sabato 23 ottobre 2010

I più importanti giornali internazionali aprono le loro prime pagine on line su questo tema, sui giornali taliani, se c’è, la notizia è quasi invisibile 400mila nuovi documenti. Le torture e le stragi di prigionieri e di civili in Iraq Corriere della Sera 23.10.10 Wikileaks, nuovo scoop Ecco gli orrori in Iraq Rivelazioni su Calipari di Guido Olimpio qui su Wikileaks qui http://wikileaks.org/ sul New York Times qui http://www.nytimes.com/ su Al Jazeera qui http://english.aljazeera.net/ dal Guardian qui http://www.guardian.co.uk/ l’Unità 23.10.10 Il sindacato non è un partito di Giuseppe Casadio Le piattaforme sindacali, specie quando esulano da tematiche strettamente aziendali, interrogano sempre anche la politica; ed è giusto, auspicabile, necessario che la politica interagisca, si confronti con le piattaforme sindacali. E se ciò non avviene, è giusto che il sindacato incalzi i partiti, quelli all’opposizione non meno che quelli al governo, ne solleciti pronunciamenti chiari e non opportunistici sul merito delle questioni poste. Si tratta di un passaggio fondamentale dell’azione sindacale, che non si risolve però con una sbrigativa e impropria sottoscrizione della piattaforma sindacale da parte dei partiti. Qui sta il punto. I partiti devono essere sollecitati a esprimere con chiarezza ciò che essi si impegnano a fare, in Parlamento e nel Paese, per dare risposta alle domande che il sindacato avanza, o comunque per rendere più forte la sua azione, se e nella misura in cui ne condividano davvero gli obiettivi. I partiti, per loro natura, hanno strumenti e metodi di azione diversi da quelli di un sindacato, ed è sul terreno loro proprio che devono “compromettersi” a fronte delle sollecitazioni che il sindacato loro propone. Ritengo cioè poco significativa la pratica dell’invio di un comunicato di “adesione” a scatola chiusa a questa o quella iniziativa sindacale da parte di questo o quel partito. Pratica tanto più frequente, naturalmente, quando l’iniziativa sindacale in questione si annuncia tale da offrire una grande visibilità. Ben altro significato avrebbe un confronto stringente e di merito con ciascun partito sugli obiettivi della azione sindacale, rendendone noti gli esiti innanzitutto ai militanti sindacali. Questo indurrebbe ciascuno ad assumere responsabilità, rafforzerebbe alleanze non formali. Sia chiaro: non sto parlando della manifestazione della Fiom di sabato scorso; sto prendendo spunto da un aspetto tutto sommato marginale di essa per svolgere una riflessione che ritengo ben più generale. Peraltro conosco bene la capacità del gruppo dirigente della Fiom di svolgere iniziativa politica a tutto campo e ad esso va tutta la mia solidarietà. Un’ultima considerazione che mi viene dall’esperienza alla guida della Cgil dell’Emilia Romagna: fin dagli anni ’70, in quasi tutti i territori di quella regione, alle manifestazioni sindacali non partecipano le bandiere nè i simboli di partito. E questo non avviene per una sorta di estraneità alla politica che peraltro, in quella regione più che altrove, non sarebbe tollerata innanzitutto dagli attivisti sindacali, ma in virtù delle riflessioni che ho fin qui esposto e della cui validità sono fermamente convinto. Se ne può discutere con serietà e serenità? l’Unità 23.10.10 Il Riesame conferma: «Lo Ior ha violato le norme antiriciclaggio» Confermato il sequestro dei 23 milioni che su richiesta dello Ior dal Credito Artigiano dovevano essere trasferiti alla J.P. Morgan e alla Banca del Fucino. «Non è stato comunicato per chi intendesse eseguire le operazioni». di Marzio Cecioni Lo Ior ha violato gli obblighi previsti dalle norme antiriciclaggio quando ha chiesto al Credito Artigiano di trasferire 23 milioni di euro depositati su un proprio conto alla tedesca J.P. Morgan Frankfurt (20 milioni) ed alla Banca del Fucino (tre milioni). È basata su questo aspetto la conferma del sequestro preventivo della somma da parte del tribunale del riesame. «Pur richiesto dall’interlocutore bancario si legge nelle motivazioni dell’ordinanza emessa dal collegio presieduto da Claudio Carini l’istituto vaticano non ha comunicato per chi (per sé o per eventuali terzi, di cui comunicare le generalità) intendesse eseguire le due operazioni, né natura e scopo delle stesse. È dunque documentalmente dimostrata la violazione degli obblighi penalmente sanzionati dalle norme» antiriciclaggio. Nella vicenda sono indagati, per omissioni connesse alla legge antiriciclaggio (mancata indicazione della natura e degli scopi delle due operazioni), il presidente dell’istituto di credito della Santa Sede, Ettore Gotti Tedeschi, ed il direttore Paolo Cipriani. LE MOTIVAZIONI DEL SEQUESTRO «Correttamente il pm scrive il collegio competente sulla legittimità dei provvedimenti restrittivi ha infatti osservato che sino ad oggi lo Ior non ha ancora fornito al suo naturale interlocutore, cioè al Credito Artigiano, le suddette indicazioni con le impegnative modalità previste dalla normativa. Né possono certo considerarsi equipollenti e sostitutive, a sanare l’iniziale omissione, le spiegazioni addotte dalla difesa circa ragioni, modalità e scopi dell’operazione». I difensori degli indagati, al Tribunale del riesame, avevano chiesto la revoca del sequestro preventivo dei 23 milioni, disposto dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e del sostituto Stefano Rocco Fava, rivendicando che i trasferimenti di danaro in questione non costituiscono bonifici a favore di terzi, ma «operazioni di girofondi o giroconti» per ragioni di cassa. Nelle stesse motivazioni i giudici sottolineano che lo Ior, in base alle note di Bankitalia del 18 gennaio e del 9 settembre 2010, deve considerarsi a tutti gli effetti «una banca estera extracomunitaria, appartenente ad ordinamento non incluso nella lista dei paesi extracomunitari con “regime antiriciclaggio equivalente” agli standard vigenti negli Stati dell’Unione Europea (la cosiddetta White list); ciò comporta la necessità per lo Ior di uniformarsi ai criteri di trasparenza e “tracciabilita” delle operazioni con banche italiane». Alla banca vaticana, alla luce della decisione del tribunale, resta ora la strada del ricorso per Cassazione o, in alternativa, quella di indicare al Credito Artigiano natura e scopi della movimentazione dei soldi. IL VATICANO CONFERMA TRASPARENZA Quello che la Santa Sede conferma attraverso il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi è la «linea della trasparenza» per lo Ior. Si confida «di poter offrire al più presto tutti i chiarimenti richiesti nelle sedi e agli organismi competenti». Ma la linea non è scontata e neanche indolore, viste le resistenze per farla passare incontrate in Curia dal cardinale Attilio Nicora, il responsabile dell’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede. Un suo progetto di radicale riforma dello Ior all’insegna della trasparenza è rimasto a lungo nei cassetti della Segreteria di Stato. Il Vaticano è stata annunciata l’istituzione di un’Autorità di vigilanza su tutte le attività finanziarie cui dovrebbe essere a capo proprio Nicora. Si attende un motu proprio del Papa per dare il via all’«operazione trasparenza». l’Unità 23.10.10 Antigone «Nessuno degli istituti visitati è in regola con le norme» Quasi 70mila i detenuti contro una capienza prevista di 44.612 Sovraffollamento e organici carenti Le carceri italiane sono fuori legge Presentato ieri il VII rapporto sulle condizioni di detenzioni in Italia. È dedicato alla memoria di Stefano Cucchi e di tutti coloro che in carcere al posto della rieducazione hanno conosciuto la violenza. di Luciana Cimino Quando la pena diventa una tortura. Succede nelle carceri italiane, sporche, non a norma, senza organico, iperaffollate. È la denuncia di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, che ieri ha presentato il suo VII Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, quest’anno dedicato alla memoria di Stefano Cucchi e di tutti quelli che hanno trovato anziché la rieducazione, la violenza nelle carceri. Tutti gli istituti penitenziari visitati dall’associazione e da “A Buon Diritto” di Luigi Manconi sono risultati fuorilegge in base a norme basilari come il numero dei detenuti, i metri quadri che questi hanno a disposizione, le condizioni igieniche dei servizi e il numero di ore trascorse al di fuori della cella. «I detenuti hanno in media meno di 3 metri quadrati a disposizione – dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – non solo è profondamente illegale ma si configura un’ipotesi di tortura. La nostra associazione ha ricevuto 1330 richieste di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e negli ultimi 3 anni l’Italia è già stata condannata dalla stessa 5 volte proprio per le condizioni delle carceri». Sono quasi 70 mila detenuti presenti negli istituti italiani a fronte di una capienza massima di 44.612 posti letto regolamentari. Il sovraffollamento è quindi causato certo dagli stranieri che sono i due terzi e che in gran parte sono dentro per non aver ottemperato alla legge Bossi-Fini (quindi per un reato amministrativo). Poi ci sono i tossicodipendenti che costituiscono il 38,2% dei detenuti, il doppio della media europea. «Il mix tra la legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pesanti e la legge Cirielli che impedisce ai recidivi di godere delle misure alternative spiega Gonnella – è stato letale per il sovraffollamento». Ma il dato che stupisce è un altro: la gran parte dei detenuti italiani (9782 persone) sono “padani”. Nati in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna. «La spiegazione – continua Gonnella è che le organizzazioni mafiose del sud si sono infiltrate benissimo al Nord e usano anche manovalanza locale». Negli ultimi tre mesi la crescita esponenziale delle presenze nelle carceri si è improvvisamente fermata. Un sintomo, secondo Antigone, che «il sistema carcerario è ormai al collasso»: «abbiamo dati certi che dalle autorità penitenziarie fino alle procure l’ordine è “non arrestare più” soprattutto gli stranieri perché non ci sono più posti letto». I suicidi in cella sono stati, nei primi mesi del 2010, 55, un triste bilancio che s’intreccia fatalmente con la scarsità di personale. «Sono tutte storie individuali di disperazione ma c’è un punto: i magistrati di sorveglianza, gli educatori, persino i cappellani, che si devono occupare dei detenuti sono pochi e non possono prendere in carico i detenuti». Il Governo in tutto ciò è «inerte». «Nessun fatto né per quanto riguarda l’edilizia carceraria, né per l’assunzione di altri poliziotti, né per le misure deflattive». Il “Piano carceri” lanciato dal tandem AlfanoBerlusconi è fallito. Rimane una denuncia della Corte dei Conti (13 luglio 2010) e gli scheletri dei penitenziari di Benevento, Busachi, Foggia, Mantova, realizzati e mai entrati in funzione. Repubblica 23.10.10 I padroni dell’anima. Nell’era della psicocrazia Il pensiero unico sulla psiche che normalizza il mondo di Roberto Esposito Depressione, anoressia, stress, insonnia: malattie tipiche dei paesi ricchi, che ora l´Occidente ha iniziato a "esportare". L´elenco dei sintomi si allunga sempre di più. Ogni comportamento individuale viene catalogato, chiunque può essere riconosciuto come affetto da una patologia. E l´industria dei disturbi mentali ha bisogno di nuovi "clienti". Con il rischio che il pensiero unico sulla psiche normalizzi il mondo   Chiesero al morente di sete se non lo disturbasse il gocciolio della cella vicina, e promisero di porre rimedio"; "Complementari ai tecnocrati gli psicocrati". Chi sa se, quando scrisse questi taglienti frammenti, Paul Celan di cui Einaudi ha appena tradotto una nuova raccolta di poesie con il titolo Oscurato (a cura di Dario Borso e con un saggio di Giorgio Orelli) avrebbe immaginato una rapida estensione planetaria di quanto gli toccava sperimentare in prima persona. Perché è proprio un crescente potere sulle menti, complementare a quello sui corpi, che sempre più si va affermando attraverso processi generalmente riconducibili alla categoria di biopolitica. Ethan Watters, in un saggio intitolato Pazzi come noi. Depressione, anoressia, stress: malattie occidentali da esportazione, già segnalato su queste pagine da Massimo Ammaniti, e ora tradotto in italiano da Bruno Mondadori, ne ha riconosciuto la fenomenologia in una sorta di globalizzazione di disturbi mentali inizialmente diagnosticati negli Stati Uniti e da lì esportati nel resto del mondo con un effetto di contagio inarrestabile. Studiando la mutazione della percezione di determinate malattie della mente, in un primo momento catalogate secondo i parametri culturali dei paesi interessati - dalla Cina alla Tanzania - Watters osserva come, ad un certo punto, la loro definizione si omologhi a quella occidentale sotto la spinta di potenti campagne pubblicitarie promosse dalle grandi industrie farmaceutiche. A diffondersi, come in una vera e propria epidemia - i cui virus sono i nostri stessi modi di pensare - , è una catena di conseguenze, simboliche e reali, in base alle quali non soltanto la malattia in questione muta faccia, ma finisce per penetrare anche in spazi socio-culturali dove prima non aveva accesso, come se gli anticorpi socio-culturali che fino allora li avevano protetti fossero ceduti di schianto. Una volta che i malati possono conferire ai loro sintomi una definizione apparentemente oggettiva - desunta dai protocolli ufficiali elaborati di solito in America, come l´onnipresente DPM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) - , si sentono autorizzati a proiettare i propri problemi personali in qualcosa di più forte di loro, che insieme li assoggetta e li legittima come soggetti di quel male. Non è difficile ricondurre queste dinamiche a ciò che filosofi contemporanei come Foucault e Deleuze hanno definito con il termine "dispositivo", intendendo con esso un apparato teso a controllare e modificare gli atteggiamenti mentali o le azioni di determinati individui - non forzandoli dall´esterno, ma rendendoli essi stessi partecipi del proprio assoggettamento. Da questo punto di vista la società contemporanea risulta un grande corpo, attraversato da un numero crescente di dispositivi destinati a caratterizzare le nostre idee ed orientare i nostri comportamenti in base ad interessi di cui è ormai difficile individuare la provenienza. Ciò non toglie che la medicina ne costituisca uno dei tratti più tipici, perché rappresenta precisamente il punto di contatto, e di crescente indistinzione, tra sfera del corpo e sfera dell´anima o come altro si voglia chiamare ciò che eccede l´ambito della mera biologia. Non a caso la direzione sempre più mirata che vanno assumendo gli attuali processi di medicalizzazione è quella di uno schiacciamento progressivo dello psichico sul corporeo. Così ciò che inizialmente era diagnosticato come un disagio di carattere personale o sociale è sempre più spesso curato con strumenti chimici. Come attestato da numerosi studi - come quello di Philippe Pignarre su L´industria della depressione, tradotto da poco da Bollati Boringhieri o Manufacturing Depression di Gary Greenberg - i veri motivi della crescita esponenziale della sindrome depressiva, ormai diffusa quanto le malattie cardiovascolari, vanno individuati non in fattori di ordine sociologico o clinico, ma nell´uso degli stessi psicofarmaci che intendono combatterla. Ciò avviene attraverso quella sorta di circolo vizioso, implicito nel protocollo medico ufficiale, che definisce depressione "quella vasta area di disagio psichico curabile con gli antidepressivi". E´ evidente che, una volta configurata la malattia in base alla terapia, questa, mentre la cura, è destinata a riprodurla per autoriprodursi, estendendosi a zone sempre più ampie di società. Tutto sta, per le industrie farmaceutiche e per quei medici che ne diventano sempre più i semplici terminali operativi, ad ampliare la lista dei sintomi, al punto di comprendere tra essi anche fenomeni reciprocamente contrari come l´appetito eccessivo e l´inappetenza, l´irrequietezza e la spossatezza, l´impotenza o la dipendenza dal sesso. A questo punto ben pochi individui possono sottrarsi ad una catalogazione potenzialmente estendibile a tutti. E infatti è proprio questa la tendenza ipertrofica delle campagne di sensibilizzazione contro, ma in realtà funzionali alla diffusione della sindrome. Il cardiologo Marco Bobbio, in un libro intitolato Il malato immaginario. I rischi di una medicina senza limiti, edito da Einaudi e già recensito su questo giornale da Maria Novella De Luca, ricorda come l´Italia detenga il record europeo di consumo di farmaci pro capite e il più alto numero di medici per determinate quote di cittadini, nonostante che i tagli progressivi al sistema sanitario mettano in forse il welfare, magari negando una TAC a chi ne ha veramente bisogno. E´ un´altra forma di quella biopolitica dei corpi e delle anime cui da tempo siamo soggetti - nel doppio senso che ne siamo prodotti e produttori: all´ipersalutismo propagandato dai media come nuovo obiettivo di una vita sempre più lunga e felice fa riscontro l´ipocondria crescente di fasce sempre più ampie di popolazione. Ad unificare, sovrapponendole, queste due spinte è l´idea della caduta di ogni limite per un uomo sottratto al suo destino di finitezza. Quella "psicocrazia" che paventava Paul Celan prima di suicidarsi è ormai diventata una compiuta biocrazia in cui mente e corpo sono insieme l´oggetto e la posta in gioco di una partita di cui è sempre più difficile riconoscere i giocatori, ma di cui è necessario prendere coscienza. Non per cercare, invano, di arrestarla, ma almeno per coglierne la logica e valutarne le conseguenze. Repubblica 23.10.10 Nella nostra società si discute spesso di "nuova emergenza educativa" e di disagio giovanile Bisognerebbe invece ricondurre i comportamenti dei ragazzi alle esigenze della loro età Scopriamo la vitalità dell´adolescenza senza farne sempre una malattia di Gustavo Pietropolli Charmet Questa generazione di adolescenti è destinataria di nerissime profezie e giudizi allarmati. La cultura degli adulti sembra convinta che sia condannata ad una qualità di vita futura molto peggiore di quella goduta dai padri e dai nonni. Meno lavoro, pensioni fatiscenti, alloggi a costi inavvicinabili ed un intero pianeta da riparare dopo le profanazioni ed i vandalismi delle generazioni precedenti. Anche le diagnosi che gli adulti fanno del loro stato di salute mentale e del loro sentimento etico appaiono preoccupate. Spesso nei confronti degli adolescenti attuali si invoca il ripristino di paletti e norme severe che sarebbero state divelte e abrogate. La questione è di importanza educativa cruciale e coinvolge il settore delle politiche giovanili, della riforma della scuola, della riorganizzazione dei servizi preventivi e della salute mentale. È infatti diventato arduo per gli adulti che interagiscono col mondo giovanile comprendere il senso e la direzione delle novità che caratterizzano il loro modo di interpretare il processo adolescenziale. Non si tratta solo del prevedibile cambiamento di mode, di idoli, di stili di vita: il cambiamento sembra coinvolgere questioni molto più profonde e concernenti la qualità delle passioni che sperimentano. I giovani non hanno più paura degli adulti e delle loro istituzioni e non sembrano alle prese con forti sentimenti di colpa nei confronti dei valori e delle norme convenzionali. Gli adolescenti ad esempio non riconoscono alla scuola un significato simbolico ed istituzionale e la utilizzano come un servizio o un centro di socializzazione e scambio culturale. Ciò spoglia i loro docenti della attribuzione al loro ruolo di una autorevolezza prestata a priori in quanto rappresentanti del potere adulto e delle tradizioni culturali del paese. La reazione del corpo docente alla proposta relazionale proveniente dalle classi in cui insegnano viene generalmente interpretata come il sintomo di una grave demotivazione, di una generale disaffezione nei confronti dell´apprendimento e di una insolente mancanza di rispetto nei confronti della scuola. È solo uno dei mille esempi dei cambiamenti in corso e della difficile interpretazione da effettuare. Per i ragazzi infatti è del tutto "normale" ciò che fanno o non fanno a scuola: il ruolo di studente non gestisce più le loro passioni e quindi trattano ciò che concerne la scuola come faccenda di scarso interesse emotivo. Gli adulti invece parlano di una nuova "emergenza educativa", come se fosse in corso una attività sovversiva da parte di una moltitudine di giovani, che in realtà chiedono alla scuola di sviluppare un maggior interesse educativo nei loro confronti ed una più alta competenza sul versante della loro vita affettiva, relazionale e di produzione creativa. Sotto l´etichetta di "bullismo" si inquadra così uno sciame incoerente di comportamenti goliardici, scherzosi, dispettosi che i ragazzi considerano facenti parte della normalità della vita scolastica. La vita di gruppo rischia di essere considerata la scellerata orgia di un branco selvatico e pericoloso. Per gli adolescenti invece i legami affettivi e sociali con i coetanei sono sacri, sia quelli virtuali che quelli concreti. La difficoltà degli adulti a capire il significato affettivo profondo che i ragazzi danno alla conquista della notte, al bisogno di rimanere sempre in contatto virtuale, alla nuova relazione col corpo trafitto di piercing e firmato da tatuaggi policromi li sospinge a convocare sulla scena della relazione educativa le discipline "forti"; la psichiatria, la criminologia, gli esperti di devianza giovanile ai quali chiedere una diagnosi e, se possibile, un trattamento delle "nuove emergenze". Il rischio della patologizzazione dell´uso che i ragazzi fanno di Internet, del consumo di musica, della loro dipendenza dal gruppo di amici, rischia di compromettere la relazione fra mondo giovanile e cultura degli adulti. I ragazzi sono alla ricerca di adulti competenti, non di esperti che presumano di sapere senza chiedere: hanno bisogno di adulti che non si spaventino delle novità, che non si illudano di cavarsela con le diagnosi e le etichette fuori tempo, che abbiano una vera passione educativa. Quando ne incontrano uno non se lasciano sfuggire e organizzano la grande festa dell´incontro col mentore, la guida, l´adulto che sa che si può uscire sani e salvi dal labirinto dell´adolescenza. (L´autore è psicoterapeuta ed esperto di disagio giovanile)

I più importanti giornali internazionali aprono le loro prime pagine on line su questo tema, sui giornali taliani, se c’è, la notizia è quasi invisibile
400mila nuovi documenti. Le torture e le stragi di prigionieri e di civili in Iraq
Corriere della Sera 23.10.10
Wikileaks, nuovo scoop
Ecco gli orrori in Iraq
Rivelazioni su Calipari
di Guido Olimpio

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l’Unità 23.10.10
Il sindacato non è un partito
di Giuseppe Casadio

Le piattaforme sindacali, specie quando esulano da tematiche strettamente aziendali, interrogano sempre anche la politica; ed è giusto, auspicabile, necessario che la politica interagisca, si confronti con le piattaforme sindacali. E se ciò non avviene, è giusto che il sindacato incalzi i partiti, quelli all’opposizione non meno che quelli al governo, ne solleciti pronunciamenti chiari e non opportunistici sul merito delle questioni poste.
Si tratta di un passaggio fondamentale dell’azione sindacale, che non si risolve però con una sbrigativa e impropria sottoscrizione della piattaforma sindacale da parte dei partiti. Qui sta il punto. I partiti devono essere sollecitati a esprimere con chiarezza ciò che essi si impegnano a fare, in Parlamento e nel Paese, per dare risposta alle domande che il sindacato avanza, o comunque per rendere più forte la sua azione, se e nella misura in cui ne condividano davvero gli obiettivi. I partiti, per loro natura, hanno strumenti e metodi di azione diversi da quelli di un sindacato, ed è sul terreno loro proprio che devono “compromettersi” a fronte delle sollecitazioni che il sindacato loro propone.
Ritengo cioè poco significativa la pratica dell’invio di un comunicato di “adesione” a scatola chiusa a questa o quella iniziativa sindacale da parte di questo o quel partito. Pratica tanto più frequente, naturalmente, quando l’iniziativa sindacale in questione si annuncia tale da offrire una grande visibilità. Ben altro significato avrebbe un confronto stringente e di merito con ciascun partito sugli obiettivi della azione sindacale, rendendone noti gli esiti innanzitutto ai militanti sindacali. Questo indurrebbe ciascuno ad assumere responsabilità, rafforzerebbe alleanze non formali.
Sia chiaro: non sto parlando della manifestazione della Fiom di sabato scorso; sto prendendo spunto da un aspetto tutto sommato marginale di essa per svolgere una riflessione che ritengo ben più generale. Peraltro conosco bene la capacità del gruppo dirigente della Fiom di svolgere iniziativa politica a tutto campo e ad esso va tutta la mia solidarietà.
Un’ultima considerazione che mi viene dall’esperienza alla guida della Cgil dell’Emilia Romagna: fin dagli anni ’70, in quasi tutti i territori di quella regione, alle manifestazioni sindacali non partecipano le bandiere nè i simboli di partito. E questo non avviene per una sorta di estraneità alla politica che peraltro, in quella regione più che altrove, non sarebbe tollerata innanzitutto dagli attivisti sindacali, ma in virtù delle riflessioni che ho fin qui esposto e della cui validità sono fermamente convinto.
Se ne può discutere con serietà e serenità?

l’Unità 23.10.10
Il Riesame conferma: «Lo Ior ha violato le norme antiriciclaggio»
Confermato il sequestro dei 23 milioni che su richiesta dello Ior dal Credito Artigiano dovevano essere trasferiti alla J.P. Morgan e alla Banca del Fucino. «Non è stato comunicato per chi intendesse eseguire le operazioni».
di Marzio Cecioni


Lo Ior ha violato gli obblighi previsti dalle norme antiriciclaggio quando ha chiesto al Credito Artigiano di trasferire 23 milioni di euro depositati su un proprio conto alla tedesca J.P. Morgan Frankfurt (20 milioni) ed alla Banca del Fucino (tre milioni). È basata su questo aspetto la conferma del sequestro preventivo della somma da parte del tribunale del riesame.
«Pur richiesto dall’interlocutore bancario si legge nelle motivazioni dell’ordinanza emessa dal collegio presieduto da Claudio Carini l’istituto vaticano non ha comunicato per chi (per sé o per eventuali terzi, di cui comunicare le generalità) intendesse eseguire le due operazioni, né natura e scopo delle stesse. È dunque documentalmente dimostrata la violazione degli obblighi penalmente sanzionati dalle norme» antiriciclaggio. Nella vicenda sono indagati, per omissioni connesse alla legge antiriciclaggio (mancata indicazione della natura e degli scopi delle due operazioni), il presidente dell’istituto di credito della Santa Sede, Ettore Gotti Tedeschi, ed il direttore Paolo Cipriani.
LE MOTIVAZIONI DEL SEQUESTRO
«Correttamente il pm scrive il collegio competente sulla legittimità dei provvedimenti restrittivi ha infatti osservato che sino ad oggi lo Ior non ha ancora fornito al suo naturale interlocutore, cioè al Credito Artigiano, le suddette indicazioni con le impegnative modalità previste dalla normativa. Né possono certo considerarsi equipollenti e sostitutive, a sanare l’iniziale omissione, le spiegazioni addotte dalla difesa circa ragioni, modalità e scopi dell’operazione». I difensori degli indagati, al Tribunale del riesame, avevano chiesto la revoca del sequestro preventivo dei 23 milioni, disposto dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e del sostituto Stefano Rocco Fava, rivendicando che i trasferimenti di danaro in questione non costituiscono bonifici a favore di terzi, ma «operazioni di girofondi o giroconti» per ragioni di cassa. Nelle stesse motivazioni i giudici sottolineano che lo Ior, in base alle note di Bankitalia del 18 gennaio e del 9 settembre 2010, deve considerarsi a tutti gli effetti «una banca estera extracomunitaria, appartenente ad ordinamento non incluso nella lista dei paesi extracomunitari con “regime antiriciclaggio equivalente” agli standard vigenti negli Stati dell’Unione Europea (la cosiddetta White list); ciò comporta la necessità per lo Ior di uniformarsi ai criteri di trasparenza e “tracciabilita” delle operazioni con banche italiane».
Alla banca vaticana, alla luce della decisione del tribunale, resta ora la strada del ricorso per Cassazione o, in alternativa, quella di indicare al Credito Artigiano natura e scopi della movimentazione dei soldi.
IL VATICANO CONFERMA TRASPARENZA
Quello che la Santa Sede conferma attraverso il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi è la «linea della trasparenza» per lo Ior. Si confida «di poter offrire al più presto tutti i chiarimenti richiesti nelle sedi e agli organismi competenti».
Ma la linea non è scontata e neanche indolore, viste le resistenze per farla passare incontrate in Curia dal cardinale Attilio Nicora, il responsabile dell’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede. Un suo progetto di radicale riforma dello Ior all’insegna della trasparenza è rimasto a lungo nei cassetti della Segreteria di Stato. Il Vaticano è stata annunciata l’istituzione di un’Autorità di vigilanza su tutte le attività finanziarie cui dovrebbe essere a capo proprio Nicora. Si attende un motu proprio del Papa per dare il via all’«operazione trasparenza».

l’Unità 23.10.10
Antigone «Nessuno degli istituti visitati è in regola con le norme»
Quasi 70mila i detenuti contro una capienza prevista di 44.612
Sovraffollamento e organici carenti Le carceri italiane sono fuori legge
Presentato ieri il VII rapporto sulle condizioni di detenzioni in Italia. È dedicato alla memoria di Stefano Cucchi e di tutti coloro che in carcere al posto della rieducazione hanno conosciuto la violenza.
di Luciana Cimino


Quando la pena diventa una tortura. Succede nelle carceri italiane, sporche, non a norma, senza organico, iperaffollate. È la denuncia di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, che ieri ha presentato il suo VII Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, quest’anno dedicato alla memoria di Stefano Cucchi e di tutti quelli che hanno trovato anziché la rieducazione, la violenza nelle carceri. Tutti gli istituti penitenziari visitati dall’associazione e da “A Buon Diritto” di Luigi Manconi sono risultati fuorilegge in base a norme basilari come il numero dei detenuti, i metri quadri che questi hanno a disposizione, le condizioni igieniche dei servizi e il numero di ore trascorse al di fuori della cella. «I detenuti hanno
in media meno di 3 metri quadrati a disposizione – dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – non solo è profondamente illegale ma si configura un’ipotesi di tortura. La nostra associazione ha ricevuto 1330 richieste di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e negli ultimi 3 anni l’Italia è già stata condannata dalla stessa 5 volte proprio per le condizioni delle carceri». Sono quasi 70 mila detenuti presenti negli istituti italiani a fronte di una capienza massima di 44.612 posti letto regolamentari. Il sovraffollamento è quindi causato certo dagli stranieri che sono i due terzi e che in gran parte sono dentro per non aver ottemperato alla legge Bossi-Fini (quindi per un reato amministrativo). Poi ci sono i tossicodipendenti che costituiscono il 38,2% dei detenuti, il doppio della media europea. «Il mix tra la legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pesanti e la legge Cirielli che impedisce ai recidivi di godere delle misure alternative spiega Gonnella – è stato letale per il sovraffollamento».
Ma il dato che stupisce è un altro: la gran parte dei detenuti italiani (9782 persone) sono “padani”. Nati in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna. «La spiegazione – continua Gonnella è che le organizzazioni mafiose del sud si sono infiltrate benissimo al Nord e usano anche manovalanza locale». Negli ultimi tre mesi la crescita esponenziale delle presenze nelle carceri si è improvvisamente fermata. Un sintomo, secondo Antigone, che «il sistema carcerario è ormai al collasso»: «abbiamo dati certi che dalle autorità penitenziarie fino alle procure l’ordine è “non arrestare più” soprattutto gli stranieri perché non ci sono più posti letto». I suicidi in cella sono stati, nei primi mesi del 2010, 55, un triste bilancio che s’intreccia fatalmente con la scarsità di personale. «Sono tutte storie individuali di disperazione ma c’è un punto: i magistrati di sorveglianza, gli educatori, persino i cappellani, che si devono occupare dei detenuti sono pochi e non possono prendere in carico i detenuti». Il Governo in tutto ciò è «inerte». «Nessun fatto né per quanto riguarda l’edilizia carceraria, né per l’assunzione di altri poliziotti, né per le misure deflattive». Il “Piano carceri” lanciato dal tandem AlfanoBerlusconi è fallito. Rimane una denuncia della Corte dei Conti (13 luglio 2010) e gli scheletri dei penitenziari di Benevento, Busachi, Foggia, Mantova, realizzati e mai entrati in funzione.

Repubblica 23.10.10
I padroni dell’anima. Nell’era della psicocrazia
Il pensiero unico sulla psiche che normalizza il mondo
di Roberto Esposito


Depressione, anoressia, stress, insonnia: malattie tipiche dei paesi ricchi, che ora l´Occidente ha iniziato a "esportare". L´elenco dei sintomi si allunga sempre di più. Ogni comportamento individuale viene catalogato, chiunque può essere riconosciuto come affetto da una patologia. E l´industria dei disturbi mentali ha bisogno di nuovi "clienti". Con il rischio che il pensiero unico sulla psiche normalizzi il mondo

Chiesero al morente di sete se non lo disturbasse il gocciolio della cella vicina, e promisero di porre rimedio"; "Complementari ai tecnocrati gli psicocrati". Chi sa se, quando scrisse questi taglienti frammenti, Paul Celan di cui Einaudi ha appena tradotto una nuova raccolta di poesie con il titolo Oscurato (a cura di Dario Borso e con un saggio di Giorgio Orelli) avrebbe immaginato una rapida estensione planetaria di quanto gli toccava sperimentare in prima persona. Perché è proprio un crescente potere sulle menti, complementare a quello sui corpi, che sempre più si va affermando attraverso processi generalmente riconducibili alla categoria di biopolitica. Ethan Watters, in un saggio intitolato Pazzi come noi. Depressione, anoressia, stress: malattie occidentali da esportazione, già segnalato su queste pagine da Massimo Ammaniti, e ora tradotto in italiano da Bruno Mondadori, ne ha riconosciuto la fenomenologia in una sorta di globalizzazione di disturbi mentali inizialmente diagnosticati negli Stati Uniti e da lì esportati nel resto del mondo con un effetto di contagio inarrestabile.

Studiando la mutazione della percezione di determinate malattie della mente, in un primo momento catalogate secondo i parametri culturali dei paesi interessati - dalla Cina alla Tanzania - Watters osserva come, ad un certo punto, la loro definizione si omologhi a quella occidentale sotto la spinta di potenti campagne pubblicitarie promosse dalle grandi industrie farmaceutiche. A diffondersi, come in una vera e propria epidemia - i cui virus sono i nostri stessi modi di pensare - , è una catena di conseguenze, simboliche e reali, in base alle quali non soltanto la malattia in questione muta faccia, ma finisce per penetrare anche in spazi socio-culturali dove prima non aveva accesso, come se gli anticorpi socio-culturali che fino allora li avevano protetti fossero ceduti di schianto. Una volta che i malati possono conferire ai loro sintomi una definizione apparentemente oggettiva - desunta dai protocolli ufficiali elaborati di solito in America, come l´onnipresente DPM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) - , si sentono autorizzati a proiettare i propri problemi personali in qualcosa di più forte di loro, che insieme li assoggetta e li legittima come soggetti di quel male.
Non è difficile ricondurre queste dinamiche a ciò che filosofi contemporanei come Foucault e Deleuze hanno definito con il termine "dispositivo", intendendo con esso un apparato teso a controllare e modificare gli atteggiamenti mentali o le azioni di determinati individui - non forzandoli dall´esterno, ma rendendoli essi stessi partecipi del proprio assoggettamento. Da questo punto di vista la società contemporanea risulta un grande corpo, attraversato da un numero crescente di dispositivi destinati a caratterizzare le nostre idee ed orientare i nostri comportamenti in base ad interessi di cui è ormai difficile individuare la provenienza. Ciò non toglie che la medicina ne costituisca uno dei tratti più tipici, perché rappresenta precisamente il punto di contatto, e di crescente indistinzione, tra sfera del corpo e sfera dell´anima o come altro si voglia chiamare ciò che eccede l´ambito della mera biologia.
Non a caso la direzione sempre più mirata che vanno assumendo gli attuali processi di medicalizzazione è quella di uno schiacciamento progressivo dello psichico sul corporeo. Così ciò che inizialmente era diagnosticato come un disagio di carattere personale o sociale è sempre più spesso curato con strumenti chimici. Come attestato da numerosi studi - come quello di Philippe Pignarre su L´industria della depressione, tradotto da poco da Bollati Boringhieri o Manufacturing Depression di Gary Greenberg - i veri motivi della crescita esponenziale della sindrome depressiva, ormai diffusa quanto le malattie cardiovascolari, vanno individuati non in fattori di ordine sociologico o clinico, ma nell´uso degli stessi psicofarmaci che intendono combatterla. Ciò avviene attraverso quella sorta di circolo vizioso, implicito nel protocollo medico ufficiale, che definisce depressione "quella vasta area di disagio psichico curabile con gli antidepressivi".
E´ evidente che, una volta configurata la malattia in base alla terapia, questa, mentre la cura, è destinata a riprodurla per autoriprodursi, estendendosi a zone sempre più ampie di società. Tutto sta, per le industrie farmaceutiche e per quei medici che ne diventano sempre più i semplici terminali operativi, ad ampliare la lista dei sintomi, al punto di comprendere tra essi anche fenomeni reciprocamente contrari come l´appetito eccessivo e l´inappetenza, l´irrequietezza e la spossatezza, l´impotenza o la dipendenza dal sesso.
A questo punto ben pochi individui possono sottrarsi ad una catalogazione potenzialmente estendibile a tutti. E infatti è proprio questa la tendenza ipertrofica delle campagne di sensibilizzazione contro, ma in realtà funzionali alla diffusione della sindrome. Il cardiologo Marco Bobbio, in un libro intitolato Il malato immaginario. I rischi di una medicina senza limiti, edito da Einaudi e già recensito su questo giornale da Maria Novella De Luca, ricorda come l´Italia detenga il record europeo di consumo di farmaci pro capite e il più alto numero di medici per determinate quote di cittadini, nonostante che i tagli progressivi al sistema sanitario mettano in forse il welfare, magari negando una TAC a chi ne ha veramente bisogno.
E´ un´altra forma di quella biopolitica dei corpi e delle anime cui da tempo siamo soggetti - nel doppio senso che ne siamo prodotti e produttori: all´ipersalutismo propagandato dai media come nuovo obiettivo di una vita sempre più lunga e felice fa riscontro l´ipocondria crescente di fasce sempre più ampie di popolazione. Ad unificare, sovrapponendole, queste due spinte è l´idea della caduta di ogni limite per un uomo sottratto al suo destino di finitezza. Quella "psicocrazia" che paventava Paul Celan prima di suicidarsi è ormai diventata una compiuta biocrazia in cui mente e corpo sono insieme l´oggetto e la posta in gioco di una partita di cui è sempre più difficile riconoscere i giocatori, ma di cui è necessario prendere coscienza. Non per cercare, invano, di arrestarla, ma almeno per coglierne la logica e valutarne le conseguenze.

Repubblica 23.10.10
Nella nostra società si discute spesso di "nuova emergenza educativa" e di disagio giovanile Bisognerebbe invece ricondurre i comportamenti dei ragazzi alle esigenze della loro età
Scopriamo la vitalità dell´adolescenza senza farne sempre una malattia
di Gustavo Pietropolli Charmet


Questa generazione di adolescenti è destinataria di nerissime profezie e giudizi allarmati. La cultura degli adulti sembra convinta che sia condannata ad una qualità di vita futura molto peggiore di quella goduta dai padri e dai nonni. Meno lavoro, pensioni fatiscenti, alloggi a costi inavvicinabili ed un intero pianeta da riparare dopo le profanazioni ed i vandalismi delle generazioni precedenti. Anche le diagnosi che gli adulti fanno del loro stato di salute mentale e del loro sentimento etico appaiono preoccupate. Spesso nei confronti degli adolescenti attuali si invoca il ripristino di paletti e norme severe che sarebbero state divelte e abrogate.
La questione è di importanza educativa cruciale e coinvolge il settore delle politiche giovanili, della riforma della scuola, della riorganizzazione dei servizi preventivi e della salute mentale. È infatti diventato arduo per gli adulti che interagiscono col mondo giovanile comprendere il senso e la direzione delle novità che caratterizzano il loro modo di interpretare il processo adolescenziale. Non si tratta solo del prevedibile cambiamento di mode, di idoli, di stili di vita: il cambiamento sembra coinvolgere questioni molto più profonde e concernenti la qualità delle passioni che sperimentano.
I giovani non hanno più paura degli adulti e delle loro istituzioni e non sembrano alle prese con forti sentimenti di colpa nei confronti dei valori e delle norme convenzionali. Gli adolescenti ad esempio non riconoscono alla scuola un significato simbolico ed istituzionale e la utilizzano come un servizio o un centro di socializzazione e scambio culturale. Ciò spoglia i loro docenti della attribuzione al loro ruolo di una autorevolezza prestata a priori in quanto rappresentanti del potere adulto e delle tradizioni culturali del paese.
La reazione del corpo docente alla proposta relazionale proveniente dalle classi in cui insegnano viene generalmente interpretata come il sintomo di una grave demotivazione, di una generale disaffezione nei confronti dell´apprendimento e di una insolente mancanza di rispetto nei confronti della scuola.
È solo uno dei mille esempi dei cambiamenti in corso e della difficile interpretazione da effettuare.
Per i ragazzi infatti è del tutto "normale" ciò che fanno o non fanno a scuola: il ruolo di studente non gestisce più le loro passioni e quindi trattano ciò che concerne la scuola come faccenda di scarso interesse emotivo. Gli adulti invece parlano di una nuova "emergenza educativa", come se fosse in corso una attività sovversiva da parte di una moltitudine di giovani, che in realtà chiedono alla scuola di sviluppare un maggior interesse educativo nei loro confronti ed una più alta competenza sul versante della loro vita affettiva, relazionale e di produzione creativa.
Sotto l´etichetta di "bullismo" si inquadra così uno sciame incoerente di comportamenti goliardici, scherzosi, dispettosi che i ragazzi considerano facenti parte della normalità della vita scolastica. La vita di gruppo rischia di essere considerata la scellerata orgia di un branco selvatico e pericoloso. Per gli adolescenti invece i legami affettivi e sociali con i coetanei sono sacri, sia quelli virtuali che quelli concreti.
La difficoltà degli adulti a capire il significato affettivo profondo che i ragazzi danno alla conquista della notte, al bisogno di rimanere sempre in contatto virtuale, alla nuova relazione col corpo trafitto di piercing e firmato da tatuaggi policromi li sospinge a convocare sulla scena della relazione educativa le discipline "forti"; la psichiatria, la criminologia, gli esperti di devianza giovanile ai quali chiedere una diagnosi e, se possibile, un trattamento delle "nuove emergenze".
Il rischio della patologizzazione dell´uso che i ragazzi fanno di Internet, del consumo di musica, della loro dipendenza dal gruppo di amici, rischia di compromettere la relazione fra mondo giovanile e cultura degli adulti.
I ragazzi sono alla ricerca di adulti competenti, non di esperti che presumano di sapere senza chiedere: hanno bisogno di adulti che non si spaventino delle novità, che non si illudano di cavarsela con le diagnosi e le etichette fuori tempo, che abbiano una vera passione educativa. Quando ne incontrano uno non se lasciano sfuggire e organizzano la grande festa dell´incontro col mentore, la guida, l´adulto che sa che si può uscire sani e salvi dal labirinto dell´adolescenza.
(L´autore è psicoterapeuta ed esperto di disagio giovanile)