martedì 19 gennaio 2010

Repubblica 19.1.10
Un libro-testimonianza di Carlo Petrignani sul leader del Psi
Riccardo Lombardi il socialista tradito
di Simonetta Fiori

«Un Psi così non ha motivo d´essere», disse nel giugno del 1984 all´Ergife durante il comitato centrale del partito. Era arrivato nell´albergo romano sorretto da alcuni suoi compagni, la voce bassa segnata dalla fatica. Per alcuni minuti la sala risuonò ritmicamente: Ric-car-do Ric-car-do. Quella di Lombardi si sarebbe rivelata la diagnosi più lucida e profetica del craxismo, oggi preziosa per contenere l´enfasi intorno al ex premier morto latitante.
Il caso vuole che proprio nel decennale della scomparsa di Bettino Craxi esca un libro dedicato a Riccardo Lombardi, l´ingegnere azionista che negli ultimi anni di vita denunciò con passione politica e sentimento morale il processo degenerativo innescato nel Psi dal dominus di via del Corso. Fu lui - dopo averne sostenuto nel 1976 l´elezione a segretario - a stigmatizzare i metodi craxiani con la formula del Führerprinzip. E fu sempre Lombardi, che si dichiarava a-comunista ma mai anti-comunista, a criticare quel «perverso sentimento che prende molti socialisti, quasi soddisfatti ogni volta che i comunisti rallentano il cammino della loro evoluzione in senso occidentale, nel timore che ciò danneggi il Psi. Dobbiamo invece aiutarli ad avere prospettive di governo». Fu l´ultimo suo discorso in un organismo di partito.
A ricordarne oggi la figura è Carlo Patrignani, giornalista dell´agenzia Agi e lombardiano autentico in una moltitudine di falsi lombardiani. Si potrebbe dire per Riccardo Lombardi quel che è stato scritto per Pannunzio o per Garibaldi: gli aspiranti eredi sono spropositatamente più numerosi dei veri seguaci. Essere stati lombardiani è quasi un attestato di onestà per un partito che nella storia recente ha avuto "più carcerati che ai tempi del fascismo". Con qualche cautela, però. Lombardi è stato uno dei leader più traditi e inascoltati della storia italiana. Gli scandali che travolsero il Psi non risparmiarono autorevoli esponenti della sua stessa parte, tanto che una volta Vittorio Foa gli disse scherzosamente che «avrebbe dovuto cambiare nome, poiché era ormai compromesso dalla corrente lombardiana». Nel suo libro-testimonianza - Lombardi e il Fenicottero (L´asino d´oro, pagg. 204, euro 18) - Patrignani evoca anche la tragedia personale di Lombardi quando seppe dell´iscrizione alla P2 del suo discepolo Fabrizio Cicchitto. Fu l´anziano leader socialista a pretendere la confessione pubblica del pupillo piduista. «Ingenuamente», avrebbe ricordato Foa, «chiesi a Riccardo il numero di telefono di Cicchitto, perché mi era venuto in mente di telefonargli. Lombardi un po´ stizzito mi disse che Cicchitto aveva detto la verità solo perché egli stesso gli aveva imposto di farlo. Non gli pareva proprio il caso che gli facessi quella telefonata».
Siciliano di Regalbuto, classe 1901, ingegnere di ingombrante statura e forte pensiero, Lombardi era stato tra i più attivi dirigenti di Giustizia e Libertà e poi uno dei fondatori del Partito d´Azione, quella formazione che ancora oggi - a distanza di quasi sette decenni - riesce a essere indigesta alla politica italiana (il più recente detrattore è stato Massimo D´Alema). Il dopoguerra lo vedrà membro della Costituente, anche ministro (riluttante), appassionato artefice del primo centrosinistra. Una lunga vita politica e sentimentale non priva di traversie. Il libro ha il merito di sottrarre dalla penombra l´affascinante figura della compagna, Ena Viatto, che con lui condivise la passione politica e la militanza antifascista, fin nelle sevizie dei carnefici. «Io sono comunista, ignorante, dogmatica, intransigente», così si racconta Ena al momento dell´incontro con Lombardi. «Riccardo è colto, crociano e marxista, tollerante e permanentemente disponibile alla discussione». Era una coppia molto unita, anche eccentrica, lontana dalle convenzioni. Lei lo chiamava ironicamente il "Socrate del Pritaneo del Psi". Una battuta che col tempo - col crescere delle defezioni dei discepoli - avrebbe acquistato un sapore amaro.

il Fatto 19.1.10
Bonino: chi l’ha vista a Porta a Porta?
risponde Furio Colombo

Caro Furio, Emma Bonino finalmente invitata a “Porta a Porta” (dove i Radicali non sono mai stati richiesti) ha rifiutato. Ha fatto bene?
Lucia, Roberta
CI SONO due discorsi in uno nelle due righe della lettera. Uno è il caso unico dei talk show politici italiani. L’altro riguarda “Porta a Porta”. Il caso unico dei talk show italiani può essere riassunto così. In essi tutto è previsto, ed è previsto non solo nell’ambito di ciascuna programmazione a ciascuna rete, ma nell’insieme della Rai. Il caso dei Radicali ci serve per capire. Non è che quel gruppo di disturbatori professionali (definizione frequente in Rai dei Radicali) sia escluso di qui per essere incluso di là. No. E’ escluso sempre e dovunque. Volendo essere un po’ più attenti si potrebbe compilare una lista di persone non ignote, non irrilevanti, e non prive di cose da dire che non vedrete né a “Ballarò”, né ad “Annozero”, né a “Porta a Porta”. Dunque il sistema Rai includi/escludi (sempre gli stessi in un gruppo, sempre gli stessi nell’altro) fa nella nostra azienda di Stato un caso unico. Stranamente la commissione di Vigilanza, nonostante la qualità di persone come Sergio Zavoli, tollera che una situazione del genere ci sta e perduri. Ma veniamo a “Porta a Porta”. E’ condotto da un abile professionista che ha scelto di essere il Mago Silvan del giornalismo televisivo italiano. In “Porta a Porta” compari o scompari a seconda che tu sia o no membro del club dei meritevoli (che va dai vertici dello Stato ad alcune signore più o meno rispettabili, più o meno sboccate). E ciò che succede alle persone vale anche per i temi, scelti in evidente armonia con i potenti del momento. Quei temi sono annunciati da grandi immagini e parole sul fondo dello studio (posizione dominante) e cambiano come rispondendo ad una regia esterna alla regia televisiva, in tempo reale, cioè durante la registrazione. Già, quanti italiani sanno che “Porta a Porta” è un programma pre-registrato? Emma Bonino ha fatto benissimo. Dicendo “NO” ha allargato la sua immagine e diminuito un po’ quella dei frequentatori abituali.

il Fatto 19.1.10
Bonino contro Binetti, una scelta facile
Voi del Fatto avete dato un altro ottimo motivo (se ce ne fosse stato bisogno) sul perché Emma Bonino debba vincere le elezioni regionali nel Lazio: e cioè che finalmente la senatrice Binetti esca da questa sua ambiguità, che le è evidentemente connaturata, e decida di fare il salto finale, verso quel centro (?) che meglio le si addice. Non comprendo francamente questo comportamento della Binetti: lo trovo assurdo e ingiustificato. Come si può sperare così apertamente che un partito (il proprio partito) perda? Ma se la brava e capace Emma Bonino, che più volte ha dimostrato competenza e voglia di fare, specie se al pari delle arance di Rosarno che marciranno sui rami, lasceremo le persone per strada abbandonate a se stesse, in balia di questa crudele insensatezza.
Grazie e buon lavoro a tutta la redazione. Cecilia Bernardini

Corriere della Sera 19.1.10
Ferrara alla guerra contro la Bonino “E continuerò”
La radicale: Malato
di M. Giu.

La Bonino a Roma è il diavolo nell`acqua santa»

Una «pallona gonfiata», «intollerante», «collerica», «prepotente», fatua», «abortista sfegatata», «cercatrice di cariche», «lobbista laicista». Un «disastro di donna» e di personalità pubblica, «sopravvissuta in Parlamento nel listino dei ripescati del Pd». E non è ancora tutto perché Emma Bonino, come la descrive sul Foglio il direttore Giuliano Ferrara, è anche «un ufficio stampa ambulante», una «dissimulatrice» che rappresenta «il peggio» dei radicali, dell`Italia e della politica. E persino «una pazza», sulle cui spalle l`elefantino Ferrara getta il peso dei «cinque milioni di italiani non nati negli ultimi trent`anni, anche per colpa della sua predicazione abortista». 
Non è la prima volta che, dallo stesso pulpito di centrodestra, cioè il quotidiano di cui è azionista Veronica Lario, piovono insulti a raffica contro la leader radicale. E non sarà l`ultima. «Ne scriverò altri cento di pezzi così - annuncia Ferrara - perché la detesto». Il direttore ha sguinzagliato i giornalisti del Foglio in tutte le province del Lazio, gli inviati di Ferrara andranno nelle chiese e parleranno con i fedeli e con i parroci, col preciso mandato di montare l`«orripilante caso Bonino». Sarà una inchiesta «oggettiva» promette il direttore, Ferrara che nell`articolo di ieri «Il caro Bersani non è adatto alla guida del Pd. Vedi il caso Bonino» - ammette di sbagliare i toni: «Sicuramente dovrebbero essere abbassati». L`offensiva è partita il 14 gennaio quando Ferrara, rispondendo a una lettera del senatore pd Lucio D`Ubaldo, ha sfornato il primo «pacato giudizio» sulla candidata di centrosinistra: «Detesto Emma Bonino, spero che perda le elezioni... È una innamorata di sé, dall`insopportabile accento vittimista» e via insultando. E ieri, il seguito. Lei, Emma, ci è rimasta male. Nel merito dei «complimenti» preferisce non entrare, si limita a dire che «Ferrara dev`essere malato», forse ha avuto «un travaso di bile, pazienza per lui». Una questione personale? «Per quanto mi riguarda no, l`avrò visto una volta in vita mia». La stessa domanda, rivolta a Ferrara, produce la risposta opposta: «Questione personale, certo. La Bonino non dica fregnacce, sarà venuta una decina di volte in trasmissione da me. Se non se lo ricorda, vuol dire che è completamente pazza». Ma perché ce l`ha tanto con lei? «Per me l`aborto è un omicidio è la Bonilio è una abortista sfegatata». E, da «vecchio comunista», Ferrara si scaglia con altrettanta veemenza contro il leader del Pd: «Bersani è un folle ad aver accettato il ricatto "o me o ciccia

Il Sole 24 Ore 19.1.10
Con Bonino per il Pd più profitti che danni
di Piero Ignazi

Stran destino, come sempre del resto, quello dei radicali. In occasione delle elezioni del 2008 la tormentata contrattazione per il loro ingresso nelle liste del Pd divenne la cartina di tornasole della
capacità di "aprirsi" del Pd. La loro esclusione avrebbe significato che il partito di Veltroni era oligarchico, chiuso, autoreferenziale e non sapeva cogliere le espressioni meno irregimentate
della società civile (di cui si ritenevano i radicali espressione). Alla fine, con il plauso di tanti osservatori, l`accordo si fece. Quella scelta di integrazione così forte - non un apparentamento ma l`immissione diretta dei radicali nelle liste democratiche - non sollevò particolare sconcerto tra le fila dei cattolici del Pd. Qualche mugugno ma nulla più. Ben diversa fu la reazione delle gerarchie ecclesiastiche che tuonarono contro la presenza di anticlericali, divorzisti, filoabortisti e quant`altro. Di conseguenza, come dimostrato dalle indagini post elettorali di Itanes, i cattolici si spostarono in massa verso altri lidi, soprattutto l`Udc. Oggi, nel Pd, di cattolici non ne sono rimasti molti. C`è sì molto ceto politico, entrato nei vari organismi di partito e nelle assemblee rappresentative grazie ai
dosaggi contrattati al momento della nascita del partito. Ma elettori e militanti cattolici sono
ormai ridotti a una piccola schiera. Per questi motivi - la fanfara suonata all`ingresso dei
radicali nel 2oo6 e la successiva liquefazione del serbatoio elettorale e militante cattolico - è
paradossale e quasi incomprensibile il fuoco di sbarramento alzato contro la candidatura di
Emma Bonino alle regionali del Lazio. Le due maggiori critiche sono infatti contraddittorie o inconsistenti. Prima critica: la candidatura è venuta dall`esterno, anzi è stata addirittura "imposta";
e il Pd l`ha subita. E quindi il Pd è un partito debole e facilmente penetrabile. C`è da scommettere che se invece la proposta fosse stata respinta, gli stessi critici avrebbero usato un argomento di segno opposto: il Pd è un partito chiuso, settario, insensibile alle voci non allineate e così via. Insomma,
ogni opzione non andava bene, "a prescindere". Seconda critica: allontana l`elettorato cattolico.
Ma come il caso Marrazzo insegna, i candidati espressione dell`ambiente cattolico non garantiscono comportamenti in sintonia coni valori dichiarati. Le persone di fede apprezzano certamente di più chi dichiara a viso aperto di avere riferimenti culturali diversi, ma anche grande sensibilità verso le posizioni più lontane`da sé, come tutta la storia dei radicali dimostra, rispetto a chi si dichiara
allineato al mainstream confessionale e poi fa tutto altro. Se quindi i radicali andavano bene
nel 2008, non si capisce perché siano diventati il diavolo due anni dopo.
Infine, si dimentica che esiste un elettorato di sinistra radicale, assai più ampio di quello cattolico potenzialmente orientato verso il Pd, che rappresenta il vero bacino di riserva del partito di Bersani. Questo elettorato può essere recuperato dalla candidata radicale, mentre quello cattolico è ingran parte disperso anche perché i valori di riferimento dei "cattolici democratici" sono marginali
nella chiesa ratzingeriana. Il caso Bonino ha messo in luce, una volta di più, la difficoltà del Pd a far convivere tradizioni culturali diverse in assenza di riflessioni degne della sfida; ma offre anche l`opportunità, proprio per il profilo della candidata, per una discussione vera su temi alti, dalla bioetica a stili e scelte di vita diversi da quelli codificati dalla religione e dalla tradizione, dal multiculturalismo alle nuove povertà, dall`anomia urbana alla sviluppo ecologicamente sostenibile.

il Fatto 19.1.10
L’Italia non li vuole, l’Europa pensa a come integrarli meglio
Olanda e Germania: potenziare la presenza di stranieri nel pubblico impiego. Mentre in Francia si apre il dibattito sul voto

Beninteso, al di là delle Alpi non è il Bengodi per gli immigrati e in molti paesi l’estrema destra esprime una preoccupante vitalità, dimostrata anche dall’esito delle urne alle europee dell’anno scorso. Ciò detto, il resto dell’Europa riflette, legifera e dibatte sui nodi dell’immigrazione con un pragmatismo e con parametri lontani anni luce rispetto al populismo leghista che sorregge Palazzo Chigi e i relativi megafoni televisivi. Per intenderci, se in Italia un leader del centrodestra come Fini, quando usa il termine “integrazione”, viene trattato come un matto da confinare attraverso assalti e minacce mediatiche, altrove incarnerebbe un diffuso sentire politico bipartisan. L’esempio più recente arriva dal centrodestra tedesco, e non da un marginale dissidente, bensì da una ministra. Si tratta della cristiano-democratica Maria Böhmer, che ha proposto un potenziamento della componente di origine straniera nel settore pubblico, in modo da avvicinare la proporzione “etnica” dell’amministrazione al quinto della popolazione di origine non tedesca nel paese. “Nessuna quota normativa”, ha poi precisato la ministra, solo un atto di indirizzo nei reclutamenti burocratici. Ma ancor più interessante della proposta in sé è stata la successiva reazione nel mondo politico e tra gli operatori. Qualche obiezione sulla fattibilità concreta, nessuna replica isterica (a eccezione di qualche circolo neonazista) tipo “la Germania ai tedeschi” o men che meno, nonostante la struttura federale, “via i non-bavaresi dalla Baviera”. E tanti i sì entusiastici, a cominciare dal presidente dell’Associazione degli insegnanti Kraus e dal leader del sindacato di polizia Freiberg. La ragione è scontata: mentre a viale Trastevere si fissano tetti per limitare il numero di stranieri nelle scuole con l’apparente obiettivo di evitare classi-ghetto, in Germania si pensa che l’impiego degli stranieri faciliti sia l’integrazione sia il lavoro dell’amministrazione stessa. In altre parole: non si discute più se la società debba o meno essere multietnica. Si è preso abbondantemente atto che così è, e così oltretutto è bene che sia. Non fosse altro che per garantire le necessità di manodopera e di equilibrio previdenziale.
E dove a governare è la sinistra, la sinistra fa la sinistra. I laburisti e i verdi del municipio di Amsterdam hanno proposto un piano per elevare la proporzione degli immigrati nell’amministrazione locale dal già discreto 21 per cento al 27 entro l’anno prossimo. Le opposizioni protestano, e obiezioni si levano anche nella maggioranza perché si tratterebbe di fatto di bloccare le assunzioni degli olandesi. Il concetto di favorire le assunzioni degli stranieri è del resto norma nazionale, ribadita nel tempo dai governi di ogni orientamento, ad esempio assegnando loro il posto, a scapito degli “autoctoni”, in caso di punteggio di parità nei concorsi. E quando la sinistra sta all’opposizione non attende che a muoversi sia la destra, e la incalza di proposte concrete. In Francia si discute in questi giorni del rilancio della Aubry. La leader socialista ha presentato una proposta di legge per il voto amministrativo agli immigrati. Una decina d’anni fa, quando i socialisti governavano, un’ipotesi analoga era stata affossata e tuttavia il dibattito è nel frattempo maturato. I toni rimangono accesi, ma non c’è una vera frattura ideologica, al di fuori dell’estrema destra del Front National, sicché perfino il presidente Sarkozy si è detto disponibile mentre una netta maggioranza dei francesi, secondo gli ultimi sondaggi, risulta favorevole. “Peggio di noi solo l’Uganda”, ironizzava Gaber. E questo non riguarda solo la retrograda verbosità della nostra classe politica, ma anche le norme. In Francia, Regno Unito, Svezia, Irlanda, Paesi Bassi e perfino a Malta bastano ad esempio cinque anni di residenza per ottenere la cittadinanza, e solo la Grecia ha una legislazione altrettanto restrittiva dell’italiana in materia. Del resto la stessa Atene, maglia nera europea in materia di trattamento dei migranti e di richiedenti asilo, sta lavorando a un allentamento del proprio filo spinato giuridico.

Repubblica 19.1.10
L’eversione ereditaria
di Benedetta Tobagi

Le Br non coltivarono un sogno generoso di giustizia sociale ma un progetto fondato su una realtà distorta
Ragazzi come Manolo che hanno dovuto confrontarsi con genitori che hanno ucciso o aiutato ad uccidere persone innocenti

Sembra una storia uscita dalla penna di uno scrittore in crisi. Letta in un romanzo parrebbe finta, forzata.

Manolo Morlacchi, il non più giovane figlio di due ex brigatisti, è stato arrestato ieri in relazione a un´inchiesta sulle nuove Br.
Il primo istinto è la cautela: troppe volte in Italia si sono sbattute in prima pagina le storie di presunti colpevoli, specialmente in materia di terrorismo.
Poi c´è la tentazione, assai rischiosa, di enfatizzare l´apparente ineluttabilità del destino familiare: come se ci fosse un´automatismo, quasi una tara ereditaria, per cui i figli debbano ricalcano le orme e gli errori dei padri. Non è così semplice. Basti pensare che per un Morlacchi arrestato, dietro agli ex terroristi ci sono più spesso storie di famiglie distrutte, genitori spezzati dal dolore, figli sofferenti, a volte vicende di tossicodipendenza, di disagio psichico. Ragazzi che lontano dai riflettori hanno dovuto confrontarsi con genitori che hanno ucciso o aiutato a uccidere persone innocenti, con tante esperienze traumatiche, dolorose.
La vicenda di Morlacchi fa riflettere su una questione assai più complessa: la costruzione dell´identità in rapporto alla memoria.
Si parla molto, di "memoria", ma scarseggiano le riflessioni sull´uso di questa parola. Come tutte le cose umane, essa porta con sé rischi e ambivalenze. I brigatisti, ad esempio, avevano un vero culto della memoria, che si palesava nella scelta dei nomi. La colonna milanese ad esempio era intitolata al ventenne Walter Alasia, caduto nel 1976 sotto i colpi della polizia dopo aver ucciso i poliziotti Bazzega e Padovani. Ucciderà fino al 1981. Il filosofo Tzvetan Todorov mette in guardia rispetto al rischio di "abusi" del ricordo, e distingue tra una memoria che foraggia la sete di vendetta e una memoria viva, che dialoga col presente e serve alla costruzione del futuro.
Morlacchi ha scritto un libro insieme memorialistico e documentale sulla storia dalla sua famiglia, che fa molto riflettere. Racconta il radicamento delle organizzazioni armate in alcuni quartieri di Milano, come il Giambellino: un fenomeno determinante nel permettere al brigatismo di sopravvivere a lungo nelle grandi metropoli industriali, di cui si parla poco e malvolentieri, perché costringe a guardare al fatto che i brigatisti non furono dei marziani o dei pazzi sanguinari, ma vissero, a lungo tollerati, a volte anche aiutati, nelle fabbriche e nella nostra società. Porta a confrontarsi con pagine scomode come la realtà, spesso inumana, delle carceri. Fa riflettere su eccessi e abusi compiuti anche delle forze dell´ordine, che offuscano innanzitutto la memoria dei tanti servitori dello stato che sono stati uccisi.
Però, il libro di Morlacchi fa anche rabbrividire. Si intitola proprio "La fuga in avanti". Sottotitolo: "La rivoluzione è un fiore che non muore". Rende omaggio alla "ispirazione rivoluzionaria" dei genitori, alla loro "pratica militante" contro la "deriva riformista". Come se il figlio non conoscesse la storia del movimento operaio in Italia, né avesse metabolizzato la lezione della storia (fa pensare, che sia archivista e laureato in storia) o il fatto che la scelta della violenza in Italia era intrinsecamente fallimentare. Forte l´impressione che Morlacchi sia bloccato nell´ideologia dei padri, che chiama una sorta di vendetta. Su di lui sembra gravare ancora l´ombra della dinamica del "gruppo chiuso", cruciale per comprendere il terrorismo italiano e di ogni forma di violenza, che può esistere solo se non prende in considerazione le ragioni e l´umanità dell´altro, per quanto avversario.
Ci fa rabbrividire perché noi, oggi, siamo ancora costretti a parlare di brigatisti: Pietro Ichino vive dal 2002 sotto scorta; poche settimane fa il giudice Salvini, che indaga sulle nuove Br, ha ricevuto dei proiettili in una busta. Ieri questi arresti. Residui, certo: ma hanno ucciso (nel 1999 Massimo d´Antona, nel 2002 Marco Biagi) e rischiano di farlo di nuovo. Si prendono di nuovo le pagine dei giornali. Perché c´è ancora qualcuno che non si è reso conto che in Italia non è mai esistita una situazione prerivoluzionaria, e tantomeno esiste ora. Che il terrorismo brigatista ha provocato troppi lutti inutili, privando il paese di intelligenze e professionalità che avrebbero potuto contribuire a renderlo migliore. Che la "fuga in avanti" dei terroristi nel corso degli anni Settanta ha inasprito la repressione, ha ristretto gli spazi d´espressione per il dissenso. Ha distrutto senza costruire nulla.
Le Br non coltivarono un sogno generoso di giustizia sociale, ma un progetto eversivo, fondato su una lettura totalmente deformata della situazione storica, che si è nutrito della rabbia e della disperazione di molti studenti, lavoratori e operai. Giovani e meno giovani. Per questo, Pertini disse nel 1980: «Il terrorismo si combatte rendendo la società più giusta». La classe politica, impegnata a fronteggiare l´emergenza, ha trovato anche grazie ai terroristi alibi per non occuparsi a fondo delle domande (non violente) di giustizia sociale e di maggior trasparenza che venivano dalla società. La cecità dei brigatisti ha oggettivamente danneggiato e rallentato lo sviluppo del paese da molti punti di vista. Altro che rivoluzione.
Il nostro tempo ci pone di fronte a sfide imponenti, dall´integrazione delle comunità migranti allo strapotere delle organizzazioni criminali, dall´emergenza ambientale alla crisi economica e la disoccupazione che rendono più urgente una riforma del mercato del lavoro. Sfide che creano tensioni profonde nella società. La società di oggi è profondamente diversa da quella degli anni Settanta. Ma è importante rafforzare e consolidare gli anticorpi – politici, sociali, culturali - per prevenire il rischio che qualche frangia, seppur minoritaria, prenda ispirazione dall´azione "mitizzata" dei brigatisti, uccidendo ancora e dirottando l´attenzione e le risorse della società dai temi più urgenti.
La filosofa Hannah Arendt dice che non si può ricordare ciò a cui non si è pensato, ciò di cui «non si è parlato a lungo con se stessi», un pensiero che però si apre al confronto con la realtà, si innerva nella vita della polis. La storia di Morlacchi porta a riflettere su quanto è importante che ogni memoria relativa a tragedie collettive che hanno lasciato lacerazioni profonde, come il terrorismo, si apra al confronto con l´esterno. Ci invita tutti a raccogliere gli spunti di riflessione offerti dalla storia della famiglia Morlacchi, così da creare anticorpi per la rabbia che essa ancora trasmette. Solo se sapremo ripensare alla complessità, alle domande e alle contraddizioni che essa ci mette davanti agli occhi, possiamo cercare di disinnescare le pulsioni violente che sono endemiche alla società, e prevenire il rischio che qualcun altro, oggi – perché si sente arrabbiato, disperato, senza futuro - possa ancora credere che l´incubo brigatista è stato un sogno.

il Fatto 19.1.10
Rosarno, l’Europa suicida
di Lluis Bassets

E’ in Calabria il terreno di coltura che fa crescere l’intolleranza: uno Stato assente, corrotto e privatizzato. E una incessante pioggia mediatica fatta di anti-progressismo e occidentalismo mascherato da universalismo.

Una volta ancora l’Italia indica la strada. Lo ha fatto spesso per il meglio, come nel caso del Rinascimento. Talvolta lo ha fatto per il peggio, come con il fascismo. E adesso ci risiamo con la violenta espulsione da Rosarno, in Calabria, della comunità di immigrati dopo gli scontri tra i locali e i braccianti agricoli africani. Il rifiuto dell’altro, la fobia dello straniero e il razzismo non sono monopolio di nessuno: partiti post-fascisti, iniziative xenofobe e leggi repressive proliferano da Vic, in Catalogna, fino a Copenaghen. Ma l’“avanguardismo” italiano, facilitato dalla miscela tra la cinica politica degli interessi affaristici e le ideologie intransigenti che predicano l’esclusione, ha partorito una delle leggi più severe d’Europa contro gli immigranti e un livello di tutela degli stranieri da parte dello Stato che è tra i più bassi del continente.
Le cose vanno peggio proprio là dove lo Stato si ritira lasciando un vuoto che viene colmato dalla criminalità. Il contesto non è soltanto di resa del governo in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di rispetto della legalità.
La Calabria ha il record dell’evasione fiscale ed è, al tempo stesso, una regione sovvenzionata dal denaro pubblico e corrosa dalla corruzione. Non si tratta del “meno Stato” di thatcheriana memoria, bensì di uno Stato privatizzato e intrecciato inestricabilmente con il potere economico di Silvio Berlusconi, occupato in questi giorni, come durante tutta la sua lunga permanenza alla guida del governo, ad evitare i processi e ad ottenere l’immunita’ mentre i suoi alleati della Lega nord si dedicano a tradurre in pratica e a diffondere le loro idee radicali sull’immigrazione.
La pessima situazione dell’economia e l’aumento del tasso di disoccupazione sono benzina sul fuoco, ma non debbono ingannarci. Il problema centrale che l’Europa deve affrontare consiste nella costruzione di un modello efficace, rispettoso e civile di integrazione degli immigrati, un modello che consenta di assorbire la manodopera necessaria per mantenere i livelli di benessere, i valori e gli stili di vita e soprattutto il welfare, lo Stato sociale. E’ questa la sfida che si trova a dover affrontare un mondo che cambia e che nei prossimi quarant’anni vedrà ridurre in maniera drastica il peso dell’Europa rispetto al resto del pianeta, sia sotto il profilo demografico sia per quanto concerne il Prodotto interno lordo per non parlare della sua capacità di iniziativa politica già fortemente condizionata dalla sua proverbiale indolenza.
Questo mese, la Cina ha superato la Germania come primo paese esportatore e gli Stati Uniti come primo mercato automobilistico del mondo. Nel corso del 2010 potrebbe superare il Pil del Giappone diventando la seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti. Nei prossimi quattro decenni l’Europa perderà in misura significativa peso, ricchezza e potere non solo in rapporto alla Cina, ma anche nei confronti di Brasile e India. Secondo le previsioni di Felipe González, nel quadro delle sue riflessioni sul futuro del continente, per mantenersi a galla, a partire dalle nostre economie e dal nostro modello sociale, l’Europa entro il 2050 avrà bisogno di almeno 70 milioni di lavoratori immigrati oltre a quelli già presenti nei vari paesi del continente.
Al cospetto di queste radicali trasformazioni, la reazione, non esattamente spontanea, dei cittadini europei è di tipo conservatore e difensivo: dinanzi alla perdita di peso e di centralità e al cospetto del pluralismo e della diversità, ci trinceriamo dietro l’identità e l’ideologia. La lista è lunga: il referendum svizzero contro i minareti, il divieto francese del velo nelle scuole, il discorso di Ratzinger a Ratisbona, l’ascesa dei partiti xenofobi, le modifiche apportate alle leggi in materia di asilo e immigrazione o la ostilità francese e tedesca all’ingresso della Turchia nella Ue. Come risultato, l’immagi di una Europa-fortezza, che espelle e criminalizza gli immigrati, si va diffondendo in tutto il resto del mondo più di quan- occidentale. In questo modo to si possa percepire in Europa.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla vulgata progressista, il suicidio dell’Europa non è la traduzione in pratica di un progetto di estrema destra. O, quanto meno, non solo. Questo pericolo trova terreno fertile nelle tensioni e nelle difficoltà di cui soffrono prevalen- di temente i più dimenticati: in Calabria è in corso anche una guerra tra poveri. Dai quartieri delle periferie francesi “lepenizzate” fino ai disoccupati calabresi manipo lati dalla ‘Ndrangheta, la vera base sociale del populismo e delle pestilenze nere è costituita sempre dai meno favoriti. E una incessante pioggia mediatica fatta di anti-progressismo, scorrettezza politica e occidentalismo mascherato da universalismo.
In fin dei conti gettiamo alle ortiche i valori autenticamente europei, le idee dell’Illuminismo che sono state sinora il fattore trainante della modernità occidentale. In questo modo prima perderemo l’anima, poi perderemo tutto, compreso lo Stato sociale.

Repubblica 19.1.10
I cittadini invisibili
di Nadia Urbinati

Su Repubblica di alcuni giorni fa, Roberto Saviano ha detto che gli immigrati di Rosarno sono stati coraggiosi contro i clan,«più coraggiosi di noi» (italiani). Coraggiosi lo devono essere perché non hanno nulla da perdere se non quel poco che riescono a mettere insieme per spedire a casa e per sopravvivere in qualche modo qui. Perché abituati a essere sempre a rischio, senza reti protettive alcune: non le autorità del governo dal quale fuggono (e che spesso li perseguita), non la legge del paese dove lavorano che gli è spesso nemica come troppe volte gli sono nemici gli abitanti del paese straniero, per i quali lavorano per un pugno di centesimi e dai quali sono visti come a metà tra il bestiale e l´umano. Gli immigrati sono clandestini anche quando formalmente non lo sono perché la loro clandestinità è rispetto alla società e alla cultura del Paese dove lavorano, non solo rispetto alla legge. Clandestini in senso totale: per la legge sono non esistenti e la loro invisibilità dà agli italiani una sorta di visto per impunemente sfruttarli, ingiuriarli, maltrattarli; essendo fuori della norma sono alla mercé di tutti, «nuda vita» come direbbe Giorgio Agamben.
Questa radicalità li mette, che lo vogliano o no, naturalmente faccia a faccia con i loro equivalenti nostrani di clandestinità: quegli italiani di ´ndrangheta, mafia e camorra che prosperano anche grazie alla clandestinitá formale e civile degli stranieri. Forza contro forza, benché, come abbiamo visto a Rosarno in questi giorni di ferro e fuoco, a perdere sono i clandestini non i fuorilegge nostrani; a perdere sono i piú deboli e piú esposti in assoluto, coloro che la legge dichiara perseguitati e verso i quali non resta indifferente né si fa tollerante.
Eppure, quando alzano la testa, quando rivendicano nelle forme della forza –poiché non ne hanno altre visto che la legge non consente loro voce e visibilità civile – il poco salario in nero e di fame che gli é stato promesso, quando sfidano i prepotenti dell´illecito lo fanno a viso aperto, ignari delle pratiche omertose: la loro violenza, certamente ingiustificata come deve esserlo sempre in una societá che è civile, è un grido di accusa alla nostra democratica Italia. Poiché la loro condizione di radicale e totale sfruttamento ingrassa i nemici della legge e della societá civile. Quegli immigrati dovrebbero essere visti come amici della democrazia, se non altro perché mostrano con tremenda efficacia quanto grave sia l´affare dell´illecito nel nostro paese – un affare che trasmigra dalle terre d´origine e giunge come abbiamo visto in questi giorni nella Pianura Padana, in Emilia-Romagna. L´illecito travolge gli argini. È questo il pericolo che ci deve fortemente preoccupare e che la disperata reazione degli immigrati mette in luce.
Le vicende di Rosarno riportano alla mente le lotte di Giuseppe Di Vittorio contro il caporalato, la tratta dei bambini e delle donne nelle campagne del Tavoliere. Anche allora la sfida era tra legalitá e illegalitá. Di Vittorio era pugliese e a sette anni e mezzo giá bracciante; a dodici si trovó coinvolto in una sparatoria della polizia nella quale morí un suo coetaneo, Ambrogio, durante una dimostrazione di braccianti che chiedevano un salario, non un pugno di soldi. Di Vittorio non combatteva per eliminare gli avversari ed era contro la violenza; combatteva per cambiare le relazioni sociali e le regole. I suoi avversari erano gli affaristi dell´illecito, coloro che non si facevano scupoli di ricorrere alla violenza per contrastare l´unione sindacale dei braccianti, ovvero la trasformazione del conflitto da ribellione violenta (che giustificava la repressione) a contestazione civile: poiché, allora come oggi, operare sotto la legge implicava rendere pubblico ciò che per profitto dei clan doveva restare sommerso e invisibile.
I braccianti che organizzò Di Vittorio vivevano come topi in tuguri malsani e scioperavano per una razione extra di «acqua salsa» con la quale bagnare il pane secco. Erano gli antenati naturali dei clandestini di oggi. Con una differenza che rende l´emergenza di oggi piú grave e preoccupante: poiché se a caricare e a sparare sui braccianti erano allora la "guardia regia" o i carabinieri della repubblica, oggi sono i cittadini stessi, manipolati spesso da una propaganda che ha avuto addirittura ispiratori in partiti che governano il Paese; una propaganda che come un vento pestilenziale è capace di generare terribili cose dove la via della legge è giá di per sé molto impervia e spesso collassata. Di Vittorio aveva compreso che la lotta contro il caporalato e l´illecito era imprescindibile non solo o tanto per i cafoni del Sud, ma per la democrazia italiana; poiché il sistema che sostiene il caporalato è nemico totale del governo della legge, senza possibilità di compromessi, e perché alimenta un sistema affaristico che non conosce frontiere regionali.

il Fatto 19.1.10
La notizia alla vigilia delle primarie
Caos Puglia Indagato Vendola
Alla vigilia delle primarie, accuse di concussione per il governatore nella gestione della sanità pugliese
Il governatore è sotto inchiesta per concussione nello scandalo della malasanità pugliese. E domenica c’è il voto per scegliere il candidato del centrosinistra
di Antonio Massari

Sulle elezioni regionali in Puglia piomba il macigno che in tanti s’aspettavano: il governatore Nichi Vendola è indagato per concussione. L’indiscrezione circola da settimane, da quando un rapporto dei carabinieri aveva ipotizzato, per il governatore pugliese Nichi Vendola, un coinvolgimento nelle inchieste sulla malasanità.

Sulle elezioni regionali in Puglia piomba il macigno che in tanti s’aspettavano: il governatore Nichi Vendola è indagato per concussione. L’indiscrezione circola da settimane, da quando un rapporto dei carabinieri aveva ipotizzato, per il governatore pugliese Nichi Vendola, un coinvolgimento nelle inchieste sulla malasanità. Ieri l’indiscrezione ha trovato le prime conferme e, com'è ovvio, condizionerà le primarie previste per domenica, che vedono Nichi Vendola sfidare il candidato del Pd Francesco Boccia. Per la conferma definitiva, bisognerà aspettare oggi, poiché la Procura, sull'argomento, ha sempre tenuto un profilo netto, di riserbo assoluto. Anzi, più che di riserbo, bisogna parlare di nette smentite: il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, circa un mese fa, aveva negato l’iscrizione di Vendola nel registro degli indagati. Intervistato dai giornalisti, dopo lo scoop di Libero che, per primo, aveva divulgato l’informativa dei carabinieri, destinata alla procura di Bari, nella quale figurava il coinvolgimento del governatore nell’inchiesta sulla sanità, dichiarò che Vendola non era sotto indagine. Negò l’iscrizione, ma non la sostanza dell'informativa. E l’atto, secondo le indiscrezioni, è stato poi firmato, come atto dovuto, proprio dopo la segnalazione ricevuta, in procura, dalle indagini svolte dall’Arma.
La vicenda, come vedremo, riguarderebbe l'interessamento di Vendola nella nomina di alcuni primari. Di certo, c'è che il pool che indaga sulla sanità, organizzato da Laudati poco dopo il suo insediamento a capo della procura di Bari, ha impresso un’accelerata al proprio lavoro. Nella scorsa settimana, in una sorta di uno-due, sono stati arrestati
Il Pm Digeronimo è partito dalle irregolarità emerse per i rifiuti ospedalieri diversi funzionari delle Asl, nei filoni che più da vicino riguardavano il “re delle protesi” pugliese Gianpaolo Tarantini e l'ex direttore generale della Asl di Bari, Lea Cosentino. In diverse intercettazioni, inoltre, sono venuti fuori i nomi di assessori regionali della giunta Vendola, nessuno dei quali indagati, e la percezione è stata precisa: la morsa della procura si sta stringendo sempre più intorno alla gestione della sanità pugliese gestita dal centrosinistra.
L'inchiesta che vede Vendola indagato, però, condotta dal pm antimafia Desireè Digeronimo, parte da lontano, ovvero dalla gestione dei rifiuti e dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Indagando sullo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, infatti, la Digeronimo approda alle presunte irregolarità nell'amministrazione della sanità regionale. Dopo una lunga serie di intercettazioni e di interrogatori, resta impigliato nelle indagini l'ex assessore Alberto Tedesco, prima indagato, poi dimissionario, infine nominato senatore del Pd. La pm – che oggi condivide il fascicolo con Francesco Bretone e Ciro Angelillis – dopo aver acquisito una grande mole di atti, delibere, bilanci regionali e di partito, in questi giorni ha anche interrogato l'attuale assessore alla sanità Tommaso Fiore, non indagato, e pare che la sua indagine sia ormai alla stretta finale.
La posizione del governatore riguarda un presunto accordo, ricercato con politici e dirigenti della Regione, per la nomina di alcuni medici ai vertici di aziende sanitarie.
Fatti che risalgono al 2008. In particolare, l’attenzione dei pm baresi, s'era concentrata su alcune telefonate con l'ex assessore Alberto Tedesco. Nel corso di una telefonata, per la precisione, si discuteva della nomina di un professionista di fama mondiale, giunto da Harvard, per la guida del reparto di Neurologia all'ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti. Sull’argomento, peraltro, Vendola fu ascoltato a novembre, dal pm Digeronimo, nella procura di Bari, come persona informata sui fatti. La nomina del primario, Giancarlo Logroscino, non andò comunque in porto. E proprio Vendola, nelle intecettazioni captate dalla procura, cercava di comprendere se, nella vicenda, avesse avuto un peso il ruolo di Tedesco, al quale chiedeva se fosse contrario alla nomina. Tedesco rispose che non si occupava direttamente delle nomine e che, comunque, avrebbe cercato di comprendere meglio la situazione. Vendola, infatti, non riusciva a capacitarsi dell'esclusione di Logroscino, in quanto ritenuto un luminare di fama mondiale. In altre telefonate con Tedesco, poi, Vendola chiedeva delucidazioni sulla situazione dell'istituto Zooprofilattico di Foggia. C'è da chiedersi, ora, quali ripercussioni avrà l'iscrizione di Vendola nel registro degli indagati, proprio nei giorni in cui è partita la corsa per le primarie pugliesi. Soltanto sabato, infatti, era stato sciolto il nodo delle primarie: nell’assemblea regionale del Pd, che ha visto la partecipazione di Massimo d'Alema, il nome di Francesco Boccia era stato prescelto per gareggiare con Vendola nella sfida del gradimento tra gli elettori del centrosinistra pugliese. Ora, sul nome di Vendola, c'è la macchia dell'iscrizione nel registro degli indagati. La lotta politica si farà senza dubbio più dura. E il governatore, oltre che spiegare il suo programma politico, dovrà dimostrare di essere estraneo ai fatti che gli contesta, ormai ufficialmente, la procura di Bari.

il Fatto 19.1.10
D’Alema: salviamo Nichi da se stesso
“Massimo D’Alema va avanti nella sua “missione”: portare Francesco Boccia alla vittoria delle primarie pugliesi.Tantoèverocheierihaapertola sua campagna elettorale a Lecce. Il Lider Maximo ne fa un problema di scenari politici: “La coalizione che elesse l'attuale presidente nel 2005, l'Unione, non esiste più in Italia e bisogna costruire una nuova alleanza che comprenda partiti fondamentali che fanno parte dell'opposizione in Parlamento, l'Idv e l'Udc, che non hanno fatto parte del governo Vendola”. Dunque, “è evidente che il problema politico di creare una nuova coalizione era aperto da tempo. Lo abbiamo detto a Vendola. Invece lui, per tutta risposta, si è autocandidato creando unalacerazioneinunacoalizioneche,se non è unita, perde le elezioni". E a proposito dell’alleanza con i centristi, che rimane una priorità: “Non c'è un patto segreto tra me e Casini, c’è la forza della politica, che poi è la forza delle cose”. Se perde Boccia in Puglia perde D’Alema? "Perde il Pd e perde, temo, la Puglia. Se perde Boccia perde anche Vendola”. Insomma, l’obiettivo sarebbe salvare Nichi da se stesso: ”Il rischio per lui più terribile è quello di vincere le primarie e di perdere le elezioni".

Repubblica 19.1.10
Uomini e donne se l'eccitazione parla lingue diverse
di Arnaldo D’Amico

Davanti a un´immagine erotica il "giudizio" espresso dai genitali maschili quasi sempre concorda con quello formulato dal cervello. Nelle femmine è vero l´esatto contrario. Lo sostiene una ponderosa ricerca internazionale che prende in esame quarant´anni di studi sul tema
Per i test 5mila soggetti Gli scienziati hanno studiato le loro reazioni davanti a film porno e foto romantiche

IL SEXY - una foto erotica, un film porno o l´audio di un rapporto sessuale - mette d´accordo la mente e il corpo nei maschi, non nelle femmine. Negli uomini sette volte su dieci il giudizio "eccitante" (o "non eccitante") è pienamente condiviso dai loro genitali dove l´afflusso di sangue aumenta (o non aumenta) mentre nei restanti tre casi su dieci apprezza o solo la mente o solo il corpo. Nelle donne succede il contrario: solo due volte su dieci gli stimoli sono accolti sia dal giudizio "eccitante" (o "non eccitante") che da un aumento del flusso di sangue e/o delle secrezioni nei genitali (o nessuna reazione); otto volte su dieci, invece, mente e corpo vanno ognuno per la propria strada: ciò che è bollato come "non eccitante" accende il basso ventre; viceversa, ciò che eccita la mente lascia indifferenti i genitali.
Sono i risultati salienti del ponderoso lavoro di un gruppo internazionale di sessuologi, coordinato dal Canada da Meredith Chivers, psicologa della Queen´s university a Kingston. Ben 132 le ricerche analizzate, selezionate tra tutte quelle condotte dal 1969 al 2007 con metodi corretti e quindi dai risultati affidabili, per complessivi 2.505 donne e 1.918 uomini sottoposti a test. Gli stimoli sessuali utilizzati nelle diverse ricerche sono stati sia «interni», chiedendo ai volontari di rievocare le proprie fantasticherie preferite o suggerendo situazioni particolari, che "esterni", ad esclusione di stimolazioni sul corpo. Attraverso la vista e l´udito le "cavie" sono state stuzzicate in ogni modo possibile: registrazioni audio di rapporti sessuali, foto e video con immagini di tutti i livelli del sexy, dal film porno hard sino alla coppia vestita che passeggia al tramonto.
Molto simili, invece, i sistemi per valutare le reazioni mentali e quelle dei genitali: in genere i soggetti dovevano tirare una leva quanto più consideravano eccitante ciò che stavano vedendo, udendo o immaginando. Oggettiva la misura dell´eccitazione del corpo: nei maschi lo strumento è stato quasi sempre una sorta di anello con sensori applicato al pene che ne registra l´aumento di diametro. Solo in una ricerca è stato usato un cilindro infilato e sigillato intorno al pene, ripieno di gas sotto pressione. L´aumento di volume del pene fa defluire il gas in un secondo cilindro che misura la quantità di gas espulsa, e con che velocità. Per le donne è stata invece usata quasi sempre una sonda tipo assorbente interno che rileva l´aumento del flusso sanguigno e/o delle secrezioni. In altri casi una clip termosensibile che misurava l´aumento di temperatura delle piccole labbra da sola o in aggiunta alla sonda.
Oltre alla dissociazione mente-corpo delle donne di fronte al sexy, la Chivers ha individuato altre differenze e similitudini tra i due sessi. Il film porno eccita di più mente e corpo sia di uomini che di donne, ma né questo né altro tipo di stimolo sessuale aumenta la sintonia mente-corpo. Foto di donne nude o foto erotiche bastano a eccitare gli uomini, mentre le donne reagiscono meglio a immagini di coppie vestite in atteggiamenti romantici. Il video con una donna nuda che cammina sulla spiaggia eccita maschi eterosessuali e donne omosessuali; con un uomo nudo si eccitano uomini omosessuali ma non le donne eterosessuali. Quanto alle masturbazioni solitarie, lasciano indifferenti tutti.
E ancora. Con l´aumentare dell´età aumenta la sintonia mente-corpo ma solo nei maschi. Mentre la pillola contraccettiva non modifica la sintonia mente-corpo nelle donne, proporzionale invece al livello di salute sessuale.

Repubblica 19.1.10
Per tutti il testosterone è l´Ormone del desiderio ma la sua psiche non lo sente
di Andrea Lenzi

La dissociazione mente-corpo delle donne è uno degli aspetti che rende difficile lo studio della sessualità femminile da un punto di vista medico. Alcuni studi dimostrano che, inserendo un pletismografo (un misuratore di flusso vascolare) nella vagina e poi chiedendo alle donne che vedono un film erotico (visual sexual stimulation) se sono eccitate, le risposte "cognitive" spesso sono in disaccordo con quelle oggettive. Dicono: «non sento nulla», e invece sono eccitate (dimostrato da una aumento di circolazione vaginale e da una lubrificazione delle pareti vaginali). Un maschio sottoposto ad una simile visual sexual stimulation ha invece una perfetta coincidenza tra la sua erezione e la cognizione di essere eccitato.
Perché la donna sembra non conoscersi, sessualmente parlando? Forse perché continuiamo a usare sistemi di classificazione "maschili" anche per studiare la sessualità femminile? Probabilmente è così: ad esempio, il fenomeno della lubrificazione è certo il corrispettivo dell´erezione (stessi vasi, nervi, ormoni, stessi fattori disturbanti), ma il suo ruolo nella fisiologia sessuale femminile è ben altro, rispetto all´erezione, così come la percezione di questa. Il clitoride stesso non ha la medesima funzione del pene, pur essendo costituito, anatomicamente, dallo stesso identico tessuto. Di notte, l´erezione per l´uomo e l´aumento di circolazione vaginale e la conseguente lubrificazione per la donna servono infatti per la stessa cosa: per ossigenare i tessuti - come quelli genitali - che hanno una microcircolazione lenta.
E anche per quanto riguarda gli ormoni, si potrebbe dire che forse il testosterone, che è l´ormone della sessualità femminile, non è sufficientemente concentrato nella donna normale per allineare mente e corpo sulle reazioni sessuali. Infatti nelle donne con tumori testosterone secernenti o iperandrogeniche questo allineamento è più evidente.
Non è solo questione di concentrazione ormonale ma anche di tipologia e di soglia di reazione agli ormoni. Clitoride e parete vaginale anteriore sono pieni di recettori per il testosterone, il clitoride stesso è uno degli organi più sensibili all´ormone, come noi endocrinologi ben sappiamo visto che la patologia dell´irsutismo dovuta all´aumento degli androgeni si accompagna a ingrossamento del clitoride. Eppure il testosterone come "pillola del desiderio" per donne è stato un flop. Questa è una delle spiegazioni dei presunti fallimenti dei trattamenti farmacologici dei disturbi sessuali femminili. Un altro esempio: la maggior parte delle donne non sa di lubrificarsi (e talvolta di avere orgasmi) 3-4 volte per notte (ovviamente se non ha gravi patologie o è in menopausa) esattamente come accade ai maschi con le loro erezioni notturne. Infine: i maschi sono molto interessati alle immagini e a ciò che vedono, le femmine alle storie e ciò che passa attraverso le aree del linguaggio. Alle donne interessa il contesto, ai maschi spesso basta la parte erotica del corpo femminile. Anche questo spiega una dissociazione mente-corpo.
* Direttore del Dipartimento
di Endocrinologia
dell´Università la Sapienza, Roma

Repubblica 19.1.10
I mille condizionamenti che nascondono la sessualità femminile
di Roberta Giommi

Il corpo maschile racconta in modo più semplice il rapporto tra stimolazione da immagini e suoni e risposta corporea. La presenza dell´erezione tende a rendere semplice l´associazione corpo-mente. La donna ha più difficoltà ad ascoltare i segnali squisitamente corporei, riceve un messaggio meno evidente che spesso impedisce di sapere con esattezza cosa crea il desiderio sessuale e l´eccitazione.
Ci sono oggi degli avvicinamenti tra maschi e femmine, Internet sta modificando il comportamento delle donne, che guardano immagini erotiche, fanno una maggiore ricerca su ciò che le eccita e procura loro piacere, chattando parlano di sesso.
Il maschio riceve un segnale corporeo più evidente e può associarlo alla dichiarazione verbale di essere eccitato; la donna deve prima avere acquisto un ascolto del corpo. Le donne che si consultano per la crisi del desiderio o per la difficoltà a definire cosa amano nel sesso o nella preparazione al sesso, mostrano una difficoltà a mettersi in contatto con i messaggi genitali.
I dati della ricerca possono portare un contributo a scoprire in modo più puntuale cosa inibisce o facilita la predisposizione femminile alla sessualità. Nella cura delle disfunzioni femminili usiamo il disegno del corpo e il colloquio sul piacere, e questo permette alle donne di riflettere e commentare con il disegno e con le parole quali zone del corpo entrano in gioco nella creazione del piacere e dell´eccitazione. L´altro aspetto su cui lavoriamo nella disfunzione dell´orgasmo consiste nell´aiutare la donna a sentire il momento in cui la vagina segnala il desiderio di essere penetrata. La donna ha maggiori difficoltà se definisce il piacere una volta conclusa l´esperienza, mentre l´associazione mente-corpo funziona meglio durante l´ascolto in itinere delle emozioni.
Questo fa pensare che la stratificazione culturale mantiene aspetti di divieto nel passaggio tra emozioni e definizione cognitiva. Non è un caso che per una buona sessualità molte donne hanno come deterrenti sessuali l´innamoramento e l´amore nella fase passionale che le rende meno attente al controllo e più affidate al partner.
Una strada clinica che la ricerca sembra confermare è che esiste una censura femminile rispetto al riconoscimento delle sensazioni corporee, che la distrazione dal controllo creata dalle emozioni fa affiorare maggiormente la componente fisica dell´eccitazione e del piacere, ristabilendo una unità corpo-mente.
Una cosa che chiediamo ai partner delle donne con difficoltà sessuale è di intensificare la creazione di situazioni facilitanti, come chiediamo alle donne di identificare attraverso musica, film, parole, le situazioni a cui reagiscono spontaneamente. Il piacere femminile ha alcune complicazioni da gestire nella soluzione delle disfunzioni sessuali: una maggiore complessità degli stimoli da presentare, un maggior ascolto dei segnali genitali, maggiore emotività e coinvolgimento.
* www.irf-sessuologia. org

Una raccolta di lanci di agenzia usciti tra giovedì e sabato scorsi sull'incontro all'Eliseo
ricevuti da Giovanni Senatore

REGIONALI: LAZIO; PER BONINO PARTENZA BOOM, TEATRO NON BASTA PRIMA USCITA PUBBLICA DOPO INVESTITURA PD CON PANNELLA E FAGIOLI (ANSA)
ROMA, 16 GEN - Una standing ovation prolungata e un teatro Eliseo talmente pieno da dover dirottare tanti simpatizzanti sul vicino teatro Piccolo Eliseo dove e' stato allestito un maxi schermo. E' partita cosi' la campagna elettorale per la presidenza della Regione Lazio di Emma Bonino, che ieri ha incassato l'ok del Pd. L'occasione e' stata il dibattito 'Il potere della non violenza' con il leader radicale Marco Pannella, anch'egli salutato con una lunga ovazione, e lo psicanalista Massimo Fagioli, personaggio cult a Roma. Il dibattito, organizzato dalla rivista 'Left', dalle Edizioni Asino d'Oro e dai Quaderni radicali e' nato a seguito di un articolo pubblicato su quest'ultima rivista dal medico. Centinaia le persone che hanno voluto manifestare il loro sostegno alla Bonino con grida di incoraggiamento e strette di mano, sia all'arrivo sia a meta' mattinata quando la vice presidente del Senato ha lasciato l'Eliseo. 'In politica - ha detto Fagioli nel corso del dibattito - bisogna affermare un'identita' umana che vada oltre i bisogni ma che contenga anche le esigenze di affetti, liberta' e identita': quello che dobbiamo portare a livello pubblico in primo piano e' la domanda di un benessere che non sia solo fisico ma anche psichico'. Molti i temi toccati, dall'immigrazione al rapporto con la religione: in questo senso Pannella, a margine del dibattito ha ricordato come 'nessuno tenga presente che proprio io negli anni '80 proposi una riforma dei Trattati con il Vaticano, proponendo la doppia cittadinanza'. Nei locali del teatro i radicali hanno allestito diversi banchetti dove firmare il sostegno alla candidatura della Bonino.(ANSA). J5J-GB/MRS 16-GEN-10 14:30 NNNN

REGIONALI: LAZIO; BONINO, NOI DIVERSI,IN POLITICA CON IDEALI MIA CANDIDATURA STRADA IN SALITA CHE MI APPASSIONA
(ANSA) - ROMA, 16 GEN - ''Non c'e' politica senza cultura, altrimenti e' solo un consiglio d'amministrazione. In politica forse purtroppo non e' piu' scontato metterci degli ideali, ed e' questo che ci distingue''. Lo ha detto la candidata alla presidenza della Regione Lazio, Emma Bonino, nel corso di un dibattito all'Eliseo di Roma sul potere della nonviolenza, presenti tra gli altri Marco Pannella e Massimo Fagioli. ''E' questo che chiedo a tutti voi in questa campagna elettorale - ha proseguito la leader radicale - metterci qualcosa di voi stessi. E' questo che gli esseri umani chiedono alla politica, perche' la res publica e' una grande ed emozionante impresa: ognuno porti la sua individualita'''. Bonino ha poi definito la sua candidatura ''una strada in salita, che pero' mi appassiona molto''. Poi ha citato un brano di uno scrittore iraniano, che sul rapporto tra politica e religione ha scritto: ''Non conta tanto cosa credere, ma cosa fare delle proprie credenze''. ''Bisogna imporle? - ha chiesto Bonino - O non bisogna forse usarle per rispettare le diversita? Non esiste lo scontro tra le civilta' - ha concluso - ma solo lo scontro tra le intolleranze''. (ANSA). J5J-DE/FV 16-GEN-10 12:15 NNNN

(LZ) REGIONALI. BONINO A LEFT: PER CHI HA SETE DI BUONA POLITICA "TORNARE ALLA MASSIMA 'DÌ QUELLO CHE PENSI E FAI CIÒ CHE DICI'".
(DIRE) Roma, 14 gen. - Domani la copertina di 'Left' e' dedicata ad Emma Bonino, candidata del Centrosinistra alle regionali per la presidenza del Lazio. All'interno del nuovo numero del settimanale, cinque pagine di intervista/chiacchierata che la storica leader radicale ha rilasciato alla redazione di Left durante un incontro di due ore. Lo si legge in una nota del settimanale. Alla vigilia del si' definitivo dell'assemblea del Pd alla sua candidatura ufficiale, e dell'importante incontro - organizzato da Left, di sabato mattina a Roma al teatro Eliseo, alle ore 10.30, insieme a Marco Pannella e a Massimo Fagioli, l'Asino d'oro edizioni e Quaderni Radicali - la Bonino si racconta a 360 gradi. Progetti e idee su temi scottanti come diritti civili, welfare e immigrazione. La direttrice di Left, Ilaria Bonaccorsi, che sara' tra i moderatori dell'incontro dell'Eliseo dal titolo 'Il potere della nonviolenza. La ricerca di una politica per cambiare: da Gandhi al Dalai Lama, alle lotte pacifiste, alla teoria della nascita e alla 'rivoluzione soltanto del pensiero e parola', dichiara: "Il nostro totale appoggio alla candidatura di Emma Bonino deriva dalla sua idea di fondo di volere una politica per cambiare. Quando lunedi' e' venuta nella nostra redazione ci ha raccontato una visione del mondo e del fare. Un'altra politica: trasparenza, valori, grandi idee, forte senso pratico. Rispetto istituzionale, legalita'".(SEGUE) (Com/Rel/Dire) 17:32 14-01-10

(LZ) REGIONALI. BONINO A LEFT: PER CHI HA SETE DI BUONA... -2-
(DIRE) Roma, 14 gen. - "Tra i tanti temi specifici che abbiamo affrontato- continua la Bonaccorsi- dalla Ru486 alle donne in politica, al nucleare, ai temi piu' legati al territorio laziale, mi hanno colpito alcuni concetti in particolare". Nell'intervista infatti, viene chiesto alla leader radicale perche' un elettore di Sinistra dovrebbe votare per lei, che ha la fama di liberista e mercatista: "Io e molti altri ci interroghiamo su cosa vuol dire oggi essere di Sinistra. Non basta solo essere antiberlusconiani, sarebbe riduttivo. Penso che un elettore di Sinistra sia vicino alle mie posizioni su molti temi. Quella pratica di trasparenza che ci spinge a portare avanti battaglie perse a testa alta, sapendo che altri le vinceranno magari fra vent'anni, e' parte integrante di una cultura di Sinistra. Credo che questa sete di buona politica sia un elemento importante, non soddisfatto dall'offerta in campo", spiega la Bonino. E sull'idea di cambiare la politica, che ha colpito la direttrice di Left, dichiara: "Puo' essere utile un'elaborazione come quella di Lombardi, l'idea ad esempio di un 'socialismo liberale', a condizione che ci diamo tempi non immediati. Credo che in questo Paese ci sia un problema culturale gigantesco, in pochi decenni siamo passati da cittadini a popolo, da popolo ad audience, da audience a plebe. Non e' proprio fotografia brillante. Il percorso inverso e' complesso, lungo e necessita di alcuni strumenti innovativi, come la non violenza, ma anche di simbologie diverse. Non sara' ne' miracoloso ne' rapido, ma e' un percorso necessario. Senza una nuova cultura della cittadinanza, non basta che Berlusconi perda le elezioni nel 2013. Dobbiamo tornare ad una vecchia massima, difficilissima da applicare: di' quello che pensi e fai quello che dici".(SEGUE)

(LZ) REGIONALI. BONINO A LEFT: PER CHI HA SETE DI BUONA... -3-
(DIRE) Roma, 14 gen. - La Bonino parla di liste bloccate, di presenza femminile in politica: "Oggi la degenerazione della democrazia giunge al suo punto piu' basso con le liste bloccate. In qualunque Paese normale sarebbe normale avere come candidate due donne, la Polverini e la sottoscritta. Noi pero' siamo sufficientemente patetici da vedere una competizione politica tra donne come un dato fuori dall'ordinario. A Marsiglia o ad Oslo, lo scontro elettorale fra due donne e' normale. Da noi diventa particolare perche' anormale e' la situazione femminile". E infine rilancia i temi che potrebbero avvicinare gli elettori di Sinistra 'estrema', che non votano Pd: "Lasciamo perdere le cose che ci dividono. Ovvio che ce ne siano, altrimenti staremmo tutti nello stesso partito. Ma esistono cose che uniscono: quello dei diritti umani e' un importante terreno di incontro. Le battaglie su carceri, immigrazione, malati, ci hanno visto impegnati insieme. Comunque faccio notare che, seppure queste elezioni abbiano un grande significato politico nazionale, il vero obiettivo e' amministrare bene una Regione. Non si tratta di dirigere un ente morale o di riscrivere lo statuto dei lavoratori. Quindi, messe in chiaro le differenze, esiste un ampio terreno comune". (Com/Rel/Dire) 17:32 14-01-10 NNNN

REGIONALI: BONINO, DIRE QUEL CHE SI PENSA, FARE QUEL CHE SI DICE
(AGI) - Roma, 15 gen. - Bisogna tornare a una vecchia massima, difficilissima da applicare: di' quello che pensi e fai quello che dici. Lo sostiene in un'intervista al settimanale 'Left' la candidata governatrice alla Regione Lazio, Emma Bonino, alla vigilia della sua prima uscita pubblica domani al Teatro Eliseo di Roma al convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una politica per cambiare". La Bonino ne discutera', assieme al leader dei Radicali Marco Pannella, con lo psichiatra dell'Analisi Collettiva Massimo Fagioli. Il convegno promosso da Quaderni Radicali, L'Asino d'oro edizioni e 'Left', rimette all'ordine del giorno "la forza persuasiva" della nonviolenza: da Gandhi al Dalai Lama, dall'esperienza del Partito d'Azione a Giustizia e Liberta', dalle lotte pacifiste dei Radicali, alla 'teoria della nascita' di Fagioli e all'idea possibile "di una lotta, senza armi, che sia soltanto rivoluzione del pensiero e parola". Alla Bonino, alla 'fuoriclasse', come l'ha definita il leader del Pd, Pierluigi Bersani, il compito poi di tradurre il tutto nella campagna elettorale ormai alle porte per tentare di riconquistare la Regione Lazio al centro-sinistra. "Io e molti altri ci interroghiamo su cosa vuol dire oggi essere di sinistra. Non basta solo essere antiberlusconiani, sarebbe riduttivo", spiega la Bonino secondo la quale "puo' esser utile un'elaborazione come quella di Lombardi, l'idea cioe' di un socialismo liberale, a condizione che - conclude - ci diamo tempi non immediati". (AGI) Red/Pat 151759 GEN 10 NNNN

REGIONALI: BONINO,E' POSSIBILE NUOVO GRANDE INIZIO POLITICA = (AGI) - Roma, 16 gen. - E' possibile un nuovo grande inizio della politica intesa sia come buona e trasparente amministrazione, ma anche come portatrice di valori della persona umana. Lo ha detto la candidata a governatrice della Regione Lazio, Emma Bonino, intervenuta al Teatro Eliseo di Roma al convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una nuova politica' organizzato da Quaderni Radicali, L'Asino d'Oro e il settimanale Left. La Bonino si e' detta "emozionatissima" dopo il via libera dell'assemblea del Pd e pronta al dialogo con tutti per costruire un'alleanza larga. Rivolta a Ferrero e Di Pietro, ha aggiunto "mi conoscono, sanno perfettamente chi sono e cosa rappresento". "Il fatto strano - ha sottolineato riferendosi alla sua competitrice diretta, Renata Polverini - che siano due donne le candidate alla presidenza di una Regione e' un fatto anomalo per un Paese come il nostro dove si ha una concessione patetica del ruolo e funzioone della donna". Dopo aver individuato nella sanita', trasporti e rifiuti le priorita' per la Regione da amministrare con oculatezza e trasparenza, la Bonino si e' rivolta alla platea di migliaia di persone incitandole tra gli applausi a portare "qualcosa di se', qualcosa di voi nella diversita', nella differenza in questa campagna elettorale: la diversita' - ha concluso - e' un'energia positiva da esaltare come ci insegna nella storia la pratica della non violenza". (AGI) Pat/Stp 161126 GEN 10 NNNN


REGIONALI: PANNELLA,CONTENTO PER EMMA MA CRITICO CON INFORMAZIONE = (AGI) - Roma, 16 gen. - Contento e strafelice per la candidatura di Emma Bonino a governatrice della Regione Lazio, ma al tempo stesso non posso non criticare e aspramente il poco spazio che ci viene riservato dai mezzi di informazione. Cosi' il leader dei Radicali, Marco Pannella, si e' pronunciato nel corso del convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una nuova politica', promosso all'Eliseo di Roma da Quaderni Radicali, l'Asino d'oro e il settimanale Left. "Bisogna ripristinare uno stato di diritto - ha aggiunto Pannella - e soprattutto di legalita': per mancanza di quest'ultima rischiamo di non trovare le firme che ci servono per presentare le nostre liste alle prossime elezioni. E cio' e' dovuto anche e soprattutto alla scarsa visibilita' e alla mancanza di accesso ai mezzi di informazione". Sollecitato dalle domande del pubblico, Pannella, in merito alla questione immigrati, ha detto che "ci vuole un welfare anche per gli immigrati, ossia vanno ri-conosciuti come esseri umani ai quali spetta il diritto di cittadinanza". (AGI) Pat/Chi 161556 GEN 10 NNNN

Apc-Regionali/Lazio,Bonino in pista:Trasparenza e valori,nuovo inizio
"Rappresento popolo di sinistra e cattolico" Roma, 16 gen. (Apcom) - "E' possibile un nuovo grande inizio della politica intesa sia come buona e trasparente amministrazione, ma anche come portatrice di valori della persona umana". Con queste parole Emma Bonino, candidata del centrosinistra alla Regione Lazio, ha aperto la sua campagna elettorale al Teatro Eliseo di Roma. La Bonino è intervenuto al al convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una nuova politica' organizzato da Quaderni Radicali, L'Asino d'Oro e il settimanale Left. Insieme a lei il leader radicale Marco Pannella e lo psicanalista Massimo Fagioli. "Mi ha emozionata la decisione dell'assemblea regionale del Pd dopo le parole di Pierluigi Bersani e ce la metterò tutta - ha detto la Bonino - per rappresentare i valori e le passioni che hanno segnato il popolo di sinistra e quello cattolico in questi anni". La Bonino ha spiegato di essere pronta al dialogo con tutte le forze del centrosinistra per costruire un'alleanza larga. Ferrero? Di Pietro? "Mi conoscono - ha detto l'esponente radicale -, sanno perfettamente chi sono e cosa rappresento". La Bonino ha invitato, accolta da una standing ovation del parterre del Teatro Eliseo, tutti "a darà qualcosa di sè, qualcosa di voi nella diversità, nella differenza in questa campagna elettorale: la diversità è un'energia positiva da esaltare come ci insegna nella storia la pratica della non violenza". Quanto a Renata Polverini la Bonino ha osservato che "il fatto strano è che ci siano due donne candidate alla presidenza di una Regione, è un fatto anomalo per un Paese come il nostro dove si ha una concessione patetica del ruolo e funzione della donna". Infine la candidata democratica ha individuato le priorità della Regione da amministrare con trasparenza e oculatezza: sanità, trasporti e rifiuti. Red/Pol 161655 gen 10

lunedì 18 gennaio 2010

Repubblica 18.1.10
Il sogno di Emma potrebbe realizzarsi
di Mario Pirani

«Avevo deciso per la Polverini, anche per punirli e perché il personaggio non mi dispiaceva, ma ora, non c´è dubbio: voterò Emma Bonino!». Una frase che mi son sentito ripetere da più di un mio amico o amica di sinistra in questi ultimi giorni. Credo corrisponda a uno stato d´animo diffuso. Naturalmente non sono un sondaggista, non ho strumenti di controllo, le riflessioni che mi vengono fanno parte di un altro patrimonio di esperienze.
Aggiungo che oggi mi permetto anche di sognare – attitudine che in genere aborro quando penso alla politica – ma questa volta no: «I have a dream», per dirla con una celebre frase. Poi mi freno: «Tutto per la Bonino? Andiamoci piano, ma anche riflettiamo, non tiriamoci indietro, chiusi in uno scetticismo ormai stratificato». Insomma, penso che l´iniziativa di Emma di scendere in campo possa alimentare una trascinante ventata d´aria fresca che non si respirava da tempo nelle maleodoranti cucine della politica italiana. Una novità vera in un panorama che sembrava per la sinistra ormai spoglio di speranze.
Prima di tutto per riaffermarsi a Roma e conservare il Lazio, ma anche come esperimento sul campo di un diverso modo di far politica. Con effetti magari paradossali. Il primo – almeno così mi sembra – è che questa militante in servizio permanente dei diritti civili, senza alcun trascorso nei gruppi grandi e piccoli della sinistra storica, potrebbe aver innescato col suo gesto una specie di precipitazione chimica, quasi i Pd, orfani di una identità sempre più pallida, avvertissero l´improvviso e rinnovato scorrere nelle loro vene di pulsioni vitali, valori, senso di autoidentificazione che ormai vivevano solo come nostalgia di un passato dismesso. In primis possono ritrovare la politica come passione alta, per un buon governo e non per gli inciuci della casta; e, poi, la possibilità di recuperare una concezione decente dell´appartenenza, sull´esempio di una donna che, pur avendo speso la vita in cento battaglie civili, ricoprendo incarichi importanti in Italia e nel mondo, non si è lasciata mai neppure sfiorare dalla patologia partitocratica. Poi c´è un altro apporto decisivo ed insperato. Quasi quel che non poteva più scaturire dall´interno del Pd, gli venga ora ridato da fuori. Parlo della laicità, un oggetto smarrito ormai per la sinistra. Eppure, un bene senza il quale la sinistra non può esser tale. Perduto per strada perché si è accettato di confondere «libera Chiesa in libero Stato», in un contesto succube delle prescrizioni imperative della Curia, fatte proprie dalla costellazione di formazioni politiche più o meno cattoliche alla ricerca di una legittimazione vaticana.
Una cupidigia di mercato politico che ha contraddistinto tutti, da Rutelli ai teo-dem, da Casini a Giovanardi, fino agli allegri compari delle escort. Così che ne sono usciti mortificati non solo i laici ma i cattolici seri, che ieri si chiamavano Scoppola o Elia, ed oggi si chiamano Marini, Fioroni, Prodi e tanti altri. Perché, come ricorda la Bonino, le battaglie per il divorzio e la difficile libertà di aborto non sarebbero mai state vinte, senza l´appoggio di milioni di cattolici credenti, donne ed uomini.
Detto questo resta la difficoltà dell´assunto, la scommessa di un sogno. Che per realizzarsi ha bisogno assoluto di due soggetti: Emma ma altresì il Pd e le restanti sinistre. Emma oggi ha tre attivisti volontari e neppure un soldo nelle casse radicali. Dunque, può tentare di vincere solo se il Pd fa propria e vive come propria la sfida, senza prevaricarla mai, senza sovrapporvisi con le sue beghe, le sue pretese, i suoi personalismi efferati. Prima di tutto convincendo i conduttori tv «amici», i Santoro e i Floris, che nelle loro 14 trasmissioni da dicembre ad oggi hanno avuto Di Pietro come l´esponente politico più presente, che è giunto il momento di un altro volto e dar spazio a una invitata che non hanno mai chiamato.

l’Unità 18.1.10
Intervista a Giovanni De Luna
«Craxi al posto di De Gasperi Salò al posto della Liberazione Così legittimano Berlusconi»
Per lo storico si è in presenza di «un revisionismo due volte furbo: basta pensare che l’egemonia di destra è nata dalle ceneri di quella stagione»
di Bianca Di Giovanni

Una rilettura della storia con un obiettivo preciso: la legittimazione dell’egemonia di centrodestra. Così Giovanni De Luna, docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, «legge» le cronache delle ultime ore sul decennale della morte di Bettino Craxi. Un’operazione esplicita, che compendia il lavoro iniziato già negli anni Novanta: demolire le fondamenta della Prima Repubblica per legittimare la Seconda. Cambiando i «Protagonisti della Storia»: non più l’antifascismo, ma l’anticomunismo. Non più De Gasperi ma Craxi. Il quale rappresenta il punto di svolta, con un paradosso di fondo che nessuna rilettura potrà mai cancellare. Il centrodestra fa di Craxi una vittima dei comunisti, eppure dalla sua caduta uscirono rafforzati proprio la Lega e lo stesso Berlusconi. Senza quella drammatica cesura, il centrodestra di oggi non esisterebbe. Così il Pdl si ritrova in un nonsenso: condannare il proprio atto di nascita per autolegittimarsi.
Allora possiamo parlare di revisionismo. «Io sostengo che il revisionismo è lo spirito della storia, purché questo avvenga nell’ambito della ricerca. Ma nel caso di Craxi non è così: si prescinde totalmente dalla ricerca storica. La rilettura è completamente slegata da nuove fonti, nuove scoperte. Craxi viene legittimato nell’arena dell’uso pubblico della storia. Su di lui non esistono fonti alternative a quelle giudiziarie. Non esistono fonti attendibili per lo storico. Così l’obiettivo è costruire una vulgata per giustificare il centrodestra di oggi. Si tratta di legittimare la seconda Repubblica».
Il collegamento tra Craxi e l’autolegittimazione è abbastanza esplicito. Basti leggere quello che dice Maurizio Sacconi ad Hammamet: la rilettura del passato serve a superare il giustizialismo di oggi.
«Sì, il collegamento è esplicito e si fonda su una lettura del crollo della Prima Repubblica di tipo complottistico. Secondo questa tesi Craxi sarebbe caduto per via delle toghe rosse e dei comunisti, e non perché non seppe porsi come interlocutore politico di nuovi soggetti sociali che pure lui aveva individuato. La teoria del complotto tuttavia contraddice quello che il centrodestra è. Chi si è giovato della caduta di Craxi non furono i comunisti, che in realtà volevano mantenere la Prima Repubblica essendone parte integrante, ma Berlusconi e soprattutto la Lega. La Lega è stata protagonista di quei fatti, ha organizzato il lancio di monetine contro De Michelis lungo le calli di Venezia, ha sventolato cappi in Parlamento, Bossi insultò la Boniver. I veri eredi di quell’epoca sono loro, non certo i comunisti che ne sono usciti dilaniati».
Colpisce che l’ansia di riabilitazione sia pressante negli ex socialisti, mentre i Dc che governarono con Craxi si espongono meno.
«Gli eredi della Dc non sono più in grado di organizzare la memoria. È un fatto di egemonia». Questo tipo di revisionismo è un segno di forza o di debolezza?
«La forza del revisionismo sta nei suoi paradigmi, più vicini ai luoghi comuni che alla complessità della ricerca storica. Sicuramente quello che sta avvenendo è una decostruzione a tutto campo. Sta avvenendo la stessa cosa su Salò. la ricerca storica continua a portare prove molto pesanti sulle responsabilità degli italiani negli eccidi. Eppure l’unica costruzione che ha vinto è quella di Gianpaolo Pansa sul sangue dei vinti. E l’unica vulgata che ancora regge è di stampo azionista. La storiografia ex comunista si è totalmente disintegrata. È un segno dei tempi che i primi due segretari del Pd abbiano scritto due romanzi. Con i vecchi leader del pci non sarebbe avvenuto così. La sinistra ha perso il rapporto con la storia: anche l’albero genealogico del Pd resta poco chiaro. Gramsci c’è o non c’è? E Togliatti? E l’antifascismo?».❖

l’Unità 18.1.10
Shukri non mangia più «Razzismo e troppa burocrazia»
di Aldo Quaglierini

In pericolo di vita. Shukri Said non ha intenzione di fermarsi nonostante stavolta rischi grosso davvero. In sciopero dalla fame da più di dieci giorni, l’attrice di origine somala ha avuto un collasso ed è stata ricoverata all’ospedale in condizioni critiche. I medici le hanno consigliato di interrompere la protesta, lei ha detto di no. Vuole andare avanti e proseguire nel percorso fino alle estreme condizioni. In realtà, non vuole tanto che si parli di lei, ma del significato del suo gesto: vuole si pensi alle grandi contraddizioni della legge per l’immigrazione, che si accendano i riflettori sulla esasperata burocratizzazione dei permessi, sul meccanismo che stritola la vita degli immigrati (di quelli regolari, di quelli che vogliono essere e restare nella legalità, che lavorano, pagano le tasse, magari hanno famiglia e figli a carico). Che almeno il suo rischio serva a qualcosa, fa capire, che almeno si apra uno squarcio sul silenzio.
È immobile a letto, parla con un filo di voce, tremante e insicura. È debilitata. Beve, ma non basta. Le chiedono, ha un senso tutto ciò? «Si dice perché si parla troppo poco di questo incubo in cui sono piombate migliaia di persone. È un incubo e migliaia di persone dentro, vi rendete conto?». Il rinnovo dei permessi, intende, ha un percorso lungo e tortuoso. Troppo lungo, troppo tortuoso. Una cosa che vanifica la stessa richiesta di rinnovo, la rende praticamente inutile. In questo modo si spinge la gente verso la marginalità, verso l’illegalità. Insomma, diventa clandestino anche chi ha le carte in regola... Il contrario dello scopo.
«Legge Bossi-Fini», «Pacchetto sicurezza», «Sanatoria badanti», dice, sono un groviglio di infernali contraddizioni il cui risultato reale è «rendere impossibile la vita agli immigrati perbene e solo a quelli». Ricorda che ci vogliono almeno sei mesi per ottenere un rinnovo (la legge impone un’attesa di venti giorni al massimo... ) e nel frattempo si diventa automaticamente clandestini. Vuole risposte concrete dal governo, vuole che si rispettino i tempi previsti dalla legge... Non sono obiettivi impossibili.
Ora si sente debole, ma non sola. Non demoralizzata. Le stanno vicino gli amici, le associazioni per i diritti degli immigrati che conoscono Shukri non solo per Don Matteo, per la tv o per il cinema, ma per la sua determinazione. Di sicuro lei non mollerà, dicono, è questo il vero pericolo.❖

l’Unità 18.1.10
Sei licenziato ma straniero? Niente sussidi
di Bruno Ugolini

Il titolo campeggia su un recente numero del quotidiano "L'Eco di Bergamo": "Aiuti ai disoccupati. Stranieri esclusi". È una decisione della Giunta leghista di un Comune bergamasco: Villa D'Ogna.
Non sono tutte eguali le vittime della crisi economica. Eppure, come ha scritto un Blog (http://www.giornalettismo.com) è probabile che il fondo per quei sussidi sia alimentato anche dai soldi degli stranieri residenti e che pagano tasse, contributi, balzelli.
Anche così si creano le Rosarno grandi e piccole. E a proposito dei terribili scontri tra gli aranceti meridionali è utile ripercorrere il passato. Aiuta un bel libro di Giovanni Rinaldi “I treni della felicità”, con prefazione di Miriam Mafai (Ediesse). Racconta di vicende altrettanto drammatiche ma anche di un’Italia diversa. Tutto parte, appunto, dalle lotte meridionali tra il 1948 e il 1950. I protagonisti non erano però i braccianti di colore. Erano braccianti bianchi, anche a Rosarno. E così, ad esempio, un giorno, in un comune pugliese, San Severo, il 23 marzo del 1950, quei lavoratori si lanciarono contro la polizia al grido di “Pane e lavoro!”. Tra barricate e cari armati uno di loro morì, molti rimasero feriti, 180 vennero arrestati. Qui entra in campo l’Italia solidale. Numerosi figli dei 180 arrestati, rimasti come orfani, sono ospitati e sorretti da famiglie del centro-nord. Sono coinvolti in un’iniziativa già avviata attraverso una rete di Comitati per la salvezza dell’infanzia, sostenuti dall’Udi (Unione donne italiane) e dal Pci. Opera anche a favore dei minori provenienti dalle zone martoriate dai bombardamenti o alluvionate (come nel Polesine).
L’autore del libro, insieme al regista Alessandro Piva, è andato a cercare quei bambini, oggi anziani, salvati da quelli che erano stati chiamati i “treni della felicità”. Hanno ricostruito le loro vicende. Ne è uscito il racconto di “un’Italia popolare...divisa dalle ideologie ma unita in un’idea della politica come mezzo necessario per costruire insieme il bene comune”. Come appare lontana la Giunta leghista di Villa D’Ogna e come appare strana la Rosarno di oggi dove i braccianti di ieri non riescono a stabilire un patto con i nuovi braccianti neri di oggi. C’è un affresco nella cittadina calabrese, sul muro del palazzo della posta: un uomo e una donna con un neonato in braccio, guidano un gruppo di contadini, tra oliveti e aranceti. Un simbolo del loro passato, ai tempi dell’occupazione delle terre. Quando ogni bracciante aveva diritto a mezza “cota” (6.660 metri quadrati). Anche per questa storia appare davvero importante il viaggio del segretario del Pd Bersani, unico dirigente politico in quelle zone devastate. Un gesto, un desiderio di capire che vale di più di tanti discorsi, di tante capacità mediatorie nella ricerca di candidature elettorali. Un modo, questo si moderno, di fare politica. http://ugolini.blogspot.com

Repubblica 18.1.10
Intervista allo scrittore inglese: "Il mio nuovo libro è femminista"
Amis: nessun potere alle donne perché è fallita la rivoluzione sessuale
di Antonio Monda

NEW YORK Martin Amis ha passato gli ultimi mesi a concludere la stesura di The Pregnant Widow, uno dei suoi romanzi più ambiziosi, e certamente tra i più attesi dell´anno. Il libro, che è ambientato in Italia negli anni Settanta, nelle campagne toscane, prende il titolo da una battuta di Alexander Herzen.
Secondo Herzen la rivoluzione, nel momento in cui uccide un regime, senza darne vita ad uno nuovo, genera una vedova incinta. Il tema è quello della rivoluzione sessuale e "la vedova incinta" del libro è il femminismo. Perché la rivoluzione sessuale è stata un´occasione mancata: sarebbe stato meglio, come ha dichiarato, «che il mondo fosse diretto dalle donne». Non è andata così, appunto. «Ma io mi considero uno scrittore femminista», ha spiegato. Una svolta, accolta già con grandi elogi dalla critica inglese.
Amis, che ha superato da poco i sessanta anni, ed è tornato a vivere stabilmente a Londra dopo un periodo di oltre due anni in Uruguay, si è sempre distinto per la chiarezza con cui ha espresso le proprie convinzioni ed il rigetto di ogni atteggiamento politicamente corretto. Chi lo conosce bene sa che si tratta di qualcosa che va ben oltre il gusto della provocazione, ma in passato è stato ripetutamente accusato di misoginia, cinismo, e, negli ultimi tempi, anche di razzismo e islamofobia. Accuse alle quali lo scrittore ribatte punto per punto, invitando a non aver paura delle proprie idee, e ad approfondire la riflessione politica e sociale, anche quando porta a conclusioni imbarazzanti e sgradevoli. Ma se l´intellettuale battagliero continua a scatenare polemiche e generare ostilità, i suoi libri, con la possibile eccezione di Cane Giallo, sono stati accolti sempre come un evento. Oggi Amis reagisce con una punta di fastidio quando gli viene ricordato di essere stato un enfant prodige della letteratura mondiale, e parla volentieri di autori che ama, e del cinema, che considera senza troppi giri di parole una forma d´arte minore rispetto alla letteratura. «Io credo che il cinema sia ineguagliabile per quanto riguarda le scene d´azione», spiega nella sua bella casa londinese, «e in generale per tutto ciò che riguarda ogni azione esterna. Invece, per quanto riguarda l´intimità, e ogni sviluppo psicologico, la suggestione e la potenza della parola scritta sono ben altra cosa».
Cosa rappresenta la più grande minaccia per il linguaggio della parola?
«L´ignoranza. Io non sono apocalittico rispetto ai nuovi linguaggi e alle nuove forme di espressione. Tuttavia, ritengo che la mancanza di cultura e preparazione possa trasformare ogni opportunità in un pericolo. Un bel film non danneggerà mai un bel romanzo, ma è necessario essere in grado di saper apprezzare l´uno e l´altro. E di saper godere dei rispettivi linguaggi».
Quali sono i libri più importanti degli ultimi anni?
«Devo ammettere che leggo poca letteratura di oggi, e ritengo che il giudizio non debba mai essere contemporaneo. So che può sembrare un modo di non rispondere, ma mi chiedo sinceramente quanto di questi romanzi, acclamati ed imitati, sopravviverà al tempo? Posso dire che passo sempre più tempo in compagnia dei classici».
Cosa possiamo imparare ancora dai classici?
«I classici sono tali perché sono fuori dal tempo e sono in grado di parlare di quello che accade sempre, e quindi anche oggi. Esistono ovviamente anche classici moderni. Penso ad alcuni scrittori di una generazione precedente alla mia, come Saul Bellow: un libro come Le avventure di Augie March è certamente un classico, e potrei dire lo stesso di Disperazione di Vladimir Nabokov. Ma voglio fare il nome anche di un classico più recente ed uno dell´antichità dai quali si può imparare molto: Rumore Bianco di Don DeLillo e Le Metamorfosi di Ovidio».
Può citarmi anche un classico del cinema che ama e al quale ritorna spesso?
«Toro Scatenato di Martin Scorsese. Un film straordinario».
Qual è la sua opinione riguardo a kindle e agli e-book?
«Credo che non bisogna mai aver paura delle opportunità, ma che nello stesso tempo sia necessario saperle affrontare con preparazione. E ammetto di essere sentimentale riguardo al classico libro di carta. Amo la sua fisicità, il poter scrivere note, piegare un angolo della pagina per ricordare dove si è arrivati nella lettura. So bene che le tecnologie stanno cercando di venire incontro anche a questo aspetto, ma si tratta di qualcosa di intimamente legato alla formazione culturale di milioni di persone. Io ritengo che il cervello dell´uomo di lettere, e per esteso del lettore, funzioni in maniera organicamente differente da quello di colui che utilizza il computer. Ma so anche che le nuove generazioni acquisiranno con naturalezza queste tecnologie e quello che a noi appare rivoluzionario diventerà assolutamente normale».
Ritiene che sia impossibile sfuggire al fatto di scrivere di sé stessi?
«Non è né possibile né auspicabile. Una cosa che dobbiamo accettare, e se siamo in grado sposare, è che non è possibile scomparire. Aggiungo che il piacere della lettura va di pari passo con quello della scrittura».
Un tema ricorrente dei suoi libri è il sesso.
«È un tema centrale dell´esistenza, e ovviamente in questo caso non sto parlando solo di me stesso. E si tratta di un argomento che è difficile trattare con efficacia, sincerità e intelligenza».
In gioventù lei ha professato idee estremamente liberal. Ora i liberal la attaccano. È lei ad essere cambiato o sono loro ad essere rimasti fermi?
«Io ritengo di essere stato coerente alla mia idea di libertà e di aver contrastato in qualunque modo ogni forma reazionaria e dittatoriale. Aggiungo che esiste una forma di dittatura, insidiosa e ancora diffusa, che può avvenire in democrazia. Si tratta della dittatura ideologica».
Il suo percorso intellettuale ha più di una somiglianza con quello di suo padre Kingsley, che da comunista divenne simpatizzante della Thatcher.
«Ho parlato a lungo dell´itinerario culturale e politico di mio padre, sia nel mio libro di memorie Esperienza che in Koba il Terribile, dedicato alle atrocità dello stalinismo e alla parallela e gravissima cecità di un mondo intellettuale. Ho cercato di farlo con sincerità e non è un segreto che anche quando lui era in vita non sono mancate le polemiche. Posso rispondere dicendo che, crescendo, alcuni percorsi sembrano inevitabili e ognuno deve rispondere solo alla propria coscienza».
Lo scrittore, e l´artista in generale, è per definizione all´opposizione rispetto al governo del paese in cui vive?
«A mio modo di vedere lo scrittore deve sentirsi sempre assolutamente indipendente da ogni tipo di regime. Non esiste governo che possa soddisfare le esigenze di menti sofisticate».

Repubblica 18.1.10
Matteo Ricci e la Cina dei Ming
La mostra sul gesuita, a Pechino dal 6 febbraio, viene presentata oggi
di Piergiorgio Odifreddi

Sorprese i sudditi del Celeste Impero con la sua memoria prodigiosa, affinata al Collegio Romano

Oggi ad Ancona, nella sede della Regione Marche, viene presentata la grande mostra dedicata a Matteo Ricci che aprirà il 6 febbraio a Pechino. L´esposizione, che farà tappa a Shanghai e Nanchino, ripercorrerà le orme del gesuita marchigiano che, tra Cinquecento e Seicento, stabilì per primo un ponte culturale tra Occidente e Cina. Anticipiamo parte del testo scritto da per il catalogo.
Nel 1595 padre Matteo Ricci, il primo missionario al quale i cinesi avevano aperto le porte del Celeste Impero, li stupì con un´esibizione che egli stesso raccontò orgogliosamente in una lettera a Edoardo de Sande: «Essi scrissero molti ideogrammi, io li lessi una volta sola e riuscii poi a ripeterli tutti a memoria nell´ordine esatto in cui erano stati scritti. Rimasero tutti a bocca aperta, perché parve loro una grande impresa. E allora, per aumentare il loro stupore, io presi a recitarglieli tutti allo stesso modo, ma questa volta dalla fine al principio. E tutti furono entusiasti, e parevano fuori di sé dall´emozione».
Non si trattava ovviamente di un miracolo: la sua memoria prodigiosa era il frutto di una precisa tecnica appresa da studente al Collegio Romano, che consisteva nell´associare vivaci immagini visive alle cose e alle parole da ricordare, e nel disporle e conservarle in luoghi mentali dai quali potevano essere estratte a piacere.
È proprio questa tecnica che dà il titolo alla biografia Il palazzo della memoria di Matteo Ricci di Jonathan Spence (Saggiatore, 1987). Ed è ancora questa tecnica che lo stesso Ricci descrisse nel 1596 nel Trattato della memoria locale o Metodo mnemotecnico dei paesi occidentali (Xiguo jifa), a beneficio degli aspiranti mandarini che dovevano memorizzare i 600.000 caratteri dei cinque classici sui quali si basavano gli esami, e che ancor oggi si vedono incisi su una foresta di steli nel cortile del Collegio Imperiale a Pechino.
L´arte della memoria, alla quale Frances Yates ha dedicato un classico studio omonimo (L´Arte della Memoria, Einaudi, 1972), era non solo ben nota in Europa ai tempi di Ricci, ma anche oggetto di critiche feroci. Da un lato, era stata messa alla berlina da Rabelais in Gargantua e Pantagruele come un futile mezzo per ricordare tutto senza imparare niente. Dall´altro lato, Francesco Bacone l´aveva attaccata come un funambolico esibizionismo di tassonomie, invece che di classificazioni. A Ricci, comunque, essa offrì la possibilità di arrivare a padroneggiare velocemente e perfettamente il complicato sistema di scrittura dei caratteri, e di registrare in memoria una biblioteca che gli sarebbe stato impossibile trasportare fisicamente in Cina. A questo proposito egli scriverà a Girolamo Costa il 6 marzo 1608, ormai alla fine dei suoi giorni: «io mi trovo in tanto mancamento di libri, che il più delle cose che io stampo, sono quelle che ho nella memoria».
Il più delle cose, ma non tutte, perché qualche testo di matematica Ricci l´aveva portato con sé. Ma nel 1600, durante il suo viaggio di avvicinamento a Pechino, se li vide confiscare tutti perché, come egli stesso scrisse: «In Cina è proibito sotto pena di morte studiare matematica senza l´autorizzazione del re». I volumi gli furono restituiti fortunosamente nei primi giorni di gennaio del 1601, ed egli poté così dedicarsi fra l´altro a tradurre con il suo discepolo Xu Guangqi i primi sei libri degli Elementi di Euclide, che furono pubblicati nel 1607 con la seguente avvertenza: «Riguardo a questo libro, quattro cose sono inutili: dubitare, congetturare, verificare, modificare. E quattro cose sono impossibili: rimuovere qualche passaggio, refutarlo, accorciarlo o spostarlo altrove».

domenica 17 gennaio 2010

l’Unità 17.1.10
Vogliamo Emma
di Lidia Ravera

Dicono che gli uomini “fanno rete” e noi no. Che loro si scambiano favori, si promettono fedeltà, uno porta all’altro l’acqua con le orecchie, poi passa a riscuotere e l’altro gli ammolla il posto blindato sulla lista vincente, una consulenza, la direzione di qualcosa. Codice paterno o abito mafioso? Inutile provare a peggiorare, siamo diverse. Vogliamo Emma Bonino alla regione Lazio, perché è intelligente e competente. Antiretorica e appassionata. Antirazzista e cittadina del mondo. Laica e ben decisa a non leccare i piedi al Papa né adesso né mai. Ci piace perché non bamboleggia, non mignotteggia e non indietreggia. Ci piace perché ha retto 40 anni in politica senza diventare una replicante. Ha mantenuto la sua voce, il suo stile, le sue idee e le sue rughe. Ci piace perché non ci darà niente in cambio del nostro sostegno. E nemmeno lo vogliamo. Il codice materno è: gratuità.

Repubblica 17.1.10
Il debutto di Emma "Rappresenterò i cattolici ma senza farmi benedire"
Prima uscita pubblica all´Eliseo: "Governare bene è scontato, altro è metterci ideali"
di Alessandra Longo

ROMA - «La principessa, dov'è la principessa?». Marco Pannella si guarda intorno in cerca di Emma Bonino. Il teatro Eliseo di Roma è affollatissimo. È la prima uscita della candidata presidente della Regione Lazio per il centrosinistra (e da subito rassicurerà cattolici, dipietristi e rifondaroli). Eccola arrivare, la «principessa»: un po' in ritardo, affannata, giacca blu e felpa rossa, eccola infilarsi incredula e veloce nella sala gremita. Tutti in piedi, standing ovation. Per gli altri, i tanti rimasti fuori, maxi-schermo nel ridotto. Pannella la segue, un passo indietro. Con lui c'è lo psicanalista cult Massimo Fagioli, acceso sponsor di Emma e ormai in freddo con Bertinotti, dopo una bruciante passione («Ha puntato tutto su quel catto-comunista di Vendola...»).
Che ci fa qui la Bonino? È l´ospite d'onore che apre il dibattito politico-psichiatrico fra i due guru. Tema: «Il potere della non violenza». Un'iniziativa sulla carta da tempo, promossa da Quaderni Radicali, l'Asino d'oro editore e la rivista Left. Ovvio che la scesa in campo rivoluzioni l'agenda. Emma è in corsa, è lei la protagonista del giorno, ha appena incassato l'ok unanime del Pd laziale: «Una scelta che mi emoziona e responsabilizza. Ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra, quello cattolico e, in generale, il popolo italiano in questi anni». Messaggio ai «credenti», così li chiama lei. «Credenti con i quali – dice in un'intervista a Left – non ho mai avuto problemi. Le grandi battaglie civili di questo Paese sono state vinte anche col sostegno del mondo cattolico».
L'aspetta «un´impresa in salita» ma è convinta che sia possibile «un nuovo grande inizio». Anche con Di Pietro e Ferrero: «In qualche modo sanno perfettamente non cosa rappresento ma chi sono». E chi è allora Emma Bonino? Una che ci crede ancora: «Marco dice che le uniche cose concrete che fanno girare il mondo sono le idee. Spero di rappresentare le aspirazioni degli italiani che vogliono una politica più responsabile, più coerente, più onesta».
Sa benissimo le priorità del Lazio: «Sanità, trasporti, rifiuti». Ha in mente di portare, con la sua candidatura, il «valore aggiunto della trasparenza» negli appalti, nelle nomine, nei curriculum, ma si prende la sala per volare più alto: «Vedete, senza cultura non c'è buona politica. Si può sempre dar vita ad un buon consiglio di amministrazione, governare una Regione, un Paese. Ed è scontato che ogni ruolo vada coperto al meglio. Altra cosa, però, è immetterci idee e ideali. Ecco, questo vi chiedo: «Metteteci qualcosa di vostro, della vostra individualità in questa sfida». «Fagiolini» in delirio, applausi a scroscio, «Emma, facci sognare». A Ilaria Bonaccorsi, direttrice editoriale di Left, che le siede accanto sul palco, rivela la sua ultima, «appassionante» lettura: il libro del dissidente liberal iraniano Ramin Jahanbegloo, «Leggere Gandhi a Teheran». Le piace quando l'autore dice: «Non esistono scontri di civiltà ma solo scontri di intolleranze». Le piace «la società aperta» della moschea di Cordoba, «dove il venerdì pregavano i musulmani, il sabato gli ebrei, la domenica i cristiani». Nel primo giorno da candidata ufficiale, Emma sceglie di far capire quanto sia lontana dal cinismo della politica e anche da Renata Polverini, sua avversaria: «Abbiamo una visione diversa del mondo. Certo non chiamerò il prete a far benedire il mio comitato elettorale...».

Repubblica Roma 17.1.10
Bonino: "Le priorità? Sanità, trasporti e rifiuti"
Esordio all´Eliseo: e il teatro "si sdoppia" per accogliere tutti
"Un governo più trasparente, in cui siano pubblici i curriculum, gli appalti, le nomine"
di Chiara Righetti

«La sanità, i trasporti, i rifiuti». Al primo giorno da candidata ufficiale del centrosinistra, Emma Bonino ha già molto chiare le sue priorità per il governo del Lazio: «Sono quelle inscritte nella situazione della Regione, nelle emergenze che vediamo: il problema è come risolverle». Si ferma qui, poi ci ripensa e sottolinea: «Qualcosa da aggiungere c´è: un´amministrazione molto più trasparente. In cui tutto sia pubblico, i curriculum, le nomine e gli appalti: questa diversità può essere il nostro valore aggiunto». Tanto per chiarire subito quella che sarà una cifra distintiva della sua candidatura.
Del resto anche la prima uscita pubblica, la vicepresidente del Senato l´ha voluta nel suo stile. L´occasione è un dibattito sul "potere della non-violenza" con Marco Pannella e lo psichiatra-guru Massimo Fagioli. Evento per pochi che si trasforma in un´incoronazione, con una standing ovation e il teatro Eliseo stracolmo al punto che i tanti rimasti fuori vengono dirottati al Piccolo Eliseo, dove è stato allestito d´urgenza un maxischermo. Centinaia le persone che avvicinano Emma per manifestarle sostegno con grida d´incoraggiamento e strette di mano. Lei, da parte sua, assicura massimo impegno: «Mi ha emozionato la decisione dell´assemblea Pd». E lancia un messaggio agli elettori moderati: «Ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra, quello cattolico e in generale il popolo italiano in questi anni». E ancora: «Spero di rappresentare le aspirazioni di quanti vogliono una politica più responsabile, più coerente e più onesta. Forse sono parole antiche o desuete, ma a mio avviso possono ricompattare l´entusiasmo di un popolo».
Come vede la sua candidatura? «Una strada in salita, che però mi appassiona molto». E la sfidante? «Io e Renata Polverini abbiamo visioni del mondo certamente diverse. Qualunque sia il mio comitato elettorale, mi sembra difficile che chiamerò un prete a benedirlo». In assoluto, il confronto tra donne non l´appassiona: «Da qualunque altra parte sarebbe vissuto come normale. Da noi sembra così strano proprio per la condizione patetica in cui è tenuto il valore femminile nel nostro Paese. Da questo punto di vista spero sia un nuovo inizio».
Per allargare la coalizione a chi ancora ne è fuori (con Verdi e SeL l´intesa è già fatta) c´è massima disponibilità: «Con Ferrero c´è stato un incontro interlocutorio, ce ne sarà un altro e il mio messaggio è che un nuovo inizio è possibile, dipenderà in qualche modo da loro. Sia Di Pietro che Ferrero mi conoscono, sanno non tanto cosa rappresento, ma chi sono». E Paola Binetti, che ha definito la scelta di candidarla ««l´eutanasia di un partito» e, dopo aver annunciato l´intenzione di farle campagna elettorale contro, ora assicura che lascerà il Pd se lei dovesse vincere? Emma allarga le braccia e si limita a rispondere: «Ognuno...». Non prima però di aver rassicurato, piccata, chi teme che il suo profilo non sia abbastanza "popolare": «Non so se sono popolari i centri per gli immigrati o le carceri: quelli li frequento abitualmente».
Infine un appello ai valori: «Non c´è politica senza cultura, altrimenti è solo un consiglio d´amministrazione. Amministrare una Regione, un Paese mettendoci degli ideali dovrebbe essere scontato, ma da noi non è così. Credo sia questo che ci distingue, ed è quello che chiedo a tutti voi: di portare in questa campagna un pezzo della vostra individualità. Bisogna rimettere la persona al centro della vita e della politica».

Repubblica 17.1.10
Cattolici in politica
Il monito di Prodi a Bersani "Il Pd non è un partito centrista"
Il Professore da l'ok alla Bonino: "Nel Lazio può vincere"
di Marco Marozzi

Si sente necessità del cristianesimo sociale. I cattolici hanno perduto la propria missione perché i loro valori non sono stati tradotti in politica

MODENA - Benedice Emma Bonino nella sua corsa per il Lazio. «Come mio ministro è stata bravissima e leale, molto leale. E tale è rimasta dopo. Se c´è qualcuno che può vincere, è Emma». Con un avvertimento: «Deve però dimostrare di essere la sintesi di una coalizione, di essere capace di unire». Romano Prodi fino ad ora ha evitato "incursioni" nella gestione "bersaniana" del Pd. Ma al convegno per ricordare Ermanno Gorrieri non riesce a trattenersi. E da il suo placet alla "corsa" dell´esponente radicale nel Lazio.
Nello stesso tempo veste i panni del "padre nobile" e trasmette qualche raccomandazione ai democratici. A cominciare dal rapporto con l´Udc di Pier Ferdinando Casini: va bene l´alleanza ma non può essere a trazione "casiniana". Bisogna evitare omologazioni «centriste». I punti di riferimento devono rimanere i «valori» e il «fare». «Sono un testone: bisogna essere coerenti in politica e nell´etica». E in questo senso più che il centrismo sarebbe indispensabile l´impegno dei cattolici in politica: «Se ne sente la mancanza». Il Professore, dunque, accetta il ruolo di "saggio": «Il rischio vero è che persino un settantenne si senta giovane, con questi chiari di luna».
Nel palazzo modenese voluto da Gorrieri e da un sindaco comunista, Prodi evoca l´Ulivo e il Pd. In prima fila i dirigenti regionali democratici, il bersaniano Bonaccini e la franceschiniana Bastico, parlamentari, professori, cooperatori, il capo degli europarlamentari Pd, Sassoli.
Clima da cantiere, con Prodi che parla del rapporto fra comunisti e cattolici. «Gorrieri fu di un anticomunismo totale e intransigente reso diverso dal rapporto con la vita quotidiana. In Italia invece dopo la caduta del Muro si è aperta la grande stagione dell´anticomunismo globale». Come reagire? «Si sente tantissimo la necessità del cristianesimo sociale» dice l´ex premier. «I cattolici hanno perduto la propria missione all´interno degli schieramenti poiché i loro valori non sono stati tradotti in politica. Bisogna annunciare i valori e starci dentro. Senza un progetto hai perso. I valori non tradotti in conseguente azione politica sono solo enunciazione. E le enunciazioni in politica non contano niente. Non farle seguire da atti coerenti lascia spazio a qualsiasi aberrazione».
Il ragionamento ricade nel confronto in vista delle prossime regionali. «Il rapporto quotidiano fra il politico e la sua gente - avverte Prodi - è reso impossibile dall´attuale legge elettorale per il Parlamento». Per questo chiama ancora una volta il Pd a mobilitarsi contro il sistema a liste bloccate voluto da Berlusconi nel 2005. «Ha creato l´anonimato fra i parlamentari. Con conseguenze enormi, terribili. La perdita di rapporti fra rappresentato e rappresentante rende inutile, senza senso, parlare di federalismo, localismo, autonomia. La politica sarà sempre sottoposta al potere centrale se non risponde nel quotidiano alla propria gente».
Il senatore veltroniano Giorgio Tonini dice che l´ex premier durante il suo governo «teneva conto della complessità della baracca». «In alcuni momenti - commenta l´interessato - tenevo conto solo io di questa complessità». Una riflessione che adesso riguarda il nuovo partito. La distanza con il gesuita padre Bartolomeo Sorge, presente al convegno, è su questo nettissima. Il religioso cita Lorenzo Dellai, ex-Margherita ora con Rutelli, e delinea la creazione di un aggregazione centrista, con il Pd e Casini. «L´onorevole Sorge - commenta con una punta di ironia - ci ha parlato di un partito politico... di centro». «Gorrieri - avvisa Prodi, al centro e a sinistra - non è mai stato innamorato del blairismo e su questo siamo stati felicemente d´accordo». E rispetto a «sindacato, partito, autorità ecclesiastica» era «non ribelle ma testone». Luciano Guerzoni, presidente della Fondazione Gorrieri, lo blandisce: «Siete uguali». Prodi ride e ringrazia. «Testone è un termine emiliano. Se non sei così, è difficile nella vita politica di oggi essere coerenti, fedeli ad un´etica, ad una direzione».

l’Unità 17.1.10
Il carciofo allo iodio piatto forte di Emma
Nel testa a testa con la Polverini potrebbe essere fondamentale l’antica scelta antinucleare. Possibilista invece la candidata Pdl

La Bonino in modo netto contro le centrali. Quella foto di 20 anni fa

Una foto d’epoca quando dopo Chernobyl i radicali promossero i referendum contro il nucleare la ritrae con un carciofo in mano e un cartello: «Carciofo allo iodio». Adesso che si è candidata alla guida del Lazio, il no al piano nucleare del governo, alla centrale di Montalto di Castro e alle altre possibili localizzazioni che si prospettano nella regione, è stato uno dei primi temi, se non proprio il primo, che Emma Bonino ha lanciato in campagna elettorale. No alla localizzazione e no al metodo del «ve lo diciamo dopo». «Informare i cittadini è fondamentale», avverte Emma, che su questo terreno si è già spesa da vicepresidente del Senato e ora si prepara a dare battaglia alla sua avversaria, Renata Polverini. Che il tema sia ineludibile, in effetti, sembra averlo capito anche lei. Ma per il momento la sindacalista dell’Ugl si trincera dietro a un generico «va rivisto tutto, valuteremo con le comunità locali, alcuni siti individuati in passato sono molto cambiati». Senza ovviamente poter dire «no» al nucleare, uno dei punti su cui si salda la sua maggioranza, con o senza l’Udc. Per Emma, invece, i tempi del «non so, non sappiamo» sono finiti. «Abbiamo paura dell’ignoranza», recitava lo slogan dei radicali nel ’77: ma adesso «sul nucleare sappiamo tutto e anche che esistono delle alternative». Le ha indicate molto chiaramente la stessa Enea: «Efficienza energetica, energie alternative, ricerca». E su quelle Emma Bonino intende impostare il suo programma: «Anche perché sono soluzioni capaci di produrre molti posti di lavoro». La domanda piuttosto sul nucleare è: «Conviene davvero?». Al Sole 24 Ore, «quotidiano nuclearista», ha spiegato che no. «Non sono affetta dalla sindrome di Nimby, ma in Francia è stato un fiasco». E se vincerà, da presidente del Lazio, proverà a spiegarlo meglio anche al governo.

il manifesto 17.1.10
Lazio. Bonino inaugura la sua corsa
La strana partenza con il guru anti-gay
di Daniela Preziosi

ROMA Applausi alle stelle quando scende verso la platea, poi il teatro viene giù mentre si fa fotografare fra Marco Pannella e Massimo Fagioli, letteralmente messa in mezzo. Alla prima uscita da candidata presidente del centrosinistra (ufficialmente solo di radicali e Pd, la coalizione ancora non c'è, si aspetta la risposta di Prc e dell'ldv) Emma Bonino fa il pieno di folla al Teatro Eliseo ma sceglie un posticino ad alto rischio: l'abbraccio pericoloso con la platea osannante del professor. Massimo Fagioli, lo psichiatra romano dell'analisi collettiva» e della «teoria della realtà umana».
L'appuntamento nasce come dialogo pubblico sul «potere della nonviolenza» (anticipato da un bel numero monografico del bimestrale Quaderni Radicali, organizzatore dell’evento insieme al settimanale filofagiolino Lefi e alle fagioline edizioni L'asino d'oro). Si svolge alla maniera di una seduta di analisi collettiva. Dalle poltroncine partono domande con le parole d'ordinanza, «realtà umana», «identità» e «trasformazione», e sempre in bilico fra libera associazione e anacoluto. Rispondono lo psichiatra - un tempo teorico dell’omosessualità come malattia' oggi passato direttamente alla negazione («la pulsione omosessuale non esiste, è pulsione di annullamento. il desiderio è solo nel rapporto uomo-donna. ossia tra diversi e uguali») - e Marco Pannella. suo nuovo politico di riferimento. Con il precedente, Fausto Bertinotti dei tempi del Prc, ormai ha rotto, dice Fagioli. Ieri era giusto la prima occasione pubblica per spiegarne i motivi: Fausto. spiega lo psichiatra, «ha scoperto che in fondo al marxismo c'è la violenza ideologica» ma non ha saputo portare a conseguenza il ragionamento: si aspettava che il leader maturasse lo stesso suo sincero anticomunismo? Ma è acqua passata, il pubblico ormai se ne disinteressa ormai. La rottura è diventata definitiva quando, di fronte a un giornalista, allo psichiatra è sfuggito un giudizio spericolato su Nichi Vendola: «Non può essere contemporaneamente cattolico. omosessuale e comunista, è da curare». E Vendola: «Ha un pensiero melmoso, pruriginoso. È pieno di ossessioni, un omofobico, un anticattolico, un anziano che detesta i giovani». Fine della comunanza con i comunisti. E, coincidenza, fine anche di quel Prc eclettico che s' era invaghito di Fagioli. In mezzo ci sono anche questioni editoriali con la vecchia Liberazione, che aveva avuto qualche interesse nei suoi confronti, fino a che un editore di area aveva tentato di comprarla, ma questa sarebbe un'altra storia.
Che c'entrano i lib radicali, ma anche i post comunisti, con un oscurantismo del genere? C'è il fatto che agli uni e agli altri i fagiolini hanno dedicato applausi da curva, palchi prestigiosi, promesso e forse anche dato voti, in città si dice, pesino un paio di mille. Ieri al Teatro Eliseo erano la metà, con tanto di collegamento via schermo al civico accanto. Nel dopo-Bertinotti, Fagioli ha cominciato a riempire le platee dei congressi radicali, e a intervenire dal palco. Pannella prova gratitudine che chiama «ri-conoscenza», ma da navigato professionista della provocazione, spiega così: «Mi dicevano che Fagioli era il diavolo, che odiava i froci e le femministe. E mi sono detto: ci devo parlare». Fagioli invece è convinto di aver trovato la prassi della sua teoria psichiatrica. È disposto a riconoscere al leader radicale una primogenitura sulla scelta politica della nonviolenza, purché a sua volta Pannella gli riconosca l'intuizione della «realtà umana non violenta», scoperta antifreudiana («Freud era un imbecille» e «la sua teoria solo fregnacce»). In realtà la nonviolenza di derivazione gandhiana e la teoria di una presunta natura umana nonviolenta sono più che diverse, e a ben guardare neanche convergono. Ma sono dettagli, la platea si disinteressa anche di questo.
Invece si spella le mani quando sente che «l'irrazionalità è il genio» e la ragione è il male, o quando scopre là per là che «la sinistra non si deve occupare solo degli aumenti degli stipendi ma di promuovere cultura ovvero identità». Le ragazze quasi sempre in minigonna e si commuovono se dice che «donne emancipate in grado di realizzare la loro libertà fanno paura alla chiesa perché non sono madonne senza peccato», e «la sessualità umana non è solo biologica ma anche mentale».
Ma la candidata Bonino ormai è andata via e non può replicare - come senz'altro farebbe - che questo guardaroba era già vecchia negli anni 70. All'incontro Bonino è stata invitata in un secondo momento, quando è diventata «l'identità femminile» candidata. ma si è tenuta fuori dall'abbraccio psichiatrico. Arriva, incassa il «totale appoggio» di tutto l'ambaràm, svolge una bellissima riflessione sulla nonviolenza, conclude con un «ce la metterò tutta per rappresentare i valori e le passioni che tanto hanno segnato il popolo di sinistra e quello cattolico». Poi, già fuori dal teatro, spiega: «È banale dire che io la penso diversamente dal professar Fagioli su molte cose. Ma il tema di oggi era la nonviolenza, e ho preferito valorizzare quello che ci unisce». E se ne va. Lascia il compagno Pannella a imbrogliarsi nell'intreccio. E i militanti radicali a raccogliere firme.


il Fatto 17.1.10
Eutanasia di un partito
di Furio Colombo

La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, non solo la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta

Confesso che avrei voluto allargare l’orizzonte e riflettere con voi sul peggio (l’immenso dolore di Haiti) e sul meglio del mondo (navi, aerei, 10.000 soldati Usa partono per salvare donne e bambini dalle macerie, rovesciando le tipiche e tragiche sequenze delle vicende internazionali).
Ma, come voi, sono inchiavardato a un paese infelice, in cui il Male è Emma Bonino e il Bene (almeno secondo una disorientante visione di Paola Binetti) sarebbe l’esclusione della Bonino dal mondo politico. Tanto più che l’on. Binetti, prendendo atto della candidatura di Emma Bonino alla regione Lazio in rappresentanza Pd, ha detto una frase grave: “Questa è l’eutanasia di un partito”.
Verrebbe voglia di appartarsi un momento con questa signora colta e gentile per chiederle: “Dio chi?”. Voglio dire: come, quando, perché Dio ha deciso di rifiutare sempre e per sempre Emma Bonino? O meglio: quale Dio? In quali Scritture? Un chiarimento per i lettori, che a volte sembrano infastiditi dai troppi frequenti riferimenti amichevoli ai Radicali (ma non erano di destra?) quando provo a raccontare e commentare certi fatti della politica.
Guardate che io non sto parlando di Emma Bonino e della sua candidatura spontanea nel deserto di un’importante regione italiana, che è anche un simbolo perché qui c’è la Capitale.
Sto parlando del Pd che era in attesa, con ferma e dignitosa astensione da ogni iniziativa. Aspettava qualcuno da seguire, senza sapere e potere dire chi. E così da una parte arriva il miracolo – una persona estranea al Pd (ma non all’opposizione, non all’Italia pulita, non alle prove già date di buona, efficace politica), che però si è scelta da sola, sembra capace, interrompe la prolungata afasia del Pd ed è già al lavoro. Dall’altra arriva lo scisma. O la minaccia di scisma. O la minaccia di una minaccia, subordinata a condizioni strane, rovesciate, che ricordano alcuni passaggi del “Codice da Vinci”, cioè un thriller che racconta il mistero truccando le carte. Anche qui, nella solenne e drastica enunciazione della Binetti, c’è un trucco (o un rovesciamento logico, umano, politico, persino religioso) che lascerebbe increduli se non fosse pubblicato sul Corriere della Sera, p. 12, il 16 gennaio.
Dunque, in quell’articolo l’intervistatrice (Monica Guerzoni) domanda alla deputata Pd Paola Binetti: “Lascerà il Pd?”. La risposta è degna di essere riportata e ricordata. Anzi, su di essa il Pd dovrebbe aprire un convegno. “Lascerò il Pd se la leader radicale dovesse vincere le elezioni”.
Tratteniamo per un momento lo stupore (la frase è insensata dal punto di vista logico, assurda dal punto di vista politico, sconveniente quanto a minima lealtà al proprio club di appartenza). E cerchiamo di capire il senso del fenomeno a cui stiamo assistendo. Senza alcun giudizio su persona e valori della Bonino candidata, senza alcuna conoscenza del programma (che non è ancora stato presentato e discusso e che – comunque – non riguarda gli angeli e gli arcangeli, ma la regione Lazio), la deputata cattolica eletta nelle liste Pd dichiara che resterà fedele al suo partito solo in caso di sconfitta. Invece, se Emma Bonino – in questo momento la principale candidata Pd delle elezioni di marzo – vincerà le elezioni, umilierà il potente schieramento avversario, conquisterà la regione Lazio (un fatto che si presta a diventare subito notizia internazionale, come vincere la California o New York negli Usa) – se restituirà fiducia e speranza a tutto il centrosinistra, la deputata Pd Binetti sarà costretta ad andarsene. Lealmente, spiega a fine intervista che, per evitare un simile evento, da subito farà campagna contro la Bonino, dunque contro il Pd e la concreta possibilità di vittoria del suo partito che adesso, nel Lazio, potrebbe tornare in vita, dopo – e nonostante – il triste caso Marrazzo.
Niente di teologico in tutto ciò, e neppure quel tipo di dissenso (ogni dissenso) che giova sempre ai partiti.
La Binetti ci annuncia, come condizione per restare nel Partito democratico, la sconfitta del suo stesso partito, ma promette anche un ruolo attivo per ottenere la desiderata sconfitta. Un atto d’amore capovolto, se volete, simile al gesto di chi uccide la persona amata perché non sia mai di altri. Qualcosa non va. E la Binetti, medico e psichiatra, dovrebbe saperlo. Dovrebbero saperlo anche i leader del Pd, parlandone da vivi.

il Fatto 17.1.10
Il Pd è cattolico nonostante la Bonino

In riferimento alla candidatura della Bonino si parla della cosidetta fuga dei cattolici dal Partito democratico. La Binetti, per esempio, ha annunciato che se Emma dovesse vincere lei lascerebbe il partito. È un argomento molto di moda, quello della perdita dei voti dei cattolici. Anche nel Pd ne parlano spesso. Perché invece non parlano mai dei milioni di ex elettori del Pd non cattolici o laici che non votano più per questo partito perché si sentono traditi? Non si preoccupano affatto di perdere i nostri voti. Il Pd si è comportato in maniera vergognosa su tutte le vicende importanti, sui diritti civili, sui Pacs, non ha detto una parola per avallare l’uso in Italia della pillola abortiva. Il Pd sta confermando sempre più che non solo non ha nessuna intenzione di andare mai al governo, ma non vuole nemmeno fare l’opposizione!
Giulio
l’Unità 17.1.10
Rosarno, Italia
di Luigi De Magistris

A Bruxelles si è discusso di quello che è accaduto a Rosarno, in Calabria, in Italia. Proprio così, in Italia. Tutti allibiti. Rosarno è una cittadina della piana di Gioia Tauro in cui ferreo è il controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta. In quest’area profonde sono le collusioni della criminalità organizzata nelle amministrazioni pubbliche, impressionante la sua capacità economica. Non è solo una mafia capace di sviluppare un’enorme capacità militare, ma anche mafia imprenditrice, che fa politica, che governa. Nella piana vi sono migliaia di immigrati che vivono in condizioni disumane, considerati rifiuti sociali, non-persone da un governo che pratica politiche xenofobe e razziste. Dimorano in baracche, lavorano la terra per pochi spiccioli, coltivano latifondi controllati dalla criminalità organizzata, senza diritti, ma con gli obblighi dei nuovi schiavi. Una realtà che la società opulenta non vuole vedere e che accetta come effetto collaterale di un capitalismo senza regole, dimenticando che italiani all’estero hanno subito nel passato medesime condizioni. Accade che un giorno d’inverno, in periodo di campagna elettorale, pochi giorni dopo le intimidazioni alla magistratura reggina, la criminalità organizzata apre il fuoco, comincia a sparare verso gli schiavi, contro coloro che procurano ricchezza ai loro padroni. Il Governo sapeva, ma scopre oggi Rosarno, come si ricorda della Calabria dopo Fortugno. Se ti sparano, magari perché hai chiesto dignità, reagisci, è umano anche per uno schiavo. Gli immigrati protestano: per paura, per far sentire che esistono, per rabbia, perché la dignità la conservano anche loro. A questo punto interviene il Ministro dell’interno Maroni, esponente di quell’area politica xenofoba e razzista che istiga all’odio nei confronti degli immigrati. Quello stesso Ministro che delegittima le forze dell’ordine privatizzando la sicurezza con le ronde che magari gestiranno, con infiltrazioni delle cosche, le future ribellioni. E’ quello stesso Governo che non dà risorse e mezzi alle forze dell’ordine rendendo impossibile il controllo del territorio. Un Governo celere, però, nell’approvare leggi che favoriscono il crimine organizzato. Un Governo impegnato ad ostacolare servitori dello Stato che contrastano il crimine organizzato, anche quello dei colletti bianchi che è linfa vitale di un sistema criminale che piega la democrazia. Che fa il Governo a Rosarno? Per garantire sicurezza deporta gli immigrati. La ’ndrangheta spara ai migranti e gli spezza le ossa con le spranghe. Il Governo interviene e seda la rivolta portando via gli schiavi. Dopo le collusioni tra pezzi delle istituzioni e criminalità organizzata nella gestione della spesa pubblica in Calabria, si registrano anche convergenze parallele tra la ‘ndrangheta e il governo nei confronti dei migranti. Solo coincidenze, ovviamente. Non prendetevela, però, con il popolo calabrese. È un popolo che sa includere, che accoglie, che ha umanità. Ha nel sangue l’accoglienza dei più bisognosi. A Rosarno la legge l’ha dettata la ‘ndrangheta ed un Governo incapace di dare risposte degne di un Paese civile. Solo coincidenze, ovviamente.

l’Unità 17.1.10
L’Italia li respinge, la Libia li tortura. Il silenzio del governo
di Umberto De Giovannangeli

Dal 3 marzo 2004 Palazzo Chigi sa cosa avviene nei centri di detenzione per migranti. Grazie a una relazione della Protezione civile, denuncia l’Espresso

Il ricorso di 84 migranti. Arrivati a Lampedusa nel 2005 sono stati rimandati a Tripoli
28 centri di detenzione. La denuncia di Fortress Europa: carceri, campi, centri di racolta...

Quei morti nel deserto non sono le vittime di una catastrofe naturale. Quella tragica fine di immigrati espulsi dalla Libia non è imputabile a un destino cinico e baro. Perché non c’è nulla di «naturale» nella fuga disperata dai centri-lager libici di quell’umanità sofferente. Un’umanità senza diritti. Un’umanità sacrificata sull’altare degli Affari dall’accordo di Cooperazione Italia-Libia siglato da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi. L’Unità ha, prima di chiunque altro, documentato questa tragedia «innaturale» con il prezioso contributo delle più importanti e autorevoli agenzie impegnate nella difesa dei diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, da Nessuno Tocchi Caino all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
L’Unità ha sempre accompagnato questa corposa documentazione, con una domanda, reiterata, al Governo italiano, in particolare al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al ministro degli Esteri Franco Frattini: come è possibile non aver tenuto in conto questi rapporti, queste testimonianze, queste denunce nel definire i contenuti dell’Accordo di cooperazione Italia-Libia? Una domanda rimasta senza risposta.
Un silenzio assordante. Come quello che ha accompagnato la rivelazione contenuta nell’ultimo numero del settimanale L’espresso in un articolo di Fabrizio Gatti. L’articolo racconta con il supporto di un video sconvolgente, registrato nel deserto del Sahara della tragica fine di donne e uomini, provenienti in maggioranza dall’Africa subsahariana, espulsi dal regime del Colonnello Gheddafi. Bloccati in Libia denuncia Gatti dall’accordo Roma-Tripoli e riconsegnati al deserto. Condannati ad una fine atroce. I rapporti delle agenzie umanitarie avevano documentato gli abusi, i maltrattamenti subiti dagli immigrati bloccati in Libia. Evidentemente queste denunce circostanziate non sono state ritenute credibili dal Presidente del Consiglio e dal suo governo. Ma la rivelazione de L’espresso inchioda Palazzo Chigi. Palazzo Chigi sa ufficialmente dal 3 marzo 2004 che cosa siano realmente i centri di «accoglienza» predisposti da Tripoli.
3 marzo: la data stampata su un rapporto riservato della presidenza del Consiglio. Gatti ne rivela il contenuto. Si tratta della relazione consegnata ai collaboratori del Cavaliere dopo la visita nel Sahara della delegazione della Protezione civile che deve progettare la costruzione dei centri di detenzione libici. Quel documento dà conto della conoscenza daparte della delegazione della Protezione civile, di quale sia il trattamento riservato dai libici ai cittadini extracomunitari, «di cui si allega documentazione fotografica». Il Cavaliere sapeva. Il suo staff era stato informato direttamente da una delegazione ufficiale, governativa. Quel documento non ha avuto seguito. Palazzo Chigi e la Farnesina non hanno smentito le rivelazioni de l’Espresso.
Gheddafi continua ad essere un interlocutore privilegiato per Berlusconi. Da ricevere come «amico personale» e illuminato statista. Un idillio che non deve essere scalfito da documenti scomodi, inquietanti. Le vessazioni perpetrate nei centri di detenzione libici non dovevano mettere in discussione i contratti miliardari. L’importante, oltre fare affari, è respingere gli immigrati che cercano di raggiungere le coste italiane. A occuparsene è la giustizia internazionale.
È approdato a Strasburgo, per l'esattezza alla Corte europea dei diritti dell'uomo, il caso di 84 immigrati (palestinesi, algerini, giordani, marocchini e tunisini) arrivati a Lampedusa nel 2005 e poi espulsi verso la Libia lo stesso anno dal governo italiano (guidato da Berlusconi). I ricorrenti sostengono che espellendoli l'Italia ha violato il loro diritto alla vita e a non essere sottoposti a tortura o trattamenti inumani e degradanti. Nel ricorso gli immigrati sostengono che non è stata data loro un'adeguata possibilità per ricorrere contro l’espulsione e che sono stati intralciati nel presentare il loro appello alla Corte di Strasburgo. I giudici, nel dichiarare ammissibile il ricorso nel 2006, avevano sottolineato che in quel momento non potevano pronunciarsi anche sul merito, alla luce della necessità di condurre un esame approfondito delle questioni sollevate. La sentenza della Corte è attesa martedì.
Sulla base delle testimonianze raccolte in questi anni, l'osservatorio Fortress Europe ha contato 28 centri di detenzione di immigrati. perlopiù concentrati sulla costa. Ne esistono di tre tipi. Ci sono dei veri e propri centri di raccolta, come quelli di Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah e Misratah, dove vengono concentrati i migranti e i rifugiati arrestati durante le retate o alla frontiera. Poi ci sono strutture più piccole, come quelle di Qatrun, Brak, Shati, Ghat, Khums dove gli stranieri sono detenuti per un breve periodo prima di essere inviati nei centri di raccolta.
E poi ci sono le prigioni: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah, prigioni comuni, nelle quali intere sezioni sono dedicate alla detenzione degli stranieri senza documenti. Una detenzione segnata da abusi e violenze.

l’Unità 17.1.10
Aumenti ai prof di religione. Schiaffo ai precari della scuola
Una circolare del Tesoro di fine dicembre consente di calcolare gli scatti di anzianità anche sull’indennità integrativa speciale. Da maggio i prof di religione prenderanno di più e recupereranno il pregresso
di Bianca Di Giovanni

Per i docenti anche fuori ruolo, gli scatti di anzianità andranno calcolati anche sull’indennità
Il personale delle altre materie non ha scatti, e i precari percepiscono solo lo stipendio base
Numeri. Circa 25mila i prof di religione di cui 12mila con incarico annuale

Buste paga più ricche per i prof di religione. Il ministero dell'Economia lo scorso 28 dicembre ha, infatti, emanato una nota che riguarda la procedura di calcolo degli aumenti biennali per gli insegnanti di religione e stabilisce che questi incrementi i quali prima venivano calcolati nella misura del 2,5% del solo stipendio base dovranno ora
ammontare al 2,5% dello stipendio base comprensivo della indennità integrativa speciale. Non un dettaglio: quella quota può raggiungere un terzo dello stipendio. «Adesso dunque spiega lo Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione dal primo maggio 2010 le direzioni provinciali del Tesoro dovranno procedere al pagamento degli arretrati. Dal pagamento saranno esclusi i docenti ai quali il mancato inserimento dell'indennità nel calcolo degli aumenti biennali era stato compensato, già a partire dal 2003, con un assegno ad personam». Critica l'Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione) secondo cui questa concessione a una ristretta cerchia di docenti dimostrerebbe che «ancora una volta il governo dimentica i precari della scuola». In effetti la circolare, emanata alla chetichella nell’ultimo giorno utile dell’anno, rinnova un conflitto già aspro all’interno del corpo insegnate. Una diversità di trattamento che risale almeno al 2003, quando sempre il governo di centrodestra varò l’immissione in ruolo dei docenti «selezionati» dalle Curie.
PLATEA
Il provvedimento del dicembre scorso riguarda tutti i circa 25mila insegnanti di religione impegnati su territorio nazionale. Sia quelli di ruolo, sia i precari (circa 12mila), che così incassano un doppio vantaggio rispetto agli altri. Gli insegnanti di ruolo di altre materie, infatti, non hanno scatti biennali di anzianità (quelli di religione li mantengono dal vecchio regime, quando erano tutti fuo-ri ruolo), mentre i precari godono solo dello stipendio base: solo al momento dell’ingresso in ruolo avviene la ricostruzione retroattiva di scatti e quindi aumenti. Su questo si è concentrata la battaglia della Cgil scuola, che chiede per tutti la ricostruzione di carriera.
PRIVILEGI
L’ultima decisione, dunque, è una vera beffa per chi chiede equità di trattamento. Un passo che si aggiunge a una lunga serie di privilegi: accesso alla cattedra su segnalazione dell'ordinario diocesano, assunzione sulla base di un successivo concorso riservato, passaggio ad altra cattedra in caso di perdita del requisito per insegnare la religione (l'attestato dell'ordinario diocesano) e scatti biennali anche per i precari. «Mentre il ministro Tremonti a dicembre ricorda alla Curia che presto saranno liquidati gli scatti biennali di anzianità al personale docente di religione con incarico annuale o di ruolo, che non ha mai richiesto tale indennità sotto forma di assegno ad personam, permane, purtroppo, il silenzio verso tutto il restante personale precario», dichiara Marcello Pacifico, presidente dell'Anief (l'Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione).
SOLDI E AUMENTI
Secondo alcuni calcoli effettuati dai sindacati l’aumento potrebbe valere 220 euro in più in busta paga, arretrati esclusi. Per il rinnovo del contratto degli insegnanti, invece, i sindacati hanno chiesto un aumento di 200 euro mensili da erogarsi in tre anni, ma il ministro della Pubblica amministrazione è disposto a concederne appena 20. E non solo. Vorrebbe agganciare gli aumenti di stipendio dei docenti al merito.

Repubblica 17.1.10
Via libera di Tremonti: 220 euro al mese. Protestano gli altri precari
Scuola, aumenti ai professori ma solo a quelli di religione
di Salvo Intravaia

Busta paga più ricca per i prof di religione
Il ministero dell’Economia vara un provvedimento ad hoc. Ed è polemica: dimenticati gli altri precari
Si parla di aumenti mensili di 220 euro lordi per 26mila docenti di ruolo e supplenti

«A seguito degli approfondimenti effettuati in merito, si comunica che questa direzione - scrive Roberta Lotti, dirigente del ministero dell´Economia preposta ai Servizi informativi - ha programmato, sulla mensilità di maggio 2010, le necessarie implementazioni per il calcolo degli aumenti biennali spettanti agli insegnanti di religione anche sulla voce IIS (l´indennità integrativa speciale, ndr) a decorrere dal 1 gennaio 2003». Fra 5 mesi, in poche parole, alcune migliaia di insegnanti di Religione si ritroveranno sullo stipendio aumento, che secondo stime sindacali, potrebbe arrivare a 220 euro lordi, ed arretrati: da mille a 2 mila euro. Perché la quota di stipendio rimasta fuori in questi anni dal computo è consistente: pari a un quarto dell´intera retribuzione. A beneficiare del provvedimento saranno alcune migliaia di insegnanti. I supplenti annuali, spiega lo Snadir (il Sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di Religione), "che non abbiano maturato i requisiti per la ricostruzione di carriera", quelli di ruolo "che non avevano maturato il diritto alla ricostruzione di carriera prima della nomina a tempo indeterminato", e coloro che tale diritto lo hanno maturato "successivamente al primo gennaio 2003". Se fossero soltanto 5 mila il giochetto costerebbe ai contribuenti 10 milioni di euro, più tutti gli arretrati. In tutto, i precari di Religione sono quasi 12 mila, più 14 mila docenti di Religione di ruolo. E la restante parte dei supplenti, oltre 100 mila? Nulla, anche se precari da dieci o vent´anni. «È un provvedimento che provoca ingiustizia e discrimina lavoratori della stessa categoria, per questa ragione è incostituzionale», commenta Alessandra Siragusa (Pd), componente della commissione Cultura alla Camera. «Nulla in contrario al riconoscimento - aggiunge il collega Tonino Russo (Pd) - di un diritto, ma non si può fare una discriminazione sulla base della Religione. Anche tanti precari in cattedra ogni giorno professano la stessa religione ed avrebbero diritto agli aumenti di stipendio». La querelle nasce dal fatto che per i prof di Religione, anche precari, una legge del 1980 prevede scatti biennali del 2,5 per cento. Ma a quel tempo erano tutti precari i docenti di Religione e la norma serviva ad agganciare la retribuzione all´aumento del costo della vita. Poi, nel 2005, lo Stato ha immesso in ruolo i docenti di Religione, ma il privilegio è rimasto.

l’Unità 17.1.10
Nanerottoli
Grati a Basaglia
di Toni Jop

Si incrociano le storie nella storia. Esce un film tv sulla vita e l’esperienza di liberazione di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha promosso la chiusura dei manicomi. In questi giorni si celebra il centenario di Mario Tobino, egregio scrittore e, in particolare, psichiatra innamorato delle Antiche Scale del dolore custodite dai manicomi. Non che ne amasse la coercizione, immaginava solo che si potessero rendere più umani, discreti, accoglienti. E qui conviene prendere atto che non è vero che niente cambia, che vincono sempre i peggiori, alla faccia della dura lezione che questi tempi pretendono di impartire alle nostre ansie. Infatti, Tobino ha perso la sua battaglia, e, virtù della rima, ha vinto Basaglia: i manicomi sono stati chiusi per legge, ed è stata respinta al mittente e alla sua triste poetica l’idea che quegli orrori si potessero imbellettare con mazzolini di fiori. Così, eccoci grati verso Basaglia e quell’Italia per i quali proviamo nostalgia mentre non ci manca per niente, cucù, Tobino.