giovedì 24 dicembre 2009

l’Unità 24.12.09
«Una campagna di calunnie per aggirare il congresso e spaccare il nostro partito»
La polemica sull’inciucio «Le mie dichiarazioni stravolte per un intento politico» Il dibattito sul dialogo «Se continuiamo così la destra potrà dire di volere le riforme senza farle»
intervista di Giovanni Maria Bellu

L’uso delle parole
«Elogio dell’inciucio» è un
titolo falso. Se la cronista
non avesse usato quel
termine non ci sarebbe
stata questa polemica
I giornali della destra
I complimenti a D’Alema?
Atteggiamento
strumentale favorito dalla
drammaticità della nostra
discussione interna
Leggi ad personam
Berlusconi ha i voti per
approvarsele. Ma
una cosa è certa: noi
del Partito Democratico
voteremo contro
Accettare il confronto
Veltroni dopo le elezioni
ha parlato di comune
responsabilità sulle
riforme. Ha cambiato idea
dopo il congresso?
Gli azionisti
Sì, in quell’intervento ho
fatto un errore: ho
accostato l’antipolitica
all’azionismo. Che invece
era una cosa seria

È un Massimo D’Alema piuttosto irritato quello che incontriamo nel suo ufficio della «Fondazione Italianieuropei» in
piazza Farnese. Tiene in mano una copia di Repubblica di qualche giorno fa col titolo: «D’Alema elogia l’inciucio». È di questo che vuole parlare. Non del suo prossimo futuro. Dà una risposta formale alla ovvia domanda sulla sua candidatura al Copasir, il comitato che controlla i servizi segreti, puntualizzando che si tratta dell’unica commissione parlamentare la cui presidenza spetta per legge all’opposizione e che, dunque, dopo le dimissioni di Francesco Rutelli l’avvicendamento dovrà avvenire in quell’ambito. Poi saranno altri i presidenti dei gruppi, il segretario a decidere: «Se si riterrà che possa svolgere quel ruolo, e credo di essere in grado, bene. Se no amici come prima. Ho sempre considerato con un certo distacco il tema delle cariche».
Quel titolo sull’inciucio è la causa immediata di un’irritazione che ha origini lontane e una storia lunga una quindicina d’anni. D’Alema avverte nitidamente che all’interno della sinistra (una parte minoritaria nella sinistra e “minoritarissima nel paese”, dice) c’è chi attribuisce a lui tutti i mali. Glielo confermiamo: gli abbiamo portato una cartella che raccoglie una selezione dei messaggi più antidalemiani giunti ai blog de l’Unità. Non è necessario aprirla. D’Alema sa bene di chi e di che cosa parliamo. E questo, più che irritarlo, lo fa infuriare. Non solo perché si tratta di accuse che lo feriscono. E nemmeno soltanto perché dice «portano la sinistra in un vicolo cieco e Berlusconi (se Scapagnini troverà la medicina) al governo fino all’anno Tremila». No, c’è dell’altro. Un sospetto pesante: che sia in atto un tentativo di spaccare il Partito democratico. Un tentativo che, dice, passa anche attraverso i mezzi d’informazione.
«Ecco comincia indicando il titolo sull’elogio dell’ inciucio questo è tecnicamente un falso. Non ho mai elogiato l’inciucio. Ho anche la registrazione di quel dibattito e chi vuole può verificare. È successo che Chiara Geloni, la giornalista che mi intervistava, ha usato quel termine. Ha domandato: “Come ci si sente a essere considerati erede della tradizionale del Pci e anche traditore di quella storia, cioè quello che fa gli inciuci?” E io ho risposto che i comunisti italiani, a partire da Togliatti, hanno sempre dovuto fare i conti con un’accusa del genere. Poi ho proseguito con degli esempi. Tutto qua. È del tutto evidente che se la giornalista non avesse usato la parola inciucio tutta questa polemica non sarebbe mai nata».
Invece è nata. Forse la parola “inciucio” ha ormai una valenza così negativa che è sempre meglio tenersene alla larga.
«Non è questo il punto. La questione è che io sono stato chiarissimo. Un
titolo come questo, accompagnato alle considerazioni sulla riforma della giustizia, è falso. Ed è un modo di informare che ha l’effetto di avvelenare il dibattito politico. Non da oggi, purtroppo...»
Ha parlato di "campagna", a cosa si riferisce? «A volte si ha l’impressione che più che di informare si abbia l’obiettivo di condizionare il nostro partito. Forse non è piaciuto l’esito del congresso. Forse qualcuno pensa che si debba scardinare la maggioranza che lo ha vinto, isolando D’Alema e condizionando Bersani. Sono intenti politici. È incredibile perseguirli distorcendo le informazioni e lanciando accuse calunniose e indimostrate. Quali sarebbero, in tutti questi anni, gli accordi sottobanco che avremmo fatto con Berlusconi? Sarei curioso di sentire l’elenco».
Non esiste la lista attuale. Ma esiste una lista relativa ai quindici anni. All’inizio c’è il famoso discorso del ’94 nel quale Violante parlò di una “garanzia” data a Berlusconi sulle sue tv. Poi la Bicamerale...
«Quanto al primo punto la domanda dovrebbe essere fatta a Violante, ovviamente. Nei fatti sono l’unico che ha cercato di far approvare una legge efficace sul conflitto di interessi quando era presidente del Consiglio, come ha ricordato il senatore Passigli in un suo libro. L’unico argine, per quanto modesto, all’uso politico delle tv da parte di Berlusconi durante le campagne elettorali è la par condicio, che fu proposta da me quando ero al governo. E ricordo bene che allora c’erano alcuni antiberlusconiani militanti che si opposero perché, dicevano, si trattava di una limitazione alla libertà di espressione...»
In questi giorni Libero e il Giornale, i quotidiani più violentemente berlusconiani, sono pieni di elogi per lei. Che ne pensa?
«Sono stato uno dei principali bersagli di quei giornali e, a volte, lo ero contemporaneamente dei giornali schierati sul fronte opposto. È evidente che c’è un atteggiamento strumentale favorito dalle drammaticità della nostra discussione interna. In questo modo, la destra cerca di guadagnare il vantaggio del presentarsi come la forza che vuole fare le riforme, senza neppure rischiare di doverle fare davvero. Comunque non sono interessato a nessuna strumentalizzazione e non intendo essere il referente di alcuno. Chi vuole discutere serenamente col nostro partito deve discutere col segretario Bersani e non cercarsi gli interlocutori in modo furbesco e strumentale».
A sinistra c’è chi teme la trappola. Che, cioè, questa disponibilità della destra al dialogo sia finta. «Non so se la disponibilità della destra sia vera o sia finta. Il modo migliore per appurarlo è lanciare la sfida delle riforme e aprire il confronto nel merito. Questa è la politica di una forza riformista che vuole essere utile al paese.
Se la destra si tirerà indietro pagherà un prezzo. Mi rendo perfettamente conto che Berlusconi non è un avversario politico normale. È stato infatti difficilissimo prendergli le misure, ma noi non possiamo cadere vittime della sindrome secondo cui di fronte a Berlusconi non è possibile fare politica. Anche perché, in questo modo, favoriamo soltanto i suoi successi. Prendiamo la vicenda della Bicamerale. Berlusconi fece fallire le riforme che sarebbero state utili al paese. Una parte della sinistra, facendogli così un grande favore, anziché criticare lui per essere stato causa di questo fallimento, ha attaccato me per averci provato».
I timorosi della trappola dicono che Berlusconi vuole solo quello di salvarsi dai suoi guai giudiziari. «Guardi che se Berlusconi vuole fare una leggina ad personam ha la maggioranza. Noi abbiamo detto con chiarezza che voteremo contro. Altre sono le riforme che riteniamo necessarie per l’Italia: una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere i loro rappresentanti, una riforma che renda più forte il Parlamento riducendo il numero di deputati e senatori e che segni il superamento in senso federalista del bicameralismo perfetto. E altre ancora contenute nella cosiddetta “bozza Violante”. Andiamo al merito senza agitare fantasmi». C’è chi dà per scontato che con Berlusconi sia inutile dialogare. I nostri blog sono pieni di messaggi così. «Noi non dobbiamo fare nessun particolare dialogo. Siamo in Parlamento e ci stiamo per affrontare i problemi del paese, confrontandoci con quanti dell’altro schieramento sono stati eletti dai cittadini. Sinceramente non conosco altro modo di fare politica per una grande forza democratica e riformista. Questa è la politica che il congresso del nostro partito ha approvato».
Ci sono tanti modi di fare politica. Per esempio quello che si è visto il giorno della manifestazione indetta dai blogger. Non teme di perdere questo pezzo dell’opposizione? «Non voglio perdere nessuno, ma la linea politica del nostro partito non può essere decisa dai blogger che indicono le manifestazioni. Ho massimo rispetto per loro e per le manifestazioni che organizzano. Ne capisco le ragioni, perché anch’io non ho nessuna simpatia per Berlusconi. Ma i partiti hanno un ruolo diverso».
Scusi, ma che differenza c’è tra dirsi “antiberlusconiani” e dire “non mi piace Berlusconi?”. Perché non dire che si può essere antiberlusconiani e volere le riforme?
«Non ci si qualifica per essere “anti” qualcosa. Noi siamo “per”. Per la difesa dei diritti di libertà e dei diritti sociali. Vogliamo affermare le nostre idee e i nostri valori. Non si può riassumere tutto questo nell’essere contro qualcuno. Anche perché il bipolarismo continuerà a esserci anche dopo la fine dell’era Berlusconi. Questa impostazione che ruota in modo ossessivo attorno al leader della maggioranza è subalterna. In effetti ci sono due forme di subalternità: la demonizzazione e la divinizzazione. Veltroni ha fatto la campagna elettorale all’insegna della non demonizzazione di Berlusconi, fino a non nominarlo, e all’indomani delle elezioni ha sottolineato la comune responsabilità con il presidente del Consiglio in materia di riforme costituzionali. Sarebbe strano se avesse cambiato idea solo perché Bersani è diventato segretario del partito».
A proposito di opposizione divisa. È dai pasdaran berlusconiani che arriva al Pd la sollecitazione a rompere con Di Pietro come condizione per rasserenare il clima politico.
«Con Di Pietro siamo alleati, stiamo andando assieme alle regionali. Con Di Pietro, e in qualche situazione, con l’Udc e con altri. A me interessa il merito delle riforme. E credo di essere tra quelli che hanno lavorato di più con proposte, ricerche, convegni, documenti...»
Da dove ritiene che si debba ripartire?
«Insieme alla “bozza Violante”, si dovrebbe avere il coraggio di proporre la riforma elettorale. Sono convinto che la soluzione migliore sia un sistema di tipo tedesco che ci consenta di uscire dalla logica dei blocchi elettorali e restituisca ai partiti il loro profilo. Non vogliamo più partiti che sono degli insiemi e dove l’unico tratto di riconoscibilità è nel capo. Questa è l’esaltazione della politica plebiscitaria perché alla fine si vota tra due capi. Si deve tornare a una legge dove gli elettori possono votare per una persona e per un partito. Questa forma plebiscitaria dove si elegge nello stesso momento il presidente del Consiglio e il Parlamento non esiste in alcuna parte del mondo».
Ma il Pd reggerebbe a una legge elettorale alla tedesca? «E proprio un’idea povera del Pd pensare che si tratti di un agglomerato tenuto insieme dalla convenienza elettorale. Io non lo penso. Anzi, credo che si tratti di una forza politica che nasce dalla storia dell’Ulivo, che ha ragioni profonde, non transitorie ed effimere».
Cosa direbbe a un giovane blogger terrorizzato dall’inciucio? «Non penso che il blogger di cui lei parla sia tanto giovane. Credo sia un po’ più agée. Quelli giovani si preoccupano piuttosto di quanto si è fatto col clima a Copenhagen, non di queste storie...» Allora cosa direbbe al blogger agée. Insomma, presidente d’Alema, torniamo a quelli di cui si parlava all’inizio. Quelli che a sinistra diffidano, che l’accusano di essere all’origine di tutti i mali. Pensa che sia possibile recuperare un rapporto, spiegare, chiarire?
«Intanto sarebbe utile studiare e capire meglio quello che è accaduto davvero in questi quindici anni. E poi gli direi di considerare con rispetto quell’altra parte della sinistra che non la pensa come lui». Ma non c’è un punto da cui ricominciare?
«Cominciamo a dire la verità. E ripartiamo dal rispetto reciproco. La destra in questo riesce meglio di noi: discutono, ma sono ben attenti a non demolirsi tra loro. La demonizzazione sistematica della propria classe dirigente, che per un partito è un patrimonio, è un esercizio autolesionistico. Se continuiamo a demolirla restano solo i dirigenti dell’altra parte». Ripeterebbe le frasi che hanno scatenato le ultime polemiche?
«Sì, con la speranza che vengano riportate in modo corretto. Con una sola esclusione. In quel discorso ho fatto un errore, e devo riconoscerlo. Ho accostato la brutalità dell’antipolitica all’azionismo. Si è trattato di un accostamento improprio e frettoloso. L’azionismo era una cosa seria e mi sembra sbagliato accostarlo a certi demagoghi di oggi».❖

l’Unità 24.12.09
Carceri, record nero 2009
171 le vittime, 70 suicidi Ieri gli ultimi due casi
di Davide Madeddu

Nelle carceri italiane sempre più sovraffollate e inadeguate, si continua a morire. Ieri altri due detenuti si sono tolti la vita. Un ex assessore di Nove, impiccato nel carcere di Vicenza, e un collaboratore di giustizia a Rebibbia.

Natale da galera. Che si tratti di bambini, donne con prole o “matti che dovrebbero stare altrove” non fa differenza. Le feste che i 66mila detenuti trascorreranno nelle carceri d’Italia saranno all’insegna della disperazione. Dietro le sbarre, infatti, cresce il numero dei detenuti, aumentano i disagi, si riducono i servizi e cresce il numero dei morti. Anche a Natale. Il triste bollettino che quotidianamente viene compilato dal centro studi di Ristretti Orizzonti, diretto da Ornella Favero, parla di 171 morti (70 suicidi) dietro le sbarre dall’inizio dell’anno: «il dato più alto e triste nella storia delle carceri». Gli ultimi due sono di ieri. Il primo al carcere di Vicenza dove Plinio Toniolo, 55 anni, artigiano, ex assessore del Comune di Nove (Vicenza) si è impiccato con un lenzuolo; il secondo, Ciro Giovanni Spirito, vicino al clan Mazzarella, collaboratore di giustizia dal 2006, si è tolto la vita nel carcere di Rebibbia.
SOVRAFFOLLAMENTO: SI DORME A TURNO
A fare i conti con le storie di «ordinaria disperazione» che si registrano dietro le sbarre ci sono poi gli operatori e i volontari. L’esercito invisibile che quotidianamente si impegna per dare un sostegno o, molto più semplicemente voce, a chi cerca di pagare il
debito con la società in una cella angusta. «Che la situazione sia ormai drammatica e allucinante è chiarissimo ed eloquente. E questo, per detenuti e operatori sarà un Natale all’insegna della disperazione denuncia Riccardo Arena, avvocato e conduttore di Radiocarcere su Radio Radicale ormai abbiamo superato anche il limite della cosiddetta sopportazione umana. La gente è costretta a fare i turni per poter al massimo dormire un’ora». Cita il caso di Padova dove c’è stata una rivolta dei detenuti. «Nelle celle di 8 metri quadri i letti sono a tre piani, e i detenuti dormono a turno perché non sanno dove mettersi dice se questo non è un caso che supera ogni limite tollerabile. Senza dimenticare poi quelli che in carcere non dovrebbero metterci piede ma dovrebbero stare altrove»
I BAMBINI DENTRO
A fare i conti con il sovraffollamento, ma anche i disagi che un’eccessiva presenza di detenuti comporta sono anche i bambini. Gli 80 innocenti che trascorrono i primi 3 anni di vita all’interno delle celle e gli altri 25mila che i giorni dei colloqui varcano le cancellate delle prigioni per salutare i parenti detenuti. «Il problema è sempre lo stesso, i bambini in carcere non dovrebbero starci e invece ci stanno dice Lillo di Mauro della Consulta penitenziaria di Roma con il risultato che i piccolissimi trascorrono i mille giorni più importanti e belli della loro esistenza dietro le sbarre delle carceri». Non sono gli unici però. «A fare i conti con le guardie, le perquisizioni e i controlli ci sono anche i 25mila bambini e bambine che entrano in carcere e vanno a trovare un parente detenuto».❖

l’Unità 24.12.09
Circondata la moschea a Isfahan, violenze sulla folla riunita nel nome di Montazeri: 50 arresti
La condanna di Khatami «Errore considerare traditore chi protesta. Rischiamo la tirannia»
Teheran, il regime minaccia: «Stop ai cortei o scontro duro»
di Marina Mastroluca

Polizia e basiji attaccano la folla riunita ad Isfahan per una cerimonia in memoria di Montazeri. Cinquanta arresti, molti feriti. Scontri anche a Najafabad. Il capo della polizia promette la massima durezza.

Il tam tam del web
I siti dell’opposizione: «Attaccano la gente con bastoni, pietre e catene»

Terzo giorno di lutto per l’ayatollah dissidente Montazeri e la protesta torna ad accendere le strade dell’Iran. Scontri, arresti e violenze sui manifestanti, polizia e basiji si sono accaniti sulla folla che ad Isfahan cercava di radunarsi intor-
no alla moschea di Sayed, dove avrebbe dovuto svolgersi una cerimonia di preghiera in memoria di Montazeri. L’edificio è stato circondato, la gente allontanata brutalmente con manganelli e gas lacrimogeni: ci sarebbero molti feriti e una cinquantina di arresti, fermati anche quattro giornalisti. Scontri e violenze anche nella città natale dell’ayatollah scomparso, Najafabad, dove già nella notte ci sarebbero stati incidenti proseguiti poi nella giornata di ieri. «La situazione in città è tesa. La gente scandisce slogan contro il governo».
Notizie frammentarie che arrivano attraverso i siti internet dell’op-
posizione. Impossibile verificare, in Iran non sono ammessi reporter stranieri. Ma del clima che si respira in questi giorni nel Paese ne dà una conferma indiretta il capo della polizia Esmail Ahmadi Moqadam, che ieri ha messo in guardia l’opposizione. «Ponete fine alle manifestazioni o ci sarà un confronto durissimo».
Ad Isfahan poliziotti in borghese e basiji hanno circondato anche la casa dell’ayatollah riformista Jalaledin Taheri, che aveva invitato la gente a partecipare alla preghiera per Montazeri. «Ho provato a raggiungere la moschea da sei strade diverse ma erano tutte bloccate», ha detto l’ayatollah, citato dal sito Parlemannews. «I manifestanti gridavano slogan contro le massime autorità dello Stato. Li hanno colpiti, inclusi donne e bambini, con bastoni, catene e pietre», riferisce un altro sito riformista, Rah-e-Sabz.
L’ex presidente moderato Khatami ha condannato le violenze sui manifestanti. «Chiamare traditore chiunque protesti, è una grave deviazione e dovrebbe essere corretta ha detto -. Khomeini credeva che la repubblica islamica fosse basata su due pilastri, libertà e indipendenza. Se questi pilastri vacillano... avremo di nuovo la tirannia». Il livello dello scontro è altissimo. Il leader dell’opposizione Mousavi è stato rimosso dall’ultimo incarico pubblico che gli era rimasto, quello di presidente dell’Accademia delle Arti. Dopo 11 anni.
CONTROMANIFESTAZIONE
Già lunedì scorso c’erano stati incidenti a Qom, in occasione dei funerali di Montazeri. Decine di migliaia di persone avevano invaso la città santa, scandendo slogan contro il governo, in quella che è sembrata una nuova fiammata dell’opposizione, il ritorno in piazza dell’«onda verde» dopo le proteste seguite alle elezioni presidenziali -truffa del giugno scorso. Martedì e di nuovo ieri a Qom si è radunata invece una contro-manifestazione pro-governativa, per condannare «le profanazioni» commesse durante i funerali dell’ayatollah dissidente. «È l’ultima volta che accade una cosa simile a Qom. Questo non è posto per gli ipocriti», ha detto il grande ayatollah Hamedani parlando alla folla.❖

l’Unità 24.12.09
«Radiotre contro il silenzio sociale» Sinibaldi rinnova la rete

Nel palinsesto
Variazioni e programmi nuovi come «Tutta la città ne parla»

«Radiotre è nata per incrinare un certo elemento di diffidenza verso la cultura, come sfida al senso e al gusto comune, per creare un ambiente di confronto civile». Lo afferma Marino Sinibaldi, neodirettore di rete, dell’ottima rete aggiungeremmo, parlando del suo progetto che si lega al passato (dalle origini con Gadda, Mortari e altri, sino alla direzione di Enzo Forcella), «a qualcosa che ha aiutato a crescere il paese» e cerca un nuovo linguaggio per il palinsesto al via l’11 gennaio. «Il palinsesto è l’ultima cosa, è come giudicare una persona dal suo scheletro, l’importante è il modo, il linguaggio scelto continua e se gli ascoltatori affermano sempre che la radio tiene loro compagnia, io lo vedo come il mezzo dell'accompagnamento, che offre la parola della radio contro il silenzio, non solo personale, ma quello sociale».
Accanto a trasmissioni solide, amate, da Radio3 suite o Fahrenheit, parte dalle sei di mattina Qui comincia..., «che apre alla narrazione del mondo di quel giorno», si passa per la classica lettura e discussione sui giornali di Prima pagina da cui prende spunto il nuovo Tutta la città ne parla. «Non partiamo certo da Palazzo Grazioli, ma almeno da Copenaghen, dal mondo che oggi è il nostro cortile continua Sinibaldi cui poi ovviamente si arriva, perchè l'ascoltatore spesso riporta tutto a un piano più vicino a lui». Seguirà Chiodo fisso, dieci minuti al giorno su uno stesso tema per un mese (si inizia con l'Africa, poi ci sarà il Lavoro o la Bicicletta) e in tarda serata a Tre soldi farà rivivere il radiodocumentario partendo da uno speciale sui campi profughi in Libia.
La musica, Sinibaldi sottolinea, su Radio3 non ha meno peso della parola e promette con le «musiche inaudite, nuove, di rottura» in Alza il volume, passando per Sei gradi per ogni genere di musica arrivando alle eccellenti Radio3suite e Battiti (va dopo mezzanotte) che alla festa annuale dell’emittente a Cervia quest'anno gestirà una discoteca. In più omaggi d’artista: a Natale Shel Shapiro canterà E la pioggia che va, e la pittrice astratta Carla Accardi donerà un suo disegno.❖

Repubblica “24.12.09
Anniversari/ Nel 2010 ricorrono i sessant´anni di Radiotre
Quel che resta del pubblico colto
Come è cambiata la ricezione di un mezzo che ha avuto tra i suoi protagonisti Gadda e Forcella. Ecco il programma del neo direttore Marino Sinibaldi
di Simonetta Fiori

Preparandosi al sessantesimo compleanno, Radiotre si rinnova senza rinunciare ai propri blasoni e senza cancellare una tradizione culturale che è stata importante nella costruzione civile italiana. Non è certo facile la sfida raccolta dal neo direttore Marino Sinibaldi, voce storica di Fahrenheit, nel guidare la rete intellettuale per eccellenza in un paese spaesato, sempre meno sensibile ai valori culturali e sempre più segnato dai consumi di massa. Qualcosa però si può fare. Si può tentare di cambiare il linguaggio. Meno autoreferenziale, libero da civettamenti con il pubblico colto. «Bisogna abolire la formula "come tutti sanno"», dice Sinibaldi nel presentare la nuova filosofia di Radiotre. Mai dare niente per scontato. Se il celebre manuale di Gadda Norme per la redazione di un testo radiofonico andava bene per una stagione ormai lontana, ora è necessario trovare altri codici.
La sfida al gusto comune - sostiene Sinibaldi - è nella vocazione di Radiotre. Oggi, in "un paese rattrappito dalla paura del diverso" e "immerso in un assordante silenzio delle idee", la nuova sfida consiste nel creare una "zona di comunicazione civile" che metta a confronto opinioni diverse. Le novità del palinsesto vanno in questa direzione. Da Tutta la città ne parla a Chiodo fisso, da Zazà a Il Cantiere - un programma che riceve i lavori confezionati da corsi universitari e da gruppi giovanili - il segnale lanciato dalla nuova Radiotre è di sempre maggiore apertura a una comunità pensante, dotata di qualità e competenze superiori a quelle mostrate dal ceto politico e anche giornalistico. «Non ci saranno politici in tutta la giornata di Radiotre», è l´impegno di Sinibaldi, che evoca mestamente il rituale servile dei dirigenti rai pronti ad accogliere negli studi radiofonici deputati o governanti.
La lezione rimane quella di Enzo Forcella, di un´idea della cultura che accende conoscenza e immaginazione. «Siete un´isola di consolazione in un panorama catastrofico», dice Corrado Augias, intervenuto all´incontro insieme a Goffredo Fofi, Valentino Parlato e Paolo Franchi. «Una penisola», corregge Sinibaldi, difendendo i legami con il resto del paese. Un formidabile strumento "che fa compagnia agli ascoltatori", lenendo molte solitudini, anche di tipo intellettuale.

Repubblica 24.12.09
Nichi è un traditore solo io posso battere Fitto e compagni"
Emiliano: sono al 60 per cento

Ma quale legge ad personam, va cambiata perché incostituzionale: i rivali non mi preoccupano, devo fare questa cosa e basta

BARI - Michele Emiliano, sindaco di Bari, sarà una legge elettorale ad personam a permetterle di candidarsi per il centrosinistra alla guida della Regione Puglia nel 2010?
«Quella legge va cambiata perché è incostituzionale: lede i diritti delle persone costringendole ad un atto inutile».
Così come stanno le cose ora, dovrebbe dimettersi dalla carica di sindaco prima di scendere in campo per le regionali. Un emendamento che l´assemblea pugliese discuterà il prossimo 19 gennaio, prevede di cancellare l´ineleggibilità.
«La legge ad personam è quella in vigore. Era stata fatta apposta per impedire che l´allora sindaco di An a Lecce, Adriana Poli Bortone, potesse concorrere per diventare presidente della Regione senza dimettersi dal municipio».
Lunedì 28, intanto, l´assemblea del Pd di cui è il presidente stabilirà se farle indossare la maglia del competitore.
«O dentro o fuori. Io non ci sarò: così ogni democratico potrà dire liberamente quello che pensa sul conto del sottoscritto».
Tutti pensano che sia Massimo D´Alema a volere Emiliano al posto di Nichi Vendola, il governatore comunista in carica.
«D´Alema non sta imponendo niente a nessuno. Ragiona, piuttosto».
Secondo il lìder Massimo, Emiliano è un candidato «molto forte». Più forte di Vendola, che non attirerebbe i voti dell´area moderata.
«In Puglia il mio indice di gradimento è vicino al 60 per cento. Io vinco anche se sulla barca del centrosinistra non salisse Vendola. Ho la meglio contro tutti».
Compreso il candidato del Pdl?
«C´è una "anima di Dio", Stefano Dambruoso, che sta lì in attesa di sapere se arriverà o non arriverà la telefonatina».
La telefonatina?
«Sì, quella che basta a Silvio Berlusconi per cambiare il nome del candidato del Popolo della libertà».
Contro Emiliano il Gladiatore, fuori Dambruoso e dentro il sottosegretario Alfredo Mantovano?
«Mantovano o Dambruoso, per me è indifferente. I rivali non mi preoccupano. Devo fare questa cosa, e basta».
I baresi, però, appena sei mesi fa l´avevano confermata a Palazzo di città e adesso si ritrovano un sindaco in fuga verso altri lidi. La prenderanno male?
«Non temo l´effetto boomerang. La verità è che bisogna fare qualsiasi cosa per evitare di riconsegnare il governo della Regione nelle mani di Fitto e compagni».
Vendola che corre in nome e per conto di tutto il centrosinistra, non va bene?
«Se l´Udc sta con noi, trionfiamo. Diversamente, ci ammazzeremmo tutti. Quanto a Vendola, è un traditore».
Cioè?
«Al congresso del Pd avrebbe dovuto lavorare per sostenermi e farmi avere la meglio quando celebrammo le primarie. Perché se fossi rimasto segretario del partito, com´era dal 2007, Nichi sicuramente sarebbe stato il candidato di tutto il centrosinistra. Senza l´Udc. Ma a quel punto, sarei bastato io al posto dell´Udc per attirare le preferenze dei moderati».
C´entra con la scelta di isolare Vendola lo scandalo della sanità esploso d´estate, che travolge l´assessore alla Salute Alberto Tedesco?
«E´ colpa sua se Tedesco faceva l´assessore alla Salute. Poi, dopo la bufera giudiziaria, lo stesso Vendola mi ha chiesto di fare di tutto perché Tedesco fosse nominato senatore per toglierlo di mezzo».
Emiliano e Vendola, fratelli coltelli?
«La verità è che non c´è più il clima politico del 2005. Io e Vendola ci vogliamo bene e basta. Faccia la sua battaglia. Ha il dovere di gareggiare. Ma credo che riuscirà a sopravvivere politicamente solo se entrerà nel Pd».
(l. p.)

Repubblica 24.12.09
Scoppia la polemica. Di Pietro: "Il suo cuore resta nero"
La gaffe di La Russa "X Mas corpo di eroi"
di Giovanna Casadio

ROMA - Ignazio La Russa sostiene di non avere fatto nessuna gaffe. A Livorno, alla caserma Vannucci, il ministro della Difesa ha elogiato i corpi militari speciali ricordando la Decima Mas: «Siete eredi della non dimenticata Decima Mas». Un rigurgito di nostalgia, il ricordo rivolto a Junio Valerio Borghese, alla Repubblica sociale e agli ultimi colpi di coda del fascismo? La Russa nega. Assicura di avere voluto solo riferirsi all´eroismo riconosciuto di quel corpo speciale. «Come per El Alamein...». Ma si accende la polemica. Antonio Di Pietro gli dà del «cuore nero»: «La lingua batte dove il dente duole; ci si nasce...». E La Russa - militante nero sin da ragazzino, missino che ha condiviso la svolta di Fiuggi con Gianfranco Fini e ora l´approdo nel Pdl di cui è coordinatore - per il leader di Idv ed ex pm è «un nostalgico».
«È l´unico ministro della Difesa che negli ultimi trent´anni abbia ricordato la Decima Mas - si sfoga Ettore Rosato, del Pd - ed è una cosa che non fa onore neppure agli uomini del Comsubin», i militari incursori della Marina ai quali il ministro direttamente si rivolgeva. «Non era necessaria questa lode in quel contesto, in nessun contesto».
Duro il commento di Filippo Penati, coordinatore della segreteria del Pd: «Davvero un elogio di cui non si sentiva il bisogno soprattutto da parte di un ministro della Difesa. Avremmo preferito ascoltare parole che riguardassero un accenno ai nostri militari come presidio di democrazia piuttosto che frasi che portano a un passato che alla coscienza democratico di quei cittadini che amano la libertà - a cui si è rivolto recentemente lo stesso Berlusconi - non suscita alcuna nostalgia». E Roberta Pinotti, ex presidente della commissione Difesa della Camera, democratica, rincara: «Ricordando che non è la prima volta e che poi, La Russa deve sempre precisare e chiarire, gli consiglierei di lasciare da parte le emozioni per un passato che l´Italia repubblicana ha combattuto e di concentrarsi sui messaggi da dare alle nostre Forze armate che rispondono alla Costituzione nata dalla lotta di Liberazione». «La Russa perde il pelo ma non il vizio...», rimarca il Pdci di Diliberto.
«Macché nostalgie - ne prende le difese Alessandra Mussolini - Ormai non c´è più la coda di paglia a destra. I militanti ex An hanno fatto passi in avanti stabili: se c´è un riferimento è alla storia e lo si può fare. Fini ha fatto fare un percorso sostanziale. E se una volta, molti della destra stavano attenti anche alla battuta, non io ma per me è stata anche una questione familiare - ribadisce la nipote del Duce - ora ci si può permettere una considerazione come chiunque, senza sospetti di nostalgie».

Repubblica 24.12.09
I fantasmi dell’antisemitismo nell’est europeo
di Timothy Garton Ash

Tra l´Hanukkah e il Natale, l´insegna sopra l´ingresso del campo di sterminio di Auschwitz è stata rubata. La polizia polacca l´ha recuperata e ha catturato i ladri che, a quanto sembra, hanno agito su commissione per qualcuno all´estero. Si fa fatica a immaginare che genere di essere umano desideri avere qualcosa del genere nella sua collezione privata. Nonostante tutti gli omicidi di massa perpetrati, la schiavitù e la tortura inflitti in tempi successivi, Auschwitz resta, per un europeo della mia generazione, il Simbolo della malvagità umana del nostro tempo.
Questo grottesco episodio chiude un anno in cui i rapporti tra cristiani ed ebrei in generale, tra cristiani polacchi ed ebrei polacchi in particolare, sono stati nuovamente oggetto di dibattito. I fantasmi del tormentato passato est europeo aleggiavano sinistri nei corridoi di Westminster mentre i conservatori britannici annunciavano l´alleanza in seno al Parlamento europeo con un gruppo di partiti di destra, principalmente del centro e dell´est Europa, ponendo i loro parlamentari sotto la guida di Michal Kaminski, del partito polacco Legge e Giustizia.
Nel contesto della polemica che ne è scaturita, l´autore e comico Stephen Fry si è così espresso: «Il cattolicesimo di destra ha un passato profondamente inquietante per chi conosce un poco la storia e ricorda da che lato del confine si trovava Auschwitz». Davvero la storia la conosce poco. Incolpare i cattolici polacchi dello sterminio nazista in un campo situato in territorio polacco annesso alla Germania, in cui furono imprigionati e morirono anche cattolici polacchi, è talmente assurdo che l´affermazione di Fry è stata accolta da una valanga di critiche. E Fry, bisogna darne atto, ha immediatamente fatto ammenda. Ma non è solo la follia di un inglese. Guardando il servizio di una televisione tedesca sul processo a John Demjanjuk qualche settimana fa, mi sono stupito nel sentirlo identificare come una guardia «nel campo di sterminio polacco di Sobibor». In che tempi viviamo se una delle maggiori reti televisive tedesche pensa di poter definire «polacchi» i campi nazisti?
Stando alla mia esperienza, in Europa occidentale e in Nord America è ancora diffusa l´equazione tra Polonia, cattolicesimo, nazionalismo e antisemitismo – e da lì al concorso di colpa nell´Olocausto il passo è breve. Questa accusa collettiva non rende giustizia alle testimonianze storiche. Non lascia spazio ad esempio all´incredibile vicenda di Witold Pilecki, ufficiale polacco che si offrì volontario per una missione mirata a scoprire cosa avveniva ad Auschwitz. Si fece arrestare e rimase nel campo per due anni e mezzo, inviando rapporti all´esterno e organizzando cellule di resistenza, per poi evadere. Combatté in seguito nella rivolta di Varsavia contro i nazisti e visse gli ultimi mesi di guerra in un campo Pow. Venne quindi arrestato e torturato dalla polizia segreta comunista nella Polonia occupata dai sovietici e giustiziato nel 1948. Questa generica stereotipizzazione provoca nei polacchi una reazione di difesa ostacolandoli nel processo di fare i conti con un passato profondamente inquietante di antisemitismo polacco e cattolico. (Non limitato alla destra: il partito comunista polacco fu scosso dalla famigerata campagna anti-semita nel 1968). Soprattutto negli ultimi vent´anni, da quando la Polonia ha riconquistato la libertà, si sono fatti dei passi avanti nei conti con il passato. All´inizio di questo decennio uno storico ha rivelato l´orrenda carneficina di ebrei compiuta nella cittadina di Jedwabne, nella Polonia orientale, per mano dei loro concittadini cattolici nella primavera del 1941, dando vita ad un «dibattito straordinariamente approfondito e straordinariamente coraggioso», come l´ha definito Konstanty Gebert, scrittore ebreo polacco. Sulla scia di tale dibattito, sostiene Gebert, «il paese ha subito una seria trasformazione morale».
Non recedo in alcun caso dal mio atteggiamento critico nei confronti della nuova alleanza stretta dai conservatori britannici in seno al Parlamento europeo, ma il giudizio politico deve essere scisso da quello storico e morale. Il linguaggio dell´odierna politica di partito con le sue frasi prefabbricate e le sue disinvolte mezze verità è così pateticamente inadeguato ai terrori di Auschwitz e all´eroismo di un Pilecki, che il solo atto di accostare quel gergo sintetico a simili realtà ha il sapore di un sacrilegio. Esiste un giudizio politico, ai fini del quale le affermazioni di opportunisti di destra come Kaminski nel dibattito su Jedwabne qualche anno fa hanno attinenza, pur essendo di secondaria importanza. Esiste un giudizio storico, che possiamo esprimere grazie alla sempre maggiore conoscenza della reale complessità della storia ebraica ed est europea. Esiste un giudizio giuridico che deve avere come oggetto chi si è macchiato di crimini contro l´umanità. Ma al di là di tutto questo esiste la dimensione dell´interpretazione umana che forse solo il linguaggio dell´arte riesce a comprendere appieno. Se volete capire cosa intendo, acquistate o elemosinate o rubate uno degli ultimi biglietti disponibili per la straordinaria prima di una pièce teatrale intitolata "La nostra classe" (Our Class) dello scrittore polacco Tadeusz Slobodzianek, in scena al National Theatre di Londra fino a metà gennaio. Oppure, se abitate in un altro paese (inclusa la Polonia in cui lo spettacolo non è andato ancora in scena), iniziate a mobilitarvi perché venga rappresentato. Attingendo alla documentazione, oggi ampia, sui fatti di Jedwabne, Our Class narra il tragico intrecciarsi delle vicende di dieci ragazzi, compagni di scuola prima della guerra, cinque ebrei, cinque cattolici. La pièce non risparmia nulla degli orrori di uno dei peggiori capitoli della storia dell´antisemitismo polacco, mostrando uno stupro di gruppo, un pestaggio a morte, e infine gli ebrei bruciati vivi in un fienile. Ma mostra anche Wladek, il contadino che dà rifugio e quindi sposa una ragazza ebrea e uccide il compagno di scuola polacco che intende arrestarla. Mostra Menachem, il sopravvissuto ebreo che dopo la guerra diventa un interrogatore della polizia segreta comunista. C´è Zocha, polacca e cattolica, che salva la vita a Menachem nascondendolo nel suo granaio e in seguito emigra negli Usa. Udendo una coppia di ebrei americani sparlare dei polacchi accusandoli di antisemitismo la donna esplode: «E cosa hanno fatto gli americani per gli ebrei durante la guerra?». E Abram, il fortunato, emigrato in America prima della guerra, diventa un viscido rabbino che sessant´anni dopo il fatto, pretende che il suo ex compagno di scuola Heniek, ora prete cattolico con un debole per i ragazzini, avalli la tesi ,del tutto infondata, secondo cui nel 1941 il rabbino di Jedwabne guidò il suo gregge nel granaio tenendo alta la Torah e santificando il nome di dio, Kiddush Hashem. Nessun mito autoconfortante resta intatto.
Le preoccupazioni circa la precisione storica, le problematiche di pertinenza degli storici circa la tipicità o eccezionalità degli eventi, hanno qui carattere secondario. Perché qui la verità è più profonda: si tratta di ciò che gli esseri umani sono capaci di fare quando si trovano nel posto sbagliato nel momento sbagliato. (E una piccola città della Polonia orientale occupata prima dai sovietici, a seguito del patto Hitler-Stalin, poi dai nazisti, quindi dal regime comunista polacco sotto la tutela dell´Armata rossa, è quasi per definizione il posto sbagliato al momento sbagliato). Chiunque sia nato in un tempo e in un luogo più felice deve ringraziare la sorte e la geografia.
Siamo tutti della stessa pasta, senza arrivare agli estremi. Non esistono i cattivi e gli eroi, lo stesso uomo o la stessa donna possono comportarsi in maniera terribile in un momento e splendida il momento dopo. Noi esseri umani sappiamo essere inferiori alle scimmie e superiori agli angeli. Siamo deboli, siamo forti. Portiamo il peso della colpa, rivendichiamo il diritto alla clemenza. Poi invecchiamo, ci ammaliamo e moriamo.

Repubblica “24.12.09
Anche nell´antica "polis" la cerimonia consisteva in un banchetto della sera precedente chiamato "sacrificio", fatto di offerte agli dei. I convitati dovevano assaggiare tutte le pietanze, senza eccezioni
La tradizione al tempo del consumismo
Veglia e cibo un rito antico
di Marino Niola

Notte magica, notte da presepe che sospende il corso del tempo e l´ordine del mondo. Alla vigilia di Natale gli animali parlano e gli uomini ammutoliscono. Lo raccontano le leggende popolari di tutta Europa. E soprattutto lo racconta quel poeticissimo apocrifo che è il Protovangelo di Giacomo: "tutte le cose in un momento furono distratte dal loro corso". Tutti gli esseri del creato restano immobili, in vigile attesa della nascita del dio e della vittoria annuale del sole sulle tenebre. Proprio questo significa in origine la parola vigilia, vegliare ritualmente su un passaggio decisivo. Astronomico o religioso. Che sia la notte di Natale o quella di Capodanno. In ogni caso veglioni. Momenti in cui la condivisione del cibo diventa simbolo unificante. Per i credenti un modo di realizzare il contatto con il sacro attraverso la via dei sensi. Per i non credenti una celebrazione del legame sociale, una festa degli affetti. Cui non ci si può sottrarre.
Non a caso i due cardini della tradizione natalizia sono la famiglia e la tavola. Entrambe sacralizzate dal mangiare insieme le cose di sempre. Dove la riproposizione del menù della tradizione, oggetto di un´autentica mitologia domestica, trasforma la semplice abbuffata festiva in eccesso rituale. Oggi temuto da molti ma evitato da pochi. Perché in realtà si tratta di un´orgia obbligatoria, di una liturgia della gola. Che rivela lo stretto intreccio tra piena esultanza dell´anima e l´esultanza piena del corpo.
Proprio come avveniva nel mondo antico dove la cerimonia principale della polis consisteva in un banchetto di vigilia chiamato "sacrificio", fatto di cibi offerti simbolicamente agli dei. La scelta delle pietanze, i tipi di cottura, la successione delle portate obbedivano a un rigoroso palinsesto cerimoniale. Carni, legumi, pesci, dolci, formaggi, frutta secca. I convitati erano tenuti ad assaggiare di tutto un po´ anche a costo di scoppiare. Allontanarsi dalla tradizione sarebbe stato considerato un sacrilegio, una messa in discussione del patto identitario. Tutti, anche i più poveri dovevano essere ammessi alla grande abbuffata.
Queste forme di gastronomia sacralizzata caratterizzano anche le nostre vigilie e hanno fatto nascere nei secoli delle singolari forme di previdenza festiva. Come i Goose Clubs dell´Inghilterra vittoriana e i Christmas Clubs americani del primo Novecento, salvadanai popolari, che con il versamento durante l´anno di qualche spicciolo a settimana garantivano a tutti di potersi concedere la strippata natalizia. Anche nelle nostre città si usava lasciare ogni giorno ai negozianti di alimentari delle piccole somme a mo´ di anticipo. Costituendo così un credito da spendere tutto d´un botto per imbandire un cenone come Dio comanda. Detto in altri termini, per osservare il diritto-dovere di consumare il banchetto rituale in ogni sua sequenza.
E perfino in un tempo secolarizzato come il nostro in cui lo spirito della festa sembra ridursi alla frenesia consumistica, i nostri opulenti menù festivi sono in realtà la versione postmoderna delle orge sacre di un tempo. Niente carne né grassi animali per rispettare i divieti conciliari, ma in compenso cascate di salmone, deliri di frutti di mare, trionfi di ostriche, maree di branzini. È il magro che si rovescia nel suo contrario e realizza in termini moderni quel cortocircuito orgiastico fra astinenza e abbondanza, fra rigore e spreco. Quel consumo del sacro che è l´essenza di ogni vigilia.

mercoledì 23 dicembre 2009

Liberazione 22.12.09
D’Alema lo stratega
di Dino Greco

Ecco di nuovo D'Alema, il "solo" politico che ha la stoffa dello statista di rango, l'uomo che anticipa di tre mosse quelle di amici e avversari, tornare prepotentemente alla ribalta con una nuova, sensazionale trovata, una sorta di «mossa del cavallo», capace di scompaginare le carte, depurare il clima avvelenato in cui si è avvitato lo scontro politico, rimettere in moto una situazione che pareva irrimediabilmente ingessata. E in cosa consisterebbe questa geniale escogitazione partorita dall'eccellentissima mente di Massimo D'Alema? Nulla di più semplice. Basta dare a Berlusconi quello che egli brama: la certezza dell'impunità tramite immunità. Un artifizio che renda certo il premier di non avere più nulla da temere, che lo sottragga all'incubo della «persecuzione giudiziaria», del «complotto» contro di lui ordito da una perfida macchinazione. Una volta recuperata questa personale serenità, Berlusconi abbandonerebbe ogni propensione paragolpista (anzi: vi è mai stata in lui una simile tentazione?), ogni velleità da caudillo, per disporsi ad un dialogo serio, ad una riabilitazione della politica come confronto democratico di idee e di programmi. Di più: alla costruzione condivisa - e non più di parte - di nuove riforme istituzionali.
D'Alema, dunque, suppone che una volta offerto, in qualsivoglia modo («non ha importanza di che colore è il gatto pur che prenda i topi») il salvacondotto a Berlusconi, la compulsiva, distruttiva crociata che questi ha scatenato, nell'ordine, contro l'impianto egualitario della Costituzione, contro lo stato di diritto, contro l'indipendenza della magistratura, contro la libertà dell'informazione, contro tutti gli organi di garanzia, si dissolva come neve al sole. Improvvisamente, il caudillo diventerebbe un agnello mansueto e - una volta convertito alle regole della democrazia - darebbe il suo consenso a metter mano al colossale conflitto di interessi che si incarna nella sua persona, inaugurerebbe una nuova primavera parlamentare, togliendo i sigilli alle Camere oggi ridotte a simulacri del potere legislativo.
A quel punto, magicamente, prenderebbe l'abbrivio il confronto sulle riforme, quelle sociali in particolare. Giulio Tremonti smetterebbe di flirtare con gli evasori, rinuncerebbe alla proroga dello scudo fiscale e aprirebbe i cordoni della borsa, non più per regalare prebende agli industriali, ma per rilanciare l'esangue sistema degli ammortizzatori sociali; Roberto Maroni inaugurerebbe una stagione di accoglienza, relegando nel dimenticatoio le misure da pogrom razzista e mettendo mano ad una seria modifica della legislazione in materia di immigrazione e di sicurezza; Maria Stella Gelmini riaprirebbe il confronto con studenti, insegnanti, genitori per tentare un rilancio della scuola pubblica, dell'università e della ricerca. Con analogo spirito costruttivo, Angelino Alfano riafferrerebbe il filo del dialogo con la magistratura e proverebbe ad occuparsi davvero del diritto di ogni cittadino ad una giustizia rapida e garantista; Maurizio Sacconi abbandonerebbe la forsennata vis demolitoria contro ciò che rimane del welfare e contro il sindacato per ricostruire qualcosa che somigli ad un sistema di protezione sociale; Ignazio La Russa, da par suo, istruirebbe una discussione sino ad ora mai fatta sulla presenza dei soldati italiani nei vari teatri di guerra, per ragionare su una possibile exit-strategy e restituire un senso all'art. 11 della Costituzione. Questo ed altro ancora D'Alema immagina potersi verificare una volta baipassata la singolar tenzone con Berlusconi? E se, invece, non si tratta di questo, in cosa davvero consiste il compromesso (diciamolo in modo elegante) di cui parla l'immarcescibile «baffino»?

Repubblica 23.12.09
Ebrei tedeschi in rivolta "Il Papa riscrive la Storia"
Tensione anche a Roma, a rischio la visita in sinagoga
di Andrea Tarquini e Orazio La Rocca

Clima di tensione crescente tra le comunità ebraiche europee e la Santa Sede dopo la decisione di papa Benedetto XVI di accelerare la beatificazione di Pio XII. Il Consiglio centrale degli ebrei di Germania ha criticato il Papa tedesco, definendola «assolutamente prematura» e parlando di «tentativo della Chiesa cattolica di scrivere in un altro modo la Storia». E stasera alle 20,30 si terrà a Roma, sotto la presidenza di Riccardo Pacifici, un tesissimo consiglio della comunità romana per analizzare il "caso Pacelli" alla luce della dichiarazione del Pontefice sull´eroicità delle virtù sancita da papa Ratzinger per Pio XII stesso.
A Roma e nella comunità ebraica italiana l´attesa è grande e anche la preoccupazione è palpabile: il timore è che i delusi dalla decisione di Benedetto XVI possano prendere il sopravvento, e la preventivata visita del pontefice in Sinagoga, il 17 gennaio prossimo, possa essere messa in discussione. Ci si attende dal Vaticano «almeno un gesto o una iniziativa» con cui si spieghi che gli aspetti storici del pontificato di Pio XII saranno definitivamente chiariti, specialmente per quanto riguarda i presunti silenzi sull´Olocausto. «Nessuna interferenza sulla beatificazione, ma anche niente coperture sulle ombre storiche di quel pontificato», ammoniscono i vertici degli ebrei romani. A Bologna sempre oggi si riunirà un gruppo di rabbini convocati dal presidente dell´Assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, che fu il primo a parlare di seri pericoli per la visita del papa in Sinagoga in caso di mancata chiarezza sul caso Pacelli. Di fronte al Tempio Maggiore del Ghetto sono anche apparse scritte sui muri di protesta per le scelte di Benedetto XVI.
In questo clima cresce il malcontento della comunità ebraica tedesca, quella che proprio nella patria dell´attuale papa sta vivendo un rifiorire di presenza nella società e nella cultura. «Sono triste e pieno di collera, è assolutamente prematuro intraprendere un simile passo», ha detto, citato da Der Spiegel, il segretario generale Stephan Kramer. E ha aggiunto, nella sua dura dichiarazione rilanciata con forza da tutti i media tedeschi: «È un chiaro rovesciamento dei fatti storici del periodo nazista». Secondo Kramer la Chiesa cattolica «cerca di riscrivere la Storia». E si dichiara indignato del fatto che il Papa «non permetta lo svolgimento di alcuna seria discussione scientifica» sul caso.
Molti esponenti delle comunità ebraiche accusano Pio XII di aver saputo e taciuto sulla Shoah, e non basta loro la reazione vaticana secondo cui Papa Pacelli avrebbe cercato di aiutare gli ebrei in silenzio. La rivolta degli ebrei tedeschi è particolarmente imbarazzante per la Santa Sede: la comunità ebraica a Berlino ha ottimi rapporti con l´establishment della Cancelliera cristiano-conservatrice Angela Merkel, la leader europea più decisa nel ricordare sempre gli orrori del passato.

Repubblica 23.12.09
Gli archivi britannici confermano i silenzi di Pio XII sulla Shoah
L’ambasciatore inglese in Vaticano: "Non me ne parlò mai"
Il principale timore di Pacelli era la mancanza di viveri in caso di ritirata dei tedeschi
di Filippo Ceccarelli

«Oggi il Papa mi ha ricevuto in udienza per un´ora - telegrafa l´ambasciatore inglesi due giorni dopo la retata degli ebrei romani -. Sembrava in buone condizioni e di buon umore, il suo atteggiamento era sereno in rapporto all´attuale situazione, ma pienamente cosciente dei futuri pericoli...».
Di solito le cancellerie non s´interrogano sulla futura santità dei loro interlocutori, tantomeno in guerra. Ma i documenti della diplomazia, per quanto anch´essi di scarso valore nella ricostruzione postuma delle eroiche virtù, hanno comunque un loro valore perché aiutano, nella loro indispensabile parzialità, a far capire come i possibili santi reagiscono in certi momenti.
Con tale premessa si dà conto, in modo più esteso di quanto lo si sia fatto finora, di un documento fra i tanti recuperati da Mario J. Cereghino negli archivi del Foreign Office di Kew Gardens e oggi consultabili presso l´Archivio Casarrubea di Partinico (www.casarrubea.wordpress.com). Si tratta della nota "segreta" che il 2 novembre del 1943 il ministro degli Esteri del Regno Unito Anthony Eden spedisce al visconte di Halifax, ambasciatore di Sua Maestà a Washington, e che contiene il resoconto di un incontro che l´ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Sir D´Arcy Osborne, ha avuto con Pio XII il 18 ottobre, cioè proprio mentre alla stazione Tiburtina i militari tedeschi stavano imbarcando e sigillando in un treno diretto ad Auschwitz oltre mille ebrei romani: 1007 stabilisce Kappler, 1015 secondo la Comunità ebraica - la differenza sembra la facciano, disperatamente, i neonati.
Papa Pacelli, diplomatico sottile, esordisce «enfatizzando» la situazione alimentare. Roma è già alla fame, le scorte di cibo sono sufficienti «fino a quando i tedeschi saranno qui». Ma poi? Si capisce che il Pontefice dà per scontato un ritiro abbastanza imminente. In questo senso «spera» che gli alleati siano in condizione di provvedere ai beni di prima necessità. Al che Osborne traccheggia, non s´impegna. Pio XII insiste, richiama la possibilità di disordini, cerca garanzie sul «minimo indispensabile», quindi esprime la sua preoccupazione sull´«interludio» tra la ritirata dei tedeschi e l´arrivo degli alleati.
Nel corso della guerra, ora con gli uni, ora con gli altri, il Papa sta giocando da tempo una partita sul filo del rasoio, di alta acrobazia diplomatica, che assomiglia a un doppio gioco su due tavoli e prevede sottintesi, riserve, dissimulazioni, pure da modularsi a seconda degli interlocutori. L´impressione è che Osborne non sia dei più fidati.
Di nuovo «in modo enfatico», annota l´ambasciatore, il Papa «afferma che non abbandonerà mai Roma per proteggere la sua incolumità, a meno di non esserne rimosso con la forza». Quindi aggiunge «di non avere elementi per lamentarsi del generale von Stahel e della polizia tedesca, che finora «hanno rispettato la neutralità» della Santa Sede. E qui viene naturale di pensare che forse la questione non era questa, o soltanto questa.
In realtà Pio XII sa della deportazione, ancora freschissima. Si sa che ha cercato di scongiurarla smuovendo prelati tedeschi e sollecitando nazisti tiepidi o opportunisti. Comunque ha già aperto le porte di chiese e conventi; il mese prima ha "prestato" dell´oro per allontanare le rappresaglie (15 chili dei 50 richiesti alla comunità ebraica provengono dal Vaticano). Se non suonasse irrispettoso per un Papa, Pacelli sta cercando, anche lui alla disperata, di salvarsi l´anima. Di norma, in questi casi, il potere mette in atto il dispositivo dello scambio e imbocca la logica del male minore.
Forse ha ottenuto la certezza che a Roma, sotto la sua finestra, non ci saranno altre deportazioni di massa. Ma Osborne non è in condizione di rispettarne la pena. Anzi, sembra irritato, va giù duro: la formula «Roma città aperta» è «una farsa», dice. L´Urbe «è alla mercé dei tedeschi» che la affamano, arrestano gli ufficiali, i giovani, i carabinieri e - attenzione qui - «applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei».
È l´unico, significativo accenno. Il resto riguarda ciò che all´inizio stava più a cuore al Papa, che Roma non diventi «un campo di battaglia». Per Osborne la faccenda è militare, non può garantire nulla. Tocca semmai al Pontefice salvaguardare i suoi diritti dai tedeschi. Pio XII replica «che in tal senso e fino a questo momento i tedeschi si sono sempre comportati correttamente». Ma anche l´ambasciatore insiste, con un approccio che suona diretto nella sua pur involuta formulazione: «A mio parere molta gente ritiene che egli (il Papa) sottostimi la sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui egli è fatto oggetto da parte dei nazisti», tanto più considerato che buona parte della popolazione germanica è cattolica. Insomma, esca allo scoperto, dica qualcosa, condanni i nazisti. «L´ho esortato a tenerlo bene in mente nel caso emergesse una situazione in cui in futuro fosse necessario applicare una linea forte». Così si conclude l´incontro.
Alle 20 di quel 18 ottobre il treno degli ebrei romani è a Firenze; il 19 si ferma a Padova per prestare assistenza ai prigionieri di ogni età che sono ammucchiati lì dentro da 28 ore; ad Auschwitz arriva la notte del 22, e poco dopo entra nel lager. Se la santità ha un significato, dentro quei vagoni e poi nel campo ce n´era moltissima.

Repubblica 23.12.09
La rivoluzione francese
Parigi mette in rete le biblioteche
Sarkozy investe 750 milioni di euro per digitalizzare il patrimonio librario nazionale

"Solo da una posizione di forza potremo trattare con Google senza farci travolgere"
Intervista a Bruno Racine, Presidente della Bibliothèque Nationale de France
Internet è essenziale per salvare documenti sonori e video minacciati dal tempo
Il libro stampato non morirà, ma non avrà più la sua posizione privilegiata

PARIGI. Uno spazio culturale aperto, vivo, in movimento, che per la prima volta sarà accessibile a milioni di persone. L´idea stessa della vecchia Biblioteca, polverosa e riservata alle élites intellettuali, sta mutando. «Fino a trent´anni fa venivano da noi poche migliaia di ricercatori. Oggi chiunque può collegarsi attraverso la rete e consultare parte del nostro patrimonio, a qualsiasi ora del giorno, da qualsiasi paese del mondo. E´ una rivoluzione paragonabile a quella della stampa di Gutenberg».
Bruno Racine, presidente della Bibliothèque Nationale de France, è un uomo visionario. Ex direttore di Villa Medici, già presidente del museo Beaubourg, siede nel suo ufficio al settimo piano della Tour des Lois, una delle quattro torri del complesso voluto da François Mitterrand negli anni Novanta. Milioni di libri, giornali, nastri sonori e immagini video sono conservati in questa cattedrale moderna del sapere, affacciata sulla Senna. Non un luogo del passato, assicura Racine. La Biblioteca del Duemila sarà il ponte tra il passato e il futuro della conoscenza.
Cominciamo dalle recenti polemiche, la Bibliothèque Nationale de France è stata accusata di voler cedere il suo patrimonio al gigante americano Google.
«Si trattava di discussioni esplorative e credo che la polemica sia ormai superata. Lo stato francese ha deciso di consentire uno sforzo senza precedenti per la digitalizzazione del patrimonio culturale. Il presidente Nicolas Sarkozy ha annunciato lo stanziamento di 750 milioni di euro: è un somma che non ha equivalenti in Europa e nel mondo. D´altra parte, è stata istituita una commissione che dovrà studiare le condizioni per i partenariati tra pubblico e privato in questo ambito. Il dialogo con Google, o con altre società, si farà d´ora in poi da questa nuova posizione di forza».
Quali sono i criteri con cui svilupperete il vostro portale di documenti digitali Gallica?
«Per i libri vorremmo associarci ad altre biblioteche francesi in modo da fare una digitalizzazione collettiva. Considero anche urgente salvare la nostra immensa raccolta di giornali antichi: se non faremo in fretta gli esemplari andranno distrutti. Ci sono poi le collezioni di opere rare e preziose. Infine, i documenti sonori e video, che pure sono minacciati dal tempo. Abbiamo per esempio la più grande raccolta di registrazioni di canzoni francesi a partire dall´Ottocento».
Il lavoro di digitalizzazione delle opere è lungo e costoso. Come siete riusciti finora ad affrontarlo?
«La digitalizzazione si è concentrata sulle opere in lingua francese e che non sono più protette dal diritto d´autore. Il programma Gallica ha un costo di 7 milioni di euro ogni anno, comprensivo del costo dell´infrastruttura informatica per la conservazione dei dati. Attualmente abbiamo 150.000 libri in formato digitale, ovvero 3% delle opere di dominio pubblico.
Procediamo a un ritmo di 100.000 nuovi documenti digitali all´anno. Vorremmo arrivare al 10% del patrimonio librario nel corso dei prossimi cinque anni».
Perché Google fa paura?
«E´ diventato uno strumento indispensabile alla nostra vita quotidiana e penso che sia proprio la sua potenza a scatenare qualche preoccupazione. In Francia, la reazione è stata più forte che altrove perché Google ha digitalizzato opere ancora protette dal diritto d´autore senza avere l´autorizzazione. E´ un elemento che ha senz´altro contribuito ad alzare i toni».
Il tribunale di Parigi ha appena condannato la società americana a risarcire il gruppo editoriale La Martinière.
«Una pacificazione tra Google e gli editori francesi è necessaria.
Sarà un condizione per poter andare avanti con una discussione più pacata e serena».
I nuovi fondi pubblici che la Bibliothèque Nationale riceverà rischiano comunque di non bastare. La digitalizzazione del patrimonio appare impossibile senza la collaborazione dei privati.
«E´ vero. Sul lungo periodo il ricorso ad accordi con i privati appare inevitabile. Proprio per questo è importante la riflessione che la commissione ha avviato sui partenariati pubblico/privato e sulla definizione di regole che garantiscano la libertà di accesso al nostro patrimonio».
I milioni di libri che sono custoditi in questa sede rischiano di diventare delle reliquie. Ci abitueremo tutti a leggere sullo schermo?
«Non possiamo far finta di niente. Attraversiamo una fase di grande incertezza. C´è un problema normativo, ovvero definire un prezzo per le edizioni online che permetta a editori e autori di continuare la creazione di opere. E su questo punto, l´ideale sarebbe raggiungere perlomeno un quadro di regole al livello europeo. Penso inoltre che le pratiche di lettura cambieranno, ci saranno forme ibride. Conosco dei professori che leggono testi accademici sul loro Iphone ma continuano a comprare romanzi.
Insomma no, non credo che il libro stampato morirà. Forse, soltanto, non avrà più la stessa posizione di privilegio».
Con la digitalizzazione delle opere nessuno avrà più bisogno di entrare in una Biblioteca?
«La Biblioteca continuerà a lungo ad essere un luogo fisico. Tutto non sarà digitalizzato e penso anche che il contatto con l´opera originale rimane in molti casi insostituibile. La biblioteca del ventunesimo secolo sarà un´istituzione che avrà un pubblico molto più vasto. E´ una grande opportunità. Noi responsabili dobbiamo preoccuparci di creare un nuovo rapporto alla conoscenza. Prima c´erano studiosi di alto livello che sapevano maneggiare le banche dati. Oggi dobbiamo offrire servizi a un pubblico diversificato.
Non possiamo più accontentarci di mettere semplicemente in rete le opere. C´è da fare un lavoro di elaborazione intellettuale e culturale dei contenuti».
La vostra missione è cambiata?
«La Bibliothèque Nationale ha aperto le porte nel 1998, l´anno in cui è nato anche Google. In questi anni le cose sono andate molto veloci. Oggi vogliamo svolgere anche un´azione culturale attraverso esposizioni, conferenze, dibattiti. A volte nella nostra sede, altre volte attraverso la rete. Questo non è soltanto il luogo dove vengono conservati manoscritti del Medio Evo o opere rilegate dell´Ancien Régime. Cerchiamo di stare al centro dell´attualità, di riflettere sulle sfide del mondo contemporaneo.
A primavera, per esempio, inaugureremo due mostre molto diverse. Da una parte, avremo un´esposizione sui manoscritti del Mar Morto, risalendo alle radici spirituali dell´Europa. A cinquanta metri, ci sarà invece una mostra sulle innovazioni tecnologiche più recenti che hanno un impatto sulla lettura. Ecco come intendiamo la Biblioteca del Duemila».

Repubblica 23.12.09
Il vicepresidente del Cnr De Mattei risponde alle polemiche sul creazionismo
"Credo alla Bibbia e non a Darwin"
intervista di Leopoldo Fabiani

"Nessuno finora ha saputo dare una dimostrazione delle teorie evoluzionistiche. E anche nel mondo cattolico in troppi non le combattono come si deve"

L’evoluzionismo non è una teoria scientifica, ma una filosofia, un modo di vedere il mondo. Ancora nessuno è riuscito a dimostrare la sua validità". Incurante delle critiche che gli sono precipitate addosso da ogni parte Roberto De Mattei, storico del Cristianesimo e vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche, non deflette. L´uscita del volume Evoluzionismo. Il tramonto di un´ipotesi, che raccoglie gli atti di un seminario da lui organizzato nel febbraio scorso, e pubblicato con il contributo (9.000 euro) del Cnr, ha scatenato parecchie reazioni. Le tesi creazioniste sostenute da De Mattei, hanno detto scienziati come Piergiorgio Odifreddi, Nicola Cabibbo, Telmo Pievani, non hanno nulla a che vedere con la ricerca scientifica e non dovrebbero godere di finanziamenti pubblici (già così scarsi). E ora De Mattei, che crede fermanente nella "discussione aperta" vuole replicare al fronte dei suoi avversari.
Professore, è giusto che il Cnr finanzi delle iniziative che secondo la comunità scientifica si basano su teorie infondate?
«Il contributo finanziario è stato minimo ed è servito allo scopo, che era quello di aprire una discussione su idee che altrimenti sarebbero passate sotto silenzio. Ora tutti si concentrano su questo aspetto e nessuno vuole discutere nel merito i contributi del libro».
Ma la comunità degli scienziati non ritiene che le idee creazioniste abbiano una base scientifica. Per questo non le vuole discutere. Sarebbe come, si dice, mettere ogni giorno in discussione l´acquisizione che è la terra a girare intorno al sole e non viceversa.
«Io credo che la scienza debba procedere per tentativi, errori e confutazioni. Quindi gli scienziati non dovrebbero atteggiarsi a casta intoccabile e invece aprirsi alle idee critiche. Invece non vogliono nemmeno esaminare i contributi scientifici che abbiamo portato nel nostro seminario. Perché la messa in discussione delle teorie darwiniane ha solide basi scientifiche, lo ripeto. Mentre la verità è che nessuno finora è riuscito a dimostrare la teoria evoluzionistica. Che è una vera e propria posizione filosofica, basata cioè su convinzioni generali di fondo e non su evidenze sperimentali».
E come spiega allora che gli scienziati "evoluzionisti" hanno ognuno una propria idea del mondo che può essere classificata atea, marxista, postmoderna, cristiana o buddista, mentre i "creazionisti" sono tutti cristiani?
«Guardi, per questo apprezzo la coerenza di Odifreddi, quando dice che dall’evoluzione così com´è spiegata da Darwin consegue che non esiste il peccato originale e quindi la venuta di Cristo sulla terra non ha senso. Mentre trovo incredibilmente incoerente che ci si possa dichiarare cristiani ed evoluzionisti. E mi chiedo come uno scienziato su queste posizioni come Cabibbo possa presiedere la Pontifica accademia delle Scienze».
Ma oggi la chiesa non ha più un atteggiamento di condanna verso le teorie darwiniane. Lei vorrebbe dare lezioni di coerenza anche alle gerarchie ecclesiastiche?
«Senza dubbio in alcuni ambienti ecclesiastici c´è un atteggiamento debole, come un senso di inferiorità verso certi ambienti intellettuali. E questo anche in posizioni di vertice. Certo non in Benedetto XVI che ha una posizione critica sulla teoria dell´evoluzione. Esistono invece vescovi e teologi che la accettano, e sono gli stessi per esempio che sostengono che il libro della Genesi è una metafora e che non va preso alla lettera».
Non sarà convinto che il mondo è stato creato in sette giorni?
«Non, non dico questo. Credo però che Adamo ed Eva siano personaggi storici e siano i progenitori dell´umanità. Credo che su evoluzionismo e fede religiosa nel mondo cattolico ci sia una grande confusione, su cui occorrerebbe discutere. Comunque tutto ciò non ha a che fare con i contenuti del libro e del seminario che erano prettamente scientifici».

martedì 22 dicembre 2009

Repubblica 22.12.09
Il patto scellerato e il messaggio del Colle
di Massimo Giannini

Come Benedetto Croce, che nel ´48 invocava il suo celebre "Veni, creator spiritus" sull´assemblea convocata per scrivere la tavola delle leggi della Repubblica, così Giorgio Napolitano oggi sembra rievocare il ritorno di un impossibile «spirito costituente». Ma nelle parole del capo dello Stato c´è in realtà l´eco nostalgica per un tempo che non ritornerà.
È necessario auspicare che dall´aggressione al premier in Piazza Duomo possa nascere un «ripensamento collettivo». È giusto richiamare ancora una volta le forze politiche al senso di responsabilità e al «massimo di condivisione e di continuità nel tempo» che la gravità della fase economica e sociale richiederebbero. È doveroso appellarsi alle aspettative di quell´Italia sana che lavora e fatica, e all´esigenza di non lacerare quel «tessuto unitario» così solido e vitale.
È scontato, infine, rinnovare l´invito a fermare «la spirale di una crescente drammatizzazione delle tensioni tra le parti politiche e tra le istituzioni». Ma cosa può germogliare da tanta speranza, nel discorso pubblico italiano? Al di là della retorica sul "dialogo" e della polemica sull´"inciucio", maggioranza e opposizione parlano linguaggi incompatibili e alludono a scenari inconciliabili.Il presidente della Repubblica, da politico idealista ma realista, è il primo a rendersene conto, se si costringe ad ammettere che per le grandi riforme, economiche e politiche, non si vede «un clima propizio nella nostra vita pubblica». La ragione è più semplice di quello che la propaganda dominante vorrebbe far credere. Per il centrodestra, nella versione bellica di Berlusconi e a dispetto della sua fresca ispirazione "ghandiana", la parola "riforme" è una fantomatica esigenza collettiva che serve per vestire di qualche dignità una drammatica urgenza privata. Questo è l´assioma intorno al quale il presidente del Consiglio dispiega la sua geometrica potenza: una legge ad personam, che salvandolo dai processi pendenti, trasformi lo stato di diritto in "stato di eccezione". Tutto il resto, dall´elezione diretta del premier al Senato federale, viene dopo. Sono semplici corollari, utili alla sua biografia personale o alla sua geografia coalizionale. Se non c´è lo scudo processuale a breve per il suo capo, a prescindere dal tempo lungo delle modifiche per via costituzionale del Lodo Alfano e dell´immunità parlamentare, il Pdl non può concepire altre riforme di struttura. Per il centrosinistra, nella versione pragmatica di Bersani e a dispetto della controversa esegesi dell´intenzione dalemiana, si tratta di scegliere, molto semplicemente, se accedere o meno al "patto scellerato": fidarsi del Cavaliere, ingoiando la diciassettesima legge-vergogna per tentare uno sbocco all´eterna transizione italiana. Per ora il Pd sembra resistere al canto delle sireneberlusconiane. Dice no allo scambio nelle camere oscure, e opportunamente rilancia una sua agenda di riforme politiche, istituzionali e sociali nelle Camere parlamentari. E fa bene: le riforme appartengono al patrimonio genetico e culturale della sinistra italiana. Sono il suo dna storico e politico. Non bisogna aver paura di avere coraggio, come diceva Aldo Moro negli anni di confronto più serrato con Enrico Berlinguer. Napolitano tutte queste cose le sa, anche se non può dirle in chiaro. Ma da questa consapevolezza nasce il suo attuale pessimismo della ragione. Che lo costringe a tamponare per l´ennesima volta le forzature costituzionali di Berlusconi e le storture politiche della sua maggioranza. La farsa di un «governo che non può governare», e che invece in questi due anni, con la clava di ben 47 decreti legge, «ha esercitato intensamente i suoi poteri e non ha trovato alcun impedimento» finendo con l´umiliare il Parlamento. La leggenda di una giustizia che non funziona solo perché abitata da toghe rosse e pm politicizzati, mentre il giusto processo riformato nell´articolo 111 della Costituzione esigerebbe ben altri interventi a beneficio dei cittadini. Nel rispetto dell´«intangibile principio di autonomia e indipendenza della magistratura», ma anche di quel «senso del limite» che dovrebbe caratterizzare sempre i magistrati, chiamati a non esorbitare mai dai propri compiti e a non sentirsi mai investiti di «missioni improprie» (come forse è accaduto ad esempio in qualche passaggio del parere rilasciato dal Csm sul processo breve). Poi il romanzo del "presidenzialismo di fatto" e della sedicente "costituzione materiale" che ormai sopravanzerebbe la Costituzione formale: Napolitano, su questo, è stato netto come mai era stato, ripescando «l´illusione ottica» denunciata a suo tempo da Leopoldo Elia in quelli che scambiano «per mutamento costituzionale ogni modificazione del sistema politico», e aggiornandola con un esplicito riferimento alla modificazione della legge elettorale. E infine l´opera buffa del«complotto», tante volte messa in scena dal presidente del Consiglio e mai come stavolta sconfessata senza pietà dal presidente della Repubblica. Non c´è complotto possibile, di fronte a un governo che ha una maggioranza schiacciante. E persino di fronte alla tanto esecrata Costituzione, che per Berlusconi è un «ferrovecchio sovietico», mentre è il presidio più forte per le regole democratiche e per le istituzioni repubblicane. Quale può essere il terreno per «riforme condivise», in questo abisso di sensibilità politica e di cultura costituzionale? Oggi non c´è risposta. O meglio, ce ne sarebbe una sola, da non confondere con il conservatorismo costituzionale. Nel suo discorso alle alte cariche Napolitano vi accenna, quando parla di una «visione costituzionale» che dovrebbe accomunarci tutti e di un «gioco politico democratico» che andrebbe ancorato alla stabilità delle istituzioni. Nel suo "Intorno alla legge" Gustavo Zagrebelski è più esplicito, quando scrive di «volontà di Costituzione o il nulla». La Costituzione come "pactum societatis", presupposto per una convivenza civile, pacifica e costruttiva.
Se manca questo presupposto, si precipita nella kantiana "repubblica dei diavoli". La Costituzione diventa campo di battaglia e di sopraffazione. Non è forse questa la deriva italiana di questi ultimi anni?
m.gianninirepubblica.it

Repubblica 22.12.09
Un creazionista tra gli scienziati
Il caso di De Mattei vicepresidente del Cnr e delle sue tesi contro l´evoluzione
Fu una nomina politica: così la ricerca viene condizionata da fattori esterni
Per lui le specie sono create immutabili da Dio e la Terra ha pochi milioni d´anni
di Piergiorgio Odifreddi

Secondo il Decreto legislativo del 4 giugno 2003 sul "Riordino del Consiglio Nazionale delle Ricerche", il Cnr è «Ente pubblico nazionale con il compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del Paese, perseguendo l´integrazione di discipline e tecnologie diffusive ed innovative anche attraverso accordi di collaborazione e programmi integrati». Alcune vicende di queste settimane gettano però un´ombra su questa elevata dichiarazione d´intenti relativa alla massima istituzione pubblica di ricerca del nostro paese. Ci si è accorti, infatti, che dal 2004 il ruolo di vicepresidente del Cnr è ricoperto, per decisione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e su proposta del ministro dell´Istruzione, dell´Università e della Ricerca, all´epoca Letizia Moratti, da un candidato sorprendentemente fuori luogo: Roberto De Mattei, professore associato di Storia del Cristianesimo e della Chiesa alla privata Università europea di Roma, direttore del mensile Radici cristiane, dirigente di Alleanza Cattolica e consigliere dell´allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini per le questioni internazionali.
De Mattei ha agito discretamente fino agli inizi di quest´anno, quando è uscito allo scoperto con «un workshop promosso a Roma il 23 febbraio 2009 dalla vice presidenza del Cnr, per offrire un contributo scientifico al dibattito in corso nell´anno darwiniano», di cui sono appena usciti gli atti intitolati Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, a cura dello stesso De Mattei (Cantagalli, 2009). In tal modo il nostro massimo ente pubblico di ricerca scientifica si è trovato schierato, suo malgrado, a fianco dei creazionisti più retrivi, nel più ufficiale atto anti evoluzionista dopo il Decreto legislativo del 18 febbraio 2004 con cui la signora Moratti abolì l´insegnamento dell´evoluzionismo nelle scuole medie, poi parzialmente rientrato a causa della protesta popolare guidata dai due premi Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco.
Leggere gli atti del suo convegno o discutere col professor De Mattei è un´esperienza sconcertante: in contrapposizione ai suoi modi raffinati e gentili, le sue affermazioni sono infatti una vera e propria summa della disinformazione più grossolana e presuntuosa a proposito di Darwin, del darwinismo e della scienza. Niente di male, ovviamente, se non fosse che queste affermazioni vengono appunto dal vicepresidente del Cnr, che per l´articolo 4 del regolamento, «ha compiti di indirizzo e programmazione generale dell´attività dell´Ente». E ci si può domandare che indirizzo o programmazione possano mai venire da chi confonde l´evoluzionismo con una teoria su «la nascita e la trasformazione dell´universo da una materia primordiale», includendovi esplicitamente due supposti «problemi senza risposta»: quello fisico dell´origine dell´universo (mai sentito parlare del Big Bang?) e quello chimico dell´origine della vita, nessuno dei quali ha ovviamente nulla a che vedere con la teoria biologica di Darwin, che si interessa di come la vita si è evoluta sulla Terra una volta che abbia avuto origine. Ancor meno hanno a che vedere con l´evoluzionismo la teoria di Marx e la pratica di Hitler, non più di quanto non l´abbia con la religione il fatto che il primo era ebreo e il secondo cattolico. Hanno invece molto a che vedere con il darwinismo obiezioni quali gli anelli mancanti o gli organi complessi, e infatti Darwin dedicò ben due terzi de L´origine delle specie a rispondere a esse: fatica sprecata, ovviamente, visto che né De Mattei né gli anti evoluzionisti come lui si sono mai degnati di leggerlo e di studiarlo, limitandosi a criticarlo senza conoscerlo.
Quando poi De Mattei e i suoi sodali arrivano a scrivere e dire che la Terra non ha qualche miliardo, ma solo qualche milione di anni, o che i dinosauri sono scomparsi non sessanta milioni, ma poche migliaia di anni fa, o che le specie sono state create immutabili dal Creatore, non si può che lasciarli andare per la loro strada, ma ci si deve domandare come sia mai stato possibile che questa strada passasse per il Cnr. E viene il sospetto che la nomina a vicepresidente di De Mattei nel 2004, e la sua riconferma nel 2008, non siano state altro che dei riusciti tentativi di infiltrazione fondamentalista e antiscientista dell´Ente, così come le vicende di un paio d´anni fa relative alla nomina del presidente del Cnr sono state un analogo, ma questa volta fallito, tentativo di boicottaggio.
Per chi non lo ricordasse, l´attuale presidente è stato nominato da Romano Prodi il 21 dicembre 2007, su proposta dell´allora ministro per l´Università e la Ricerca Fabio Mussi, che dichiarò di «aver usato, senza essere obbligato dalla legge, i comitati di ricerca che hanno presentato una terna di nomi: in tal modo è stato sottratto alla politica il potere unilaterale di scelta». Questa cadde sul fisico Luciano Maiani, ma il 16 gennaio 2008 la sua nomina fu bloccata in Senato perché il candidato aveva firmato l´appello dei 67 professori della Sapienza contro la presenza del Papa all´inaugurazione dell´anno accademico, in protesta per le posizioni su Galileo espresse da Joseph Ratzinger in una precedente visita da cardinale. La nomina di Maiani fu comunque ratificata il 30 gennaio in commissione al Senato, dove l´opposizione di centrodestra non partecipò al voto, e il giorno dopo alla Camera. Ma il 7 febbraio l´onorevole del Pdl Gabriella Carlucci, membro della commissione Cultura a Montecitorio, aprì un altro fronte con una lettera a Prodi, negando che Maiani fosse «un fisico di alto profilo dotato di grandi capacità manageriali», e affermando invece che egli aveva semplicemente «avuto la fortuna di lavorare per un semestre ad Harvard con Sheldon Glashow (premio Nobel per la Fisica nel 1979) con il quale pubblicò l´unico suo lavoro degno di interesse. Lavoro che firmò ma che chiaramente non capì, visto che nel 1974 lo rinnegò pubblicando un altro lavoro (nota bene: insieme a Cabibbo, Parisi e Petronzio) dove confusero particelle elementari di proprietà fisiche diverse».
L´ex soubrette, di cui fino ad allora non si conosceva nessun background scientifico, aggiunse per buona misura un commento sulla «tanto pubblicizzata scuola romana della Sapienza: i famosi "eredi di Fermi" che ancora non hanno prodotto nulla di scientificamente rilevante, ma che sono molto abili nel procurarsi posizioni di potere». Il 14 febbraio Glashow le rispose per le rime, difendendo Maiani e ricordando a Carlucci che «agli occhi di un ricercatore straniero, se c´è qualcosa che può danneggiare l´immagine delle istituzioni scientifiche del paese è proprio la volgarità e la falsità di questi tentativi di denigrazione di alcuni degli scienziati italiani più distinti».
Lo scambio continuò, con Carlucci che domandava come mai Maiani e i suoi amici non avessero allora vinto il premio Nobel, e Glashow che spiegava pazientemente che «ci sono molti più candidati che premi». Il colmo del surreale fu toccato il 28 febbraio, quando Carlucci pubblicò sul suo blog l´articolo che la turbava, intitolato Il mesone vettore 3014 MeV è il Psi-charm il WO?, di cui ovviamente non poteva capire una parola. E il 6 marzo rivelò chi l´aveva imbeccata, scrivendo che la vicenda in questione «tarpò le ali a Zichichi, che non ricevette finanziamenti per il suo esperimento: la storia successiva ha dimostrato che avrebbe avuto ragione».
Naturalmente l´onorevole Carlucci non ha avuto niente da dire a proposito della nomina a vicepresidente di De Mattei nel 2004, né della sua riconferma nel 2008. Gli elettori in generale, e gli scienziati in particolare, dovrebbero invece avere molto da dire a proposito della permanenza di lei in Parlamento, e di lui al Cnr. Auguriamoci che lo dicano forte, chiaro e presto!

City 22.12.09
Intervista a Marco Pannella: Vita e politica, 80 anni di “impresa”
di Davide Casati

Da decenni lei è protagonista della scena politica. Ma non ha mai preteso per sé ministeri, poltrone, cariche. Che cos’è, per lei, la politica? E quanto è distante la sua idea di politica da quella che vede intorno a sé?
La politica per noi è stata ed è, da oltre 50 anni, in senso proprio e per estensione, impresa; come sono sempre state chiamate in storia le grandi imprese. Impresa di ricerca, concepimento ideale, di formazione civile, sociale, finalizzata legislativamente, per generare il nuovo possibile, l’impossibile di ieri. Per me imprenditore è ed è stata pratica-teorica di convivenza, co-nascita e conoscenza con le esistenze delle persone con cui ci siamo – in responsabilità e libertà – conosciuti, riconosciuti, uniti.
La vicenda del Partito Radicale si lega profondamente a lotte per i diritti civili. Quale battaglia ricorda in modo particolare, quale andrebbe condotta con forza oggi?
Ricordo quella ingaggiata da un secolo, alimentata dalla religione della libertà e dalla responsabilità della democrazia, cancellata in Italia prima dal ventennio partitocratico fascista e poi dal sessantennio partitocratico antifascista. La battaglia per superare i colpi di coda reazionari di una parte della specie umana che ha terrore genetico della libertà e dell’amore, che si vanno finalmente affermando come fine dell’uomo e contributo al progresso contro la distruzione del mondo.
Si sente molto invocare il "rinnovamento", l'arrivo di "giovani" in politica. Lei dice, però: "Il mondo giovanile, preso nell'insieme, è quello più inesperto e più coinvolgibile nel nuovo con una non diffusa capacità di ascolto critico. Per capire il tempo bisogna far ricorso all'esperienza dei saggi". Trova quella attuale una generazione di giovani senza memoria?
E’ una generazione più intelligente, che, come sempre, acquisirà crescendo esperienza e saggezza. Fermo restando che ogni generazione partecipa a una “storia” di cui la memoria è patrimonio in continua ricostruzione. O anche in distruzione.
I suoi metodi di protesta - resistenza passiva, non violenza, scioperi della fame e della sete - fanno oggi, forse, meno notizia di un tempo. Perché? C'è più disattenzione? Si dice "è il solito Pannella"?
La querelo o la picchio, se osa dire che i nostri metodi sono di “protesta”! Apprenda il significato della nonviolenza e dei satyagraha (della e per la forza del vero, delle realtà, della parola data, della “proposta”). Come – grazie a Marco Cappato - ha dichiarato il Parlamento Europeo, la politica dei diritti umani richiede la nonviolenza come unica arma adeguata per il suo compimento nel mondo. Il fatto che in Italia io rappresenti un po’ tutto ciò, spiega rispetto e affetto che sento spesso nella gente per “il solito Pannella”.
Nel libro scrive: "Se si ascolta una voce sola si finisce per credere a ogni promessa, a ogni suggestione. Le dittature del Novecento si sono basate sull'ascolto. Anzi: sull'ascolto della radio. La parola del tiranno [...] con i mass media arriva direttamente". Vede pericoli in questo senso in Italia, dove il sistema delle comunicazioni è pesantemente condizionato dai partiti? Perché parla di "contesto di scomparsa della democrazia che avvertiamo intorno"?
Non vedo “pericoli”, ma il proseguirsi sciagurato del peggio del secolo scorso, metamorfosi di quel male che in questo sessantennio si è vestito di antifascismo, per riaffermare invece il male totalitario fascista, comunista o fanatico che sia stato o sia. Noi chiediamo fiducia al Paese. Se sarà possibile, son certo che, malgrado l’assenza di democrazia e la corruzione partitocratica, riusciremo a sostituire il regime con uno nuovo. Con un Governo democratico, liberale, laico, federalista, di progresso. Esagero? Provare per credere!
Di Berlusconi scrive: "Non ha formazione politica. E’ intelligente, è capace. Ma non ha il senso delle compatibilità. E questo lo fa sconfinare molte volte nella volgarità”. Come commenta le sue parole su temi istituzionali di questi ultimi giorni?
Spaventato da cose ormai più grandi e gravi di lui, divenuto ultimo prodotto di quella partitocrazia che era nato per combattere. Abbiamo tentato solo noi di aiutarlo. Non ce l’ha permesso. Ormai si tratta di salvare anche lui e, per salvare il Paese, tutti noi. Si è creduto capace davvero, ma davvero di tutto. La Storia ci insegna che quelli come lui rischiano di condurre alla catastrofe anche se stessi, oltre che un intero Paese se questo non riesce a fermarlo e a sostituirne idee, ideali e quel “potere” partitocratico impotente - quindi prepotente - con un governo di grande radicalità riformatrice.
Parole di grande rispetto, nel libro, per il presidente della Camera Gianfranco Fini. Come giudica le tensioni in atto con il premier? E’ lui il futuro leader del centrodestra?
Lo conosco da trent’anni. Sono stato attento a lui e finora – ripeto, finora – l’ho visto crescere umanamente, culturalmente, ascoltando dentro di sé ciò che ha avuto origine dalla sua storia e da una natura certo non “antifascista” ma tantomeno “fascista”, ma alla fine convergente con la nostra. Speriamo, noi Radicali, di poterlo aiutare in questo cammino.
Tra le riforme di cui parla, cita come centrale quella della giustizia, "per evitare [...] i 150mila processi che ogni anno finiscono in prescrizione. I peggiori delinquenti, se ricchi, finiscono in prescrizione". Appoggia i tentativi di riforma messi in campo dalla maggioranza o li trova leggi ad personam mascherate?
La giustizia italiana è ridotta a sciagura per lo Stato e la società. La sua appendice è il mondo carcerario: una vergogna intollerabile, che impone una nuova forma di tortura di massa ai suoi abitanti. Dirigenti, personale penitenziario, universo dei detenuti. Finora hanno tutti, in genere, saputo miracolosamente convertire umiliazioni e sofferenze in una straordinaria testimonianza di crescita civile e umana
Nella foto che accompagna nel libro gli "elementi biografici", lei appare con i suoi genitori. Che cosa ha appreso da loro, che cosa le hanno trasmesso che ritrova nella sua azione politica e nelle sue convinzioni personali?
Anni fa un celebre endocrinologo svizzero, Vannotti, dopo un esame mi disse: “Le direi di ringraziare Dio, comunque ringrazi i suoi genitori, che le hanno trasmesso geni tali da renderla capace davvero di tutto. Avrebbe potuto vincere Nobel e olimpiadi, mi creda. Sono strafelice di averla studiata e curata, lei invece ha deciso di fare…il Pannella”. Li continuo ad amare e rispettare, se mi riesce, grazie alla capitiniana e buddista compresenza di vivi e morti, dicendo loro: siamo insieme amore e ve ne ringrazio.
Il libro termina con una citazione di Montanelli che, tornando sui luoghi della sua infanzia, diceva: "risento l'odore scomparso di bucato". "Anch'io"- scrive – "immagino quell'odore come compagnia del tempo futuro dopo la vita". Qual è il suo rapporto con la spiritualità? Crede in "un tempo futuro dopo la vita"?
Montanelli aveva evocato, parlandomene e scrivendone, l’odore scomparso di bucato ma parlando di noi Radicali e del suo insopportabile amico che ero e sono. Anni fa un abate di Boquen in televisione mi dichiarò: “piuttosto che un finale conflitto ‘fra scienza e fede’, penserei a uno fra ‘spiritualità e i religiosi potenti’.
Grazie amici di City, molte altre risposte sono nel libro di Stefano Rolando e Marco Pannella (Bompiani, 15 euro o 12 euro su www.lafeltrinelli.it). Un buon dono di Natale e, per come mi vedo allo specchio, per la Befana.

lunedì 21 dicembre 2009

Repubblica 21.12.09
Silvio scommette sulla pacificazione "Credito al Pd per isolare i falchi"
Bersani: no a leggi ad personam, facciamogli scoprire le carte
Da Berlusconi apprezzamento anche per D´Alema: "Il nodo è battere l´ala giustizialista"
Il Cavaliere è però contrario a nuove Bicamerali: "Non mi evoca buoni ricordi"
di Carmelo Lopapa

ROMA - «Dobbiamo aprire senza riserve a Bersani e D´Alema. Sono loro i nostri interlocutori. È a loro che dobbiamo dare un segnale, convincerli a dialogare per isolare gli estremisti, Di Pietro e le frange giustizialiste che si annidano anche dentro il Pd». Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo ha detto a Bossi, Calderoli e Tremonti durante la cena di sabato sera a Villa San Martino. Lo ha ripetuto ieri per tutto il giorno a chi lo ha sentito al telefono, nella prima giornata di vero relax, a una settimana dall´aggressione. L´obiettivo è partire con le riforme, Bicamerale o no, magari dalla Bozza Violante, comunque da gennaio.
Porte finalmente chiuse alle decine di visitatori, ad Arcore. Il Cavaliere si concede un´unica uscita telefonica con la quale dipana la nuova strategia del doppio binario. Il binario del dialogo, in virtù del quale - spiega ai militanti veronesi - si impegna a «lavorare più di prima nell´interesse di tutti», considerando gli avversari non più «nemici». E in tal senso da lì a qualche ora apprezzerà molto l´intervista con cui Massimo D´Alema invita l´opposizione a «mettersi in gioco» per le riforme. «È a lui e a Bersani che dobbiamo lanciare un segnale» ripete il premier in privato. Segnato che prende corpo con la strada spianata all´ex ministro degli Esteri per la presidenza del Copasir, il comitato di controllo sui servizi, soprattutto grazie all´intenso lavorio di Gianni Letta. Ma c´è anche un secondo binario, al quale il premier non rinuncia. Quello che dovrebbe portare all´isolamento degli «estremisti», del cosiddetto «partito dell´odio», di coloro che lo additano come «tiranno» e hanno indirettamente «armato l´aggressore». Per farla breve, spaccare il sodalizio Pd-Idv.
Ma è sulla nuova leadership Pd e sul dialogo possibile che il presidente del Consiglio si concentra in convalescenza. È partito da Villa San Martino l´input diramato 48 ore fa da Paolo Bonaiuti a ministri e parlamentari affinché tutte le dichiarazioni ruotassero attorno alle due parole d´ordine «riforme» e «pacificazione». Se n´è fatto portavoce soprattutto Giulio Tremonti annunciando che «è arrivato il momento» di farle, «con la Bicamerale o in Parlamento». Berlusconi è d´accordo su tutto, tranne che sullo strumento: «Giulio, sai come la penso - gli ha detto sabato sera - non mi convince del tutto la Bicamerale, non evoca buoni ricordi». Anche se il partito della Bicamerale cresce, proprio nel governo. Big sponsor Tremonti e il leghista Calderoli. Tra gli altri anche Gianfranco Rotondi: «Meglio chiamarla Assemblea costituente, con una durata definita, due anni e mezzo. Sarebbe un modo per blindare la legislatura. Silvio lo convinceremo, perché in caso di successo potrà proiettarsi sulla terza Repubblica, con rinnovate ambizioni presidenziali». Inutile dire come l´abbassamento dei toni e il volo di colombe conforti la terza carica dello Stato, Gianfranco Fini, che ancora giorni fa rilanciava un patto costituente auspicando che «il 2010 diventi l´anno delle riforme». Ma sarà un tornante difficile - ricorda il vicecapogruppo Pdl Osvaldo Napoli, lasciando intendere quanto il clima sia cambiato - «servirà la collaborazione di tutti: sarà decisivo un incontro fra Berlusconi e Fini». I due non hanno ancora fissato la data, pur intenzionati a vedersi a giorni. Sul dialogo incombono tuttavia leggi ad personam e processi milanesi. Un nuovo lodo costituzionale è in arrivo prima delle feste, conferma l´arterfice Gaetano Quagliariello. E non ci sarà «marcia indietro su processo breve» e legittimo impedimento. Berlusconi si attende dal Pd un no in aula, ma non barricate in piazza o raccolta firme. Il leader Bersani ha già convocato la segreteria allargata per domani, occasione per ribadire la linea: «Mai leggi ad personam, ma siamo il partito delle riforme, dobbiamo andare a vedere». Tanto più se si partirà dalla "loro" Bozza Violante. Dopo di che, fanno notare dalla segreteria, in piazza il Pd non si è arroccato neanche al "No B-day", l´opposizione si farà in Parlamento. «Ma prima il guardasigilli Alfano - avverte Anna Finocchiaro - dovrà venire a spiegarci quale sarà il disegno complessivo sulla giustizia».

l'Unità 21.12.09
Antonella Pozzi
Cura e prevenzione della follia
risponde Luigi Cancrini
Perché, anziché parlare di istigazioni prima e “tendenza emulativa” che potrebbe generarsi poi dal gesto del folle che ha ferito Berlusconi, non si sente la necessità di rilanciare sul tema della malattia mentale e delle possibili appropriate soluzioni per affrontarle?
RISPOSTA In una ricerca di Saman, le comunità terapeutiche in cui lavorò Rostagno, abbiamo verificato cos’ era accaduto, due anni do- po la fine del programma, a 150 detenuti tossicodipendenti che aveva- no chiesto ed ottenuto di espiare la pena in comunità all’interno di un programma terapeutico che coinvolgeva i loro famigliari. Incredibile ma vero, i risultati di questa ricerca ci hanno permesso di verificare che non più del 2% (3 su 150) dei nostri utenti aveva avuto ricadute e/o problemi con la giustizia e che solo il 10% sporadicamente usava ancora delle droghe leggere. Rifletteranno mai su dati come questi i legislatori che si occupano di carceri, di giustizia e di salute mentale? Entrerà mai nella cultura della gente e dei servizi la convinzione per cui le “appropriate soluzioni” di cui lei parla si basano sull'idea per cui l'uomo che sta male deve essere restituito a sé stesso con un lavoro psicoterapeu- tico prima che “costretto” o “sedato”? La prevenzione e la cura delle condotte auto ed etero lesive, dalle droghe al terrorismo, sono possibili. A non saperlo purtroppo sono quelli che decidono.

Repubblica 21.12.09
Il segretario di Rifondazione Ferrero disponibile ad un "fronte comune" con Pd, Udc e Idv
"Pronti ad accettare Casini premier pur di battere la destra di Berlusconi"
A questo punto sono pronto ad allearmi pure con il Diavolo. Poi si cambi la legge elettorale con il modello tedesco
Sono d´accordo con un nuovo Cnl. Noi non entreremo nel governo, con il sistema di voto della Camera è possibile
di Umberto Rosso

ROMA - «Sono pronto ad allearmi anche con il diavolo, a questo punto». Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, è preoccupato. Dopo la caduta del governo Prodi e la "corsa" solitaria alle ultime elezioni, mette sul tavolo la disponibilità a organizzare una nuova alleanza per battere il Cavaliere. È pronto persino ad accettare che sia Pier Ferdinando Casini il candidato alla premiership. «Berlusconi minaccia la democrazia - avverte - . Siamo al golpismo strisciante».
Il Pdl la accuserà di seminare odio.
«Io sono un non-violento, ma non mi faccio imbavagliare. Che un mattacchione sia arrivato in piazza Duomo con una statuetta, non dimostra alcun complotto. È il nostro paese a rischio con questo premier».
Che cosa pensate di fare?
«Da segretario della Federazione della sinistra, oltre che di Rifondazione, lancio una proposta a chi ci sta. Un fronte comune per liberarci di Berlusconi, una coalizione di difesa della Costituzione».
Compresi Casini e Di Pietro, oltre al Pd?
«Tutte le forze disponibili. Casini ha già parlato, sostanzialmente, di un nuovo Cnl anti-Berlusconi. Sono d´accordo con lui».
Un fronte comune che si presenti insieme in caso di elezioni anticipate?
«Certamente. Con al centro due questioni-chiave. Primo: difesa della democrazia e legge sul conflitto di interessi. Secondo: una futura legge elettorale, sul modello tedesco, per chiudere con la sventurata stagione del bipolarismo».
Rifondazione non aveva rotto per sempre con i governi di centrosinistra?
«Infatti noi non entreremmo a far parte di un eventuale esecutivo, se la coalizione dovesse vincere le elezioni. Si faccia un "accordo di governo" all´interno del fronte comune, fra le forze che lo condividono. La sinistra ne resterà fuori, non ripeteremo l´esperienza del governo Prodi».
Senza mettere becco nella scelta del leader, dovesse essere anche Casini o un uomo del centro?
«Senza mettere becco sul candidato premier, è una questione che riguarderebbe i partiti che hanno firmato l´accordo di governo».
Una specie di neo - desistenza politica fra Rifondazione e il centrosinistra.
«Io la chiamo una somma di voti per l´emergenza democratica».
E poi il Prc ricomincerebbe come al solito a far ballare in Parlamento la coalizione.
«Con l´attuale legge elettorale, il premio di maggioranza è tale da assicurare pieni margini di manovra all´accordo di governo».
Insomma, i parlamentari eletti della sinistra stavolta non avrebbero i numeri per far saltare il centrosinistra. Franceschini, però, ha appena detto di no al modello tedesco.
«Dentro il Pd altri dicono di sì, e lo dice anche Casini. Vedano un pò, nel partito democratico, se è proprio il caso di andare avanti con la sciagurata teoria veltroniana dell´autosufficienza, e lasciare così il paese nelle mani del presidente del Consiglio. Che può ridurre uno come Fini a sua appendice proprio grazie alla legge che c´è. Un meccanismo infernale che mette insieme persone che non hanno nulla in comune, un Pisanu con tipi alla Borghezio».
Ci risiamo? Ha pure paragonato Berlusconi al mostro di Marcinelle.
«Non ho affatto detto che il premier è un mostro, ma che mettere nelle sue mani le riforme è come affidare un asilo al violentatore di Marcinelle».
E alle regionali, segretario?
«Non mettiamo veti, ma confronto sui contenuti. Come la nostra campagna referendaria contro il nucleare e la privatizzazione dell´acqua. Pronti a sostenere Vendola in Puglia ma a Sinistra e Libertà chiediamo di difenderci in Lombardia dai diktat Pd di Penati».

Repubblica 21.12.09
Nazisti d’Europa
Dopo lo sfregio di Auschwitz viaggio tra le formazioni dell´estrema destra Ecco chi sono i nuovi fanatici E dove vogliono arrivare
di Paolo Berizzi

Sono giovani, si collegano attraverso Internet e definiscono la Shoah un bluff
Partiti e partitini, poi skinhead, ultrà, picchiatori di strada. Si stima siano oltre 250 mila
Chi sono i ladri profanatori di Auschwitz? Perché hanno colpito? Una galassia di gruppi xenofobi e neonazisti cresce dalla Spagna alla Polonia, fino alla Russia. Si tratta di movimenti frammentati che cavalcano nazionalismo e localismo. Ecco una fotografia delle formazioni razziste che guardano al Terzo Reich

Chi sono e da dove muovono i ladri profanatori di Auschwitz? Perché hanno colpito? «È una dichiarazione di guerra», dice secco Avner Shalev, direttore del museo dell´Olocausto a Gerusalemme. Per capire le sue parole bisogna guardare la fotografia della "scena" nazionalista, neonazista e antisemita che sta montando in Europa. Un vento che soffia con forza dall´Est: dalla Polonia all´Ungheria fino all´ex Unione sovietica. Una galassia complessa e frammentata. Che si ispira direttamente al Terzo Reich (anche nei simboli: svastiche, croci runiche e diagonali, sigle e anagrammi e caratteri pangermanici). Che cavalca nazionalismo e localismo per approdare a derive antisemite.
In nome della battaglia anti-mondialista. Da lì a definire la Shoah e i forni crematori un "bluff" ebraico, il passo è breve. Il network neonazista estende i suoi confini dal cuore della Germania alla Francia, dalla Spagna "falangista" ai paesi scandinavi, dall´Inghilterra ai nuovi laboratori dell´Est, Polonia, Ungheria, Romania, dalla Grecia a Cipro passando dall´Italia e risalendo fino alla Russia. «Si sta diffondendo un nuovo-vecchio odio verso gli ebrei, che è poi di fatto una continuazione - ragiona Cono Tarfusser, già procuratore capo di Bolzano, oggi giudice della Corte criminale internazionale dell´Aia - . È un sentimento viscerale e al tempo stesso vuoto, messo in giro dalle formazioni nazionaliste a forte impronta xenofoba. La novità non è tanto che l´ostilità non va più solo contro gli immigrati, gli omosessuali, le minoranze etniche e religiose ma anche contro gli ebrei - quelli di oggi e quelli di ieri. La novità - spiega - è che la società, con la sua assenza di cultura, non riesce più a mettere degli argini naturali in grado di isolare questa gente, di sottrargli spazio, terreno di coltura».
Tarfusser a Bolzano ha creato un pool di magistrati anti-naziskin, la nuova "Gioventù hitleriana" che si muove in Alto Adige. «Preoccupa, oltre al qualunquismo rabbioso di queste bande, la precoce età dei militanti, che agiscono perché trovano spazi politicamente fertili. Disagio sociale, crisi economica, globalizzazione degli Stati e immigrazione: tutti elementi che i partiti e le organizzazioni paranaziste sfruttano per fare proseliti. Oggi, e dalla fine del comunismo, questo fenomeno ha dimensioni importanti soprattutto nell´Est».
Partiti e partitini, e poi skinhead, hammersin, bonhead, ultrà, picchiatori di strada. Si stima siano oltre 250 mila i militanti neonazisti in Europa. Altri 50 mila nella sola Russia. La rete di collegamento è Internet. E guai a chiamarsi nazisti.
In Polonia spopola la Lega delle famiglie polacche, l´alleanza dei partiti nazionalisti che ha eletto presidente della Repubblica Lech Kaczynski. Determinante per la vittoria al ballottaggio del 2007 è stato l´aiuto di Radio Maryja, un´emittente clericale, anti-comunista ma soprattutto anti-semita (più volte condannata dallo stesso Vaticano) che si rivolge a due milioni di elettori. La Polonia confina a ovest con la Germania e a sud con Repubblica Ceca e Slovacchia. L´Npd (partito nazional democratico tedesco, fondato 45 anni fa da ex appartenenti al partito socialista del Reich tedesco) di Ugo Voight continua a piazzare suoi rappresentanti nei lander. Nonostante la maggior parte della popolazione lo definisca un partito filo-nazista, razzista e anti-semita.
Ancora Europa centrale. Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia: tre giovani democrazie risorte dopo mezzo secolo di comunismo, oggi nella Ue. A Bratislava l´estremismo antisemita è stato sdoganato al governo dal premier socialdemocratico-populista Robert Fico. «La fine del comunismo ha fatto saltare il tappo che comprimeva l´estrema destra, allora era marginale ma oggi cresce più che da ogni altra parte», spiega Giuseppe Scaliati, autore del saggio La destra radicale in Europa (Bonanno editore). A Budapest i 7 mila adepti della Guardia Ungherese sfilano in centro in uniforme nera, sventolando i gagliardetti delle "Croci frecciate" alleate di Hitler. Evocano l´Olocausto, sognano una "soluzione finale alla questione zingara", affrontano la polizia in violenti scontri nelle strade di Praga. Zingari e rom sono finiti anche nel mirino dei romeni di Noua Dreapta (Nd), gli estremisti che si rifanno alla Guardia di Ferro dell´anti-semita Corneliu Zelea Codreanu (attiva negli anni ‘30). Giovani, camicie nere o verdi, si considerano la più importante organizzazione neo-legionaria della Romania. «Vogliamo risvegliare le coscienze avvertendo dei pericoli che minacciano il popolo romeno», tuona il leader 30enne, Tudor Ionescu. L´opera di proselitismo si è allargata agli immigrati che vivono in Italia (Padova, Roma). Come quella dei partiti oltranzisti cresciuti nell´ex Jugoslavia. In Serbia e Croazia il "nostalgismo" per i vecchi leader nazional socialisti fautori della pulizia etnica si mischia all´insofferenza verso le lobby ebraiche. «Sono le zone balcaniche il laboratorio privilegiato dei nuovi nazisti - ragiona Saverio Ferrari, Osservatorio democratico sulle nuove destre - una cinghia di raccordo tra i movimenti dell´Europa occidentale e quelli dell´Est. I neofascisti italiani hanno rapporti intensi con le organizzazioni di questi paesi».
La Russia. Sarebbero oltre 50mila, secondo fonti di polizia, i militanti neonazisti attivi nell´ex impero sovietico. Solamente San Pietroburgo conta 20 mila skinhead. Autori di aggressioni contro cittadini stranieri, al grido di "la Russa ai russi". "Unità nazionale russa", "Gruppo socialismo nazionalista-potere bianco": sono le due sigle più importanti. Accanto ai picchiatori di Combat 18, quelli dei video coi pestaggi e le parate naziste su Youtube. Nel 2007 ne girò uno drammatico: neonazisti che decapitano un prigioniero caucasico ("negro", poiché originario del Caucaso). La firma: i nazionalsocialisti di "Rus" (termine usato dai neonazi per definire la madre patria). Altri partiti di riferimento sono il Partito nazionale del popolo (15mila militanti, la metà sotto i 22 anni) e il Partito liberal democratico di Vladimir Zhirinovsky, già vice presidente della Duma, il parlamento russo, costretto nel 2003 ad ammettere le sue origini ebraiche.
Fanno paura i Nazional socialisti di Konstantin Kasimovsky, riferimenti all´ideologia hitleriana, per simbolo una croce nera che richiama il labarum cristico (PX). Si sa che le gesta dei capi vengono sempre ammirate. In Inghilterra, dopo l´aggressione del leader del British national party Nick Griffin ai danni di un insegnante ebreo, è cresciuta l´intolleranza verso la popolazione di origine israeliana. Come in Francia, dove il Front national di Jean Marie Le Pen dopo la flessione seguita all´exploit elettorale del 2002 (17,79%), sta risalendo la china. In Spagna avanzano i neonazisti della Falange, che fanno breccia tra i giovanissimi. In Grecia Alleanza patriottica ha eletto il proprio leader in parlamento, e gli estremisti di Laos e Albadoro vogliono bissare l´edizione 2006 di Eurofest, una Woodstock neonazista. Poi ci sono quelli che non dissimulano. In Svezia sta tornando di moda il Partito del Reich nordico, fondato nel 1956 e ancora guidato dal battagliero Assar Oredsson. Scendendo a Sud, riecco gli oltranzisti austriaci del Bzoe di Jorg Haider, partito che ancora governa in Carinzia. Informative dei servizi tedeschi parlano di gruppi neonazisti attivi sul confine tra Austria e Germania. Meta di riferimento: Branau, la città natale di Hitler.
Infine l´Italia. Che non si fa mancare niente. Compreso un disciolto (da poco) Movimento dei lavoratori ispirato al Partito nazional socialista dei lavoratori (nel 2006 riuscì a far eleggere dei consiglieri nelle province di Varese, Como e Novara). Anche da noi l´arcipelago dell´estrema destra antimondialista è frammentato. Da una parte Forza Nuova (il leader Roberto Fiore è segretario generale del Fronte nazionale europeo, la casa comune dei partiti europei di estrema destra); dall´altra il circuito Casa Pound, che si ispira al poeta antisemita Ezra Pound. A Casa Pound aderisce anche Cuore nero, circolo neofascista milanese. Agosto 2008, copertina di "Doppio Malto", la fanzine ufficiale di Cuore nero: uno skinhead che brinda con un boccale di birra. Sullo sfondo, la "porta dell´inferno" del lager di Auschwitz. La scritta "Il lavoro rende liberi" - che allora era ancora al suo posto - fu sostituita da una più commerciale, e vergognosa, insegna. "Birrificio Cuore nero". A proposito.

Repubblica 21.12.09
Ecco l´orchestra "all women" contro tutte le discriminazioni Ieri sera all´Auditorium di Roma con Nada, Giovanna Marini e Raffaella Misti Un organico di 18 musiciste scelte dai Tetes de Bois per aiutare le donne a raccontarsi
di Federico Capitoni

Le donne italiane da oggi hanno una voce in più, una voce piccola che parla però a tutti. L´Orchestra delle Donne del 41° Parallelo, appena nata, è una formazione tutta al femminile; un organico di diciotto musiciste selezionate dai Tetes de Bois per aiutare le donne a esprimersi nella musica e raccontarsi al mondo: «Conosciamo le difficoltà alle quali vanno incontro gli aspiranti musicisti, difficoltà che aumentano se questi sono di sesso femminile - dice Andrea Satta, cantante dei Tetes de Bois - Abbiamo pensato che formare un´orchestra del genere potesse offrire un´occasione di più alle donne che vogliono fare musica. In un periodo in cui le case discografiche alzano bandiera bianca, è una proposta coraggiosa. L´idea rientra nel nostro più ampio progetto chiamato "41° Parallelo" (il parallelo comune a Roma e New York, Salonicco e Oporto), che ha come fine quello di mettere in contatto il più possibile le culture del mondo attraverso la musica».
Il primo concerto ieri sera all´Auditorium Parco della musica di Roma ha visto partecipazioni (a eccezione del direttore dell´orchestra, Stefano Scatozza) rigorosamente femminili: Nada, Giovanna Marini, Rita Marcotulli e Raffaella Misti. «Le ospiti della serata - continua Satta - leggono le lettere di ragazze sfruttate, maltrattate e discriminate. Amnesty International, che patrocina l´iniziativa, ci ha chiesto di raccontare queste storie dolorose testimonianti un mondo, a Oriente e a Occidente, che ancora ha poco rispetto per le donne».
Le musiche sono legate ai luoghi di provenienza delle lettere, si alternano brani tradizionali a brani originali scritti apposta per l´occasione. Si prevede poi che l´ensemble possa viaggiare nel mondo, anche oltre il 41° parallelo, in modo da accogliere al proprio interno nuove partecipazioni e far crescere l´orchestra: «C´è un´orchestra rom di Istanbul - spiega Satta - con cui siamo già in contatto e che ci piacerebbe poter integrare nella nostra. L´orchestra delle donne vorrebbe essere un po´ il testimone di tutto il nostro progetto: un viaggio intorno al pianeta anche per tentare di far confrontare le persone con ciò che esiste altrove».

Corriere della Sera 21,12.09
La morte di Montezeri e il dissenso che diventa «atto contro Dio»
di Paolo Lepri


Nel 1989 i pasdaran fecero ir­ruzione nella casa del Grande Ayatollah Hossein-Ali Montazeri, e lo umiliarono costringendolo a indossare un berretto da notte al posto del tur­bante bianco da religioso, quasi come se fosse stato l’Argante del Malato Im­maginario di Molière. La rottura era or­mai totale. Alcuni mesi prima l’erede designato di Ruhollah Khomeini, mor­to ieri a Qom, si era ribellato al leader della rivoluzione islamica per l’ondata di esecuzioni degli oppositori politici.
«La negazione dei diritti del popolo, l’ingiustizia e il disprezzo per i veri va­lori della rivoluzione hanno inferto i colpi più duri contro la rivoluzione stessa. Prima che qualsiasi ricostruzio­ne abbia luogo, ci deve essere una rico­struzione politica e ideologica». Que­ste le lungimiranti accuse che Montaze­ri aveva rivolto a Khomeini. Poi, non contento, la contestazione aperta con­tro colui che sarebbe diventato la Gui­da Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, del quale aveva discusso la possibilità di essere «una fonte di emulazione». A quelle parole coraggiose lo stesso Kha­menei ha risposto ieri, a venti anni di distanza, con altre parole oblique, in un certo senso beffarde. «Era un teolo­go apprezzato e un importante docen­te », ha affermato il «numero uno» del­la teocrazia iraniana, augurando all’ex rivale il «perdono di Dio» per quella che ha definito «la prova cruciale» cioè la sua dissociazione dal khomeini­smo.
Ancora una volta, e al massimo gra­do, il dissenso politico è giudicato in Iran un gesto blasfemo, un atto che sfi­da «il volere di Dio». Perché Montazeri era diventato in questi anni un punto di riferimento per gli avversari del regi­me e un oppositore della politica ag­gressiva del presidente Mahmoud Ah­madinejad: «Bisogna trattare con il ne­mico con saggezza, non provocarlo», aveva detto nel gennaio del 2007 par­lando del programma nucleare irania­no. «Non provocare il nemico». Que­sto suggerimento non è stato ascolta­to, purtroppo, nemmeno nel giorno della sua morte. 



Corriere della Sera 21,12.09
Lo scandalo dei preti pedofili 
I preti e gli abusi 


Lo scorso 26 novembre un rapporto governativo di 720 pagine si certificano 320 casi di abusi sessuali a minori nella sola arcidiocesi di Dublino dal 1975 al 2004.

Colpevoli 46 preti pedofili e quattro arcivescovi responsabili di averli coperti La commissione 

Lo scorso maggio la Child Abuse Commission pubblicò il «Rapporto Ryan»: 9 anni di indagine e 3.500 pagine a descrivere mezzo secolo di violenze «sistematiche» negli istituti cattolici, commesse da «centinaia» di preti e suore dagli anni 30 agli anni 80 Il film 

Nel 2002 il film «The Magdalene sisters» (foto) di Peter Mullan, Leone d’oro a Venezia, raccontò la storia di tre ragazze mandate presso il convento gestito da Madre Bridget (madre superiora dell’ordine) ad espiare i loro presunti peccati Il Papa 

Qualche giorno fa il Papa ha manifestato l’intenzione di scrivere una lettera a tutti i fedeli irlandesi per «indicare con chiarezza le iniziative da prendere in risposta alla situazione». Benedetto XVI ha detto di condividere «lo sdegno, il tradimento e la vergogna dei fedeli»