stratega
di Dino Greco

Ecco di nuovo D'Alema, il "solo" politico che ha la stoffa dello statista di rango, l'uomo che anticipa di tre mosse quelle di amici e avversari, tornare prepotentemente alla ribalta con una nuova, sensazionale trovata, una sorta di «mossa del cavallo», capace di scompaginare le carte, depurare il clima avvelenato in cui si è avvitato lo scontro politico, rimettere in moto una situazione che pareva irrimediabilmente ingessata. E in cosa consisterebbe questa geniale escogitazione partorita dall'eccellentissima mente di Massimo D'Alema? Nulla di più semplice. Basta dare a Berlusconi quello che egli brama: la certezza dell'impunità tramite immunità. Un artifizio che renda certo il premier di non avere più nulla da temere, che lo sottragga all'incubo della «persecuzione giudiziaria», del «complotto» contro di lui ordito da una perfida macchinazione. Una volta recuperata questa personale serenità, Berlusconi abbandonerebbe ogni propensione paragolpista (anzi: vi è mai stata in lui una simile tentazione?), ogni velleità da caudillo, per disporsi ad un dialogo serio, ad una riabilitazione della politica come confronto democratico di idee e di programmi. Di più: alla costruzione condivisa - e non più di parte - di nuove riforme istituzionali.
D'Alema, dunque, suppone che una volta offerto, in qualsivoglia modo («non ha importanza di che colore è il gatto pur che prenda i topi») il salvacondotto a Berlusconi, la compulsiva, distruttiva crociata che questi ha scatenato, nell'ordine, contro l'impianto egualitario della Costituzione, contro lo stato di diritto, contro l'indipendenza della magistratura, contro la libertà dell'informazione, contro tutti gli organi di garanzia, si dissolva come neve al sole. Improvvisamente, il caudillo diventerebbe un agnello mansueto e - una volta convertito alle regole della democrazia - darebbe il suo consenso a metter mano al colossale conflitto di interessi che si incarna nella sua persona, inaugurerebbe una nuova primavera parlamentare, togliendo i sigilli alle Camere oggi ridotte a simulacri del potere legislativo.
A quel punto, magicamente, prenderebbe l'abbrivio il confronto sulle riforme, quelle sociali in particolare. Giulio Tremonti smetterebbe di flirtare con gli evasori, rinuncerebbe alla proroga dello scudo fiscale e aprirebbe i cordoni della borsa, non più per regalare prebende agli industriali, ma per rilanciare l'esangue sistema degli ammortizzatori sociali; Roberto Maroni inaugurerebbe una stagione di accoglienza, relegando nel dimenticatoio le misure da pogrom razzista e mettendo mano ad una seria modifica della legislazione in materia di immigrazione e di sicurezza; Maria Stella Gelmini riaprirebbe il confronto con studenti, insegnanti, genitori per tentare un rilancio della scuola pubblica, dell'università e della ricerca. Con analogo spirito costruttivo, Angelino Alfano riafferrerebbe il filo del dialogo con la magistratura e proverebbe ad occuparsi davvero del diritto di ogni cittadino ad una giustizia rapida e garantista; Maurizio Sacconi abbandonerebbe la forsennata vis demolitoria contro ciò che rimane del welfare e contro il sindacato per ricostruire qualcosa che somigli ad un sistema di protezione sociale; Ignazio La Russa, da par suo, istruirebbe una discussione sino ad ora mai fatta sulla presenza dei soldati italiani nei vari teatri di guerra, per ragionare su una possibile exit-strategy e restituire un senso all'art. 11 della Costituzione. Questo ed altro ancora D'Alema immagina potersi verificare una volta baipassata la singolar tenzone con Berlusconi? E se, invece, non si tratta di questo, in cosa davvero consiste il compromesso (diciamolo in modo elegante) di cui parla l'immarcescibile «baffino»?

Repubblica 23.12.09
Ebrei tedeschi in rivolta "Il Papa riscrive la Storia"
Tensione anche a Roma, a rischio la visita in sinagoga
di Andrea Tarquini e Orazio La Rocca

Clima di tensione crescente tra le comunità ebraiche europee e la Santa Sede dopo la decisione di papa Benedetto XVI di accelerare la beatificazione di Pio XII. Il Consiglio centrale degli ebrei di Germania ha criticato il Papa tedesco, definendola «assolutamente prematura» e parlando di «tentativo della Chiesa cattolica di scrivere in un altro modo la Storia». E stasera alle 20,30 si terrà a Roma, sotto la presidenza di Riccardo Pacifici, un tesissimo consiglio della comunità romana per analizzare il "caso Pacelli" alla luce della dichiarazione del Pontefice sull´eroicità delle virtù sancita da papa Ratzinger per Pio XII stesso.
A Roma e nella comunità ebraica italiana l´attesa è grande e anche la preoccupazione è palpabile: il timore è che i delusi dalla decisione di Benedetto XVI possano prendere il sopravvento, e la preventivata visita del pontefice in Sinagoga, il 17 gennaio prossimo, possa essere messa in discussione. Ci si attende dal Vaticano «almeno un gesto o una iniziativa» con cui si spieghi che gli aspetti storici del pontificato di Pio XII saranno definitivamente chiariti, specialmente per quanto riguarda i presunti silenzi sull´Olocausto. «Nessuna interferenza sulla beatificazione, ma anche niente coperture sulle ombre storiche di quel pontificato», ammoniscono i vertici degli ebrei romani. A Bologna sempre oggi si riunirà un gruppo di rabbini convocati dal presidente dell´Assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, che fu il primo a parlare di seri pericoli per la visita del papa in Sinagoga in caso di mancata chiarezza sul caso Pacelli. Di fronte al Tempio Maggiore del Ghetto sono anche apparse scritte sui muri di protesta per le scelte di Benedetto XVI.
In questo clima cresce il malcontento della comunità ebraica tedesca, quella che proprio nella patria dell´attuale papa sta vivendo un rifiorire di presenza nella società e nella cultura. «Sono triste e pieno di collera, è assolutamente prematuro intraprendere un simile passo», ha detto, citato da Der Spiegel, il segretario generale Stephan Kramer. E ha aggiunto, nella sua dura dichiarazione rilanciata con forza da tutti i media tedeschi: «È un chiaro rovesciamento dei fatti storici del periodo nazista». Secondo Kramer la Chiesa cattolica «cerca di riscrivere la Storia». E si dichiara indignato del fatto che il Papa «non permetta lo svolgimento di alcuna seria discussione scientifica» sul caso.
Molti esponenti delle comunità ebraiche accusano Pio XII di aver saputo e taciuto sulla Shoah, e non basta loro la reazione vaticana secondo cui Papa Pacelli avrebbe cercato di aiutare gli ebrei in silenzio. La rivolta degli ebrei tedeschi è particolarmente imbarazzante per la Santa Sede: la comunità ebraica a Berlino ha ottimi rapporti con l´establishment della Cancelliera cristiano-conservatrice Angela Merkel, la leader europea più decisa nel ricordare sempre gli orrori del passato.

Repubblica 23.12.09
Gli archivi britannici confermano i silenzi di Pio XII sulla Shoah
L’ambasciatore inglese in Vaticano: "Non me ne parlò mai"
Il principale timore di Pacelli era la mancanza di viveri in caso di ritirata dei tedeschi
di Filippo Ceccarelli

«Oggi il Papa mi ha ricevuto in udienza per un´ora - telegrafa l´ambasciatore inglesi due giorni dopo la retata degli ebrei romani -. Sembrava in buone condizioni e di buon umore, il suo atteggiamento era sereno in rapporto all´attuale situazione, ma pienamente cosciente dei futuri pericoli...».
Di solito le cancellerie non s´interrogano sulla futura santità dei loro interlocutori, tantomeno in guerra. Ma i documenti della diplomazia, per quanto anch´essi di scarso valore nella ricostruzione postuma delle eroiche virtù, hanno comunque un loro valore perché aiutano, nella loro indispensabile parzialità, a far capire come i possibili santi reagiscono in certi momenti.
Con tale premessa si dà conto, in modo più esteso di quanto lo si sia fatto finora, di un documento fra i tanti recuperati da Mario J. Cereghino negli archivi del Foreign Office di Kew Gardens e oggi consultabili presso l´Archivio Casarrubea di Partinico (www.casarrubea.wordpress.com). Si tratta della nota "segreta" che il 2 novembre del 1943 il ministro degli Esteri del Regno Unito Anthony Eden spedisce al visconte di Halifax, ambasciatore di Sua Maestà a Washington, e che contiene il resoconto di un incontro che l´ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Sir D´Arcy Osborne, ha avuto con Pio XII il 18 ottobre, cioè proprio mentre alla stazione Tiburtina i militari tedeschi stavano imbarcando e sigillando in un treno diretto ad Auschwitz oltre mille ebrei romani: 1007 stabilisce Kappler, 1015 secondo la Comunità ebraica - la differenza sembra la facciano, disperatamente, i neonati.
Papa Pacelli, diplomatico sottile, esordisce «enfatizzando» la situazione alimentare. Roma è già alla fame, le scorte di cibo sono sufficienti «fino a quando i tedeschi saranno qui». Ma poi? Si capisce che il Pontefice dà per scontato un ritiro abbastanza imminente. In questo senso «spera» che gli alleati siano in condizione di provvedere ai beni di prima necessità. Al che Osborne traccheggia, non s´impegna. Pio XII insiste, richiama la possibilità di disordini, cerca garanzie sul «minimo indispensabile», quindi esprime la sua preoccupazione sull´«interludio» tra la ritirata dei tedeschi e l´arrivo degli alleati.
Nel corso della guerra, ora con gli uni, ora con gli altri, il Papa sta giocando da tempo una partita sul filo del rasoio, di alta acrobazia diplomatica, che assomiglia a un doppio gioco su due tavoli e prevede sottintesi, riserve, dissimulazioni, pure da modularsi a seconda degli interlocutori. L´impressione è che Osborne non sia dei più fidati.
Di nuovo «in modo enfatico», annota l´ambasciatore, il Papa «afferma che non abbandonerà mai Roma per proteggere la sua incolumità, a meno di non esserne rimosso con la forza». Quindi aggiunge «di non avere elementi per lamentarsi del generale von Stahel e della polizia tedesca, che finora «hanno rispettato la neutralità» della Santa Sede. E qui viene naturale di pensare che forse la questione non era questa, o soltanto questa.
In realtà Pio XII sa della deportazione, ancora freschissima. Si sa che ha cercato di scongiurarla smuovendo prelati tedeschi e sollecitando nazisti tiepidi o opportunisti. Comunque ha già aperto le porte di chiese e conventi; il mese prima ha "prestato" dell´oro per allontanare le rappresaglie (15 chili dei 50 richiesti alla comunità ebraica provengono dal Vaticano). Se non suonasse irrispettoso per un Papa, Pacelli sta cercando, anche lui alla disperata, di salvarsi l´anima. Di norma, in questi casi, il potere mette in atto il dispositivo dello scambio e imbocca la logica del male minore.
Forse ha ottenuto la certezza che a Roma, sotto la sua finestra, non ci saranno altre deportazioni di massa. Ma Osborne non è in condizione di rispettarne la pena. Anzi, sembra irritato, va giù duro: la formula «Roma città aperta» è «una farsa», dice. L´Urbe «è alla mercé dei tedeschi» che la affamano, arrestano gli ufficiali, i giovani, i carabinieri e - attenzione qui - «applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei».
È l´unico, significativo accenno. Il resto riguarda ciò che all´inizio stava più a cuore al Papa, che Roma non diventi «un campo di battaglia». Per Osborne la faccenda è militare, non può garantire nulla. Tocca semmai al Pontefice salvaguardare i suoi diritti dai tedeschi. Pio XII replica «che in tal senso e fino a questo momento i tedeschi si sono sempre comportati correttamente». Ma anche l´ambasciatore insiste, con un approccio che suona diretto nella sua pur involuta formulazione: «A mio parere molta gente ritiene che egli (il Papa) sottostimi la sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui egli è fatto oggetto da parte dei nazisti», tanto più considerato che buona parte della popolazione germanica è cattolica. Insomma, esca allo scoperto, dica qualcosa, condanni i nazisti. «L´ho esortato a tenerlo bene in mente nel caso emergesse una situazione in cui in futuro fosse necessario applicare una linea forte». Così si conclude l´incontro.
Alle 20 di quel 18 ottobre il treno degli ebrei romani è a Firenze; il 19 si ferma a Padova per prestare assistenza ai prigionieri di ogni età che sono ammucchiati lì dentro da 28 ore; ad Auschwitz arriva la notte del 22, e poco dopo entra nel lager. Se la santità ha un significato, dentro quei vagoni e poi nel campo ce n´era moltissima.

Repubblica 23.12.09
La rivoluzione francese
Parigi mette in rete le biblioteche
Sarkozy investe 750 milioni di euro per digitalizzare il patrimonio librario nazionale

"Solo da una posizione di forza potremo trattare con Google senza farci travolgere"
Intervista a Bruno Racine, Presidente della Bibliothèque Nationale de France
Internet è essenziale per salvare documenti sonori e video minacciati dal tempo
Il libro stampato non morirà, ma non avrà più la sua posizione privilegiata

PARIGI. Uno spazio culturale aperto, vivo, in movimento, che per la prima volta sarà accessibile a milioni di persone. L´idea stessa della vecchia Biblioteca, polverosa e riservata alle élites intellettuali, sta mutando. «Fino a trent´anni fa venivano da noi poche migliaia di ricercatori. Oggi chiunque può collegarsi attraverso la rete e consultare parte del nostro patrimonio, a qualsiasi ora del giorno, da qualsiasi paese del mondo. E´ una rivoluzione paragonabile a quella della stampa di Gutenberg».
Bruno Racine, presidente della Bibliothèque Nationale de France, è un uomo visionario. Ex direttore di Villa Medici, già presidente del museo Beaubourg, siede nel suo ufficio al settimo piano della Tour des Lois, una delle quattro torri del complesso voluto da François Mitterrand negli anni Novanta. Milioni di libri, giornali, nastri sonori e immagini video sono conservati in questa cattedrale moderna del sapere, affacciata sulla Senna. Non un luogo del passato, assicura Racine. La Biblioteca del Duemila sarà il ponte tra il passato e il futuro della conoscenza.
Cominciamo dalle recenti polemiche, la Bibliothèque Nationale de France è stata accusata di voler cedere il suo patrimonio al gigante americano Google.
«Si trattava di discussioni esplorative e credo che la polemica sia ormai superata. Lo stato francese ha deciso di consentire uno sforzo senza precedenti per la digitalizzazione del patrimonio culturale. Il presidente Nicolas Sarkozy ha annunciato lo stanziamento di 750 milioni di euro: è un somma che non ha equivalenti in Europa e nel mondo. D´altra parte, è stata istituita una commissione che dovrà studiare le condizioni per i partenariati tra pubblico e privato in questo ambito. Il dialogo con Google, o con altre società, si farà d´ora in poi da questa nuova posizione di forza».
Quali sono i criteri con cui svilupperete il vostro portale di documenti digitali Gallica?
«Per i libri vorremmo associarci ad altre biblioteche francesi in modo da fare una digitalizzazione collettiva. Considero anche urgente salvare la nostra immensa raccolta di giornali antichi: se non faremo in fretta gli esemplari andranno distrutti. Ci sono poi le collezioni di opere rare e preziose. Infine, i documenti sonori e video, che pure sono minacciati dal tempo. Abbiamo per esempio la più grande raccolta di registrazioni di canzoni francesi a partire dall´Ottocento».
Il lavoro di digitalizzazione delle opere è lungo e costoso. Come siete riusciti finora ad affrontarlo?
«La digitalizzazione si è concentrata sulle opere in lingua francese e che non sono più protette dal diritto d´autore. Il programma Gallica ha un costo di 7 milioni di euro ogni anno, comprensivo del costo dell´infrastruttura informatica per la conservazione dei dati. Attualmente abbiamo 150.000 libri in formato digitale, ovvero 3% delle opere di dominio pubblico.
Procediamo a un ritmo di 100.000 nuovi documenti digitali all´anno. Vorremmo arrivare al 10% del patrimonio librario nel corso dei prossimi cinque anni».
Perché Google fa paura?
«E´ diventato uno strumento indispensabile alla nostra vita quotidiana e penso che sia proprio la sua potenza a scatenare qualche preoccupazione. In Francia, la reazione è stata più forte che altrove perché Google ha digitalizzato opere ancora protette dal diritto d´autore senza avere l´autorizzazione. E´ un elemento che ha senz´altro contribuito ad alzare i toni».
Il tribunale di Parigi ha appena condannato la società americana a risarcire il gruppo editoriale La Martinière.
«Una pacificazione tra Google e gli editori francesi è necessaria.
Sarà un condizione per poter andare avanti con una discussione più pacata e serena».
I nuovi fondi pubblici che la Bibliothèque Nationale riceverà rischiano comunque di non bastare. La digitalizzazione del patrimonio appare impossibile senza la collaborazione dei privati.
«E´ vero. Sul lungo periodo il ricorso ad accordi con i privati appare inevitabile. Proprio per questo è importante la riflessione che la commissione ha avviato sui partenariati pubblico/privato e sulla definizione di regole che garantiscano la libertà di accesso al nostro patrimonio».
I milioni di libri che sono custoditi in questa sede rischiano di diventare delle reliquie. Ci abitueremo tutti a leggere sullo schermo?
«Non possiamo far finta di niente. Attraversiamo una fase di grande incertezza. C´è un problema normativo, ovvero definire un prezzo per le edizioni online che permetta a editori e autori di continuare la creazione di opere. E su questo punto, l´ideale sarebbe raggiungere perlomeno un quadro di regole al livello europeo. Penso inoltre che le pratiche di lettura cambieranno, ci saranno forme ibride. Conosco dei professori che leggono testi accademici sul loro Iphone ma continuano a comprare romanzi.
Insomma no, non credo che il libro stampato morirà. Forse, soltanto, non avrà più la stessa posizione di privilegio».
Con la digitalizzazione delle opere nessuno avrà più bisogno di entrare in una Biblioteca?
«La Biblioteca continuerà a lungo ad essere un luogo fisico. Tutto non sarà digitalizzato e penso anche che il contatto con l´opera originale rimane in molti casi insostituibile. La biblioteca del ventunesimo secolo sarà un´istituzione che avrà un pubblico molto più vasto. E´ una grande opportunità. Noi responsabili dobbiamo preoccuparci di creare un nuovo rapporto alla conoscenza. Prima c´erano studiosi di alto livello che sapevano maneggiare le banche dati. Oggi dobbiamo offrire servizi a un pubblico diversificato.
Non possiamo più accontentarci di mettere semplicemente in rete le opere. C´è da fare un lavoro di elaborazione intellettuale e culturale dei contenuti».
La vostra missione è cambiata?
«La Bibliothèque Nationale ha aperto le porte nel 1998, l´anno in cui è nato anche Google. In questi anni le cose sono andate molto veloci. Oggi vogliamo svolgere anche un´azione culturale attraverso esposizioni, conferenze, dibattiti. A volte nella nostra sede, altre volte attraverso la rete. Questo non è soltanto il luogo dove vengono conservati manoscritti del Medio Evo o opere rilegate dell´Ancien Régime. Cerchiamo di stare al centro dell´attualità, di riflettere sulle sfide del mondo contemporaneo.
A primavera, per esempio, inaugureremo due mostre molto diverse. Da una parte, avremo un´esposizione sui manoscritti del Mar Morto, risalendo alle radici spirituali dell´Europa. A cinquanta metri, ci sarà invece una mostra sulle innovazioni tecnologiche più recenti che hanno un impatto sulla lettura. Ecco come intendiamo la Biblioteca del Duemila».

Repubblica 23.12.09
Il vicepresidente del Cnr De Mattei risponde alle polemiche sul creazionismo
"Credo alla Bibbia e non a Darwin"
intervista di Leopoldo Fabiani

"Nessuno finora ha saputo dare una dimostrazione delle teorie evoluzionistiche. E anche nel mondo cattolico in troppi non le combattono come si deve"

L’evoluzionismo non è una teoria scientifica, ma una filosofia, un modo di vedere il mondo. Ancora nessuno è riuscito a dimostrare la sua validità". Incurante delle critiche che gli sono precipitate addosso da ogni parte Roberto De Mattei, storico del Cristianesimo e vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche, non deflette. L´uscita del volume Evoluzionismo. Il tramonto di un´ipotesi, che raccoglie gli atti di un seminario da lui organizzato nel febbraio scorso, e pubblicato con il contributo (9.000 euro) del Cnr, ha scatenato parecchie reazioni. Le tesi creazioniste sostenute da De Mattei, hanno detto scienziati come Piergiorgio Odifreddi, Nicola Cabibbo, Telmo Pievani, non hanno nulla a che vedere con la ricerca scientifica e non dovrebbero godere di finanziamenti pubblici (già così scarsi). E ora De Mattei, che crede fermanente nella "discussione aperta" vuole replicare al fronte dei suoi avversari.
Professore, è giusto che il Cnr finanzi delle iniziative che secondo la comunità scientifica si basano su teorie infondate?
«Il contributo finanziario è stato minimo ed è servito allo scopo, che era quello di aprire una discussione su idee che altrimenti sarebbero passate sotto silenzio. Ora tutti si concentrano su questo aspetto e nessuno vuole discutere nel merito i contributi del libro».
Ma la comunità degli scienziati non ritiene che le idee creazioniste abbiano una base scientifica. Per questo non le vuole discutere. Sarebbe come, si dice, mettere ogni giorno in discussione l´acquisizione che è la terra a girare intorno al sole e non viceversa.
«Io credo che la scienza debba procedere per tentativi, errori e confutazioni. Quindi gli scienziati non dovrebbero atteggiarsi a casta intoccabile e invece aprirsi alle idee critiche. Invece non vogliono nemmeno esaminare i contributi scientifici che abbiamo portato nel nostro seminario. Perché la messa in discussione delle teorie darwiniane ha solide basi scientifiche, lo ripeto. Mentre la verità è che nessuno finora è riuscito a dimostrare la teoria evoluzionistica. Che è una vera e propria posizione filosofica, basata cioè su convinzioni generali di fondo e non su evidenze sperimentali».
E come spiega allora che gli scienziati "evoluzionisti" hanno ognuno una propria idea del mondo che può essere classificata atea, marxista, postmoderna, cristiana o buddista, mentre i "creazionisti" sono tutti cristiani?
«Guardi, per questo apprezzo la coerenza di Odifreddi, quando dice che dall’evoluzione così com´è spiegata da Darwin consegue che non esiste il peccato originale e quindi la venuta di Cristo sulla terra non ha senso. Mentre trovo incredibilmente incoerente che ci si possa dichiarare cristiani ed evoluzionisti. E mi chiedo come uno scienziato su queste posizioni come Cabibbo possa presiedere la Pontifica accademia delle Scienze».
Ma oggi la chiesa non ha più un atteggiamento di condanna verso le teorie darwiniane. Lei vorrebbe dare lezioni di coerenza anche alle gerarchie ecclesiastiche?
«Senza dubbio in alcuni ambienti ecclesiastici c´è un atteggiamento debole, come un senso di inferiorità verso certi ambienti intellettuali. E questo anche in posizioni di vertice. Certo non in Benedetto XVI che ha una posizione critica sulla teoria dell´evoluzione. Esistono invece vescovi e teologi che la accettano, e sono gli stessi per esempio che sostengono che il libro della Genesi è una metafora e che non va preso alla lettera».
Non sarà convinto che il mondo è stato creato in sette giorni?
«Non, non dico questo. Credo però che Adamo ed Eva siano personaggi storici e siano i progenitori dell´umanità. Credo che su evoluzionismo e fede religiosa nel mondo cattolico ci sia una grande confusione, su cui occorrerebbe discutere. Comunque tutto ciò non ha a che fare con i contenuti del libro e del seminario che erano prettamente scientifici».

martedì 22 dicembre 2009

Repubblica 22.12.09
Il patto scellerato e il messaggio del Colle
di Massimo Giannini

Come Benedetto Croce, che nel ´48 invocava il suo celebre "Veni, creator spiritus" sull´assemblea convocata per scrivere la tavola delle leggi della Repubblica, così Giorgio Napolitano oggi sembra rievocare il ritorno di un impossibile «spirito costituente». Ma nelle parole del capo dello Stato c´è in realtà l´eco nostalgica per un tempo che non ritornerà.
È necessario auspicare che dall´aggressione al premier in Piazza Duomo possa nascere un «ripensamento collettivo». È giusto richiamare ancora una volta le forze politiche al senso di responsabilità e al «massimo di condivisione e di continuità nel tempo» che la gravità della fase economica e sociale richiederebbero. È doveroso appellarsi alle aspettative di quell´Italia sana che lavora e fatica, e all´esigenza di non lacerare quel «tessuto unitario» così solido e vitale.
È scontato, infine, rinnovare l´invito a fermare «la spirale di una crescente drammatizzazione delle tensioni tra le parti politiche e tra le istituzioni». Ma cosa può germogliare da tanta speranza, nel discorso pubblico italiano? Al di là della retorica sul "dialogo" e della polemica sull´"inciucio", maggioranza e opposizione parlano linguaggi incompatibili e alludono a scenari inconciliabili.Il presidente della Repubblica, da politico idealista ma realista, è il primo a rendersene conto, se si costringe ad ammettere che per le grandi riforme, economiche e politiche, non si vede «un clima propizio nella nostra vita pubblica». La ragione è più semplice di quello che la propaganda dominante vorrebbe far credere. Per il centrodestra, nella versione bellica di Berlusconi e a dispetto della sua fresca ispirazione "ghandiana", la parola "riforme" è una fantomatica esigenza collettiva che serve per vestire di qualche dignità una drammatica urgenza privata. Questo è l´assioma intorno al quale il presidente del Consiglio dispiega la sua geometrica potenza: una legge ad personam, che salvandolo dai processi pendenti, trasformi lo stato di diritto in "stato di eccezione". Tutto il resto, dall´elezione diretta del premier al Senato federale, viene dopo. Sono semplici corollari, utili alla sua biografia personale o alla sua geografia coalizionale. Se non c´è lo scudo processuale a breve per il suo capo, a prescindere dal tempo lungo delle modifiche per via costituzionale del Lodo Alfano e dell´immunità parlamentare, il Pdl non può concepire altre riforme di struttura. Per il centrosinistra, nella versione pragmatica di Bersani e a dispetto della controversa esegesi dell´intenzione dalemiana, si tratta di scegliere, molto semplicemente, se accedere o meno al "patto scellerato": fidarsi del Cavaliere, ingoiando la diciassettesima legge-vergogna per tentare uno sbocco all´eterna transizione italiana. Per ora il Pd sembra resistere al canto delle sireneberlusconiane. Dice no allo scambio nelle camere oscure, e opportunamente rilancia una sua agenda di riforme politiche, istituzionali e sociali nelle Camere parlamentari. E fa bene: le riforme appartengono al patrimonio genetico e culturale della sinistra italiana. Sono il suo dna storico e politico. Non bisogna aver paura di avere coraggio, come diceva Aldo Moro negli anni di confronto più serrato con Enrico Berlinguer. Napolitano tutte queste cose le sa, anche se non può dirle in chiaro. Ma da questa consapevolezza nasce il suo attuale pessimismo della ragione. Che lo costringe a tamponare per l´ennesima volta le forzature costituzionali di Berlusconi e le storture politiche della sua maggioranza. La farsa di un «governo che non può governare», e che invece in questi due anni, con la clava di ben 47 decreti legge, «ha esercitato intensamente i suoi poteri e non ha trovato alcun impedimento» finendo con l´umiliare il Parlamento. La leggenda di una giustizia che non funziona solo perché abitata da toghe rosse e pm politicizzati, mentre il giusto processo riformato nell´articolo 111 della Costituzione esigerebbe ben altri interventi a beneficio dei cittadini. Nel rispetto dell´«intangibile principio di autonomia e indipendenza della magistratura», ma anche di quel «senso del limite» che dovrebbe caratterizzare sempre i magistrati, chiamati a non esorbitare mai dai propri compiti e a non sentirsi mai investiti di «missioni improprie» (come forse è accaduto ad esempio in qualche passaggio del parere rilasciato dal Csm sul processo breve). Poi il romanzo del "presidenzialismo di fatto" e della sedicente "costituzione materiale" che ormai sopravanzerebbe la Costituzione formale: Napolitano, su questo, è stato netto come mai era stato, ripescando «l´illusione ottica» denunciata a suo tempo da Leopoldo Elia in quelli che scambiano «per mutamento costituzionale ogni modificazione del sistema politico», e aggiornandola con un esplicito riferimento alla modificazione della legge elettorale. E infine l´opera buffa del«complotto», tante volte messa in scena dal presidente del Consiglio e mai come stavolta sconfessata senza pietà dal presidente della Repubblica. Non c´è complotto possibile, di fronte a un governo che ha una maggioranza schiacciante. E persino di fronte alla tanto esecrata Costituzione, che per Berlusconi è un «ferrovecchio sovietico», mentre è il presidio più forte per le regole democratiche e per le istituzioni repubblicane. Quale può essere il terreno per «riforme condivise», in questo abisso di sensibilità politica e di cultura costituzionale? Oggi non c´è risposta. O meglio, ce ne sarebbe una sola, da non confondere con il conservatorismo costituzionale. Nel suo discorso alle alte cariche Napolitano vi accenna, quando parla di una «visione costituzionale» che dovrebbe accomunarci tutti e di un «gioco politico democratico» che andrebbe ancorato alla stabilità delle istituzioni. Nel suo "Intorno alla legge" Gustavo Zagrebelski è più esplicito, quando scrive di «volontà di Costituzione o il nulla». La Costituzione come "pactum societatis", presupposto per una convivenza civile, pacifica e costruttiva.
Se manca questo presupposto, si precipita nella kantiana "repubblica dei diavoli". La Costituzione diventa campo di battaglia e di sopraffazione. Non è forse questa la deriva italiana di questi ultimi anni?
m.gianninirepubblica.it

Repubblica 22.12.09
Un creazionista tra gli scienziati
Il caso di De Mattei vicepresidente del Cnr e delle sue tesi contro l´evoluzione
Fu una nomina politica: così la ricerca viene condizionata da fattori esterni
Per lui le specie sono create immutabili da Dio e la Terra ha pochi milioni d´anni
di Piergiorgio Odifreddi

Secondo il Decreto legislativo del 4 giugno 2003 sul "Riordino del Consiglio Nazionale delle Ricerche", il Cnr è «Ente pubblico nazionale con il compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del Paese, perseguendo l´integrazione di discipline e tecnologie diffusive ed innovative anche attraverso accordi di collaborazione e programmi integrati». Alcune vicende di queste settimane gettano però un´ombra su questa elevata dichiarazione d´intenti relativa alla massima istituzione pubblica di ricerca del nostro paese. Ci si è accorti, infatti, che dal 2004 il ruolo di vicepresidente del Cnr è ricoperto, per decisione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e su proposta del ministro dell´Istruzione, dell´Università e della Ricerca, all´epoca Letizia Moratti, da un candidato sorprendentemente fuori luogo: Roberto De Mattei, professore associato di Storia del Cristianesimo e della Chiesa alla privata Università europea di Roma, direttore del mensile Radici cristiane, dirigente di Alleanza Cattolica e consigliere dell´allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini per le questioni internazionali.
De Mattei ha agito discretamente fino agli inizi di quest´anno, quando è uscito allo scoperto con «un workshop promosso a Roma il 23 febbraio 2009 dalla vice presidenza del Cnr, per offrire un contributo scientifico al dibattito in corso nell´anno darwiniano», di cui sono appena usciti gli atti intitolati Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, a cura dello stesso De Mattei (Cantagalli, 2009). In tal modo il nostro massimo ente pubblico di ricerca scientifica si è trovato schierato, suo malgrado, a fianco dei creazionisti più retrivi, nel più ufficiale atto anti evoluzionista dopo il Decreto legislativo del 18 febbraio 2004 con cui la signora Moratti abolì l´insegnamento dell´evoluzionismo nelle scuole medie, poi parzialmente rientrato a causa della protesta popolare guidata dai due premi Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco.
Leggere gli atti del suo convegno o discutere col professor De Mattei è un´esperienza sconcertante: in contrapposizione ai suoi modi raffinati e gentili, le sue affermazioni sono infatti una vera e propria summa della disinformazione più grossolana e presuntuosa a proposito di Darwin, del darwinismo e della scienza. Niente di male, ovviamente, se non fosse che queste affermazioni vengono appunto dal vicepresidente del Cnr, che per l´articolo 4 del regolamento, «ha compiti di indirizzo e programmazione generale dell´attività dell´Ente». E ci si può domandare che indirizzo o programmazione possano mai venire da chi confonde l´evoluzionismo con una teoria su «la nascita e la trasformazione dell´universo da una materia primordiale», includendovi esplicitamente due supposti «problemi senza risposta»: quello fisico dell´origine dell´universo (mai sentito parlare del Big Bang?) e quello chimico dell´origine della vita, nessuno dei quali ha ovviamente nulla a che vedere con la teoria biologica di Darwin, che si interessa di come la vita si è evoluta sulla Terra una volta che abbia avuto origine. Ancor meno hanno a che vedere con l´evoluzionismo la teoria di Marx e la pratica di Hitler, non più di quanto non l´abbia con la religione il fatto che il primo era ebreo e il secondo cattolico. Hanno invece molto a che vedere con il darwinismo obiezioni quali gli anelli mancanti o gli organi complessi, e infatti Darwin dedicò ben due terzi de L´origine delle specie a rispondere a esse: fatica sprecata, ovviamente, visto che né De Mattei né gli anti evoluzionisti come lui si sono mai degnati di leggerlo e di studiarlo, limitandosi a criticarlo senza conoscerlo.
Quando poi De Mattei e i suoi sodali arrivano a scrivere e dire che la Terra non ha qualche miliardo, ma solo qualche milione di anni, o che i dinosauri sono scomparsi non sessanta milioni, ma poche migliaia di anni fa, o che le specie sono state create immutabili dal Creatore, non si può che lasciarli andare per la loro strada, ma ci si deve domandare come sia mai stato possibile che questa strada passasse per il Cnr. E viene il sospetto che la nomina a vicepresidente di De Mattei nel 2004, e la sua riconferma nel 2008, non siano state altro che dei riusciti tentativi di infiltrazione fondamentalista e antiscientista dell´Ente, così come le vicende di un paio d´anni fa relative alla nomina del presidente del Cnr sono state un analogo, ma questa volta fallito, tentativo di boicottaggio.
Per chi non lo ricordasse, l´attuale presidente è stato nominato da Romano Prodi il 21 dicembre 2007, su proposta dell´allora ministro per l´Università e la Ricerca Fabio Mussi, che dichiarò di «aver usato, senza essere obbligato dalla legge, i comitati di ricerca che hanno presentato una terna di nomi: in tal modo è stato sottratto alla politica il potere unilaterale di scelta». Questa cadde sul fisico Luciano Maiani, ma il 16 gennaio 2008 la sua nomina fu bloccata in Senato perché il candidato aveva firmato l´appello dei 67 professori della Sapienza contro la presenza del Papa all´inaugurazione dell´anno accademico, in protesta per le posizioni su Galileo espresse da Joseph Ratzinger in una precedente visita da cardinale. La nomina di Maiani fu comunque ratificata il 30 gennaio in commissione al Senato, dove l´opposizione di centrodestra non partecipò al voto, e il giorno dopo alla Camera. Ma il 7 febbraio l´onorevole del Pdl Gabriella Carlucci, membro della commissione Cultura a Montecitorio, aprì un altro fronte con una lettera a Prodi, negando che Maiani fosse «un fisico di alto profilo dotato di grandi capacità manageriali», e affermando invece che egli aveva semplicemente «avuto la fortuna di lavorare per un semestre ad Harvard con Sheldon Glashow (premio Nobel per la Fisica nel 1979) con il quale pubblicò l´unico suo lavoro degno di interesse. Lavoro che firmò ma che chiaramente non capì, visto che nel 1974 lo rinnegò pubblicando un altro lavoro (nota bene: insieme a Cabibbo, Parisi e Petronzio) dove confusero particelle elementari di proprietà fisiche diverse».
L´ex soubrette, di cui fino ad allora non si conosceva nessun background scientifico, aggiunse per buona misura un commento sulla «tanto pubblicizzata scuola romana della Sapienza: i famosi "eredi di Fermi" che ancora non hanno prodotto nulla di scientificamente rilevante, ma che sono molto abili nel procurarsi posizioni di potere». Il 14 febbraio Glashow le rispose per le rime, difendendo Maiani e ricordando a Carlucci che «agli occhi di un ricercatore straniero, se c´è qualcosa che può danneggiare l´immagine delle istituzioni scientifiche del paese è proprio la volgarità e la falsità di questi tentativi di denigrazione di alcuni degli scienziati italiani più distinti».
Lo scambio continuò, con Carlucci che domandava come mai Maiani e i suoi amici non avessero allora vinto il premio Nobel, e Glashow che spiegava pazientemente che «ci sono molti più candidati che premi». Il colmo del surreale fu toccato il 28 febbraio, quando Carlucci pubblicò sul suo blog l´articolo che la turbava, intitolato Il mesone vettore 3014 MeV è il Psi-charm il WO?, di cui ovviamente non poteva capire una parola. E il 6 marzo rivelò chi l´aveva imbeccata, scrivendo che la vicenda in questione «tarpò le ali a Zichichi, che non ricevette finanziamenti per il suo esperimento: la storia successiva ha dimostrato che avrebbe avuto ragione».
Naturalmente l´onorevole Carlucci non ha avuto niente da dire a proposito della nomina a vicepresidente di De Mattei nel 2004, né della sua riconferma nel 2008. Gli elettori in generale, e gli scienziati in particolare, dovrebbero invece avere molto da dire a proposito della permanenza di lei in Parlamento, e di lui al Cnr. Auguriamoci che lo dicano forte, chiaro e presto!

City 22.12.09
Intervista a Marco Pannella: Vita e politica, 80 anni di “impresa”
di Davide Casati

Da decenni lei è protagonista della scena politica. Ma non ha mai preteso per sé ministeri, poltrone, cariche. Che cos’è, per lei, la politica? E quanto è distante la sua idea di politica da quella che vede intorno a sé?
La politica per noi è stata ed è, da oltre 50 anni, in senso proprio e per estensione, impresa; come sono sempre state chiamate in storia le grandi imprese. Impresa di ricerca, concepimento ideale, di formazione civile, sociale, finalizzata legislativamente, per generare il nuovo possibile, l’impossibile di ieri. Per me imprenditore è ed è stata pratica-teorica di convivenza, co-nascita e conoscenza con le esistenze delle persone con cui ci siamo – in responsabilità e libertà – conosciuti, riconosciuti, uniti.
La vicenda del Partito Radicale si lega profondamente a lotte per i diritti civili. Quale battaglia ricorda in modo particolare, quale andrebbe condotta con forza oggi?
Ricordo quella ingaggiata da un secolo, alimentata dalla religione della libertà e dalla responsabilità della democrazia, cancellata in Italia prima dal ventennio partitocratico fascista e poi dal sessantennio partitocratico antifascista. La battaglia per superare i colpi di coda reazionari di una parte della specie umana che ha terrore genetico della libertà e dell’amore, che si vanno finalmente affermando come fine dell’uomo e contributo al progresso contro la distruzione del mondo.
Si sente molto invocare il "rinnovamento", l'arrivo di "giovani" in politica. Lei dice, però: "Il mondo giovanile, preso nell'insieme, è quello più inesperto e più coinvolgibile nel nuovo con una non diffusa capacità di ascolto critico. Per capire il tempo bisogna far ricorso all'esperienza dei saggi". Trova quella attuale una generazione di giovani senza memoria?
E’ una generazione più intelligente, che, come sempre, acquisirà crescendo esperienza e saggezza. Fermo restando che ogni generazione partecipa a una “storia” di cui la memoria è patrimonio in continua ricostruzione. O anche in distruzione.
I suoi metodi di protesta - resistenza passiva, non violenza, scioperi della fame e della sete - fanno oggi, forse, meno notizia di un tempo. Perché? C'è più disattenzione? Si dice "è il solito Pannella"?
La querelo o la picchio, se osa dire che i nostri metodi sono di “protesta”! Apprenda il significato della nonviolenza e dei satyagraha (della e per la forza del vero, delle realtà, della parola data, della “proposta”). Come – grazie a Marco Cappato - ha dichiarato il Parlamento Europeo, la politica dei diritti umani richiede la nonviolenza come unica arma adeguata per il suo compimento nel mondo. Il fatto che in Italia io rappresenti un po’ tutto ciò, spiega rispetto e affetto che sento spesso nella gente per “il solito Pannella”.
Nel libro scrive: "Se si ascolta una voce sola si finisce per credere a ogni promessa, a ogni suggestione. Le dittature del Novecento si sono basate sull'ascolto. Anzi: sull'ascolto della radio. La parola del tiranno [...] con i mass media arriva direttamente". Vede pericoli in questo senso in Italia, dove il sistema delle comunicazioni è pesantemente condizionato dai partiti? Perché parla di "contesto di scomparsa della democrazia che avvertiamo intorno"?
Non vedo “pericoli”, ma il proseguirsi sciagurato del peggio del secolo scorso, metamorfosi di quel male che in questo sessantennio si è vestito di antifascismo, per riaffermare invece il male totalitario fascista, comunista o fanatico che sia stato o sia. Noi chiediamo fiducia al Paese. Se sarà possibile, son certo che, malgrado l’assenza di democrazia e la corruzione partitocratica, riusciremo a sostituire il regime con uno nuovo. Con un Governo democratico, liberale, laico, federalista, di progresso. Esagero? Provare per credere!
Di Berlusconi scrive: "Non ha formazione politica. E’ intelligente, è capace. Ma non ha il senso delle compatibilità. E questo lo fa sconfinare molte volte nella volgarità”. Come commenta le sue parole su temi istituzionali di questi ultimi giorni?
Spaventato da cose ormai più grandi e gravi di lui, divenuto ultimo prodotto di quella partitocrazia che era nato per combattere. Abbiamo tentato solo noi di aiutarlo. Non ce l’ha permesso. Ormai si tratta di salvare anche lui e, per salvare il Paese, tutti noi. Si è creduto capace davvero, ma davvero di tutto. La Storia ci insegna che quelli come lui rischiano di condurre alla catastrofe anche se stessi, oltre che un intero Paese se questo non riesce a fermarlo e a sostituirne idee, ideali e quel “potere” partitocratico impotente - quindi prepotente - con un governo di grande radicalità riformatrice.
Parole di grande rispetto, nel libro, per il presidente della Camera Gianfranco Fini. Come giudica le tensioni in atto con il premier? E’ lui il futuro leader del centrodestra?
Lo conosco da trent’anni. Sono stato attento a lui e finora – ripeto, finora – l’ho visto crescere umanamente, culturalmente, ascoltando dentro di sé ciò che ha avuto origine dalla sua storia e da una natura certo non “antifascista” ma tantomeno “fascista”, ma alla fine convergente con la nostra. Speriamo, noi Radicali, di poterlo aiutare in questo cammino.
Tra le riforme di cui parla, cita come centrale quella della giustizia, "per evitare [...] i 150mila processi che ogni anno finiscono in prescrizione. I peggiori delinquenti, se ricchi, finiscono in prescrizione". Appoggia i tentativi di riforma messi in campo dalla maggioranza o li trova leggi ad personam mascherate?
La giustizia italiana è ridotta a sciagura per lo Stato e la società. La sua appendice è il mondo carcerario: una vergogna intollerabile, che impone una nuova forma di tortura di massa ai suoi abitanti. Dirigenti, personale penitenziario, universo dei detenuti. Finora hanno tutti, in genere, saputo miracolosamente convertire umiliazioni e sofferenze in una straordinaria testimonianza di crescita civile e umana
Nella foto che accompagna nel libro gli "elementi biografici", lei appare con i suoi genitori. Che cosa ha appreso da loro, che cosa le hanno trasmesso che ritrova nella sua azione politica e nelle sue convinzioni personali?
Anni fa un celebre endocrinologo svizzero, Vannotti, dopo un esame mi disse: “Le direi di ringraziare Dio, comunque ringrazi i suoi genitori, che le hanno trasmesso geni tali da renderla capace davvero di tutto. Avrebbe potuto vincere Nobel e olimpiadi, mi creda. Sono strafelice di averla studiata e curata, lei invece ha deciso di fare…il Pannella”. Li continuo ad amare e rispettare, se mi riesce, grazie alla capitiniana e buddista compresenza di vivi e morti, dicendo loro: siamo insieme amore e ve ne ringrazio.
Il libro termina con una citazione di Montanelli che, tornando sui luoghi della sua infanzia, diceva: "risento l'odore scomparso di bucato". "Anch'io"- scrive – "immagino quell'odore come compagnia del tempo futuro dopo la vita". Qual è il suo rapporto con la spiritualità? Crede in "un tempo futuro dopo la vita"?
Montanelli aveva evocato, parlandomene e scrivendone, l’odore scomparso di bucato ma parlando di noi Radicali e del suo insopportabile amico che ero e sono. Anni fa un abate di Boquen in televisione mi dichiarò: “piuttosto che un finale conflitto ‘fra scienza e fede’, penserei a uno fra ‘spiritualità e i religiosi potenti’.
Grazie amici di City, molte altre risposte sono nel libro di Stefano Rolando e Marco Pannella (Bompiani, 15 euro o 12 euro su www.lafeltrinelli.it). Un buon dono di Natale e, per come mi vedo allo specchio, per la Befana.

lunedì 21 dicembre 2009

Repubblica 21.12.09
Silvio scommette sulla pacificazione "Credito al Pd per isolare i falchi"
Bersani: no a leggi ad personam, facciamogli scoprire le carte
Da Berlusconi apprezzamento anche per D´Alema: "Il nodo è battere l´ala giustizialista"
Il Cavaliere è però contrario a nuove Bicamerali: "Non mi evoca buoni ricordi"
di Carmelo Lopapa

ROMA - «Dobbiamo aprire senza riserve a Bersani e D´Alema. Sono loro i nostri interlocutori. È a loro che dobbiamo dare un segnale, convincerli a dialogare per isolare gli estremisti, Di Pietro e le frange giustizialiste che si annidano anche dentro il Pd». Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo ha detto a Bossi, Calderoli e Tremonti durante la cena di sabato sera a Villa San Martino. Lo ha ripetuto ieri per tutto il giorno a chi lo ha sentito al telefono, nella prima giornata di vero relax, a una settimana dall´aggressione. L´obiettivo è partire con le riforme, Bicamerale o no, magari dalla Bozza Violante, comunque da gennaio.
Porte finalmente chiuse alle decine di visitatori, ad Arcore. Il Cavaliere si concede un´unica uscita telefonica con la quale dipana la nuova strategia del doppio binario. Il binario del dialogo, in virtù del quale - spiega ai militanti veronesi - si impegna a «lavorare più di prima nell´interesse di tutti», considerando gli avversari non più «nemici». E in tal senso da lì a qualche ora apprezzerà molto l´intervista con cui Massimo D´Alema invita l´opposizione a «mettersi in gioco» per le riforme. «È a lui e a Bersani che dobbiamo lanciare un segnale» ripete il premier in privato. Segnato che prende corpo con la strada spianata all´ex ministro degli Esteri per la presidenza del Copasir, il comitato di controllo sui servizi, soprattutto grazie all´intenso lavorio di Gianni Letta. Ma c´è anche un secondo binario, al quale il premier non rinuncia. Quello che dovrebbe portare all´isolamento degli «estremisti», del cosiddetto «partito dell´odio», di coloro che lo additano come «tiranno» e hanno indirettamente «armato l´aggressore». Per farla breve, spaccare il sodalizio Pd-Idv.
Ma è sulla nuova leadership Pd e sul dialogo possibile che il presidente del Consiglio si concentra in convalescenza. È partito da Villa San Martino l´input diramato 48 ore fa da Paolo Bonaiuti a ministri e parlamentari affinché tutte le dichiarazioni ruotassero attorno alle due parole d´ordine «riforme» e «pacificazione». Se n´è fatto portavoce soprattutto Giulio Tremonti annunciando che «è arrivato il momento» di farle, «con la Bicamerale o in Parlamento». Berlusconi è d´accordo su tutto, tranne che sullo strumento: «Giulio, sai come la penso - gli ha detto sabato sera - non mi convince del tutto la Bicamerale, non evoca buoni ricordi». Anche se il partito della Bicamerale cresce, proprio nel governo. Big sponsor Tremonti e il leghista Calderoli. Tra gli altri anche Gianfranco Rotondi: «Meglio chiamarla Assemblea costituente, con una durata definita, due anni e mezzo. Sarebbe un modo per blindare la legislatura. Silvio lo convinceremo, perché in caso di successo potrà proiettarsi sulla terza Repubblica, con rinnovate ambizioni presidenziali». Inutile dire come l´abbassamento dei toni e il volo di colombe conforti la terza carica dello Stato, Gianfranco Fini, che ancora giorni fa rilanciava un patto costituente auspicando che «il 2010 diventi l´anno delle riforme». Ma sarà un tornante difficile - ricorda il vicecapogruppo Pdl Osvaldo Napoli, lasciando intendere quanto il clima sia cambiato - «servirà la collaborazione di tutti: sarà decisivo un incontro fra Berlusconi e Fini». I due non hanno ancora fissato la data, pur intenzionati a vedersi a giorni. Sul dialogo incombono tuttavia leggi ad personam e processi milanesi. Un nuovo lodo costituzionale è in arrivo prima delle feste, conferma l´arterfice Gaetano Quagliariello. E non ci sarà «marcia indietro su processo breve» e legittimo impedimento. Berlusconi si attende dal Pd un no in aula, ma non barricate in piazza o raccolta firme. Il leader Bersani ha già convocato la segreteria allargata per domani, occasione per ribadire la linea: «Mai leggi ad personam, ma siamo il partito delle riforme, dobbiamo andare a vedere». Tanto più se si partirà dalla "loro" Bozza Violante. Dopo di che, fanno notare dalla segreteria, in piazza il Pd non si è arroccato neanche al "No B-day", l´opposizione si farà in Parlamento. «Ma prima il guardasigilli Alfano - avverte Anna Finocchiaro - dovrà venire a spiegarci quale sarà il disegno complessivo sulla giustizia».

l'Unità 21.12.09
Antonella Pozzi
Cura e prevenzione della follia
risponde Luigi Cancrini
Perché, anziché parlare di istigazioni prima e “tendenza emulativa” che potrebbe generarsi poi dal gesto del folle che ha ferito Berlusconi, non si sente la necessità di rilanciare sul tema della malattia mentale e delle possibili appropriate soluzioni per affrontarle?
RISPOSTA In una ricerca di Saman, le comunità terapeutiche in cui lavorò Rostagno, abbiamo verificato cos’ era accaduto, due anni do- po la fine del programma, a 150 detenuti tossicodipendenti che aveva- no chiesto ed ottenuto di espiare la pena in comunità all’interno di un programma terapeutico che coinvolgeva i loro famigliari. Incredibile ma vero, i risultati di questa ricerca ci hanno permesso di verificare che non più del 2% (3 su 150) dei nostri utenti aveva avuto ricadute e/o problemi con la giustizia e che solo il 10% sporadicamente usava ancora delle droghe leggere. Rifletteranno mai su dati come questi i legislatori che si occupano di carceri, di giustizia e di salute mentale? Entrerà mai nella cultura della gente e dei servizi la convinzione per cui le “appropriate soluzioni” di cui lei parla si basano sull'idea per cui l'uomo che sta male deve essere restituito a sé stesso con un lavoro psicoterapeu- tico prima che “costretto” o “sedato”? La prevenzione e la cura delle condotte auto ed etero lesive, dalle droghe al terrorismo, sono possibili. A non saperlo purtroppo sono quelli che decidono.

Repubblica 21.12.09
Il segretario di Rifondazione Ferrero disponibile ad un "fronte comune" con Pd, Udc e Idv
"Pronti ad accettare Casini premier pur di battere la destra di Berlusconi"
A questo punto sono pronto ad allearmi pure con il Diavolo. Poi si cambi la legge elettorale con il modello tedesco
Sono d´accordo con un nuovo Cnl. Noi non entreremo nel governo, con il sistema di voto della Camera è possibile
di Umberto Rosso

ROMA - «Sono pronto ad allearmi anche con il diavolo, a questo punto». Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, è preoccupato. Dopo la caduta del governo Prodi e la "corsa" solitaria alle ultime elezioni, mette sul tavolo la disponibilità a organizzare una nuova alleanza per battere il Cavaliere. È pronto persino ad accettare che sia Pier Ferdinando Casini il candidato alla premiership. «Berlusconi minaccia la democrazia - avverte - . Siamo al golpismo strisciante».
Il Pdl la accuserà di seminare odio.
«Io sono un non-violento, ma non mi faccio imbavagliare. Che un mattacchione sia arrivato in piazza Duomo con una statuetta, non dimostra alcun complotto. È il nostro paese a rischio con questo premier».
Che cosa pensate di fare?
«Da segretario della Federazione della sinistra, oltre che di Rifondazione, lancio una proposta a chi ci sta. Un fronte comune per liberarci di Berlusconi, una coalizione di difesa della Costituzione».
Compresi Casini e Di Pietro, oltre al Pd?
«Tutte le forze disponibili. Casini ha già parlato, sostanzialmente, di un nuovo Cnl anti-Berlusconi. Sono d´accordo con lui».
Un fronte comune che si presenti insieme in caso di elezioni anticipate?
«Certamente. Con al centro due questioni-chiave. Primo: difesa della democrazia e legge sul conflitto di interessi. Secondo: una futura legge elettorale, sul modello tedesco, per chiudere con la sventurata stagione del bipolarismo».
Rifondazione non aveva rotto per sempre con i governi di centrosinistra?
«Infatti noi non entreremmo a far parte di un eventuale esecutivo, se la coalizione dovesse vincere le elezioni. Si faccia un "accordo di governo" all´interno del fronte comune, fra le forze che lo condividono. La sinistra ne resterà fuori, non ripeteremo l´esperienza del governo Prodi».
Senza mettere becco nella scelta del leader, dovesse essere anche Casini o un uomo del centro?
«Senza mettere becco sul candidato premier, è una questione che riguarderebbe i partiti che hanno firmato l´accordo di governo».
Una specie di neo - desistenza politica fra Rifondazione e il centrosinistra.
«Io la chiamo una somma di voti per l´emergenza democratica».
E poi il Prc ricomincerebbe come al solito a far ballare in Parlamento la coalizione.
«Con l´attuale legge elettorale, il premio di maggioranza è tale da assicurare pieni margini di manovra all´accordo di governo».
Insomma, i parlamentari eletti della sinistra stavolta non avrebbero i numeri per far saltare il centrosinistra. Franceschini, però, ha appena detto di no al modello tedesco.
«Dentro il Pd altri dicono di sì, e lo dice anche Casini. Vedano un pò, nel partito democratico, se è proprio il caso di andare avanti con la sciagurata teoria veltroniana dell´autosufficienza, e lasciare così il paese nelle mani del presidente del Consiglio. Che può ridurre uno come Fini a sua appendice proprio grazie alla legge che c´è. Un meccanismo infernale che mette insieme persone che non hanno nulla in comune, un Pisanu con tipi alla Borghezio».
Ci risiamo? Ha pure paragonato Berlusconi al mostro di Marcinelle.
«Non ho affatto detto che il premier è un mostro, ma che mettere nelle sue mani le riforme è come affidare un asilo al violentatore di Marcinelle».
E alle regionali, segretario?
«Non mettiamo veti, ma confronto sui contenuti. Come la nostra campagna referendaria contro il nucleare e la privatizzazione dell´acqua. Pronti a sostenere Vendola in Puglia ma a Sinistra e Libertà chiediamo di difenderci in Lombardia dai diktat Pd di Penati».

Repubblica 21.12.09
Nazisti d’Europa
Dopo lo sfregio di Auschwitz viaggio tra le formazioni dell´estrema destra Ecco chi sono i nuovi fanatici E dove vogliono arrivare
di Paolo Berizzi

Sono giovani, si collegano attraverso Internet e definiscono la Shoah un bluff
Partiti e partitini, poi skinhead, ultrà, picchiatori di strada. Si stima siano oltre 250 mila
Chi sono i ladri profanatori di Auschwitz? Perché hanno colpito? Una galassia di gruppi xenofobi e neonazisti cresce dalla Spagna alla Polonia, fino alla Russia. Si tratta di movimenti frammentati che cavalcano nazionalismo e localismo. Ecco una fotografia delle formazioni razziste che guardano al Terzo Reich

Chi sono e da dove muovono i ladri profanatori di Auschwitz? Perché hanno colpito? «È una dichiarazione di guerra», dice secco Avner Shalev, direttore del museo dell´Olocausto a Gerusalemme. Per capire le sue parole bisogna guardare la fotografia della "scena" nazionalista, neonazista e antisemita che sta montando in Europa. Un vento che soffia con forza dall´Est: dalla Polonia all´Ungheria fino all´ex Unione sovietica. Una galassia complessa e frammentata. Che si ispira direttamente al Terzo Reich (anche nei simboli: svastiche, croci runiche e diagonali, sigle e anagrammi e caratteri pangermanici). Che cavalca nazionalismo e localismo per approdare a derive antisemite.
In nome della battaglia anti-mondialista. Da lì a definire la Shoah e i forni crematori un "bluff" ebraico, il passo è breve. Il network neonazista estende i suoi confini dal cuore della Germania alla Francia, dalla Spagna "falangista" ai paesi scandinavi, dall´Inghilterra ai nuovi laboratori dell´Est, Polonia, Ungheria, Romania, dalla Grecia a Cipro passando dall´Italia e risalendo fino alla Russia. «Si sta diffondendo un nuovo-vecchio odio verso gli ebrei, che è poi di fatto una continuazione - ragiona Cono Tarfusser, già procuratore capo di Bolzano, oggi giudice della Corte criminale internazionale dell´Aia - . È un sentimento viscerale e al tempo stesso vuoto, messo in giro dalle formazioni nazionaliste a forte impronta xenofoba. La novità non è tanto che l´ostilità non va più solo contro gli immigrati, gli omosessuali, le minoranze etniche e religiose ma anche contro gli ebrei - quelli di oggi e quelli di ieri. La novità - spiega - è che la società, con la sua assenza di cultura, non riesce più a mettere degli argini naturali in grado di isolare questa gente, di sottrargli spazio, terreno di coltura».
Tarfusser a Bolzano ha creato un pool di magistrati anti-naziskin, la nuova "Gioventù hitleriana" che si muove in Alto Adige. «Preoccupa, oltre al qualunquismo rabbioso di queste bande, la precoce età dei militanti, che agiscono perché trovano spazi politicamente fertili. Disagio sociale, crisi economica, globalizzazione degli Stati e immigrazione: tutti elementi che i partiti e le organizzazioni paranaziste sfruttano per fare proseliti. Oggi, e dalla fine del comunismo, questo fenomeno ha dimensioni importanti soprattutto nell´Est».
Partiti e partitini, e poi skinhead, hammersin, bonhead, ultrà, picchiatori di strada. Si stima siano oltre 250 mila i militanti neonazisti in Europa. Altri 50 mila nella sola Russia. La rete di collegamento è Internet. E guai a chiamarsi nazisti.
In Polonia spopola la Lega delle famiglie polacche, l´alleanza dei partiti nazionalisti che ha eletto presidente della Repubblica Lech Kaczynski. Determinante per la vittoria al ballottaggio del 2007 è stato l´aiuto di Radio Maryja, un´emittente clericale, anti-comunista ma soprattutto anti-semita (più volte condannata dallo stesso Vaticano) che si rivolge a due milioni di elettori. La Polonia confina a ovest con la Germania e a sud con Repubblica Ceca e Slovacchia. L´Npd (partito nazional democratico tedesco, fondato 45 anni fa da ex appartenenti al partito socialista del Reich tedesco) di Ugo Voight continua a piazzare suoi rappresentanti nei lander. Nonostante la maggior parte della popolazione lo definisca un partito filo-nazista, razzista e anti-semita.
Ancora Europa centrale. Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia: tre giovani democrazie risorte dopo mezzo secolo di comunismo, oggi nella Ue. A Bratislava l´estremismo antisemita è stato sdoganato al governo dal premier socialdemocratico-populista Robert Fico. «La fine del comunismo ha fatto saltare il tappo che comprimeva l´estrema destra, allora era marginale ma oggi cresce più che da ogni altra parte», spiega Giuseppe Scaliati, autore del saggio La destra radicale in Europa (Bonanno editore). A Budapest i 7 mila adepti della Guardia Ungherese sfilano in centro in uniforme nera, sventolando i gagliardetti delle "Croci frecciate" alleate di Hitler. Evocano l´Olocausto, sognano una "soluzione finale alla questione zingara", affrontano la polizia in violenti scontri nelle strade di Praga. Zingari e rom sono finiti anche nel mirino dei romeni di Noua Dreapta (Nd), gli estremisti che si rifanno alla Guardia di Ferro dell´anti-semita Corneliu Zelea Codreanu (attiva negli anni ‘30). Giovani, camicie nere o verdi, si considerano la più importante organizzazione neo-legionaria della Romania. «Vogliamo risvegliare le coscienze avvertendo dei pericoli che minacciano il popolo romeno», tuona il leader 30enne, Tudor Ionescu. L´opera di proselitismo si è allargata agli immigrati che vivono in Italia (Padova, Roma). Come quella dei partiti oltranzisti cresciuti nell´ex Jugoslavia. In Serbia e Croazia il "nostalgismo" per i vecchi leader nazional socialisti fautori della pulizia etnica si mischia all´insofferenza verso le lobby ebraiche. «Sono le zone balcaniche il laboratorio privilegiato dei nuovi nazisti - ragiona Saverio Ferrari, Osservatorio democratico sulle nuove destre - una cinghia di raccordo tra i movimenti dell´Europa occidentale e quelli dell´Est. I neofascisti italiani hanno rapporti intensi con le organizzazioni di questi paesi».
La Russia. Sarebbero oltre 50mila, secondo fonti di polizia, i militanti neonazisti attivi nell´ex impero sovietico. Solamente San Pietroburgo conta 20 mila skinhead. Autori di aggressioni contro cittadini stranieri, al grido di "la Russa ai russi". "Unità nazionale russa", "Gruppo socialismo nazionalista-potere bianco": sono le due sigle più importanti. Accanto ai picchiatori di Combat 18, quelli dei video coi pestaggi e le parate naziste su Youtube. Nel 2007 ne girò uno drammatico: neonazisti che decapitano un prigioniero caucasico ("negro", poiché originario del Caucaso). La firma: i nazionalsocialisti di "Rus" (termine usato dai neonazi per definire la madre patria). Altri partiti di riferimento sono il Partito nazionale del popolo (15mila militanti, la metà sotto i 22 anni) e il Partito liberal democratico di Vladimir Zhirinovsky, già vice presidente della Duma, il parlamento russo, costretto nel 2003 ad ammettere le sue origini ebraiche.
Fanno paura i Nazional socialisti di Konstantin Kasimovsky, riferimenti all´ideologia hitleriana, per simbolo una croce nera che richiama il labarum cristico (PX). Si sa che le gesta dei capi vengono sempre ammirate. In Inghilterra, dopo l´aggressione del leader del British national party Nick Griffin ai danni di un insegnante ebreo, è cresciuta l´intolleranza verso la popolazione di origine israeliana. Come in Francia, dove il Front national di Jean Marie Le Pen dopo la flessione seguita all´exploit elettorale del 2002 (17,79%), sta risalendo la china. In Spagna avanzano i neonazisti della Falange, che fanno breccia tra i giovanissimi. In Grecia Alleanza patriottica ha eletto il proprio leader in parlamento, e gli estremisti di Laos e Albadoro vogliono bissare l´edizione 2006 di Eurofest, una Woodstock neonazista. Poi ci sono quelli che non dissimulano. In Svezia sta tornando di moda il Partito del Reich nordico, fondato nel 1956 e ancora guidato dal battagliero Assar Oredsson. Scendendo a Sud, riecco gli oltranzisti austriaci del Bzoe di Jorg Haider, partito che ancora governa in Carinzia. Informative dei servizi tedeschi parlano di gruppi neonazisti attivi sul confine tra Austria e Germania. Meta di riferimento: Branau, la città natale di Hitler.
Infine l´Italia. Che non si fa mancare niente. Compreso un disciolto (da poco) Movimento dei lavoratori ispirato al Partito nazional socialista dei lavoratori (nel 2006 riuscì a far eleggere dei consiglieri nelle province di Varese, Como e Novara). Anche da noi l´arcipelago dell´estrema destra antimondialista è frammentato. Da una parte Forza Nuova (il leader Roberto Fiore è segretario generale del Fronte nazionale europeo, la casa comune dei partiti europei di estrema destra); dall´altra il circuito Casa Pound, che si ispira al poeta antisemita Ezra Pound. A Casa Pound aderisce anche Cuore nero, circolo neofascista milanese. Agosto 2008, copertina di "Doppio Malto", la fanzine ufficiale di Cuore nero: uno skinhead che brinda con un boccale di birra. Sullo sfondo, la "porta dell´inferno" del lager di Auschwitz. La scritta "Il lavoro rende liberi" - che allora era ancora al suo posto - fu sostituita da una più commerciale, e vergognosa, insegna. "Birrificio Cuore nero". A proposito.

Repubblica 21.12.09
Ecco l´orchestra "all women" contro tutte le discriminazioni Ieri sera all´Auditorium di Roma con Nada, Giovanna Marini e Raffaella Misti Un organico di 18 musiciste scelte dai Tetes de Bois per aiutare le donne a raccontarsi
di Federico Capitoni

Le donne italiane da oggi hanno una voce in più, una voce piccola che parla però a tutti. L´Orchestra delle Donne del 41° Parallelo, appena nata, è una formazione tutta al femminile; un organico di diciotto musiciste selezionate dai Tetes de Bois per aiutare le donne a esprimersi nella musica e raccontarsi al mondo: «Conosciamo le difficoltà alle quali vanno incontro gli aspiranti musicisti, difficoltà che aumentano se questi sono di sesso femminile - dice Andrea Satta, cantante dei Tetes de Bois - Abbiamo pensato che formare un´orchestra del genere potesse offrire un´occasione di più alle donne che vogliono fare musica. In un periodo in cui le case discografiche alzano bandiera bianca, è una proposta coraggiosa. L´idea rientra nel nostro più ampio progetto chiamato "41° Parallelo" (il parallelo comune a Roma e New York, Salonicco e Oporto), che ha come fine quello di mettere in contatto il più possibile le culture del mondo attraverso la musica».
Il primo concerto ieri sera all´Auditorium Parco della musica di Roma ha visto partecipazioni (a eccezione del direttore dell´orchestra, Stefano Scatozza) rigorosamente femminili: Nada, Giovanna Marini, Rita Marcotulli e Raffaella Misti. «Le ospiti della serata - continua Satta - leggono le lettere di ragazze sfruttate, maltrattate e discriminate. Amnesty International, che patrocina l´iniziativa, ci ha chiesto di raccontare queste storie dolorose testimonianti un mondo, a Oriente e a Occidente, che ancora ha poco rispetto per le donne».
Le musiche sono legate ai luoghi di provenienza delle lettere, si alternano brani tradizionali a brani originali scritti apposta per l´occasione. Si prevede poi che l´ensemble possa viaggiare nel mondo, anche oltre il 41° parallelo, in modo da accogliere al proprio interno nuove partecipazioni e far crescere l´orchestra: «C´è un´orchestra rom di Istanbul - spiega Satta - con cui siamo già in contatto e che ci piacerebbe poter integrare nella nostra. L´orchestra delle donne vorrebbe essere un po´ il testimone di tutto il nostro progetto: un viaggio intorno al pianeta anche per tentare di far confrontare le persone con ciò che esiste altrove».

Corriere della Sera 21,12.09
La morte di Montezeri e il dissenso che diventa «atto contro Dio»
di Paolo Lepri


Nel 1989 i pasdaran fecero ir­ruzione nella casa del Grande Ayatollah Hossein-Ali Montazeri, e lo umiliarono costringendolo a indossare un berretto da notte al posto del tur­bante bianco da religioso, quasi come se fosse stato l’Argante del Malato Im­maginario di Molière. La rottura era or­mai totale. Alcuni mesi prima l’erede designato di Ruhollah Khomeini, mor­to ieri a Qom, si era ribellato al leader della rivoluzione islamica per l’ondata di esecuzioni degli oppositori politici.
«La negazione dei diritti del popolo, l’ingiustizia e il disprezzo per i veri va­lori della rivoluzione hanno inferto i colpi più duri contro la rivoluzione stessa. Prima che qualsiasi ricostruzio­ne abbia luogo, ci deve essere una rico­struzione politica e ideologica». Que­ste le lungimiranti accuse che Montaze­ri aveva rivolto a Khomeini. Poi, non contento, la contestazione aperta con­tro colui che sarebbe diventato la Gui­da Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, del quale aveva discusso la possibilità di essere «una fonte di emulazione». A quelle parole coraggiose lo stesso Kha­menei ha risposto ieri, a venti anni di distanza, con altre parole oblique, in un certo senso beffarde. «Era un teolo­go apprezzato e un importante docen­te », ha affermato il «numero uno» del­la teocrazia iraniana, augurando all’ex rivale il «perdono di Dio» per quella che ha definito «la prova cruciale» cioè la sua dissociazione dal khomeini­smo.
Ancora una volta, e al massimo gra­do, il dissenso politico è giudicato in Iran un gesto blasfemo, un atto che sfi­da «il volere di Dio». Perché Montazeri era diventato in questi anni un punto di riferimento per gli avversari del regi­me e un oppositore della politica ag­gressiva del presidente Mahmoud Ah­madinejad: «Bisogna trattare con il ne­mico con saggezza, non provocarlo», aveva detto nel gennaio del 2007 par­lando del programma nucleare irania­no. «Non provocare il nemico». Que­sto suggerimento non è stato ascolta­to, purtroppo, nemmeno nel giorno della sua morte. 



Corriere della Sera 21,12.09
Lo scandalo dei preti pedofili 
I preti e gli abusi 


Lo scorso 26 novembre un rapporto governativo di 720 pagine si certificano 320 casi di abusi sessuali a minori nella sola arcidiocesi di Dublino dal 1975 al 2004.

Colpevoli 46 preti pedofili e quattro arcivescovi responsabili di averli coperti La commissione 

Lo scorso maggio la Child Abuse Commission pubblicò il «Rapporto Ryan»: 9 anni di indagine e 3.500 pagine a descrivere mezzo secolo di violenze «sistematiche» negli istituti cattolici, commesse da «centinaia» di preti e suore dagli anni 30 agli anni 80 Il film 

Nel 2002 il film «The Magdalene sisters» (foto) di Peter Mullan, Leone d’oro a Venezia, raccontò la storia di tre ragazze mandate presso il convento gestito da Madre Bridget (madre superiora dell’ordine) ad espiare i loro presunti peccati Il Papa 

Qualche giorno fa il Papa ha manifestato l’intenzione di scrivere una lettera a tutti i fedeli irlandesi per «indicare con chiarezza le iniziative da prendere in risposta alla situazione». Benedetto XVI ha detto di condividere «lo sdegno, il tradimento e la vergogna dei fedeli»

domenica 20 dicembre 2009

l’Unità 20.12.09
Il fronte interno
Franceschini-Veltroni, attacchi a D’Alema ma l’obiettivo è il leader
Il capogruppo alla Camera: «Non ho mai visto inciuci buoni» L’ex segretario polemizza con Latorre e le analisi dalemiane «Le riforme? Non si fanno certo in questo clima politico...»
di Simone Collini

Dicono che non sono e non faranno l’opposizione interna, che a Bersani non riserveranno il trattamento sperimen-
tato da chi l’ha preceduto e che vogliono soltanto dare un contributo di idee. Fatto sta che alla prima iniziativa pubblica organizzata da Area democratica, Franceschini, Veltroni e gli altri esponenti della minoranza Pd ci vanno giù pesanti, attaccando D’Alema per la battuta sugli «inciuci utili» ma avanzando forti perplessità sulla stessa disponibilità di Bersani a un confronto con la maggioranza sulle riforme.
Questo appuntamento a Cortona era pianificato da tempo, e da tempo i due ex segretari avevano scelto il taglio da dare all’intervento che avrebbero fatto. Ma quando all’ex convento di Sant’Agostino, durante la prima giornata di lavori, si viene a sapere della frase di D’Alema, si decide di non lasciar spazio ad indugi.
«Di inciuci che hanno fatto bene non ne ho mai visto neanche uno», dice Franceschini al microfono mentre tra le mura della chiesa sconsacrata risuona forte l’applauso. Una bordata a D’Alema, che già era stato criticato nell’intervento precedente, da Veltroni: «Se penso a ciò che ha provocato dei mali a questo paese, non mi viene in mente il Partito d’azione», dice l’ex segretario facendo riferimento alla seconda parte della dichiarazione di D’Alema finita al centro delle polemiche.
Ma anche la linea bersaniana della disponibilità al confronto viene messa in discussione. «La Costituzione è delicata e fantastica dice Veltroni per metterci le mani serve un clima politico che ora non riesco a vedere». Per non parlare di una riforma della giustizia. «Sarebbe inevitabilmente destinata a fallire sostiene Franceschini e allora anziché farci trascinare in un trabocchetto che serve a risolvere i problemi del premier, proponiamo un confronto sui contenuti, facciamo con la destra una riforma degli ammortizzatori sociali». Quello sulle riforme istituzionali è non solo «un dialogo inutile», ma anche dannoso: «Non a caso arriva adesso, alla vigilia delle regionali. È un tranello che la destra ci ha preparato per spostare i riflettori sui problemi degli italiani». Fassino, Tonini, Ceccanti, Realac-
ci e tutti i trecento parlamentari e amministratori locali della minoranza in platea mostrano di concordare con forti applausi. Gentiloni interviene per dire che «il fumo del dialogo sulle riforme non può coprire l’arrosto delle leggi ad personam». Debora Serracchiani per descrivere quelli con cui si dovrebbe dialogare, a partire dalla «destra fascista che si chiama Lega».
Ma non è solo sul circorscritto tema della disponibilità al confronto che Franceschini e gli altri si fanno sentire. È anche sul più generale modo di fare opposizione che intervengono. Veltroni si dice «sorpreso che un dirigente del nostro partito dica che Berlusconi deve arrivare alla fine della legislatura». A chi si riferisce? A Latorre, viene spiegato («un’affermazione che non ho mai pronunciato», manda a dire il vicecapogruppo Pd al Senato). E poi al suo successore che, sottolinea, «ha vinto col 53%, con il 47% che ha espresso un’altra posizione» e quindi «nessuno può pensare che il Pd possa essere governato come il patrimonio personale di qualcuno» chiede cautela sulla politica delle alleanze: «Non è un gran capolavoro se rifacciamo l’Unione, magari con un presidente del Consiglio espresso da un partito di centro, invece che dal Pd». Anche Franceschini ha qualche dubbio sul dialogo con i centristi. Non solo definisce «sbagliato creare in laboratorio un nuovo partito di centro cui appaltare la ricerca del consenso moderato». Ma lancia l’allarme su quella che può essere «una merce di scambio per avere magari un nuovo alleato»: ovvero, un riferimento all’Udc e alla legge elettorale proporzionale. «Con il sistema tedesco si torna indietro di 15 anni», scandisce.
La due giorni di Cortona verrà ripetuta: ora Area democratica si doterà di coordinamenti politici in tutte le province, un sito web (c’è chi punta anche a un quotidiano) e in prospettiva di uno speaker; poi, tutti di nuovo qui, a maggio, un mesetto dopo le regionali.❖

Repubblica 20.12.09
Il primo lo fece Togliatti
D'Alema e l'inciucio, il Pd si spacca Veltroni: ne vediamo di tutti i colori
Franceschini: miopi sull'Udc. Bersani: no a leggi ad personam
di Umberto Rosso

Casini apprezza l´ex premier: "I compromessi ci vogliono. In Italia c´è troppo odio"
Certi ‘inciuci´ farebbero bene al Paese, perché servono a costruire la convivenza in Italia. L´articolo 7 della Costituzione votato anche da Togliatti fu il primo grande ‘inciucio´

CORTONA - «Io di inciuci che hanno fatto bene non ne conosco nemmeno uno». Saluti da Cortona, sotto la neve. E la cartolina che Franceschini spedisce a D´Alema riaccende lo scontro nel Pd. C´è anche la firma del ritrovato Walter Veltroni, accorso alla convention di Area democratica, accanto a quella del capogruppo della Camera. Di suo pugno ci aggiunge anzi due righette indirizzate a Nicola Latorre, «mi sorprende che un nostro dirigente dica che Berlusconi deve assolutamente arrivare a fine legislatura, se ne vedono di tutti i colori». Il vicepresidente dei senatori del Pd si sorprende della sorpresa, «non ho mai detto nulla di simile». Ma ormai, su scambi veri o presunti con Berlusconi, alleanze da coltivare e fino a che prezzo con Casini, la contesa in casa democratica è riesplosa. Tanto da spingere Bersani a intervenire dal Tg1: «Siamo contro le leggi per una persona sola, e su questo non si discute». Ma il capo del Pd è anche per le riforme, a cominciare però da quelle sociali: «Possibile che in Parlamento non si riesca a parlare dei 780 mila disoccupati in più, delle 900 mila persone che vivono con ammortizzatori sociali che finiscono?».
Ma non c´è il segretario nel mirino della neonata corrente pd, che dalla convention assicura «nessuno ha pronunciato una sola parola contro di lui, non siamo gli anti-Bersani, le nostre idee sono a disposizione del partito». Un partito, pensa però Franceschini, e lo pensa Veltroni arrivato a qui per rilanciare il must della «vocazione maggioritaria», che rischia di perdere la bussola sotto i colpi dell´offensiva dalemiana. Nel laboratorio dell´ex premier, Area democratica vede in lavorazione distillati che non gradisce affatto. «Ritorno al passato». «Attacco al bipolarismo». «Frammentazione». «Fine delle ragioni fondative del Pd». Prendiamo il rapporto con Casini, che intanto dà ragione a D´Alema, spiegando che «i compromessi ci vogliono», che «c´è troppo odio» in Italia. «Ma che bella idea, che idea geniale», ironizza Franceschini. Argomenta: «Aiutare in laboratorio la nascita di un centro, visto che il Pd secondo questi teorici non sarebbe capace di intercettare i voti moderati, è miopia politica. Quelli, una volta finito Berlusconi, se ne vanno con la destra e ci lasciano per 40 anni all´opposizione».
Ovvero: l´alleanza con l´Udc (ma anche con Idv e sinistra radicale) si può fare, ma alle condizioni del Pd. Il capogruppo piazza due paletti. Primo: la leadership spetta in ogni caso al partito più forte, stop all´"ammuina" su Casini candidato premier del centrosinistra. Secondo: no al modello tedesco, sì al doppio turno alla francese. Non tutti, dentro il correntone pd, la pensano allo stesso modo. Gli ex ppi, con Fioroni che non si è presentato in sala nel giorno del tandem Dario-Walter, fanno sapere che il rapporto con l´Udc è «decisivo ed essenziale», e comunicano che comunque la corrente dei popolari non si scioglierà.
Siluri anti-D´Alema partono anche da Veltroni. «Non mi pare un capolavoro riciclare l´Unione e, per giunta, affidarne la guida non al Pd ma al centro». Ancora: «Il male per il nostro paese non è certo venuto dalla cultura azionista, da Parri e Calamandrei». L´ex segretario chiede «forte discontinuità» nelle candidature regionali in Campania, Calabria, no all´appoggio a Lombardo in Sicilia. Le riforme insieme a Berlusconi? «Non vedo il clima, e nemmeno il disegno generale». Bacchettate alla Lega, che la Serracchiani definisce «il nuovo fascismo». La pietra tombale la mette Franceschini. Il tavolo delle riforme istituzionali è «una trappola». Le riforme sulla giustizia servono solo al premier. Controproposta: «Riformiamo piuttosto gli ammortizzatori sociali. Noi siamo pronti. E Berlusconi?».

Corriere della Sera 20.12.09
«Inciucio». Corsi e ricorsi storici
Dai triumviri di Roma alla «palude» e Depretis una scelta piena di rischi
di Luciano Canfora

Come concetto politico, «inciucio» (dal verbo dialettale siciliano «’nciuciare», fare qualcosa maldestramente) è termine recente, ma il suo contenuto è antico. E per lo più fallimentare, quando non catastrofico. Non vorremmo risalire troppo indietro nel tempo, ma, tanto per tenerci all’esempio più noto, i patti tra leader di opposti schieramenti che a Roma furono chiamati «triumvirati» (informale il primo, magistratura straordinaria il secondo) portarono prima o poi alla guerra civile. «Graves principum amicitiae» li definì Orazio, in un’ode in cui sconsigliava ad uno storico suo amico addirittura di parlarne. Il fenomeno parlamentare cui si allude con quel termine gergale siciliano, detto più elegantemente trasformismo, ebbe speciale vitalità nei secoli XIX e XX.

Ma aveva già fatto le sue prime prove nelle assemblee elettive della Rivoluzione francese, ad opera di quell’area centrale della Convenzione Nazionale che fu detta, con dileggio, «la palude». I parlamenti a prevalenza liberale furono poi il terreno di coltura del trasformismo.

Né solo in Italia (Agostino Depretis) ma anche nella pratica pseudoparlamentare del Secondo Impero e parlamentare della Seconda Repubblica francese. Molti fattori portavano a tale esito, ma soprattutto la micidiale miscela tra suffragio ristretto (in sostanza censitario) e leggi elettorali maggioritarie. Il collegio uninominale era l’habitat appropriato per la elezione di notabili naturaliter centrali, accomodanti e centristi. Ne risultava un personale politico socialmente omogeneo, che era, anche per questo, particolarmente disposto al reciproco compromesso: architrave, all’epoca, del mestiere di deputato. Tutt’altra cosa fu il compromesso costituzionale, e costituente, del 1946. Certo, anche un Liborio Romano, ultimo ministro di polizia di «Franceschiello», forse segretamente manovrato da Cavour (come mostra un recentissimo libro di Nico Perrone, Rubbettino editore), infine senatore del Regno d’Italia, ha avuto — nel gioco politico — un suo ruolo e un suo significato. Ma si trova di molti cubiti al di sotto dei dilemmi morali dei Costituenti di fronte all’articolo 7. La distanza tra Liborio Romano e Palmiro Togliatti resta incolmabile.

l’Unità 20.12.09
Amore odio diritti
Quanto pesa il sentimento sul governo
di Francesca Rigotti

Amore e politica. Confortati dall’opinione di poeti e psicologi che vanno ripetendo che amore e odio sono strettamente connessi e che l’oggetto d’amore è spesso anche soggetto di aggressioni, non ci stupiremo di trovare il sentimento dell’amore inglobato, a torto o a ragione, nella politica. È questo il suo posto?
Nei secoli passati, in regimi autoritari spesso dispotici, erano abituali quanto paradossali le espressioni d’amore del sovrano verso i sudditi, costruite sul modello di quelle dei padri nei confronti dei figli (le madri, da questi scenari, erano a priori escluse). Ecco sprecarsi quindi asserzioni paternaliste da parte dei reggitori, tanto più calorose quanto più provenienti da sovrani-canaglia, come quel Federico II di Prussia di cui è nota la vocazione autoritaria tanto quanto la smagliante retorica ricca di dichiarazioni di amore paterno per i popoli da lui governati e assistiti con affettuosa dedizione (sic).
In democrazia invece non si parla di amore – ed è corretto che sia così – bensì di diritti, di legalità, di rispetto. Né si tratta di porgere l’altra guancia o di amare il prossimo: si tratta di rispettare tutti, il lontano quanto il prossimo, perché è il rispetto, non l’amore, la parola chiave delle democrazie liberali, che non vestono i rossi mantelli delle passioni bensì gli abiti grigi della legalità e del diritto.
Già nel Principe (1513) Machiavelli si chiede se sia meglio per il principe essere amato che temuto: «Rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato». Anche se mai e poi mai, ammonisce il segretario fiorentino, il principe dovrà rendersi (parolina d’oro che sottolinea la responsabilità individuale) odioso nei confronti del popolo.
Machiavelli parlava per il monarca di sudditi; per il governante di cittadini le cose sono diverse. Odio e amore non sono espressioni del linguaggio delle democrazie liberali, dove il sentimento sovrano è il rispetto, a tutti dovuto in quanto esseri umani, ma che il politico pubblico più di altri dovrebbe meritare tramite un comportamento serio, onesto, dignitoso, autoritativo: non per il suo autoritarismo, attenzione, ma per la sua autorevolezza che nasce dalla statura morale e politica, dalla condotta irreprensibile, dalla magnanimità – dall’avere cioè, come dice la parola, una «grande anima» lontana dalla cultura della ricchezza, dell’accumulo, della corruzione e della autoprotezione a tutti i costi: chi ha orecchie per intendere intenda, e auguri a tutti. ❖

l’Unità 20.12.09
Diffusione planetaria. Dagli Usa alla Russia, dall’Indonesia all’Egitto, fino al cuore dell’Europa
Propaganda e non solo. Internet serve anche per organizzare attacchi e reclutare
Web, la rete dell’odio Più di tremila i siti razzisti
Affermano che «Auschwitz è come Disneyland»; inneggiano al Terzo Reich, incitano alla caccia all’ebreo, al negro, ai gay... Sono gli «hate sites», i siti dell’odio. Una crescita costante, in quantità e qualità...
di Umberto De Giovannangeli

L’antisemitismo corre sul web. Ed è un fenomeno in costante crescita. In quantità e diffusione. Dall’Indonesia all’Australia, dalla Russia all’Italia, passando per l’Egitto, le repubbliche baltiche dell’ex Urss, la Polonia. Sono oltre tremila i siti censiti che propagandano tesi antisemite. A questi vanno aggiunti i filmati (calcolabili a centinaia) di esaltazione del Terzo Reich e di negazione della Shoah, scaricati su Youtube. La rete collega singoli e gruppi. Crea alleanza. Produce mobilitazione. Organizza aggressioni contro giovani ebrei. Incentiva la profanazione di cimiteri ebraici.
LA RETE DELLA VERGOGNA
Oltre tremila siti antisemiti. Una rete della vergogna che accompagna la formazione di gruppi e movimenti dichiaratamente antisemiti: sono almeno 850 quelli censiti dal Centro Wiesenthal di Gerusalemme. Questi siti, sottolinea il direttore del Centro Simon Wiesenthal di New York, Marc Weitzman,sono utilizzati non più soltanto per la propaganda ma anche «come sistema di reclutamento, praticamente privo di rischi, quasi a costo zero e anonimo». Considerazioni, e cifre, che ritroviamo in un recente rapporto realizzato dal network Raxen su input dell’Eumc (Centro Europeo di Monitoraggio del Razzismo e della Xenofobia).
Secondo gli esperti, a partire dal 2000, sul web ha preso piede una rete di comunicazione tra estrema desta e fondamentalismo islamico. Negli oltre 3mila siti dedicati a contenuti antisemiti, a cui si legano chat e forum, al centro viene posta la negazione dell’Olocausto «come una componente dell’agitazione antisemita». «Gli estremisti di destra si legge nel rapporto hanno scoperto come condurre la loro guerra via Internet, come usare la “elecronic warfare”. Simili tattiche hanno indotto le autorità di alcuni Stati a mettere in guardia contro le derive terroristiche dello spettro dell’estrema destra. In più la potenziale violenza è coltivata dai peggior tipi di giochi elettronici, diventati arma politica vera e propria utilizzata abilmente dai neo-nazi. Questi siti hanno un pubblico fedele e e ampio, costituito non di semplici curiosi, ma di persone che sull'odio hanno costruito il proprio rapporto col mondo e usano Internet per ritrovarsi, scambiarsi informazioni, infiammarsi reciprocamente, creare steccati, alzare barriere, scavare fossati.
NAZI IN ISRAELE
Zalman Gilichinsky, immigrato in Israele dalla Moldovia nel 1989, si occupa da diciannove anni di monitorare il fenomeno dell’antisemitismo in Israele. Sul suo sito internet, pogrom. org.il, ha denunciato a giornali e associazioni la diffusione di decine di fogli a sfondo neonazista in Israele. Inutilmente: i media israeliani lo considerano un argomento tabù. Un’eccezione si ebbe nel 2007, quando la polizia scoprì una cellula neonazista composta da almeno otto immigrati provenienti da Paesi ex sovietici, tutti tra i 17 e i 19 anni, accusati di aver organizzato attacchi contro ebrei ortodossi, stranieri, punk, gay e tossicodipendenti, oltre che sfregiato una sinagoga di Tel Aviv.
Il neonazismo sul web non conosce confini: siti russi, francesi, spagnoli, svedesi, tedeschi, americani, in un crescendo di farneticazioni antisemite e deliri razzisti, celebrazioni di Hitler e esaltazione della razza ariana. Negli Usa sono oltre 400 i siti che si dicono apertamente nazisti, hitleriani o appartenenti al Ku Kluz Klan. Gli «hate sites» ( i siti dell’odio) sono mobili, pronti ad aggirare restrizioni legislative. Sono novanta i gruppi di estrema destra tedeschi che hanno trasferito loro siti Internet dai server della Germania a quelli degli Stati Uniti. Negli Usa, la legge sulla libertà di espressione rende più difficile la chiusura delle pagine web.❖

Repubblica 20.12.09
Copenhagen. Il risultato premia la linea della "non ingerenza" voluta da Pechino e New Delhi. Emarginata l’Europa
Il trionfo di "Cindia" sull´America "L'Occidente non può dettare le regole"
di Federico Rampini

COPENAGHEN - Le ragioni della vittoria politica di "Cindia" al vertice sul cambiamento climatico? Il responsabile Onu per l´ambiente Yvo de Boer le riassume così: «In India 400 milioni di persone vivono senza accesso alla corrente elettrica. Come gli dici di spegnere una lampadina che non hanno?» È ciò che il premier indiano Manmohan Singh aveva in mente quando ha detto: «Ogni accordo sul clima deve considerare i bisogni di crescita delle nazioni in via di sviluppo». Se a qualcosa è servito Copenaghen, forse è proprio questo. Mai più l´Occidente potrà dettare tempi e regole per far fronte all´emergenza ambientale, ignorando che il saccheggio dell´ambiente visto dai paesi emergenti è anzitutto un lascito nostro.
«Tutto il mondo dovrebbe essere felice per i risultati del vertice», ha detto raggiante Xie Zhenhua, il capodelegazione cinese, nel riprendere l´aereo per Pechino. La sua esultanza non lasciava dubbi sull´esito. «Noi cinesi - ha aggiunto Xie - abbiamo preservato il nostro interesse nazionale e la nostra sovranità». Non è proprio così che Barack Obama ha cercato di vendere agli americani l´accordo finale. Un punto qualificante dell´intesa raggiunta in extremis è la concessione cinese che gli impegni a ridurre le emissioni di CO2 andranno verificati nella trasparenza, con un monitoraggio internazionale. Ma quanto la Cina sarà davvero aperta a forme di ispezioni straniere, alla fine lo decideranno a Pechino, valutando di volta in volta i propri interessi.
Se ci fosse bisogno di una conferma del successo politico di Pechino e Delhi, l´ha data un autorevole consigliere di Obama rivelando i retroscena del vertice ai giornalisti di ritorno a Washington sull´Air Force One. Le ultime ore convulse di trattative per salvare Copenaghen dal fiasco totale, Obama le ha passate a rincorrere il premier cinese («Datemi il primo ministro Wen, dov´è finito Wen?»). Wen si nascondeva in albergo. E a negoziare con il presidente degli Stati Uniti mandava un sottosegretario agli Esteri. In quanto a Singh, la delegazione Usa è stata presa dal panico quando a vertice ancora aperto è giunto l´annuncio: «Gli indiani sono già all´aeroporto, hanno deciso che non serve rimanere e stanno imbarcando sull´aereo di Stato per tornare a casa». Alla fine Obama ha dovuto, letteralmente, imbucarsi a una riunione in cui nessuno lo aveva invitato: un meeting tra i dirigenti di Cina, India, Brasile e Sudafrica, cioè il nuovo gruppo "Basic". Obama aveva capito che se voleva salvare una parvenza di risultato al vertice, le cose si decidevano lì dentro.
È uno choc per due aree del mondo che avrebbero potuto contare molto di più: l´Unione europea e il Giappone, spesso all´avanguardia nelle normative sull´ambiente, ma ininfluenti a Copenaghen. Mai Obama ha cercato una sponda con loro. Dando prova di senso tattico, il presidente americano ha "marcato" solo i giocatori che contavano. Perché la chiave dei nuovi equilibri politici mondiali, è nella capacità di Cina e India di giocare su due sponde. Sono superpotenze economiche in competizione con l´Occidente (anche nella quantità di gas carbonici). Al tempo stesso conservano la capacità di rappresentare paesi emergenti ben più poveri di loro.
Un esempio è proprio la difesa che la Repubblica Popolare ha fatto della propria sovranità nazionale, contro la "trasparenza". Perché questa campagna cinese ha trovato comprensione in molti paesi dell´Asia, dell´Africa e dell´America latina? In parte perché si tratta di governi-clienti di Pechino, avvinghiati in robuste reti di relazioni commerciali, finanziarie, militari. Ma c´è una ragione più nobile, l´ha spiegata il presidente brasiliano Lula da Silva: «L´Occidente deve stare attento alle interferenze. Quando i cinesi si battono contro le ingerenze, ad altri paesi in via di sviluppo vengono in mente i tempi in cui mandavate i vostri diktat attraverso il Fondo monetario e la Banca mondiale».
Mark Levine, scienziato ambientalista al Lawrence Berkeley National Laboratory, che in qualità di esperto ha accompagnato Barack Obama sia in Cina che a Copenaghen, è convinto che i leader di Pechino non sottovalutino affatto i danni del cambiamento climatico: «Stanno investendo molto nelle energie alternative. E sull´auto elettrica, vogliono arrivare prima loro di noi. Ma al tempo stesso vogliono affermare il principio che su questo terreno non tocca a noi dare lezioni».

Repubblica 20.12.09
Mobilitazione dei radicali a tre anni dalla morte di Welby
"Una petizione per legalizzare eutanasia e testamento biologico"
di Paola Coppola

ROMA - Una petizione per legalizzare l´eutanasia e il testamento biologico. A tre anni dalla morte di Piergiorgio Welby, il 20 dicembre del 2006, i Radicali si mobilitano per raccogliere le firme nelle piazze. «Chiediamo che nelle scelte relative alla fine della vita sia rispettato il diritto all´autodeterminazione di ciascun individuo», si legge nel testo al parlamento. E sul testamento biologico: «Chiediamo il riconoscimento legale del testamento biologico attraverso il quale le scelte individuali siano obbligatoriamente rispettate e che includa la possibilità di rinunciare alla nutrizione e idratazione artificiale». Questo il senso della mobilitazione di tre giorni, che si chiude oggi, nell´anniversario della scomparsa di Welby dopo una lunga lotta per il diritto a scegliere sul fine vita. «La battaglia di mio marito non è andata perduta», racconta Mina Welby «perché tanti vengono a firmare anche tra i giovani perché vogliono scegliere cure e terapie e credono che non sia giusto vivere in una condizione di non vita». I tavoli organizzati nelle piazze informano anche su come fare per aprire a livello comunale i registri telematici a cui affidare le dichiarazioni anticipate di trattamenti sanitari prima dell´approvazione della legge nazionale. A Genova già lo hanno fatto, in altri comuni i cittadini si stanno mobilitando con una petizione. L´Associazione Luca Coscioni, insieme a "A buon diritto" resta un punto di riferimento per firmare testamento biologico. «Ne abbiamo già oltre 3000, ma i testamenti biologici compilati dagli italiani potrebbero essere oltre 10mila: se il loro diritto venisse negato dalla legge del parlamento il caso potrebbe arrivare davanti alla Corte Costituzionale», precisa Marco Cappato, segretario dell´associazione Luca Coscioni.

Corriere della Sera 20.12.09
La sentenza Da Tiger Woods alla Lewinsky: quando uno dei due rompe il silenzio
L’amore clandestino difeso dalla Cassazione
Minacciò di rivelare la storia: condannato per estorsione
di Maria Luisa Agnese

E adesso i mariti (e le mo­gli) che pensano di farla fran­ca negando, negando sempre, possono esultare. Perché l’amante che vuole uscire dal­la clandestinità potrebbe ri­schiare il reato di estorsione. Insomma l’outing non concor­dato potrebbe costare molto caro all’amante negletto. Al­meno così ha deliberato la Cas­sazione esaminando il caso di Sergio T, 33 anni, da Nola, che aveva minacciato di rivelare al­la madre dell’amante la loro relazione segreta. Denunciato e condannato, aveva fatto ri­corso, i giudici supremi però lo hanno respinto ribadendo gli estremi del reato «quando la minaccia sia fatta con lo sco­po di coartare la volontà altrui per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia».

Ma, per tanti consorti che possono rilassarsi, quanti amanti disperati: per esempio che fine farebbero alla luce di questa sentenza tutte le “fidanzate” di Tiger Woods (fra cui una cameriera di Los Angeles bombardata da 300 sms) che in un mese sono esplose con le loro rivelazioni mandando in crisi un matri­monio collaudato, un campio­ne miliardario e il business che gli ruotava intorno.

Storie non inusuali in un mondo che insegue il quarto d’ora di celebrità. Che dire del­le due bellezze che a distanza di pochi giorni, nel 2004, ten­tarono di mandare in frantu­mi – senza successo - il matri­monio di un altro campione sportivo come David Be­ckham? O del tentativo itali­co, l’anno seguente, operato ai danni della coppia del desi­derio nostrano Totti-Blasi da Flavia Vento che, proprio quando Ilary era molto incin­ta e alla vigilia del matrimo­nio, raccontò a Gente di una notte d’amore con lui? O della rincorsa alle rivelazioni segre­te da parte di due maschietti, Rossano Rubicondi e Antonio Tequila, sulla multimiliarda­ria Ivana Trump, che, dopo aver ballato per qualche estate con loro in quel di Saint Tro­pez, si è ricordata di essere una signora e li fatti diffidare dai suoi avvocati dall’usare an­cora il suo nome o la sua im­magine.

Ma l’alchimia delicata e diffi­cile (sentimenti, passioni, inte­ressi) che si nasconde dietro una relazione clandestina si può liquidare davvero alla vo­ce estorsione? C’è solo questo dietro alla voglia disperata di possesso e di riconoscimento di persone negate in un rap­porto mai reso pubblico? Nelle loro soluzioni estreme film co­me Tutta la vita davanti e At­trazione fatale ci raccontano anche della rabbia e della fru­strazione di essere cancellati: che altro volevano Sabrina Fe­rilli e Glenn Close se non riba­dire il disperato bisogno di es­serci, di essere riconosciute?

Viene in mente il volto di­sperato e stranito di una don­na apparentemente fortunata come la principessa Di­ana che, incurante di tutti i suoi privilegi, era andata in televisione a mettere in piazza addirit­tura un doppio tradimen­to: quello del marito e il suo; ma solo per far sapere al mondo della sua umilia­zione per non essere in fon­do mai stata amata, al di là di un sontuoso e celebrato matrimonio. Anche dietro al volto della giovane Monica Lewinsky, che in tante intervi­ste raccontava i retroscena più gustosi delle avance del Presidente, non si intravede­vano soltanto giochi politici più grossi di lei e una giovani­le febbre da protagonismo, ma la lusinga che suscitava in una ragazza fresca ma non par­ticolarmente attraente il fatto di essere entrata per un atti­mo nel cono di luce di un po­tente della terra.

Lo stesso bisogno che forse ha spinto Patrizia Caselli a re­galare a Bruno Vespa, nel li­bro L’amore e il potere , una ri­velazione postuma, per far sa­pere a tutti quello di cui fino ad allora erano a conoscenza solo le persone che erano an­date in pellegrinaggio ad Ham­mamet da Bettino Craxi: che era stata lei l’ultimo amore se­greto del Cinghialone.

Corriere della Sera 20.12.09
Quella violenza alla libertà di decidere
di Cesare Rimini

Una storia d’amore, una relazione, una cosa che comunque il protagonista vuole mantenere inti­ma e segreta può diventare lo strumento, il mezzo per commettere il reato gravissimo di estorsione.

E l’affermazione della suprema corte è del tutto condivisibile perché l’estorsione, punita con la re­clusione da 5 a 10 anni, è il delitto che commette «chi con violenza o minaccia, costringendo talu­no a fare od omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Per­ché il reato sussista non è necessario che la minac­cia sia in sé un fatto illecito, è il fine che lo qualifi­ca. Extorquere, in latino, è ottenere per via di mi­nacce o lusinghe.

Insomma, il caso di scuola è questo: «Tu mi hai rubato una cosa, io ti denuncio se non mi vendi il tuo cavallo veloce». È chiaro che la minaccia di de­nunciare il furto subìto è perfettamente lecita, ma diventa illecita se viene utilizzata per costringere e procurarsi un vantaggio. Estorsione è la violazio­ne della libertà di decidere.