giovedì 21 gennaio 2010

Repubblica 21.1.10
Intervista con Massimo Recalcati
Così l’uomo ha perso l’inconscio
di Luciana Sica

Intervista con Massimo Recalcati autore di un libro provocatorio: "La nostra epoca minaccia l´intimità del soggetto. L´eccesso di stimolazioni uccide il desiderio"
"Assistiamo a una metamorfosi inquietante che ci impone il godimento"
"Quel ‘luogo´ non è un dato di natura: dobbiamo farlo esistere anche rischiando"

Un requiem per l´inconscio. È quello che intona Massimo Recalcati in un libro sorprendente, originalissimo, decisamente provocatorio. Cinquantenne fascinoso, si sente a suo agio nel ruolo di battitore libero: è un antiaccademico ma insegna all´università di Pavia, è un analista lacaniano ma assolutamente leggibile (quasi un ossimoro). Tutti i suoi saggi vantano questa cifra rarissima: argomenti solidi e mai scontati, nessun collage di citazioni roboanti e noiosissime, scrittura brillante e tutt´altro che banale. Ora questo suo nuovo libro, in uscita da Cortina, lo celebra come testa pensante della psicoanalisi contemporanea: L´uomo senza inconscio, si chiama titolo folgorante, di per sé destinato a far discutere (pagg. 336, euro 26).
«A mio giudizio, è un grave errore non contemplare la possibilità disastrosa che il soggetto dell´inconscio possa declinare, eclissarsi, persino estinguersi», si legge nelle primissime righe. In questa nuova mutazione antropologica c´è aria da thriller, e allora viene voglia di parlarne con l´autore, nel suo studio all´ultimo piano di un palazzo al centro di Milano.
Professore, chi è il killer dell´inconscio?
«È il nostro tempo che minaccia l´intimità più radicale e scabrosa del soggetto: è l´epoca dei turboconsumatori, dell´inebetimento maniacale, della gadgettizzazione della vita, della burocrazia robotizzata, del culto narcisistico dell´Io, dell´estasi della prestazione, della spinta compulsiva al godimento immediato come nuovo comandamento assoluto. L´inconscio è invece il luogo della verità, del desiderio più particolare, impossibile da redimere e da adattare "dal carattere indistruttibile", per dirla con Freud. Non è però un dato di natura, qualcosa che esiste in quanto tale, come un´espressione ontologica della realtà umana immune dalle trasformazioni sociali».
L´inconscio ha una sua valenza etica, lei dice con Lacan.
«Sì, è qualcosa che dobbiamo assumere, far esistere. Esige rigore, perseveranza, ma anche disponibilità a perdersi, a incontrare il caos, l´imprevisto. Soprattutto la capacità di esporsi al rischio della solitudine e del conflitto... Per la psicoanalisi è proprio questo l´infelicità: è tradire il programma inconscio del desiderio, quando non è solo mascherato ma soppresso da un funzionamento dell´Io che si modella unicamente sulle attese degli altri».
Perché la Civiltà ipermoderna è così antagonista a quello che lei definisce "il soggetto dell´inconscio"?
«Perché, come si esprimeva Heidegger riprendendo Nietzsche, "il deserto cresce" e il mondo si riduce a mero calcolabile. È il trionfo della misura a sostituire la questione della verità contrastando l´esperienza dell´incommensurabile. Il nostro tempo è sordo al tempo "lungo" del pensiero, maniacalizza l´esistenza con un eccesso di stimolazioni e oggetti di consumo, cancella la spinta singolare del desiderio in nome di un iperedonismo ben integrato al sistema, dell´affermazione entusiasta e disincantata dell´homo felix».
Scompare il vecchio Super-io, col suo carico insopportabile di sensi colpa, e quel che conta è l´imperativo al godimento illimitato. Si può dire così?
«Non proprio. Più che a un´abrogazione del Super-io sociale freudiano di tipo kantiano, oggi assistiamo a una metamorfosi inquietante nel senso che il comandamento sociale prevalente non impone la rinuncia al piacere immediato, in nome dell´inclusione nella morale civile, ma al contrario impone il godimento come forma inaudita del dover essere, come obbligazione. Sullo sfondo c´è quello che, già alla fine degli anni Sessanta, Lacan definiva l´evaporazione del Padre, inteso come principio fondativo della famiglia e del corpo sociale. Senza l´ombrello protettivo del Padre, l´insicurezza emerge senza più schermi difensivi: la vita va alla deriva, caotica, spaesata, priva di punti di riferimento, destabilizzata, smarrita, vulnerabile».
Devi godere! è questo il nuovo imperativo categorico?
«Sì, ma il godimento si dissocia, si sgancia dal desiderio e si afferma come volontà tirannica in una dissipazione sadiana, nociva, maledetta. Èuna sregolazione dove non c´è nessuno scambio con l´Altro non c´è Eros, che in psicoanalisi rappresenta il legame fondamentale tra gli esseri umani. Qui prevale Thanatos, una pulsione nel segno dell´autoaggressione e della potenza oscura della ripetizione che appunto attenta la vita, la porta alla distruzione e solleva lo scandalo della tendenza degli esseri umani a perseguire il proprio Male».
Leggendo le sue pagine, non c´è però soltanto quello che lei definisce lo strapotere dell´Es. C´è anche una soppressione conformistica del desiderio, l´aderenza assoluta del soggetto alla maschera sociale. Ma davvero potrà esserci un Io senza inconscio?
«Molte forme che oggi assume la sofferenza hanno interrotto ogni contatto con l´inconscio. La nostra non è solo la società dei legami liquidi, come dice Bauman, dello sbriciolamento dei legami sociali, dell´assenza dei confini simbolici che facevano da bussola nei percorsi della vita. La nostra è anche l´epoca delle identificazioni solide, dell´eccesso di alienazione, di integrazione, di assimilazione conformista. Il soggetto non mostra alcun desiderio, si ancora al mondo esterno fino a perdere ogni contatto con se stesso, si annulla attraverso il rafforzamento narcisistico. Al posto del conflitto freudiano tra principio di piacere e principio di realtà s´impone un culto sociale che incalza la soggettività come un inedito dover essere».
È l´estasi della prestazione, un´immagine di segno mistico. Sembra un paradosso.
«Solo all´apparenza. Perché nel rafforzamento della volontà e dell´efficacia pratica, la prestazione si declina essenzialmente come un principio di godimento e non come un principio morale di sacrificio del godimento. È l´uomo della burocrazia anonima che prende il posto dell´uomo freudiano».
"Figure della nuova clinica psicoanalitica" è il sottotitolo del suo nuovo libro. Disordini alimentari, dipendenze dalle sostanze, depressioni, attacchi di panico, somatizzazioni: sono tutte patologie che confermano la progressiva abrogazione dell´inconscio?
«Sì, vanno in questa direzione e rappresentano il tratto decisivo del totalitarismo ipermoderno. Io ne parlo come di una clinica dell´antiamore, utilizzando il riferimento alla psicosi piuttosto che alla nevrosi. È infatti la difesa dall´angoscia, la vera chiave di lettura del disagio contemporaneo».
Clinica dell´antiamore, bella espressione: che vuol dire?
«Nella varietà delle sue forme nevrotiche, la clinica è essenzialmente legata alle vicissitudini sentimentali. Per le donne è la ricerca dell´uomo che può farle sentire uniche, per gli uomini è l´eterno conflitto tra possederle tutte o averne una sola due fantasmi inconciliabili, com´è evidente. La nevrosi è malattia dell´amore, paura della perdita, tradimento, gelosia... Oggi però prevale il problema di trovare dei rimedi all´angoscia di esistere, e qui la nostra cura può dare prove della sua forza».
Missione possibile, ne è proprio certo?
«Solo se è chiara la posta in gioco. Per non essere ridotta a una superstizione arcaica, la psicoanalisi ha l´obbligo di ritrovare pienamente la ragione che fonda la sua pratica, diventando uno dei luoghi di resistenza a una mutazione devastante e però non ancora del tutto compiuta. Oggi il suo compito etico è quello di promuovere la singolarità irriducibile degli esseri umani contro quelle cure egemoni chi si limitano ad "aggiustarli"».

Freud e la cultura contemporanea
ROMA "Freud, ancora e sempre. Che cosa la cultura di oggi deve al padre della psicoanalisi". È il titolo di un incontro, domani a Roma, a settant´anni dalla morte di Freud (23 settembre del ´39). Ne parlano Simona Argentieri, Stefano Bolognini, Renata Colorni e Alberto Oliverio (coordina Anna Oliverio Ferraris). L´appuntamento organizzato dalla Bollati Boringhieri è alle tre del pomeriggio presso la facoltà di Psicologia in via dei Marsi, 78 (terzo piano, aula 13).

il Fatto 21.1.10
Marx 2.0: il ritorno
di Stefano Feltri

U na volta può essere una bizzarria, due una coincidenza, ma tre episodi
fanno una prova: Karl Marx è tornato a fornire un’interpretazione della finanza dopo l’autodafé delle opere ultraliberiste di Alan Greenspan e Milton Friedman. Prima il libro di Vladimiro Giacché, partner del fondo Sator di Matteo Arpe, “Il capitalismo e la crisi” (Derive e approdi editore): una selezione di scritti marxiani preceduta da una lunga introduzione che spiega come – marxianamente – la crisi non sia un incidente di percorso del capitalismo, ma un suo elemento imprescindibile che serve a risolvere gli squilibri dovuti a un accumulo di eccesso di capacità produttiva, all’eccesso strutturale di credito e al doppio ruolo delle merci (valore d’uso-valore di scambio). Poi esce lo studio di una serissima banca d’affari francese come Natixis che propone “A Marxist interpretation of the crisis”. Sulla base dell’andamento dell’economia reale e soprattutto dell’economia monetaria, questo studio appena uscito arriva alla conclusione che è plausibile proporre un’analisi marxiana (o almeno marxista) di quello che è successo: tutto comincia con un eccesso di accumulazione di capitali, continua con un boom della speculazione accompagnato dalla compressione degli stipendi dei lavoratori e finisce in una crisi finanziaria: “L’euforia dei business leader porta a un eccesso di accumulazione di capitale che a sua volta determina un declino del saggio di profitto se le compagnie non reagiscono comprimendo i salari e quindi una riduzione dei consumi” che trasferisce la crisi all’economia reale. Terza prova del ritorno di Marx: il Sole 24 Ore inizia a pubblicare in allegato al giornale i grandi classici dell’economia. Si comincia con Adam Smith e David Ricardo ma presto si arriverà a Marx in tre volumi. Vedremo chi venderà di più tra il teorico degli animal spirits e il barbuto filosofo di Treviri.

il Fatto 21.1.10
Costituzione, diritti e libertà
di Lorenza Carlassare

La Costituzione non soltanto tutela la persona dagli arresti arbitrari e da ogni altro intervento limitativo, ma le assicura anche una sfera libera intorno: nei luoghi in cui dimora (art. 14), nelle relazioni con gli altri (art. 15), nei movimenti (art. 16). L’art. 14 proclama “Il domicilio è inviolabile“, vietando “ispezioni perquisizioni o sequestri se non nei casi e modi previsti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la libertà personale” . La garanzia è la stessa assicurata dall’art. 13 per la libertà personale: le limitazioni sono consentite soltanto se previste da un atto legislativo del Parlamento (e non da un atto normativo del governo) e disposte con atto motivato di un magistrato (non di un’autorità amministrativa o di polizia). Lo schema di tutela delle libertà è costante: “Riserva di legge” e “riserva di giurisdizione”; qui però subisce un’attenuazione in nome di un interesse pubblico preminente: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica, o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali” (comma 3). L’importante è che non se ne abusi a fini repressivi (penso alle norme che consentono perquisizioni per “blocchi” di edifici, davvero discutibili); l’art. 14 è in qualche modo un allargamento della libertà personale alla sfera più prossima alla persona, inviolabile al pari di questa. La tutela non riguarda solo l’abitazione, ma comprende i luoghi in cui la persona dimora o svolge la sua attività (purché chiusi e non aperti al pubblico). Lo studio professionale, ad esempio, la camera d’albergo, l’automobile o il mezzo di trasporto quando serve a scopi diversi dal trasporto stesso: la cabina del camion dove il camionista riposa, la barca per il navigatore (anche occasionale), il camper o l’autovettura per chi temporaneamente vi abita. Un concetto molto ampio, dunque, quello di domicilio, considerato la “proiezione spaziale” della persona: ricca e varia è la giurisprudenza in proposito.
L’art. 14 si colloca in una più ampia dimensione riguardante in generale la tutela da ingerenze esterne, il diritto alla “riservatezza”: da qualche tempo si è affermato il concetto di “domicilio informatico” e di “riservatezza informatica” (protetta art. 615 ter, Codice penale, introdotto nel 1993). Ma la difesa della privacy ha un largo campo di applicazione e traversa situazioni tutelate da diverse norme costituzionali, in primo luogo dall’art. 15 “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Intorno alla persona si costruisce una rete di tutela che comprende la sfera spaziale e anche la sfera delle relazioni con gli altri. Di questa sfera si occupa l’art. 15, inviolabile anch’essa e nelle consuete forme tutelata: ma la garanzia, qui, è la più forte. Il comma 2 riprende la formula consueta – “La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” – ribadendo la competenza della “legge” e la necessità dell’atto motivato di un giudice.
La Carta non soltanto tutela la persona dagli arresti arbitrari, ma le assicura anche una sfera libera intorno: nei luoghi in cui dimora (art. 14), nelle relazioni con gli altri (art. 15), nei movimenti (art. 16)
Ma, a differenza di quanto stabilito per le altre libertà, la “riserva di giurisdizione” è invalicabile. Mai è consentita, nemmeno in situazioni eccezionali, la sostituzione provvisoria dell’autorità di pubblica sicurezza al giudice: solo il magistrato, e nessun altro, può interferire. L’art. 15 tutela non soltanto la libertà, ma anche la segretezza di ogni forma di comunicazione personale che, oltre al mittente, riguarda i destinatari della corrispondenza e, dunque la loro riservatezza è egualmente in gioco. Purché la forma sia davvero riservata (un telegramma, ad esempio, non lo è) la segretezza della corrispondenza, toccando la sfera personalissima e più intima della persona, non può dunque essere violata. Soltanto ragioni forti e inderogabili, collegate alla necessità di tutelare interessi costituzionalmente rilevanti come prevenire e reprimere i reati, possono legittimare restrizioni alla libertà di comunicazione. E il provvedimento del giudice deve avere una specifica e adeguata motivazione, diretta a dimostrare l’esistenza in concreto di esigenze istruttorie: varie sentenze della Corte costituzionale lo confermano. Rispettando la riserva di legge e la riserva di giurisdizione è possibile dunque il sequestro della corrispondenza, l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni verbali, le intercettazioni telefoniche. Alcune norme relative a queste ultime hanno destato perplessità: ora comunque è intenzione del governo limitarne fortemente l’uso, con il rischio, in alcuni casi, di pregiudicare le indagini, soprattutto le più difficili e delicate.
Diritti e libertà, pur garantiti da articoli diversi della Costituzione sono legati fra loro e talvolta non è facile distinguerli nettamente: il fatto di avere dei destinatari, e dunque di essere diretti “a persone determinate”, distingue la libertà di comunicazione dell’art. 15 dalla libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21, uno dei cardini della democrazia. Poiché la tutela è diversa (quella dell’art.
15 è la più forte), interessa molto distinguerle: eppure in alcuni casi, soprattutto riguardo a nuove forme di comunicazione in rete, non è sempre agevole. L’incertezza della linea di confine fra corrispondenza intersoggettiva (ad esempio le mailing list chiuse) e attività comunicativa di tipo diffusivo pone problemi nuovi che toccano la stessa normativa antitrust (per le esigenze legate al pluralismo comunicativo). Il processo di convergenza tecnologica determinerà nuovi incroci tra chi opera in settori distinti; la comunicazione democratica può essere maggiormente a rischio.

l’Unità 21.1.10
Superiori, passano i regolamenti-riforma
L’opposizione dice no
Ora manca il via libera del Senato e il varo del Consiglio dei ministri. Licei e tecnici con meno ore in tutte le materie Ma Valentina Aprea, Pdl, esulta: ci sarà maggiore qualita
di F.L.

L’applicazione. Dovrebbe valere la riforma solo per le prime classi

Che il posticipo in marzo delle iscrizioni fosse l’anticamera di una accelerazione sulla riforma della secondaria se n’è avuta conferma ieri. In commissione alla Camera sono passati i regolamenti per la suddetta riforma (licei, istituti tecnici e professionali). «Abbiamo approvato i provvedimenti ha riferito la presidente della commissione Cultura della Camera Valentina Aprea a maggioranza compatta. L'opposizione (Udc compresa, ndr) su tutti e tre i regolamenti ha votato contro e ritengo che ciò sia un'occasione mancata per la scuola e una sconfitta della politica». «Ora finalmente ha concluso Valentina Aprea i nostri studenti si misureranno con ordinamenti che sono il frutto di una concezione moderna ed europea della scuola, che offrono maggiore qualità e che da un lato superano l'autoreferenzialità della scuola e dall'altra l'eccessiva frammentazione del nostro sistema che era arrivato ad avere oltre 600 indirizzi». La settimana prossima i regolamenti saranno al vaglio del Senato e tra una decina di giorni dovrebbero tornare al consiglio dei ministri per l'ok definitivo.
La scuola ha già perso. Per almeno tre motivi. 1) Passa una riforma scritta con la scure imposta dalla Finanziaria lacrime e sangue (ma solo per la scuola) di Tremonti del 2008; 2) La conseguenza è che si sono scritti regolamenti che partono da esigenze contabili e non formative. Che riducono secondo la logica della partita doppia le ore in tutte le superiori, con sottrazione di formazione generalizzata, altro che sfida europea. Finiscono le sperimentazioni, finisce lo studio della seconda lingua (disattendendo una direttiva europea); 3) Per la prima volta passa una riforma così importante per il futiro del nostro Paese senza un dibattito parlamentare vero né un autentico confronto culturale, né, tanto meno, il coinvolgimento dei principali attori, professori, ragazzi e famiglie.
La Aprea, autrice di un disegno di legge che una volta approvato lascerà alla mercè dei fondi privati l’istruzione pubblica, esulta e con lei il ministro. «Modernizzazione dei percorsi, superamento dell'autoreferenzialità delle scuole, personalizzazione dei percorsi, competenze europee e qualificate, queste saranno le caratteristiche della scuola italiana nei prossimi anni. Più italiano, più matematica, più inglese, più scienze, ma anche, a scelta ha osservato la presidente della VII commissione più musica più lingue più informatica, più arte, più tecnologie e maggior raccordo con il mondo del lavoro costituiscono da oggi opportunità a portata di mano delle giovani generazioni dentro un sistema scolastico più autonomo e che riscopre una nuova responsabilità sociale per una scuola nazionale e sussidiaria allo stesso tempo. Spiace aver dovuto constatare ha concluso Valentina Aprea la strumentalità dell'opposizione del Partito democratico, che ha preferito rinnegare i provvedimenti di Fioroni per cercare di intercettare un facile consenso in vista delle elezioni. E spiace anche osservare la pilatesca posizione dell'Udc, di solito più ricettiva delle istanze di innovazione del sistema scolastico».
Andate a vedere il sito http://nuovilicei.indire.it/ e vi accorgerete che tanto trionfalismo è del tutto immotivato.❖

Repubblica 21.1.10
Apre il primo centro di igiene mentale in Cina: sul modello di istituti analoghi a Trento
Il treno dei matti italiani scuote Pechino al via l´esperimento "manicomi aperti"
di Giampaolo Visetti

pechino La follia può fare miracoli. A Pechino, è successo. Ci sono voluti più di due anni, ma il viaggio più pazzo del mondo ha portato lontano. Nel 2007, tra mille scandali, un treno con a bordo 210 malati di mente italiani partiti da Venezia era arrivato in Cina. La via di Marco Polo, per dimostrare che solo l´amore, assieme alle medicine, può salvare chi è colpito dai disturbi psichiatrici. Ieri, nel quartiere Balizhuan della capitale, autorità italiane (guidate dall´ambasciatore Riccardo Sessa) e cinesi hanno inaugurato il primo centro di salute mentale del Paese.
Per la Cina è l´inizio di una rivoluzione. Le malattie psichiatriche, come ogni deficit, restano una vergogna da nascondere. Milioni di persone vengono recluse in casa dai famigliari, o abbandonate, lasciate prive di cure, o recluse in manicomi simili a quelli smantellati in Italia da Basaglia. Gli ospedali, spesso contigui alle carceri, sono inaccessibili. In questi due anni, il viaggio straordinario dei matti italiani ha però colpito i medici cinesi. Con l´umiltà e la curiosità che sta portando la nazione alla guida del pianeta, hanno voluto scoprire il segreto che aveva consentito a duecento malati di arrivare fino nel cuore della Città Proibita, iniziando l´uscita dal tunnel.
Scienziati e funzionari comunisti, ripercorrendo il tragitto al contrario, sono arrivati così a Trento, dove da una decina d´anni si è dato vita ad un´esperienza unica al mondo: gli Ufe, ossia "Utenti e Famigliari Esperti" coinvolti nella conduzione dei servizi psichiatrici. Un progetto semplice, capace di migliorare la vita dei malati di mente grazie all´affetto e alle responsabilità che ricevono. Gli Ufe trentini, che l´anno scorso hanno attraversato l´Atlantico in barca a vela, hanno folgorato la Cina. Al punto che il governo, dopo ripetuti scambi e corsi di formazione, ha deciso di ripensare il proprio sistema di cure.
Per tre giorni, a Pechino, i più importanti ospedali psichiatrici hanno aperto le porte ai visitatori. I primi tredici Ufe cinesi, già inseriti nella clinica di Haidian, hanno potuto raccontare pubblicamente la loro vita. Un incontro commovente, con i malati italiani. La clinica universitaria della capitale, centro di cura più importante del Paese, si è impegnata a diffondere sul territorio sia i centri di salute mentale che il nuovo rapporto con i pazienti. E´ la filosofia del «fare insieme», promossa dallo psichiatra Renzo De Stefani e adottata dal professor Yao Guizhong, responsabile del piano cinese. Non significa che la Cina abbia deciso di riconoscere come essenziale la centralità della persona e il suo diritto alla libertà. Ma se irrompe sulla scena la follia, non si sa mai. Prossima tappa: uno scambio di Ufe Italia-Cina, modello Erasmus, per dimostrare che dai malati c´è molto da imparare.

Liberazione 20.1.10
No Cgil, la Fiom discute. Le RdB: «Favorevoli, ma non il 1° marzo»
Sciopero degli stranieri, i sindacati frenano
di Roberto Farneti

La prima giornata di sciopero degli immigrati può attendere. I tempi non sono ancora maturi e in ogni caso, se sciopero sarà, dovrà riguardare tutti i lavoratori, italiani e stranieri. I sindacati frenano sull'idea di celebrare così la "Giornata senza immigrati" del primo marzo. La proposta, nata in Francia, ha raccolto molte adesioni da parte di associazioni politiche, soprattutto del volontariato di sinistra, ed è esplosa su internet (oltre 40mila gli iscritti al gruppo nato su Facebook). E tuttavia per fare uno sciopero non basta che sia giusto: bisogna che riesca, perché non si trasformi in un boomerang.
Da qui i dubbi dei sindacati. «Noi della Cgil - chiarisce Piero Soldini, responsabile immigrazione - stiamo con il gruppo del 1° marzo e con il gruppo del 20 marzo per organizzare iniziative comuni che siano più forti possibili. L'obiettivo è porre all'attenzione del paese la condizione dei migranti e il tema del razzismo istituzionale». La Cgil è però contraria a uno sciopero fatto da soli immigrati «perché - spiega Soldini - sarebbe "autoisolante"». Insomma, se c'è un problema di diritti da difendere, come c'è, questi devono essere difesi da tutti i lavoratori. «E' con questo spirito - ricorda il dirigente della Cgil - che abbiamo realizzato la manifestazione del 17 ottobre e che intendiamo costruire iniziative che possano coinvolgere tutti dal 1° al venti marzo». Tra l'altro la Cgil ha già fatto il 12 dicembre 2008 uno sciopero generale in cui, tra le rivendicazioni, c'era l'abolizione della Bossi-Fini». E il paragone con la Francia? «Anche lì non ci sarà uno sciopero dei lavoratori, né migranti né francesi, bensì uno sciopero dei consumi accompagnato da altre iniziative, proprio come vogliamo fare qui», replica Soldini.
Di come essere presenti il 1° marzo, così come nelle altre iniziative che si stanno costruendo, ancora si discute dentro il coordinamento migranti della Fiom e comunque la decisione «spetta alla Fiom». A precisarlo è Sveva Haertter, responsabile immigrazione dei metalmeccanici Cgil: «Il coordinamento migranti della Fiom - ricorda la sindacalista - ha mantenuto una interlocuzione con quella parte del comitato 17 ottobre che si è riunita in assemblea a dicembre, lanciando una assemblea nazionale aperta a tutti, che si terrà domenica prossima a Roma. Appuntamento che, dopo i fatti di Rosarno, assume una valenza ancora maggiore, perché è chiara - sottolinea Haertter - l'urgenza di costruire un percorso di mobilitazione che riparta dalla questione del lavoro e, all'interno di questa, del lavoro migrante».
A differenza della Cgil, le RdB sono «favorevoli» a uno sciopero dei migranti. «Ci stiamo lavorando ogni giorno - rende noto Aboubakar Soumahoro - con assemblee nei luoghi di lavoro. Pensiamo a una giornata di lotta nella quale i lavoratori migranti si ritrovino gomito a gomito in piazza con quelli italiani e i cassintegrati per rivendicare i diritti di tutti noi e per la salvaguardia della nostra dignità». Quando lo proclamerete? «Non appena i lavoratori ci faranno capire che ci sono le condizioni per farlo - risponde Soumahoro - 40mila adesioni su Facebook non bastano, preferisco lavorare su dati reali. Comunque noi il 1° marzo ci saremo, con varie iniziative, per segnalare la drammatica condizione dei migranti in Italia».
Filippo Miraglia dell'Arci non parla di occasione perduta ma avverte: «Su questa vicenda dell'immigrazione si sta giocando una partita decisiva per la nostra democrazia. Perciò penso che le condizioni siano mature - afferma - per uno sciopero generale specifico in difesa dei diritti di chi viene nel nostro paese per lavorare. Quando e come, spetta ai sindacati deciderlo, anche se auspico che sia il prima possibile».

Liberazione 20.1.10
I migranti sfidano Maroni:
«Permesso di soggiorno per tutti»
di Stefano Galieni

Parola del ministro Maroni:«Quello che è accaduto a Rosarno non sarebbe avvenuto se fosse stata applicata la Bossi Fini». Viene da domandarsi se trattasi di ignoranza o di cattiva fede. In ambedue i casi, dopo quanto è avvenuto nella piana di Gioia Tauro, logica vorrebbe che il ministro fosse già stato sostituito. La situazione di Rosarno, come in gran parte del lavoro agricolo nel meridione, non conosce altra legge che quella dello sfruttamento paraschiavistico da almeno 15 anni. Altro che responsabilità degli enti locali: nelle regioni in cui si è provato a proporre leggi di emersione dal lavoro nero, i governi di centro destra hanno fatto barricate. Maroni ieri era a Reggio Calabria e ancora una volta ha parlato di troppa tolleranza nei confronti del degrado, omettendo di nominare i veri responsabili di condizioni di vita a suo tempo denunciate da Msf come peggiori rispetto a quelle che si trovano nei campi profughi dei paesi in guerra. Oggi il ministro sarà a Caserta, definita dallo stesso una "Rosarno al cubo" per la alta concentrazione di lavoratori migranti presenti. Maroni ha reiterato il discorso che vede un discrimine fra "regolari" (buoni per natura e da accogliere) e "irregolari" (inevitabilmente fonte di problemi e da allontanare con ogni mezzo), non volendo accettare l'idea che solo attraverso pratiche di regolarizzazione si potrebbe combattere quello che lui chiama degrado.
Assurdo poi che in città e aree controllate dalle più grandi organizzazioni criminali del continente, il ministro si ostini a voler "far fuori" coloro che, rifiutando lo sfruttamento, si oppongono concretamente allo strapotere delle mafie. Il 28, per dare un segnale di lotta alla 'ndrangheta, ci sarà una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri a Reggio Calabria e già è partita la mobilitazione. Ieri in numerose città italiane si sono tenuti presidi per riconnettere i fatti di Rosarno a questioni di rilevanza sia locale che nazionale. Proprio a Reggio Calabria, nel pomeriggio, si è tenuta una manifestazione sotto la prefettura. Una delegazione di manifestanti è stata ricevuta dal Prefetto. Tra le richieste: protezione per tutti gli immigrati ancora presenti nella piana di Gioia Tauro, molti dei quali, anche se regolari, hanno raccontato di maltrattamenti subiti in questura; piano di accoglienza; "sburocratizzazione" delle pratiche per l'ottenimento dei permessi di soggiorno; contrasto reale al lavoro nero e non ai lavoratori. Il prefetto ha chiesto un rapporto dettagliato alle associazioni e alle forze presenti riservandosi di fornire risposte entro pochi giorni. I manifestanti hanno concluso il presidio lasciando alcune decine di chili di letame in piazza sormontati da un cartello recante la scritta "Maroni ancora 'cca stai?"
A Caserta c'è stata una grande giornata antirazzista iniziata all'alba, per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno. Molti degli immigrati fuggiti da Rosarno, circa 300, vivono in questi giorni nei paesi del casertano. L'iniziativa, molto partecipata, ha portato anche lì ad un incontro con il Prefetto, il quale ha garantito la velocizzazione delle oltre 600 pratiche di soggiorno ancora inevase e maggiore attenzione verso i "rastrellamenti" operati in Campania verso i lavoratori dell'agricoltura. Chi era in piazza ha polemizzato con l'idea di legalità esportata dal ministro dell'Interno fatta di esercito nelle strade e nessuna soluzione politica, quando la vera legalità potrebbe nascere garantendo chi denuncia di essere vittima dello sfruttamento. Da Caserta si è poi rinnovata la richiesta di una nuova regolarizzazione non limitata alle categorie del lavoro domestico, e si è chiesta una interlocuzione diretta con Maroni.
A Roma, alcune centinaia di persone si sono radunate sotto la prefettura sia per perorare la causa di chi è fuggito da Rosarno (alcuni erano in piazza) sia per chiedere nella città una politica di accoglienza reale e di contrasto al lavoro nero diffuso anche nella provincia romana anche se in condizioni diverse da quelle del meridione. Un ampia delegazione è stata ricevuta dal vicario del prefetto, dottoressa Giaquinto e da altri funzionari. La delegazione ha chiesto che la prefettura di Roma, come le altre di Italia si facciano carico della richiesta al ministro di un intervento di politiche sociali tali da impedire il ripetersi di condizioni simili a quelle meridionali. Esistono nella capitale numerose e mai risolte emergenze, lavorative e in primo luogo abitative che colpiscono soprattutto i migranti. Tra le richieste quella della proroga dei tempi di "attesa occupazione" (oggi di 6 mesi), scaduti i quali chi è licenziato finisce in clandestinità. Tra le novità emerse, la conferma che il Cie di Ponte Galeria verrà in tempi certi chiuso, anche se se ne costruirà un altro.

mercoledì 20 gennaio 2010

l’Unità 20.1.10
Cinque consigli ad Emma Bonino per governare il Lazio
L’onorevole Pd, già segretario del partito democratico in regione, chiede alla propria candidata di combattere la solitudine delle classi medie e un secco no al nucleare
di Roberto Morassut

La candidatura di Emma Bonino è una opportunità straordinaria. Emma ha la forza di una storia di coerenza che oggi, in politica, è merce rara. Questo tratto speciale e l’autorevolezza acquisita attraverso esperienze di governo sono la sua forza d’urto. Però una Regione come il Lazio si conquista anche assumendo un forte carattere popolare.
Il Lazio è una strana regione perché nei suoi confini amministrativi convivono territori e popolazioni tra loro lontane. Il Lazio deve diventare quella “comunità” che oggi non è. Vorrei dare qualche titolo per una messaggio “comunitario” e “popolare” di cui Emma e noi abbiamo bisogno per vincere: Sviluppo, Igiene, Persona e Famiglia.
Sviluppo. Il Lazio ha bisogno di un potente programma di modernizzazione delle infrastrutture e del sapere. I progetti ci sono ma vanno accelerati. Occorre avvicinare i territori, rendere intermodale il sistema di connessione tra aria, mare, ferro e gomma, favorire un consolidamento delle imprese – che nel Lazio sono tante ma piccole ed esportano poco migliorare il sistema formativo anche in rapporto alla produzione (il numero di brevetti e la percentuale di ricerca per unità di prodotto è molto bassa).
Igiene. Fermiamo la devastazione del territorio dicendo di no alle centrali nucleari di Borgo Sabotino e di Montalto, ridefinendo un Piano per i rifiuti più realistico, approvando i Piani paesistici e varando una moderna legge urbanistica che riduca i tempi delle procedure per combattere l’illegalità e rimettere sullo stesso piano i diritti privati e gli spazi pubblici. Igiene significa anche lotta alla illegalità ed alla degenerazione diffusa delle classi dirigenti. Penso che si debba varare una riforma elettorale che superi la preferenza unica e introduca i collegi uninominali.
Persona e famiglia, infine. Le persone sono sempre più sole e le famiglie impoveriscono dentro una crisi mondiale che inghiotte i ceti medio piccoli. La Regione può fare molto per creare «comunità» e parlare a tanto «popolo minuto», soprattutto urbano e che oggi appare sfibrato, attraverso una politica per la casa e per la salute a sostegno delle famiglie. Aiutare le persone a stare insieme e a costruire insieme progetti di vita non è di destra né di sinistra. Semplicemente è necessario. Ed è possibile con una visione aperta che guardi alla famiglia in modo non ideologico, che consideri le famiglie in tutte le loro forme giuridiche e possibilità, da quelle tradizionali a quelle più aperte.
Vincere la solitudine, combattere l’atomismo sociale e la disgregazione della convivenza, favorire un’idea della vita finalizzata a dei progetti e non solo all’autonomo, egoistico consumo del tempo, dei beni e dei desideri è importante e necessario per chiunque laico o cattolico abbia un senso della comunità. ❖

il Messaggero 20.1.10
Le priorità della Bonino: reddito garantito, più sociale, meno sprechi
di C. Mar.

L'apprezzamento arriva da chi non t`aspetti: «E una candidatura bella, conosco Emma da anni, è una donna importante, forte e cocciuta». Parole e musica di Pippo Baudo. E se lo dice Pippo, icona Rai, che con i radicali spesso e volentieri qualche disputa per sua stessa ammissione l`ha avuta, vuol dire che la candidatura Bonino può entrare davvero in tutte le case, come fa Baudo, appunto, e da anni. «Lei e Adele Faccio mi contestavano, dicevano che facevo programmi banali ma anche noi ci siamo occupati della fame nel mondo», ha fatto notare ieri l`artista, intervistato da Radio Radicale. Più scontata pare l`adesione di Alessandro Baricco: «Emma mi semplifica la scelta». Lo scrittore che ammette di votare a sinistra «per convinzioni antropologiche» coglie però un aspetto che nell`urna il 28 e il 29 marzo potrebbe avere il suo peso: «Io sono di Torino e quando sento Emma parlare mi chiedo se "passerà" nel Lazio. Bisogna vedere quanto gli elettori valuteranno il fatto che è una persona non del territorio». Fin qui le dichiarazioni di voto. Ma a tenere banco ieri è stata la preparazione delle varie liste, l`organizzazione del Comitato elettorale «una priorità» e del programma, che in realtà avrebbe dovuto essere al primo posto. La Bonino ieri tra gli altri ha incontrato Alagna, leader delle Reti civiche. Si dà per scontato che ci sarà una "lista civica per la Bonìno" con molti cattolici «che non sono però "un pacco di voti"» ha avvertito la candidata. L`unica battuta l`ha riservata a Giuliano Ferrara, «i suoi articoli mi porteranno fortuna, ma mi sembra un po` carico di bile e ossessionato da me» A parte l`Elefantino, c`è grande attenzione a quel che accade nello schieramento avversario. Un`eventuale rottura dell`accordo Pdl-Udc finirebbe per danneggiare paradossalmente proprio la Bonino. «Sono valutazioni che farà Berlusconi. e non credo che avranno conseguenze nel Lazio», ha commentato l`ex ministra del governo Prodi
L`altro tema che promette sviluppi da qui ai prossimi giorni è la doppia candidatura della Bonino in lista anche in Lombardia dove i radicali andranno da soli per Cappato presidente. «Sono 8 mesi che lo diciamo, saremo presenti in modo autonomo in alcune regioni», si meraviglia di tanto stupore la leader radicale. Che in quanto all`equiparazione con l`Udc e con la politica dei due forni, chiarisce: «Non c`entra proprio nulla, ci sono delle Regioni in cui andiamo da soli ma in nessuna di esse abbiamo una coalizione con il Pdl». E` un fatto però che la candidatura "esterna" per il Pd rappresenti una discreta anomalia. E` appena il caso di ricordare che i Radicali non hanno mai sostenuto la giunta laziale e su alcune questioni di fondo hanno sempre marcato una certa distanza. Per la prima volta la Bonino ha parlato del caso-Marrazzo, che ha «risvolti giudiziari di cui si occupa la magistratura», «risvolti di compassione umana», «risvolti di comportamento politico da condannarsi senza se e senza ma». Ci sarebbe infine il programma. Stenderlo vuol dire limare differenze che in alcuni casi sono solchi. La Bonino in attesa si limita ad anticipare le priorità, «trasparenza, sviluppo delle tecnologie, utilizzo dei fondi Ue. più controllo sul sociale, meno sprechi, reddito minimo garantito e no al nucleare». II 23 e 24 weekend nei circoli del Pd per «dibattiti e scambi di idee».
l’Unità 20.1.10
«La Polverini rinunci all’appoggio di Casini, altrimenti la ostacoleremo»
di Mariagrazia Gerina

È stato uno dei primi ad appoggiare Renata Polverini. Adesso Francesco Giro, fedelissimo di Berlusconi, avverte: «Se l’Udc resta diventa difficile riconoscermi nella sua candidatura». Anche lei del partito di Feltri anti-Polverini?
«Mi ci iscrivo se questo significa contrastare i pateracchi con l’Udc che nel Lazio si accorda direttamente con la Polverini e in Puglia invece trattare con D’Alema. La riunione del Pdl sarà molto franca e chiederà all’Udc segni chiari di convergenza a livello nazionale, poi si vedrà».
E se l’Udc non fa marcia indietro come si mette con la Polverini? «Se l’ambiguità dovesse rimanere è chiaro che io in una candidata che non garantisce l’intera coalizione di centrodestra non mi riconosco. La Polverini non può dire, da una parte, all’Udc ci penso io, e dall’altra, al Pdl ci penso io. E in giunta che farà riunioni separate? Non a caso in Lombardia Udc e Pdl non vanno insieme».
La Polverini deve rompere con l’Udc?
«Dovrebbe dire all’Udc che se fa l’accordo con lei lo fa con il Pdl. E invece hanno fatto la divisione dei pani e dei pesci sui posti in listino e su quelli in giunta. Così non va. E continuerò a dirlo in campagna elettorale. Vogliono i voti di Berlusconi per vincere e poi il giorno dopo usarli contro di noi. Anche a livello regionale come si farà a governare con questa maggioranza?».
Farà campagna contro Polverini?
«Aspetto la riunione del Pdl e la risposta dell’Udc: dopodiché capirò se i miei voti saranno utilizzati per Berlusconi o contro Berlusconi. Certo se le cose non si ricompongano non sarà una passeggiata. La Bonino è da temere, soprattutto a Roma».
Che fa tifa Bonino?
«No, ma devo essere motivato per sostenere la Polverini, nelle prime battute l’ho vista con il cappello in mano e obbediente a logiche di potere». Spera nella sconfitta?
«No ma se continuiamo così rischiamo di perdere non per colpa mia».

l’Unità 20.1.10
Lakoff: sinistra perdente? Ovvio, utilizza le parole e le emozioni della destra!
Le parole per dire qualcosa di sinistra... ma anche i «frame». Ecco cosa consiglia alla «sinistra perdente» il linguista americano George Lakoff: articolare un proprio linguaggio e recuperare l’empatia.
di Marco Rovelli

Empatia
Senza la percezione del vissuto degli altri c’è solo predazione

Se la sinistra perde, è anche perché non ha compreso come funziona la mente umana. In Pensiero politico e scienza della mente (traduzione di G. Barile, pp. 339, euro 26,00, Bruno Mondadori), George Lakoff, uno dei più eminenti linguisti americani, torna a invitare la sinistra ad articolare un proprio linguaggio piuttosto che inseguire la destra sul suo terreno. Secondo Lakoff questa rincorsa ha segnato negativamente il destino dei liberal americani nei confronti dei repubblicani ma viene naturale riportare il suo discorso anche alle derive politiche italiane. Il fatto è che per vincere occorre comprendere l’inconscio cognitivo, il sistema di concetti che organizza la nostra mente, strutturata da «frame», cornici concettuali metaforiche di cui per la maggior parte siamo inconsapevoli ma che orientano in maniera decisiva la nostra interpretazione dei temi e dei discorsi politici. Questi frame sono indipendenti da noi, è circuiteria neurale che si è formata fin dai primi anni della nostra vita, è «esperienza incorporata». «I modelli culturali sono nel nostro cervello. E noi li usiamo automaticamente».
Due sono i modelli fondamentali secondo Lakoff: quello dei genitori premurosi e quello del padre severo. Danno vita a modalità profondamente di concepire la politica (Moralità è Cura versus Moralità è Obbedienza all’autorità), e bisogna esserne consapevoli per poter produrre un discorso politico vincente. Non basta citare fatti e cifre: bisogna partire dal significato morale, dai frame metaforici che strutturano la nostra mente, dal «mobile esercito di metafore» che percorre i nostri tracciati neurali. E «quando una verità importante passa inosservata perché priva di frame e di nome, può diventare importante costruire un frame concettuale e un nome»: Lakoff lo ha fatto coniando un termine, privateering, la «privatizzazione predatoria» che designa l’insieme di una serie di politiche repubblicane. Ma lo si potrebbe fare anche in Italia, senza aver paura di essere tacciati di «ideologia» («la paura, dice Lakoff, di come l’altra parte presenterà il nostro voto e la paura di mostrare la verità su noi stessi»). Accettare il frame dell’avversario (dalla sicurezza alle riforme...) significa essere sconfitti in partenza. Così come si è sconfitti quando si accetta l’impostazione di conduttori di talk-show conservatori («Siete a favore di una riduzione/alleggerimento delle imposte?»; «Dobbiamo vincere la guerra al terrore o ritirarci?»), senza avere il coraggio di opporgli un altro tipo di impostazione, di frame. Non è solo questione di parole, ma di idee e di valori che stanno dietro alle parole.
E poi, alla radice di tutto questo, Lakoff sottolinea come troppo spesso la politica progressista si sia dimenticata del suo valore fondante, l’empatia, che determina la cura degli altri come necessità, e che assegna allo Stato i ruoli sia di protezione (libertà da) che di empowerment (libertà di: le possibilità concrete di uguaglianza, insomma). L’empatia, ricorda Lakoff, si fonda sulla attivazione dei neuroni specchio, che si attivano sia quando eseguiamo un’azione che quando la vediamo eseguire, e che sono dunque responsabili della nostra identificazione nell’altro, dalla quale riceviamo piacere: empatia e cooperazione sono dunque una valori fondanti dell’umano, e occorre coltivarli e rivendicarli, invece di accettare i frame della paura e dell’obbedienza tipici delle narrazioni metaforiche dei conservatori.❖

l’Unità 20.1.10
Vivere a metò
di Igiaba Scego

Dove eravate la sera del 15 marzo 1977? Molti della mia generazione erano incollati davanti alla tv a vedere «Supergulp, i fumetti in Tv» con la sua miriade di personaggi da Cocco Bill a Corto Maltese. Il mio preferito era Nick Carter un investigatore privato con assistenti molto imbranati. Quando ho letto la lettera del signor Mesfin Fremicael Hagi ho pensato «sicuramente anche lui come me ha visto Supergulp!». E non solo direi. Il paese lui lo potrebbe raccontare in ogni dettaglio. Il signor Mesfin, classe ’68, è arrivato in Italia il 28 luglio 1976, non aveva ancora compiuto i 10 anni. Ha sempre risieduto a Bologna e non ha mai lasciato il territorio nazionale. In regola con tutti i permessi richiesti dalla legge, non ha mai commesso reato. Da un po’ di anni l’amore ha visitato la sua vita, ha una coniuge italiana e il 20 marzo del 2000 la sua vita è stata allietata dalla nascita di un figlio. Il signor Mesfin non ha la cittadinanza italiana (pur di fatto essendolo) per motivi burocratici. Ha tutti i requisiti, ma mancano alcuni documenti impossibili purtroppo da reperire perché dal paese d’origine, l’Eritrea, non gli concedono tale documentazione. Come uscire da questo vicolo cieco? Nella lettera (che lui giustamente chiama richiesta d’aiuto) spedita all’Unità dice «non riesco ad ottenere quella dignità per ̆ migliorare la mia vita e quella dei miei cari». Quello che chiede il signor Mesfin è rispetto. In questo è in compagnia di tanti figli di migranti nati o venuti piccolissimi in Italia che vedono la loro vita bloccata dalla mancanza di questo riconoscimento. La mancanza di cittadinanza ti fa sentire straniero nella tua nazione, una persona comunque bollata come «estranea». Inoltre non ti puoi iscrivere agli albi professionali, non puoi votare, non puoi viaggiare liberamente, hai una vita a metà.❖

Repubblica 20.1.10
"Io, ladro di libri per colpa di Albert Camus"
di Roberto Bolano

L´anticipazione/ Esce una raccolta di saggi dell´autore cileno, tra cui un autoritratto e una confessione sul passato di ladro nelle librerie
"Le mie poesie non le conosce quasi nessuno: il che è un bene probabilmente"
"Volevo leggere tutto e a lungo continuai con i furti, ma un giorno mi beccarono"

Pubblichiamo due brani tratti dal libro "Tra parentesi" che esce oggi per Adelphi
Sono nato nel 1953, l´anno in cui morirono Stalin e Dylan Thomas. Nel 1973 fui incarcerato per otto giorni dai militari golpisti del mio paese, e nella palestra dove venivano tenuti i prigionieri politici trovai una rivista inglese con un reportage fotografico sulla casa di Dylan Thomas nel Galles. Io credevo che Dylan Thomas fosse morto povero e quella casa mi parve magnifica, come una casa incantata nel bosco. Di reportage su Stalin non ce n´erano. Ma quella notte sognai Stalin e Dylan Thomas: erano in un bar di Città del Messico, seduti a un tavolino rotondo, un tavolino di quelli per fare a braccio di ferro, solo che non facevano a braccio di ferro, facevano a chi reggeva meglio l´alcol. Il poeta gallese beveva whisky e il dittatore sovietico vodka. Con il procedere del sogno l´unico ad avere la nausea e a sentirsi sempre peggio ero io. Questo per quanto riguarda la mia nascita. Per quanto riguarda i miei libri devo dire che ho pubblicato cinque raccolte di poesie, un libro di racconti e sette romanzi. Le mie poesie non le conosce quasi nessuno, il che probabilmente è un bene. I miei libri di prosa hanno un certo numero di lettori fedeli, il che probabilmente è immeritato. In Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce (1984, scritto in collaborazione con Antoni García Porta) parlo della violenza. Nella Pista di ghiaccio (1993) parlo della bellezza, che dura poco e finisce quasi sempre in modo disastroso. Nella Letteratura nazista in America (1996) parlo della miseria e della sovranità della pratica letteraria. In Stella distante (1996) tento un approccio, molto modesto, al male assoluto. Nei Detective selvaggi (1998) parlo dell´avventura, che è sempre inaspettata. In Amuleto (1999) cerco di consegnare al lettore la voce esaltata di un´uruguaiana con una vocazione da greca. Tralascio il mio terzo romanzo, Monsieur Pain, il cui tema è indecifrabile. Anche se da più di vent´anni vivo in Europa, la mia sola nazionalità è quella cilena, ma ciò non impedisce che io mi senta profondamente spagnolo e latinoamericano. Nel corso della mia vita ho vissuto in tre paesi diversi: Cile, Messico e Spagna. Ho fatto quasi tutti i mestieri, tranne i tre o quattro che chiunque abbia un minimo di decoro rifiuterà sempre di esercitare. Mia moglie si chiama Carolina López e mio figlio Lautaro Bolaño. Entrambi sono catalani. In Catalogna, inoltre, ho appreso la difficile arte della tolleranza. Sono molto più felice quando leggo che quando scrivo.
***
Chi ne ha il coraggio
I libri che più ricordo sono quelli che rubai a Città del Messico fra i sedici e i diciannove anni, e quelli che comprai in Cile quando avevo vent´anni, nei primi mesi dopo il golpe. A Città del Messico c´era una libreria straordinaria. Si chiamava la Librería de Cristal ed era al parco dell´Alameda. Le pareti, perfino il soffitto, erano di vetro. Vetro e travi di ferro. A vederla da fuori pareva impossibile che si potesse rubare un libro lì dentro. Eppure la tentazione fu più forte della prudenza e dopo un po´ ci provai. Il primo libro che mi capitò fra le mani fu un volumetto di Pierre Louÿs, con le pagine sottili di carta bibbia, non so più se fosse Afrodite o Le canzoni di Bilitis. So che avevo sedici anni e che per un po´ Louÿs divenne il mio maestro. Poi rubai libri di Max Beerbohm (L´ipocrita felice), di Champfleury, di Samuel Pepys, dei fratelli Goncourt, di Alphonse Daudet, dei messicani Rulfo e Arreola, che allora erano, a modo loro, ancora attivi, e che quindi avrei potuto perfino incontrare un mattino qualunque sull´affollata Avenida Niño Perdido, una strada che oggi le cartine di Città del Messico mi nascondono, come se fosse esistita solo nella mia immaginazione o come se davvero, con i suoi negozi sotterranei e i suoi spettacoli, si fosse perduta, proprio come mi ero perduto io a sedici anni. Di quelle brume, di quegli assalti furtivi, ricordo molti libri di poesie. Libri di Amado Nervo, di Alfonso Reyes, di Renato Leduc, di Gilberto Owen, di Huerta e di Tablada, e di poeti nordamericani come General William Booth Enters Into Heaven del grande Vachel Lindsay. Ma fu un romanzo a tirarmi fuori dall´inferno e a gettarmici di nuovo. Quel romanzo è La caduta di Camus, e tutto quel che lo riguarda me lo ricordo come intrappolato in una luce spettrale, di crepuscolo immobile, anche se lo lessi, lo divorai, nella luce di quelle mattine privilegiate di Città del Messico, che sono o erano di una luminosità rossa e verde assediata dai rumori, su una panchina dell´Alameda, senza un soldo in tasca e con tutta la giornata, ossia tutta la vita, davanti. Dopo Camus cambiò tutto. Ricordo la copia del libro: era stampato a caratteri molto grandi, come un abbecedario, di poche pagine, rilegato e con un disegno orrendo in copertina, un libro difficile da sottrarre che non sapevo se nascondere sotto l´ascella o dietro la schiena, perché mal si adattava alla mia giacchetta da liceale che ha marinato la scuola, e che alla fine portai via sotto gli occhi di tutti i commessi della Librería de Cristal, che è uno dei modi migliori per rubare, come avevo appreso da un racconto di Edgar Allan Poe. Di lì in poi, da quel furto e da quella lettura, da lettore prudente divenni lettore vorace, e da ladro di libri divenni rapinatore di libri. Volevo leggere tutto, e questo, nella mia ingenuità, equivaleva a voler scoprire o tentare di scoprire quale meccanismo del caso avesse spinto il personaggio di Camus ad accettare il suo atroce destino. Contro ogni pronostico, la mia carriera di rapinatore di libri fu lunga e proficua, ma un giorno mi beccarono. Per fortuna non fu alla Librería de Cristal ma alla Librería del Sótano, che si trova o si trovava di fronte all´Alameda, in Avenida Juárez, e che come dice il suo nome era un seminterrato di dimensioni considerevoli nel quale si impilavano lucenti le ultime novità arrivate da Buenos Aires o da Barcellona. Il mio arresto fu ignominioso. Sembrava che i samurai della libreria avessero messo una taglia sulla mia testa. Minacciarono di farmi espellere dal paese, di riempirmi di botte nei sotterranei della Librería del Sótano, cosa che a me suonò come se quei neofilosofi parlassero fra loro della distruzione della distruzione, e alla fine, dopo lungo confabulare, mi rimisero in libertà, non senza appropriarsi di tutti i libri in mio possesso, fra i quali c´era La caduta, e nessuno dei quali avevo rubato lì.
Traduzione di Maria Nicola

Repubblica 20.1.10
Il sospetto
di Gustavo Zagrebelsky

C´è una gran voglia di voltare pagina e guardare avanti. Quello che è stato un Paese riconosciuto e rispettato per la sua politica, la sua cultura, la civiltà dei rapporti sociali, è ormai identificato con l´impasse in cui è caduto a causa di un conflitto di principio al quale, finora, non si è trovata soluzione. Sono quasi vent´anni che il nodo si stringe, dalla fine della cosiddetta prima repubblica a questa situazione, che rischia d´essere la fine della seconda. La terza che si preannuncia ha tratti tutt´altro che rassicuranti.
Siamo probabilmente al punto di una sorta di redde rationem, il cui momento culminante si avvicina. Sarà subito dopo le prossime elezioni regionali. A meno che si trovi una soluzione condivisa, che si addivenga cioè a un compromesso. È possibile? E quale ne sarebbe il prezzo? Se consideriamo i termini del conflitto - la politica contro la legalità; un uomo politico legittimato dal voto contro i giudici legittimati dal diritto - l´impresa è ardua, quasi come la quadratura del cerchio. Per progressivi cedimenti che ora hanno fatto massa anche nell´opinione pubblica, dividendo gli elettori in opposti schieramenti, i due fattori su cui si basa lo stato di diritto democratico, il voto e la legge, sono venuti a collisione.
Questa è la rappresentazione oggettiva della situazione, che deliberatamente trascura le ragioni e i torti. Trascura cioè le reciproche e opposte accuse, che ciascuna parte ritiene fondate: che la magistratura sia mossa da accanimento preconcetto, da un lato; che l´uomo politico si sia fatto strada con mezzi d´ogni genere, inclusi quelli illeciti, dall´altro. Se si guarda la situazione con distacco, questo è ciò che appare come dato di fatto e le discussioni sui torti e le ragioni, come ormai l´esperienza dovrebbe avere insegnato, sono senza costrutto.
I negoziatori che sono all´opera si riconosceranno, forse, nelle indicazioni che precedono. Ma, probabilmente, non altrettanto nelle controindicazioni che seguono.
Per raggiungere un accordo, si è disposti a "diluire" il problema pressante in una riforma ad ampio raggio della Costituzione. Per ora, la disponibilità dell´opposizione al dialogo o, come si dice ora, al confronto, è tenuta nel vago (no a norme ad personam, ma sì a interventi "di sistema" per "riequilibrare" i rapporti tra politica e giustizia), è coperta dalla reticenza (partire da dove s´era arrivati nella passata legislatura, ma per arrivare dove?) o è nascosta col silenzio (la separazione tra potere politico, economico e mediatico, cioè il conflitto d´interessi, è o non è questione ancora da porsi?).
Vaghezza, reticenza e silenzio sono il peggior avvio d´un negoziato costituzionale onesto. La materia costituzionale ha questa proprietà: quando la si lascia tranquilla, alimenta fiducia; quando la si scuote, alimenta sospetti. Per questo, può diventare pericolosa se non la si maneggia con precauzione. Tocca convinzioni etiche e interessi materiali profondi. Non c´è bisogno di evocare gli antichi, che conoscevano il rischio di disfacimento, di discordia, di "stasi", insito già nella proposta di mutamento costituzionale. Per questo lo circondavano d´ogni precauzione. Chi si esponeva avventatamente correva il rischio della pena capitale. Per quale motivo? Prevenire il sospetto di secondi fini, di tradimento delle promesse, di combutta con l´avversario. Quando si tratta di "regole del gioco", tutti i giocatori hanno motivo di diffidare degli altri. La riforma è come un momento di sospensione e d´incertezza tra il vecchio, destinato a non valere più, e il nuovo che ancora non c´è e non si sa come sarà. In questo momento, speranze e timori si mescolano in modo tale che le speranze degli uni sono i timori degli altri. È perciò che non si gioca a carte scoperte. Ma sul sospetto, sentimento tra tutti il più corrosivo, non si costruisce nulla, anzi tutto si distrugge.
Il veleno del sospetto non circola solo tra le forze politiche, ma anche tra i cittadini e i partiti che li rappresentano. Nell´opposizione, che subisce l´iniziativa della maggioranza, si fronteggiano, per ora sordamente, due atteggiamenti dalle radici profonde. L´uno è considerato troppo "politico", cioè troppo incline all´accordo, purchessia; l´altro, troppo poco, cioè pregiudizialmente contrario. Sullo sfondo c´è l´idea, per gli uni, che in materia costituzionale l´imperativo è di evitare l´isolamento, compromettendosi anche, quando è necessario; per gli altri, l´imperativo è, al contrario, difendere principi irrinunciabili senza compromessi, disposti anche a stare per conto proprio. La divisione, a dimostrazione della sua profondità, è stata spiegata ricorrendo alla storia della sinistra: da un lato la duttilità togliattiana (che permise il compromesso tra Partito Comunista e Democrazia Cristiana sui Patti Lateranensi), dall´altro l´intransigenza azionista (che condusse il Partito d´azione all´isolamento).
Tali paragoni, indipendentemente dalla temerarietà, sono significativi. Corrispondono a due paradigmi politici, rispettivamente, la convenienza e la coerenza: una riedizione del perenne contrasto tra l´etica delle conseguenze e l´etica delle convinzioni. L´uomo politico degno della sua professione - colui che rifugge tanto dall´opportunismo quanto dal fanatismo e cerca di conciliare responsabilmente realtà e idealità - conosce questo conflitto e sa che esistono i momenti delle decisioni difficili. Sono i momenti della grande politica.
Ma da noi ora non è così. Ciò che è nobile nei concetti, è spregevole nella realtà. La buona convenienza appare cattiva connivenza. Il sospetto è che, dietro un gioco delle parti, sia in atto la coscientemente perseguita assimilazione in un "giro" di potere unico e autoreferenziale, una sorta di nuovo blocco o "arco costituzionale", desiderando appartenere al quale si guarda ai propri elettori, che non ci stanno, come pericolo da neutralizzare e non come risorsa da mobilitare. Vaghezza, silenzi, e reticenze sono gl´ingredienti di questo rapporto sbagliato, basato sulla sfiducia reciproca. È banale dirlo, ma spesso le cose ovvie sono quelle che sfuggono agli strateghi delle battaglie perdute: in democrazia, occorrono i voti e la fiducia li fa crescere; la sfiducia, svanire.
Il sospetto si dissipa in un solo modo: con la chiarezza delle posizioni e la risolutezza nel difenderle. La chiarezza si fa distinguendo, secondo un ordine logico e pratico, le cose su cui l´accordo c´è, quelle su cui potrebbe esserci a determinate condizioni e quelle su cui non c´è e non ci potrà essere. La risolutezza si dimostra nella convinzione con cui si difendono le proprie ragioni. Manca l´una e l´altra. Manca soprattutto l´idea generale che darebbe un senso al confronto costituzionale che si preannuncia. Così si procede nell´ordine sparso delle idee, preludio di sfaldamento e sconfitta. Per esempio, sulla difesa del sistema parlamentare contro i propositi presidenzialisti, la posizione è ferma? Sulle istituzioni di garanzia, magistratura e Corte costituzionale, fino a dove ci si vuol spingere? Sul ripristino dell´immunità parlamentare c´è una posizione, o ci sono ammiccamenti?
Quest´ultimo è il caso che si può assumere come esemplare della confusione. Nella strategia della maggioranza, è il tassello di un disegno che richiede stabilità della coalizione e immunità di chi la tiene insieme, per procedere alla riscrittura della Costituzione su punti essenziali: l´elezione diretta del capo del governo, la riduzione del presidente della Repubblica a un ruolo di rappresentanza, la soggezione della giustizia alla politica, eccetera, eccetera. L´opposizione? Incertezze e contraddizioni che non possono che significare implicite aperture, come quando si dice che "il problema c´è", anche se non si dice come lo si risolve. Ci si accorge ora di quello che allora, nel 1993, fu un errore: invece del buon uso dell´immunità parlamentare, si preferì abolirla del tutto. Fu il cedimento d´una classe politica che non credeva più in se stessa. Ma il ripristino oggi suonerebbe non come la correzione dell´errore, ma come la presunzione d´una classe politica che non ama la legalità. Occorrerebbe spiegare le ragioni del rischio che si corre, nell´appoggiare questo ritorno; rischio doppio, perché una volta reintrodotta l´immunità con norma generale, la si dovrà poi concedere all´interessato, con provvedimento ad personam. Due forche caudine per l´opposizione. Ma allora, perché?
Perché, si dice, se non ci sono aperture, il confronto non inizia nemmeno e la maggioranza andrà avanti per conto proprio. Appunto: dove non c´è il consenso, avendo i voti, vada avanti e poi, senza l´apporto dell´opposizione, ci potrà essere il referendum, dove ognuno apertamente giocherà le sue carte. Ne riparleremo.

Repubblica 20.1.10
Sono sempre più diffuse le difficoltà linguistiche Lo dice uno studio inglese, lo confermano gli esperti
Un bimbo su sei non parla a 2 anni "Colpa della tv e dello stress"
di Vera Schiavazzi

"La sordità o un deficit uditivo sono una delle possibili cause dei disturbi di linguaggio ma sono anche la più facile da indagare"

A diciotto mesi, un bambino inglese su quattro non è ancora in grado di pronunciare quelle 20 diverse parole che gli standard internazionali hanno individuato come ‘soglia minima´ al di sotto della quale si può diagnosticare un ritardo nel linguaggio. E la percentuale sale a uno su quattro se si considerano soltanto i maschi, dei quali si conosce da sempre una maggiore precocità motoria e una ‘pigrizia´ nell´esprimersi. La ricerca, realizzata da YouGov per BBC, non fa che rispecchiare un´ansia sempre più diffusa tra le mamme (e i papà), non soltanto in Gran Bretagna. L´ansia delle mamme rimbalza sul Web: "Il mio tesoro di 21 mesi dice soltanto ‘baba´ per indicare la pappa e ‘gnogna´ per chiamare mia madre, il pediatra dice che non è nulla ma sono tanto preoccupata…", o ancora "dove posso eseguire un test audiometrico per essere sicura che senta correttamente?", "sapete indicarmi un bravo specialista in Lazio?" e così via. E se le ragioni di inquietudine non mancano (eccesso di televisione anche da piccolissimi, mancanza di tempo per leggere le fiabe, abbondanza di figli unici sono universalmente riconosciuti come altrettanti fattori che potrebbero contribuire a spiegare il fenomeno) è vero anche che i genitori di oggi sono molto attenti, forse troppo, al benché minimo sintomo che potrebbe rallentare il loro bambino nella sua marcia verso la crescita. Spiega Stefano Vicari, direttore di Neurospicologia Infantile al Bambin Gesù di Roma: «Un tempo, molti pediatri avrebbero detto alla signora che lamentava la scarsa propensione a parlare del figlio di due anni ‘non si preoccupi, è pigro, recupererà in seguito´. Ora, per fortuna, nessuno lo fa più. Ogni bambino è diverso dagli altri e sarebbe sbagliato restare aggrappati a criteri troppo rigidi. Ma a due anni un bambino deve manifestare capacità di espressione e pronunciare delle parole, più o meno correttamente: se non la fa, è bene approfondire le ragioni».
L´esperienza quotidiana dei pediatri italiani, i primi a dover dare risposte e a formulare diagnosi, conferma i dati inglesi. E se la ricerca britannica parla di un 34 per cento di bambine e di un 27% di maschietti che hanno pronunciato la loro prima parola già a nove mesi (in inglese dada, o daddy, proprio come ‘papà´ per i coetanei italiani), in Italia cresce l´attenzione per il ritardo nel linguaggio. E, insieme a questa, la rapidità nell´individuarne e curarne le ragioni: «Abbiamo chiesto e ottenuto di introdurre uno screening audiologico fin dalla nascita in alcune città-pilota come Lecce - spiega Giuseppe Mele, segretario della Federazione italiana medici pediatri - La sordità, o un deficit uditivo, sono naturalmente soltanto una delle possibili cause dei disturbi di linguaggio dei quali osserviamo quotidianamente l´aumento, ma sono anche quella più facile da indagare fin dalla nascita». Dove lo screening non viene fatto già durante il ricovero per il parto, a sette, otto mesi si può ricorrere al Boel-Test, un insieme di stimoli acustici e di parametri che consentono di stabilire se il bambino sente correttamente. E che i problemi aumentino si spiega, come afferma Mele, «con l´aumento di parti prematuri, di bambini a rischio per altre cause e di neonati che pesano meno dei parametri previsti». «Ma - osserva da un diverso punto di vista Tilde Giani Gallino, psicologa dell´età evolutiva - bisognerebbe tener conto anche di come è cambiato il rapporto tra genitori e figli, anche piccolissimi. Un tempo i neonati e i bambini fino a uno o due anni di età vivevano perlopiù a contatto solo con i parenti stretti, dormivano molto, uscivano di casa solo per andare ai giardinetti. Ora gli stimoli e il confronto sono costanti, e ogni genitore si aspetta che il suo bambino faccia tutto subito, e si preoccupa se questo non accade». «I gesti - osserva ancora Giani Gallino - hanno almeno in parte sostituito le parole, e bisogna dire che la maggior parte dei bambini che tardano a parlare si fa, comunque, capire benissimo dagli adulti che lo circondano. In questo senso, pronunciare correttamente le parole diventa meno necessario e nessun genitore passa più ore e ore a correggere un figlio che non dice bene la ‘r´ o la ‘d´». «Non dimentichiamo - conferma Vicari - che i bambini agiscono per imitazione: camminano se vedono altre persone farlo, parlano per ripetere i suoni emessi dai genitori. Anche per imparare a parlare, comunque, la tv può avere un impatto negativo, nonostante qualcuno pensi il contrario: si tratta di un ascolto passivo, molto meglio l´interazione che si stabilisce tra bambino e adulto, magari aiutata da un libretto illustrato, da una filastrocca o da una canzone». Che cosa fare e che cosa evitare? Lasciar parlare il piccolo senza interromperlo, anche se sbaglia, ascoltandolo con attenzione, favorire i suoi gesti, ripetere correttamente le parole senza pretendere che lo faccia anche lui. Da evitare invece la presa in giro o - peggio - l´abitudine di far finta di non aver sentito perché la parola è stata pronunciata in modo approssimativo.

Repubblica 20.1.10
Capire il XXI secolo

Per la Treccani, Tullio Gregory ha curato un´enciclopedia in sei volumi: dalle neuroscienze al diritto globale fino alla riscoperta del passato, le voci per comprendere il nostro tempo

er il periodo appena concluso, è stata già coniata la formula di Decennio breve. Un evo corto, ma denso di ambiguità e pulsioni contraddittorie, come illustra Tullio Gregory nel presentare la nuova opera enciclopedica della Treccani. Si intitola XXI secolo, è articolata in sei volumi (i primi tre già stampati), e rappresenta un ambizioso e riuscito tentativo di tratteggiare la complessità del presente. «Un´opera unica nel panorama internazionale», spiega Gregory, direttore di XXI secolo. Una bussola per non annegare nel maremoto della contemporaneità.
Il segno prevalente del decennio breve sembra proprio l´incertezza. Entrano in crisi consolidati equilibri politici internazionali, e insieme a essi gli ordinamenti giuridici. «Tutti i parametri tradizionali, anche del nostro vivere quotidiano, sembrano mutati senza poter immaginare il più immediato futuro», dice Gregory, riferendosi anche alla pervasività dei sistemi digitali. Dalla globalizzazione del diritto alla tecnopolitica, dalla costruzione del corpo elettronico ai progressi delle neuroscienze, dai nuovi modelli di un´informazione più ampia all´innovazione delle consuetudini lessicali, l´opera cerca di tracciare una sorta di mappa dei nuovi saperi. Nello scorrere l´indice del primo volume, Norme e idee, ci si imbatte tra gli altri nei giuristi Natalino Irti e Sabino Cassese, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. A investigare paure e depressioni sono stati chiamati gli psicoanalisti Umberto Galimberti e Simona Argentieri. Dalla voce Il "classico" oggi, firmata da Luciano Canfora, abbiamo tratto un brano pubblicato in questa pagina.
Nel secondo volume, incentrato su Comunicare e rappresentare, figurano saggi sull´informazione di Ezio Mauro e Tomás Maldonado, gli studi sul linguaggio di Tullio De Mauro, Luca Serianni e Giuseppe Antonelli, nuove forme letterarie investigate da Piero Boitani e un´indagine sul "viaggio virtuale" di Alberto Abruzzese. Di taglio storico il terzo volume, con contributi di Lucio Caracciolo, Carlo Galli, Gianfranco Pasquino, Franco Cardini, Francesco Benigno, Piero Ignazi, Ilvo Diamanti e Luigi Spaventa. «Non proponiamo soluzioni, ma strumenti critici», avverte Gregory nella Prefazione. Tracce provvisorie, senza esiti prevedibili.

Repubblica 20.1.10
Impero, schiavitù e democrazia quel mondo antico così presente
di Simonetta Fiori Luciano Canfora

Certi modelli servono come veri e propri strumenti di comprensione non solo come semplici, e più o meno gratificanti, analogie
Molte delle parole chiave della nostra epoca vengono riprese nei significati che avevano per la civiltà greca e quella romana

Anticipiamo parte della voce curata da Canfora per l´Enciclopedia del XXI secolo
Può sembrare paradossale, ma la forza di attrazione dei modelli (archetipi) classici si è consolidata alla svolta tra fine del XX e inizio del XXI secolo. Chiariamo subito che per "classico" si intende qui la realtà del mondo antico greco e romano nella vasta e contraddittoria gamma dei suoi molti aspetti, non certo un´idea aristocratica o estetica di quel mondo. Nel corso del XX secolo, le guerre, le rivoluzioni, le divisioni del mondo in due "campi" contrapposti ma ancorati entrambi a visioni e valori fortemente moderni avevano favorito un arretramento dei "modelli" antichi (fatta eccezione per l´Italia fascista e per la Germania nazionalsocialista). La reazione ai fascismi e poi la cosiddetta rivoluzione culturale dei tardi anni Sessanta e degli anni Settanta del Novecento avevano inferto un ulteriore colpo. Il declino delle "rivoluzioni culturali" e poi la fine del "socialismo reale" in Europa hanno riportato in primo piano, nella discussione pubblica e nella riflessione, forme di pensiero, concetti e questioni che il "moderno" conflitto novecentesco sembrava aver archiviato.
Non è detto che vi sia ovunque piena consapevolezza di ciò, ma il fatto significativo è che le parole-chiave del mondo antico siano ora tornate centrali. Potremmo indicarne alcune per intenderne il peso: schiavitù, impero, democrazia, costituzione mista, diritto naturale, libertà. (...)
Impero. La nozione di impero è stata anche un campo di battaglia ideologico-politica. Il Novecento avrebbe dovuto essere - e in larga misura fu - l´età della liquidazione degli imperi: con la fine del primo conflitto mondiale erano finiti di colpo, insieme, almeno quattro imperi territoriali (zarista, tedesco, austro-ungarico, ottomano) e la fine del secondo conflitto mondiale aveva visto il progressivo sgretolamento dei due massimi imperi coloniali (inglese e francese), per non parlare di Olanda e Portogallo o della vicenda, in Asia, dell´ascesa e poi caduta del Giappone. Erano in realtà subentrati, e dominarono nella seconda metà del secolo, due imperi ideologici di respiro planetario: quello americano e quello sovietico. (...). Con la fine di uno dei due imperi e la vittoria propagandistica dell´altro si è determinata una situazione ancora più paradossale: grazie alla forza che è del vincitore, il quale proprio perché è tale può influenzare l´intera macchina intellettuale (dal giornale quotidiano al raffinato saggio scientifico), è diventato senso comune che impero fosse soltanto quello risultato soccombente; per converso è percepito come segno di una certa audace e anticonformistica libertà di giudizio adottare la definizione di impero americano (con tutte le ovvie implicazioni connesse con tale diagnosi). Anche qui un aiuto viene dalla rinnovata adozione di modelli antichi come strumento di comprensione del presente, non come semplici, più o meno gratificanti, analogie (...).
Democrazia. Non meno significativo il destino di un´altra parola-chiave che, così come impero/imperium, è presa di peso dalla realtà antica (greca): democrazia/demokratía. Il destino novecentesco di questa parola era stato davvero curioso. Malvista nell´Europa liberale (e ancor più nella parte più autoritaria del continente) fino alla fine del primo conflitto mondiale, essa fece irruzione nell´Europa liberale devastata dalla Grande Guerra e dall´imprevista novità della rivoluzione comunista (considerata in potenziale espansione ancora nei primi anni Venti). Così da bandiera delle "opposizioni" o comunque della parte più avanzata dello schieramento politico, essa diventò l´ancora di salvezza e la parola d´ordine dell´Occidente in posizione di contrasto frontale verso la Russia bolscevica e il (presunto e temuto) contagio rivoluzionario. (...). La fine del socialismo in Europa, culminata nella scomparsa dell´Urss, ha prodotto un effetto non prevedibile: la riappropriazione di "democrazia" come termine di battaglia, non più come vuota icona propagandistica da guerra fredda. Democrazia torna a essere una parola problematica e di combattimento, come nelle sue origini ateniesi quando era perlopiù usata come disvalore da parte dei suoi implacabili critici. (...)
Cittadinanza e libertà. (...) La democrazia ritorna come domanda imperiosa e difficilmente contenibile di cittadinanza: esattamente come nella città antica e nelle comunità statali o sovrastatali di epoca romana. La lotta intorno alla cittadinanza - e le rinnovate forme di esclusione - sono il vero oggetto di scontro pro e contro la democrazia. Ancora una volta il punto di osservazione offerto dall´esperienza di età "classica" torna utile.

Repubblica 20.1.10
Luciano Canfora
"Perché Finite le ideologie si torna a Tucidide e Socrate"

La fortuna dei classici nella cultura italiana ha l´andamento del pendolo. A stagioni di enfasi propagandistica - ad esempio, la retorica fascista - sono succedute fasi di rigetto, fino all´attuale trionfo di modelli che sembravano definitivamente liquidati nel corso del Novecento. «Oggi usiamo categorie della classicità per comprendere meglio il presente», spiega Luciano Canfora, antichista illustre incline a frequenti incursioni nell´attualità. «Un recupero, quindi, di tipo ermeneutico, soprattutto se ci riferiamo alle nozioni di democrazia o di impero. Nel caso di cittadinanza, il ricorso alla classicità non ha un valore esclusivamente analitico o cognitivo, ma si arricchisce di una valenza etica».
Ma come spiega il successo dei classici in quella che è stata definita "ipermodernità"?
«Per spiegarne la fortuna oggi bisogna tornare un po´ indietro, quando la rivoluzione culturale del Sessantotto inghiottì passato e trapassato. Finirono in soffitta non solo Tucidide e Cicerone, ma anche Foscolo e Leopardi. Esistevano soltanto i testi sacri dell´ideologia. L´impopolarità dei classici si esaurì con il Settantasette. Al principio degli Ottanta già assistemmo a una nuova fioritura di collane dedicate ai testi antichi. Allora intervennero due fattori essenziali: la crisi verticale delle ideologie del decennio ‘68-´77 e il linguaggio. L´esaurimento della ventata dogmatica ebbe come effetto il ritorno ai testi durevoli, da Omero a Sant´Agostino. E sulla fumisteria della saggistica di quella stagione prevalse la straordinaria limpidezza dei maestri antichi».
Mi sta dicendo che l´esaurimento definitivo delle ideologie novecentesche è una chiave per capire l´attuale fortuna della classicità?
«Sul finire del XX secolo abbiamo assistito al crollo non soltanto di un sistema ideologico ma di consolidati equilibri mondiali. Per una sorta di paradosso della storia, il Novecento che avrebbe dovuto essere l´età della liquidazione degli imperi si concluse con la vittoria di un solo impero. Non deve sorprendere che la politologia americana ed europea abbia sentito il bisogno di leggere la contemporaneità attraverso l´archetipo ateniese o peloponnesiaco o romano: vediamo come è andata a finire in quell´altro impero... ».
Nel suo saggio Il "classico" oggi , lei lamenta anche un recupero improprio del mondo antico.
«Sì, una frase di Tucidide fu usata a sproposito nel Preambolo (poi dismesso) della Costituzione europea. Un monito potrebbe essere: studiamoli meglio, questi classici, proprio per non aggirarci ciechi nella confusione del presente».
S.Fio.

martedì 19 gennaio 2010

Repubblica 19.1.10
Un libro-testimonianza di Carlo Petrignani sul leader del Psi
Riccardo Lombardi il socialista tradito
di Simonetta Fiori

«Un Psi così non ha motivo d´essere», disse nel giugno del 1984 all´Ergife durante il comitato centrale del partito. Era arrivato nell´albergo romano sorretto da alcuni suoi compagni, la voce bassa segnata dalla fatica. Per alcuni minuti la sala risuonò ritmicamente: Ric-car-do Ric-car-do. Quella di Lombardi si sarebbe rivelata la diagnosi più lucida e profetica del craxismo, oggi preziosa per contenere l´enfasi intorno al ex premier morto latitante.
Il caso vuole che proprio nel decennale della scomparsa di Bettino Craxi esca un libro dedicato a Riccardo Lombardi, l´ingegnere azionista che negli ultimi anni di vita denunciò con passione politica e sentimento morale il processo degenerativo innescato nel Psi dal dominus di via del Corso. Fu lui - dopo averne sostenuto nel 1976 l´elezione a segretario - a stigmatizzare i metodi craxiani con la formula del Führerprinzip. E fu sempre Lombardi, che si dichiarava a-comunista ma mai anti-comunista, a criticare quel «perverso sentimento che prende molti socialisti, quasi soddisfatti ogni volta che i comunisti rallentano il cammino della loro evoluzione in senso occidentale, nel timore che ciò danneggi il Psi. Dobbiamo invece aiutarli ad avere prospettive di governo». Fu l´ultimo suo discorso in un organismo di partito.
A ricordarne oggi la figura è Carlo Patrignani, giornalista dell´agenzia Agi e lombardiano autentico in una moltitudine di falsi lombardiani. Si potrebbe dire per Riccardo Lombardi quel che è stato scritto per Pannunzio o per Garibaldi: gli aspiranti eredi sono spropositatamente più numerosi dei veri seguaci. Essere stati lombardiani è quasi un attestato di onestà per un partito che nella storia recente ha avuto "più carcerati che ai tempi del fascismo". Con qualche cautela, però. Lombardi è stato uno dei leader più traditi e inascoltati della storia italiana. Gli scandali che travolsero il Psi non risparmiarono autorevoli esponenti della sua stessa parte, tanto che una volta Vittorio Foa gli disse scherzosamente che «avrebbe dovuto cambiare nome, poiché era ormai compromesso dalla corrente lombardiana». Nel suo libro-testimonianza - Lombardi e il Fenicottero (L´asino d´oro, pagg. 204, euro 18) - Patrignani evoca anche la tragedia personale di Lombardi quando seppe dell´iscrizione alla P2 del suo discepolo Fabrizio Cicchitto. Fu l´anziano leader socialista a pretendere la confessione pubblica del pupillo piduista. «Ingenuamente», avrebbe ricordato Foa, «chiesi a Riccardo il numero di telefono di Cicchitto, perché mi era venuto in mente di telefonargli. Lombardi un po´ stizzito mi disse che Cicchitto aveva detto la verità solo perché egli stesso gli aveva imposto di farlo. Non gli pareva proprio il caso che gli facessi quella telefonata».
Siciliano di Regalbuto, classe 1901, ingegnere di ingombrante statura e forte pensiero, Lombardi era stato tra i più attivi dirigenti di Giustizia e Libertà e poi uno dei fondatori del Partito d´Azione, quella formazione che ancora oggi - a distanza di quasi sette decenni - riesce a essere indigesta alla politica italiana (il più recente detrattore è stato Massimo D´Alema). Il dopoguerra lo vedrà membro della Costituente, anche ministro (riluttante), appassionato artefice del primo centrosinistra. Una lunga vita politica e sentimentale non priva di traversie. Il libro ha il merito di sottrarre dalla penombra l´affascinante figura della compagna, Ena Viatto, che con lui condivise la passione politica e la militanza antifascista, fin nelle sevizie dei carnefici. «Io sono comunista, ignorante, dogmatica, intransigente», così si racconta Ena al momento dell´incontro con Lombardi. «Riccardo è colto, crociano e marxista, tollerante e permanentemente disponibile alla discussione». Era una coppia molto unita, anche eccentrica, lontana dalle convenzioni. Lei lo chiamava ironicamente il "Socrate del Pritaneo del Psi". Una battuta che col tempo - col crescere delle defezioni dei discepoli - avrebbe acquistato un sapore amaro.

il Fatto 19.1.10
Bonino: chi l’ha vista a Porta a Porta?
risponde Furio Colombo

Caro Furio, Emma Bonino finalmente invitata a “Porta a Porta” (dove i Radicali non sono mai stati richiesti) ha rifiutato. Ha fatto bene?
Lucia, Roberta
CI SONO due discorsi in uno nelle due righe della lettera. Uno è il caso unico dei talk show politici italiani. L’altro riguarda “Porta a Porta”. Il caso unico dei talk show italiani può essere riassunto così. In essi tutto è previsto, ed è previsto non solo nell’ambito di ciascuna programmazione a ciascuna rete, ma nell’insieme della Rai. Il caso dei Radicali ci serve per capire. Non è che quel gruppo di disturbatori professionali (definizione frequente in Rai dei Radicali) sia escluso di qui per essere incluso di là. No. E’ escluso sempre e dovunque. Volendo essere un po’ più attenti si potrebbe compilare una lista di persone non ignote, non irrilevanti, e non prive di cose da dire che non vedrete né a “Ballarò”, né ad “Annozero”, né a “Porta a Porta”. Dunque il sistema Rai includi/escludi (sempre gli stessi in un gruppo, sempre gli stessi nell’altro) fa nella nostra azienda di Stato un caso unico. Stranamente la commissione di Vigilanza, nonostante la qualità di persone come Sergio Zavoli, tollera che una situazione del genere ci sta e perduri. Ma veniamo a “Porta a Porta”. E’ condotto da un abile professionista che ha scelto di essere il Mago Silvan del giornalismo televisivo italiano. In “Porta a Porta” compari o scompari a seconda che tu sia o no membro del club dei meritevoli (che va dai vertici dello Stato ad alcune signore più o meno rispettabili, più o meno sboccate). E ciò che succede alle persone vale anche per i temi, scelti in evidente armonia con i potenti del momento. Quei temi sono annunciati da grandi immagini e parole sul fondo dello studio (posizione dominante) e cambiano come rispondendo ad una regia esterna alla regia televisiva, in tempo reale, cioè durante la registrazione. Già, quanti italiani sanno che “Porta a Porta” è un programma pre-registrato? Emma Bonino ha fatto benissimo. Dicendo “NO” ha allargato la sua immagine e diminuito un po’ quella dei frequentatori abituali.

il Fatto 19.1.10
Bonino contro Binetti, una scelta facile
Voi del Fatto avete dato un altro ottimo motivo (se ce ne fosse stato bisogno) sul perché Emma Bonino debba vincere le elezioni regionali nel Lazio: e cioè che finalmente la senatrice Binetti esca da questa sua ambiguità, che le è evidentemente connaturata, e decida di fare il salto finale, verso quel centro (?) che meglio le si addice. Non comprendo francamente questo comportamento della Binetti: lo trovo assurdo e ingiustificato. Come si può sperare così apertamente che un partito (il proprio partito) perda? Ma se la brava e capace Emma Bonino, che più volte ha dimostrato competenza e voglia di fare, specie se al pari delle arance di Rosarno che marciranno sui rami, lasceremo le persone per strada abbandonate a se stesse, in balia di questa crudele insensatezza.
Grazie e buon lavoro a tutta la redazione. Cecilia Bernardini

Corriere della Sera 19.1.10
Ferrara alla guerra contro la Bonino “E continuerò”
La radicale: Malato
di M. Giu.

La Bonino a Roma è il diavolo nell`acqua santa»

Una «pallona gonfiata», «intollerante», «collerica», «prepotente», fatua», «abortista sfegatata», «cercatrice di cariche», «lobbista laicista». Un «disastro di donna» e di personalità pubblica, «sopravvissuta in Parlamento nel listino dei ripescati del Pd». E non è ancora tutto perché Emma Bonino, come la descrive sul Foglio il direttore Giuliano Ferrara, è anche «un ufficio stampa ambulante», una «dissimulatrice» che rappresenta «il peggio» dei radicali, dell`Italia e della politica. E persino «una pazza», sulle cui spalle l`elefantino Ferrara getta il peso dei «cinque milioni di italiani non nati negli ultimi trent`anni, anche per colpa della sua predicazione abortista». 
Non è la prima volta che, dallo stesso pulpito di centrodestra, cioè il quotidiano di cui è azionista Veronica Lario, piovono insulti a raffica contro la leader radicale. E non sarà l`ultima. «Ne scriverò altri cento di pezzi così - annuncia Ferrara - perché la detesto». Il direttore ha sguinzagliato i giornalisti del Foglio in tutte le province del Lazio, gli inviati di Ferrara andranno nelle chiese e parleranno con i fedeli e con i parroci, col preciso mandato di montare l`«orripilante caso Bonino». Sarà una inchiesta «oggettiva» promette il direttore, Ferrara che nell`articolo di ieri «Il caro Bersani non è adatto alla guida del Pd. Vedi il caso Bonino» - ammette di sbagliare i toni: «Sicuramente dovrebbero essere abbassati». L`offensiva è partita il 14 gennaio quando Ferrara, rispondendo a una lettera del senatore pd Lucio D`Ubaldo, ha sfornato il primo «pacato giudizio» sulla candidata di centrosinistra: «Detesto Emma Bonino, spero che perda le elezioni... È una innamorata di sé, dall`insopportabile accento vittimista» e via insultando. E ieri, il seguito. Lei, Emma, ci è rimasta male. Nel merito dei «complimenti» preferisce non entrare, si limita a dire che «Ferrara dev`essere malato», forse ha avuto «un travaso di bile, pazienza per lui». Una questione personale? «Per quanto mi riguarda no, l`avrò visto una volta in vita mia». La stessa domanda, rivolta a Ferrara, produce la risposta opposta: «Questione personale, certo. La Bonino non dica fregnacce, sarà venuta una decina di volte in trasmissione da me. Se non se lo ricorda, vuol dire che è completamente pazza». Ma perché ce l`ha tanto con lei? «Per me l`aborto è un omicidio è la Bonilio è una abortista sfegatata». E, da «vecchio comunista», Ferrara si scaglia con altrettanta veemenza contro il leader del Pd: «Bersani è un folle ad aver accettato il ricatto "o me o ciccia

Il Sole 24 Ore 19.1.10
Con Bonino per il Pd più profitti che danni
di Piero Ignazi

Stran destino, come sempre del resto, quello dei radicali. In occasione delle elezioni del 2008 la tormentata contrattazione per il loro ingresso nelle liste del Pd divenne la cartina di tornasole della
capacità di "aprirsi" del Pd. La loro esclusione avrebbe significato che il partito di Veltroni era oligarchico, chiuso, autoreferenziale e non sapeva cogliere le espressioni meno irregimentate
della società civile (di cui si ritenevano i radicali espressione). Alla fine, con il plauso di tanti osservatori, l`accordo si fece. Quella scelta di integrazione così forte - non un apparentamento ma l`immissione diretta dei radicali nelle liste democratiche - non sollevò particolare sconcerto tra le fila dei cattolici del Pd. Qualche mugugno ma nulla più. Ben diversa fu la reazione delle gerarchie ecclesiastiche che tuonarono contro la presenza di anticlericali, divorzisti, filoabortisti e quant`altro. Di conseguenza, come dimostrato dalle indagini post elettorali di Itanes, i cattolici si spostarono in massa verso altri lidi, soprattutto l`Udc. Oggi, nel Pd, di cattolici non ne sono rimasti molti. C`è sì molto ceto politico, entrato nei vari organismi di partito e nelle assemblee rappresentative grazie ai
dosaggi contrattati al momento della nascita del partito. Ma elettori e militanti cattolici sono
ormai ridotti a una piccola schiera. Per questi motivi - la fanfara suonata all`ingresso dei
radicali nel 2oo6 e la successiva liquefazione del serbatoio elettorale e militante cattolico - è
paradossale e quasi incomprensibile il fuoco di sbarramento alzato contro la candidatura di
Emma Bonino alle regionali del Lazio. Le due maggiori critiche sono infatti contraddittorie o inconsistenti. Prima critica: la candidatura è venuta dall`esterno, anzi è stata addirittura "imposta";
e il Pd l`ha subita. E quindi il Pd è un partito debole e facilmente penetrabile. C`è da scommettere che se invece la proposta fosse stata respinta, gli stessi critici avrebbero usato un argomento di segno opposto: il Pd è un partito chiuso, settario, insensibile alle voci non allineate e così via. Insomma,
ogni opzione non andava bene, "a prescindere". Seconda critica: allontana l`elettorato cattolico.
Ma come il caso Marrazzo insegna, i candidati espressione dell`ambiente cattolico non garantiscono comportamenti in sintonia coni valori dichiarati. Le persone di fede apprezzano certamente di più chi dichiara a viso aperto di avere riferimenti culturali diversi, ma anche grande sensibilità verso le posizioni più lontane`da sé, come tutta la storia dei radicali dimostra, rispetto a chi si dichiara
allineato al mainstream confessionale e poi fa tutto altro. Se quindi i radicali andavano bene
nel 2008, non si capisce perché siano diventati il diavolo due anni dopo.
Infine, si dimentica che esiste un elettorato di sinistra radicale, assai più ampio di quello cattolico potenzialmente orientato verso il Pd, che rappresenta il vero bacino di riserva del partito di Bersani. Questo elettorato può essere recuperato dalla candidata radicale, mentre quello cattolico è ingran parte disperso anche perché i valori di riferimento dei "cattolici democratici" sono marginali
nella chiesa ratzingeriana. Il caso Bonino ha messo in luce, una volta di più, la difficoltà del Pd a far convivere tradizioni culturali diverse in assenza di riflessioni degne della sfida; ma offre anche l`opportunità, proprio per il profilo della candidata, per una discussione vera su temi alti, dalla bioetica a stili e scelte di vita diversi da quelli codificati dalla religione e dalla tradizione, dal multiculturalismo alle nuove povertà, dall`anomia urbana alla sviluppo ecologicamente sostenibile.

il Fatto 19.1.10
L’Italia non li vuole, l’Europa pensa a come integrarli meglio
Olanda e Germania: potenziare la presenza di stranieri nel pubblico impiego. Mentre in Francia si apre il dibattito sul voto

Beninteso, al di là delle Alpi non è il Bengodi per gli immigrati e in molti paesi l’estrema destra esprime una preoccupante vitalità, dimostrata anche dall’esito delle urne alle europee dell’anno scorso. Ciò detto, il resto dell’Europa riflette, legifera e dibatte sui nodi dell’immigrazione con un pragmatismo e con parametri lontani anni luce rispetto al populismo leghista che sorregge Palazzo Chigi e i relativi megafoni televisivi. Per intenderci, se in Italia un leader del centrodestra come Fini, quando usa il termine “integrazione”, viene trattato come un matto da confinare attraverso assalti e minacce mediatiche, altrove incarnerebbe un diffuso sentire politico bipartisan. L’esempio più recente arriva dal centrodestra tedesco, e non da un marginale dissidente, bensì da una ministra. Si tratta della cristiano-democratica Maria Böhmer, che ha proposto un potenziamento della componente di origine straniera nel settore pubblico, in modo da avvicinare la proporzione “etnica” dell’amministrazione al quinto della popolazione di origine non tedesca nel paese. “Nessuna quota normativa”, ha poi precisato la ministra, solo un atto di indirizzo nei reclutamenti burocratici. Ma ancor più interessante della proposta in sé è stata la successiva reazione nel mondo politico e tra gli operatori. Qualche obiezione sulla fattibilità concreta, nessuna replica isterica (a eccezione di qualche circolo neonazista) tipo “la Germania ai tedeschi” o men che meno, nonostante la struttura federale, “via i non-bavaresi dalla Baviera”. E tanti i sì entusiastici, a cominciare dal presidente dell’Associazione degli insegnanti Kraus e dal leader del sindacato di polizia Freiberg. La ragione è scontata: mentre a viale Trastevere si fissano tetti per limitare il numero di stranieri nelle scuole con l’apparente obiettivo di evitare classi-ghetto, in Germania si pensa che l’impiego degli stranieri faciliti sia l’integrazione sia il lavoro dell’amministrazione stessa. In altre parole: non si discute più se la società debba o meno essere multietnica. Si è preso abbondantemente atto che così è, e così oltretutto è bene che sia. Non fosse altro che per garantire le necessità di manodopera e di equilibrio previdenziale.
E dove a governare è la sinistra, la sinistra fa la sinistra. I laburisti e i verdi del municipio di Amsterdam hanno proposto un piano per elevare la proporzione degli immigrati nell’amministrazione locale dal già discreto 21 per cento al 27 entro l’anno prossimo. Le opposizioni protestano, e obiezioni si levano anche nella maggioranza perché si tratterebbe di fatto di bloccare le assunzioni degli olandesi. Il concetto di favorire le assunzioni degli stranieri è del resto norma nazionale, ribadita nel tempo dai governi di ogni orientamento, ad esempio assegnando loro il posto, a scapito degli “autoctoni”, in caso di punteggio di parità nei concorsi. E quando la sinistra sta all’opposizione non attende che a muoversi sia la destra, e la incalza di proposte concrete. In Francia si discute in questi giorni del rilancio della Aubry. La leader socialista ha presentato una proposta di legge per il voto amministrativo agli immigrati. Una decina d’anni fa, quando i socialisti governavano, un’ipotesi analoga era stata affossata e tuttavia il dibattito è nel frattempo maturato. I toni rimangono accesi, ma non c’è una vera frattura ideologica, al di fuori dell’estrema destra del Front National, sicché perfino il presidente Sarkozy si è detto disponibile mentre una netta maggioranza dei francesi, secondo gli ultimi sondaggi, risulta favorevole. “Peggio di noi solo l’Uganda”, ironizzava Gaber. E questo non riguarda solo la retrograda verbosità della nostra classe politica, ma anche le norme. In Francia, Regno Unito, Svezia, Irlanda, Paesi Bassi e perfino a Malta bastano ad esempio cinque anni di residenza per ottenere la cittadinanza, e solo la Grecia ha una legislazione altrettanto restrittiva dell’italiana in materia. Del resto la stessa Atene, maglia nera europea in materia di trattamento dei migranti e di richiedenti asilo, sta lavorando a un allentamento del proprio filo spinato giuridico.

Repubblica 19.1.10
L’eversione ereditaria
di Benedetta Tobagi

Le Br non coltivarono un sogno generoso di giustizia sociale ma un progetto fondato su una realtà distorta
Ragazzi come Manolo che hanno dovuto confrontarsi con genitori che hanno ucciso o aiutato ad uccidere persone innocenti

Sembra una storia uscita dalla penna di uno scrittore in crisi. Letta in un romanzo parrebbe finta, forzata.

Manolo Morlacchi, il non più giovane figlio di due ex brigatisti, è stato arrestato ieri in relazione a un´inchiesta sulle nuove Br.
Il primo istinto è la cautela: troppe volte in Italia si sono sbattute in prima pagina le storie di presunti colpevoli, specialmente in materia di terrorismo.
Poi c´è la tentazione, assai rischiosa, di enfatizzare l´apparente ineluttabilità del destino familiare: come se ci fosse un´automatismo, quasi una tara ereditaria, per cui i figli debbano ricalcano le orme e gli errori dei padri. Non è così semplice. Basti pensare che per un Morlacchi arrestato, dietro agli ex terroristi ci sono più spesso storie di famiglie distrutte, genitori spezzati dal dolore, figli sofferenti, a volte vicende di tossicodipendenza, di disagio psichico. Ragazzi che lontano dai riflettori hanno dovuto confrontarsi con genitori che hanno ucciso o aiutato a uccidere persone innocenti, con tante esperienze traumatiche, dolorose.
La vicenda di Morlacchi fa riflettere su una questione assai più complessa: la costruzione dell´identità in rapporto alla memoria.
Si parla molto, di "memoria", ma scarseggiano le riflessioni sull´uso di questa parola. Come tutte le cose umane, essa porta con sé rischi e ambivalenze. I brigatisti, ad esempio, avevano un vero culto della memoria, che si palesava nella scelta dei nomi. La colonna milanese ad esempio era intitolata al ventenne Walter Alasia, caduto nel 1976 sotto i colpi della polizia dopo aver ucciso i poliziotti Bazzega e Padovani. Ucciderà fino al 1981. Il filosofo Tzvetan Todorov mette in guardia rispetto al rischio di "abusi" del ricordo, e distingue tra una memoria che foraggia la sete di vendetta e una memoria viva, che dialoga col presente e serve alla costruzione del futuro.
Morlacchi ha scritto un libro insieme memorialistico e documentale sulla storia dalla sua famiglia, che fa molto riflettere. Racconta il radicamento delle organizzazioni armate in alcuni quartieri di Milano, come il Giambellino: un fenomeno determinante nel permettere al brigatismo di sopravvivere a lungo nelle grandi metropoli industriali, di cui si parla poco e malvolentieri, perché costringe a guardare al fatto che i brigatisti non furono dei marziani o dei pazzi sanguinari, ma vissero, a lungo tollerati, a volte anche aiutati, nelle fabbriche e nella nostra società. Porta a confrontarsi con pagine scomode come la realtà, spesso inumana, delle carceri. Fa riflettere su eccessi e abusi compiuti anche delle forze dell´ordine, che offuscano innanzitutto la memoria dei tanti servitori dello stato che sono stati uccisi.
Però, il libro di Morlacchi fa anche rabbrividire. Si intitola proprio "La fuga in avanti". Sottotitolo: "La rivoluzione è un fiore che non muore". Rende omaggio alla "ispirazione rivoluzionaria" dei genitori, alla loro "pratica militante" contro la "deriva riformista". Come se il figlio non conoscesse la storia del movimento operaio in Italia, né avesse metabolizzato la lezione della storia (fa pensare, che sia archivista e laureato in storia) o il fatto che la scelta della violenza in Italia era intrinsecamente fallimentare. Forte l´impressione che Morlacchi sia bloccato nell´ideologia dei padri, che chiama una sorta di vendetta. Su di lui sembra gravare ancora l´ombra della dinamica del "gruppo chiuso", cruciale per comprendere il terrorismo italiano e di ogni forma di violenza, che può esistere solo se non prende in considerazione le ragioni e l´umanità dell´altro, per quanto avversario.
Ci fa rabbrividire perché noi, oggi, siamo ancora costretti a parlare di brigatisti: Pietro Ichino vive dal 2002 sotto scorta; poche settimane fa il giudice Salvini, che indaga sulle nuove Br, ha ricevuto dei proiettili in una busta. Ieri questi arresti. Residui, certo: ma hanno ucciso (nel 1999 Massimo d´Antona, nel 2002 Marco Biagi) e rischiano di farlo di nuovo. Si prendono di nuovo le pagine dei giornali. Perché c´è ancora qualcuno che non si è reso conto che in Italia non è mai esistita una situazione prerivoluzionaria, e tantomeno esiste ora. Che il terrorismo brigatista ha provocato troppi lutti inutili, privando il paese di intelligenze e professionalità che avrebbero potuto contribuire a renderlo migliore. Che la "fuga in avanti" dei terroristi nel corso degli anni Settanta ha inasprito la repressione, ha ristretto gli spazi d´espressione per il dissenso. Ha distrutto senza costruire nulla.
Le Br non coltivarono un sogno generoso di giustizia sociale, ma un progetto eversivo, fondato su una lettura totalmente deformata della situazione storica, che si è nutrito della rabbia e della disperazione di molti studenti, lavoratori e operai. Giovani e meno giovani. Per questo, Pertini disse nel 1980: «Il terrorismo si combatte rendendo la società più giusta». La classe politica, impegnata a fronteggiare l´emergenza, ha trovato anche grazie ai terroristi alibi per non occuparsi a fondo delle domande (non violente) di giustizia sociale e di maggior trasparenza che venivano dalla società. La cecità dei brigatisti ha oggettivamente danneggiato e rallentato lo sviluppo del paese da molti punti di vista. Altro che rivoluzione.
Il nostro tempo ci pone di fronte a sfide imponenti, dall´integrazione delle comunità migranti allo strapotere delle organizzazioni criminali, dall´emergenza ambientale alla crisi economica e la disoccupazione che rendono più urgente una riforma del mercato del lavoro. Sfide che creano tensioni profonde nella società. La società di oggi è profondamente diversa da quella degli anni Settanta. Ma è importante rafforzare e consolidare gli anticorpi – politici, sociali, culturali - per prevenire il rischio che qualche frangia, seppur minoritaria, prenda ispirazione dall´azione "mitizzata" dei brigatisti, uccidendo ancora e dirottando l´attenzione e le risorse della società dai temi più urgenti.
La filosofa Hannah Arendt dice che non si può ricordare ciò a cui non si è pensato, ciò di cui «non si è parlato a lungo con se stessi», un pensiero che però si apre al confronto con la realtà, si innerva nella vita della polis. La storia di Morlacchi porta a riflettere su quanto è importante che ogni memoria relativa a tragedie collettive che hanno lasciato lacerazioni profonde, come il terrorismo, si apra al confronto con l´esterno. Ci invita tutti a raccogliere gli spunti di riflessione offerti dalla storia della famiglia Morlacchi, così da creare anticorpi per la rabbia che essa ancora trasmette. Solo se sapremo ripensare alla complessità, alle domande e alle contraddizioni che essa ci mette davanti agli occhi, possiamo cercare di disinnescare le pulsioni violente che sono endemiche alla società, e prevenire il rischio che qualcun altro, oggi – perché si sente arrabbiato, disperato, senza futuro - possa ancora credere che l´incubo brigatista è stato un sogno.

il Fatto 19.1.10
Rosarno, l’Europa suicida
di Lluis Bassets

E’ in Calabria il terreno di coltura che fa crescere l’intolleranza: uno Stato assente, corrotto e privatizzato. E una incessante pioggia mediatica fatta di anti-progressismo e occidentalismo mascherato da universalismo.

Una volta ancora l’Italia indica la strada. Lo ha fatto spesso per il meglio, come nel caso del Rinascimento. Talvolta lo ha fatto per il peggio, come con il fascismo. E adesso ci risiamo con la violenta espulsione da Rosarno, in Calabria, della comunità di immigrati dopo gli scontri tra i locali e i braccianti agricoli africani. Il rifiuto dell’altro, la fobia dello straniero e il razzismo non sono monopolio di nessuno: partiti post-fascisti, iniziative xenofobe e leggi repressive proliferano da Vic, in Catalogna, fino a Copenaghen. Ma l’“avanguardismo” italiano, facilitato dalla miscela tra la cinica politica degli interessi affaristici e le ideologie intransigenti che predicano l’esclusione, ha partorito una delle leggi più severe d’Europa contro gli immigranti e un livello di tutela degli stranieri da parte dello Stato che è tra i più bassi del continente.
Le cose vanno peggio proprio là dove lo Stato si ritira lasciando un vuoto che viene colmato dalla criminalità. Il contesto non è soltanto di resa del governo in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di rispetto della legalità.
La Calabria ha il record dell’evasione fiscale ed è, al tempo stesso, una regione sovvenzionata dal denaro pubblico e corrosa dalla corruzione. Non si tratta del “meno Stato” di thatcheriana memoria, bensì di uno Stato privatizzato e intrecciato inestricabilmente con il potere economico di Silvio Berlusconi, occupato in questi giorni, come durante tutta la sua lunga permanenza alla guida del governo, ad evitare i processi e ad ottenere l’immunita’ mentre i suoi alleati della Lega nord si dedicano a tradurre in pratica e a diffondere le loro idee radicali sull’immigrazione.
La pessima situazione dell’economia e l’aumento del tasso di disoccupazione sono benzina sul fuoco, ma non debbono ingannarci. Il problema centrale che l’Europa deve affrontare consiste nella costruzione di un modello efficace, rispettoso e civile di integrazione degli immigrati, un modello che consenta di assorbire la manodopera necessaria per mantenere i livelli di benessere, i valori e gli stili di vita e soprattutto il welfare, lo Stato sociale. E’ questa la sfida che si trova a dover affrontare un mondo che cambia e che nei prossimi quarant’anni vedrà ridurre in maniera drastica il peso dell’Europa rispetto al resto del pianeta, sia sotto il profilo demografico sia per quanto concerne il Prodotto interno lordo per non parlare della sua capacità di iniziativa politica già fortemente condizionata dalla sua proverbiale indolenza.
Questo mese, la Cina ha superato la Germania come primo paese esportatore e gli Stati Uniti come primo mercato automobilistico del mondo. Nel corso del 2010 potrebbe superare il Pil del Giappone diventando la seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti. Nei prossimi quattro decenni l’Europa perderà in misura significativa peso, ricchezza e potere non solo in rapporto alla Cina, ma anche nei confronti di Brasile e India. Secondo le previsioni di Felipe González, nel quadro delle sue riflessioni sul futuro del continente, per mantenersi a galla, a partire dalle nostre economie e dal nostro modello sociale, l’Europa entro il 2050 avrà bisogno di almeno 70 milioni di lavoratori immigrati oltre a quelli già presenti nei vari paesi del continente.
Al cospetto di queste radicali trasformazioni, la reazione, non esattamente spontanea, dei cittadini europei è di tipo conservatore e difensivo: dinanzi alla perdita di peso e di centralità e al cospetto del pluralismo e della diversità, ci trinceriamo dietro l’identità e l’ideologia. La lista è lunga: il referendum svizzero contro i minareti, il divieto francese del velo nelle scuole, il discorso di Ratzinger a Ratisbona, l’ascesa dei partiti xenofobi, le modifiche apportate alle leggi in materia di asilo e immigrazione o la ostilità francese e tedesca all’ingresso della Turchia nella Ue. Come risultato, l’immagi di una Europa-fortezza, che espelle e criminalizza gli immigrati, si va diffondendo in tutto il resto del mondo più di quan- occidentale. In questo modo to si possa percepire in Europa.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla vulgata progressista, il suicidio dell’Europa non è la traduzione in pratica di un progetto di estrema destra. O, quanto meno, non solo. Questo pericolo trova terreno fertile nelle tensioni e nelle difficoltà di cui soffrono prevalen- di temente i più dimenticati: in Calabria è in corso anche una guerra tra poveri. Dai quartieri delle periferie francesi “lepenizzate” fino ai disoccupati calabresi manipo lati dalla ‘Ndrangheta, la vera base sociale del populismo e delle pestilenze nere è costituita sempre dai meno favoriti. E una incessante pioggia mediatica fatta di anti-progressismo, scorrettezza politica e occidentalismo mascherato da universalismo.
In fin dei conti gettiamo alle ortiche i valori autenticamente europei, le idee dell’Illuminismo che sono state sinora il fattore trainante della modernità occidentale. In questo modo prima perderemo l’anima, poi perderemo tutto, compreso lo Stato sociale.

Repubblica 19.1.10
I cittadini invisibili
di Nadia Urbinati

Su Repubblica di alcuni giorni fa, Roberto Saviano ha detto che gli immigrati di Rosarno sono stati coraggiosi contro i clan,«più coraggiosi di noi» (italiani). Coraggiosi lo devono essere perché non hanno nulla da perdere se non quel poco che riescono a mettere insieme per spedire a casa e per sopravvivere in qualche modo qui. Perché abituati a essere sempre a rischio, senza reti protettive alcune: non le autorità del governo dal quale fuggono (e che spesso li perseguita), non la legge del paese dove lavorano che gli è spesso nemica come troppe volte gli sono nemici gli abitanti del paese straniero, per i quali lavorano per un pugno di centesimi e dai quali sono visti come a metà tra il bestiale e l´umano. Gli immigrati sono clandestini anche quando formalmente non lo sono perché la loro clandestinità è rispetto alla società e alla cultura del Paese dove lavorano, non solo rispetto alla legge. Clandestini in senso totale: per la legge sono non esistenti e la loro invisibilità dà agli italiani una sorta di visto per impunemente sfruttarli, ingiuriarli, maltrattarli; essendo fuori della norma sono alla mercé di tutti, «nuda vita» come direbbe Giorgio Agamben.
Questa radicalità li mette, che lo vogliano o no, naturalmente faccia a faccia con i loro equivalenti nostrani di clandestinità: quegli italiani di ´ndrangheta, mafia e camorra che prosperano anche grazie alla clandestinitá formale e civile degli stranieri. Forza contro forza, benché, come abbiamo visto a Rosarno in questi giorni di ferro e fuoco, a perdere sono i clandestini non i fuorilegge nostrani; a perdere sono i piú deboli e piú esposti in assoluto, coloro che la legge dichiara perseguitati e verso i quali non resta indifferente né si fa tollerante.
Eppure, quando alzano la testa, quando rivendicano nelle forme della forza –poiché non ne hanno altre visto che la legge non consente loro voce e visibilità civile – il poco salario in nero e di fame che gli é stato promesso, quando sfidano i prepotenti dell´illecito lo fanno a viso aperto, ignari delle pratiche omertose: la loro violenza, certamente ingiustificata come deve esserlo sempre in una societá che è civile, è un grido di accusa alla nostra democratica Italia. Poiché la loro condizione di radicale e totale sfruttamento ingrassa i nemici della legge e della societá civile. Quegli immigrati dovrebbero essere visti come amici della democrazia, se non altro perché mostrano con tremenda efficacia quanto grave sia l´affare dell´illecito nel nostro paese – un affare che trasmigra dalle terre d´origine e giunge come abbiamo visto in questi giorni nella Pianura Padana, in Emilia-Romagna. L´illecito travolge gli argini. È questo il pericolo che ci deve fortemente preoccupare e che la disperata reazione degli immigrati mette in luce.
Le vicende di Rosarno riportano alla mente le lotte di Giuseppe Di Vittorio contro il caporalato, la tratta dei bambini e delle donne nelle campagne del Tavoliere. Anche allora la sfida era tra legalitá e illegalitá. Di Vittorio era pugliese e a sette anni e mezzo giá bracciante; a dodici si trovó coinvolto in una sparatoria della polizia nella quale morí un suo coetaneo, Ambrogio, durante una dimostrazione di braccianti che chiedevano un salario, non un pugno di soldi. Di Vittorio non combatteva per eliminare gli avversari ed era contro la violenza; combatteva per cambiare le relazioni sociali e le regole. I suoi avversari erano gli affaristi dell´illecito, coloro che non si facevano scupoli di ricorrere alla violenza per contrastare l´unione sindacale dei braccianti, ovvero la trasformazione del conflitto da ribellione violenta (che giustificava la repressione) a contestazione civile: poiché, allora come oggi, operare sotto la legge implicava rendere pubblico ciò che per profitto dei clan doveva restare sommerso e invisibile.
I braccianti che organizzò Di Vittorio vivevano come topi in tuguri malsani e scioperavano per una razione extra di «acqua salsa» con la quale bagnare il pane secco. Erano gli antenati naturali dei clandestini di oggi. Con una differenza che rende l´emergenza di oggi piú grave e preoccupante: poiché se a caricare e a sparare sui braccianti erano allora la "guardia regia" o i carabinieri della repubblica, oggi sono i cittadini stessi, manipolati spesso da una propaganda che ha avuto addirittura ispiratori in partiti che governano il Paese; una propaganda che come un vento pestilenziale è capace di generare terribili cose dove la via della legge è giá di per sé molto impervia e spesso collassata. Di Vittorio aveva compreso che la lotta contro il caporalato e l´illecito era imprescindibile non solo o tanto per i cafoni del Sud, ma per la democrazia italiana; poiché il sistema che sostiene il caporalato è nemico totale del governo della legge, senza possibilità di compromessi, e perché alimenta un sistema affaristico che non conosce frontiere regionali.

il Fatto 19.1.10
La notizia alla vigilia delle primarie
Caos Puglia Indagato Vendola
Alla vigilia delle primarie, accuse di concussione per il governatore nella gestione della sanità pugliese
Il governatore è sotto inchiesta per concussione nello scandalo della malasanità pugliese. E domenica c’è il voto per scegliere il candidato del centrosinistra
di Antonio Massari

Sulle elezioni regionali in Puglia piomba il macigno che in tanti s’aspettavano: il governatore Nichi Vendola è indagato per concussione. L’indiscrezione circola da settimane, da quando un rapporto dei carabinieri aveva ipotizzato, per il governatore pugliese Nichi Vendola, un coinvolgimento nelle inchieste sulla malasanità.

Sulle elezioni regionali in Puglia piomba il macigno che in tanti s’aspettavano: il governatore Nichi Vendola è indagato per concussione. L’indiscrezione circola da settimane, da quando un rapporto dei carabinieri aveva ipotizzato, per il governatore pugliese Nichi Vendola, un coinvolgimento nelle inchieste sulla malasanità. Ieri l’indiscrezione ha trovato le prime conferme e, com'è ovvio, condizionerà le primarie previste per domenica, che vedono Nichi Vendola sfidare il candidato del Pd Francesco Boccia. Per la conferma definitiva, bisognerà aspettare oggi, poiché la Procura, sull'argomento, ha sempre tenuto un profilo netto, di riserbo assoluto. Anzi, più che di riserbo, bisogna parlare di nette smentite: il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, circa un mese fa, aveva negato l’iscrizione di Vendola nel registro degli indagati. Intervistato dai giornalisti, dopo lo scoop di Libero che, per primo, aveva divulgato l’informativa dei carabinieri, destinata alla procura di Bari, nella quale figurava il coinvolgimento del governatore nell’inchiesta sulla sanità, dichiarò che Vendola non era sotto indagine. Negò l’iscrizione, ma non la sostanza dell'informativa. E l’atto, secondo le indiscrezioni, è stato poi firmato, come atto dovuto, proprio dopo la segnalazione ricevuta, in procura, dalle indagini svolte dall’Arma.
La vicenda, come vedremo, riguarderebbe l'interessamento di Vendola nella nomina di alcuni primari. Di certo, c'è che il pool che indaga sulla sanità, organizzato da Laudati poco dopo il suo insediamento a capo della procura di Bari, ha impresso un’accelerata al proprio lavoro. Nella scorsa settimana, in una sorta di uno-due, sono stati arrestati
Il Pm Digeronimo è partito dalle irregolarità emerse per i rifiuti ospedalieri diversi funzionari delle Asl, nei filoni che più da vicino riguardavano il “re delle protesi” pugliese Gianpaolo Tarantini e l'ex direttore generale della Asl di Bari, Lea Cosentino. In diverse intercettazioni, inoltre, sono venuti fuori i nomi di assessori regionali della giunta Vendola, nessuno dei quali indagati, e la percezione è stata precisa: la morsa della procura si sta stringendo sempre più intorno alla gestione della sanità pugliese gestita dal centrosinistra.
L'inchiesta che vede Vendola indagato, però, condotta dal pm antimafia Desireè Digeronimo, parte da lontano, ovvero dalla gestione dei rifiuti e dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Indagando sullo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, infatti, la Digeronimo approda alle presunte irregolarità nell'amministrazione della sanità regionale. Dopo una lunga serie di intercettazioni e di interrogatori, resta impigliato nelle indagini l'ex assessore Alberto Tedesco, prima indagato, poi dimissionario, infine nominato senatore del Pd. La pm – che oggi condivide il fascicolo con Francesco Bretone e Ciro Angelillis – dopo aver acquisito una grande mole di atti, delibere, bilanci regionali e di partito, in questi giorni ha anche interrogato l'attuale assessore alla sanità Tommaso Fiore, non indagato, e pare che la sua indagine sia ormai alla stretta finale.
La posizione del governatore riguarda un presunto accordo, ricercato con politici e dirigenti della Regione, per la nomina di alcuni medici ai vertici di aziende sanitarie.
Fatti che risalgono al 2008. In particolare, l’attenzione dei pm baresi, s'era concentrata su alcune telefonate con l'ex assessore Alberto Tedesco. Nel corso di una telefonata, per la precisione, si discuteva della nomina di un professionista di fama mondiale, giunto da Harvard, per la guida del reparto di Neurologia all'ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti. Sull’argomento, peraltro, Vendola fu ascoltato a novembre, dal pm Digeronimo, nella procura di Bari, come persona informata sui fatti. La nomina del primario, Giancarlo Logroscino, non andò comunque in porto. E proprio Vendola, nelle intecettazioni captate dalla procura, cercava di comprendere se, nella vicenda, avesse avuto un peso il ruolo di Tedesco, al quale chiedeva se fosse contrario alla nomina. Tedesco rispose che non si occupava direttamente delle nomine e che, comunque, avrebbe cercato di comprendere meglio la situazione. Vendola, infatti, non riusciva a capacitarsi dell'esclusione di Logroscino, in quanto ritenuto un luminare di fama mondiale. In altre telefonate con Tedesco, poi, Vendola chiedeva delucidazioni sulla situazione dell'istituto Zooprofilattico di Foggia. C'è da chiedersi, ora, quali ripercussioni avrà l'iscrizione di Vendola nel registro degli indagati, proprio nei giorni in cui è partita la corsa per le primarie pugliesi. Soltanto sabato, infatti, era stato sciolto il nodo delle primarie: nell’assemblea regionale del Pd, che ha visto la partecipazione di Massimo d'Alema, il nome di Francesco Boccia era stato prescelto per gareggiare con Vendola nella sfida del gradimento tra gli elettori del centrosinistra pugliese. Ora, sul nome di Vendola, c'è la macchia dell'iscrizione nel registro degli indagati. La lotta politica si farà senza dubbio più dura. E il governatore, oltre che spiegare il suo programma politico, dovrà dimostrare di essere estraneo ai fatti che gli contesta, ormai ufficialmente, la procura di Bari.

il Fatto 19.1.10
D’Alema: salviamo Nichi da se stesso
“Massimo D’Alema va avanti nella sua “missione”: portare Francesco Boccia alla vittoria delle primarie pugliesi.Tantoèverocheierihaapertola sua campagna elettorale a Lecce. Il Lider Maximo ne fa un problema di scenari politici: “La coalizione che elesse l'attuale presidente nel 2005, l'Unione, non esiste più in Italia e bisogna costruire una nuova alleanza che comprenda partiti fondamentali che fanno parte dell'opposizione in Parlamento, l'Idv e l'Udc, che non hanno fatto parte del governo Vendola”. Dunque, “è evidente che il problema politico di creare una nuova coalizione era aperto da tempo. Lo abbiamo detto a Vendola. Invece lui, per tutta risposta, si è autocandidato creando unalacerazioneinunacoalizioneche,se non è unita, perde le elezioni". E a proposito dell’alleanza con i centristi, che rimane una priorità: “Non c'è un patto segreto tra me e Casini, c’è la forza della politica, che poi è la forza delle cose”. Se perde Boccia in Puglia perde D’Alema? "Perde il Pd e perde, temo, la Puglia. Se perde Boccia perde anche Vendola”. Insomma, l’obiettivo sarebbe salvare Nichi da se stesso: ”Il rischio per lui più terribile è quello di vincere le primarie e di perdere le elezioni".

Repubblica 19.1.10
Uomini e donne se l'eccitazione parla lingue diverse
di Arnaldo D’Amico

Davanti a un´immagine erotica il "giudizio" espresso dai genitali maschili quasi sempre concorda con quello formulato dal cervello. Nelle femmine è vero l´esatto contrario. Lo sostiene una ponderosa ricerca internazionale che prende in esame quarant´anni di studi sul tema
Per i test 5mila soggetti Gli scienziati hanno studiato le loro reazioni davanti a film porno e foto romantiche

IL SEXY - una foto erotica, un film porno o l´audio di un rapporto sessuale - mette d´accordo la mente e il corpo nei maschi, non nelle femmine. Negli uomini sette volte su dieci il giudizio "eccitante" (o "non eccitante") è pienamente condiviso dai loro genitali dove l´afflusso di sangue aumenta (o non aumenta) mentre nei restanti tre casi su dieci apprezza o solo la mente o solo il corpo. Nelle donne succede il contrario: solo due volte su dieci gli stimoli sono accolti sia dal giudizio "eccitante" (o "non eccitante") che da un aumento del flusso di sangue e/o delle secrezioni nei genitali (o nessuna reazione); otto volte su dieci, invece, mente e corpo vanno ognuno per la propria strada: ciò che è bollato come "non eccitante" accende il basso ventre; viceversa, ciò che eccita la mente lascia indifferenti i genitali.
Sono i risultati salienti del ponderoso lavoro di un gruppo internazionale di sessuologi, coordinato dal Canada da Meredith Chivers, psicologa della Queen´s university a Kingston. Ben 132 le ricerche analizzate, selezionate tra tutte quelle condotte dal 1969 al 2007 con metodi corretti e quindi dai risultati affidabili, per complessivi 2.505 donne e 1.918 uomini sottoposti a test. Gli stimoli sessuali utilizzati nelle diverse ricerche sono stati sia «interni», chiedendo ai volontari di rievocare le proprie fantasticherie preferite o suggerendo situazioni particolari, che "esterni", ad esclusione di stimolazioni sul corpo. Attraverso la vista e l´udito le "cavie" sono state stuzzicate in ogni modo possibile: registrazioni audio di rapporti sessuali, foto e video con immagini di tutti i livelli del sexy, dal film porno hard sino alla coppia vestita che passeggia al tramonto.
Molto simili, invece, i sistemi per valutare le reazioni mentali e quelle dei genitali: in genere i soggetti dovevano tirare una leva quanto più consideravano eccitante ciò che stavano vedendo, udendo o immaginando. Oggettiva la misura dell´eccitazione del corpo: nei maschi lo strumento è stato quasi sempre una sorta di anello con sensori applicato al pene che ne registra l´aumento di diametro. Solo in una ricerca è stato usato un cilindro infilato e sigillato intorno al pene, ripieno di gas sotto pressione. L´aumento di volume del pene fa defluire il gas in un secondo cilindro che misura la quantità di gas espulsa, e con che velocità. Per le donne è stata invece usata quasi sempre una sonda tipo assorbente interno che rileva l´aumento del flusso sanguigno e/o delle secrezioni. In altri casi una clip termosensibile che misurava l´aumento di temperatura delle piccole labbra da sola o in aggiunta alla sonda.
Oltre alla dissociazione mente-corpo delle donne di fronte al sexy, la Chivers ha individuato altre differenze e similitudini tra i due sessi. Il film porno eccita di più mente e corpo sia di uomini che di donne, ma né questo né altro tipo di stimolo sessuale aumenta la sintonia mente-corpo. Foto di donne nude o foto erotiche bastano a eccitare gli uomini, mentre le donne reagiscono meglio a immagini di coppie vestite in atteggiamenti romantici. Il video con una donna nuda che cammina sulla spiaggia eccita maschi eterosessuali e donne omosessuali; con un uomo nudo si eccitano uomini omosessuali ma non le donne eterosessuali. Quanto alle masturbazioni solitarie, lasciano indifferenti tutti.
E ancora. Con l´aumentare dell´età aumenta la sintonia mente-corpo ma solo nei maschi. Mentre la pillola contraccettiva non modifica la sintonia mente-corpo nelle donne, proporzionale invece al livello di salute sessuale.

Repubblica 19.1.10
Per tutti il testosterone è l´Ormone del desiderio ma la sua psiche non lo sente
di Andrea Lenzi

La dissociazione mente-corpo delle donne è uno degli aspetti che rende difficile lo studio della sessualità femminile da un punto di vista medico. Alcuni studi dimostrano che, inserendo un pletismografo (un misuratore di flusso vascolare) nella vagina e poi chiedendo alle donne che vedono un film erotico (visual sexual stimulation) se sono eccitate, le risposte "cognitive" spesso sono in disaccordo con quelle oggettive. Dicono: «non sento nulla», e invece sono eccitate (dimostrato da una aumento di circolazione vaginale e da una lubrificazione delle pareti vaginali). Un maschio sottoposto ad una simile visual sexual stimulation ha invece una perfetta coincidenza tra la sua erezione e la cognizione di essere eccitato.
Perché la donna sembra non conoscersi, sessualmente parlando? Forse perché continuiamo a usare sistemi di classificazione "maschili" anche per studiare la sessualità femminile? Probabilmente è così: ad esempio, il fenomeno della lubrificazione è certo il corrispettivo dell´erezione (stessi vasi, nervi, ormoni, stessi fattori disturbanti), ma il suo ruolo nella fisiologia sessuale femminile è ben altro, rispetto all´erezione, così come la percezione di questa. Il clitoride stesso non ha la medesima funzione del pene, pur essendo costituito, anatomicamente, dallo stesso identico tessuto. Di notte, l´erezione per l´uomo e l´aumento di circolazione vaginale e la conseguente lubrificazione per la donna servono infatti per la stessa cosa: per ossigenare i tessuti - come quelli genitali - che hanno una microcircolazione lenta.
E anche per quanto riguarda gli ormoni, si potrebbe dire che forse il testosterone, che è l´ormone della sessualità femminile, non è sufficientemente concentrato nella donna normale per allineare mente e corpo sulle reazioni sessuali. Infatti nelle donne con tumori testosterone secernenti o iperandrogeniche questo allineamento è più evidente.
Non è solo questione di concentrazione ormonale ma anche di tipologia e di soglia di reazione agli ormoni. Clitoride e parete vaginale anteriore sono pieni di recettori per il testosterone, il clitoride stesso è uno degli organi più sensibili all´ormone, come noi endocrinologi ben sappiamo visto che la patologia dell´irsutismo dovuta all´aumento degli androgeni si accompagna a ingrossamento del clitoride. Eppure il testosterone come "pillola del desiderio" per donne è stato un flop. Questa è una delle spiegazioni dei presunti fallimenti dei trattamenti farmacologici dei disturbi sessuali femminili. Un altro esempio: la maggior parte delle donne non sa di lubrificarsi (e talvolta di avere orgasmi) 3-4 volte per notte (ovviamente se non ha gravi patologie o è in menopausa) esattamente come accade ai maschi con le loro erezioni notturne. Infine: i maschi sono molto interessati alle immagini e a ciò che vedono, le femmine alle storie e ciò che passa attraverso le aree del linguaggio. Alle donne interessa il contesto, ai maschi spesso basta la parte erotica del corpo femminile. Anche questo spiega una dissociazione mente-corpo.
* Direttore del Dipartimento
di Endocrinologia
dell´Università la Sapienza, Roma

Repubblica 19.1.10
I mille condizionamenti che nascondono la sessualità femminile
di Roberta Giommi

Il corpo maschile racconta in modo più semplice il rapporto tra stimolazione da immagini e suoni e risposta corporea. La presenza dell´erezione tende a rendere semplice l´associazione corpo-mente. La donna ha più difficoltà ad ascoltare i segnali squisitamente corporei, riceve un messaggio meno evidente che spesso impedisce di sapere con esattezza cosa crea il desiderio sessuale e l´eccitazione.
Ci sono oggi degli avvicinamenti tra maschi e femmine, Internet sta modificando il comportamento delle donne, che guardano immagini erotiche, fanno una maggiore ricerca su ciò che le eccita e procura loro piacere, chattando parlano di sesso.
Il maschio riceve un segnale corporeo più evidente e può associarlo alla dichiarazione verbale di essere eccitato; la donna deve prima avere acquisto un ascolto del corpo. Le donne che si consultano per la crisi del desiderio o per la difficoltà a definire cosa amano nel sesso o nella preparazione al sesso, mostrano una difficoltà a mettersi in contatto con i messaggi genitali.
I dati della ricerca possono portare un contributo a scoprire in modo più puntuale cosa inibisce o facilita la predisposizione femminile alla sessualità. Nella cura delle disfunzioni femminili usiamo il disegno del corpo e il colloquio sul piacere, e questo permette alle donne di riflettere e commentare con il disegno e con le parole quali zone del corpo entrano in gioco nella creazione del piacere e dell´eccitazione. L´altro aspetto su cui lavoriamo nella disfunzione dell´orgasmo consiste nell´aiutare la donna a sentire il momento in cui la vagina segnala il desiderio di essere penetrata. La donna ha maggiori difficoltà se definisce il piacere una volta conclusa l´esperienza, mentre l´associazione mente-corpo funziona meglio durante l´ascolto in itinere delle emozioni.
Questo fa pensare che la stratificazione culturale mantiene aspetti di divieto nel passaggio tra emozioni e definizione cognitiva. Non è un caso che per una buona sessualità molte donne hanno come deterrenti sessuali l´innamoramento e l´amore nella fase passionale che le rende meno attente al controllo e più affidate al partner.
Una strada clinica che la ricerca sembra confermare è che esiste una censura femminile rispetto al riconoscimento delle sensazioni corporee, che la distrazione dal controllo creata dalle emozioni fa affiorare maggiormente la componente fisica dell´eccitazione e del piacere, ristabilendo una unità corpo-mente.
Una cosa che chiediamo ai partner delle donne con difficoltà sessuale è di intensificare la creazione di situazioni facilitanti, come chiediamo alle donne di identificare attraverso musica, film, parole, le situazioni a cui reagiscono spontaneamente. Il piacere femminile ha alcune complicazioni da gestire nella soluzione delle disfunzioni sessuali: una maggiore complessità degli stimoli da presentare, un maggior ascolto dei segnali genitali, maggiore emotività e coinvolgimento.
* www.irf-sessuologia. org

Una raccolta di lanci di agenzia usciti tra giovedì e sabato scorsi sull'incontro all'Eliseo
ricevuti da Giovanni Senatore

REGIONALI: LAZIO; PER BONINO PARTENZA BOOM, TEATRO NON BASTA PRIMA USCITA PUBBLICA DOPO INVESTITURA PD CON PANNELLA E FAGIOLI (ANSA)
ROMA, 16 GEN - Una standing ovation prolungata e un teatro Eliseo talmente pieno da dover dirottare tanti simpatizzanti sul vicino teatro Piccolo Eliseo dove e' stato allestito un maxi schermo. E' partita cosi' la campagna elettorale per la presidenza della Regione Lazio di Emma Bonino, che ieri ha incassato l'ok del Pd. L'occasione e' stata il dibattito 'Il potere della non violenza' con il leader radicale Marco Pannella, anch'egli salutato con una lunga ovazione, e lo psicanalista Massimo Fagioli, personaggio cult a Roma. Il dibattito, organizzato dalla rivista 'Left', dalle Edizioni Asino d'Oro e dai Quaderni radicali e' nato a seguito di un articolo pubblicato su quest'ultima rivista dal medico. Centinaia le persone che hanno voluto manifestare il loro sostegno alla Bonino con grida di incoraggiamento e strette di mano, sia all'arrivo sia a meta' mattinata quando la vice presidente del Senato ha lasciato l'Eliseo. 'In politica - ha detto Fagioli nel corso del dibattito - bisogna affermare un'identita' umana che vada oltre i bisogni ma che contenga anche le esigenze di affetti, liberta' e identita': quello che dobbiamo portare a livello pubblico in primo piano e' la domanda di un benessere che non sia solo fisico ma anche psichico'. Molti i temi toccati, dall'immigrazione al rapporto con la religione: in questo senso Pannella, a margine del dibattito ha ricordato come 'nessuno tenga presente che proprio io negli anni '80 proposi una riforma dei Trattati con il Vaticano, proponendo la doppia cittadinanza'. Nei locali del teatro i radicali hanno allestito diversi banchetti dove firmare il sostegno alla candidatura della Bonino.(ANSA). J5J-GB/MRS 16-GEN-10 14:30 NNNN

REGIONALI: LAZIO; BONINO, NOI DIVERSI,IN POLITICA CON IDEALI MIA CANDIDATURA STRADA IN SALITA CHE MI APPASSIONA
(ANSA) - ROMA, 16 GEN - ''Non c'e' politica senza cultura, altrimenti e' solo un consiglio d'amministrazione. In politica forse purtroppo non e' piu' scontato metterci degli ideali, ed e' questo che ci distingue''. Lo ha detto la candidata alla presidenza della Regione Lazio, Emma Bonino, nel corso di un dibattito all'Eliseo di Roma sul potere della nonviolenza, presenti tra gli altri Marco Pannella e Massimo Fagioli. ''E' questo che chiedo a tutti voi in questa campagna elettorale - ha proseguito la leader radicale - metterci qualcosa di voi stessi. E' questo che gli esseri umani chiedono alla politica, perche' la res publica e' una grande ed emozionante impresa: ognuno porti la sua individualita'''. Bonino ha poi definito la sua candidatura ''una strada in salita, che pero' mi appassiona molto''. Poi ha citato un brano di uno scrittore iraniano, che sul rapporto tra politica e religione ha scritto: ''Non conta tanto cosa credere, ma cosa fare delle proprie credenze''. ''Bisogna imporle? - ha chiesto Bonino - O non bisogna forse usarle per rispettare le diversita? Non esiste lo scontro tra le civilta' - ha concluso - ma solo lo scontro tra le intolleranze''. (ANSA). J5J-DE/FV 16-GEN-10 12:15 NNNN

(LZ) REGIONALI. BONINO A LEFT: PER CHI HA SETE DI BUONA POLITICA "TORNARE ALLA MASSIMA 'DÌ QUELLO CHE PENSI E FAI CIÒ CHE DICI'".
(DIRE) Roma, 14 gen. - Domani la copertina di 'Left' e' dedicata ad Emma Bonino, candidata del Centrosinistra alle regionali per la presidenza del Lazio. All'interno del nuovo numero del settimanale, cinque pagine di intervista/chiacchierata che la storica leader radicale ha rilasciato alla redazione di Left durante un incontro di due ore. Lo si legge in una nota del settimanale. Alla vigilia del si' definitivo dell'assemblea del Pd alla sua candidatura ufficiale, e dell'importante incontro - organizzato da Left, di sabato mattina a Roma al teatro Eliseo, alle ore 10.30, insieme a Marco Pannella e a Massimo Fagioli, l'Asino d'oro edizioni e Quaderni Radicali - la Bonino si racconta a 360 gradi. Progetti e idee su temi scottanti come diritti civili, welfare e immigrazione. La direttrice di Left, Ilaria Bonaccorsi, che sara' tra i moderatori dell'incontro dell'Eliseo dal titolo 'Il potere della nonviolenza. La ricerca di una politica per cambiare: da Gandhi al Dalai Lama, alle lotte pacifiste, alla teoria della nascita e alla 'rivoluzione soltanto del pensiero e parola', dichiara: "Il nostro totale appoggio alla candidatura di Emma Bonino deriva dalla sua idea di fondo di volere una politica per cambiare. Quando lunedi' e' venuta nella nostra redazione ci ha raccontato una visione del mondo e del fare. Un'altra politica: trasparenza, valori, grandi idee, forte senso pratico. Rispetto istituzionale, legalita'".(SEGUE) (Com/Rel/Dire) 17:32 14-01-10

(LZ) REGIONALI. BONINO A LEFT: PER CHI HA SETE DI BUONA... -2-
(DIRE) Roma, 14 gen. - "Tra i tanti temi specifici che abbiamo affrontato- continua la Bonaccorsi- dalla Ru486 alle donne in politica, al nucleare, ai temi piu' legati al territorio laziale, mi hanno colpito alcuni concetti in particolare". Nell'intervista infatti, viene chiesto alla leader radicale perche' un elettore di Sinistra dovrebbe votare per lei, che ha la fama di liberista e mercatista: "Io e molti altri ci interroghiamo su cosa vuol dire oggi essere di Sinistra. Non basta solo essere antiberlusconiani, sarebbe riduttivo. Penso che un elettore di Sinistra sia vicino alle mie posizioni su molti temi. Quella pratica di trasparenza che ci spinge a portare avanti battaglie perse a testa alta, sapendo che altri le vinceranno magari fra vent'anni, e' parte integrante di una cultura di Sinistra. Credo che questa sete di buona politica sia un elemento importante, non soddisfatto dall'offerta in campo", spiega la Bonino. E sull'idea di cambiare la politica, che ha colpito la direttrice di Left, dichiara: "Puo' essere utile un'elaborazione come quella di Lombardi, l'idea ad esempio di un 'socialismo liberale', a condizione che ci diamo tempi non immediati. Credo che in questo Paese ci sia un problema culturale gigantesco, in pochi decenni siamo passati da cittadini a popolo, da popolo ad audience, da audience a plebe. Non e' proprio fotografia brillante. Il percorso inverso e' complesso, lungo e necessita di alcuni strumenti innovativi, come la non violenza, ma anche di simbologie diverse. Non sara' ne' miracoloso ne' rapido, ma e' un percorso necessario. Senza una nuova cultura della cittadinanza, non basta che Berlusconi perda le elezioni nel 2013. Dobbiamo tornare ad una vecchia massima, difficilissima da applicare: di' quello che pensi e fai quello che dici".(SEGUE)

(LZ) REGIONALI. BONINO A LEFT: PER CHI HA SETE DI BUONA... -3-
(DIRE) Roma, 14 gen. - La Bonino parla di liste bloccate, di presenza femminile in politica: "Oggi la degenerazione della democrazia giunge al suo punto piu' basso con le liste bloccate. In qualunque Paese normale sarebbe normale avere come candidate due donne, la Polverini e la sottoscritta. Noi pero' siamo sufficientemente patetici da vedere una competizione politica tra donne come un dato fuori dall'ordinario. A Marsiglia o ad Oslo, lo scontro elettorale fra due donne e' normale. Da noi diventa particolare perche' anormale e' la situazione femminile". E infine rilancia i temi che potrebbero avvicinare gli elettori di Sinistra 'estrema', che non votano Pd: "Lasciamo perdere le cose che ci dividono. Ovvio che ce ne siano, altrimenti staremmo tutti nello stesso partito. Ma esistono cose che uniscono: quello dei diritti umani e' un importante terreno di incontro. Le battaglie su carceri, immigrazione, malati, ci hanno visto impegnati insieme. Comunque faccio notare che, seppure queste elezioni abbiano un grande significato politico nazionale, il vero obiettivo e' amministrare bene una Regione. Non si tratta di dirigere un ente morale o di riscrivere lo statuto dei lavoratori. Quindi, messe in chiaro le differenze, esiste un ampio terreno comune". (Com/Rel/Dire) 17:32 14-01-10 NNNN

REGIONALI: BONINO, DIRE QUEL CHE SI PENSA, FARE QUEL CHE SI DICE
(AGI) - Roma, 15 gen. - Bisogna tornare a una vecchia massima, difficilissima da applicare: di' quello che pensi e fai quello che dici. Lo sostiene in un'intervista al settimanale 'Left' la candidata governatrice alla Regione Lazio, Emma Bonino, alla vigilia della sua prima uscita pubblica domani al Teatro Eliseo di Roma al convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una politica per cambiare". La Bonino ne discutera', assieme al leader dei Radicali Marco Pannella, con lo psichiatra dell'Analisi Collettiva Massimo Fagioli. Il convegno promosso da Quaderni Radicali, L'Asino d'oro edizioni e 'Left', rimette all'ordine del giorno "la forza persuasiva" della nonviolenza: da Gandhi al Dalai Lama, dall'esperienza del Partito d'Azione a Giustizia e Liberta', dalle lotte pacifiste dei Radicali, alla 'teoria della nascita' di Fagioli e all'idea possibile "di una lotta, senza armi, che sia soltanto rivoluzione del pensiero e parola". Alla Bonino, alla 'fuoriclasse', come l'ha definita il leader del Pd, Pierluigi Bersani, il compito poi di tradurre il tutto nella campagna elettorale ormai alle porte per tentare di riconquistare la Regione Lazio al centro-sinistra. "Io e molti altri ci interroghiamo su cosa vuol dire oggi essere di sinistra. Non basta solo essere antiberlusconiani, sarebbe riduttivo", spiega la Bonino secondo la quale "puo' esser utile un'elaborazione come quella di Lombardi, l'idea cioe' di un socialismo liberale, a condizione che - conclude - ci diamo tempi non immediati". (AGI) Red/Pat 151759 GEN 10 NNNN

REGIONALI: BONINO,E' POSSIBILE NUOVO GRANDE INIZIO POLITICA = (AGI) - Roma, 16 gen. - E' possibile un nuovo grande inizio della politica intesa sia come buona e trasparente amministrazione, ma anche come portatrice di valori della persona umana. Lo ha detto la candidata a governatrice della Regione Lazio, Emma Bonino, intervenuta al Teatro Eliseo di Roma al convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una nuova politica' organizzato da Quaderni Radicali, L'Asino d'Oro e il settimanale Left. La Bonino si e' detta "emozionatissima" dopo il via libera dell'assemblea del Pd e pronta al dialogo con tutti per costruire un'alleanza larga. Rivolta a Ferrero e Di Pietro, ha aggiunto "mi conoscono, sanno perfettamente chi sono e cosa rappresento". "Il fatto strano - ha sottolineato riferendosi alla sua competitrice diretta, Renata Polverini - che siano due donne le candidate alla presidenza di una Regione e' un fatto anomalo per un Paese come il nostro dove si ha una concessione patetica del ruolo e funzioone della donna". Dopo aver individuato nella sanita', trasporti e rifiuti le priorita' per la Regione da amministrare con oculatezza e trasparenza, la Bonino si e' rivolta alla platea di migliaia di persone incitandole tra gli applausi a portare "qualcosa di se', qualcosa di voi nella diversita', nella differenza in questa campagna elettorale: la diversita' - ha concluso - e' un'energia positiva da esaltare come ci insegna nella storia la pratica della non violenza". (AGI) Pat/Stp 161126 GEN 10 NNNN


REGIONALI: PANNELLA,CONTENTO PER EMMA MA CRITICO CON INFORMAZIONE = (AGI) - Roma, 16 gen. - Contento e strafelice per la candidatura di Emma Bonino a governatrice della Regione Lazio, ma al tempo stesso non posso non criticare e aspramente il poco spazio che ci viene riservato dai mezzi di informazione. Cosi' il leader dei Radicali, Marco Pannella, si e' pronunciato nel corso del convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una nuova politica', promosso all'Eliseo di Roma da Quaderni Radicali, l'Asino d'oro e il settimanale Left. "Bisogna ripristinare uno stato di diritto - ha aggiunto Pannella - e soprattutto di legalita': per mancanza di quest'ultima rischiamo di non trovare le firme che ci servono per presentare le nostre liste alle prossime elezioni. E cio' e' dovuto anche e soprattutto alla scarsa visibilita' e alla mancanza di accesso ai mezzi di informazione". Sollecitato dalle domande del pubblico, Pannella, in merito alla questione immigrati, ha detto che "ci vuole un welfare anche per gli immigrati, ossia vanno ri-conosciuti come esseri umani ai quali spetta il diritto di cittadinanza". (AGI) Pat/Chi 161556 GEN 10 NNNN

Apc-Regionali/Lazio,Bonino in pista:Trasparenza e valori,nuovo inizio
"Rappresento popolo di sinistra e cattolico" Roma, 16 gen. (Apcom) - "E' possibile un nuovo grande inizio della politica intesa sia come buona e trasparente amministrazione, ma anche come portatrice di valori della persona umana". Con queste parole Emma Bonino, candidata del centrosinistra alla Regione Lazio, ha aperto la sua campagna elettorale al Teatro Eliseo di Roma. La Bonino è intervenuto al al convegno 'Il potere della non violenza - La ricerca di una nuova politica' organizzato da Quaderni Radicali, L'Asino d'Oro e il settimanale Left. Insieme a lei il leader radicale Marco Pannella e lo psicanalista Massimo Fagioli. "Mi ha emozionata la decisione dell'assemblea regionale del Pd dopo le parole di Pierluigi Bersani e ce la metterò tutta - ha detto la Bonino - per rappresentare i valori e le passioni che hanno segnato il popolo di sinistra e quello cattolico in questi anni". La Bonino ha spiegato di essere pronta al dialogo con tutte le forze del centrosinistra per costruire un'alleanza larga. Ferrero? Di Pietro? "Mi conoscono - ha detto l'esponente radicale -, sanno perfettamente chi sono e cosa rappresento". La Bonino ha invitato, accolta da una standing ovation del parterre del Teatro Eliseo, tutti "a darà qualcosa di sè, qualcosa di voi nella diversità, nella differenza in questa campagna elettorale: la diversità è un'energia positiva da esaltare come ci insegna nella storia la pratica della non violenza". Quanto a Renata Polverini la Bonino ha osservato che "il fatto strano è che ci siano due donne candidate alla presidenza di una Regione, è un fatto anomalo per un Paese come il nostro dove si ha una concessione patetica del ruolo e funzione della donna". Infine la candidata democratica ha individuato le priorità della Regione da amministrare con trasparenza e oculatezza: sanità, trasporti e rifiuti. Red/Pol 161655 gen 10