domenica 17 gennaio 2010

l’Unità 17.1.10
Vogliamo Emma
di Lidia Ravera

Dicono che gli uomini “fanno rete” e noi no. Che loro si scambiano favori, si promettono fedeltà, uno porta all’altro l’acqua con le orecchie, poi passa a riscuotere e l’altro gli ammolla il posto blindato sulla lista vincente, una consulenza, la direzione di qualcosa. Codice paterno o abito mafioso? Inutile provare a peggiorare, siamo diverse. Vogliamo Emma Bonino alla regione Lazio, perché è intelligente e competente. Antiretorica e appassionata. Antirazzista e cittadina del mondo. Laica e ben decisa a non leccare i piedi al Papa né adesso né mai. Ci piace perché non bamboleggia, non mignotteggia e non indietreggia. Ci piace perché ha retto 40 anni in politica senza diventare una replicante. Ha mantenuto la sua voce, il suo stile, le sue idee e le sue rughe. Ci piace perché non ci darà niente in cambio del nostro sostegno. E nemmeno lo vogliamo. Il codice materno è: gratuità.

Repubblica 17.1.10
Il debutto di Emma "Rappresenterò i cattolici ma senza farmi benedire"
Prima uscita pubblica all´Eliseo: "Governare bene è scontato, altro è metterci ideali"
di Alessandra Longo

ROMA - «La principessa, dov'è la principessa?». Marco Pannella si guarda intorno in cerca di Emma Bonino. Il teatro Eliseo di Roma è affollatissimo. È la prima uscita della candidata presidente della Regione Lazio per il centrosinistra (e da subito rassicurerà cattolici, dipietristi e rifondaroli). Eccola arrivare, la «principessa»: un po' in ritardo, affannata, giacca blu e felpa rossa, eccola infilarsi incredula e veloce nella sala gremita. Tutti in piedi, standing ovation. Per gli altri, i tanti rimasti fuori, maxi-schermo nel ridotto. Pannella la segue, un passo indietro. Con lui c'è lo psicanalista cult Massimo Fagioli, acceso sponsor di Emma e ormai in freddo con Bertinotti, dopo una bruciante passione («Ha puntato tutto su quel catto-comunista di Vendola...»).
Che ci fa qui la Bonino? È l´ospite d'onore che apre il dibattito politico-psichiatrico fra i due guru. Tema: «Il potere della non violenza». Un'iniziativa sulla carta da tempo, promossa da Quaderni Radicali, l'Asino d'oro editore e la rivista Left. Ovvio che la scesa in campo rivoluzioni l'agenda. Emma è in corsa, è lei la protagonista del giorno, ha appena incassato l'ok unanime del Pd laziale: «Una scelta che mi emoziona e responsabilizza. Ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra, quello cattolico e, in generale, il popolo italiano in questi anni». Messaggio ai «credenti», così li chiama lei. «Credenti con i quali – dice in un'intervista a Left – non ho mai avuto problemi. Le grandi battaglie civili di questo Paese sono state vinte anche col sostegno del mondo cattolico».
L'aspetta «un´impresa in salita» ma è convinta che sia possibile «un nuovo grande inizio». Anche con Di Pietro e Ferrero: «In qualche modo sanno perfettamente non cosa rappresento ma chi sono». E chi è allora Emma Bonino? Una che ci crede ancora: «Marco dice che le uniche cose concrete che fanno girare il mondo sono le idee. Spero di rappresentare le aspirazioni degli italiani che vogliono una politica più responsabile, più coerente, più onesta».
Sa benissimo le priorità del Lazio: «Sanità, trasporti, rifiuti». Ha in mente di portare, con la sua candidatura, il «valore aggiunto della trasparenza» negli appalti, nelle nomine, nei curriculum, ma si prende la sala per volare più alto: «Vedete, senza cultura non c'è buona politica. Si può sempre dar vita ad un buon consiglio di amministrazione, governare una Regione, un Paese. Ed è scontato che ogni ruolo vada coperto al meglio. Altra cosa, però, è immetterci idee e ideali. Ecco, questo vi chiedo: «Metteteci qualcosa di vostro, della vostra individualità in questa sfida». «Fagiolini» in delirio, applausi a scroscio, «Emma, facci sognare». A Ilaria Bonaccorsi, direttrice editoriale di Left, che le siede accanto sul palco, rivela la sua ultima, «appassionante» lettura: il libro del dissidente liberal iraniano Ramin Jahanbegloo, «Leggere Gandhi a Teheran». Le piace quando l'autore dice: «Non esistono scontri di civiltà ma solo scontri di intolleranze». Le piace «la società aperta» della moschea di Cordoba, «dove il venerdì pregavano i musulmani, il sabato gli ebrei, la domenica i cristiani». Nel primo giorno da candidata ufficiale, Emma sceglie di far capire quanto sia lontana dal cinismo della politica e anche da Renata Polverini, sua avversaria: «Abbiamo una visione diversa del mondo. Certo non chiamerò il prete a far benedire il mio comitato elettorale...».

Repubblica Roma 17.1.10
Bonino: "Le priorità? Sanità, trasporti e rifiuti"
Esordio all´Eliseo: e il teatro "si sdoppia" per accogliere tutti
"Un governo più trasparente, in cui siano pubblici i curriculum, gli appalti, le nomine"
di Chiara Righetti

«La sanità, i trasporti, i rifiuti». Al primo giorno da candidata ufficiale del centrosinistra, Emma Bonino ha già molto chiare le sue priorità per il governo del Lazio: «Sono quelle inscritte nella situazione della Regione, nelle emergenze che vediamo: il problema è come risolverle». Si ferma qui, poi ci ripensa e sottolinea: «Qualcosa da aggiungere c´è: un´amministrazione molto più trasparente. In cui tutto sia pubblico, i curriculum, le nomine e gli appalti: questa diversità può essere il nostro valore aggiunto». Tanto per chiarire subito quella che sarà una cifra distintiva della sua candidatura.
Del resto anche la prima uscita pubblica, la vicepresidente del Senato l´ha voluta nel suo stile. L´occasione è un dibattito sul "potere della non-violenza" con Marco Pannella e lo psichiatra-guru Massimo Fagioli. Evento per pochi che si trasforma in un´incoronazione, con una standing ovation e il teatro Eliseo stracolmo al punto che i tanti rimasti fuori vengono dirottati al Piccolo Eliseo, dove è stato allestito d´urgenza un maxischermo. Centinaia le persone che avvicinano Emma per manifestarle sostegno con grida d´incoraggiamento e strette di mano. Lei, da parte sua, assicura massimo impegno: «Mi ha emozionato la decisione dell´assemblea Pd». E lancia un messaggio agli elettori moderati: «Ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra, quello cattolico e in generale il popolo italiano in questi anni». E ancora: «Spero di rappresentare le aspirazioni di quanti vogliono una politica più responsabile, più coerente e più onesta. Forse sono parole antiche o desuete, ma a mio avviso possono ricompattare l´entusiasmo di un popolo».
Come vede la sua candidatura? «Una strada in salita, che però mi appassiona molto». E la sfidante? «Io e Renata Polverini abbiamo visioni del mondo certamente diverse. Qualunque sia il mio comitato elettorale, mi sembra difficile che chiamerò un prete a benedirlo». In assoluto, il confronto tra donne non l´appassiona: «Da qualunque altra parte sarebbe vissuto come normale. Da noi sembra così strano proprio per la condizione patetica in cui è tenuto il valore femminile nel nostro Paese. Da questo punto di vista spero sia un nuovo inizio».
Per allargare la coalizione a chi ancora ne è fuori (con Verdi e SeL l´intesa è già fatta) c´è massima disponibilità: «Con Ferrero c´è stato un incontro interlocutorio, ce ne sarà un altro e il mio messaggio è che un nuovo inizio è possibile, dipenderà in qualche modo da loro. Sia Di Pietro che Ferrero mi conoscono, sanno non tanto cosa rappresento, ma chi sono». E Paola Binetti, che ha definito la scelta di candidarla ««l´eutanasia di un partito» e, dopo aver annunciato l´intenzione di farle campagna elettorale contro, ora assicura che lascerà il Pd se lei dovesse vincere? Emma allarga le braccia e si limita a rispondere: «Ognuno...». Non prima però di aver rassicurato, piccata, chi teme che il suo profilo non sia abbastanza "popolare": «Non so se sono popolari i centri per gli immigrati o le carceri: quelli li frequento abitualmente».
Infine un appello ai valori: «Non c´è politica senza cultura, altrimenti è solo un consiglio d´amministrazione. Amministrare una Regione, un Paese mettendoci degli ideali dovrebbe essere scontato, ma da noi non è così. Credo sia questo che ci distingue, ed è quello che chiedo a tutti voi: di portare in questa campagna un pezzo della vostra individualità. Bisogna rimettere la persona al centro della vita e della politica».

Repubblica 17.1.10
Cattolici in politica
Il monito di Prodi a Bersani "Il Pd non è un partito centrista"
Il Professore da l'ok alla Bonino: "Nel Lazio può vincere"
di Marco Marozzi

Si sente necessità del cristianesimo sociale. I cattolici hanno perduto la propria missione perché i loro valori non sono stati tradotti in politica

MODENA - Benedice Emma Bonino nella sua corsa per il Lazio. «Come mio ministro è stata bravissima e leale, molto leale. E tale è rimasta dopo. Se c´è qualcuno che può vincere, è Emma». Con un avvertimento: «Deve però dimostrare di essere la sintesi di una coalizione, di essere capace di unire». Romano Prodi fino ad ora ha evitato "incursioni" nella gestione "bersaniana" del Pd. Ma al convegno per ricordare Ermanno Gorrieri non riesce a trattenersi. E da il suo placet alla "corsa" dell´esponente radicale nel Lazio.
Nello stesso tempo veste i panni del "padre nobile" e trasmette qualche raccomandazione ai democratici. A cominciare dal rapporto con l´Udc di Pier Ferdinando Casini: va bene l´alleanza ma non può essere a trazione "casiniana". Bisogna evitare omologazioni «centriste». I punti di riferimento devono rimanere i «valori» e il «fare». «Sono un testone: bisogna essere coerenti in politica e nell´etica». E in questo senso più che il centrismo sarebbe indispensabile l´impegno dei cattolici in politica: «Se ne sente la mancanza». Il Professore, dunque, accetta il ruolo di "saggio": «Il rischio vero è che persino un settantenne si senta giovane, con questi chiari di luna».
Nel palazzo modenese voluto da Gorrieri e da un sindaco comunista, Prodi evoca l´Ulivo e il Pd. In prima fila i dirigenti regionali democratici, il bersaniano Bonaccini e la franceschiniana Bastico, parlamentari, professori, cooperatori, il capo degli europarlamentari Pd, Sassoli.
Clima da cantiere, con Prodi che parla del rapporto fra comunisti e cattolici. «Gorrieri fu di un anticomunismo totale e intransigente reso diverso dal rapporto con la vita quotidiana. In Italia invece dopo la caduta del Muro si è aperta la grande stagione dell´anticomunismo globale». Come reagire? «Si sente tantissimo la necessità del cristianesimo sociale» dice l´ex premier. «I cattolici hanno perduto la propria missione all´interno degli schieramenti poiché i loro valori non sono stati tradotti in politica. Bisogna annunciare i valori e starci dentro. Senza un progetto hai perso. I valori non tradotti in conseguente azione politica sono solo enunciazione. E le enunciazioni in politica non contano niente. Non farle seguire da atti coerenti lascia spazio a qualsiasi aberrazione».
Il ragionamento ricade nel confronto in vista delle prossime regionali. «Il rapporto quotidiano fra il politico e la sua gente - avverte Prodi - è reso impossibile dall´attuale legge elettorale per il Parlamento». Per questo chiama ancora una volta il Pd a mobilitarsi contro il sistema a liste bloccate voluto da Berlusconi nel 2005. «Ha creato l´anonimato fra i parlamentari. Con conseguenze enormi, terribili. La perdita di rapporti fra rappresentato e rappresentante rende inutile, senza senso, parlare di federalismo, localismo, autonomia. La politica sarà sempre sottoposta al potere centrale se non risponde nel quotidiano alla propria gente».
Il senatore veltroniano Giorgio Tonini dice che l´ex premier durante il suo governo «teneva conto della complessità della baracca». «In alcuni momenti - commenta l´interessato - tenevo conto solo io di questa complessità». Una riflessione che adesso riguarda il nuovo partito. La distanza con il gesuita padre Bartolomeo Sorge, presente al convegno, è su questo nettissima. Il religioso cita Lorenzo Dellai, ex-Margherita ora con Rutelli, e delinea la creazione di un aggregazione centrista, con il Pd e Casini. «L´onorevole Sorge - commenta con una punta di ironia - ci ha parlato di un partito politico... di centro». «Gorrieri - avvisa Prodi, al centro e a sinistra - non è mai stato innamorato del blairismo e su questo siamo stati felicemente d´accordo». E rispetto a «sindacato, partito, autorità ecclesiastica» era «non ribelle ma testone». Luciano Guerzoni, presidente della Fondazione Gorrieri, lo blandisce: «Siete uguali». Prodi ride e ringrazia. «Testone è un termine emiliano. Se non sei così, è difficile nella vita politica di oggi essere coerenti, fedeli ad un´etica, ad una direzione».

l’Unità 17.1.10
Il carciofo allo iodio piatto forte di Emma
Nel testa a testa con la Polverini potrebbe essere fondamentale l’antica scelta antinucleare. Possibilista invece la candidata Pdl

La Bonino in modo netto contro le centrali. Quella foto di 20 anni fa

Una foto d’epoca quando dopo Chernobyl i radicali promossero i referendum contro il nucleare la ritrae con un carciofo in mano e un cartello: «Carciofo allo iodio». Adesso che si è candidata alla guida del Lazio, il no al piano nucleare del governo, alla centrale di Montalto di Castro e alle altre possibili localizzazioni che si prospettano nella regione, è stato uno dei primi temi, se non proprio il primo, che Emma Bonino ha lanciato in campagna elettorale. No alla localizzazione e no al metodo del «ve lo diciamo dopo». «Informare i cittadini è fondamentale», avverte Emma, che su questo terreno si è già spesa da vicepresidente del Senato e ora si prepara a dare battaglia alla sua avversaria, Renata Polverini. Che il tema sia ineludibile, in effetti, sembra averlo capito anche lei. Ma per il momento la sindacalista dell’Ugl si trincera dietro a un generico «va rivisto tutto, valuteremo con le comunità locali, alcuni siti individuati in passato sono molto cambiati». Senza ovviamente poter dire «no» al nucleare, uno dei punti su cui si salda la sua maggioranza, con o senza l’Udc. Per Emma, invece, i tempi del «non so, non sappiamo» sono finiti. «Abbiamo paura dell’ignoranza», recitava lo slogan dei radicali nel ’77: ma adesso «sul nucleare sappiamo tutto e anche che esistono delle alternative». Le ha indicate molto chiaramente la stessa Enea: «Efficienza energetica, energie alternative, ricerca». E su quelle Emma Bonino intende impostare il suo programma: «Anche perché sono soluzioni capaci di produrre molti posti di lavoro». La domanda piuttosto sul nucleare è: «Conviene davvero?». Al Sole 24 Ore, «quotidiano nuclearista», ha spiegato che no. «Non sono affetta dalla sindrome di Nimby, ma in Francia è stato un fiasco». E se vincerà, da presidente del Lazio, proverà a spiegarlo meglio anche al governo.

il manifesto 17.1.10
Lazio. Bonino inaugura la sua corsa
La strana partenza con il guru anti-gay
di Daniela Preziosi

ROMA Applausi alle stelle quando scende verso la platea, poi il teatro viene giù mentre si fa fotografare fra Marco Pannella e Massimo Fagioli, letteralmente messa in mezzo. Alla prima uscita da candidata presidente del centrosinistra (ufficialmente solo di radicali e Pd, la coalizione ancora non c'è, si aspetta la risposta di Prc e dell'ldv) Emma Bonino fa il pieno di folla al Teatro Eliseo ma sceglie un posticino ad alto rischio: l'abbraccio pericoloso con la platea osannante del professor. Massimo Fagioli, lo psichiatra romano dell'analisi collettiva» e della «teoria della realtà umana».
L'appuntamento nasce come dialogo pubblico sul «potere della nonviolenza» (anticipato da un bel numero monografico del bimestrale Quaderni Radicali, organizzatore dell’evento insieme al settimanale filofagiolino Lefi e alle fagioline edizioni L'asino d'oro). Si svolge alla maniera di una seduta di analisi collettiva. Dalle poltroncine partono domande con le parole d'ordinanza, «realtà umana», «identità» e «trasformazione», e sempre in bilico fra libera associazione e anacoluto. Rispondono lo psichiatra - un tempo teorico dell’omosessualità come malattia' oggi passato direttamente alla negazione («la pulsione omosessuale non esiste, è pulsione di annullamento. il desiderio è solo nel rapporto uomo-donna. ossia tra diversi e uguali») - e Marco Pannella. suo nuovo politico di riferimento. Con il precedente, Fausto Bertinotti dei tempi del Prc, ormai ha rotto, dice Fagioli. Ieri era giusto la prima occasione pubblica per spiegarne i motivi: Fausto. spiega lo psichiatra, «ha scoperto che in fondo al marxismo c'è la violenza ideologica» ma non ha saputo portare a conseguenza il ragionamento: si aspettava che il leader maturasse lo stesso suo sincero anticomunismo? Ma è acqua passata, il pubblico ormai se ne disinteressa ormai. La rottura è diventata definitiva quando, di fronte a un giornalista, allo psichiatra è sfuggito un giudizio spericolato su Nichi Vendola: «Non può essere contemporaneamente cattolico. omosessuale e comunista, è da curare». E Vendola: «Ha un pensiero melmoso, pruriginoso. È pieno di ossessioni, un omofobico, un anticattolico, un anziano che detesta i giovani». Fine della comunanza con i comunisti. E, coincidenza, fine anche di quel Prc eclettico che s' era invaghito di Fagioli. In mezzo ci sono anche questioni editoriali con la vecchia Liberazione, che aveva avuto qualche interesse nei suoi confronti, fino a che un editore di area aveva tentato di comprarla, ma questa sarebbe un'altra storia.
Che c'entrano i lib radicali, ma anche i post comunisti, con un oscurantismo del genere? C'è il fatto che agli uni e agli altri i fagiolini hanno dedicato applausi da curva, palchi prestigiosi, promesso e forse anche dato voti, in città si dice, pesino un paio di mille. Ieri al Teatro Eliseo erano la metà, con tanto di collegamento via schermo al civico accanto. Nel dopo-Bertinotti, Fagioli ha cominciato a riempire le platee dei congressi radicali, e a intervenire dal palco. Pannella prova gratitudine che chiama «ri-conoscenza», ma da navigato professionista della provocazione, spiega così: «Mi dicevano che Fagioli era il diavolo, che odiava i froci e le femministe. E mi sono detto: ci devo parlare». Fagioli invece è convinto di aver trovato la prassi della sua teoria psichiatrica. È disposto a riconoscere al leader radicale una primogenitura sulla scelta politica della nonviolenza, purché a sua volta Pannella gli riconosca l'intuizione della «realtà umana non violenta», scoperta antifreudiana («Freud era un imbecille» e «la sua teoria solo fregnacce»). In realtà la nonviolenza di derivazione gandhiana e la teoria di una presunta natura umana nonviolenta sono più che diverse, e a ben guardare neanche convergono. Ma sono dettagli, la platea si disinteressa anche di questo.
Invece si spella le mani quando sente che «l'irrazionalità è il genio» e la ragione è il male, o quando scopre là per là che «la sinistra non si deve occupare solo degli aumenti degli stipendi ma di promuovere cultura ovvero identità». Le ragazze quasi sempre in minigonna e si commuovono se dice che «donne emancipate in grado di realizzare la loro libertà fanno paura alla chiesa perché non sono madonne senza peccato», e «la sessualità umana non è solo biologica ma anche mentale».
Ma la candidata Bonino ormai è andata via e non può replicare - come senz'altro farebbe - che questo guardaroba era già vecchia negli anni 70. All'incontro Bonino è stata invitata in un secondo momento, quando è diventata «l'identità femminile» candidata. ma si è tenuta fuori dall'abbraccio psichiatrico. Arriva, incassa il «totale appoggio» di tutto l'ambaràm, svolge una bellissima riflessione sulla nonviolenza, conclude con un «ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra e quello cattolico». Poi, già fuori dal teatro, spiega: «È banale dire che io la penso diversamente dal professar Fagioli su molte cose. Ma il tema di oggi era la nonviolenza, e ho preferito valorizzare quello che ci unisce». E se ne va. Lascia il compagno Pannella a imbrogliarsi nell'intreccio. E i militanti radicali a raccogliere firme.


il Fatto 17.1.10
Eutanasia di un partito
di Furio Colombo

La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, non solo la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta

Confesso che avrei voluto allargare l’orizzonte e riflettere con voi sul peggio (l’immenso dolore di Haiti) e sul meglio del mondo (navi, aerei, 10.000 soldati Usa partono per salvare donne e bambini dalle macerie, rovesciando le tipiche e tragiche sequenze delle vicende internazionali).
Ma, come voi, sono inchiavardato a un paese infelice, in cui il Male è Emma Bonino e il Bene (almeno secondo una disorientante visione di Paola Binetti) sarebbe l’esclusione della Bonino dal mondo politico. Tanto più che l’on. Binetti, prendendo atto della candidatura di Emma Bonino alla regione Lazio in rappresentanza Pd, ha detto una frase grave: “Questa è l’eutanasia di un partito”.
Verrebbe voglia di appartarsi un momento con questa signora colta e gentile per chiederle: “Dio chi?”. Voglio dire: come, quando, perché Dio ha deciso di rifiutare sempre e per sempre Emma Bonino? O meglio: quale Dio? In quali Scritture? Un chiarimento per i lettori, che a volte sembrano infastiditi dai troppi frequenti riferimenti amichevoli ai Radicali (ma non erano di destra?) quando provo a raccontare e commentare certi fatti della politica.
Guardate che io non sto parlando di Emma Bonino e della sua candidatura spontanea nel deserto di un’importante regione italiana, che è anche un simbolo perché qui c’è la Capitale.
Sto parlando del Pd che era in attesa, con ferma e dignitosa astensione da ogni iniziativa. Aspettava qualcuno da seguire, senza sapere e potere dire chi. E così da una parte arriva il miracolo – una persona estranea al Pd (ma non all’opposizione, non all’Italia pulita, non alle prove già date di buona, efficace politica), che però si è scelta da sola, sembra capace, interrompe la prolungata afasia del Pd ed è già al lavoro. Dall’altra arriva lo scisma. O la minaccia di scisma. O la minaccia di una minaccia, subordinata a condizioni strane, rovesciate, che ricordano alcuni passaggi del “Codice da Vinci”, cioè un thriller che racconta il mistero truccando le carte. Anche qui, nella solenne e drastica enunciazione della Binetti, c’è un trucco (o un rovesciamento logico, umano, politico, persino religioso) che lascerebbe increduli se non fosse pubblicato sul Corriere della Sera, p. 12, il 16 gennaio.
Dunque, in quell’articolo l’intervistatrice (Monica Guerzoni) domanda alla deputata Pd Paola Binetti: “Lascerà il Pd?”. La risposta è degna di essere riportata e ricordata. Anzi, su di essa il Pd dovrebbe aprire un convegno. “Lascerò il Pd se la leader radicale dovesse vincere le elezioni”.
Tratteniamo per un momento lo stupore (la frase è insensata dal punto di vista logico, assurda dal punto di vista politico, sconveniente quanto a minima lealtà al proprio club di appartenza). E cerchiamo di capire il senso del fenomeno a cui stiamo assistendo. Senza alcun giudizio su persona e valori della Bonino candidata, senza alcuna conoscenza del programma (che non è ancora stato presentato e discusso e che – comunque – non riguarda gli angeli e gli arcangeli, ma la regione Lazio), la deputata cattolica eletta nelle liste Pd dichiara che resterà fedele al suo partito solo in caso di sconfitta. Invece, se Emma Bonino – in questo momento la principale candidata Pd delle elezioni di marzo – vincerà le elezioni, umilierà il potente schieramento avversario, conquisterà la regione Lazio (un fatto che si presta a diventare subito notizia internazionale, come vincere la California o New York negli Usa) – se restituirà fiducia e speranza a tutto il centrosinistra, la deputata Pd Binetti sarà costretta ad andarsene. Lealmente, spiega a fine intervista che, per evitare un simile evento, da subito farà campagna contro la Bonino, dunque contro il Pd e la concreta possibilità di vittoria del suo partito che adesso, nel Lazio, potrebbe tornare in vita, dopo – e nonostante – il triste caso Marrazzo.
Niente di teologico in tutto ciò, e neppure quel tipo di dissenso (ogni dissenso) che giova sempre ai partiti.
La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta. Un atto d’amore capovolto, se volete, simile al gesto di chi uccide la persona amata perché non sia mai di altri. Qualcosa non va. E la Binetti, medico e psichiatra, dovrebbe saperlo. Dovrebbero saperlo anche i leader del Pd, parlandone da vivi.

il Fatto 17.1.10
Il Pd è cattolico nonostante la Bonino

In riferimento alla candidatura della Bonino si parla della cosidetta fuga dei cattolici dal Partito democratico. La Binetti, per esempio, ha annunciato che se Emma dovesse vincere lei lascerebbe il partito. È un argomento molto di moda, quello della perdita dei voti dei cattolici. Anche nel Pd ne parlano spesso. Perché invece non parlano mai dei milioni di ex elettori del Pd non cattolici o laici che non votano più per questo partito perché si sentono traditi? Non si preoccupano affatto di perdere i nostri voti. Il Pd si è comportato in maniera vergognosa su tutte le vicende importanti, sui diritti civili, sui Pacs, non ha detto una parola per avallare l’uso in Italia della pillola abortiva. Il Pd sta confermando sempre più che non solo non ha nessuna intenzione di andare mai al governo, ma non vuole nemmeno fare l’opposizione!
Giulio
l’Unità 17.1.10
Rosarno, Italia
di Luigi De Magistris

A Bruxelles si è discusso di quello che è accaduto a Rosarno, in Calabria, in Italia. Proprio così, in Italia. Tutti allibiti. Rosarno è una cittadina della piana di Gioia Tauro in cui ferreo è il controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta. In quest’area profonde sono le collusioni della criminalità organizzata nelle amministrazioni pubbliche, impressionante la sua capacità economica. Non è solo una mafia capace di sviluppare un’enorme capacità militare, ma anche mafia imprenditrice, che fa politica, che governa. Nella piana vi sono migliaia di immigrati che vivono in condizioni disumane, considerati rifiuti sociali, non-persone da un governo che pratica politiche xenofobe e razziste. Dimorano in baracche, lavorano la terra per pochi spiccioli, coltivano latifondi controllati dalla criminalità organizzata, senza diritti, ma con gli obblighi dei nuovi schiavi. Una realtà che la società opulenta non vuole vedere e che accetta come effetto collaterale di un capitalismo senza regole, dimenticando che italiani all’estero hanno subito nel passato medesime condizioni. Accade che un giorno d’inverno, in periodo di campagna elettorale, pochi giorni dopo le intimidazioni alla magistratura reggina, la criminalità organizzata apre il fuoco, comincia a sparare verso gli schiavi, contro coloro che procurano ricchezza ai loro padroni. Il Governo sapeva, ma scopre oggi Rosarno, come si ricorda della Calabria dopo Fortugno. Se ti sparano, magari perché hai chiesto dignità, reagisci, è umano anche per uno schiavo. Gli immigrati protestano: per paura, per far sentire che esistono, per rabbia, perché la dignità la conservano anche loro. A questo punto interviene il Ministro dell’interno Maroni, esponente di quell’area politica xenofoba e razzista che istiga all’odio nei confronti degli immigrati. Quello stesso Ministro che delegittima le forze dell’ordine privatizzando la sicurezza con le ronde che magari gestiranno, con infiltrazioni delle cosche, le future ribellioni. E’ quello stesso Governo che non dà risorse e mezzi alle forze dell’ordine rendendo impossibile il controllo del territorio. Un Governo celere, però, nell’approvare leggi che favoriscono il crimine organizzato. Un Governo impegnato ad ostacolare servitori dello Stato che contrastano il crimine organizzato, anche quello dei colletti bianchi che è linfa vitale di un sistema criminale che piega la democrazia. Che fa il Governo a Rosarno? Per garantire sicurezza deporta gli immigrati. La ’ndrangheta spara ai migranti e gli spezza le ossa con le spranghe. Il Governo interviene e seda la rivolta portando via gli schiavi. Dopo le collusioni tra pezzi delle istituzioni e criminalità organizzata nella gestione della spesa pubblica in Calabria, si registrano anche convergenze parallele tra la ‘ndrangheta e il governo nei confronti dei migranti. Solo coincidenze, ovviamente. Non prendetevela, però, con il popolo calabrese. È un popolo che sa includere, che accoglie, che ha umanità. Ha nel sangue l’accoglienza dei più bisognosi. A Rosarno la legge l’ha dettata la ‘ndrangheta ed un Governo incapace di dare risposte degne di un Paese civile. Solo coincidenze, ovviamente.

l’Unità 17.1.10
L’Italia li respinge, la Libia li tortura. Il silenzio del governo
di Umberto De Giovannangeli

Dal 3 marzo 2004 Palazzo Chigi sa cosa avviene nei centri di detenzione per migranti. Grazie a una relazione della Protezione civile, denuncia l’Espresso

Il ricorso di 84 migranti. Arrivati a Lampedusa nel 2005 sono stati rimandati a Tripoli
28 centri di detenzione. La denuncia di Fortress Europa: carceri, campi, centri di racolta...

Quei morti nel deserto non sono le vittime di una catastrofe naturale. Quella tragica fine di immigrati espulsi dalla Libia non è imputabile a un destino cinico e baro. Perché non c’è nulla di «naturale» nella fuga disperata dai centri-lager libici di quell’umanità sofferente. Un’umanità senza diritti. Un’umanità sacrificata sull’altare degli Affari dall’accordo di Cooperazione Italia-Libia siglato da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi. L’Unità ha, prima di chiunque altro, documentato questa tragedia «innaturale» con il prezioso contributo delle più importanti e autorevoli agenzie impegnate nella difesa dei diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, da Nessuno Tocchi Caino all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
L’Unità ha sempre accompagnato questa corposa documentazione, con una domanda, reiterata, al Governo italiano, in particolare al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al ministro degli Esteri Franco Frattini: come è possibile non aver tenuto in conto questi rapporti, queste testimonianze, queste denunce nel definire i contenuti dell’Accordo di cooperazione Italia-Libia? Una domanda rimasta senza risposta.
Un silenzio assordante. Come quello che ha accompagnato la rivelazione contenuta nell’ultimo numero del settimanale L’espresso in un articolo di Fabrizio Gatti. L’articolo racconta con il supporto di un video sconvolgente, registrato nel deserto del Sahara della tragica fine di donne e uomini, provenienti in maggioranza dall’Africa subsahariana, espulsi dal regime del Colonnello Gheddafi. Bloccati in Libia denuncia Gatti dall’accordo Roma-Tripoli e riconsegnati al deserto. Condannati ad una fine atroce. I rapporti delle agenzie umanitarie avevano documentato gli abusi, i maltrattamenti subiti dagli immigrati bloccati in Libia. Evidentemente queste denunce circostanziate non sono state ritenute credibili dal Presidente del Consiglio e dal suo governo. Ma la rivelazione de L’espresso inchioda Palazzo Chigi. Palazzo Chigi sa ufficialmente dal 3 marzo 2004 che cosa siano realmente i centri di «accoglienza» predisposti da Tripoli.
3 marzo: la data stampata su un rapporto riservato della presidenza del Consiglio. Gatti ne rivela il contenuto. Si tratta della relazione consegnata ai collaboratori del Cavaliere dopo la visita nel Sahara della delegazione della Protezione civile che deve progettare la costruzione dei centri di detenzione libici. Quel documento dà conto della conoscenza daparte della delegazione della Protezione civile, di quale sia il trattamento riservato dai libici ai cittadini extracomunitari, «di cui si allega documentazione fotografica». Il Cavaliere sapeva. Il suo staff era stato informato direttamente da una delegazione ufficiale, governativa. Quel documento non ha avuto seguito. Palazzo Chigi e la Farnesina non hanno smentito le rivelazioni de l’Espresso.
Gheddafi continua ad essere un interlocutore privilegiato per Berlusconi. Da ricevere come «amico personale» e illuminato statista. Un idillio che non deve essere scalfito da documenti scomodi, inquietanti. Le vessazioni perpetrate nei centri di detenzione libici non dovevano mettere in discussione i contratti miliardari. L’importante, oltre fare affari, è respingere gli immigrati che cercano di raggiungere le coste italiane. A occuparsene è la giustizia internazionale.
È approdato a Strasburgo, per l'esattezza alla Corte europea dei diritti dell'uomo, il caso di 84 immigrati (palestinesi, algerini, giordani, marocchini e tunisini) arrivati a Lampedusa nel 2005 e poi espulsi verso la Libia lo stesso anno dal governo italiano (guidato da Berlusconi). I ricorrenti sostengono che espellendoli l'Italia ha violato il loro diritto alla vita e a non essere sottoposti a tortura o trattamenti inumani e degradanti. Nel ricorso gli immigrati sostengono che non è stata data loro un'adeguata possibilità per ricorrere contro l’espulsione e che sono stati intralciati nel presentare il loro appello alla Corte di Strasburgo. I giudici, nel dichiarare ammissibile il ricorso nel 2006, avevano sottolineato che in quel momento non potevano pronunciarsi anche sul merito, alla luce della necessità di condurre un esame approfondito delle questioni sollevate. La sentenza della Corte è attesa martedì.
Sulla base delle testimonianze raccolte in questi anni, l'osservatorio Fortress Europe ha contato 28 centri di detenzione di immigrati. perlopiù concentrati sulla costa. Ne esistono di tre tipi. Ci sono dei veri e propri centri di raccolta, come quelli di Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah e Misratah, dove vengono concentrati i migranti e i rifugiati arrestati durante le retate o alla frontiera. Poi ci sono strutture più piccole, come quelle di Qatrun, Brak, Shati, Ghat, Khums dove gli stranieri sono detenuti per un breve periodo prima di essere inviati nei centri di raccolta.
E poi ci sono le prigioni: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah, prigioni comuni, nelle quali intere sezioni sono dedicate alla detenzione degli stranieri senza documenti. Una detenzione segnata da abusi e violenze.

l’Unità 17.1.10
Aumenti ai prof di religione. Schiaffo ai precari della scuola
Una circolare del Tesoro di fine dicembre consente di calcolare gli scatti di anzianità anche sull’indennità integrativa speciale. Da maggio i prof di religione prenderanno di più e recupereranno il pregresso
di Bianca Di Giovanni

Per i docenti anche fuori ruolo, gli scatti di anzianità andranno calcolati anche sull’indennità
Il personale delle altre materie non ha scatti, e i precari percepiscono solo lo stipendio base
Numeri. Circa 25mila i prof di religione di cui 12mila con incarico annuale

Buste paga più ricche per i prof di religione. Il ministero dell'Economia lo scorso 28 dicembre ha, infatti, emanato una nota che riguarda la procedura di calcolo degli aumenti biennali per gli insegnanti di religione e stabilisce che questi incrementi i quali prima venivano calcolati nella misura del 2,5% del solo stipendio base dovranno ora
ammontare al 2,5% dello stipendio base comprensivo della indennità integrativa speciale. Non un dettaglio: quella quota può raggiungere un terzo dello stipendio. «Adesso dunque spiega lo Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione dal primo maggio 2010 le direzioni provinciali del Tesoro dovranno procedere al pagamento degli arretrati. Dal pagamento saranno esclusi i docenti ai quali il mancato inserimento dell'indennità nel calcolo degli aumenti biennali era stato compensato, già a partire dal 2003, con un assegno ad personam». Critica l'Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione) secondo cui questa concessione a una ristretta cerchia di docenti dimostrerebbe che «ancora una volta il governo dimentica i precari della scuola». In effetti la circolare, emanata alla chetichella nell’ultimo giorno utile dell’anno, rinnova un conflitto già aspro all’interno del corpo insegnate. Una diversità di trattamento che risale almeno al 2003, quando sempre il governo di centrodestra varò l’immissione in ruolo dei docenti «selezionati» dalle Curie.
PLATEA
Il provvedimento del dicembre scorso riguarda tutti i circa 25mila insegnanti di religione impegnati su territorio nazionale. Sia quelli di ruolo, sia i precari (circa 12mila), che così incassano un doppio vantaggio rispetto agli altri. Gli insegnanti di ruolo di altre materie, infatti, non hanno scatti biennali di anzianità (quelli di religione li mantengono dal vecchio regime, quando erano tutti fuo-ri ruolo), mentre i precari godono solo dello stipendio base: solo al momento dell’ingresso in ruolo avviene la ricostruzione retroattiva di scatti e quindi aumenti. Su questo si è concentrata la battaglia della Cgil scuola, che chiede per tutti la ricostruzione di carriera.
PRIVILEGI
L’ultima decisione, dunque, è una vera beffa per chi chiede equità di trattamento. Un passo che si aggiunge a una lunga serie di privilegi: accesso alla cattedra su segnalazione dell'ordinario diocesano, assunzione sulla base di un successivo concorso riservato, passaggio ad altra cattedra in caso di perdita del requisito per insegnare la religione (l'attestato dell'ordinario diocesano) e scatti biennali anche per i precari. «Mentre il ministro Tremonti a dicembre ricorda alla Curia che presto saranno liquidati gli scatti biennali di anzianità al personale docente di religione con incarico annuale o di ruolo, che non ha mai richiesto tale indennità sotto forma di assegno ad personam, permane, purtroppo, il silenzio verso tutto il restante personale precario», dichiara Marcello Pacifico, presidente dell'Anief (l'Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione).
SOLDI E AUMENTI
Secondo alcuni calcoli effettuati dai sindacati l’aumento potrebbe valere 220 euro in più in busta paga, arretrati esclusi. Per il rinnovo del contratto degli insegnanti, invece, i sindacati hanno chiesto un aumento di 200 euro mensili da erogarsi in tre anni, ma il ministro della Pubblica amministrazione è disposto a concederne appena 20. E non solo. Vorrebbe agganciare gli aumenti di stipendio dei docenti al merito.

Repubblica 17.1.10
Via libera di Tremonti: 220 euro al mese. Protestano gli altri precari
Scuola, aumenti ai professori ma solo a quelli di religione
di Salvo Intravaia

Busta paga più ricca per i prof di religione
Il ministero dell’Economia vara un provvedimento ad hoc. Ed è polemica: dimenticati gli altri precari
Si parla di aumenti mensili di 220 euro lordi per 26mila docenti di ruolo e supplenti

«A seguito degli approfondimenti effettuati in merito, si comunica che questa direzione - scrive Roberta Lotti, dirigente del ministero dell´Economia preposta ai Servizi informativi - ha programmato, sulla mensilità di maggio 2010, le necessarie implementazioni per il calcolo degli aumenti biennali spettanti agli insegnanti di religione anche sulla voce IIS (l´indennità integrativa speciale, ndr) a decorrere dal 1 gennaio 2003». Fra 5 mesi, in poche parole, alcune migliaia di insegnanti di Religione si ritroveranno sullo stipendio aumento, che secondo stime sindacali, potrebbe arrivare a 220 euro lordi, ed arretrati: da mille a 2 mila euro. Perché la quota di stipendio rimasta fuori in questi anni dal computo è consistente: pari a un quarto dell´intera retribuzione. A beneficiare del provvedimento saranno alcune migliaia di insegnanti. I supplenti annuali, spiega lo Snadir (il Sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di Religione), "che non abbiano maturato i requisiti per la ricostruzione di carriera", quelli di ruolo "che non avevano maturato il diritto alla ricostruzione di carriera prima della nomina a tempo indeterminato", e coloro che tale diritto lo hanno maturato "successivamente al primo gennaio 2003". Se fossero soltanto 5 mila il giochetto costerebbe ai contribuenti 10 milioni di euro, più tutti gli arretrati. In tutto, i precari di Religione sono quasi 12 mila, più 14 mila docenti di Religione di ruolo. E la restante parte dei supplenti, oltre 100 mila? Nulla, anche se precari da dieci o vent´anni. «È un provvedimento che provoca ingiustizia e discrimina lavoratori della stessa categoria, per questa ragione è incostituzionale», commenta Alessandra Siragusa (Pd), componente della commissione Cultura alla Camera. «Nulla in contrario al riconoscimento - aggiunge il collega Tonino Russo (Pd) - di un diritto, ma non si può fare una discriminazione sulla base della Religione. Anche tanti precari in cattedra ogni giorno professano la stessa religione ed avrebbero diritto agli aumenti di stipendio». La querelle nasce dal fatto che per i prof di Religione, anche precari, una legge del 1980 prevede scatti biennali del 2,5 per cento. Ma a quel tempo erano tutti precari i docenti di Religione e la norma serviva ad agganciare la retribuzione all´aumento del costo della vita. Poi, nel 2005, lo Stato ha immesso in ruolo i docenti di Religione, ma il privilegio è rimasto.

l’Unità 17.1.10
Nanerottoli
Grati a Basaglia
di Toni Jop

Si incrociano le storie nella storia. Esce un film tv sulla vita e l’esperienza di liberazione di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha promosso la chiusura dei manicomi. In questi giorni si celebra il centenario di Mario Tobino, egregio scrittore e, in particolare, psichiatra innamorato delle Antiche Scale del dolore custodite dai manicomi. Non che ne amasse la coercizione, immaginava solo che si potessero rendere più umani, discreti, accoglienti. E qui conviene prendere atto che non è vero che niente cambia, che vincono sempre i peggiori, alla faccia della dura lezione che questi tempi pretendono di impartire alle nostre ansie. Infatti, Tobino ha perso la sua battaglia, e, virtù della rima, ha vinto Basaglia: i manicomi sono stati chiusi per legge, ed è stata respinta al mittente e alla sua triste poetica l’idea che quegli orrori si potessero imbellettare con mazzolini di fiori. Così, eccoci grati verso Basaglia e quell’Italia per i quali proviamo nostalgia mentre non ci manca per niente, cucù, Tobino.

sabato 16 gennaio 2010

l’Unità 17.1.10
Vogliamo Emma
di Lidia Ravera

Dicono che gli uomini “fanno rete” e noi no. Che loro si scambiano favori , si promettono fedeltà, uno porta all’altro l’acqua con le orecchie, poi passa a riscuotere e l’altro gli ammolla il posto blindato sulla lista vincente, una consulenza , la direzione di qualcosa. Codice paterno o abito mafioso? Inutile provare a peggiorare, siamo diver-
se. Vogliamo Emma Bonino alla regione Lazio, perché è intelligente e competente. Antiretorica e appassionata. Antirazzista e cittadina del mondo . Laica e ben decisa a non leccare i piedi al Papa né adesso né mai. Ci piace perché non bamboleggia, non mignoteggia e non indietreggia. Ci piace perché ha retto 40 anni in politica senza diventare una replicante. Ha mantenuto la sua voce, il suo stile, le sue idee e le sue rughe. Ci piace perché non ci darà niente in cambio del nostro sostegno. E nemmeno lo vogliamo. Il codice materno è: gratuità.

Repubblica 17.1.10
Il debutto di Emma "Rappresenterò i cattolici ma senza farmi benedire"
Prima uscita pubblica all´Eliseo: "Governare bene è scontato, altro è metterci ideali"
di Alessandra Longo

ROMA - «La principessa, dov´è la principessa?». Marco Pannella si guarda intorno in cerca di Emma Bonino. Il teatro Eliseo di Roma è affollatissimo. E´ la prima uscita della candidata presidente della Regione Lazio per il centrosinistra (e da subito rassicurerà cattolici, dipietristi e rifondaroli). Eccola arrivare, la «principessa»: un po´ in ritardo, affannata, giacca blu e felpa rossa, eccola infilarsi incredula e veloce nella sala gremita. Tutti in piedi, standing ovation. Per gli altri, i tanti rimasti fuori, maxi-schermo nel ridotto. Pannella la segue, un passo indietro. Con lui c´è lo psicanalista cult Massimo Fagioli, acceso sponsor di Emma e ormai in freddo con Bertinotti, dopo una bruciante passione («Ha puntato tutto su quel catto-comunista di Vendola...»).
Che ci fa qui la Bonino? E´ l´ospite d´onore che apre il dibattito politico-psichiatrico fra i due guru. Tema: «Il potere della non violenza». Un´iniziativa sulla carta da tempo, promossa da Quaderni Radicali, l´Asino d´oro editore e la rivista Left. Ovvio che la scesa in campo rivoluzioni l´agenda. Emma è in corsa, è lei la protagonista del giorno, ha appena incassato l´ok unanime del Pd laziale: «Una scelta che mi emoziona e responsabilizza. Ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra, quello cattolico e, in generale, il popolo italiano in questi anni». Messaggio ai «credenti», così li chiama lei. «Credenti con i quali – dice in un´intervista a Left – non ho mai avuto problemi. Le grandi battaglie civili di questo Paese sono state vinte anche col sostegno del mondo cattolico».
L´aspetta «un´impresa in salita» ma è convinta che sia possibile «un nuovo grande inizio». Anche con Di Pietro e Ferrero: «In qualche modo sanno perfettamente non cosa rappresento ma chi sono». E chi è allora Emma Bonino? Una che ci crede ancora: «Marco dice che le uniche cose concrete che fanno girare il mondo sono le idee. Spero di rappresentare le aspirazioni degli italiani che vogliono una politica più responsabile, più coerente, più onesta».
Sa benissimo le priorità del Lazio: «Sanità, trasporti, rifiuti». Ha in mente di portare, con la sua candidatura, il «valore aggiunto della trasparenza» negli appalti, nelle nomine, nei curriculum, ma si prende la sala per volare più alto: «Vedete, senza cultura non c´è buona politica. Si può sempre dar vita ad un buon consiglio di amministrazione, governare una Regione, un Paese. Ed è scontato che ogni ruolo vada coperto al meglio. Altra cosa, però, è immetterci idee e ideali. Ecco, questo vi chiedo: «Metteteci qualcosa di vostro, della vostra individualità in questa sfida». «Fagiolini» in delirio, applausi a scroscio, «Emma, facci sognare». A Ilaria Bonaccorsi, direttrice editoriale di Left, che le siede accanto sul palco, rivela la sua ultima, «appassionante» lettura: il libro del dissidente liberal iraniano Ramin Jahanbegloo, «Leggere Gandhi a Teheran». Le piace quando l´autore dice: «Non esistono scontri di civiltà ma solo scontri di intolleranze». Le piace «la società aperta» della moschea di Cordoba, «dove il venerdì pregavano i musulmani, il sabato gli ebrei, la domenica i cristiani». Nel primo giorno da candidata ufficiale, Emma sceglie di far capire quanto sia lontana dal cinismo della politica e anche da Renata Polverini, sua avversaria: «Abbiamo una visione diversa del mondo. Certo non chiamerò il prete a far benedire il mio comitato elettorale...».

Repubblica 17.1.10
Cattolici in politica
Il monito di Prodi a Bersani "Il Pd non è un partito centrista"
Il Professore da l'ok alla Bonino: "Nel Lazio può vincere"
di Marco Marozzi

Si sente necessità del cristianesimo sociale. I cattolici hanno perduto la propria missione perché i loro valori non sono stati tradotti in politica

MODENA - Benedice Emma Bonino nella sua corsa per il Lazio. «Come mio ministro è stata bravissima e leale, molto leale. E tale è rimasta dopo. Se c´è qualcuno che può vincere, è Emma». Con un avvertimento: «Deve però dimostrare di essere la sintesi di una coalizione, di essere capace di unire». Romano Prodi fino ad ora ha evitato "incursioni" nella gestione "bersaniana" del Pd. Ma al convegno per ricordare Ermanno Gorrieri non riesce a trattenersi. E da il suo placet alla "corsa" dell´esponente radicale nel Lazio.
Nello stesso tempo veste i panni del "padre nobile" e trasmette qualche raccomandazione ai democratici. A cominciare dal rapporto con l´Udc di Pier Ferdinando Casini: va bene l´alleanza ma non può essere a trazione "casiniana". Bisogna evitare omologazioni «centriste». I punti di riferimento devono rimanere i «valori» e il «fare». «Sono un testone: bisogna essere coerenti in politica e nell´etica». E in questo senso più che il centrismo sarebbe indispensabile l´impegno dei cattolici in politica: «Se ne sente la mancanza». Il Professore, dunque, accetta il ruolo di "saggio": «Il rischio vero è che persino un settantenne si senta giovane, con questi chiari di luna».
Nel palazzo modenese voluto da Gorrieri e da un sindaco comunista, Prodi evoca l´Ulivo e il Pd. In prima fila i dirigenti regionali democratici, il bersaniano Bonaccini e la franceschiniana Bastico, parlamentari, professori, cooperatori, il capo degli europarlamentari Pd, Sassoli.
Clima da cantiere, con Prodi che parla del rapporto fra comunisti e cattolici. «Gorrieri fu di un anticomunismo totale e intransigente reso diverso dal rapporto con la vita quotidiana. In Italia invece dopo la caduta del Muro si è aperta la grande stagione dell´anticomunismo globale». Come reagire? «Si sente tantissimo la necessità del cristianesimo sociale» dice l´ex premier. «I cattolici hanno perduto la propria missione all´interno degli schieramenti poiché i loro valori non sono stati tradotti in politica. Bisogna annunciare i valori e starci dentro. Senza un progetto hai perso. I valori non tradotti in conseguente azione politica sono solo enunciazione. E le enunciazioni in politica non contano niente. Non farle seguire da atti coerenti lascia spazio a qualsiasi aberrazione».
Il ragionamento ricade nel confronto in vista delle prossime regionali. «Il rapporto quotidiano fra il politico e la sua gente - avverte Prodi - è reso impossibile dall´attuale legge elettorale per il Parlamento». Per questo chiama ancora una volta il Pd a mobilitarsi contro il sistema a liste bloccate voluto da Berlusconi nel 2005. «Ha creato l´anonimato fra i parlamentari. Con conseguenze enormi, terribili. La perdita di rapporti fra rappresentato e rappresentante rende inutile, senza senso, parlare di federalismo, localismo, autonomia. La politica sarà sempre sottoposta al potere centrale se non risponde nel quotidiano alla propria gente».
Il senatore veltroniano Giorgio Tonini dice che l´ex premier durante il suo governo «teneva conto della complessità della baracca». «In alcuni momenti - commenta l´interessato - tenevo conto solo io di questa complessità». Una riflessione che adesso riguarda il nuovo partito. La distanza con il gesuita padre Bartolomeo Sorge, presente al convegno, è su questo nettissima. Il religioso cita Lorenzo Dellai, ex-Margherita ora con Rutelli, e delinea la creazione di un aggregazione centrista, con il Pd e Casini. «L´onorevole Sorge - commenta con una punta di ironia - ci ha parlato di un partito politico... di centro». «Gorrieri - avvisa Prodi, al centro e a sinistra - non è mai stato innamorato del blairismo e su questo siamo stati felicemente d´accordo». E rispetto a «sindacato, partito, autorità ecclesiastica» era «non ribelle ma testone». Luciano Guerzoni, presidente della Fondazione Gorrieri, lo blandisce: «Siete uguali». Prodi ride e ringrazia. «Testone è un termine emiliano. Se non sei così, è difficile nella vita politica di oggi essere coerenti, fedeli ad un´etica, ad una direzione».

l’Unità 17.1.10
Il carciofo allo iodio piatto forte di Emma
Nel testa a testa con la Polverini potrebbe essere fondamentale l’antica scelta antinucleare. Possibilista invece la candidata Pdl

La Bonino in modo netto contro le centrali Quella foto di 20 anni fa

Una foto d’epoca quando dopo Chernobyl i radicali promossero i referendum contro il nucleare la ritrae con un carciofo in mano e un cartello: «Carciofo allo iodio». Adesso che si è candidata alla guida del Lazio, il no al piano nucleare del governo, alla centrale di Montalto di Castro e alle altre possibili localizzazioni che si prospettano nella regione, è stato uno dei primi temi, se non proprio il primo, che Emma Bonino ha lanciato in campagna elettorale. No alla localizzazione e no al metodo del «ve lo diciamo dopo». «Informare i cittadini è fondamentale», avverte Emma, che su questo terreno si è già spesa da vicepresidente del Senato e ora si prepara a dare battaglia alla sua avversaria, Renata Polverini. Che il tema sia ineludibile, in effetti, sembra averlo capito anche lei. Ma per il momento la sindacalista dell’Ugl si trincera dietro a un generico «va rivisto tutto, valuteremo con le comunità locali, alcuni siti individuati in passato sono molto cambiati». Senza ovviamente poter dire «no» al nucleare, uno dei punti su cui si salda la sua maggioranza, con o senza l’Udc. Per Emma, invece, i tempi del «non so, non sappiamo» sono finiti. «Abbiamo paura dell’ignoranza», recitava lo slogan dei radicali nel ’77: ma adesso «sul nucleare sappiamo tutto e anche che esistono delle alternative». Le ha indicate molto chiaramente la stessa Enea: «Efficienza energetica, energie alternative, ricerca». E su quelle Emma Bonino intende impostare il suo programma: «Anche perché sono soluzioni capaci di produrre molti posti di lavoro». La domanda piuttosto sul nucleare è: «Conviene davvero?». Al Sole 24 Ore, «quotidiano nuclearista», ha spiegato che no. «Non sono affetta dalla sindrome di Nimby, ma in Francia è stato un fiasco». E se vincerà, da presidente del Lazio, proverà a spiegarlo meglio anche al governo.❖

il Riformista 17.1.10
L’esordio di Bonino: «Non mi faccio benedire dal prete»
CONVEGNO. All’Eliseo si esibisce con Pannella e Fagioli, mentre tiene banco la questione cat- tolica. Emma: «Rappresento anche quel mon- do». Su YouTube video con presunta bestemmia.
di Angela Gennaro
scribd

il Fatto 17.1.10
Eutanasia di un partito
di Furio Colombo

La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, non solo la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta

Confesso che avrei voluto allargare l’orizzonte e riflettere con voi sul peggio (l’immenso dolore di Haiti) e sul meglio del mondo (navi, aerei, 10.000 soldati Usa partono per salvare donne e bambini dalle macerie, rovesciando le tipiche e tragiche sequenze delle vicende internazionali).
Ma, come voi, sono inchiavardato a un paese infelice, in cui il Male è Emma Bonino e il Bene (almeno secondo una disorientante visione di Paola Binetti) sarebbe l’esclusione della Bonino dal mondo politico. Tanto più che l’on. Binetti, prendendo atto della candidatura di Emma Bonino alla regione Lazio in rappresentanza Pd, ha detto una frase grave: “Questa è l’eutanasia di un partito”.
Verrebbe voglia di appartarsi un momento con questa signora colta e gentile per chiederle: “Dio chi?”. Voglio dire: come, quando, perché Dio ha deciso di rifiutare sempre e per sempre Emma Bonino? O meglio: quale Dio? In quali Scritture? Un chiarimento per i lettori, che a volte sembrano infastiditi dai troppi frequenti riferimenti amichevoli ai Radicali (ma non erano di destra?) quando provo a raccontare e commentare certi fatti della politica.
Guardate che io non sto parlando di Emma Bonino e della sua candidatura spontanea nel deserto di un’importante regione italiana, che è anche un simbolo perché qui c’è la Capitale.
Sto parlando del Pd che era in attesa, con ferma e dignitosa astensione da ogni iniziativa. Aspettava qualcuno da seguire, senza sapere e potere dire chi. E così da una parte arriva il miracolo – una persona estranea al Pd (ma non all’opposizione, non all’Italia pulita, non alle prove già date di buona, efficace politica), che però si è scelta da sola, sembra capace, interrompe la prolungata afasia del Pd ed è già al lavoro. Dall’altra arriva lo scisma. O la minaccia di scisma. O la minaccia di una minaccia, subordinata a condizioni strane, rovesciate, che ricordano alcuni passaggi del “Codice da Vinci”, cioè un thriller che racconta il mistero truccando le carte. Anche qui, nella solenne e drastica enunciazione della Binetti, c’è un trucco (o un rovesciamento logico, umano, politico, persino religioso) che lascerebbe increduli se non fosse pubblicato sul Corriere della Sera, p. 12, il 16 gennaio.
Dunque, in quell’articolo l’intervistatrice (Monica Guerzoni) domanda alla deputata Pd Paola Binetti: “Lascerà il Pd?”. La risposta è degna di essere riportata e ricordata. Anzi, su di essa il Pd dovrebbe aprire un convegno. “Lascerò il Pd se la leader radicale dovesse vincere le elezioni”.
Tratteniamo per un momento lo stupore (la frase è insensata dal punto di vista logico, assurda dal punto di vista politico, sconveniente quanto a minima lealtà al proprio club di appartenza). E cerchiamo di capire il senso del fenomeno a cui stiamo assistendo. Senza alcun giudizio su persona e valori della Bonino candidata, senza alcuna conoscenza del programma (che non è ancora stato presentato e discusso e che – comunque – non riguarda gli angeli e gli arcangeli, ma la regione Lazio), la deputata cattolica eletta nelle liste Pd dichiara che resterà fedele al suo partito solo in caso di sconfitta. Invece, se Emma Bonino – in questo momento la principale candidata Pd delle elezioni di marzo – vincerà le elezioni, umilierà il potente schieramento avversario, conquisterà la regione Lazio (un fatto che si presta a diventare subito notizia internazionale, come vincere la California o New York negli Usa) – se restituirà fiducia e speranza a tutto il centrosinistra, la deputata Pd Binetti sarà costretta ad andarsene. Lealmente, spiega a fine intervista che, per evitare un simile evento, da subito farà campagna contro la Bonino, dunque contro il Pd e la concreta possibilità di vittoria del suo partito che adesso, nel Lazio, potrebbe tornare in vita, dopo – e nonostante – il triste caso Marrazzo.
Niente di teologico in tutto ciò, e neppure quel tipo di dissenso (ogni dissenso) che giova sempre ai partiti.
La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta. Un atto d’amore capovolto, se volete, simile al gesto di chi uccide la persona amata perché non sia mai di altri. Qualcosa non va. E la Binetti, medico e psichiatra, dovrebbe saperlo. Dovrebbero saperlo anche i leader del Pd, parlandone da vivi.

il Fatto 17.1.10
Il Pd è cattolico nonostante la Bonino
In riferimento alla candidatura della Bonino si parla della cosidetta fuga dei cattolici dal Partito democratico. La Binetti, per esempio, ha annunciato che se Emma dovesse vincere lei lascerebbe il partito. E’ un argomento molto di moda, quello della perdita dei voti dei cattolici. Anche nel Pd ne parlano spesso. Perché invece non parlano mai dei milioni di ex elettori del Pd non cattolici o laici che non votano più per questo partito perché si sentono traditi? Non si preoccupano affatto di perdere i nostri voti. Il Pd si è comportato in maniera vergognosa su tutte le vicende importanti, sui diritti civili, sui Pacs, non ha detto una parola per avallare l’uso in Italia della pillola abortiva. Il Pd sta confermando sempre più che non solo non ha nessuna intenzione di andare mai al governo, ma non vuole nemmeno fare l’opposizione!
Giulio

Il Giornale 17.1.10
Bonino-Polverini: il primo scontro è sui valori cari ai cattolici
http://www.ilgiornale.it/roma/bonino-polverini_primo_scontro_e_valori_cari_cattolici/17-01-2010/articolo-id=414516-page=0-comments=1

Il Giornale 17.1.10
Bonino-Polverini, candidate sbagliate
di Vittorio Sgarbi
http://www.ilgiornale.it/interni/bonino-polverini_candidate_sbagliate/17-01-2010/articolo-id=414372-page=0-comments=1

Il Giornale 16.1.10
Pd senza cattolici
di Sandro Bondi
http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201001162415/partiti-e-istituzioni/pd-senza-cattolici.html

Il Giornale 17.1.10
Rizzo-Diliberto, la guerra dei comunisti spariti
http://www.ilgiornale.it/interni/rizzo-diliberto_guerra_comunisti_spariti/17-01-2010/articolo-id=414379-page=0-comments=1

l’Unità 17.1.10
Rosarno, Italia
di Luigi De Magistris

ABruxelles si è discusso di quello che è accaduto a Rosarno, in Calabria, in Italia. Proprio così, in Italia. Tutti allibiti. Rosarno è una cittadina della piana di Gioia Tauro in cui ferreo è il controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta. In quest’area profonde sono le collusioni della criminalità organizzata nelle amministrazioni pubbliche, impressionante la sua capacità economica. Non è solo una mafia capace di sviluppare un’enorme capacità militare, ma anche mafia imprenditrice, che fa politica, che governa. Nella piana vi sono migliaia di immigrati che vivono in condizioni disumane, considerati rifiuti sociali, non-persone da un governo che pratica politiche xenofobe e razziste. Dimorano in baracche, lavorano la terra per pochi spiccioli, coltivano latifondi controllati dalla criminalità organizzata, senza diritti, ma con gli obblighi dei nuovi schiavi. Una realtà che la società opulenta non vuole vedere e che accetta come effetto collaterale di un capitalismo senza regole, dimenticando che italiani all’estero hanno subito nel passato medesime condizioni. Accade che un giorno d’inverno, in periodo di campagna elettorale, pochi giorni dopo le intimidazioni alla magistratura reggina, la criminalità organizzata apre il fuoco, comincia a sparare verso gli schiavi, contro coloro che procurano ricchezza ai loro padroni. Il Governo sapeva, ma scopre oggi Rosarno, come si ricorda della Calabria dopo Fortugno. Se ti sparano, magari perché hai chiesto dignità, reagisci, è umano anche per uno schiavo. Gli immigrati protestano: per paura, per far sentire che esistono, per rabbia, perché la dignità la conservano anche loro. A questo punto interviene il Ministro dell’interno Maroni, esponente di quell’area politica xenofoba e razzista che istiga all’odio nei confronti degli immigrati. Quello stesso Ministro che delegittima le forze dell’ordine privatizzando la sicurezza con le ronde che magari gestiranno, con infiltrazioni delle cosche, le future ribellioni. E’ quello stesso Governo che non dà risorse e mezzi alle forze dell’ordine rendendo impossibile il controllo del territorio. Un Governo celere, però, nell’approvare leggi che favoriscono il crimine organizzato. Un Governo impegnato ad ostacolare servitori dello Stato che contrastano il crimine organizzato, anche quello dei colletti bianchi che è linfa vitale di un sistema criminale che piega la democrazia. Che fa il Governo a Rosarno? Per garantire sicurezza deporta gli immigrati. La ’ndrangheta spara ai migranti e gli spezza le ossa con le spranghe. Il Governo interviene e seda la rivolta portando via gli schiavi. Dopo le collusioni tra pezzi delle istituzioni e criminalità organizzata nella gestione della spesa pubblica in Calabria, si registrano anche convergenze parallele tra la ‘ndrangheta e il governo nei confronti dei migranti. Solo coincidenze, ovviamente. Non prendetevela, però, con il popolo calabrese. E’ un popolo che sa includere, che accoglie, che ha umanità. Ha nel sangue l’accoglienza dei più bisognosi. A Rosarno la legge l’ha dettata la ‘ndrangheta ed un Governo incapace di dare risposte degne di un Paese civile. Solo coincidenze, ovviamente.❖

l’Unità 17.1.10
L’Italia li respinge la Libia li tortura. Il silenzio del governo
di Umberto De Giovannangeli

Dal 3 marzo 2004 Palazzo Chigi sa cosa avviene nei centri di detenzione per migranti. Grazie a una relazione della Protezione civile, denuncia l’Espresso

Il ricorso di 84 migranti. Arrivati a Lampedusa nel 2005 sono stati rimandati a Tripoli
28 centri di detenzione. La denuncia di Fortress Europa: carceri, campi, centri di racolta...

uQuei morti nel deserto non sono le vittime di una catastrofe naturale. Quella tragica fine di immigrati espulsi dalla Libia non è imputabile a un destino cinico e baro. Perché non c’è nulla di «naturale» nella fuga disperata dai centri-lager libici di quell’umanità sofferente. Un’umanità senza diritti. Un’umanità sacrificata sull’altare degli Affari dall’accordo di Cooperazione Italia-Libia siglato da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi. L’Unità ha, prima di chiunque altro, documentato questa tragedia «innaturale» con il prezioso contributo delle più importanti e autorevoli agenzie impegnate nella difesa dei diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, da Nessuno Tocchi Caino all’'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
L’Unità ha sempre accompagna-to questa corposa documentazione, con una domanda, reiterata, al Governo italiano, in particolare al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al ministro degli Esteri Franco Frattini,: come è possibile non aver tenuto in conto questi rapporti, queste testimonianze, queste denunce nel definire i contenuti dell’Accordo di cooperazione Italia-Libia? Una domanda rimasta senza risposta.
Un silenzio assordante. Come nquello che ha accompagnato la rivelazione contenuta nell’ultimo numero del settimanale L’espresso in un articolo di Fabrizio Gatti. L’articolo racconta con il supporto di un video sconvolgente, registrato nel deserto del Sahara della tragica fine di donne e uomini, provenienti in maggioranza dall’Africa subsahariana, espulsi dal regime del Colonnello Gheddafi. Bloccati in Libia denuncia Gatti dall’accordo Roma-Tripoli e riconsegnati al deserto. Condannati ad una fine atroce. I rapporti delle agenzie umanitarie avevano documentato gli abusi, i maltrattamenti subiti dagli immigrati bloccati in Libia. Evidentemente queste denunce circostanziate non sono state ritenute credibili dal Presidente del Consiglio e dal suo governo. Ma la rivelazione de L’espresso inchioda Palazzo Chigi. Palazzo Chigi sa ufficialmente dal 3 marzo 2004 che cosa siano realmente i centri di «accoglienza» predisposti da Tripoli.
3 marzo: la data stampata su un rapporto riservato della presidenza del Consiglio. Gatti ne rivela il contenuto. Si tratta della relazione consegnata ai collaboratori del Cavaliere dopo la visita nel Sahara della delegazione della Protezione civile che deve progettare la costruzione dei centri di detenzione libici. Quel documento dà conto della conoscenza daparte della delegazione della Protezione civile, di quale sia il trattamento riservato dai libici ai cittadini extracomunitari, «di cui si allega documentazione fotografica». Il Cavaliere sapeva. Il suo staff era stato informato direttamente da una delegazione ufficiale, governativa. Quel documento non ha avuto seguito. Palazzo Chigi e la Farnesina non hanno smentito le rivelazioni de l’Espresso.
Gheddafi continua ad essere un interlocutore privilegiato per Berlusconi. Da ricevere come «amico personale» e illuminato statista. Un idillio che non deve essere scalfito da documenti scomodi, inquietanti. Le vessazioni perpetrate nei centri di detenzione libici non dovevano mettere in discussione i contratti miliardari. L’importante, oltre fare affari, è respingere gli immigrati che cercano di raggiungere le coste italiane. A occuparsene è la giustizia internazionale.
È approdato a Strasburgo, per l'esattezza alla Corte europea dei diritti dell'uomo, il caso di 84 immigrati (palestinesi, algerini, giordani, marocchini e tunisini) arrivati a Lampedusa nel 2005 e poi espulsi verso la Libia lo stesso anno dal governo italiano (guidato da Berlusconi). I ricorrenti sostengono che espellendoli l'Italia ha violato il loro diritto alla vita e a non essere sottoposti a tortura o trattamenti inumani e degradanti. Nel ricorso gli immigrati sostengono che non è stata data loro un'adeguata possibilità per ricorrere contro l’espulsione e che sono stati intralciati nel presentare il loro appello alla Corte di Strasburgo. I giudici, nel dichiarare ammissibile il ricorso nel 2006, avevano sottolineato che in quel momento non potevano pronunciarsi anche sul merito, alla luce della necessità di condurre un esame approfondito delle questioni sollevate. La sentenza della Corte è attesa martedì.
Sulla base delle testimonianze raccolte in questi anni, l'osservatorio Fortress Europe ha contato 28 centri di detenzione di immigrati. perlopiù concentrati sulla costa. Ne esistono di tre tipi. Ci sono dei veri e propri centri di raccolta, come quelli di Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah e Misratah, dove vengono concentrati i migranti e i rifugiati arrestati durante le retate o alla frontiera. Poi ci sono strutture più piccole, come quelle di Qatrun, Brak, Shati, Ghat, Khums dove gli stranieri sono detenuti per un breve periodo prima di essere inviati nei centri di raccolta.
E poi ci sono le prigioni: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah, prigioni comuni, nelle quali intere sezioni sono dedicate alla detenzione degli stranieri senza documenti. Una detenzione segnata da abusi e violenze. ❖

l’Unità 17.1.10
Aumenti ai prof di religione Schiaffo ai precari della scuola
Una circolare del Tesoro di fine dicembre consente di calcolare gli scatti di anzianità anche sull’indennità integrativa speciale. Da maggio i prof di religione prenderanno di più e recupereranno il pregresso
di Bianca Di Giovanni

Per i docenti anche fuori ruolo, gli scatti di anzianità andranno calcolati anche sull’indennità
Il personale delle altre materie non ha scatti, e i precari percepiscono solo lo stipendio base
Numeri. Circa 25mila i prof di religione di cui 12mila con incarico annuale

Buste paga più ricche per i prof di religione. Il ministero dell'Economia lo scorso 28 dicembre ha, infatti, emanato una nota che riguarda la procedura di calcolo degli aumenti biennali per gli insegnanti di religione e stabilisce che questi incrementi i quali prima venivano calcolati nella misura del 2,5% del solo stipendio base dovranno ora
ammontare al 2,5% dello stipendio base comprensivo della indennità integrativa speciale. Non un dettaglio: quella quota può raggiungere un terzo dello stipendio. «Adesso dunque spiega lo Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione dal primo maggio 2010 le direzioni provinciali del Tesoro dovranno procedere al pagamento degli arretrati. Dal pagamento saranno esclusi i docenti ai quali il mancato inserimento dell'indennità nel calcolo degli aumenti biennali era stato compensato, già a partire dal 2003, con un assegno ad personam». Critica l'Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione) secondo cui questa concessione a una ristretta cerchia di docenti dimostrerebbe che «ancora una volta il governo dimentica i precari della
scuola». In effetti la circolare, emanata alla chetichella nell’ultimo giorno utile dell’anno, rinnova un conflitto già aspro all’interno del corpo insegnate. Una diversità di trattamento che risale almeno al 2003, quando sempre il governo di centrodestra varò l’immissione in ruolo dei docenti «selezionati» dalle Curie.
PLATEA
Il provvedimento del dicembre scorso riguarda tutti i circa 25mila insegnanti di religione impegnati su territorio nazionale. Sia quelli di ruolo, sia i precari (circa 12mila), che così incassano un doppio vantaggio rispetto agli altri. Gli insegnanti di ruolo di altre materie, infatti, non hanno scatti biennali di anzianità (quelli di religione li mantengono dal vecchio regime, quando erano tutti fuo-ri ruolo), mentre i precari godono solo dello stipendio base: solo al momento dell’ingresso in ruolo avviene la ricostruzione retroattiva di scatti e quindi aumenti. Su questo si è concentrata la battaglia della Cgil scuola, che chiede per tutti la ricostruzione di carriera.
PRIVILEGI
L’ultima decisione, dunque, è una vera beffa per chi chiede equità di trattamento. Un passo che si aggiunge a una lunga serie di privilegi: accesso alla cattedra su segnalazione dell'ordinario diocesano, assunzione sulla base di un successivo concorso riservato, passaggio ad altra cattedra in caso di perdita del requisito per insegnare la religione (l'attestato dell'ordinario diocesano) e scatti biennali anche per i precari. «Mentre il ministro Tremonti a dicembre ricorda alla Curia che presto saranno liquidati gli scatti biennali di anzianità al personale docente di religione con incarico annuale o di ruolo, che non ha mai richiesto tale indennità sotto forma di assegno ad personam, permane, purtroppo, il silenzio verso tutto il restante personale precario», dichiara Marcello Pacifico, presidente dell'Anief (l'Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione).
SOLDI E AUMENTI
Secondo alcuni calcoli effettuati dai sindacati l’aumento potrebbe valere 220 euro in più in busta paga, arretrati esclusi. Per il rinnovo del contratto degli insegnanti, invece, i sindacati hanno chiesto un aumento di 200 euro mensili da erogarsi in tre anni, ma il ministro della Pubblica amministrazione è disposto a concederne appena 20. E non solo. Vorrebbe agganciare gli aumenti di stipendio dei docenti al merito.❖

Repubblica 17.1.10
Via libera di Tremonti: 220 euro al mese. Protestano gli altri precari
Scuola, aumenti ai professori ma solo a quelli di religione
di Salvo Intravaia

Busta paga più ricca per i prof di religione
Il ministero dell’Economia vara un provvedimento ad hoc. Ed è polemica: dimenticati gli altri precari
Si parla di aumenti mensili di 220 euro lordi per 26mila docenti di ruolo e supplenti

«A seguito degli approfondimenti effettuati in merito, si comunica che questa direzione - scrive Roberta Lotti, dirigente del ministero dell´Economia preposta ai Servizi informativi - ha programmato, sulla mensilità di maggio 2010, le necessarie implementazioni per il calcolo degli aumenti biennali spettanti agli insegnanti di religione anche sulla voce IIS (l´indennità integrativa speciale, ndr) a decorrere dal 1 gennaio 2003». Fra 5 mesi, in poche parole, alcune migliaia di insegnanti di Religione si ritroveranno sullo stipendio aumento, che secondo stime sindacali, potrebbe arrivare a 220 euro lordi, ed arretrati: da mille a 2 mila euro. Perché la quota di stipendio rimasta fuori in questi anni dal computo è consistente: pari a un quarto dell´intera retribuzione. A beneficiare del provvedimento saranno alcune migliaia di insegnanti. I supplenti annuali, spiega lo Snadir (il Sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di Religione), "che non abbiano maturato i requisiti per la ricostruzione di carriera", quelli di ruolo "che non avevano maturato il diritto alla ricostruzione di carriera prima della nomina a tempo indeterminato", e coloro che tale diritto lo hanno maturato "successivamente al primo gennaio 2003". Se fossero soltanto 5 mila il giochetto costerebbe ai contribuenti 10 milioni di euro, più tutti gli arretrati. In tutto, i precari di Religione sono quasi 12 mila, più 14 mila docenti di Religione di ruolo. E la restante parte dei supplenti, oltre 100 mila? Nulla, anche se precari da dieci o vent´anni. «È un provvedimento che provoca ingiustizia e discrimina lavoratori della stessa categoria, per questa ragione è incostituzionale», commenta Alessandra Siragusa (Pd), componente della commissione Cultura alla Camera. «Nulla in contrario al riconoscimento - aggiunge il collega Tonino Russo (Pd) - di un diritto, ma non si può fare una discriminazione sulla base della Religione. Anche tanti precari in cattedra ogni giorno professano la stessa religione ed avrebbero diritto agli aumenti di stipendio». La querelle nasce dal fatto che per i prof di Religione, anche precari, una legge del 1980 prevede scatti biennali del 2,5 per cento. Ma a quel tempo erano tutti precari i docenti di Religione e la norma serviva ad agganciare la retribuzione all´aumento del costo della vita. Poi, nel 2005, lo Stato ha immesso in ruolo i docenti di Religione, ma il privilegio è rimasto.

l’Unità 17.1.10
Nanerottoli
Grati a Basaglia
di Toni Jop
S i incrociano le storie nella storia. Esce un film tv sulla vita e l’esperienza di liberazione di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha promosso la chiusura dei manicomi. In questi giorni si celebra il centenario di Mario Tobino, egregio scrittore e, in particolare, psichiatra innamorato delle Antiche Scale del dolore custodite dai manicomi. Non che ne amasse la coercizione, immaginava solo che si potessero rendere più umani, discreti, accoglienti. E qui conviene prendere atto che non è vero che niente cambia, che vincono sempre i peggiori, alla faccia della dura lezione che questi tempi pretendono di impartire alle nostre ansie. Infatti, Tobino ha perso la sua battaglia, e, virtù della rima, ha vinto Basaglia: i manicomi sono stati chiusi per legge, ed è stata respinta al mittente e alla sua triste poetica l’idea che quegli orrori si potessero imbellettare con mazzolini di fiori. Così, eccoci grati verso Basaglia e quell’Italia per i quali proviamo nostalgia mentre non ci manca per niente, cucù, Tobino.❖

Corriere della Sera 17.1.10
Con Freud e Roth Newton Compton riparte dall’inizio
di Severino Colombo
scribd
l’Unità 16.1.10
Lazio, sì unanime del Pd a Bonino
di Jolanda Bufalini

A Roma l’assemblea del Pd ha ribadito, all’unanimità, il via libera a Emma Bonino. «Emozionata e determinata», ha commentato la neo-candidata. «Dopo decenni di profondissima intesa con la gente di sinistra e cattolica ha aggiunto che tanto ha contribuito alle grandi vittorie di civiltà nel nostro Paese, quest’assemblea ci mostra che l’alternativa alla quale ormai da tanto lavoriamo controcorrente stiamo forse riuscendo a realizzarla anche a livelli partitici». Quanto allo spazio che i cattolici del Pd rivendicano, Bonino ha sottolinea: «La mia vita dimostra l’attenzione alle diversità, ai più deboli e ai grandi problemi sociali o di negazione del diritto, perché legge e diritto sono il fondamento della convivenza».

l’Unità 16.1.10
Il cuore della politica
Emma, i cattolici e le ragioni del bene comune
di Sandra Zampa

La candidatura di Emma Bonino alla guida della Regione Lazio ha aperto nel Partito Democratico una discussione vivace. La critica più aspra è stata formulata soprattutto da alcuni esponenti della parte cattolica del partito. Da coloro che usano la definizione cattolico per collocarsi nel partito. In quei giorni accadevano i fatti di Rosarno le cui immagini sarà impossibile dimenticare. Benché la televisione pubblica ne abbia diffuse poche e selezionate con cura, sono state immagini di una caccia all’uomo nelle strade di un paese povero e abbandonato come quasi tutto il sud. Sarà impossibile dimenticare le parole di uno di quegli uomini: «cercavamo il paradiso, abbiamo trovato l’inferno».
Chi sta in politica in prima fila, non può non sentirsi chiamato in causa in prima persona. Troppe responsabilità ̆nella vicenda e tanto diffuse da permettere oggi il solito scaricabarile, il gioco preferito nel nostro Paese.
In quei giorni ho letto (Avvenire) la notizia che metteva a raffronto gli immigrati che raccolgono mele nella Val di Non con i poveri cristi finiti nell’inferno. Due situazioni simili in partenza ma opposte nel risultato, a riprova che quando si fa il proprio dovere nelle istituzioni e nella politica si possono ottenere risultati. Con capaci governanti e amministratori Rosarno poteva non esserci. Una banalità? Può darsi.
Qui vengo al punto che riguarda i cattolici del Pd ancor più che quelli di altre formazioni politiche. Sono convinta che la definizione “cattolico” debba scomparire nella gestione della cosa pubblica. Credo che il servizio del bene comune sia una straordinaria opportunità per un cattolico che fa politica. ̆Non c’è un bene comune “cattolico” e un bene comune di altri. A me l’hanno spiegata così l’evangelica espressione che ci invita «a dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio». A me hanno insegnato che la politica è forma di carità. Vogliamo dirci che chi si candida a farlo con senso di responsabilità piena, facendo il proprio dovere fino in fondo, dovrebbe andare bene ai cattolici prima di tutto? Ancora più vera questa riflessione dovrebbe rivelarsi per i cattolici che presero parte alla stagione riformista dell’Ulivo. Cosa potrebbe mai significare, se non questo, l’impegno a mettere in comune le culture di provenienza per dar luogo a una nuova e più ricca cultura comune? La Bonino può essere annoverata tra i politici che si mettono al servizio del bene comune. Anche se Radicale. A lei e al suo partito dobbiamo dire che nessun laicismo può essere tollerato perché ferirebbe le ragioni di altri. Ma la piena assolvenza dei doveri che la responsabilità di governo porta con sé e la dedizione alle ragioni del bene comune dovrebbe garantirci tutti: cattolici e non cattolici. Oggi più che mai. Rosarno insegna.❖

Liberazione 15.1.10
Ieri faccia a faccia sul programma
Bonino-sinistra lavori in corso

Stefano Galieni
«Incontro interlocutorio, ci rivedremo all'inizio della prossima settimana». Questa la sintesi di un ora di colloquio fra i rappresentanti della Federazione della Sinistra, il portavoce Paolo Ferrero, Rosa Rinaldi, del Prc, Orazio Licandro e Alessandro Pigniatiello (Pdci) Cesare Salvi (Socialismo 2000) la segretaria regionale del Lazio del Prc, Loredana Fraleone e la candidata alla presidenza della Regione Lazio Emma Bonino. Tanto l'esponente radicale quanto il portavoce della Federazione hanno convenuto sulla necessità di approfondire quelli che sono i temi programmatici nevralgici da cui dipende unicamente la possibilità di giungere ad una alleanza. Ferrero ha posto ancora una volta la centralità delle questioni connesse al lavoro, le modalità con cui si intende affrontare la crisi, alle privatizzazioni di acqua e trasporti, la necessità di aumentare gli ammortizzatori sociali, ma ha anche fatto notare gli elementi comuni: dal rifiuto al nucleare ai diritti civili. Anche Emma Bonino ha evidenziato la necessità di approfondire alcuni punti programmatici. Una discussione che nelle prossime ore dovrà essere fatta anche all'interno della Federazione e che dovrà portare a capire se sarà possibile trovare una intesa, non su un voluminoso e fumoso libro dei sogni, ma su pochi ed essenziali elementi. I tempi stringono e la candidata radicale sembra voler smussare le divergenze dichiarando di avere a cuore l'interesse dei lavoratori e l'estensione in maniera universalistica della sanità. «Ma alcune risposte ancora non sono giunte- ricorda Loredana Fraleone - le attendiamo per decidere il da farsi». Nel frattempo è slittato ad oggi l'incontro fra Emma Bonino e i "Verdi", mentre la prossima settimana ci sarà l'IdV.

l’Unità 16.1.10
Il feroce razzismo italiano
Castelvolturno resta la vicenda simbolo Un paese che insorge non contro i camorristi ma contro gli immigrati. Rosarno, la replica
di Claudio Fava

Per capire cosa stia accadendo in questo paese, non nelle sue cronache ma nel senso profondo delle cose che accadono, bisogna tornare con la memoria a Castelvolturno. Alla strage dei sei immigrati africani abbattuti a raffiche di mitra dai sicari dei Casalesi nell’autunno di due anni fa. Una strage senza movente, se per movente non s’intenda l’improvvisa vocazione della camorra e delle altre mafie ad assumersi funzioni di supplenza civile: troppi negri per strada, troppi africani nelle nostre periferie, troppo rumore attorno ai nostri traffici criminali. Insomma li ammazzano, uno per uno, gli sparano addosso centotrenta pallottole, poi se ne vanno con le facce ebbre e stravolte di chi ha dimostrato chi comanda laggiù, chi fa le leggi, chi è dio in terra. Il giorno dopo cinquecento extracomunitari si ritrovano in una manifestazione spontanea e sfilano per le vie desolate del paese dicendo quello che tutti sanno e che pochi hanno il coraggio di balbettare: è stata la camorra, hanno ucciso per far capire che tocca solo a loro, ai macellai dei Casalesi, decidere quale colore debba avere la pelle degli altri. Si fa il corteo, un po’ di cori, molta rabbia, qualche vetrina rotta: finisce tutto lì. Passano due giorni e anche la brava gente di Castelvolturno decide di far sentire la propria voce. Meglio: il proprio silenzio. Una serrata, tutti i negozi restano chiusi, le saracinesche calate, le vetrine listate a lutto. I commercianti di Castelvolturno dicono che così non si può andare avanti, che non ce la fanno più, che non li vogliono più: i camorristi? No. Gli immigrati. Sei li hanno ammazzati? Che se ne vadano anche gli altri! Che tornino nei loro paesi, alle loro miserie, in fondo alle loro vite!
Quindici anni dopo la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi e il rigor mortis del centrosinistra, l’Italia è tutta dentro questo fotogramma, che adesso si è arricchito di altri momenti di gloria patria in Calabria. Riepiloghiamo: i Casalesi sparano e ammazzano sei immigrati, colpevoli solo di sporcare il paesaggio, e tre giorni dopo il paese insorge non contro gli assassini ma contro le loro vittime chiedendo che se ne vadano a morire altrove. Passa un anno e mezzo e troviamo un signore che s’arrampica sul proprio trattore, spiana le sue pulegge d’acciaio ad altezza d’uomo e carica contro i braccianti africani che protestavano per essere stati presi a fucilate dai guappi del paese. Se fosse stato intervistato ad Anno Zero, anche l’uomo del trattore avrebbe detto,come altri ospiti, che lui non è razzista, che non ce l’ha con i negri: non li vuole tra le palle, solo questo, e se per farglielo capire bisogna inseguirli con la ruspa, che ci vuole fare, dottor Santoro, questa è casa nostra, sono loro che se ne devono andare...
Cinquant’anni fa, lungo le coste del Mississippi, i bravi borghesi bianchi (fattori, impiegati, maestri di scuola, giudici di pace...) che si travestivano di bianco per dare la caccia ai neri, usavano in pubblico gli stessi miti ragionamenti: non siamo razzisti, ci mancherebbe, solo che non li vogliamo vedere attorno alle nostre case, sui nostri autobus, vicino alle nostre donne. Gli italiani, brava gente, che ai film di Sidney Poitier si commuovevano, adesso derubricano la caccia al negro di Rosarno come una questione di ordine pubblico, come le scazzottate in curva allo stadio. Ai forconi, in Calabria hanno sostituito le doppiette e i bulldozer: un dettaglio.
Una differenza in verità c’è. Sulle rive del Mississippi cinquant’anni fa i negri dovevano difendersi da una minoranza di bianchi bigotti e ottusi. Oggi in Italia, gli extracomunitari devono difendersi dai caporali che li sfruttano per lucrare sulle loro paghe da fame, dai camorristi che li ammazzano per dimostrare che sono loro a comandare, dai ministri leghisti che li additano alla tolleranza zero per raccattare qualche voto in più anche alla periferia del regno. A Rosarno quegli africani vivevano in baracche di cartone, in cinque a dividersi un materasso, senza acqua né luce, quindici euro di paga al giorno con un terzo trattenuto dalle cosche della ’ndrangheta, la loro tassa sul permesso di soggiorno. E quando qualcuno li ha presi a fucilate (così, solo per gioco...), hanno fatto pure male ad arrabbiarsi. In tivù c’era un signore con l’aria di chi ha lavorato parecchio, uno che avrà avuto come ciascuno di noi un pezzo della sua famiglia costretta a emigrare per mettere insieme il pranzo e la cena in qualche altra parte del mondo. Diceva: non sono razzista, però quando ci vuole ci vuole...
Ecco, a volta basterebbe conservare memoria di qualche vecchio film per avvertire il senso del ridicolo che ormai si prende cura delle nostre vite e delle nostre parole.❖

il Fatto 16.1.10
Dopo i fatti di Rosarno cresce la mobilitazione per il primo marzo
Un giorno senza immigrati, lo sciopero
che metterebbe in ginocchio il Paese
Il Web vuole lo sciopero
La proposta: un primo marzo senza immigrati al lavoro. I sindacati frenano e parlano di astensione dai consumi
Badanti, infermieri, contadini Se incrociano le braccia siamo fritti
di Elisa Battistini

C hissà se dopo il Popolo viola nascerà un nuovo movimento orizzontale per porre con forza la questione del lavoro immigrato in Italia. O chissà se, invece, dopo la riunione di ieri mattina a Roma (nella sede della Cgil), non sia stato soprattutto messo un freno alla proposta nata su Facebook. Quella di realizzare il primo sciopero degli immigrati in Italia (su modello delle proteste francesi dei sans papiers), “proclamato” online
per il primo marzo. Per ora le braccia degli stranieri continueranno a lavorare e quella del primo marzo dovrebbe diventare una giornata di astensione dai consumi. Una scelta ben più soft, che aprirebbe la stagione di “Primavera antirazzista”, una serie di iniziative che dal primo al 20 marzo dovrebbero affrontare i temi caldi della discriminazione e del lavoro immigrato.
Cgil, Uil, Ugl, Arci, Acli e associazioni di immigrati hanno incontrato infatti ieri i fondatori del gruppo “Primo marzo 2010Sciopero degli stranieri” nato a fine novembre su Facebook. Il gruppo, che conta oltre 33 mila iscritti, ha come obiettivo l’organizzazione di uno sciopero nazionale degli immigrati. Per rendere evidente a tutti quale enorme ruolo ricoprano gli stranieri nel sostenere l’economia nazionale. “Questo gruppo nasce meticcio – si legge sulla pagine di Facebook – Siamo collegati e ci ispiriamo a La journée sans immigrés: 24h sans nous, il movimento che da qualche mese, in Francia, sta camminando verso lo sciopero degli immigrati per il 1 marzo 2010”. Separato e parallelo, nasce però negli ultimi mesi anche il movimento Blacks out, che riunisce associazioni di immigrati, l’Arci, le Acli, l’Asgi. E i sindacati. Cisl esclusa. Il gruppo propone, in data 20 marzo, una giornata di mobilitazione. Non uno sciopero insomma. Quanto piuttosto una serie di iniziative per sensibilizzare gli italiani sull’apporto, assai importante, degli stranieri al sistema-paese. I due movimenti sono quanto mai attuali. Soprattutto dopo Rosarno. Ma anche dopo White Christmas e le ordinanze razziste di molti comuni lombardi. Le strade di Blacks Out e del gruppo Primo marzo si sono incontrate ieri mattina, per dare vita a un “coordinamento” e alla campagna “Primavera antirazzista”. L’idea dello sciopero, però, dopo la riunione appare lontana. “Ci sono delle leggi – dice Kurosh Danesh, della Cgil – che regolano gli scioperi. Non esiste lo sciopero generale etnico. Esiste lo sciopero generale dei lavoratori. Semmai potremmo ragionare su uno sciopero generale che abbia al centro il tema dell’immigrazione”. Per ora, però, le associazioni, i sindacati e il gruppo Primo marzo, hanno stabilito solo una “piattaforma” operativa che prevede venti giorni di appuntamenti in via di definizione. Ma senza incrociare le braccia. “Questi movimenti – dice il responsabile immigrazione della Cgil, Piero Soldini – dovevano incontrarsi per realizzare qualcosa di costruttivo. La campagna “Primavera antirazzista” vuole essere questo. E vuole porre al centro i temi importanti legati all’immigrazione, ai diritti dei lavoratori attraverso manifestazioni territoriali e nazionali. Per esempio, stiamo pensando a un grande concerto a Milano.
Cristina Seynabou Sebastiani, una delle fondatrici del gruppo su Facebook, ritiene utile l’incontro e la creazione di un coordinamento ma non rinuncia all’idea di partenza. “É giusto lavorare assieme, ma noi continuiamo a pensare che un grande sciopero servirebbe. E faremo appello nuovamente al sindacato affinchè si realizzi. Per noi, insomma, non è una partita chiusa”. Il 17 gennaio a Milano ci sarà la presentazione ufficiale del movimento Primo marzo che, dice Cristina “avrà anche dei comitati locali”. E che, a quanto pare, spingerà i sindacati verso lo sciopero. Impresa difficile. Tanto che, per certi aspetti, la “cabina di regia” nata ieri sembra proprio servire a far tramontare quell’idea. “Non si può scherzare sugli scioperi – dice ancora Soldini – ed è il sindacato che deve occuparsene. La cosa importante è che ieri ci siamo incontrati. Non aveva senso continuare a lavorare isolati. Gli obiettivi sono gli stessi”.
La verità è che senza le organizzazioni sindacali è davvero difficile fare sciopero, quindi il gruppo nato su Facebook ha davvero bisogno delle organizzazioni dei lavoratori. Ma queste sembrano mantenere una linea assai prudente. Senza appropriarsi (o forse assumersi fino in fondo la responsabilità) di una mobilitazione nata in rete, Cgil, Uil e Ugl preferiscono realizzare delle iniziative. Così, tra il primo e il 20 marzo (il giorno precedente la giornata mondiale contro il razzismo) si terrà un grande concerto “sul modello del primo maggio, dice Aly Baba Faye, uno dei fondatori del gruppo “Blacks-out”. Si organizzeranno assemblee sui luoghi di lavoro per parlare di razzismo e discriminazione con i colleghi italiani. Forse si farà una manifestazione regionale del settore agricolo in Calabria. Ma ancora non c’è un calendario definito. Ancora sono idee sparse. “Vogliamo lavorare sui territori – dice Aly Baba Faye – l’organizzazione sarà orizzontale, non verticistica. Ieri mattina abbiamo proposto di far firmare un decalogo antirazzista ai candidati per le regionali. O di chiedere alla Federazione italiana gioco calcio di esporre striscioni antirazzisti il 20 marzo, durante gli anticipi. Vorremmo fare un 8 marzo dedicato alle donne straniere. Le Arci si sono offerte per la formazione nelle scuole, e le Acli vorrebbero inviare ai datori di lavoro di colf e badanti un “vademecum” antirazzista”. Insomma,
tutto molto bello. Tutto molto gestibile. Ma sarà incisivo come un grande sciopero? In quanto all’assente, la Cisl (il sindacato con il più alto numero di iscritti stranieri), il segretario generale Bonanni dice di non sapere nulla dell’incontro (ma dalla Cgil assicurano che la Cisl era stata invitata). “Ci impegniamo tutti i giorni – ci dice Bonanni – per i lavoratori immigrati. Forse qualcuno si accorge tardi del tema. Noi intanto martedì 19 gennaio parteciperemo alla manifestazione a Reggio Calabria organizzata dal Siulp, per chiedere legalità, sicurezza e promuovere la convivenza. Non vogliamo mettere il cappello sulle iniziative spontanee né fare confusione”.

il Fatto 16.1.10
Paralisi Italia: Se “loro” incrociano le braccia
di Vladimiro Polchi

Un libro racconta un giorno senza stranieri
Pubblichiamo uno stralcio del romanzo “Blacks out Un giorno senza immigrati” di Vladimiro Polchi (editori Laterza), uscito pochi giorni fa. Il giornalista e scrittore immagina di svegliarsi un giorno e trovare un paese in cui gli immigrati sono “scomparsi”. Da un minuto all’altro, nell’arco della notte. Il libro racconta sotto forma di fiction, e usando articoli tratti da giornali e dati di indagini statistiche, cosa accadrebbe se il 20 marzo gli immigrati facessero sciopero.

20 marzo. Ore 00.01. É il caos, anzi la paralisi. I cantieri edili si fermano di colpo. Chiudono le fabbriche. Si raffreddano i forni a ciclo continuo nelle aziende di ceramica. Vuoti i mercati ortofrutticoli. Chiusi ristoranti, alberghi e pizzerie. Tra le famiglie si scatena il panico: scompaiono badanti, colf e babysitter. É boom di ricoveri d’anziani e disabili negli ospedali. La sanità è in tilt. Si fermano i campionati di calcio, basket e pallavolo. Molte parrocchie restano senza preti. Tremano le casse dell’Inps. Nessuno se lo aspettava. Lo sciopero degli immigrati avrebbe paraliz-
zato il paese.
Nel capitolo che riportiamo qui sotto, il protagonista (un cronista precario) cerca di capire cosa stia accadendo e che cosa succederà telefonando ai sindacati. Che gli danno un quadro dell’enorme e sottovalutato contributo del lavoro immigrato per il nostro paese.
Cerco sulla mia vecchia agenda il numero di Mauro Bova, un amico sindacalista. Negli ultimi cinque anni il numero dei lavoratori stranieri iscritti ai sindacati è più che raddoppiato, sfiorando quota un milione. In testa c’è la Cisl. Dopo un duello con la Cgil a colpi di numeri, l’ha spuntata: le sue 334 mila tessere le assicurano il primato tra i lavoratori immigrati. La Cgil si ferma a 300 mila, segue la Uil con 190 mila e l’Ugl con 103 mila iscritti stranieri. Le loro tessere costituiscono il 12% degli iscritti attivi (senza cioè tenere conto dei pensionati). Gli stranieri fanno gola ai sindacati: portano nuovi iscritti, dunque maggiore potere contrattuale e soldi. Secondo un’indagine del giornale online Stranieri initalia.it , nel 2005 gli immigrati – tra trattenute sindacali, attività di Caaf e patronati – avrebbero portato in dote alle casse dei confederali ben 55 milioni di euro. Peccato però che ancora oggi siano pochi i lavoratori stranieri inseriti nei ruoli apicali dei sindacati. Sono un esercito senza gradi, né stellette. Tutti soldati semplici, nessun ufficiale. Non manca qualche rara eccezione: Abdou Faye, cinquantenne senegalese di Dakar, è da qualche anno al vertice della Cgil del Friuli Venezia Giulia; Moulay El Akkioui, marocchino, è segretario nazionale della Fillea Cgil; Liliana Ocmin, 37 anni, peruviana, è membro della segreteria confederale della Cisl; Clarisse Essane Niagne, nata in Costa d’Avorio, è responsabile provinciale Ugl a Viterbo. Mi ricordo di un sondaggio dell’istituto di ricerca Eures dell’ottobre 2008. Ne conservo una sintesi nell’armadietto che sono riuscito a farmi assegnare dal giornale: 8 immigrati su 10 vorrebbero un sindacato fatto solo di lavoratori stranieri e il 76% sarebbe pronto a uno sciopero per rivendicare i propri diritti. [...]
Trovo il numero di Mauro in agenda e lo chiamo. Il suo cellulare è occupato. Riprovo. Mi risponde. “Mauro, sono Valentino Delle Donne”.
“Ciao, giornataccia eh?”. “Sai qualcosa? Hai visto queste agenzie sulle fabbriche ferme?”. “Sì, certo. Sta scoppiando un casino. Il problema è diffuso anche in altre regioni. Stiamo ricevendo segnalazioni da mezza Italia”. “Spiegati meglio. Cosa sta succedendo?”. “Sembra che gli immigrati in blocco siano rimasti a casa. Operai, muratori, braccianti agricoli, commercianti. Tutti fermi. Praticamente scomparsi!”. “Ma avevate indetto uno sciopero?”. “Noi no e neppure gli altri sindacati. Non ne sapevamo niente. Qui qualcuno si è mosso senza di noi. Ma se credono di farci fuori...”.
“Mauro, ma com’e possibile? Sei sicuro che il caso sia così esteso? Le agenzie parlano solo di Veneto e Brescia”.
“Aspetta e vedrai. Mi hanno chiamato i tuoi colleghi dell’Ansa e dell’Adnkronos. Fra un po’ non si parlera d’altro”.
“Colf e badanti stanno lavorando?”. “E che ne so. Lì è difficile capire: all’interno delle famiglie non abbiamo le nostre rappresentanze”. “Ma i vostri iscritti immigrati cosa dicono?”. “Nessuno risponde al telefono. Neppure i delegati”. “Va bene. Tienimi al corrente, ti prego”. “D’accordo, ciao”. “No, aspetta! Consigliami qualcuno da intervistare”. “Che vuoi che ti dica? Prova a sentire Pietro Soldini, il responsabile nazionale delle politiche migratorie della Cgil”. “Sì. Buona idea. Ho il suo numero. Ciao”. Attacco e chiamo Soldini. Dopo pochi squilli mi risponde. Gli chiedo un’intervista e parto subito con le domande. “Primo, cosa succederebbe se davvero si fermassero tutti i lavoratori immigrati?”.
“Il caos, anzi la paralisi. Il primo settore ad arrestarsi sarebbe quello delle costruzioni. Soprattutto nelle grandi città, dove la manodopera straniera raggiunge punte del 50%. I cantieri si fermerebbero di colpo. Poi toccherebbe all’industria manifatturiera: tessile, metalmeccanica, alimentare. Nelle fabbriche, infatti, i migranti svolgono ruoli chiave e sono difficilmente sostituibili. Un esempio? Gli addetti ai forni a ciclo continuo delle aziende di ceramica. Dopo l’industria, entrerebbe in crisi l’agricoltura: la raccolta è in mano a immigrati stagionali e irregolari. Pensa agli sterminati campi di pomodori in Puglia. Resterebbero vuoti i mercati ortofrutticoli. Poi sarebbe la volta delle aziende zootecniche: nella macellazione degli animali gli stranieri superano il 50% della forza lavoro. E ancora: nelle grandi città dovrebbero chiudere molti ristoranti, alberghi e pizzerie. Tra le famiglie si scatenerebbe il panico e un crollo della qualità della vita, per la scomparsa di badanti, colf e babysitter. Infine, ne risentirebbe la sanità: quella privata dove lavorano quasi centomila infermieri stranieri, e quella pubblica, che si avvale del loro lavoro tramite cooperative e piccole società di servizi”. “Aspetta, non correre”. Finisco di scrivere. “Secondo te cosa vogliono? Quali sono i principali problemi dei lavoratori stranieri?”.
“Intanto sono i meno tutelati: secondo l’Inail corrono il doppio dei rischi d’infortunio rispetto ai lavoratori italiani e, a parità di mansione, percepiscono fino al 40% di reddito in meno”.
“In questi anni, però, molti si sono iscritti al sindacato”. “E’ vero: da noi sono ora trecentomila. I delegati di origine straniera sono circa duemila. L’identikit dell’iscritto? Vive per lo più in Lombardia ed Emilia Romagna, è maschio, maghrebino, ha meno di 35 anni. Lavora nel settore edilizio, agricolo e metalmeccanico”.
“E il lavoro domestico?” “La sindacalizzazione degli immigrati impiegati all’interno delle famiglie resta difficile: il loro lavoro è spesso in nero o precario. Inoltre abbiamo difficoltà a coinvolgere appieno i lavoratori dell’est Europa, che restano legati all’esperienza storica negativa del sindacato avuta nei loro paesi d’origine”. “Se gli immigrati scomparissero di colpo, ne soffrirebbe anche il sindacato?”. “Certo. Fino a poco tempo fa oltre il 50% degli iscritti alla Cgil erano pensionati. Poi, nel corso degli ultimi quattro anni, la tendenza si è invertita, con un incremento degli iscritti tra i lavoratori attivi, soprattutto grazie agli immigrati. Insomma, senza di loro, il tesseramento Cgil arretrerebbe vistosamente”. “Eppure pochi immigrati ricoprono ruoli dirigenziali nel vostro sindacato”. “Stiamo facendo qualche passo avanti. Ora nel nostro direttivo nazionale siedono nove immigrati. Ma hai ragione. Ancora oggi la Cgil non fa davvero i conti con questa nuova realtà. La presenza dei migranti nei ruoli di vertice è troppo bassa. Ti faccio un esempio: nella Fiom il 20% degli iscritti è straniero. Eppure su cinquemila quadri solo 80 sono immigrati”.

Liberazione 15.1.10
«Scioperiamo tutti o niente»
Le voci dei migranti sul 1° marzo
I portavoce delle comunità straniere spingono i sindacati a proclamare una generale astensione dal lavoro
di Laura Eduati

Il primo marzo Rehhal Oudghough, infermiere di origine marocchina, non si presenterà al suo posto di lavoro ovvero al Pronto Soccorso dell'ospedale Galliera di Genova. Con lui rimarranno a casa due infermiere, una ecuadoregna e una rumena. 
Tutti e tre hanno deciso così di aderire alla giornata contro il razzismo "24 ore senza di noi" presa a prestito dalla Francia e che da alcuni giorni sta mobilitando le comunità straniere presenti in Italia. Non senza difficoltà. 
I sindacati sono freddi poiché è tecnicamente impossibile proclamare uno sciopero che coinvolga soltanto i lavoratori di origine straniera. E dunque ogni città e ogni migrante sceglierà una forma di protesta. 
«Non una ma cinque giornate di sciopero dal lavoro dovremmo fare, dopo Rosarno», spiega Oudghough, che fu il primo infermiere straniero ad ottenere l'assunzione in una struttura sanitaria italiana. A Genova la comunità ecuadoregna, maggioritaria, pensa ugualmente di incrociare le braccia. Gli studenti stranieri non andranno a scuola, i mediatori culturali non lavoreranno. 
Così fara anche Marie Lobe, ivoriana presidente dell'Auser di Treviso e operatrice socio-sanitaria. Nemmeno lei, quel giorno, andrà all'ospedale. E poiché non potrà dichiarare di essere in sciopero, come Oudghough prenderà un giorno di ferie o di permesso. «In realtà vorrei che il sindacato mi tutelasse, oppure che dichiarasse uno sciopero generale, anche di un'ora. Gli italiani devono capire che cosa significa vivere senza di noi».
Soltanto una piccola parte dei migranti, però, ha la fortuna di poter scegliere. La maggior parte, e specialmente le colf e le badanti, non potranno astenersi dal lavoro. Nemmeno i tanti lavoratori in nero nei cantieri edili. Ed è ancora prematuro capire come si comporteranno i commercianti.
«L'iniziativa si chiama "una giornata senza di noi", ma quel "noi" non significa soltanto nel lavoro. Possiamo scegliere di non acquistare nulla, di non fare telefonate all'estero oppure di girare con una fascia di colore giallo al braccio», commenta Edda Pando, peruviana da due decenni a Milano, presidente dell'associazione Todo Cambia. 
«Il massimo sarebbe ottenere un'ora di sciopero generale proclamato da Cgil, Cisl, Uil e Ugl», dice Ibrahim Dijallo della Filcem-Cgil di Brescia. Nella città lombarda, come in moltissime altre, sono in corso assemblee per decidere le iniziative. I migranti sono felici perché finalmente qualcosa si muove, sono anni che speravano nello sciopero. Dal lavoro o dai consumi, non importa.
C'è chi, invece, si dichiara contrario all'idea dello sciopero-apartheid. «Peggiorerebbe l'isolamento dei cittadini di origine straniera», ragiona Hicham Mourtadi, operaio metalmeccanico a Varese e nella dirigenza del Prc locale: «Dobbiamo capovolgere la prospettiva. Noi stranieri lavoriamo, studiamo, andiamo a fare la spesa negli stessi luoghi degli italiani. Dobbiamo fare lo sforzo di aderire ancora di più alla società, facendo gli auguri per Natale e festeggiando il 25 aprile, per esempio. E se sciopero deve essere, che sia sciopero per tutti. Italiani compresi».
A Roma la discussione è ancora aperta. L'idea dell'astensione dal lavoro è ormai fuori discussione specialmente perché la stragrande maggioranza dei migranti è impiegato nel terzo settore oppure è lavoratore autonomo. «Finalmente ci stiamo impegnando per una iniziativa che darà visibilità agli invisibili», è il parere di Andrés Barreto, impegnato da anni nel movimento dei migranti della capitale. Il 24 gennaio ci sarà una riunione del Comitato 17 ottobre, che promosse la manifestazione antirazzista dello scorso autunno. Soltanto dopo sarà possibile conoscere la gamma delle iniziative.
Secondo Aly Baba Faye, responsabile immigrazione per Sinistra democratica, è positivo che non vi sia un coordinamento nazionale. «Tutto sta nascendo dal basso, ogni realtà è impegnata a trovare la sua formula ideale». Faye non critica i sindacati: «Capisco che sia impossibile organizzare uno sciopero classico, ma bisognerebbe spingerli a fermare il lavoro per almeno un'ora. Tutti. Questo per far capire che la nostra non è una lotta separata. Se ripetiamo la contrapposizione neri/bianchi come a Rosarno, avremo perso. E soprattutto nessun partito deve mettere il cappello al primo marzo»

l’Unità 16.1.10
Tobino, la follia dello scrivere
di Maria serena Palieri

Quella qui sopra è un’immagine di altri tempi, scattata nella seconda metà del ‘900 ma con un sapore di ‘800: Mario Tobino a passeggio col camice di psichiatra nel «suo» manicomio di Maggiano. Cosa dà alla fotografia il sapore di un tempo che non c’è più? L’iconografia d’un vecchio che non sfoggia smaglianti denti incapsulati né fisico da pantera grigia, e a passeggio, come non si fa più, in un viale come non se ne fanno più. Ma soprattutto quanto sta dietro lo scatto. Se Tobino usa il bastone a seguito di una caduta, siamo nel 1974, quando si ruppe tibia e perone, quindi quattro anni prima della chiusura di Maggiano,
insieme con tutti gli altri ospedali psichiatrici della penisola, in conformità con la legge Basaglia. Quello che passeggia, poi, in camice, è anche un tipo di scrittore in via rapidissima di estinzione, il modello d’artista nato nell’800 ed ereditato dal ‘900. Ovvero lo scrittore non più aristocratico rentier o beneficiato di qualche corte, ma che deve «borghesemente» mantenersi e lo fa con qualche mestiere, «vita vera» da cui trae ispirazione o da cui, scrivendo, rifugge, e non è quindi ancora lo scrittore-professionista di oggi (secondo il modello egemone) che vive della propria penna ma anche, da un festival all’altro, della propria immagine, esperto dello scrivere e troppo poco di altro.
VITA E ROMANZO
Di Mario Tobino oggi è il centenario: nasceva un secolo fa a Viareggio. L’intreccio tra autobiografia e scrittura è nella sua opera particolarissimo: in Una giornata con Dufenne ha raccontato il collegio in cui venne spedito dopo essere stato espulso da scuola, in Sulla spiaggia e di là dal molo l’amatissima Versilia, nella Brace dei Biassoli l’imprinting della ligure famiglia materna, nel Deserto di Libia (da cui l’altro viareggino quasi coetaneo Mario Monicelli ha tratto il film Le rose del deserto) la sua campagna d’Africa, nel Clandestino la sua Resistenza e nel suo titolo più amato, in Italia e all’estero, Le libere donne di Magliano, il «suo» manicomio. Rileggere Mario Tobino, nella ripubblicazione periodica che Mondadori fa dei suoi libri, o nel Meridiano curato da Paola Italia, è un’esperienza emozionante: per lo stile fatto di «vigoria, allegria, occhio, denti» come glielo diagnosticava Cesare Garboli, per la sua toscana accesa e virulenta misteriosità, ma soprattutto per l’intreccio tra la sua scrittura e la sua reclusione. Da psichiatra a Maggiano, nelle sue due stanze spartane, da cui fuggiva per le sue avventure amorose più giovanili e le sue ubriacature (come racconta in lettere e diari), ma dove visse per 43 anni, anche dopo la pensione, in compagnia delle sue «libere donne»: le sue matte. E i suoi matti. Con questa parola semplice, «matti», che per lui racchiudeva la sua esperienza di psichiatria umana affrontò negli anni ‘70 la guerra che lo vide catapultato nei panni di reazionario sul fronte antibasagliano. Eugenio Borgna, nell’introduzione al Meridiano, nel 2007, gli ha restituito luce. Cosa scriveva Tobino nel 1982 negli Ultimi giorni di Magliano? «Io credo che la follia esista e i miei oppositori invece sono convinti che, chiuso il manicomio, svanisca la cupa malinconia, l’architettura della paranoia, le catene delle ossessioni. Che il manicomio sia al massimo libero, fraterno, civile, umano, questo il nostro primo dovere, ma io penso che un luogo che accolga chi sia stato colpito dall’insania sia necessario, un tale luogo esista per il bene dei malati». Rileggere questo Tobino, nel centenario, non è farsi tentare dal revisionismo. È scoprire quante diverse ricchezze di pensiero e di esperienza c’erano, di qua e di là, nell’Italia di quegli anni. ●

il Fatto 16.1.10
Wiesel parlerà alla Camera il Giorno della Memoria
di Paola Zanca

Nel 2002, da leader di Alleanza nazionale e vicepremier, aveva lasciato a bocca aperta deputati e senatori presentandosi alla celebrazione del Giorno della Memoria. L’Olocausto? Disse: “Una mostruosità”. Ora da presidente della Camera, Gianfranco Fini chiama per la prima volta a parlare nell’aula di Montecitorio una persona che con la politica e il potere non ha niente a che fare.Nonèunoacaso.ÈElie Wiesel, uno dei pochi sopravvissuti ad Auschwitz ancora in vita, premio Nobel per la Pace, che da cinquant’anni, con le armi dei libri, combatte la sua battaglia contro “i nemici della memoria”. Finora, alla Camera avevano parlato solo capi di Stato, rappresentanti di istituzioni: Papa Wojtyla, il re di Spagna Juan Carlos. Fini ha alzato il telefono, chiamato New York e proposto a Wiesel, che dagli anni Sessanta vive in America, di venire in Italia a ricordare quell’orrore. Il Giorno della Memoria si celebra da dieci anni: per ricordare lo sterminio e le persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti si sono organizzate mostre, visite istituzionali, concerti, proiezioni, iniziative nelle scuole. A proporre la sua istituzione, nel gennaio del 2000, fu il deputato Furio Colombo. La data scelta fu il 27 gennaio, la stessa in cui nel 1945 vennero abbattuti i cancelli di Auschwitz. “Si era molto discusso, a destra, se non fosse il caso di parlare anche di foibe e di gulag – ricorda Colombo – Io allora spiegai al Parlamento che foibe e gulag sono orrendi delitti, ma la Shoah è un delitto italiano: senza la partecipazione italiana, il progetto tedesco non avrebbe mai potuto diventare europeo. È vero che ci furono generali e comandanti, come Giorgio Perlasca, che salvarono anziché condannare, ma ricordo anche che le leggi razziali furono approvate all’unanimità. Per questo – prosegue il deputato Pd – nel 2000 chiesi all’aula di comportarsi allo stesso modo nel voto sulla legge che istituiva il Giorno della Memoria. Devo dire che la mia implorazione fu accolta. L’invito a Wiesel è il coronamento di questo percorso: la Giornata diventa così importante non solo per il paese, per i giovani, per le scuole, ma anche per il Parlamento che ascolterà la testimonianza di uno dei pochi sopravvissuti ancora viventi”. Wiesel, nato in Romania nel 1928, fu deportato assieme alla famiglia, perché ebreo. Ad Auschwitz condivise la prigionia con Primo Levi, poi finì a Buchenwald dove gli americani lo trovarono, stipato in mezzo ad altri mille ragazzini, quando entrarono nel campo. Un mese fa, dopo il furto dell’insegna di Auschwitz, scriveva: “In questa nostra era di confusione e sfiducia, la Verità è sempre in prima linea, al fronte, e i suoi nemici sono i nemici della Memoria”. Il pomeriggio del 27 lo ricorderà ai nostri parlamentari. Anche a chi ogni tanto ha la memoria corta.